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> anno_i:[1850 TO 1880} > autore_s:"CARRARA FRANCESCO"
OPUSCOLI DI DIRITTO CRIMINALE ( CARRARA FRANCESCO , 1870 )
Saggistica ,
ÿþCANTÙ E CARMIGNANI ( dagli Opuscoli di Diritto criminale , Lucca , 1870 , vol . II , 597 ss . ) Cesare Cantù ( quel potente ed infaticabile ingegno , che tanto arrecò di onoranza alla patria nostra ) ha dato in luce un frutto novello dei suoi studi , nel libro che intitolò Beccarìa e la scienza criminale . In cotesto scritto l ' illustre autore , seguitando un sistema altra volta da lui felicemente sperimentato , prende occasione dalla biografia di un uomo ad intessere la storia della scienza che da quello si coltivò , e delle opinioni dei tempi che lo precedettero , e lo seguitarono . Così dalla vita del Beccarìa coglie il Cantù destramente occasione di registrare numerosa serie di fatti interessanti la scienza penale ed esponendo lo stato della dottrina che precedette e susseguì gli scritti del suo protagonista , viene parlando degli uomini che poscia meditarono le palpitanti questioni da lui sollevate nel magistero punitivo . Non intralascia l ' esimio scrittore di esprimere il suo pensiero sulle diverse scuole che si formarono dipoi nella scienza del diritto penale ; e di mostrarci sovente come sappia la sua mente acutissima con brevi parole demolire una intera dottrina . Non è mio intento di tessere elogi di questo scritto pregevolissimo e benemerito della scienza alla quale consacro i miei studi : né di sindacare le opinioni che in quello trapelano , o rilevarne se pur vi sono i difetti . Mio solo scopo è d ' adempiere un sacro dovere di gratitudine . E in vista di cotesta cagione spero che l ' insigne scrittore vorrà perdonare alle rispettose mie osservazioni . Evvi in quello scritto una pagina ( la 292 ) ove il Cantù favella di colui che io considero come decoro d ' Italia , luminare e maestro della dottrina penale : Giovanni Carmignani . Il Cantù , che tutti novera i criminalisti surti in Italia fino ai dì nostri , non consacra al Carmignani che quella pagina . Ed anzi la maggior parte di quella pagina è ingombrata da una satira che fu lanciata contro Giovanni Carmignani mentre a Firenze faceva i suoi primi infelicissimi tentativi nella scienza alla quale diede poscia tanto incremento . Del rimanente non altro si dice del Carmignani tranne accennare la sua divergenza con Pellegrino Rossi ( al quale pure il Cantù fa in altro luogo rimprovero di aver bevuto le ispirazioni francesi da Broglie e Guizot ) ed affermare che il Carmignani fino al 1836 fu un caldo propugnatore della pena di morte . Aggiungendo che solo a questo ultimo stadio della sua vita ei cambiò di opinione ; e repentinamente invitato il pubblico a straordinaria lezione , si diede a combatterla . Ora questa notizia che riferisce il Cantù per inesatte informazioni , non può lasciarsi inosservata da chi meglio conobbe le massime insegnate dal professore pisano , assai difformi da quelle che si vorrebbero a lui attribuire . Rettificare con documenti cotesto equivoco , e rivendicare il nome di quel sapiente dalla taccia di incostanza scientifica , è un debito di reverenza in chi , sebbene indegnamente , siede alla cattedra che tanto si onorò di quel grande . Giovanni Carmignani uscito dalla pisana Università con la laurea dottorale , recavasi per sue convenienze alla capitale della Toscana e trovava colà un Ministero , che impaurito dell ' uragano minaccevole d ' oltremonte , ripristinava con la legge del 1795 la pena di morte , e riconduceva in generale le punizioni a più severa misura . È naturale in tutti i Governi , che promuovono una riforma legislativa , di cercare attorno qualche scrittore che con gli elogi suoi si studi a rendere popolare la nuova legge , e persuada il pubblico della convenienza , e saviezza della medesima . Se pochi sono i Legislatori i quali , ad imitazione del Bavarese , recidano il pericolo di una censura con lo interdire ogni commento sul nuovo codice , nessuno di loro tollera in pace la critica . E ciò tanto più è naturale , quanto più la legge novella è avversa alle opinioni dominanti nel popolo ; com ' era , ed è sempre stata avversa ai toscani la pena di morte . E bene a ragione un popolo civile doveva osteggiare la pena di morte . Poiché questa altro non è che l ' ultimo residuo della barbara idea del taglione . Singolare esempio di pregiudizi umani ! Mentre è ormai rejetta la erronea dottrina , se ne venera la più fatale estrinsecazione ! Nessuno oggi oserebbe sul serio riproporre il taglione come misura della pena . E non si vuol vedere che la idea di uccidere l ' uccisore altro non è che la prima formula del taglione ! Di ciò che avvenne il 1795 , vedemmo noi stessi ripetuto l ' esempio nel 1853 alla pubblicazione del nuovo codice penale . Il Ministero accarezza coloro che elogiano il parto della sua mente , come una tenera madre simpatizza per chiunque rivolga ai suoi bambini parola di encomio o di affetto : e quelli che ambiscono i favori dell ' autorità comprendono ben tosto qual è la via che si deve calcare per guadagnarseli . Narro cosa che è notoria fra noi . Anelava il Governo Toscano del 1795 trovar modo onde vincere l ' antipatia popolare contro la pena di morte . Carmignani ebbe la debolezza di cedere alla lusinga : ed a suggerimento di Lorenzo Pignotti , pubblicò nel 1795 a Firenze coi tipi della Stamperia Granducale un pessimo libro , intitolato Saggio di Giurisprudenza criminale : ove calorosamente sostenne la utilità e la giustizia della pena di morte . Ecco il peccato capitale di Giovanni Carmignani : ma fu il peccato del giovine dottore , inesperto della vita ; e balbettante ancora nell ' atrio della scienza . Ma fu un peccato che egli pianse amaramente fino a che visse , cercando distruggere come poteva ogni esemplare di quel libro male augurato ; deplorando con gli amici l ' error giovanile e vergando di proprio pugno sull ' esemplare che qua si conserva degli eredi di lui , solenni parole di anatema . Ivi in testa al capitolo quinto , intitolato della utilità della pena di morte , leggiamo scritto da lui - orribile intitolazione ! ! Eppure uscì dalla mia penna e dalla mia mente ! Fu un errore giovanile , che doveva dirsi redento dai fruttuosi sudori del professore pisano ; e dagli sforzi energici coi quali combattè sempre i falsi principii da lui disavvedutamente seguitati in quell ' opera informe . L ' albero non dee giudicarsi dai frutti immaturi che per ridondanza di umore vitale egli emetta precocemente , come l ' uomo non dee giudicarsi sulle aberrazioni della sua giovinezza . Troppi sarebbero i grandi che si farebbero impiccolire , misurandoli col criterio dei giovanili conati . Chi valutasse l ' Alfieri sui meriti della Cleopatra , lo direbbe un ridicolo tragico . Chi giudicasse Byronnei suoi versi giovanili , direbbe che quel gigante fu un meschino poeta . Del resto non fu tardo il Carmignani a conoscere quella trista verità , che chi si lascia sedurre dalle aure del potere , se qualche volta guadagna fortuna , quasi mai profitta nella onoranza e nella benevolenza dei cittadini . Non solo a lui piovve addosso il madrigale che riporta il Cantù , e che fu diretto contro il dottore Carmignani e non contro il professore pisano ; ma la lepidezza fiorentina versò contro lui un torrente di satire e di motteggi , di cui furon pieni persino gli angoli delle pubbliche vie . E fu tale e tanto il gridare contro di lui , che chi ne meditò allora le cause , non iscorgendo proporzionata a quelle ire la inisignificanza del libro , e la oscurità dell ' autore , vi riconobbe piuttosto una manifestazione contro l ' esoso indietreggiare del governo . Tutt ' altro cuore che quel di Giovanni sarebbesi annientato in faccia a tanta tempesta . Ma il Carmignani dalla infelicità della prima esperienza trasse invece argomento a meglio approfondare i suoi studi nel giure penale , e sostituire i concetti proprii e il risultato delle proprie meditazioni alle inspirazioni di una servile deferenza . Laonde , quando nel 1803 fu chiamato alla lettura del diritto criminale nella pisana Università , ei si presentò ai suoi alunni , non più parteggiatore di crudeli dottrine , ma deciso sostenitore della mitezza nei gastighi ; ed appose per eserga alle sue istituzioni di diritto criminale che ( per quanto mi è dato di rintracciare ) pubblicò in latino la prima volta nel 1808 , questa sentenza - temperatus cohibet timor ; assiduos acer extrema admovens , in audaciam jacentes excitat - quasi a programma e solenne professione di fede , quasi a segnale della bandiera sotto la quale ei si apparecchiava a pugnare . Salito in Cattedra egli sentì il debito di coscienza d ' insegnare agli alunni suoi quelle che riconosceva come grandi verità della scienza , e non i placiti della autorità . Fondatore dell ' insegnamento filosofico del giure penale ( 1 ) [ ( 1 ) Del giure penale fu Giovanni Carmignani l ' Apostolo ed il Dottore . Ne fu l ' Apostolo , perché i principii umanitarii propugnò sempre con amore caldissimo , ed a propagarli volse ogni suo studio con indefessa operosità . Ne fu il Dottore , perché alla civilizzazione del giure punitivo egli diede opera utilissima e salda col ricostituirne dalle basi lo insegnamento . Già i pubblicisti nella seconda metà del passato secolo avevano fatto crollare lo edifizio barbaro del vecchio giure punitivo , e già Leopoldo I di Toscana , convertendo in legge le nuove dottrine , aveva mostrato come potesse senza ferocia di pene mantenersi la sicurezza di un popolo . Ma i novatori a patrocinare la santa causa avevano usato e forse abusato delle patetiche declamazioni ; perché in quei primi attacchi era buono fare appello al cuore per commuovere gli animi e condurli a dimettere le tenebrose abitudini . Se però l ' impeto giova per demolire , non vale altrettanto a ricostruire ; ed il secolo passato , che fu tremendo demolitore , lasciava al presente il retaggio della ricostruzione anche nell ' argomento del diritto penale . E poiché gli avversarii non posavano le armi , ma appunto , pigliando occasione dal metodo della aggressione , falsavano la situazione della lotta e screditando i novatori come sentimentalisti vantavano a loro pro il presidio della ragione ; era tempo si desse loro battaglia sovra più severo terreno , e costringerli , se fia possibile , ad un perpetuo silenzio . Questa fu la mente del Carmignani quando nel 1807 dettò nella lingua dei dotti i suoi elementi di diritto criminale ampliati poscia e corretti nelle successive edizioni . Riedificare tutta la dottrina penale sulla base semplice , ma sempre vera , della natura delle cose onde mostrare che le riforme , chieste dal progresso civile , non si volevano per un sentimento di pietà verso i colpevoli ma pei rigorosi precetti di assoluta giustizia , era il bisogno del tempo ; e sorse Carmignani a soddisfare questo bisogno . Aridi come una matematica , e denudati dei fiori rettorici , dei quali pure sapeva egli bene usare nel foro , gli scritti didattici del Carmignani ricondussero il giure penale ad una dottrina ontologica . Tre furono i cardini sui quali egli adagiò la scienza filosofica della ragione penale . Aderire tenacemente alla distinzione fra imputazione e pena . Aderire tenacemente alla distinzione fra quantità e grado così nel delitto come nella pena . Notomizzare il delitto e la pena decomponendoli nelle respettive loro forze così fisiche come morali , cercando nelle forze oggettive del delitto il criterio della sua quantità , e nelle soggettive il criterio del suo grado , onde trovare la quantità e grado corrispondente nelle penalità . Fu questo il tripode sul quale egli pose la conclusione che la mitezza delle pene come generale veduta legislativa non era chiesta dalla misericordia ma dalla giustizia , e che debito di giustizia distributiva , non di pietà , erano le mitigazioni dei castighi nei singoli casi . Alla dottrina arbitraria ed empirica delle circostanze attenuanti non fece appelli giammai , anzi la bandì come funesto veleno dal suo sistema , perché volle che il giudice fosse guidato dallo intelletto e non soggiogato dal cuore . Punire meno , perché non si ha diritto di punire oltre ; punire meno dovunque si trova meno nelle condizioni giuridiche del fatto : ecco le formule alle quali da capo a fondo s ' inspirò lo insegnamento del grande maestro : insegnamento che può spregiarsi soltanto da chi non sa o non vuole comprenderlo , ma che compreso una volta è fonte perenne di luce in ogni problema del giure punitivo . È vero che nello svolgimento dei singoli problemi lasciò Carmignani qualche angolo inesplorato ; ma le linee fondamentali tracciate da lui erano facile guida alle desiderate soluzioni . È vero che Carmignani mostrò qualche volta allearsi alla scuola così detta politica , e qualche volta chiedere ajuti alla scuola utilitaria , ma non pose né nell ' una e né nell ' altra la vera radice delle sue dottrina , perché troppo era libero pensatore per farlo . Fu questa per lui una necessità di situazione . Egli si trovava alle spalle la falsa filosofia del secondo decimottavo , si vedeva sorgere al fianco ( troppo potente in quel periodo ) la falsa ed empirica scuola detta utilitaria capitanata da Bentham . Accintosi egli a muover guerra senza transazione con la scuola ascetica e con la scuola terrorista sentì qualche volta il bisogno di una alleanza ; ma i principii che egli poneva come cardini della sua dottrina dovevano per necessità logica demolire il trono dei momentanei alleati . Carmignani fu il riordinatore del giure punitivo , ed il suo riordinamento , perché strettamente aderente alla nuda verità delle cose , ha dato a questa scienza una base solida ed imperitura , sulla quale bisogna si assida ogni svolgimento ulteriore della teorica per parte di chiunque cerchi e desideri la verità . E qual fosse lo mostrò fino dal 1807 ponendo in capo al suo libro il significantissimo eserga temperatus cohibet timor . ] le sue letture apparvero una novità a coloro che erano usi ad intendere il nudo commento del diritto romano e delle leggi locali ; o la descrizione dei diversi modi di delinquenza secondo il diritto costituito ; o le maniere di formare un processo sulla prammatica inquisitoria . Ridurre i principii del Beccaria a formule scientifiche ed a metodo didattico fu il suo precipuo divisamento : e le sue istituzioni ne fanno solenne testimonianza . E quanto alla pena di morte , se leggessi ciò che ei ne scrisse nella edizione del 1808a pag . 135 , cesserà per sempre la fantasia di affermare che il Carmignani fosse in tutto il corso del suo insegnamento propugnatore dell ' estremo supplizio . Fu egli che in quella pagina pose innanzi quel potente dilemma contro la pena capitale ; dilemma che sotto il rapporto della pretesa utilità di tal pena , vale assai meglio di tante altre declamazioni . O volete adoprare ( egli scriveva ) la pena estrema contro i delitti che muovono da passioni cieche e bollenti ; e l ' uomo furioso sprezzerà la pena più atroce , come sprezza qualunque pericolo . O volete adoperarla contro i delitti che muovono da freddo calcolo ; e dovete riconoscere che in questo calcolo entra per soverchia misura la speranza della impunità : e la speranza d ' impunità non diminuisce ma si moltiplica per la ferità di un castigo , che eccita commiserazione , e che per la sua irreparabilità accresce il dubitare delle coscienze . Laonde se l ' uomo che delinque per freddo calcolo prevede che lo colpisca il castigo , ha nella minaccia della perpetua privazione della libertà e di tutti i godimenti della vita , ostacolo sufficiente a frenarlo : che se prevede di eludere la giustizia , e calcola sulla impunità , la pena più atroce gli presenta una ragione di maggiore probabilità per confidarvi . Io non discuto ora cotesto argomento . Ma lo ricordo solo perché mi sembra irrecusabile prova a mostrare che il Carmignani combatteva fino dai primi anni del suo maestrato la pena di morte . È vero che seguace del principio della politica necessità , egli opponeva piuttosto la inutilità che la illegittimità radicale di cotesta pena . O , a meglio dire , ei voleva desumerne la illegittimità col dimostrarla non necessaria . È vero che codesto ordine d ' idee lo condusse ad ammettere la pena di morte nel caso estremo del perduelle , la uccisione del quale fosse l ' unico mezzo possibile di rendere alla pace la società . Ma questa concessione ( o a meglio dire codesta logica deduzione del principio assunto da lui come fondamento del diritto di punire ) ei la fece con tali restrizioni , da ridurne l ' applicazione all ' esercizio del diritto di guerra . E ciò non autorizza per fermo a noverare il Carmignani fra i sostenitori della pena di morte . Questa sua dottrina egli riprodusse nelle consecutive edizioni che fece delle sue istituta , da quella del 1819 fino all ' ultima . E più latamente la svolse nella sua opera intitolata Teoria sulle Leggi della sicurezza Sociale da lui pubblicata nel 1831 . Che poi dalla Cattedra in tutto il corso del suo insegnamento combattesse la pena di morte , tutti i suoi discepoli possono testificarlo ; e molti ricordano come accorressero anche da lunge al pisano ateneo numerosi uditori il giorno in cui correa voce che Carmignani avrebbe detta la sua lezione contro la pena di morte . E se in alcuni anni di agitazioni politiche , o segreti ordini , o prudenza lo astrinsero a non potere senza pericolo ripetere la sua dottrina ; egli se ne passò dal 1831 al 1834 col non discutere i problema , piuttosto che risolverlo in un modo contrario alle sue convinzioni : le quali anche allora con quel silenzio eloquente mostrò bene di qual tempra si fossero . La lezione da lui pubblicata alle stampe contro la pena di morte nel 1836 non fu dunque una inattesa ritrattazione di quel sapiente , fu il riassunto delle dottrina che per oltre trent ' anni e con gli scritti e con la voce caldamente avea sostenute . La convocazione straordinaria a quella lezione , la pubblicazione mercè la stampa di quella monografia , male si dipinge come segno d ' incostanza e di ritrattazione . Se da quello scritto si toglie l ' ornato della erudizione , e l ' orpello del retore , poco o niente vi si riscontra che già non avesse il Carmignani per anni ed anni ripetuto , o parlando , o scrivendo . Censurisi pertanto se vuolsi il nostro Professore , o come letterato o come filosofo . Ma come criminalista non gli si neghi il pregio di essere umanitario , come non può negarglisi il merito di aver recato immenso incremento alla scienza penale . Sul qual proposito in non intendo già di applaudire ai principii che Giovanni Carmignani assunse come fondamentali del diritto di punire . Io nol potrei , poiché ne discordo . E come siano coteste basi fallaci , bene lo mostrò il chiarissimo Prof . Centofanti in un suo scritto inserito nell ' ultimo volume dell ' Antologia ; che lascia tuttavia a desiderare la promessa continuazione . Ma il Carmignani doveva bene subire la influenza dei tempi e delle false dottrine politiche e filosofiche che non ancora si erano rese per vinte in faccia alla luce del secolo XIX . Ciò peraltro non toglie che le opere di quest ' uomo non segnino una lunga corda nella linea saliente del progresso della scienza penale . Alcuni ardui problemi della medesima non hanno ancora ricevuto la ultima soluzione , e forse correranno molti anni prima che sorga il nuovo Neutòno e recarvi la luce . Ma tutti coloro che sudarono utilmente a diradare le tenebre , debbono dirsi benemeriti della scienza ; e sovrattutti il Carmignani che per quarant ' anni d ' insegnamento pertinace si affaticò nell ' opera santa : né il merito dei benefizi recati può menomarsi , perché tali benefizi che si estesero a moltissimi punti della dottrina non riuscissero uguali in altre parti della medesima . Se un uomo od un libro dovesse elogiarsi allora soltanto quando ei fosse scevro affatto di errori , noi non potremmo elogiare che l ' Uomo Dio , e le pagine del Vangelo . Ciò che al Carmignani fruttò l ' ammirazione dell ' Europa ; ciò che gli assicura distintissimo saggio nel Panteon dei criminalisti , e renderà immortale il suo nome , è la esattezza del metodo , e l ' ordine preclaro col quale egli seppe disporre nelle sue Istituta i precetti della giustizia penale . Metodo ed ordine che lo condusse per forza potente di logica a dileguare una folla di errori , che aveva fino ai suoi giorni dominato nelle scuole e nel fôro ; e che dopo lui nessuno osò più riproporre . Metodo ed ordine , del quale ( oso dire ) è impossibile trovare il migliore per chiunque voglia dettare un libro destinato all ' insegnamento del giure penale . È sotto questo aspetto che le sue istituzioni sono un vero gioiello . Onde il primo titolo che al Carmignani si deve è quello di riordinatore dell ' insegnamento criminale . Egli è il Linneo della nostra scienza . Poterono i posteri trovar difetto in qualche famiglia : poterono discuoprire qualche specialità da aggiungersi ad una o ad un ' altra classe : ma Linneo resterà sempre il fondatore del sistema . La lucidità ed esattezza dell ' ordine doveva , com ' è naturale , aprire al Carmignani la via per illuminare molti punti oscuri e perplessi , e rettificare parecchi equivoci . E difatti noi lo vediamo sfruttare fino all ' ultima conseguenza la radicale distinzione tra la violazione della morale , e la violazione del diritto , tra la imputazione e la pena ; separare con mano ferma la quantità del delitto dal suo grado ; condurre , nelle ultime edizioni dei suoi elementi , alla più completa rettificazione questa differenza normale , purgandosi dagli avanzi dell ' antica confusione che aveva lasciato qualche vestigia di sé nei primi suoi esperimenti . Noi lo vediamo arrecare fasci di splendida luce sulla teoria del conato , che fino ai suoi giorni , vacillante fra gli estremi di un soverchio rigore e di una eccessiva lassezza , agitavasi incerta nelle scuole e nel fôro , come nave senza nocchiero . Noi lo vediamo assegnare all ' elemento intenzionale del delitto quel primato che la ragione gli attribuisce , e che lo rende dominatore nel calcolo della imputazione , e nella esatta classazione dei diversi reati ; e al tempo stesso togliergli la balìa di cangiare il magistero penale in un sindacato monastico , col sottoporne la potenza alla necessità di una estrinsecazione politicamente dannosa . Noi lo vediamo delineare coi più pronunziati colori i diversi metodi di procedura , e dipingerne al vivo i respettivi pregi e difetti . Noi lo vediamo , in una parola , ovunque pone la mano portarvi uno sviluppo d ' idee , e tutte concatenate per guisa che si coadiuvano come forze congiunte . Né ad insinuare la idea che il Carmignani fosse mai per alcun temo della sua vita cattedratica parteggiatore della pena di morte , può darsi valore al fatto , che pure sembra a lui rinfacciare il Cantù , di avere cioè esso Carmignani nel progetto di codice penale che spontaneo presentò alle Cortes di Portogallo , mantenuto il supplizio capitale . È vero che in questo schema di codice mantenne il nostro maestro la pena di morte proponendone la esecuzione col mezzo di strangolamento per ossequio alla opinione del Cabanis . Ma poco vi vuole a comprendere che aspirando il Carmiganni a vedere attuato il suo progetto di codice , era nella necessità di renderlo possibile . E sarebbe stata una utopia in quell ' epoca il credere possibile in Portogallo un codice penale , in cui per i più gravi reati politici non si fosse minacciata la morte . Ond ' è che in questo progetto tolse egli affatto la pena di morte per tutti i delitti contro i privati , serbandola solo nei sommi casi contro i delitti politici . E che anche cotesta concessione il Carmiganni facesse in ossequio alle esigenze del momento , e contro le sue convinzioni , lo mostra ciò che egli scrisse nella prefazione a quel codice - ivi - Contro la propria coscienza lo scrittore ha proposto di ritenerla ( la pena di morte ) per i delitti di stato . La ragione ha portato ad evidenza la ingiustizia di questa pena : la esperienza della Toscana ove niuno si uccide , ne ha dimostrato la inutilità : la stessa esperienza in paesi ove se ne fa uso , come Lucca a contatto della Toscana , mostra quanto ella sia impolitica , e maestra di delitti di sangue . Questa verità si conferma dalla nota che a cotesto luogo appose l ' editore di quel progetto ( Carmignani scritti inediti , vol . 5 , pag . 6 ) - ivi - A ragione asserisce l ' autore che contro la propria coscienza ha proposto in questo progetto la pena di morte per i delitti di stato . Poiché tanto nella sua teoria delle leggi sulla sicurezza sociale ( tom . 3 pag . 160 edizione del 1832 ) quanto nella sue lezioni orali , ha sempre insegnato : - 1.° - Che quando trattasi per la società di aggressione presente con pericolo della di lei esistenza , che venga da questo delitto minacciata , e che non si possano disarmare gli aggressori senza ucciderli , la morte non dee riguardarsi come una pena , ma come un male indispensabile a respingere la ingiusta istantanea aggressione , colla teoria stessa della incolpata tutela - 2.° - Che quando nel delitto politico manca l ' istantaneità del pericolo , allora soltanto può parlarsi di pena : e i delinquenti cadendo nella classe dei delinquenti ordinarii , non vi è ragione di versare il loro sangue . Io non dico che questo progetto del Carmignani avesse grandi pregi , né che giusti fossero li sdegni di lui al non vederlo accettato ; dico solo che da cotesto fatto male se ne deduce argomento per dubitare che Carmiganni oscillasse nelle sue convinzioni , le quali furono sempre recisamente pronunziate contro il supplizio capitale . Non è d ' altronde meraviglia se il Cantù , il quale nel suo libro non era chiamato a far parola di Carmignani se non di passaggio , fu indotto in equivoco sul conto della più vera dottrina del nostro professore . Non è meraviglia , poiché noi vediamo che quelli stessi che si sono costituiti biografi del grande criminalista hanno spacciato sul conto suo tali cose che non potevano neppur sognarsi da chi avesse letto i suoi scritti . A modo di esempio , nella biografia dell ' avvocato Carmignani che il prof . Caruana Dingli leggeva all ' Accademia Maltese alla seduta del 16 novembre 1847 ( biografia che poscia venne premessa alla versione italiana degli Elementi del Carmignani pubblicati in Malta nello stesso anno ) si leggono parecchie specialità in ordine al movimento delle opinioni del nostro professore , e alle diverse vicende di quella opera insigne . Ora chi crederebbe che in questa biografia , la quale dicesi desunta da un ' altra biografia del Carmignani pubblicata dal prof . Pardini ( scritto che io non ho potuto riscontrare ) , si narrano circostanze totalmente insussistenti e sbagliate ? Enumerando le varie edizioni degli elementi del Carmignani , quei biografi le riducono a cinque ; la prima di Firenze nel 1808 , coi tipi Molini , contenente soltanto la parte generale in un volume : la seconda di Pisa coi tipi Prosperi nel 1819 , in due volumi , completata del terzo libro sui delitti in specie , e di un quarto sulla prevenzione diretta : la terza di Pisa coi tipi Nistri nel 1822 : la quarta di Macerata coi tipi Cortesi nel 1829 : la quinta di Pisa coi tipi Nistri nel 1833 . Ma nel confronto delle progressive mutazioni intervenute in quelle ristampe il biografo maltese cade in equivoci che sono fatti palesi ad oculos dal testo delle diverse edizioni . Così egli incomincia dal dire che nel 1808 il Carmignani pubblicò le sue istituzioni sotto il titolo di Elementa JURISPRUDENTIALE criminalis , e che soltanto nella successiva terza edizione cambiò quel titolo nell ' altro Elementa JURIS Criminalis . Donde sia tratta questa notizia io non so indovinarla davvero . So unicamente esser positivo che la instituta del prof . Pisano ebbero sino dalla edizione del 1808 il battesimo di Elementa juris , e conservarono cotesto titolo in tutte le cinque loro riproduzioni senza modificazione nessuna ; e basta leggere i frontespizii delle edizioni del 1808 e del 1819 per restarne convinti . Inoltre il Caruana racconta che soltanto nella quarta edizione romana ( ossia maceratese ) e così al 1829 , il Carmignani trovò quella celebre distinzione fra la intenzione indiretta positiva , e indiretta negativa . Ciò leggiamo nella nota 20 a pag . XVII - ivi - al vol . 1 pag . 54 della quarta edizione introdusse una originale ed importantissima nomenclatura , della intenzione cioè indiretta negativamente tale . Or bene , il § . 97 che trovasi a pag . 54 della quarta edizione , non è che la letterale riproduzione del § . 97 della terza edizione , e del § . 70 della seconda , nel quale trovasi negli stessi identici termini quella originale importantissima nomenclatura . Cosicchè tale scoperta erasi fatta dal Carmignani dieci anni innanzi . Inoltre il Caruana dopo aver ricordato quel tristo saggio pubblicato dal Dott . Giovanni il 1795 , procede a dire - ivi - era riserbato alla sua età più provetta l ' onore di proscrivere dalla scienza siffatti errori - e continua nella nota 15 - ivi - il Cav . Carmignani nel § . 318 e nella nota al § . 319 della terza edizione dei suoi elementi di diritto criminale , e nella nota al § . 350 della quinta edizione , giustamente si corregge di una erronea opinione nel suo saggio adottata , di attribuire cioè una politica efficacia all ' acerbità delle pene . Tutta questa canzone della resipiscenza del Cavalier Carmignani , e del pentimento della più provetta età è una fola . E forse può congetturarsi che il Cantù abbia incorso nell ' equivoco da me sopra notato , sulla fede dell ' inesatto biografo del Carmignani . Il professore Carmignani non aveva errori da rinnegare . Esordì la carriera cattedratica con bandiera tutta opposta a quella che avea sedotto il neofito nel 1795 . E quella nota che il biografo suppone aggiunta dal Carmignani alla terza edizione , esiste nella prima edizione di Firenze del 1808 a pag . 137 nota 6 al § . 275 - ivi - Quae heic exposuimus principia , juris criminalis costituendi regulas dumtaxat respiciunt , adeout ubi jus constitutum diversis inniti videatur principiis , ibi ulteriori indagini locus non patet . Putaveram et ipse olim aliquam poenarum acerbitati politicam inesse efficaciam ; postea vero meliora edoctus , ac re rectius perpensa diversam sententiam amplexus sum ; confer meam quam multis abhinc annis edidi opellam , saggio di giurisprudenza criminale , Firenze , 1795 . Può dunque dirsi con tutta verità che dal primo giorno in cui nel pisano Ateneo si assise Giovanni Carmignani come professore di diritto criminale , gli alunni ed il pubblico non salutarono in lui un criminalista feroce , né un propugnatore della pena di morte ; ma bensì invece il coraggioso banditore delle dottrine umanitarie , per le quali combattè finchè visse . Né la pena di morte osteggiò soltanto il Carmignani con lo insegnamento della Cattedra ; né con quell ' atto di solenne protesta , con cui , offertagli nel 1808 una magistratura , la ricusò , dicendo che la sua coscienza non gli consentiva di emettere sentenze di morte in opposito ai principii che professava ; né soltanto la combattè con gli scritti , e coi più energici conati nelle criminali difese , ma infaticabile nella sua santa missione , slanciossi sovente anche oltre il confine della sua patria onde arrestare la bipenne , che pendea sopra il capo di umane creature . Di questa verità io ne ebbi solenne testimonianza , ricordare la quale parmi doveroso tributo alla memoria del grande maestro . Nel già ducato lucchese erasi da parecchi anni costituita una società di malfattori , alla quale era scopo consumare dei rubamenti specialmente a danno di Canoniche e Chiese parrocchiali della campagna . Scoperti i principali di questa masnada , che già parecchi furti avea consumato nel contado lucchese , furono processati , convinti , e sei di loro condannati di morte . Ragione per il capitale supplicio non si traeva già in uccisioni che costoro avessero perpetrato ; poiché nelle loro ruberie avevano mai sempre rispettato le vite . Ma si desumeva dalla legge penale in Francia , che allora continuava ad essere regolatrice nel ducato lucchese . Legge che punisce di morte anche il furto non accompagnato da strage , quando ci concorrano le circostanze di violenza contro le persone , violenza contro le cose in luogo abitato , tempo notturno , delazione di armi , e numero di persone . Difensori dei sei condannati erano con me i signori avvocati Michele Mariani , Donato Borromei , Carlo Massei , Tommaso Ghilarducci , e dottore Cherubino Laurenzi . Palpitanti della grave responsabilità che ci pesava sugli omeri , nessuno di noi risparmiava dal suo canto studio ed industria per allontanare il miserando eccidio . L ' Avv . Mariani ed io , che più particolare conoscenza avevamo col prof . Carmignani , lo ricercavamo dapprima del suo consiglio : ma ne traemmo la scoraggiante certezza che in faccia alla legge di Francia poteva a nome dell ' umanità e della scienza protestarsi contro la esorbitanza del suo rigore , ma non coltivare speranza che la giustizia risparmiasse cotesta fiata l ' opera del carnefice . E il risultato corrispose al vaticinio pur troppo , poiché la Rota criminale pronunziò , e il Supremo Tribunale di revisione confermò , la condanna a morte dè sei sciagurati . All ' aspetto della imminente carnificina noi tornammo allora ad implorare dal maestro aiuta e consiglio . Ed egli non esitò un istante ad allearsi con noi per strappare per via di grazia dal Principe ciò che per via di giustizia era stato vanità lo sperare . Fu in tale occasione , che il Carmignani dettò sotto il titolo di supplichevole ragionamento quella solenne protesta contro la pena di morte , che poscia si pubblicò coi tipi dei Nistri in Pisa nel quarto volume delle cause celebri del Carmignani , a pag . 467 . Egli distese la supplica al Duca Carlo Ludovico , che si conserva da noi nel suo autografo : supplica che dal collegio dei difensori si presentava al principe corredata del ragionamento del Carmignani , come documento di appoggio . A questa fatica , a questa opera generosa , all ' attuazione di questo audace concetto , non guidavano il Carmignani sentimenti comuni . Non interesse , poiché tutto fu gratuito per parte sua . Non relazioni di benevolenza , poiché nessuno dei condannati erasi da lui conosciuto personalmente . Egli si inspirava soltanto alla religione della sua fede scientifica , che facevalo inorridire al pensiero di tanto supplizio , e sentire come debito di ogni uomo levare la voce al principe ad implorare misericordia . Il concetto del ragionamento del Carmignani erasi quello di censurare rispettosamente la legge punitiva che colpisce del capo il ladro non micidiale ; e così persuadere al principe che la grazia in questo caso non era facoltà di clemenza , ma debito di giustizia . E con qual cuore , e con quanta ansietà e doloroso desiderio ei si gittasse alla caritatevole impresa , si rileva dal fitto carteggio con noi tenuto in quella circostanza , e specialmente da alcune sue lettere indirizzate all ' avv . Mariani , e che furono pubblicate nel Vol . I del giornale contro la pena di morte dell ' esimio Prof . Pietro Ellero . Ogni linea di quelle lettere palesa i palpiti di un cuore , che si agita all ' imminenza di un grande pericolo ; ogni suo motto rivela la convinzione profonda di questo vero , che ogni esecuzione capitale è una sociale calamità . E quando tornati vani tutti gli sforzi per la irremovibilità del principe , giunse al Carmignani l ' annunzio della terribile esecuzione : mostra come ei ne sentisse strazio profondo la lettera di conforto che a me scriveva , e che fu pubblicata nel suddetto giornale . Ad altri dunque si vada narrando che Carmignani fu un propugnatore della pena di morte . Ad altri si insinui che soltanto nel 1836 per la vanità di mercar applauso ad una solenne lezione , rinnegasse le sue credenze . A noi ciò non si dica , che lo vedemmo per tutta la sua vita combatterla . E dico per tutta la sua vita , poiché la vita del professore incomincia dal 1803; né gli svolazzi del giovane possono attribuirsi al cattedratico , che pertinacemente li repudiò . A Carmignani si attribuisca il titolo di acerrimo oppositore del carnefice ; dalla assottigliata schiera dei suoi difensori si tolga l ' insigne suo nome . DANTE CRIMINALISTA ( 1864 ) ( dagli Opuscoli di Diritto criminale , Lucca , 1870 , vol . II , 647 ss . ) ( STUDIO STORICO ) E non nasconder quel ch ' io non nascondo . ( Purg . C . XXIV ) Il concetto che Dante avea dei poeti non era certamente circoscritto alle immagini e alla rima . Per l ' Alighieri , poeta era colui che rivelava con l ' incantevol magistero della poesia un aspetto della verità all ' uman genere profittevole ; era colui che avanzando il proprio secolo o combattendone le false opinioni , spingeva gli uomini alla conquista della civiltà . A suo duce per i regni paurosi dell ' inferno ed per quelli mistici del Purgatorio , aveva scelto il vate dell ' incivilimento latino : a Virgilio egli si era rivolto con quell ' alto e gentilissimo verso , O tu che onori ogni scienza ed arte ! È per questo che nella Divina Commedia , i cultori di tutte le scienze e delle arti cercano all ' occasione la veneranda autorità ; quasi ad esempio dei sacri oratori che ricercarono nei Vangeli una divina sanzione ai loro insegnamenti . E bene s ' adoperano , avvegnachè il gran poema dell ' Alighieri sia come l ' evangelio della civiltà moderna . Dello , che a somiglianza dei giureconsulti romani , i quali si onoravano di citare l ' egregio Virgilio nel testo ( 1 ) [ ( 1 ) Instit . lib . I , tit . 2 . ] , quelli italiani imitino il magno esempio con Dante , il quale precorrendo con l ' acceso ingegno le nasciture generazioni sembra profeta ; onde fu assomigliato al Titone della favola , che valica i secoli senza incanutire , e invecchiando ringiovanisce . Infatti il magno poeta , innamorato di Roma antica , non poteva trascurare il Diritto ; ed altri dottamente dimostrò quanto egli ben ragionasse nell ' alta filosofia civile , e come la sua definizione del Diritto gareggiasse con quella del Digesto , e quasi precorresse con tale dottrina Emanuele Kant nel misurare le individuali libertà , onde ne resultasse bene ordinata la sociale convivenza ( 2 ) [ ( 2 ) Ecco la definizione di Dante " Jus est realis et personalis hominis ad hominem proportio , quae servata , servat societatem : corrupta corrumpit " . Vedasi Saggi di filosofia civile dell ' Accademia Italica , pubblicati per Girolamo Boccardo , Genova , 1852 , tom . I , 86 . ] . Né mancò chi più specialmente indagasse come nel divino poema ei spieghi l ' origine della forza pubblica e la gerarchia dei poteri , come dipinga graficamente il libero arbitrio , esprima la nozione delle azioni negativa , delinei la forza morale dell ' offesa e l ' indole dell ' intenzione ( 1 ) [ ( 1 ) Carmignani , Teoria delle leggi della sicurezza sociale ; Tomo I , pag . 68; II , pag . 50 , 59 e 64 . ) ] . Né infine mancò chi si affaticasse a dimostrarlo sapientissimo nell ' analisi morale di quegli atti umani i quali scoppiano , per dirla col Parini . . . dal cupo ove gli affetti han regno ; e anche facesse palese come studiandolo filologicamente si potesse ripulire ed accrescere la lingua forense , oggi tanto oscura e barbara ( 2 ) [ ( 2 ) Il celebre criminalista Nicolini in tutte le sue opere , e specialmente nelle sue note alla Procedura penale nel regno delle due Sicilie . ] . Ancora egli dunque , magistrato di Firenze , ambasciatore , cittadino , in cui era riposta al dir del Boccaccio tutta la speranza pubblica , fu sacerdote del Diritto . Ma siamo franchi ; non crediamo che sempre mettesse quel suo straordinario ingegno sul retto sentiero nella contemplazione filosofica del giure penale : non ascondiamo in circostanza tanto solenne ( dirò con le sue parole tolte ad epigrafe di questo mio breve lavoro ) quello che ei non nasconde . Il diritto penale ai tempi di Dante era cotanto in basso caduto da rendere quasi impossibile la percezione della sua idea , in mezzo al fango macchiato di sangue nel quale giaceva miseramente sepolto . Troppo erano radicate in quelle anime fortemente temperate le tradizioni dè secoli che per la loro ferocia furon detti di ferro : né potevano certamente aver norma dal giure romano , il quale veniva ricostituendosi in autorità , poiché in esso il concetto della penalità troppo era guasto dai sanguinari editti dei Cesari di Oriente ; né gli sparsi lampi che tralucevano dalle opere dei Padri della Chiesa , né gl ' incipienti tentativi dei romani Pontefici bastar potevano a diradare così dense tenebre . Il magistero penale per la universale credenza di allora ritenevasi come un atto di forza , non già come una santa attuazione del Diritto : sua guida nel divieto il bisogno degl ' imperanti ; sua misura nel gastigo l ' arbitrio : e cotesto bisogno e cotesta misura non regolate da imparziale ragione , ma dalle ispirazioni della vendetta sospinte . Bene il Ghibellino talvolta si avvide , che quanto rimaneva delle tradizioni di Roma libera intrecciato col traboccante dispotismo dei Cesari di Oriente , si rendeva flagello e non sostegno del Diritto , se non rinfocavasi ai supremi principj della ragione e allo spirito di carità ; ma relativamente al diritto penale , sì nel divieto che nei castighi , la sua mente fu pur essa quasi in tutto mancipia di quell ' universale errore . E questo non può desumersi ancora dalla maniera onde egli si comportò nella propria causa ? Chè se nella santità del Diritto avesse l ' Alighieri ravvisato il supremo giudice della punizione inflitta dagli uomini , alle ingiuste sentenze contro di lui saettate dai dominatori della sua patria , bene altrimenti avrebbe risposto . Vero , che era necessità l ' esilio per scampare la vita , in quanto il conte dei Gabbrielli non fosse altro che un giudice ingiusto e prepotente di un tribunale rivoluzionario ; ma neanco prese la penna a confutare l ' iniquo giudicato ; invece impugnò la spada e mutò parte ! Anche Dante , come tutti i gagliardi di cotesti tempi , aveva in cuore il motto sublime : Dio e il mio Diritto ! ma quel motto avea pur egli vergato sopra la spada . No , il maestro del sorriso e dell ' ira , come lo chiamò il Manzoni , trasportato da più alte speculazioni , troppo vicino ai tempi eroici della politica italiana , non assorse alla piena considerazione della sublime idea informante la odierna giustizia penale . Né son venuto in questa opinione esaminando la penalità della Divina Commedia . Nelle prime due cantiche di cotesta opera egli trascende dalla personalità creata all ' infinito ideale . Egli si metteva dentro gli ultramondani regni per una porta sulla quale stava scritto : Lasciate ogni speranza , o voi che entrate ! e per quanto se ne disputi in contrario , la sua teologia era ben diversa da quella oggi in voga di Herder , di Reynaud , di Montanelli , i quali arditamente cancellarono dalla porta paurosa Quelle parole di colore oscuro . Nella sacra epopea non avrebbe forse potuto trovar luogo ai buoni precetti dell ' umano giure penale neppure un criminalista moderno il più edotto alle speculazioni della scienza novella . Non i rapporti tra l ' uomo e l ' uomo , ma quelli ben diversi tra l ' uomo e Dio ; non il campo giuridico ma il campo teologico , dovevasi esplorare nella prima cantica . Però non mi sorprende che i semplici vizj si puniscano colà come i più gravi delitti . Per la qual cosa non rimprovero a Dante , che in Pier delle Vigne ( Inf . c . XIII ) parifichi il nudo consiglio all ' esecuzione del reato : che in Mordrec ( Inf . c . XXXII ) punisca la tentata strage paterna quanto il parricidio compiuto , quantunque la più veloce spada del genitore rompendo il petto e l ' ombra di quello sciagurato impedisse il nefando delitto . In faccia al giudizio dell ' Onniveggente dee ben tenersi più conto della pravità interiore che dello esteriore nocumento . E come sarebbe cattivo argomento quello di chi asseverasse per cotesti luoghi del Poeta , che umanamente giudicando esso avrebbe punito e vizj e conato e consiglio con severità uguale a quella che è riserbata alle più malvage delinquenze , così sarebbe ingiusta la censura di chi per questo accusasse il Poeta di aver disconosciuto nel diritto penale quelle altissime verità , che oggimai da tutte le civili nazioni ( tranne poche ostinate ) senza dubitare si accettano . Io non ho saputo intendere , lo confesso , né per meditazione né per riscontro un passo di Vittor Hugo , il quale spaccia il sistema penale di Montesquieu esser esemplato su quello Dantesco ( 1 ) [ ( 1 ) William Shakspeare par Victor Hugo ; Paris , 1864 , pag . 94 . ] . Quando Cristiano di Danimarca venne a Firenze nel 1474 si fece apportare le Pandette e gli Evangelj , e ponendovi sopra la mano , ecco disse i soli tesori degni di un re . Ma quella mano avea coperta dal guanto di ferro : e il poeta rendeva la grande anima il 1321 : ancora più secoli dovevano volgersi prima che nell ' ingegno del Beccaria splendesse la novella idea della scienza dei delitti e delle pene . Non per questo io intendo di negare al divino Alighieri l ' attitudine a conoscere alcune verità del diritto penale , perché non vi è ramo di scienza o d ' arte in cui egli non infuturasse il pensiero e non ne divinasse molti veri . Io voglio additarne uno da lui discoperto e proclamato , per il quale non gli si debba né possa negare prestanza neppure in questa disciplina . Sta in uno dei suoi più terribili e sublimi episodj , la morte del conte Ugolino e dei figli suoi ( Inf . c . XXXIII ) . Narra il Poeta l ' atroce punizione irrogata al traditore di Pisa , e cotesto tormento ei neppur sembra disapprovare , poiché gravissima era sopra tutte la colpa ; né avverso l ' atrocità de ' supplizi soleva ribellarsi in que ' giorni il sentimento generale . Ma ciò che apertamente disapprova il Poeta è la condanna dei figli innocenti . Se il Conte , egli dice , avesse pur meritato per la tradizione delle castella così vituperevole e crudel pena , o città di Pisa , non dovevi estenderla ai figli suoi innocenti del fallo paterno . Ora cotesta splendida apostrofe rivela in Dante l ' emancipazione dell ' intelletto suo , almeno in tal parte , dalle ferocissime regole che niuno , tranne pochi solitari pensatori dei chiostri , osava in quegli oscurissimi tempi impugnare . Tutta la umanità della infaustamente celebre costituzione di Arcadio si venerava in quell ' epoca come un oracolo di giustizia ( 1 ) . [ ( 1 ) Vedasi nella dottissima lettera del Carmignani al Rosini sul verso , Poesia più che il dolor potè il digiuno , un cenno della giurisprudenza di quell ' età sulle pene dei figli innocenti , per i delitti dei padri . La seconda ediz . di Pisa , pag . 58 , n . 2 . ] . I figli dei perduelli , quantunque scevri d ' ogni partecipazione nel delitto paterno , la paterna colpa ereditavano . Dovevano dessi alla pari dei genitori proscriversi come peste della repubblica e involgersi malgrado la loro innocenza nel supplizio paterno . Essi , scriveva l ' imperatore , dovrebbero insieme col padre morire sul patibolo , ed è solo per clemenza nostra , se loro si lascia la vita a condizione però che questa non sia per loro che un perpetuo supplizio . Se Dante avesse ( quando dettava il suo Paradiso ) ricordato cotesta legge , per la quale l ' esecrando principio della corruzione del sangue ebbe troppo lungo tempo più esecranda sanzione , io tengo per certo che ei non sarebbe stato così benigno verso Giustiniano , il quale aveva rinnovellata nel suo codice l ' autorità di quella costituzione , non già con inchiostro vergata , ma come disse un sapiente , vergata col sangue . Ma anche se Dante volle obliare cotesti falli di Giustiniano ei non se ne volle almeno render partecipe , poiché nel luogo di che favello coraggiosamente protestò contro l ' ingiustizia di mescolare i figli innocenti nella colpa del padre . E quando altro in Dante non si trovasse consentaneo al giure moderno , questa eloquente protesta basterebbe considerate le condizioni dei tempi né quali scriveva , a farlo citare con onore nella storia del diritto penale . Se non che taluno potrebbe a questo mio pensiero obiettare che il Poeta voleva i figli del conte di Donoratico esenti dalla pena non per la loro innocenza , bensì per la tenera età in cui erano : Innocenti facea l ' età novella ! Per cui può sembrare , che dove un ' età più matura si fosse da loro raggiunta avessero potuto venissimo mescolarsi nel supplizio del genitore . Ed anzi potrebbe dirsi che Dante scientemente falsasse la storia onde giustificare il severo rimprovero che ei volea scagliare contro Pisa ; temendo forse di non poterlo dicevolmente fare senza di cotesta ragione . L ' obiezione però non ha saldezza che valga , se si rammenta come la funesta teoria orientale della corruzione del sangue non ammettesse distinzione di sorta riguardo all ' età dei figli , e i pargoletti insieme cogli adulti nello stesso anatema confondesse . Laonde potrebbe in senso contrario ritorcersi l ' obiezione e sostenere , che Dante a bella posta mentisse alla storia per fare contro l ' errore comune una più solenne protesta , la quale fosse con maggiore efficacia universalmente e velocemente sentita . Imperocchè se nei figli adulti potevasi in qualche modo sospettare una partecipanza alla nequizia del padre , ciò non si poteva né figli di tenera età ; onde più chiaro facendosi che Pisa aveva manomesso quei giovinetti non per sospetto di reità propria ( che impossibile essa era per la novella età ) , ma unicamente perché figli del Conte , più evidente resultava l ' influsso dell ' orrendo principio della corruzione del sangue , al quale lo sdegnoso Poeta voleva imprecare ; e forse non senza particolari motivi , dacchè la storia contemporanea doveva a lui per miserandi esempj aver fatto vivamente sentire tutte le funeste conseguenze di quella iniqua teorica . Io non voglio dunque sofisticare sul vero concetto che Dante volle esprimere con quelle parole " età novella " ; né muover dubbio se veramente da lui volesse significarsi novella l ' età per rispetto al numero degli anni , ossivvero per rispetto ai costumi tuttora giovanili per il candore dell ' animo che spesso al di là dell ' ordinario si conserva , od anche se vuoi , perché nuovi alla politica . Comunque s ' intenda , l ' anatema contro l ' aberrazione della pena , bisogna leggerlo in quei due versi del divino nostro Poeta . E lo stupendo principio , come tanti altri , fu in prima sentito che pensato ed approvato . Quando poi la verità , secondo la bella immagine di Romagnosi , condotta per mano dal Tempo , si fece più aperta agli uomini , allora si cercarono gli autori di questi principii , e coloro che primi gli avevano insegnati : le nazioni che poterono riguardarli come figli propri se ne onorarono grandemente . Questo mi sembra che avvenga dell ' Alighieri nel giro della nostra scienza , riguardo alla massima di diritto penale da lui per il primo proclamata : proclamata a viso aperto nell ' episodio più popolare e pieno di forte poesia che abbia la Divina Commedia . Francesco Carrara IL CARCERE PREVENTIVO E L ' APPLICAZIONE DELLA PENA ( LETTERA ALL ' AVV . GUSTAVO SANGIORGI ) ( 1869 ) ( dagli Opuscoli di Diritto criminale , Lucca , 1870 , vol . II , 495 ss . ) _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ All ' avv . Gustavo Sangiorgi - Bologna Tu mi hai fatto dono del tuo libretto intitolato - Il carcere preventivo e l ' applicazione della pena - Te ne ringrazio . E poiché veggo che tu pure combatti sotto quella bandiera dello umanitarismo nel giure penale che fu l ' orifiamma al quale consacrai tutta la vita , io ti stringo fraternamente la mano come ad un gagliardo commilitone . Permetti però che io ti richiami un istante su quanto dici a pag . 138 linea 3 . Ivi tu accenni con dolore ( e il dolore sarebbe giustissimo ) : non ho presente che esista legislazione che abbia fatto applicazione completa del principio da me propugnato , vale a dire del principio che nell ' applicazione della pena ad un condannato debba imputarsi la carcere preventiva sofferta a causa delle procedure . Questa legislazione degna di esser tolta ad esempio , esiste . Essa la trovi nel codice Toscano del 1856 agli articoli 69 , 70; e la troveresti ancora in altre più antiche leggi della Toscana , dove sempre si è tenuta a calcolo la carcere preventiva in diminuzione di pena . Forse neppure le leggi toscane soddisfanno ai tuoi voti , perché tu vorresti lo scomputo completo mentre quelle leggi non prescrivono che uno scomputo parziale . Ma ciò nonostante bisogna confessare che il principio , come principio , è da quelle leggi riconosciuto . Tu accenni a questo luogo al Progetto di codice penale italiano come se il medesimo avesse proposto una nuovità . No : la onorevole Commissione in questo argomento , come in molti altri , non ha introdotto nessuna novità , ma soltanto ha portato ad una più larga applicazione il principio già da lunga stagione proclamato fra noi , e già fra noi allargato con le riforme del 1859 . Dovendo essa fare un Progetto di codice penale per la Italia che oggi è governata da quattro codici penali diversi , cioè l ' Austriaco per la Venezia , il Toscano per la Toscana , il Napoletano ( ossia Sardo riformato ) per le Provincie meridionali , ed il Gallo Sardo per tutte le altre Provincie : la Commissione si è stimata in dovere di portare i suoi studi principalmente su quasi quattro codici vigenti , e da ciascuno di loro prendere il meglio . Non hanno fatto altrettanto molti di coloro che postisi a scranna nel preconcetto che si dovesse censurare il nuovo Progetto perché troppo umanitario , e quasi direbbesi , precursore della rovina d ' Italia hanno dato l ' aria di novità ad alcuna della disposizioni proposte in quello senza ricordare che tali disposizioni avevano già da lunghi anni una vita reale in alcune delle precedenti legislazioni . Costoro in tal guisa oltre a dar segno di ferocia d ' animo ( che Dio la perdoni loro ) hanno mostrato o ignoranza o dissimulazione imperdonabile : ignoranza se si accingevano a criticare una legge senza conoscere i fonti dai quali era tratta : dissimulazione se conoscendo tali fonti ne hanno fatto reticenza per artifizio oratorio . Non ragioniam di lor , ma guarda e passa . Le mie parole si dirigono a te solo ; che certamente non sei fra coloro dei quali direbbe Dante Che non fur mai vivi . Ed a te dirigo parola di elogio , e d ' incoraggiamento per la via nella quale tu prendi le mosse con tanto senno e valore . Ed a te porgo amichevole invito a voler essere in questo argomento della custodia preventiva ( che tu hai preso così felicemente a trattare ) anche più radicale . Non è soltanto lo scomputo nella pena della carcere preventivamente sofferta , la proposizione che noi dobbiamo propugnare perché comandata dalla giustizia . Dobbiamo attaccare il mostro di fronte , e a viso scoperto combattere le esorbitanze tiranniche della legge data all ' Italia ( copiando quella di Francia del 14 agosto 1865 ) intorno alla custodia preventiva . Ed anche qui io non voglio aprire una polemica , ma soltanto fare lo storico lasciando il ragionamento al tuo chiarissimo senno . In Toscana non solo avevamo da lunghissimo tempo il precetto legislativo dello scomputo della carcere punitiva : principio che quantunque più o meno allargato nelle sue applicazioni secondo il variare dei tempi fu sempre fra noi proclamato come assoluto e riconosciuto come sacro . Noi avevamo di più da lunga stagione e con frutto buonissimo l ' altro principio , dettato come precetto legislativo , della eccezionalità del carcere preventivo . Non si poteva ( per letterale disposto di legge ) arrestare preventivamente un cittadino che fosse imputato di un delitto ( salvo poche speciali eccezioni ) il quale non potesse portare ad una pena superiore a due anni di prigionia : ed ogni arresto doveva eseguirsi per decreto il Magistrato , e non per arbitrio di un birro . Sotto questa legge vissero tranquilli i due milioni di uomini che popolano la Toscana , ed era legge di governo dispotico . Noi non eravamo felici , perché infelici ci rendevano le piaghe dei nostri fratelli , e la nazionale aspirazione compressa dal giogo straniero : ma eravamo tranquilli in quanto alla libertà individuale che non poteva venirci tolta meno che per gravi delitti , e con forme prudentemente ordinate . Venne il nuovo ordine di cose ed esultammo per la indipendenza della Nazione e per la grandezza d ' Italia . Ma questa a noi toscani costò il sacrificio della libertà individuale , giacchè ci trovammo esposti per la nuova legge di procedura ad essere carcerati ad arbitrio di un uomo anche per il sospetto di lievissima colpa ed anche per una trasgressione di polizia : e ci trovammo esposti ad essere sostenuti in carcere per sei o dieci mesi per dar conto di un fallo che incontra dopo la sua verificazione appena un mese di carcere . Visita le carceri d ' Italia , e vedrai che questa è storia contemporanea . Derisoria e ipocrita è stata la formula con la quale siamo stati condotti a questa condizione pericolosa , poiché si è detto che a noi si portava una nuova e generosa guarentigia introducendo il sistema della scarcerazione provvisoria mediante cauzione . Quando ad un uomo al quale jeri la legge diceva , tu non potrai essere carcerato se non a titolo di pena dopo una condanna definitiva ; si è detto , tu dovrai subito andare prigione , ma io ti concedo il diritto di chiedere di essere scarcerato se così piacerà ai superiori , e previo deposito di quella somma che ai medesimi piacerà di ordinare : dimmi tu se può essere sincero il vanto di aver migliorato la condizione di quell ' uomo in quanto al prezioso diritto della libertà individuale . Ti prego meditare su questi fatti e istituire confronto delle leggi nuove con le precedenti leggi toscane ; e poiché nel tuo scritto hai riconosciuto che la Toscana in materia di diritto penale segnava lo avanzamento maggiore del progresso civile , prosegui ( se tali sono le tue convinzioni ) a combattere con la voce e con la penna questo mostruoso regresso al quale si vorrebbe condurre l ' Italia con un deplorabile anacronismo . Pisa 7 ottobre 1869 . SULLA CRISI LEGISLATIVA IN ITALIA ( CONSIDERAZIONI ) ( 1863 ) _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ In risposta al quesito propostomi da S . E . il Ministro Pisanelli sulla progettata estensione delle leggi Penali sarde alle provincie toscane ( dagli Opuscoli di Diritto criminale , Lucca , 1870 , vol . II , 167 ss . ) _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ Dettando queste pagine io non ho l ' intendimento di farmi sostenitore di una dottrina , o avversatore di un ' altra ; né di assumere il patrocinio di particolari opinioni . Intendo soltanto di esprimere le mie personali convinzioni ; e di ricordare le osservazioni che una lunga pratica mi ha suggerito . E ciò senza impegno , senza animo di entrare in polemiche , senza desiderio di imporre ad altri le opinioni mie ; contentandomi di serbarle , e lasciare le opposte a cui piacciono . Io scendo dall ' altezza delle speculazioni scientifiche , per contemplare le cose nelle pratiche applicazioni : poiché bene comprendo che non tutte le teorie dell ' accademia possono trovar plauso nelle discussioni legislative , finchè la scienza non abbiale completamente elaborate , e finchè non siano rendute possibili dal naturale svolgimento del progresso civile . Io dimentico i pensieri della cattedra , per non ricordare che le sensazioni della tribuna defensionale ove mi sono per oltre trenta anni agitato ; le sensazioni della giudicatura per dieci anni ad intervalli esercitata come supplente ; e le sensazioni anche più vive dei confidenziali colloquii coi rei , o condannati o da condannarsi . Clinica penosa , ma maestra di grandi verità , che non si apprendono né sui libri , né altrove . In questo concetto non desti sorpresa se io procederò per via di asserzioni , piuttostochè per via di diffuse dimostrazioni . Io non disdegno di fare un trattato ; ma soltanto di palesare ciò che penso , e di narrare dei fatti . La unificazione delle leggi penali in tutte le province del nuovo Regno d ' Italia è senza dubbio un desiderio comune . È un desiderio sensato , in quanto ciò simboleggia la unità , nel tempo stesso che la rassoda . È un desiderio giusto ; perché veramente non è a lungo tollerabile che un ' azione sia delitto per un cittadino , mentre per un altro non lo è ; che la difesa abbia in un tribunale guarentigie e favori , che non ha in altro ; né che due cittadini sieno disugualmente puniti , solo per la differenza di poche spanne nel territorio dello stesso regno , ove le respettive azioni si consumarono . Pure alla unità di una nazione , o alla grandezza di un impero , non è condizione assolutamente necessaria la unità ( 1 ) [ ( 1 ) Vedasi in questa raccolta l ' opuscolo XI . ] di leggi neppure penali . Il reame di Francia fu compatto e potente malgrado la enorme disparità di leggi che regolavano le sue province ; e come fossero svariate anche le procedure penali lo ricorda il processo Damiens , nel quale si cercò qual fosse nel regno il tribunale che adoperava mezzi più feroci di tortura , per inviargli , in grazia di questo merito , quel grande scellerato . Il reame di Prussia dal 1814 al 1851 si è retto con tre legislazioni penali diverse ; e quanto diverse ! Così Svezia e Norvegia ; così Austria fino al 1852; così Baviera fino al 1861; ed altri . È un inconveniente : grave inconveniente . Ma quando dalla unificazione dovesse soffrirne o la sicurezza in alcune province , o la giustizia in altre , non potrìa negarsi che quello inconveniente fosse un male minore ; e perciò da preferirsi temporaneamente agli altri maggiori . La unificazione potrebbe compromettere la sicurezza in alcune province quando le condizioni di queste fossero tali da esigere una maggiore energia di castighi , e questi si dettassero per loro più miti a cagione di riguardi ad altre province che non ne abbisognassero . E potrebbe invece compromettere la giustizia , quando per riguardo a quelle si estendessero a queste i castighi più severi dei quali esse non hanno bisogno . Certamente ogni penalità irrogata oltre il bisogno offende , a tacere d ' altro , la giustizia . Ora evvi egli pericolo che a questo repentaglio corrano incontro le province italiane se ad un solo dettato penale si compongano ? Occasione del dubbio è precipuamente la pena di morte : ed è davvero occasione ben grave . Io tengo per fermo che la pena di morte di Toscana sia una inutile crudeltà . Io ho esercitato per sedici anni la difesa criminale in Lucca , ove rimaneva il codice di Francia del 1810 nella sua originaria crudezza ; anzi con qualche più fiera appendice . E come cotesto codice prodigasse la pena di morte ognuno lo sa . Io la esercitai poscia dal 1847 al 1852 con la pena di morte abolita . Io la esercitai dal 1852 al 1859 con la pena di morte ripristinata . Io la esercitai dal 1859 fino al presente con la pena di morte novellamente abolita . Ebbene ! In questo avvicendarsi di esperienza io non mi avvidi mai dal numero dei delitti se la pena di morte vi fosse o no . Vidi farsi più o meno frequenti gli omicidj in rissa secondo la varietà delle occasioni , e secondo il crescere o il decrescere della crittogama . Vidi farsi più o meno frequenti i furti secondo il crescere o decrescere delle vigilanze preventive . Ma nei casi capitali , negli omicidj premeditati , non potei scorgere variazione . Vidi cospirare in faccia al carnefice , forse più che nella sua assenza . Vidi incendiare luoghi abitati , e quando si giocava la testa , e quando si rischiavano pochi anni di detenzione . Vidi un toscano abbandonare la Toscana , dove potea falsare monete col pericolo di temporanea reclusione ; e recarsi a far la sua opera in Lucca , dove lo minacciò la decapitazione : dalla quale potei a stento salvarlo mercè la insperata accoglienza di una sottigliezza di diritto , che forse ebbe plauso più per l ' impero del cuore sull ' intelletto , che per la mia poca eloquenza o per rigore di principii . Io mi convinsi perciò che la pena di morte non è necessaria in Toscana . Ed oso dire che cotesta non è soltanto opinione particolare mia ; ma opinione generale e prevalente fra coloro che per dottrina ed imparzialità ne sono giudici competenti . Ed in cotesto pensiero io non veggo come si possa dal Governo italiano estendere ala provincia toscana il codice penale che governa oggi le altre province del regno . Estendere la pena di morte ad una provincia che ha dato chiara prova di non volerne e di non averne mestiero , e che ne dà prova tuttodì quantunque sbrigliata da ogni buona legge di polizia , sarebbe una flagrante ingiustizia : per tacere del brutto ricambio che ciò farebbe all ' affratellamento spontaneo che unisce al Regno la provincia Toscana . È vero che la pena di morte si è nel codice Sardo ristretta a soli nove casi : ma volendo anche prescindere dai primi due ( art . 153 e 154 ) pei quali amo imitare il pensiero di Solone , lo introdurla per gli altri sette in Toscana io lo considero un impossibile morale . Se è impossibile moralmente di unificare la Toscana al rimanente del regno nella pena di morte , sarà egli possibile coordinare il sistema punitivo delle altre province alla moderazione toscana ? Io non sono giudice competente di ciò . Per principio generale io penso non necessaria assolutamente la pena capitale ovunque albeggi un qualche bagliore di civiltà , e dovunque il Governo non abbia coscienza della propria debolezza . Né posso credere così indietro le altre province , da esigere imperiosamente la pedagogìa del carnefice . Ma ascolto da tante parti , e da persone così in alto locate e così edotte nella vita pratica delle città dove nacquero e vissero ; ascolto , io dissi , ripetere con tanta sicurezza essere in certe province la pena di morte una necessità locale , che io mi resto dubbioso : non parendo a me accettabile cotesta dolorosa sentenza , e non potendo d ' altronde comprendere che una asseveranza così positiva proceda da pregiudizj , ai quali permettasi di far velo all ' intelletto in argomento cotanto grave . Certo è che se cotesta opinione non fosse il sospetto di pochi , ma veramente la opinione generale di quelle province , un governo saggio dovrebbe temporeggiare ; e dando opera attiva a dileguare siffatti timori correggere la pubblica opinione , al fine di rendere anche là possibile la proscrizione della pena capitale . E dico ciò perché mia opinione è che la misura della severità nelle pene non debba cercarsi nella impressione che esse recano sui malvagi , ma nella impressione che fanno sugli onesti . Lo errore che la pena dovesse raggiungere tal grado di severità da impedire il delitto in tutti i facinorosi fu la causa fatale del progressivo inferocire dei supplizi . E fu un errore , perché procedeva da un concetto impossibile . È impossibile per quanto si martori il colpevole , ottenere che non si commettano delitti : perché il delitto vi sarà sempre per difetto della umana natura : e perché l ' uomo perduto , o sia che lo acciechi disperata passione per cui vegga nel male presente il peggiore di tutti , sia che lo illuda la speranza d ' impunità ; quando la sua indole è corrotta e le circostanze che lo circondano lo spingono imperiose al misfatto , vi correrà come vi è sempre corso , a malgrado di tutti i più terribili supplizj che a lui minacci la legge . E la storia fu sollecita coi suoi documenti infallibili a far la riprova di quanto fosse fallace il sistema della intimidazione . Le pene devono contentarsi di trattenere i male inclinati , e di vincere le mezzane cagioni ; ed a quest ' uopo non occorrono estreme . Contro i grandi scellerati e contro le prepotenti cagioni , esse rimasero e rimarranno sempre inefficaci . Ma il vero , il costante benefizio del magistero penale , è pel lato della impressione morale che egli fa sugli onesti . È in questo senso che desso è un solido cemento della civile consociazione . Bisogna che ai buoni cittadini sembri di essere sicuri nella loro vita : bisogna che sembri loro che la proprietà , la famiglia , l ' onore loro , sia protetto dalla legge punitiva . Ciò è necessario , e perché divelga dagli animi ogni velleità di privata vendetta , e perché i consociati esercitino la loro attività . Questo è il fine primario , questo è il risultamento effettivo del maestrato penale . Senza di lui o gli uomini si getterebbero disperati in una inerzia fatale , adoperando alla personale custodia dei pochi beni che hanno quelle forze che varrebbono a procacciarne di maggiori , o deserterebbero spaventati una città dove non si sentirebbero sicuri . È perciò che mentre niente affatto credo che vi siano provincie in Italia nella quali l ' abolizione della pena di morte facesse cessare ogni sicurezza reale ; ammetto che vi possano essere provincie nelle quali l ' abolizione toglierebbe la sicurezza opinata . Ciò può essere per la ragione della trista abitudine . Né io sono in grado di emettere giudizio se ciò veramente sia . Dico però , che qualora ciò fosse ( e questa è cosa della quale non può un privato essere giudice competente , ma soltanto l ' alta sapienza di chi regge lo Stato ) la prudenza governativa non tollererebbe che si adottasse un metodo di unificazione che diminuisse la sicurezza opinata di certi paesi ; quantunque la sicurezza reale ne rimanesse nel medesimo stato di inferiorità , al quale oggi possono condannarla la specialità ed i costumi di alcune province . Ma essendo debito dei governi di guidare per la retta via la pubblica opinione e raddrizzare i torti pensieri , se ne avrebbe una ragione di più per respingere l ' opposto metodo di unificazione . Infatti lo estendere alla provincia toscana la pena di morte per la ragione di un pregiudizio dominante in altre provincie , oltre alla ingiustizia intollerabile che avrebbe in sé , sarebbe cagione infallibile di perpetuare quel pregiudizio che si vorrebbe correggere . Laddove mantenendo la provincia toscana nella mitezza di penalità che le basta , l ' esempio di quella varrebbe nel giro di breve tempo a procacciare la rettificazione spontanea degli esagerati timori dei popoli affratellati . Sicchè , nella supposta ipotesi , obbedendo alla fatale necessità a cui l ' uomo soggiace di preferire spessissimo il male minore al maggiore , io non esiterei piuttosto a respingere un affetto di simmetria che mi condurrebbe alla ingiustizia ed alla perpetuazione dell ' errore ; e nella fiducia di impedire l ' una e l ' altra , manterrei precariamente la disparità delle pene . Brutta cosa per certo : ma sempre meno brutta delle altre . Meno gravi difficoltà incontra la desiderata unificazione sotto il rapporto delle leggi procedurali . Vi ha , è vero , in Toscana una repugnanza ai giurati ; ma questa repugnanza si limita al ceto di certi magistrati , né vale indagare le cagioni . Nella curia prevale il desiderio di cotesta istituzione . E se vi sono dei dubbi e dei timori cadono più sulla forma speciale della giuria , com ' è costituita oggi in Italia , di quello che rispetto alla istituzione in sé stessa . Senza dubbio lamentasi giustamente che la legge piemontese troppo riproduca i difetti della giuria francese ed in special modo non procacci a sufficienza la divisione di certe questioni complesse , e la separazione vera e completa del fatto dal diritto nelle ricerche da sottoporsi ai giurati . Ma tali mende , che la dottrina del Ministero ed una ferma elaborazione della giurisprudenza può di facile toglier via , non sono difficoltà che valgono a ritardare la unificazione per questo lato . La quale a parer mio potrebbe pur farsi malgrado rimanesse qualche diversità nelle sanzioni penali . Se vi è paese che non debba avere repugnanza ad accettare i giurati , questo è la Toscana . Perché in Toscana già da cinque lustri si tollera quello che il sommo vizio rimproverato alla giurìa : voglio dire che i giudici criminali si convincano e condannino senza dar ragione in sentenza del perché condannano e si convincono . Ove le maggiori guarentigie delle prove legali o semi - legali vigessero , ove almeno si avesse avuto il riguardo di esigere che la sentenza facesse fede che quelle cognizioni scientifiche delle quali si presumono forniti i magistrati , furono veramente la guida delle loro determinazioni ( esse , non il sentimento dell ' uomo ) là io comprenderei bene che si facesse viva opposizione ai giurati . L ' emblema della opposizione sarebbe una dottrina , non una questione di persona : poiché si direbbe , vogliamo esser certi di esser giudicati con la mente e non col cuore . Ma in Toscana , dove da cinque lustri si vive sotto il singolare sistema del magistrato sapiente a cui non si impone di render conto della sua sapienza : in Toscana , dove da cinque lustri si vedono spesso sorgere convinzioni inesplicabili , insostenibili coi dettami della ragione e della scienza , eppure incensurabili benchè paurose , l ' avversione contro i giurati se regna in qualche animo imparziale non può regnarvi come dottrina , ma come sentimento di antipatia : al quale si contrappone gagliarda la simpatia dei più verso un ordinamento giudiciale che rappresenta il completamento di quelle politiche guarentigie per le quali si ringagliardisce la civile libertà di una nazione . Io dico infine che la maggiore difficoltà che osteggi i giurati potendo nascere dalla ignoranza del popolo , è oggi un vero rovescio di idee , un andare a ritroso del vero , negarli alla Toscana mentre si sono allargati per tutto il rimanente del Regno . E poiché sono in questo argomento dei giudizj criminali , osserverò che chiunque mediti lo stato attuale di rapporto che esiste fra le due frazioni del nostro Reame , sorge intuitivo l ' incontrastabile controsenso che oggi vi domina . Abbiamo penalità più miti in Toscana : abbiamo penalità più severe nel resto ; ciò rimanendo non potrebbe rimanere che come segno di maggiore civiltà . Ma ammesso ciò , come si concilia che in quella provincia dove la penalità più mite fa per l ' oracolo del legislatore testimonianza di maggiore civiltà , si conservino forme procedurali che più avversano i sacri diritti della difesa , e che meno accordano di guarentigia ai cittadini ? È un male per molti anni deplorato in Toscana da tutta la curia , non che da tutti coloro che poterono sentire l ' intollerabile peso , la esorbitante prevalenza dell ' arbitrio magistrale ; è un male profondamente sentito lo stato di annientamento del diritto della difesa nelle parti più vitali del suo indispensabile movimento . Possono essi ammettersi in un popolo civile i preventivi processi segreti che l ' accusa liberamente compila per conto proprio , e chiude nel suo cassetto senza farne comunicazione al difensore ? Non nego la convenienza di precedenti informazioni che si procuri l ' accusa prima di lanciarsi alla persecuzione di un cittadino . Ma perché , quando i testimoni che si esaminarono nella informazione segreta si ripetono al dibattimento orale , non deve l ' accusato preventivamente sapere cosa hanno detto nel primo esame ? Può egli tollerarsi là dove si riconosce in principio la uguaglianza ( per lo meno ) dell ' accusa e della difesa in faccia alla legge , che l ' accusatore alla vigilia del dibattimento citi a talento suo in un processo indiziario un numero di testimoni senza far noti all ' accusato i fatti o gl ' indizi novelli che intende provare al mezzo di quei testimoni novellamente indotti e sui quali si propone di argomentare ? L ' accusato , si dice , è in debito di capitolare i fatti dei quali vuole attingere contezza dai singoli testimoni che reca al giudizio , affinchè il pubblico ministero sostenitore della legge conoscendo tempestivamente cotali circostanze , che altrimenti a lui sarebbe impossibile d ' indovinare , possa preparare ove lo creda opportuno la controprova , e non sia volto a sorpresa . Ottima osservazione ; alla quale io pienamente mi sottoscrivo . Al pubblico ministero , si soggiunge , non fa invece bisogno d ' imporre codesto debito in ordine ai nuovi testimoni che aggiunge oltre i già esaminati , perché l ' accusato deve conoscere al solo udire il nome del testimone , quali saranno le circostanze delle quali verrà a deporre . Falsissima osservazione ; alla quale recisamente mi oppongo come a pernicioso sofisma . Ed il sofisma sta in ciò che in cosiffatto argomento si presume nientemeno che l ' accusato sia colpevole : pensiero ormai anatemizzato e proscritto dalla odierna civiltà , quantunque inconsiderato e latente rimanga troppo spesso nel cuore di alcuno . Se l ' accusato si presume colpevole , ei saprà bene che Tizio trovossi presente al fatto suo criminoso , e che Sempronio ebbe da lui la fiduciosa rivelazione del delitto commesso . Laonde al solo udire che Tizio e Sempronio sono chiamati dall ' accusa al processo orale , già capirà che Tizio sarà a deporre di ciò che vide e Sempronio di ciò che udì . Ma presumete invece , com ' è dovere , la innocenza dell ' inquisito , e ditemi allora come può egli , che forse mai non vide Tizio né parlo con Sempronio , indovinare cosa verranno a dire costoro , e preordinarsi alla controprova ! Il sofisma è pertanto palpabile ed il sistema è vizioso . E pur vidi talvolta alla vigilia del dibattimento notificarsi dal pubblico ministero i nomi di nuovi testimoni contro un accusato di due o tre delitti , senza neppure rendergli noto su quale dei diversi reati che a lui si rimproveravano si volessero esaminare quei nuovi testimoni . Il sistema è vizioso non solo perché pecca contro la uguaglianza che deve essere la prima legge sovrana di ogni buon procedimento ; ma perché ancora ha radice su due presunzioni entrambo fallaci . La presunzione di reità dell ' accusato , che è falsa sempre teoricamente e falsa spessissimo praticamente ; e la presunzione di veridicità dei testimoni , e di esattezza ed infallibilità del loro giudizio , la quale benchè vera teoricamente essendo spesso falsa praticamente , importa il bisogno che si diano mezzi sufficienti a combatterla . Può egli tollerarsi che all ' accusato non basti capitolare i fatti che intende provare a proprio discarico ; ma la facoltà in lui di avere alla udienza i testimoni , dai quali confida essere chiarito innocente , dipenda dall ' assoluto arbitrio del Presidente ? Incensurabile arbitrio ; che non dà ragione di sé ; e che spesso può trovare l ' unico suo movente nella economia del tempo o del denaro del fisco . Come possono gli onesti sentirsi sicuri dalle conseguenze di una calunnia dove la legge , paga di concedere loro larghezza di ciarle , ammette che il capriccio di un uomo possa frapporre insuperabile barriera alla giustificazione della innocenza ! Io non mi turbo , né mi commuovo per un grado maggiore di severità con cui si ferisca il colpevole , perché ho fiducia di non divenirlo . Ma palpito e tremo se penso che quando un ' apparenza fatale mi dipingesse colpevole , lo avere aperta la via a produrre la mia giustificazione dipenderebbe dalla benignità e dall ' arbitrio di un uomo . Cosa è poi la oralità nel sistema Toscano ? La legge dispone che il processo scritto non abbia alcun valore giuridico : che solo valga il processo orale della ultima udienza . Ma chi ha potuto vedere addentro nella realtà dei fatti , ha dovuto troppe volte convincersi non essere questa una verità , ma una pomposa parola . Non può essere una verità , se si riflette che la legge toscana mantiene la pena dello spergiuro contro il testimone che abbia nel processo scritto mentito : e così rende impossibile la ritrattazione di un teste mentitore , per quanto una resipiscenza salutare lo abbia condotto nella determinazione di redimersi alla pubblica udienza palesando la verità . Perché riesca utile codesto metodo bisogna sperare che il falso testimone non solo siasi pentito ma sia divenuto un santo , onde affrontare coraggioso il proprio martirio pria che persistere nell ' affermata falsità . Sogni sono questi e guarentigie di mera apparenza . Chè anzi codesta posizione non solo trattiene dal ritrattarsi il testimone mendace , ma ne trattiene eziandio il testimone che abbia errato e fatto poi miglior senno ; non che il testimone le cui parole si siano intese a traverso dall ' attuario . Spesso è avvenuto ed avviene che un testimone di poco spirito all ' udire la voce severa del presidente che gli ripete la consueta contestazione - diceste voi il vero od il falso nel processo scritto ? - si intimidisca del proprio pericolo , ed affermi come verità ciò che gli vien letto su quelle pagine , quantunque senta che quello scritto non riprodusse il genuino stato delle cose , né il vero concetto di ciò che egli intese deporre nel suo primo esame . Non è sempre , né può essere una verità questa prevalenza del processo orale sopra lo scritto , perché i risultati di quello non si raccolgono esattamente , ma si consegnano alla memoria dei giudicanti : i quali debbono poi riprodurselo fedelmente , spesso dopo uno intervallo di parecchi giorni , nella camera di consiglio ; dove peraltro sta sul tavolino immutabile il processo scritto , che in faccia ai giurati niente vale . Io non ebbi che poche volte occasione di esercitare la difesa degli accusati nelle altre province del Regno . Ma per quanto mi addimostrò codesto esperimento , e per quanto mi rivela lo studio di quelli ordinamenti , io li stimo molto migliori delle procedure penali toscane ; le quali ( spiaccia a chi vuolsi la mia professione di fede ) io reputo viziosissime fra le viziose . È poi nuovamente una guarentigia apparente , che torna a discapito della guarentigia reale , la duplicazione delle Camere d ' invio come in Toscana si esercita . Si è creduto di dare una tutela maggiore agli imputati dei delitti di alto criminale , con lo esigere che due turni successivi ripetano l ' affermazione della sufficienza degli indizi . Ma io vidi spesso la duplicità delle ruote ritardare non solo , ma rendere inutile il movimento della macchina . Non dirò che ciò sempre avvenga : perché magistrati coscienziosi ed illuminati la intendono spesso come si deve . Ma è avvenuto ed avviene ( ed io ne sono testimonio ) che nei giudici della camera di consiglio della prima istanza si tenga la opinione che quando il titolo del reato è di alto criminale , non possa la prima camera giudicare della sufficienza degli indizi : perché , come io mi sono sentito parecchie volte obiettare , è questo un invadere la giurisdizione della camera di accusa , alla quale esclusivamente spetta la cognizione del fatto . Ed è avvenuto poi che la camera delle accuse abbia trovato una difficoltà nel decreto d ' invio della prima camera , come un precedente che impaccia , necessitando quasi a trovarvi un grave errore per revocarlo . La legge sarda , per quanto a me pare , nell ' ordinamento di cui gli art . 244 , 414 e seguenti , è più semplice , più spedita , e forse meglio sicura . Si farà il solito obietto che la unica camera sarda è copiata dalla legge francese del 1856 . Ma le due camere della legge toscana del 1838 non erano esse copiate dall ' antico codice Francese ! Bensì nel grave argomento della custodia preventiva mi pare che ecceda in peggio da un lato la legge sarda per non destinarle dei limiti assoluti , come la legge toscana . E che dall ' altro lato prevalga in meglio sulla toscana per gli ordinamenti provvidi sulla cauzione . In Toscana siamo avvezzi a non vedere andar prigione prima della condanna altro che i ladri , ed i prevenuti di delitti che espongono a carcere oltre i due anni . La indefinita carcerazione preventiva della legge sarda sarebbe intollerabile . Questa è copiata dalla legge francese . Ma si guardi un momento oltre le Alpi . E vedrassi che in questo momento le grida contro cotesta preventiva carcerazione sorgono là da ogni lato . Pullulano oggi gli articoli di giornali , le monografie , i lamenti di ogni genere contro questo difetto ; talchè parmi che oggi sia questo il tema là divenuto di moda . E ciò significa che tra poco vedremo sorgere una emenda in Francia sul tal proposito , ed accettarsi alcuno dei tanti diversi piani che veggo progettarsi dagli scrittori . Bella gloria sarebbe andare innanzi ai nostri vicini , pria che aspettare ad imitarli , trascinati dalla prepotenza del vero . E noi ne abbiamo i materiali , sol che agli ordinamenti toscani sulla carcerazione preventiva , e sulla sua valutazione , si unissero i provvedimenti sardi sulla cauzione . Io non vorrei fidare la libertà dell ' innocente né a questi soli , né a quelli . Volgono poche sere che un provetto magistrato toscano ( e non era dei più miti ) mi diceva che nella pratica aveva trovato il sistema toscano della carcerazione preventiva tropo severo e impaccioso . Il suo completamento deve essere la cauzione . Esisteranno forse anche nella procedura sarda dei difetti notevoli , che io non vi scorgo . E tengo opinione che delle leggi procedurali male si giudichi a tavolino : e bisogni studiarle nella loro vita e nella esperienza . Ma nell ' insieme , tolto ciò che ho notato , io non vedrei ragione di dolermi del cambio . Ora tornando all ' argomento della penalità ( qualunque sia per essere la soluzione del grande preliminare problema sulla pena capitale ) sarà sempre a vedersi se rimpetto al codice Toscano che si toglierebbe a queste province , possa essere accettabile il codice Sardo tal quale sta : se sia cioè accettabile rispetto al progresso della scienza in questa provincia ; se sia accettabile rispetto ai suoi bisogni , ed alle abitudini che la governano . E qui di nuovo ripeterò che non intendo fare un trattato scientifico , né un corso di codice comparato , né d ' immergermi nella dimostrazione di speciali teoriche . Il cerchio di questo scritto , e la pochezza dei miei lumi , non si adattano a siffatto lavoro . Intendo solo di esprimere senza pretensioni quello che io penso su qualche punto dei più culminanti , sparpagliatamente e per via di semplici accenni . Incominciando dalle nozioni e dalle generalità , dirò che la definizione del delitto mancato , quale si pone all ' articolo 97 del codice Sardo , non è all ' unisono con gli ultimi pronunciati della dottrina . Ivi si confonde il conato pretergresso , che è l ' ultimo stadio del tentativo prossimo , col delitto mancato : ente giuridico , ritrovato della scienza moderna e creazione tutta Italiana perché figlia di quell ' altissima mente di Romagnosi . Il delitto mancato sta distinto come una specialità fra il conato pretergresso e il delitto consumato . La migliore definizione che del delitto mancato legga nei codici contemporanei ( ed oso dire la più esatta che possa darsi ) è quella che trovasi all ' articolo 46 del codice Toscano . Il delitto mancato deve presentare perfetto in sé stesso l ' elemento subiettivo ; il quale può essere imperfetto anche nel conato pretergresso . E perché l ' elemento subiettivo sia perfetto , bisogna che il non successo sia esclusivamente attribuibile ad un fortuito imprevisto : e che sia perciò dipendente affatto dal modo di agire e dalla forma di determinazione del colpevole . Equiparare il conato pretergresso al delitto mancato porta alla ingiustizia : perché con ciò sulla bilancia politica una serie di atti , che per quante volte si ripetessero in quelle condizioni dovrebbero sempre ( tranne la providenziale interposizione di un fortuito ) consumare la infrazione , si equipara ad una serie di atti che per la legge immutabile delle fisiche relazioni avevano in loro stessi la probabilità di risultare inetti . E così per una parità del mero elemento intenzionale si parificano , a discapito della giustizia politica , due materialità ontologicamente diverse , e rappresentanti un diversissimo grado di pericolo sociale . La sostituzione dell ' art . 46 toscano all ' art . 97 sardo sarebbe un omaggio alla scienza ed un servizio alla giustizia ; e nulla disturberebbe la economia di questo codice , il quale d ' altronde nella distribuzione della penalità del tentativo offre campo bastevole per la repressione del conato pretergresso . Dissonante coi principii della scienza , ed eccessivo di rigore è l ' art . 536 del codice penale Sardo ; il quale prevede una specialità che , dove presenti i termini del tentativo , troverà congrua repressione nella sua sede ; dove non li presenti , non può essere mai meritevole di tanta repressione . Nulla osservò sull ' art . 99 del codice Sardo per non ripetere le censure già svolte da altri . In quanto alla istigazione a delinquere non accolta , ricorderò ciò che altra volta ebbi occasione di dire . Se spiace ad alcuno che il codice Sardo non abbia nessuna disposizione speciale contro la istigazione non accolta , è però esorbitante l ' art . 54 del codice Toscano che ammette la punibilità di qualsiasi istigazione non accolta , e non fa le debite distinzioni fra il dolo di proposito ed il dolo d ' impeto , che può bene verificarsi anche nell ' istigatore , e che rende scusabile una parola proferita in un momento di esaltazione ; né fa la debita restrizione per la levità del malefizio a cui si sarebbe istigato . È incontrastabile che tutti i buoni criminalisti i quali hanno ammesso la punibilità della istigazione non accolta , l ' ammettono soltanto in atrocioribus . E fu un vero gioco di parole l ' argomento che vidi adoperare a difesa di quell ' art . 54 , dicendo che il medesimo non dichiarava punibile qualsisia istigazione , ma soltanto quelle che avessero il carattere di efficacia . In verità a me parve priva di ogni valore cotale risposta , poiché se la istigazione che quell ' articolo vuol punire si suppone per necessità non accolta , non so per modo alcuno comprendere come possa ella dirsi efficace . La efficacia di una istigazione non vuole già cercarsi in un influsso fisico che non esiste , ma soltanto nella pressione che esercitò sulla determinazione criminosa dell ' autore del malefizio . Laonde se la istigazione non fu accolta è chiara prova che non ebbe efficacia sulla determinazione , perché non persuase colui che voleva persuadere al delitto . Una efficacia astratta disgiunta dalla efficacia concreta è un ente così indefinibile ed elastico da essere quasi impossibile a concepirsi . In quanto alla recidiva il codice Sardo ( art . 118 ) parifica la recidiva vera alla finta ; la recidiva propria alla impropria ; e rende perpetuo ( art . 125 ) lo stato di recidivanza . Il codice Toscano ( art . 82 ) non considera la recidiva finta , esigendo la piena espiazione della pena : non considera la recidiva impropria ( art . 84 ) , esigendo un delitto congenere : non riconosce perpetuità ( art . 83 ) nello stato di recidivanza . Nel conflitto delle due opposte dottrina io tengo una opinione eclettica . Non trovo giusto che si parifichi , come nel codice Sardo , la recidiva nell ' istesso reato con quella in reato diverso . Né che si parifichi la recidiva dopo la espiazione della pena , alla recidiva dopo una semplice condanna . Ma trovo insufficiente ai bisogni della pubblica difesa che la ricaduto dopo una condanna , o la ripetizione di diversa delinquenza si lascino , come nel codice Toscano , affatto inosservate . Nel mio modo di vedere dovrebbe esservi una gradazione , nella quale questi due ultimi casi dovrebbero rappresentare una media . È poi assolutamente risibile l ' aumento di penalità che il codice Toscano ( art . 85 ) infligge contro i recidivi , senza limite alcuno nel minimo . E la dico tale , perché tale me l ' ha mostrata la pratica ; vedendo spesso nei giudizj correzionali risolversi in un giorno di carcere la conseguenza della recidiva contro un ladro che tornerà forse per la decima volta a molestare la giustizia . Lodo il codice Sardo per avere ammesso la prescrizione della pena , che dal codice Toscano non si volle riconoscere per una soverchianza di rispetto al principio morale sul principio politico . E noto che la prescrizione dello stato di recidivanza non è che una logica deduzione di quel principio . Adesso faccio passaggio alla considerazione di alcune specialità penali ; sempre procedendo non per via di un ' analisi metodica e completa , ma spezzatamente annunziando i pensieri miei . La penalità dell ' omicidio nel codice Toscano ( articolo 310 ) è troppo mite nel suo massimo . Non sta in proporzione con le penalità dallo stesso codice sancite contro il furto violento ( art . 390 ) e contro la violenza carnale ( art . 281 ) . Non sta in proporzione con la importanza di tutelare la vita umana . E specialmente è troppo dimesso quel massimo , perché non lascia adito a proporzionare la repressione ai gradi diversi di malvagità della proeresi criminosa ; gradi che nei delitti di sangue , più che in ogni altra specie , sono infinitamente variabili di variazioni pronunciatissime sotto il rapporto della moralità dell ' azione . L ' omicidio può essere predisposto senza giungere a presentare quei rigorosi estremi che costituire devono la premeditazione . L ' omicidio può essere conseguenza d ' istantanea risoluzione ; ma figlio di una crudele proclività , perché scompagnato da qualunque concitazione dell ' animo . L ' omicidio può essere conseguenza di un esaltamento di passione istantanea che senza presentare i caratteri giuridici della provocazione , meriti peraltro un riguardo . Tutte queste diverse forme dell ' elemento intenzionale nei delitti di sangue si riunirono dal codice Toscano in un fascio , unificate sotto la generica denominazione di omicidio improvviso . E per la ristretta graduabilità della pena che quell ' articolo stringe dai 7 anni ai 12 di casa di forza non rimase a sperare che la prudenza ed equità dei magistrati potesse in pratica bastantemente supplire a quella proporzionata distribuzione , che giustizia esige e che ha trascurato di fare la legge . Ma d ' altro lato il codice Sardo con la sua nozione dell ' omicidio volontario ( art . 522 ) , e con la sua penalità ( art . 534 ) affatto ingraduabile , riproduce sotto altro aspetto anche più sensibili questi difetti . E se il codice Toscano offende la giustizia distributiva per la troppa mitezza verso i micidiali più scellerati ; il codice Sardo la offende per la soverchia severità verso i micidiali più meritevoli di qualche commiserazione . Stimo viziosa la nozione dell ' infanticidio quale trovasi nel codice Sardo ; e molto migliore e più conforme alla scienza quella del codice Toscano ( art . 316 ) . Ad ogni modo la gradazione della penalità nell ' infanticidio sembrami troppo ristretta nell ' art . 532 del codice Sardo : non potendo , per quanto mi pare , discender mai per la madre illegittimamente fecondata e minacciata di sovrastanti sevizie , al disotto dei sette anni di reclusione . Il caso previsto dall ' art . 318 del codice Toscano parmi che non abbia provvisione speciale nel codice Sardo . Tanto il codice Sardo quanto il Toscano cadono peraltro ambedue nel difetto di definire la scusa con la designazione dello stato di fatto anziché con la designazione dello stato dell ' animo della donna colpevole . La ragione per cui secondo l ' uno si degrada la imputazione dello infanticidio , e secondo l ' altro se ne costruisce la nozione speciale , non risiede nel mero stato di fatto ; nello essere cioè la femmina illecitamente fecondata . La ragione della scusa sta nel bisogno di salvare l ' onore , e nel turbamento e nella pressione che il pericolo dell ' onore e di gravi danni futuri esercitò sull ' animo della sciagurata e la sospinse alla strage . La illecita fecondazione è la causa della causa minorante , ma non rappresenta in sé sola la minorante , se non le tenne dietro la vera causa di questa . Ora non per tutte le femmine la illecita fecondazione può riconoscersi come causa di pericolo nell ' onore , e così come causa di turbamento meritevole di commiserazione . Non lo è nella donna di bordello , né in colei che già fosse altra volta punita come infanticida . Ora se la minorante si annette al solo stato di fatto viene per necessità a vedersi applicata la medesima anche a coloro per le quali il pericolo dell ' onore era un epigramma , e per le quali in conseguenza la vera causa che minora ( o respettivamente impropria ) il reato non ricorre assolutamente . Non bisogna dunque desumere la definizione di cotesto caso dalla causa , quando questa può qualche volta non corrispondere a quella . Bisogna definirlo con referenza alla vera causa prossima ; che è il pericolo dell ' onore . Quando il codice Sardo lasciata da parte la inutile enunciativa della illecita fecondazione avesse dichiarato scusabile l ' infanticidio commesso per salvare l ' onore della donna : e quando il codice Toscano avesse fatto altrettanto per dare la nozione speciale del titolo d ' infanticidio , avrebbero l ' uno e l ' altro esattamente riprodotto il concetto ed intendimento loro ; ed avrebbero evitato il rischio di risultamenti che sono un vero sconcio ed una vera contradizione . È però traboccante di rigore il codice Toscano ( art . 310 § . 2 ) in ordine alla penalità dell ' omicidio provocato . Esorbitante di rigore in faccia ai principj ; esorbitante in faccia alle giurisprudenze ed a tutti i codici contemporanei . Lo proclamo tale senza esitazione ; sì perché ammette l ' arbitrio libero ed incensurabile nei giudici , malgrado qualsiasi veemente provocazione , d ' infliggere la pena ordinaria dei sette anni di casa di forza ; sì perché quando i magistrati consentano ad abbassare la pena , non ammette abbassamento sotto i tre anni della casa di forza . Onde ne avviene in pratica la conseguenza che quando i giudici si sentono commossi a riguardo di un imputato , debbono scendere ad una finzione ; adoperando il rimedio dell ' art . 64 . E dico finzione , perché la provocazione può essere veementissima ed intollerabile , quantunque non tolga all ' omicida la coscienza dei propri atti e la libertà di elezione . Tutti i codici contemporanei rispettano questa mal frenabile condizione della umana natura , che spinge l ' uomo a reagire con la violenza contro la ingiusta violenza . E senz ' andare a supporre perturbazione di mente , trovano nella giusta indignazione da un lato , e nella ingiusta brutalità dall ' altro lato , una legittima ragione di scusa ; ed abbassano la pena dell ' omicidio provocato , i più severi fino ad un anno di carcere ; i più miti ( fra i quali è in questo punto nell ' art . 562 il codice Sardo ) fino a sei mesi di carcere secondo il grado della provocazione . Stimo dunque in questa parte assai di gran lunga migliore il codice Sardo . E qui mi si permetta di osservare , che se adopero sempre la espressione codice Sardo , non è per un ' antitesi municipale , ma perché non posso chiamarlo codice Italiano mentre di fatto non lo è : e mi giustifica il frontespizio della edizione officiale del 1859 . In proposito delle lesioni trovo meritevole di speciale osservazione l ' art . 544 del codice Sardo § . 3 , il quale prevede una forma di ferimento , che a ragione si tiene come aggravata per la causa dalla quale procede la proeresi criminosa : e può anche dirsi aggravata per il risultato politico , stante il periodo che ne deriva allo svolgimento della pubblica giustizia . L ' articolo 548 del codice Sardo è una vera necessità che si mantenga , com ' è una vera lacuna lamentata da molti la omissione di questo titolo di reato nel codice Toscano . Questa fatale lacuna fu quella che eccitò in Toscana una vivissima lotta fra le esigenze della scienza , e dirò anche della verità delle cose , e le esigenze della pubblica sicurezza . Queste fecero sentire tutto lo inconveniente di lasciare senza repressione la esplosione di un ' arma da fuoco avvenuta in rissa , perché fortunatamente per l ' uno , ma poi sfortunatamente per l ' altro , non aveva recato nessuna lesione . Ad evitare siffatta bruttura lo zelo dei Magistrati si trovò costretto ad allargare la nozione del tentato omicidio oltre quei confini che la scienza le segnava e che la verità delle cose imponeva di osservare ; e si pretese di trovare il tentato omicidio nelle esplosioni senza effetto quantunque commesse per impeto istantaneo ed in rissa . Così il non avere recato offesa fu sventura per l ' esploditore , perché quando egli ebbe ferito si tradusse per titolo di lesione ; ma quando non produsse effetto nessuno si tradusse per tentativo , perché mancando nella legge il titolo di esplosione contra hominem non si sapeva qual delitto rimproverargli , e pareva sconcio lasciato impunito : ed il tentativo non volle arrestarsi alla lesione , ma referirsi all ' omicidio . Di qui la discordia che tenne divisi i magistrati , e li tiene tuttora . Perché i più affezionati ai veri principii della dottrina non vogliono sapere di considerazioni politiche che rimandano all ' aula legislativa ; e recisamente fanno omaggio al principio che nei fatti d ' impeto nega potersi riconoscere tentato omicidio , per la ragione che tale è l ' insegnamento presso che universale dei criminalisti , e perché il concetto del tentativo applicato agli atti di chi non calcola e non riflette è un ' assoluta contradizione psicologica . Di qui il conflitto di giudicati contradittorii , perché altri Magistrati ( alla cui dottrina fa velo l ' apprensione del pericolo sociale ) ammettono indistintamente il tentativo nell ' impeto . E ammesso questo si apre una strada dolorosa agli errori giudiciarii , sostituendosi facilmente lo elemento materiale del conato al suo elemento intenzionale , che dovrebbe essere separato ed avere la sua prova specifica : ed imprestandosi dal freddo calcolo del magistrato la risoluzione diretta alla uccisione dell ' avversario ad un uomo nella cui mente , nella verità delle cose , il pensiero di quella uccisione non aveva neppure balenato ; o che agendo sotto l ' impulso di un dolo indeterminato aveva concepito soltanto l ' idea di sfogare la sua collera recando male al nemico senza speciale previsione , senza speciale interesse , senza speciale desiderio che questo male fosse precisamente la morte . Perché la considerazione dell ' affetto prevalga alla considerazione dell ' effetto nella misura della penale responsabilità , bisogna che l ' affetto sia positivo e determinato , e che il maggior male non avvenuto non si trovi soltanto nelle possibilità fisiche del fatto materiale , ma nel resultato del giudizio e del calcolo dell ' agente : giudizio e calcolo che negli atti impetuosi non può essere mai netto , e che si supplisce dalle congetture del giudice con una divinazione troppo spesso ingiusta e contraria al vero . Si stabilisca la misura della responsabilità negli atti materiali che in loro stessi presentano pericolo di un male maggiore di quello prodotto . La misura cercata in questo campo procede sovra dati positivi , dipendenti dall ' ordine naturale di relazione fra causa ed effetto , secondo la esperienza della sua maggiore probabilità . Il pericolo è nel fatto . Chi esegui quel fatto non può lagnarsi se sulla bilancia della giustizia pesa il pericolo di codesto fatto , che egli volle ed eseguì . Ma quando la misura della sua responsabilità non più si cerca soltanto negli immutabili rapporti delle cose secondo l ' ordine fisico , ma in una intenzione del reo che si vuol supporre più brava , bisogna che di tale intenzione si porgano riscontri più positivi , e meno fallibili di quelli che si possono desumere dagli atti precipitosi dell ' uomo che agisce sotto la istantanea perturbazione dello sdegno . Quando il magistrato dice - io ti condanno perché tu hai eseguito un atto che recava pericolo di dar morte e tu dovevi prevedere questo pericolo - il condannato non può ispondere al suo giudice - tu sei ingiusto . Ma quando il magistrato dice al reo - io ti punisco perché tu non solo eri in debito di conoscere quel pericolo dell ' atto tuo ; ma perché avevi precisa volontà di cagionare quel maggior male , e non altro - il condannato che ritorna sovra sé stesso e ricorda di non avere a quel male più grave fermato il pensiero , né diretta la sua volontà , risponde al suo giudice con fronte sicura - tu hai mentito ed io ne sono certo assai meglio di te . Un ' adequata penalità che si distribuisca contro certi atti gravemente pericolosi benchè riuscissero innocui , permette di rispettare senza esitanza la regola che nega il tentativo nell ' impeto , e coordina la giustizia pratica con la giustizia assoluta , la tutela del diritto col rispetto alla verità , e bandisce per sempre i voli della fantasia dalle meditazioni dei Magistrati . Procedendo ad altri generi di delinquenze , io trovo che troppo meschina la repressione del furto semplice nel codice Toscano ( art . 376 ) ; non che , per alcuni casi , quella di certi furti qualificati ( art . 386 lettera b . ) Ammetto che debba tenersi conto nella penalità del furto del valore del tolto , ultima misura del danno immediato in tali reati . Ma dovrebbe esservi un principio di penalità preambula ed invariabile , relativa alla violazione del diritto astratto di proprietà e di domicilio . Su ciò è notabile una singolarità che sorge dal confronto dell ' art . 376 coll ' art . 363 del codice Toscano . Questo ultimo articolo contempla il reato di violato domicilio , e sotto questo titolo colpisce con la carcere fino a sei mesi chiunque s ' introduca contro volontà di chi ha diritto di escluderlo nell ' altrui abitazione o nelle sue appartenenze . Chi entra in casa d ' altri , anche per mera curiosità , può dunque essere punito con sei mesi di carcere . Ma l ' art . 376 punisce col carcere di un mese al più chi commette furto minore di venti lire , ancorchè il furto sia commesso nell ' abitazione del proprietario o nelle sue appartenenze . Chi dunque s ' introdusse in casa altrui per mera curiosità sarà punito sei volte più di colui che vi s ' introdusse a fine di rubare e rubò ! E quegli che si trova sotto l ' accusa di violato domicilio , dovrà esso contro la verità dichiarare che vi si era introdotto per commettere un piccolo furto , onde uscirne con pena minore ! Non mi persuade che un ladro , ogni due o tre mesi chiamato regolarmente in faccia ad un tribunale di prima cognizione per render conto di un furto del quale è riuscito convincerlo , non possa soggettarsi a carcere maggiore di un mese , con più quindici giorni per la recidiva , perché questo mestierante ha avuto l ' accortezza di rubare soltanto venti lire . Non ammetto che quando una schiera di malviventi ha notturnamente invaso la mia casa , atterrandone audacemente le chiusure per saccheggiarla , possa , incontrando giudici misericordiosi , uscirne con un anno di carcere perché non potè rubare più di cento lire . I diritti di proprietà e d ' inviolabilità di domicilio , hanno un valore reale che deve ritrovare il suo peso sulla bilancia della giustizia politica , né permettono che la loro tutela si abbassi a proporzioni cotanto elusorie . Se si medita la ultima fattispecie trovasi ancora che il concetto del tentativo non svolge pariformi conseguenze nel delitto di furto come negli altri reati . Riflettasi infatti se egli è possibile credere che una mano di mariuoli organizzino la invasione di una casa , si procaccino chiavi false , e mezzi idonei per atterrare gli usci , per forzare le interne chiusure , e rubare ; si espongano ai rischi della impresa ; e tuttociò per rubare cento lire ! Un concetto pazzo non può imprestarsi ad alcuno . Bisogna dunque persuadersi che costoro si auguravano di rubare migliaia . Ma nol poterono perché il proprietario aveva di là tolto gli oggetti di ingente prezzo , che dovevano costituire l ' agognato bottino , e vi aveva lasciato soltanto quel meschino valore . Laonde per la regola comunemente accettata , che ricusa la nozione del conato dove riscontrarsi la mancanza del soggetto passivo ( lascio adesso di discutere le condizioni che secondo me dovrebbe avere questa regola ) non è possibile condurre costoro a pena superiore mediante l ' applicazione del tentativo di furto magno . Che ne consegue ? Che un fatto di questa natura resta represso con poca carcere . Ne consegue che al diritto di proprietà e di domicilio non può neppure indirettamente adattarsi dai magistrati una difesa proporzionata alla loro importanza . La intenzione in una parola , si volle che fosse tutta nei delitti di sangue ; si volle nulla nel delitto di furto . L ' effetto insignificante non fu che di poco proficuo nei primi ; fu benefizio grandissimo nel secondo . Ma l ' effetto morale più grave che risulta nell ' animo mio è egli lo spavento che mi cagiona la invasione del mio domicilio , o il dolore che mi cagiona la perdita di cento lire ? Dal lato dell ' elemento intenzionale nei delitti di sangue la scusa può dirsi la regola : la rissa , l ' impeto , lo irriflettuto agire sono il caso più frequente ; la brutalità e la premeditazione sono la eccezione . Nel furto invece il mestiere , e il deliberato proposito sono la regola : raro ed eccezionale il caso di scusa . Non nego che anche il furto non abbia le sue scusa : concordo che debbano valutarsi per assoluta giustizia . La occasione tentatrice , la urgenza di gravi bisogni di famiglia , non possono non essere valutati . Ma questi casi estremi che prestarono tanta materia di declamazione ai romanzieri contemporanei , io ripeto che sono una rara eccezione : a cui si provvede con un ' attenuanza bene ordinata . Ma il caso ordinario e normale nel furto è quello della speculazione ; è quello di una guerra sistematica alla proprietà : guerra alla quale deve contrapporsi una difesa proporzionata alla importanza sociale del diritto astratto . Gli antichi che della recidiva nel furto fecero un caso eccezionale , no , non mancarono di filosofia e di esperienza benchè trasmodassero nelle punizioni . Più tenero custode della proprietà il codice Sardo ( mentre non ha esagerato la penalità dei furti qualificati , ed anzi in alcune combinazioni possa risultare più mite del toscano ) lascia ai magistrati ( articolo 622 ) maggiore larghezza per reprimere i furti semplici . Soltanto all ' art . 625 § . 1 è troppo elevata la somma di lire venti , la quale non può raggiungersi che in casi eccezionalissimi nei furti campestri . In questa parte la proprietà è meglio protetta dal codice Toscano ( art . 376 lettera a ) . Ed io non vorrei cambiarlo : e solo vorrei con la provvisione speciale del n . 3 dell ' art . 625 Sardo , aggiungere una migliore protezione delle proprietà rurali contro il flagello dei danneggiatori . Io credo perciò che in questa parte la estensione delle sanzioni sarde alla Toscana , fatte piccole modificazioni sulle orme della teoria toscana dei furti aggravati , sarebbe salutata come una fortuna tra noi da tutti i proprietarii . Il codice Sardo ha capito ciò a cui non pose mente il legislatore toscano : voglio dire che se non è a prevedersi che alcuno oggidì eserciti l ' arte di feritore , è pur troppo una verità che molti esercitano il furto come mezzo d ' industria . Ed in proposito di questa idea del delitto esercitato come industria , vorrei si meditasse se l ' assoluta irresponsabilità del minore , estesa dal codice Toscano , sul fac - simile del codice Badese , agli anni dodici ( art . 36 ) non sia assai pericolosa . Penso io pure che uno stadio di assoluta irresponsabilità nell ' aurora della intelligenza umana vi debba essere ; e che sia impolitica una procedura criminale contro un bambinello . Perciò non lodo ( anzi trovo difettosissimo ) il codice Sardo , ove ad imitazione del codice di Francia , e contro la universale pratica contemporanea , ammette ( art . 88 ) che possa instaurarsi , se così piace a cui spetta , la solennità di un giudizio criminale contro un fanciullo di quattro o sei anni . Ma lo estendere la irresponsabilità ai dodici , parmi cosa gravida di pericolo per la morale pubblica ; appunto perché in certe famiglie , nelle quali ( tristissima verità ) il delitto è mestiero , può esser questo un impulso a precoce demoralizzazione : per l ' avvio che può farsi dei figliuoletti al furto o ad altra delinquenza , nella certezza di non vederli perseguitati con regolare procedimento . Lo stadio della irresponsabilità , ammesso da tutte le altre legislazioni contemporanee , fu esteso dove ai sette , dove agli otto anni ; e al più ai nove , ed ai dieci in paesi settentrionali . Era veramente la Toscana una regione , sotto il cui cielo si potesse presumere una tardività di sviluppo , da estendere ai 12 anni compiti il debito di rispettare le leggi ? Il povero colono che trova nel suo podere una schiera di giovinetti vendemmiando il frutto dei suoi sudori , è un barbaro se li percuote , ed è punito severamente . Ma se chiede alla giustizia protezione , la trova egli ? Io penso dunque 1.° che sia un difetto del codice Sardo il non avere stabilito uno stadio di irresponsabilità per presunzione juris et de jure in un primo periodo della vita - 2.° che sia vizioso il codice Toscano che estende tale stadio a 12 anni - 3.° che sia difetto in questo , e pregio nel codice Sardo ( art . 91 ) lo aver previsto come minorante la età dai 18 ai 21 : sebbene fra i casi esclusi dal benefizio di questo articolo mi parrebbe doversi annoverare anche il furto . Saggio mi sembra del pari il codice Sardo , quando all ' art . 639 subordina la repressione dei ricettatori di cose furtive alle varietà criminose del furto donde quelle cose provennero ; né voglio ripetere le critiche già da me pubblicate su ciò contro il codice Toscano . Onde io preferisco il criterio assunto dal Sardo per la misura di questo malefizio . Al codice Sardo può farsi rimprovero di difettare nella previsione del favoreggiamento , considerato come delitto di per sé stante ; che ha il suo obietto speciale nella pubblica giustizia , da lui impedita . Ma il codice Toscano , affezionato alla idea del favoreggiamento , ne allargò la nozione oltre la misura della sua verità , estendendola al caso della partecipazione posteriore nel lucro di un delitto ( art . 60 ) ; e poscia con una singolare predilezione facendo pei compratori dolosi di cose furtive ( art . 418 ) una benignissima restrizione di penalità . Sicchè il compratore doloso , anche dei giojelli rubati alla Galleria di Firenze , non potrebbe colpirsi col carcere al di sopra di un anno ; e non lo potrebbe quantunque il furto fosse accompagnato dalle circostanze più odiose . Laddove chi ad uno di quei mariuoli avesse pietosamente agevolato la fuga potrebbe incorrere nella carcere per due anni . Io cerco la nozione del fatto criminoso nella intenzione dell ' agente , e nel risultato : non nei voli fantastici di una dottrina . E nella intenzione e nel risultamento , il compratore o ricevitore doloso di cosa furtiva vuole violare il diritto di proprietà ; ed effettivamente lo viola col fatto suo . Ed è perciò ( non si questioni del nome ) un aiutatore del ladro a consumare lo spoglio del proprietario , ed a renderlo irreparabile . L ' art . 137 del codice Toscano , che nel modo con cui giace fa un antagonismo alle disposizioni dello Statuto fondamentale , aveva il suo correlativo nel vecchio codice Sardo al capitolo 2; dove fu cancellato nella nuova promulgazione del 1859 . Cancellarlo , o correggerlo anche in Toscana , perché il codice si coordini allo Statuto , sarà obbedienza alla logica . È parimente una necessità logica la provvisione dell ' art . 188 del codice Sardo ; se non che parmi che questo articolo ( non che l ' articolo 183 ) nella misura della penalità non abbiano tenuto conto abbastanza della gravità del mezzo ( tumulti ) che si presuppone adoperato a disturbare le sacre funzioni . Sembrami poi che il codice Sardo negli articoli dal 194 a 204 protegga la libertà personale del cittadino in faccia al pericolo di abusi della pubblica forza ( non che il domicilio all ' art . 205 ) con economia più prudente di quella usata dal codice Toscano negli art . 184 , 190; con l ' ultimo dei quali adegua la perquisizione arbitraria all ' arresto arbitrario della persona : e poi scende a punire con una multa riducibile a trenta lire il pubblico ufficiale che per capriccio violi il domicilio del cittadino ; o tenga indebitamente in carcere ( art . 184 ) un individuo . Se temevasi di rallentare lo zelo di questi pubblici ufficiali , valeva meglio tacere di tali fatti , e restarsene ad una semplice indennità , anziché ridurli a così meschine proporzioni . Bensì nel codice Sardo mi sembra in proposito della tutela della libertà personale sia una lacuna . Non trovo in alcun luogo previsto il caso della violenza privata che sia fine a sé stessa ; vale a dire che non abbia servito di mezzo a commettere un altro delitto . Questo reato , ben definito , e congruamente punito dall ' art . 361 del codice Toscano , non può pretermettersi . Poiché egli è ormai pacifico nella scienza che anche quando facciasi violenza ad alcuno per un fine non delittuoso , poiché si lede un diritto importante dell ' uomo ed a lui carissimo , voglia bene ragione che anche codesto diritto si protegga dalla legge punitiva . Ugualmente è da lamentarsi nel codice Sardo la mancata repressione della minaccia semplice , adequatamente prevista e punita dall ' art . 362 del Toscano . In quanto alla resistenza contro la pubblica forza , il codice Toscano è mirabile per la severità con cui la colpisce nella sua minima forma : quando cioè è scompagnata da turba , da lesioni gravi , od altre aggravanti . Esso dopo un massimo di quattro anni di carcere ( art . 143 ) si ferma al minimo di sei mesi . E così pone la misura del minimo dove il codice di Francia ( art . 212 ) pose la misura del massimo ! Il codice Sardo ( art . 251 ) si trattiene come il Francese al massimo di sei mesi quando la resistenza non commettasi da riunione armata . In ciò concorda col codice Francese e con altri molti . E qui mi piace notare che anche il codice che Francesco V dettò nel 1855 al già suo Ducato di Modena , all ' art . 188 § . 4 , puniva la resistenza semplice col carcere non mai superiore a sei mesi . Lo speciale rigore del codice Toscano contro questo delitto , che spesso si estrinseca con moti quasi istintivi diretti a conservare la libertà propria , o di persona a sé cara , non può trovare ragione in una speciale fierezza ed insubordinazione delle popolazioni toscane ; come non ve la torva l ' eccessivo rigore contro gli omicidii provocati . La deconsiderazione in quel codice dell ' impero che può esercitare sull ' animo anche dei più onesti l ' istantaneo sentimento di un pericolo , o un giusto sdegno , sembra rivelare un arcano pensiero che anela spegnere nei sudditi la coscienza dei propri diritti , e mansuefarli alla monastica tolleranza delle ingiurie . E questa osservazione estendo ancora alla valutazione della difesa propria ed altrui , in faccia ad un grave ed ingiusto pericolo che minacci la vita o la pudicizia di un cittadino . Ad ogni modo la estensione alla Toscana delle più miti penalità sarde verso il delitto di resistenza , e della giustissima mitigazione delle medesime prescritta all ' art . 267 , non potrà incontrare disapprovazione dai dotti , né eccitare malcontento . Anche qui mi assiste una reminiscenza . In Lucca ebbe vigore per trent ' anni una legge speciale dettata nel 1816 dal Governo provvisorio tedesco : che alla resistenza senz ' armi con lesione lievissima fulminava un minimo di vent ' anni di galera . Malgrado questa legge , gelosamente conservata dal Governo borbonico , non vidi mai poscia tanto frequenti le resistenze alla forza quanto in allora . E dovevano esserlo ; perché la severità delle pene eccitava maggior desiderio di sottrarsi all ' arresto . Pretendere con qualche mese più di carcerazione minacciata alla resistenza , che un reo non lotti per sottrarsi alla mano che vuol condurlo prigione , è una idea vana . Il reo in codesto pauroso momento ha nella pena che vuole evitare troppa ragione di scordare la pena che si minaccia alla resistenza ; ed il magistero penale elide sé stesso . Corre sullo stesso ordine d ' idee la disparità fra il rigore eccessivo del codice Toscano ( art . 344 ) e la mitezza del Sardo ( art . 589 ) in proposito del duello . Non voglio a questo proposito trattenermi sulla divergenza relativa alla politica imputabilità dei padrini ( art . 593 Sardo , art . 348 Toscano ) troppo essendo combattute nella dottrina le respettive opinioni . E solo dirò che alla prevenzione meglio provvede il codice Toscano . Ma la pena della casa di forza da tre a dieci anni sancita dall ' art . 344 Toscano contro l ' omicidio commesso in duello mi sembra troppo severa , e preferirei la penalità dell ' art . 589 Sardo ; aggiungendovi però all ' ultimo alinea la limitazione dell ' art . 343 Toscano ; e non dimenticando la previsione dell ' art . 595 Sardo . Il quale non parmi repugni ai principj della scienza : almeno per la opinione che io credo più vera in ordine alla estraterritorialità del giure penale . Parmi poi che sia una lacuna nel codice Sardo la mancata previsione della frode ( art . 346 Toscano ) . Non può esser dubbioso che qualsiasi slealtà tolga al duello il criterio psicologico della sua specialità , vale a dire la obbedienza ad un sentimento di onore . Prevede il codice Sardo ( art . 286 e segg . ) la ragion fattasi di privato arbitrio . Procede da un lato con una discriminazione di casi , sotto il rapporto della penalità , più diffusa che non sia quella del codice Toscano ( art . 146 ) : ma dall ' altro lato , per ciò che attiene alla indicazione della materialità del fatto ( art . 286 primo alinea ) il codice Sardo restringe la nozione di quel reato a certi determinati scopi . Ciò sotto un aspetto può meritare osservazione per la parità in cui si pose la demolizione dei fabbricati con gli altri fatti ; e sotto altro aspetto offre il pericolo di lasciare scoperta qualche contingenza speciale di ragion fattasi , che non cada sotto le tassative descrizioni colà enumerate . La definizione toscana è molto migliore . Sono però di opinione che la limitazione dell ' articolo 288 del codice Sardo sia lodevole , e giusta . So benissimo che questo reato non trae la propria essenza da un principio morale , ma da un principio puramente politico : e che in faccia alla dottrina scientifica la nozione della ragion fattasi non si modifica per la verità o insussistenza del diritto arbitrariamente esercitato . Ma la scienza è salva quando si conserva la nozione malgrado la verità del diritto esercitato . Né si contradice la scienza se , coordinando il principio morale al principio politico , si ammette una minorante nella verità del diritto esercitato . È un fatto che in questo caso la giustizia è lesa solo nella forma , e non più nella forma e nella sostanza . Anche in ordine alla vendita di fumo il codice Sardo ( art . 313 , e 314 ) colpisce un caso che il codice Toscano ( art . 200 ) non prevede . Il caso cioè delle millantazioni fatte dal sicofanta non per estorcer denaro ma solo per boria , per acquistarsi credito , o per malavoglienza contro gli ufficiali . Il codice Toscano lascia scoperti codesti casi , tranne quando possano trarsi sotto il titolo d ' ingiuria contro il pubblico ufficiale . In questo punto mi pare che il concetto del codice Sardo sia più conforme ai principii della scienza : per la quale nel punire questo delitto non si vuol proteggere l ' interesse del privato , che mirando ad un fine illecito non può meritare protezione . Ma si guarda al discredito della pubblica giustizia nella opinione popolare . In ordine alla falsa moneta il codice Sardo ( art . 316 e seguenti ) minaccia pene certamente più severe di quelle toscane ( art . 222 e seguenti ) . Ma chiunque rifletta che questo delitto è sempre premeditato , e può formare argomento di una speculazione perniciosissima , non trova che sia male collocata una certa severità . D ' altronde l ' art . 222 lett . a , e 223 lett . a del codice Toscano ( malgrado le dichiarazioni dell ' art . 240 ) sono a mio parere poco sufficienti alla repressione e viziosi . E là infatti si ammette il possibile che un fabbricante abilissimo di falsa moneta d ' oro se la passi con sei mesi di carcere , perché per avventura non sia riuscita l ' accusa a sorprendere gli ordigni ( che d ' altronde sono quasi un presupposto necessario ) ed abbia potuto contestargli soltanto la fabbricazione di una moneta . Qui evidentemente esercitarono l ' influsso loro le tradizioni di una dottrina inesatta che un tempo prevalse in Toscana ; cioè che la falsa moneta non fosse che un furto qualificato . Ed anzi se si confronti l ' art . 386 , trovasi la fabbricazione di falsa moneta punita meno del furto domestico ; quantunque , se questo viola la fede privata , quella violi la fede pubblica . Anche in proposito di questo delitto io penso dunque che una elevazione di rigore non potesse eccitare repugnanze nella popolazione toscana . Per il delitto di adulterio il codice Toscano ( art . 291 ) è assai più severo del codice Sardo ( art . 486 ) . Carcere da tre mesi a due anni per questo . Carcere da due anni a quattro per quello . Ma su ciò non dimoro . Perché porto opinione che dove la religione , la morale , e l ' affetto alla famiglia non valga , nessuna donna si asterrà mai dal darsi in braccio ad altri per il pensiero di una pena più o meno prolungata , che terrà dietro alla sorpresa , allo scuoprimento , alla querela maritale , ed alla persistenza nella medesima . Le pene contro l ' adulterio vi debbono essere per evitare le vendette maritali . Ecco la utilità sociale di siffatte punizioni . Sicchè la severità maggiore usata dal codice nostro contro le adultere non potrebbe trovare ragione in altro che nello essere i mariti toscani più risentiti e vendicativi dei sardi ; onde facesse mestieri offrir loro più larga soddisfazione a moderarne lo sdegno . Ma questa è una ipotesi . Non bisogna però dimenticare che l ' art . 485 secondo alinea del codice Sardo si connette con le disposizioni del codice civile in ordina alla ricerca della paternità . Laonde questo articolo non avrebbe senso ove tale ricerca fosse permessa dalle leggi civili . Fecondo di gravi difficoltà è il confronto fra l ' articolo 300 del codice Toscano , ed il 421 del codice Sardo , relativi a certi delitti contro il buon costume . E le difficoltà nascono a cagione dell ' urto fra il rispetto alla libertà individuale , ed il rispetto alla morale pubblica . E siffatto urto divide la dottrina dei criminalisti in Italia e fuori . Il codice Sardo ha provveduto alla tutela del buon costume soltanto là dove si congiunge alla tutela del diritto . per punire dove non concorse violenza esige che trattisi di persona minore dei ventuno anni . Guarda alla corruzione della gioventù , e finquì non vi è nulla da censurare . Ma il codice Toscano va oltre alla tutela del diritto ; va oltre alla tutela delle famiglie ; va oltre all ' impedimento dello scandalo . Qualifica lenocinio , e punisce col carcere da sei mesi a tre anni chiunque agevola la prostituzione anche di una cortigiana . E la giurisprudenza ha detto che somministrare la casa o il luogo alla prostituta cade sotto quest ' articolo . Così ho veduto in pratica ( non con gran plauso della pubblica opinione ) condannare a lunga prigionia donne di mala vita , non per ciò che esse facevano senza opposizione o pericolo abitualmente , ma perché avevano preso a retta un ' altra donna della lor taglia , o a lei affittato una camera . Provato che la padrona di casa sapeva che qualche uomo visitava la inquilina , vi si è trovato il lenocinio , benchè non si trattasse di giovinetti , né di allettamenti usati dalla padrona . Tale è stata la conseguenza logica del verbo agevolare adoperato dalla legge . Ciò ha portato a dei pubblici giudizi , nei quali si sono citati come testimoni gli uomini visitatori della inquilina , non senza qualche disturbo delle loro famiglie . La rozza logica del volgo non si persuase che la padrona di casa dovesse essere punita perché quegli uomini erano andati in camera della inquilina , anziché in camera della padrona . E taluno che troppo spesso riflette come siffatte donne quando non hanno luogo si approfittino delle vie solitarie , venne nel pensiero che per tal guisa si facesse uno scandalo per punire un fatto che aveva evitato uno scandalo . Questo argomento eccita serie considerazioni , specialmente in quelle città dove si persiste a credere impossibili i regolamenti circa le tollerate . Finalmente in ordine al delitto di fallimento doloso o colposo è deplorabile la trascuranza del codice Toscano nel definire i casi diversi e i diversi gradi di questo importante delitto ( art . 409 ) . Ma chi sperasse di trovare un più largo svolgimento nel codice Sardo ( art . 381 ) , rimarrebbe ugualmente deluso . La idea di non invadere le materie commerciali è probabilmente il motivo di tale trascuranza tropo comune ai codici moderni . Ma è una lacuna che prima o poi deve essere riempita , restituendo al giure penale il suo dovuto dominio anche nel regolamento di questa materia . Riassumendo i pensieri sparsi in questa rapida ed incompleta escursione , concluderò : 1.° Che la introduzione della pena di morte in Toscana ( specialmente pei delitti comuni ) non potrebbe non dar luogo a gravi lagnanze e disaffezioni . 2.° Che la introduzione dei giurati in Toscana non può essere argomento di gravi difficoltà ; ma invece salutare occasione al sapiente del Governo di procurare la emenda di alcuni difetti del relativo ordinamento . 3.° Che la estensione alla Toscana delle altre regole di procedura punitiva non può essere , comparativamente considerata , che un benefizio ; purchè se ne modifichi lo illimitato della custodia preventiva . 4.° Che la scala delle penalità Sarde modificata leggermente , come di necessità richiederebbe il toglimento della pena di morte , sarebbe accettabile . 5.° Che dovrebbe però non procedersi col brusco trasporto del codice ; ma con una specie di rifusione ; nella quale per ciò che attiene a certe nozioni , ed alla esattezza del linguaggio scientifico , non potrebbe farsi meglio che prenderle tali quali stanno nel codice Toscano . Questo è un omaggio che si deve alla scienza : ed un rispetto meritato da quella provincia ; nella quale e per lo slancio del codice Leopoldino , e per le teoriche delle sue giudiciali osservanze , e per la opera perseverante dell ' immortale Carmignani , bisogna riconoscere dal 1786 fino al 1853 un continuato movimento progressivo della dottrina penale . 6.° Che questa fusione , nella quale potrebbe pure tenersi conto di alcuni lodevoli provvedimenti del codice Napoletano , non dovrebbe lasciarsi in mano di una commissione , dove si aprirebbe per necessità una polemica senza fine ; ma farsi per opera del Ministero . 7.° Che di questo codice così rifuso dovrebbe ottenersi la sanzione dal Parlamento senza discussione di articoli , onde si approvi per via di esperimento ; decretandone fin da ora la revisione fra tre anni almeno ; e proponendo alle Camere di nominare nel loro seno una commissione incaricata di preparare gli studi per questa revisione futura . Non adottando quest ' ultimo metodo : procedendo per via di commissioni preambule , e di discussioni per articoli , si getterà tempo , e fatica : e se la discussione darà occasione allo svolgimento di maravigliose polemiche , non darà sicuramente per anni ed anni il risultato della desiderata unificazione . Questa verità la proclama la stessa ragione , e la conferma la storia contemporanea . Questa ci addita come si siano prolungate per molti lustri le relative preparazioni in Prussia , Norvegia , Belgio ed altrove ; ed in alcuni di questi Reami non abbiano ancora condotto la opera al suo compimento . Ripeterò con le parole del compilatore del Progetto Belga ( il celebre Professore Haus ) che la scienza penale non ha ancora fornito la metà del suo cammino . Mentre anche le sue primordiali verità sono tuttora un problema , sul quale i più sapienti discordano , è necessario riconoscere una verità pratica : cioè che è vanità sperare oggi che un dettato in questa materia si riconosca come il meglio universalmente ; e bisogna temere che il desiderio del meglio non tolga il buono . In mezzo alla rapidità del progresso generale contemporaneo ; in mezzo alle controversie tra cui si agita nell ' accademia il giure penale , ed alle difficoltà fra le quali lotta nel foro , non è più tempo di presumere che un codice penale duri intatto per lunga stagione . Non siamo più ai tempi della Carolina , delle Partidas , o delle Ordinanze . Qualunque cosa si faccia offrirà il fianco alle censure contemporanee , ed alle modificazioni future . Pisa 3 aprile 1863 . Codicizzazione ( STUDI LEGISLATIVI ) ( 1869 ) ( dagli Opuscoli di Diritto criminale , Lucca , 1870 , vol . II , 215 ss . ) I codici destinati a reggere le Nazioni nascono , crescono e progrediscono in numero , in bellezza , ed autorità , nella ragione diretta della respettiva civilizzazione . È impossibile che i popoli primitivi finchè si agitano nella barbarie sentano il bisogno di ordinamenti legislativi completi , o chiedano codici , o pensino a procacciarne . La prima idea di legge che appo loro si sviluppa si estrinseca nella leggi religiose e militari , perché la coscienza giuridica non ha ancora assunto una forma sensibile in quelli animi rozzi . Per loro la idea del diritto si confonde con la idea della forza . Una legge imposta a nome di Dio ( forza sovrumana ed ignota ) a nome di un Duce di eserciti ( forza naturale presente e temuta ) esprime per loro il diritto perché esprime una potenza alla quale non è dato resistere . Essi accettano la consociazione come un fatto : vi aderiscono per obbedienza allo istinto della socievolezza che la legge di natura provvidenzialmente impose alla umanità , come impose la legge di attrazione ai corpi al fine di condurre questi all ' ordine fisico e quelli all ' ordine morale : vi aderiscono pel sentimento vago dei bisogni : se la tengono cura per le consuetudini contratte nelle relazioni necessitose della famiglia . Ma il concetto giuridico della consociazione non cape ancora nella mente loro selvaggia , perché tuttora incapaci a concepire la idea del diritto nello individuo altro che come forza , è impossibile che in loro prenda radice il pensiero di una collezione di diritti affidati ad una personalità morale pel fine di essere da questa difesi . Obbediscono al sacerdote , perché parla a nome di un Dio che ha mezzi di potenza e di forza superiore ad ogni forza e potenza umana : obbediranno ad un Duce , perché lo veggono cinto di un numero di sgherri volontariamente alleatisi a lui che li fa conscii della loro soggezione : ma in ciò non si ha l ' opera di un calcolo di ragione che a tale obbedienza porga la forma di un dovere morale ; bensì unicamente uno stato di fatto che li lega in ragione della loro impotenza a resistere , a meno che con l ' astuzia non riescano ad eludere quella forza . La consociazione non è per loro che uno stato inavvertito di fatto nel quale si trovano senza saperne il perché , mentre ne approfittano per procacciarsi anche a scapito altrui i beni agognati a soddisfacimento degli appetiti proprii senza cercare se con ciò si offenda la personalità degli altri o si diminuisca l ' altrui libertà . La idea pura del diritto non può concepirsi che sotto forma complessa e reciproca , perché il riconoscimento razionale di una facoltà pertinente a noi come diritto ha per necessario contenuto il riconoscimento di uguale facoltà in ogni altro essere simile a noi ; lo che conduce al desiderio di una legge che sia vincolo a noi medesimi , e che sia vincolo agli altri . Ma tale idea è troppo elevata perché possa raggiungersi da genti selvagge per le quali potestà materiale e facoltà morale identificandosi in un solo concetto , viene respinto il pensiero di un vincolo puramente razionale imposto a noi medesimi , ai proprii appetiti , ai proprii bisogni . Ove pure appo simili genti siasi venuto lentamente formando un ceto di uomini illuminati ai quali trovisi rivelato il concetto della giustizia come forza morale destinata a resistere alla forza materiale e fatta capace a dare al debole prevalenza e ragione sopra il forte ; questa rivelazione conquistata dagli eletti non appartenendo che ad una minoranza , la lotta della civiltà contro la barbarie si combatte sempre con disuguaglianza , per cui i pochi illuminati dove pure concepiscono la idea di dare una legge che a tutti ugualmente sovrasti e tutti ugualmente protegga i diritti dei consociati , non possono attuarla , e neppure osano tentarne la prova , perché siffatta idea non è intesa né accettata dalla maggioranza . Allora soltanto quando nella Nazione si è sviluppato il senso giuridico in una maggioranza capace di farsi rispettare , nasce il desiderio di un codice universale della Nazione regolatore dei diritti di ognuno , e nasce insieme la potestà di attuarlo e di mantenerlo in una vita efficace e reale . È allora soltanto che il popolo insorge e chiede i Decemviri e le tavole permanenti della legge comune : è questa l ' epoca dei Soloni , dei Licurghi , dei Caronda , e dei Pittagora ; uomini che saliti in fama di sapienza hanno ottenuto la fiducia del popolo e ricevono invito da questo di segnar loro il modo col quale meglio possa avere soddisfacimento e proclamazione solenne quella coscienza giuridica che si è maturata nelle moltitudini . È allora che quel popolo muove i primi passi verso la civiltà . E di vero cosa è dessa la civiltà ? Tutti gridano civiltà , civiltà ; tutti parlano di progresso civile dei popoli : ma molti non si avvicinano al concetto che chiudesi sotto quelle parole , e quello rimane per loro uno indefinito . E che forse la civiltà di un popolo consiste dessa nell ' orpello dei modi , nell ' amore delle arti , nella raffinatezza dei cibi e degli agi della vita , nei sontuosi spettacoli , nelle magnificenze delle fabbriche , ed altre simili cose ? Il volgo lo pensa , e non si avvede che scambia la cultura esteriore ed il lusso con la civilizzazione . Cultura e civiltà sono due cose radicalmente distinte . Ottima l ' una per certo e feconda di benefizi purchè non avversi alla seconda ; ma questa manca sovente dove quella grandeggia , e questa è la primaria a desiderarsi da un popolo che ama fondare la propria felicità e la propria grandezza sopra il rispetto alla dignità dello essere umano : senza questa i cittadini possono somigliarsi alle antiche vittime che s ' inviavano al sacrificio inebriate da canti festosi , dai vapori di olezzanti profumi , e tutte ornate di fiori . Civiltà è parola che trae la propria etimologia da civis , Città , ed ha il vero concetto proprio nel vero concetto di questa . La civiltà consiste nello sviluppo in cuore di tutti della coscienza giuridica e della natura giuridica della consociazione . Recognizione del diritto non come forza , né come bisogno , ma come dettato di ragione : recognizione universale nelle coscienze della pertinenza del diritto a tutti ugualmente ; recognizione del diritto come dettato di una legge superiore imposta da Dio alla umanità : abitudine nel popolo in ogni sua classe di rispettare quella legge con religioso affetto anche a ritroso dei propri appetiti corporei , facendo dell ' amore dei nostri simili la forma preferita dell ' amore di noi stessi : recognizione della missione della società nel tutelare in tutti ugualmente il diritto . io non mi esalto la mente alla contemplazione della piramidi , delle meravigliose statue della Grecia , degli archi superbi dell ' antica Roma . Io veggo là parecchi milioni di umane creature tenute da un numero inferiore di potenti nella più abietta servitù ; io veggo quella folla d ' infelici ridotti alla condizione di cose e vittime della negazione del diritto ; e dico che quei popoli per quanto giustamente orgogliosi della loro sapienza nella cultura esteriore non furono popoli veramente civili . La ebrietà dei sensi non mi fa velo allo intelletto , quando contemplo la squisitezza delle delizie orientali ; in quelle magiche reggie io veggo una mano di uomini che si stimano esseri superiori agli altri , e vantano illimitata balìa sovra cose e persone ; veggo al di fuori un gregge trepidante che al giogo reverente si curva né sente in sé stesso la virtù della divina scintilla ; e dico che quel popolo non è altrimenti civile . Dimostrisi pure che nelle contrade meridionali di America si hanno più gentili i costumi , più ricercati gli agi del vivere , più raffinati i piaceri , meno bruschi e rozzi i modi che non lo siano nelle contrade del Nord . Io veggo che di là si pugna per mantenere la servitù mentre di qua si sacrifica generosamente un mare di sangue al fine di sopprimerla , e di porre in trono il programma della uguaglianza completa di ogni umana creatura ; e dico che la civiltà è maggiore nel settentrione di quello nol sia nel mezzogiorno di America . Fosse pure al più elevato apogeo la industria , la raffinatezza dei modi , la cura degli agi della vita e di ogni più delicato soddisfacimento dei sensi nella vetusta Sibari divenuta proverbiale per il suo lusso , io veggo i signori di Sibari mettere a morte gli ambasciatori di Crotone ed appendere i cadaveri alle loro muraglie ; e veggo al tempo stesso i cittadini di Crotone quantunque nemici di ogni ricercatezza di lusso proclamare il suffragio universale come base delle loro istituzioni : ed a tale confronto la voce della ragione dilegua il fascino della Sirena , e nell ' intimo cuore io mi sento condotto a dire che fuvvi civiltà maggiore in Crotone che non in Sibari . Ecco come io la intendo questa parola civiltà , che per molti è parola diafana e per altri molti un prisma fallace . E tornando ai codici , io ripeto che i primi trionfi della civiltà rendono soli possibile un codice : ma che un codice perfetto non è possibile se non ove la civiltà ha raggiunto quell ' apogeo che è sperabile sulla terra ; cioè dove è più universale ed illimitata la recognizione dello imperativo giuridico così nella idea come nel fatto così nelle parole come nella realtà , e dove quella legge regna sovrana nella coscienze come sovrastante a tutti ugualmente , e per tutti ugualmente patrona . Tale recognizione si è dopo lotte lunghissime raggiunta in astratto da molti popoli i quali pertanto possono dirsi maturi per dare a sé medesimi ottimi codici . Ma perché i codici siano buoni bisogna che in ogni loro linea rispondano a quella idea , e che all ' astratta recognizione di quella si coordini la sua recognizione concreta e la sua coraggiosa proclamazione per parte del codice ; il quale non lasci pertugio per dove possa introdursi per arte o potenza nessuna dei pochi la supremazia della forza , perpetua nemica della ragione . Lo ideale della bontà di un codice è questo solo di essere il palladio della uguaglianza per tutti . Vi dunque da un codice ogni disposizione che con modi più o meno aperti disturbi lo equilibrio giuridico fra i cittadini : via ogni privilegio per cui venga una classe di uomini a rendersi più ricca di diritti , più scura nello esercizio loro , e più insindacabile nel proprio operato a discapito o pericolo altrui : via tutte le leggi di occasione , le quali possono esser buone come necessità inevitabile in faccia a condizioni eccezionalmente calamitose non debbono trovar sede in un ordinamento stabile destinato ad incarnarsi nei costumi e negli effetti del popolo . Più specialmente un codice penale deve essere il catechismo della coscienza civica , ove si raccolgano le tradizioni della giustizia pratica e si conservino con più solenne sanzione e con autorità più gagliarda . Finchè un codice non può farsi tale , è vanità tentarne la prova ; e se tale non vuol farsi per segrete cagioni che prevalgono appo coloro cui pertiene il reggimento della cose pubblica , ella è una ipocrisia , è un tradimento darsi vanto di codicizzare le leggi di uno Stato . Si ripari allora con leggi provvisorie ai bisogni dei tempi nelle materie del diritto le quali portino in fronte la dichiarazione della loro precarietà e rechino contemporanea alla propria nascita la speranza della loro abolizione . Ad una Nazione che sente la propria dignità si può inculcare la tolleranza di un provvedimento temporaneo quantunque meno buono , scusandolo con le tristi condizioni di una fase transitoria in cui versi lo Stato , e temperandone la innormalità con la precarietà della sua sanzione . Ma è un insulto porgere a lei col nome di codice ( e così come supremo effato della coscienza giuridica ) precetti e sanzioni che alla suprema ragione giuridica non siano conformi , e che trovino la genesi loro nelle vedute di un partito dominante , o nei bisogni di una politica transitoria . L ' uomo coscienzioso e leale quando si faccia convinto di una necessità che gli vieta di fare una cosa come dovrebbe esser fatta , si astiene piuttosto dal farla anziché farla in modo riprovevole . Farisaica parola è quella di chi confessa la verità di un supremo principio di ragione , ed al tempo stesso viene a dettare un codice che lo conculca e lo rinega , scusandosi con le condizioni dei tempi e con quella sentenza perpetua patrona del male - che anche la verità ha la sua ora . Avrà pur troppo la sua ora anche la verità ; perché non a tutte le ore degli uomini si vuole intendere , e perché essa ha bisogno di essere intesa da coloro che debbono proclamarla , e che sono sovente i più duri o i più tardi ad intenderla . Ma , se la verità ha la sua ora , perché non aspettare che sorga , e frattanto vivere con le leggi già costituite , prorogando a quell ' ora il generale e duraturo riordinamento delle medesime ? Perché tanta furia di codicizzare , mentre si confessa che le incertezze dei tempi sono disadatte a quell ' opera ? Potrebbe qui bene ripetersi col Menzini - in questo di Procuste orrido letto , chi ti sforza a giacere ? Un principio erroneo ed ingiusto attuato per eccezionali cagioni in un regolamento particolare è un male sensibile ma limitato . Il male diventa troppo più grave più funesto e pernicioso nelle sue conseguenze quando di quel principio erroneo l ' autorità sociale fa solenne proclamazione in un codice : perché con ciò corrompe la coscienza pubblica presentandole come severo e costante dettato della ragione giuridica quello che è soltanto un provvedimento empirico che si accetta per le transitorie condizioni dei tempi . O se a voi preme di farvi codicizzatori e volete anche in questo adulare la Nazione che da voi si governa dandole a credere che i tempi sono maturi per un codice universale , ed inebriandola in questo pomposo pensiero , abbiate almeno il pudore di lasciare in disparte quelli argomenti nei quali credete di non poter proclamare la suprema giustizia : se tali argomenti sono molti , abbandonate la idea della codicizzazione ; se sono pochi lasciateli sotto la direzione di leggi particolari : ma non bruttate il catechismo che voi date alla vita esteriore del popolo col proclamarvi una menzogna giuridica . Val meglio una lacuna che l ' apostolato di una falsa dottrina . Se fuvvi mai una epoca che apparisse disadatta alla formazione di un codice universale tale era lo Stato dello Impero Germanico nei primordi del secolo decimosesto . Le dissidenze religiose fra i diversi Stati di quello Impero erano vivacissime allora , perché grondavano di fresco sangue ; e chiunque fosse stato chiamato a dettare un codice penale per lo Impero sarebbesi sgomentato in faccia a quelle dissidenze dal por mano nella materia dei delitti religiosi . Ma Carlo V voleva ad ogni costo dettare un codice universale che governasse lo Impero e che portasse il suo nome . Cosa fece egli con la sua celebre costituzione criminale ? Dei delitti religiosi non tenne che fugace parola , e la sua costituzione ebbe plauso concorde nel 1532 alla Dieta di Ratisbona dai Principi colà convenuti così cattolici come protestanti : e la sua Nemesi potè durare per tre secoli come codice fondamentale di gran parte della Germania , ed adottarsi e mantenersi persino da quelle provincie che ( come la Svizzera ) avevano scosso il giogo politico dello Impero . La Convenzione di Francia fu prepotente e ferocissima nella sua prepotenza , ma fu più logica di molti altri Governi quando nel tempo stesso che le sue mannaie mietevano le vite dei cittadini proclamava come principio l ' abolizione della pena di morte . Essa sentiva la differenza che passa fra la proclamazione di un principio come verità giuridica , e le esigenze o vere o false della politica del momento . Ma non si fu altrettanto logici , né allora né poi , quando le leggi di occasione si vollero convertire in articoli di un codice destinato a passare alle generazioni future . Adesso a noi italiani si è iniziata la esecuzione della promessa codicizzazione universale . I codici regolatori degli interessi civili , commerciali , e procedurali ebbero ormai la respettiva sanzione , e spetta all ' avvenire il farsene giudice . Ma il codice penale ha incontrato più seri ostacoli . E gli ostacoli sorgono non solo per la diversità delle scuole giuridiche che prevalgono nelle diverse provincie del Regno ; non solo per la diversità dei costumi più o meno purificati degli effetti del dispotismo religioso e civile ; ma più specialmente per le tradizioni delle leggi penali precedenti che alle diverse provincie furono dettate dai respettivi reggitori come catechismo della vita civile . È una verità filosofica che i costumi fanno le leggi , ma è pur troppo una verità pratica che le leggi fanno i costumi . Più che è feroce un popolo più sarà feroce il suo codice ; più sarà feroce un codice più si manterrà il popolo nelle consuetudini della ferocia . Queste sono due verità storiche che come risultamento di un imperativo logico impreteribile si danno reciprocamente la mano . E ciò porta ad una conseguenza ; e questa conseguenza , quantunque aspra e dura a proferirsi , bisogna pur proferirla perché è verità impreteribile . Questa verità è che le attuali condizioni d ' Italia le rendono assolutamente impossibile di ottenere un codice penale comune che sia riconosciuto universalmente per buono , e sia da tutti applaudito . L ' abitudine a certe penalità eccessive incarnatasi nelle genti di una provincia per virtù di un codice che per lunga stagione le fuorviava dal retto col proclamare la necessità e la giustizia delle medesime ; l ' abitudine a certe penalità più miti ed umane incarnata nelle genti di altra provincia per virtù di leggi penali che seppero mostrar loro come quelle fossero più che sufficienti ai bisogni della pubblica e privata sicurezza , e per virtù della consecutiva esperienza che le dimostrò sufficienti ; queste abitudini io dico non si cancellano con un tratto di penna dal nuovo legislatore . Dal che nasce una situazione scabrosa , difficile e penosissima per la coscienza di chiunque sente nell ' animo che anche il legislatore deve avere una coscienza ; la quale deve inspirarsi al vero ed al giusto , e non agli abiti od alle passioni . La situazione è questa : o inferocire i costumi delle provincie meno feroci col portarvi leggi esorbitantemente severe , lo che sarebbe operazione vandalica e patente regresso ; o tentare di raddolcire i costumi delle provincie più fiere col portarvi più miti sanzioni . Questo è il problema interiore che tiene oggi incerti gli animi dei legislatori penali d ' Italia . E alla difficoltà interiore che tiene esitanti le coscienze per riguardo al sentimento del proprio dovere rispondono difficoltà esteriori che procedono da quel perpetuo ostacolo ad ogni ben fare , voglio dire il rispetto umano . Avvegnacchè all ' apparizione del nuovo progetto di codice penale del Regno d ' Italia siasi verificato ciò che i veggenti avevano preveduto da lunga mano , e ciò che inevitabilmente doveva verificarsi per virtù delle condizioni eccezionali della nuova consociazione ; voglio dire che da tutti i lati sonosi sollevati anatemi e riprovazioni contro quel disgraziato progetto , del quale può dirsi che ebbe molti censori , lodatori pochissimi . Ma chi guardi addentro a quelle grida di riprovazione , e le congiunga ( come pur devesi ) in un insieme , forza è si convinca per le stesse contradizioni che s ' incontrano fra di loro che il progetto subisce gli effetti della situazione e non di alcuna colpa dei suoi estensori . Se nei compilatori di quel Progetto può trovarsi una colpa ( e se questa sia colpa lo giudichino gl ' imparziali ) essa consiste nel non avere alzato lo stendardo di uno dei due partiti scientifici che oggi si contrastano la signoria della Italia nell ' argomento della penalità ; il partito della severità e della intimidazione , ed il partito della mitezza e della emenda del colpevole . Se una di quelle due bandiere si fosse recisamente e coraggiosamente posta in fronte al nuovo progetto i detrattori sarebbero stati da un lato ma i difensori dall ' altro . Ma gli uomini chiamati a quello arduo ufficio non s ' inspirarono alle abitudini di questa o di quella Provincia ; non alle utopie di una o di altra Cattedra , non alle esigenze delle Curie , né alle pretese di coloro che rappresentano l ' autorità e che tenacemente intendono non solo a mantenerla ma a circondarla sempre meglio di ferro ; essi s ' inspirarono allo affetto del vero e del buono , e volenterosi esposero sé medesimi al turbine che doveva colpirli . Certamente quel lavoro non è immune da errori e da equivoci , particolarmente nella parte speciale , e nei fatti minimi , e talvolta anche nella forma della redazione . Ma queste non sono mende che possano far sorgere serio conflitto in un ' aula legislativa . La questione seria e di altissimo ed universale interesse è radicale ; e la sua soluzione sta per esercitare la più grande influenza sull ' avvenire d ' Italia : la questione ridotta ai minimi termini verte sul concetto fondamentale del nuovo codice . La questione consiste nel decidere se debbasi andare innanzi nella via del progresso civile avvicinandosi alla Germania che seppe trarre così buon frutto dalla scuola teorica italiana , o se piuttosto si debba tornare indietro avvicinandosi alla Francia ed a quelle provincie italiane che più si lasciarono andare all ' ossequio di quella . Non è questione di scienza ; è questione di civiltà . Ora su questo palpitante problema io dico una sola parola : ed è che se deve tornarsi indietro val meglio non farsi il codice , e lasciare che ogni provincia continui a reggersi secondo le consuetudini proprie anziché dare una solenne sanzione a principii retrivi facendone ingrata importazione in quelle terre dove non è più possibile generare la fede della loro giustizia senza deteriorarne i costumi , e così manomettere il più santo , il più bello fra i doveri dell ' autorità sociale , voglio dire la missione educativa del popolo . Questo è il pensiero che già adombrai in uno scritto ( 1 ) [ ( 1 ) Vedasi in questa raccolta l ' opuscolo XI ] renduto di pubblica ragione quattro anni addietro ; ed ogni ulteriore osservazione , ogni ulteriore meditazione mi ha confermato in tale pensiero . Se sia vero che nei delitti atroci non si debbano ammettere le circostanze attenuanti ( Questioni singolari ad occasione della Giuria ) ( 1868 ) ( dagli Opuscoli di Diritto criminale , Lucca , 1870 , vol . II , 459 ss . ) _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ Questa proposizione udii cadere dal labbro di un pubblico Ministero , d ' altronde dottissimo , quando egli cercava di distogliere i giurati da ogni movimento di pietà verso il colpevole di un omicidio premeditato commesso con un colpo di coltello . Con un fino artifizio oratorio declinando ogni discussione sulle circostanze attenuanti , delle quali forse non era penuria in quel caso , egli adagiò la sua tesi di rigore su cotesta generalità da lui asserita come un dettato apodittico di giustizia . Egli fece bene il dovere suo come vindice della società offesa . Ma se i giurati allorchè unanimi respinsero le circostanze attenuanti si lasciarono sedurre da codesto postulato giuridico , io dico che i giurati errarono in fatto per conseguenza di un errore di diritto . Le circostanze attenuanti disse Eusebio Selverte essere un rimedio provvisorio . Il pensiero al quale ispirossi codesta sentenza è sotto il punto di vista dell ' avvenire l ' identico pensiero al quale io m ' inspirava anni addietro quando sotto il punto di vista del presente scriveva che le circostanze attenuanti sono un rimedio necessario per un codice cattivo , mentre sono una flagrante aberrazione della giustizia sotto un codice buono . Ma se le due sentenze si unificano nel concetto radicale non è peraltro che con le medesime siasi voluto censurare l ' attenuanza sotto un punto astratto di vista . In massima nessuno può controvertere questa grande verità , compenetrata nel sommo principio della giustizia distributiva in materia penale , che nel misurare la imputazione debba aversi riguardo ad ogni più piccola circostanza per la quale si modifichi il delitto così nella sua forza oggettiva come nella sua forza soggettiva ( lo che noi chiamiamo quantità e grado del delitto ) e che nel tempo stesso debba modificarsi la pena per virtù di certe circostanze estrinseche al delitto , ma inerenti allo individuo al quale vuole applicarsi la pena , e per certe specialità per le quali la medesima applicata nel suo rigore riuscirebbe contraria o al pubblico bene , o alla coscienza universale ; lo che noi chiamiamo diminuenti la pena . Questo non può in punto astratto controvertersi senza immolare impudentemente la giustizia ad uno stoicismo crudele . Ciò che da noi si volle criticare è unicamente lo indefinito nel quale le leggi di Francia , ed i codici che le imitarono , lasciano le circostanze attenuanti . Indefinito terribile per cui si converte spesso in una operazione del cuore quella che dovrebbe essere opera della ragione ; e si ammettono o si negano le attenuanti sulla guida di un sentimento o di pietà o di ribrezzo che seppe nell ' animo dei giurati eccitare la rettorica del difensore , o quella del pubblico Ministero . Sente ognuno come per siffatto sistema la giustizia abbandonisi alla balìa di un ' onda infida e variabile , e debbano vedersi ( come pur troppo si veggono in pratica ) delle oscillazioni di pietà e di rigore le quali affievoliscono nel popolo che riflette la fede della punitiva giustizia . Molti moderni legislatori fecero dei lodevoli tentativi per togliere la penalità da coteste incertezze . Il codice Spagnuolo del 1848 , il codice Austriaco del 1852 , si provarono a definire ed a circoscrivere quelle circostanze che sole potevano ammettersi , a parer loro , come attenuanti : il progetto Portoghese andò ancora più innanzi ; ed oltre a circoscrivere le attenuanti e le aggravanti volle distinguerle in classi diverse ed assegnare a ciascuna di loro il respettivo valore , determinandone per cotal guisa e la ammissibilità ed il grado relativo di efficacia minoratrice . Questi tentativi , meritevoli senza dubbio di plauso , non hanno ancora recato peraltro la piena luce su tale argomento , perché da tutti quei legislatori si è voluto procedere per via di contemplazione generale , e definire una serie di attenuanti che fossero comuni a tutti i malefizi , ed in tutti dare a ciascuna di quelle uno eguale influsso . E questo è il difetto del nuovo sistema ; difetto minore dello indefinito , ma pur sempre difetto . Perché sebbene alcune circostanze possano accettarsi come generali ed attenuanti qualsisia forma delittuosa , molte ve ne ha che debbono considerarsi come proprie di alcuni reati ed indifferenti in reati diversi , ed altre molte ve ne ha che in un reato funzionano come attenuanti , mentre forse in un reato diverso dovrebbero funzionare come aggravanti . Ma lasciamo di questo che è troppo grave argomento . Le leggi che governano la giustizia penale in Italia hanno oggi ad imitazione della Francia lasciato alla balia dei giurati il solo riconoscimento delle circostanze attenuanti e limitato solo entro certi confini la valutazione della loro efficacia , consegnando tale valutazione al calcolo e giudizio delle Corti . In questo indefinito potrà essa figgere lo sguardo la scienza ? Potranno i cultori del giure penale studiarsi di tracciare una qualche linea che serva di guida alla coscienza del giurato , onde non si muova per un solo moto di simpatia a cui dovrebbe esser sordo , o per una contemplazione della pena , alla quale egli non dovrebbe pensare ? Io credo che ciò entro certi confini si possa . E quel pubblico Ministero che pronunciò la sentenza non doversi ammettere le circostanze attenuanti nei delitti atroci evidentemente cerò di segnare una linea che fosse un regolo costante alla coscienza dei giurati ; subordinando così ad un asserto principio giuridico ciò che nel concetto della nostra legge dovrebbe essere un puro giudizio di fatto . Ma codesta linea a mio credere è falsa e pericolosa . E tale la dimostra la ragione , e l ' autorità . In primo luogo è a dimandarsi cosa s ' intenda per delitto atroce ? Nel linguaggio degli antichi giuristi si dicevano atroci tutti i delitti gravi . Si disse atroce in molti casi fino la ingiuria . Sicchè anche la parola atroci altro non è che un indefinito il quale può avere un senso quando si adopra in un punto di vista comparatico , ma non può averlo giammai in un senso assoluto . In faccia al sentimento di un uomo mite e civile ogni omicidio è un delitto atroce ; più atroce ancora se fu premeditato . Nessuno potrà ricusarsi ad un sentimento di ribrezzo verso un essere tanto aberrante dalla umanità da calcolare freddamente i modi di spegnere una creatura simile a lui . Ma per simile ribrezzo , per simile atrocità , per simile aberrazione della umana natura dovrà egli dirsi che tutti gli omicidi respingono ogni possibilità di attenuanza , o che la respingono almeno tutti gli omicidi commessi con fredda deliberazione ? La pratica universale rinnega codesta dottrina . La ragione invece suggerisce spontaneo il pensiero che ai delitti più gravi minacciando la legge una pena più severa , e spesso la più severa di tutte , quella cioè nella quale si estrinseca lo estremo supplizio sotto qualunque forma lo accolga la legge ; si può appunto nei delitti più gravi correre con minore pericolo ad ammettere le attenuanze . Operandosi per queste la diminuzione di un grado , la pena inferiore rimarrà sempre gravissima ; né vi sarà luogo a temere la sua inettitudine ai bisogni della pubblica tranquillità . L ' atrocità di un delitto non potendo al fine di che si parla ravvisarsi nel solo fatto di avere volontariamente sparso il sangue del nostro simile , potrà essa trovarsi nei modi coi quali fu consumato l ' omicidio ? Alcuni legislatori lo pensarono . E ( sotto la formula di atti di barbarie ) i tormenti esercitati contro la vittima , e le crudeltà raffinate con le quali il colpevole non pago di toglier la vita al nemico aveva voluto ancora pascere la propria immanità nei patimenti di quella , furono agli occhi loro sufficiente ragione per costituire una speciale qualifica tanto grave da condurre di per sé sola allo estremo supplizio . Discordarono altri da siffatto modo di vedere , almeno come proposizione generale ; e l ' autore del codice Spagnuolo , lo illustre e dotto Pacecho troppo presto dallo infausto colera rapito alla scienza e ai desiderio degli amici , propugnò la opposta dottrina , osservando con molta verità che simili eccessi aberranti dalla umana natura quando si esercitavano contro un nemico mostravano un tal grado di esaltazione di spirito , e la pressione di un affetto così delirante da condurre alla conseguenza del tutto contraria nel calcolo della imputazione . Ma sia che vuolsi delle due opposte dottrina , per la questione che adesso considero mi sembra indifferente : perché o la legge che governa le sorti dello accusato non ha previsto simile circostanza come qualifica dell ' omicidio , o l ' ha prevista . Se non l ' ha preveduta in presenza di tanti codici che la prevedono vuol dire che ha trovato giusto di non farne un ' aggravante assoluta : ed il pubblico Ministero che volesse imporre ai giurati come regola costante di non ammettere le attenuanti dove concorrono atti di crudeltà , non solo anderebbe oltre la lettera della legge , ma anderebbe apertamente a ritroso del pensiero del legislatore , il quale col non costituirne un ' aggravante perpetua mostrò di riconoscere potervi essere non infrequenti casi nei quali non fosse tale . Se poi la legge che ci governa abbia di simile concomitante avuto riguardo per costituirne un aggravamento speciale , il giurato che valuti la medesima per negare le attenuanti pecca della più flagrante ingiustizia . Esso ha giù tenuto il debito calcolo di tale concomitante quando ha risposto affermativamente alla relativa questione , e con ciò ha portato il giudicabile ad una pena esasperata . Se poscia per la medesima concomitante egli si determina a negare le attenuanti cade in una ingiusta duplicazione del calcolo . Lo effetto che la legge voleva si operasse da siffatta aggravante , la legge lo ha già determinato , ed ha stabilito un ' aggiunta al castigo senza per altro negare neppure allora al giurato la facoltà di attenuare . Codesto giurato pertanto si mostra più severo della legge e pone due volte sulla propria bilancia lo stesso elemento . Questa osservazione può esser fatta sotto un punto di vista più generale ; essa è comune tanto alle aggravanti quanto alle minoranti . Ad un giurato che abbia negato le attenuanti in un omicidio premeditato , e le abbia ammesse in un omicidio provocato , dimandate perché abbia agito in codesta guisa . Se egli ingenuamente vi risponde ; le negai nel primo caso perché vi era la premeditazione e le ammisi nel secondo caso perché vi era la provocazione , rispondete francamente che esso è caduto in un gravissimo errore , ed ha in ambo i casi commesso una ingiustizia duplicando il calcolo o della aggravante , o della minorante . Ambedue queste circostanze erano già valutate dalla legge in tutta la loro portata giuridica ; al giurato la legge commetteva di riconoscerne la esistenza di fatto , non già di farne una seconda valutazione . Lo stesso ripetasi dello scasso nel furto , o della quantità del tolto dove la medesima fu tenuta a calcolo dal legislatore . I giurati di Francia che vivono sotto una legge la quale eguaglia nella pena il furto di un franco al furto di diecimila , potranno benissimo nei congrui casi trovare l ' attenuanza nella modicità del tolto , perché quello che il legislatore respinse come criterio assoluto è rilasciato alla libertà della loro valutazione come criterio speciale . Ma errerebbero a mio parere i giurati che procedessero ugualmente in Toscana dove il legislatore ha dato alla quantità del tolto quella valutazione che ha creduto doverosa . Ma forse tornerò altra volta più in lungo su questo argomento . Giovi intanto osservare sotto un punto di vista meramente generale che le circostanze attenuanti hanno un modo di essere tutto loro proprio e spessissimo indipendente dalle circostanze essenziali di un malefizio e da quelle concomitanti che ne modificano la quantità , o che lo degradano nelle sue forze . Questo modo di essere tutto intrinseco può avere una vita indipendente dalla natura del reato , e perciò comune a tutti i reati , e può avere una vita connessa con una certa forma di reati in quanto possa assumere l ' aspetto di causa impellente al medesimo , o di conseguenza derivatane : ma sempre per un ' indole tutta specifica . Giovi mostrarlo con gli esempi . La ultronea dedizione in mano della giustizia , la spontanea confessione del proprio fallo , gli atti coi quali siasi dal colpevole cercato di riparare al male cagionato , la buona condotta antecedente scevra di macchia , la trascurata educazione del colpevole , che nella sua giovinezza fu lasciato miseramente privo di ogni cultura morale , sono circostanze attenuanti comuni a qualunque malefizio ; come possono essere circostanze speciali nel furto la urgenza di straordinari bisogni ; e nei delitti di sangue una eccezionale e quasi morbosa irritabilità di temperamento . Or bene : se la ragione consiglia che siffatte circostanze debbano accogliersi come attenuanti dov ' è il plausibile motivo pel quale alle medesime debba ogni riguardo negarsi in certi delitti perché essi sono più gravi ? Se sono più gravi la legge gli ha anche più gravemente puniti ; sicchè la pena diminuita subisce sempre quel rapporto di calcolo proporzionale che la legge stabilì per la pena non diminuita . E se sotto il pretesto della gravità del delitto non si valuta in un caso quell ' attenuante che si valutò in altro caso si pecca contro la giustizia distributiva , perché si porta alla identica pena i due autori di fatti consimili i quali presentavano tra loro la differenziale che l ' uno era un birbo matricolato , e l ' altro un galantuomo stimato fino a quel giorno , e riverito da tutti . È questa la considerazione che debbono avere i giurati sempre fissa nell ' animo loro : di non adeguar mai , per quanto da loro si può , i giudicabili che versano in condizioni disperate . Se il confronto si presentasse ai giurati in un solo tratto e congiuntamente , io sono certissimo che il senso morale li preserverebbe da tale aberrazione . Suppongasi che abbiano a giudicare due correi del medesimo delitto , e sia pure un delitto atrocissimo . Ma uno degli accusati è un vecchio scellerato , che ha pertinacemente negato , e dopo il fatto non ha dato segni di pentimento ; l ' altro invece era un onesto padre di famiglia ; mostrossi amaramente pentito ; confessò e riprovò ingenuamente il proprio trascorso ; e cercò per quanto poteva di ripararvi . Credete voi che i giurati chiamati in tal guisa a decidere prima sull ' attenuanza rispetto all ' uno , poi sull ' attenuanza rispetto all ' altro nel medesimo verdetto , non sentissero ribrezzo di dare una identica risposta negativa per ambedue circa le attenuanti ? Credete voi che non si presentasse agli occhi loro palpabile tutta la iniquità di parificare nella pena uno scellerato ed uno infelice vittima di momentanea aberrazione ? No : io sono certo che ogni uomo gentile ponendo la mano sulla propria coscienza deve rispondere , no : ciò non può essere , ciò non si farebbe da noi : si negherebbero le attenuanti al primo ; si ammetterebbero al secondo , e così il supremo debito della giustizia distributiva sarebbe soddisfatto . Ebbene : ciò che voi avreste repugnanza a fare in un unico verdetto , voi siete spinti a farlo in due verdetti successivi , quando vi si grida che nei delitti atroci non dovete ammettere circostanze attenuanti . Disingannatevi da tale errore . La legge giudica il fatto criminoso e non l ' uomo , chè non può giudicarlo perché non lo conosce . Voi giudicate il fatto indipendentemente dall ' uomo quando vi pronunziate sulle circostanze materiali che accompagnarono il delitto : voi dovete poscia giudicar l ' uomo indipendentemente dal fatto quando siete richiamati a decidere se l ' accusato sia o no meritevole d ' indulgenza . Ecco qual ' è lo spirito della legge che vi governa ; ecco ciò che la ragione vi detta . Né manca alla mia tesi il presidio dell ' autorità . Né tale autorità io voglio cercare nella storia dei verdetti stranieri , perché non voglio portare come autorità classica la pratica di quegli uomini i quali possono aver subito lo influsso d ' impulsi speciali quando procederono ad ammettere l ' attenuanza per Madama Lafarges che col sorriso sulle labbra , e fra gli amplessi di amore aveva continuato a porgere per lunghi mesi al fidente marito il micidiale veleno , e per tanti altri atrocissimi delinquenti di troppo famosa celebrità . Io tratto le questioni di fatto sotto un punto di vista giuridico in quanto la questione giuridica ( vogliasi o no ) può compenetrarsi con le medesime , e non posso proporre come autorità decisioni dettate dal sentimento . L ' autorità alla quale faccio appello è quella dei tre legislatori , di Spagna , di Austria , e di Portogallo , i quali fecero precetto che si dovesse sempre diminuire la pena quando concorreva alcuna delle attenuanti da loro definite e circoscritte : e non fecero limitazione nessuna per l ' atrocità del delitto . Quando segnarono la buona condotta antecedente dell ' accusato come circostanza possibilmente attenuante ogni e qualunque sorta di malefizio , quando riconobbero uguale virtù nella trascurata educazione e nella mancata cultura del giudicabile senza riguardo alla natura delle delinquenze , essi fecero solenne protesta contro la pretesa regola dell ' inammissibilità delle attenuanti nei delitti atroci . Il giurato non meno che il giudice il quale vuole distinguere dove non distingue la legge , la fa da legislatore ; lo che , specialmente ad effetto odioso , da lui non si può . Se i legislatori italiani non hanno proceduto con uguale circoscrizione hanno proceduto però ancor essi ugualmente senza distinguere ; e il difetto della distinzione arbitraria con cui si vogliano intrudere nella legge dei limiti che la medesima non dettò e tanto più intollerabile quanto più fu larga la libertà che la legge consegnò ai giudicanti . L ' autorità che io qui invoco è quella della Suprema Corte di giustizia in Vienna . Consesso rispettabilissimo per sapienza , e le cui decisioni si tengono come autorevolissime in tutta Lamagna . Potrei noverare moltissimi esempi di delitti atrocissimi nei quali senza esitazione quella Corte Suprema ammise le attenuanti . Ma troppo mi dilungherei . Mi limiterò ad indicarne uno perché in termini di speciale gravità , e che venne recentemente riprodotto nell ' Eco dei tribunali al N . 1632 . Una donna questuante vagava con due suoi figli frutto di illegittimi amori , l ' uno dei quali aveva dodici anni l ' altro ne aveva quattro . Il piccolo bambino piangeva per via a causa del fastidio che lo vessava . La donna irritata di quel piangere lo minacciò di piantargli un coltello nella gola se non taceva . Ma il miserello continuava nei gemiti suoi . La barbara madre giunta in vicinanza di un fosso ripieno di acqua ordinò al figlio maggiore che il fratello quadrienne togliesse seco , e lo annegasse in quel fosso . Il piglio puntualmente obbedì agli ordini della novella Medea , e ricongiuntosi con la madre continuarono entrambo tranquillamente il loro viaggio . Volle fortuna che gente sopravvenuta salvasse quel bambino ; onde non trattossi di altra accusa che quella di tentato omicidio . I tribunali inferiori condannarono quella donna a sei anni di carcere duro . Ricorse essa alla Suprema Corte di giustizia di Vienna , e questa con giudicato del 15 aprile 1857 dichiarò che concorrevano le due circostanze attenuanti della mancata cultura , e della antecedente condotta irreprensibile , e ridusse il carcere duro a quattro anni . Poiché ognuno sente nel cuore che un delitto più atroce e barbaro di questo non può forse immaginarsi , questo giudicato valga a mostrare ciò che documentare potrei con altri innumerevoli esempi , vale a dire che pei tribunali composti di giureconsulti l ' atrocità del crimine non si tiene come buona ragione per negare le circostanze attenuanti ; e che la nuova proposizione di diritto che nei delitti atroci non siano ammissibili le circostanze attenuanti altro non è che uno sleale artifizio oratorio col quale un accusatore anelante severità cerca d ' illudere la inesperienza della giuria . Finalmente io non ho bisogno di cercare altrove il conforto dell ' autorità alla mia tesi . Io la trovo eloquentissima nello stesso codice Toscano . Il legislatore toscano aborrì ( e sapiente com ' era non poteva non aborrirlo ) il sistema delle circostanze attenuanti . Ei non ammise per nessun delitto che le considerazioni estrinseche ed i riguardi alla persona del giudicabile potessero eliminare la pena ordinaria da lui stabilita contro ciascun reato . Ad onta di tanta avversione il legislatore toscano una sola volta , all ' art . 309 § . 2 , accettò il sistema delle attenuanti e per un solo caso . E qual caso era questo ? Precisamente l ' omicidio premeditato . Ora si venga a spacciare ai giurati come regola di assoluta giustizia che nei delitti atroci non sono ammissibili le attenuanti ! Pisa 1868 .