StampaPeriodica ,
Verso
la
fine
del
quattrocento
grande
era
il
disordine
in
cui
s
'
aggirava
il
concetto
della
lingua
nostra
e
delle
lettere
,
che
da
un
lato
erano
declinanti
,
dall
'
altro
sentivano
se
stesse
per
anche
non
bene
mature
.
Da
noi
si
chiama
buon
secolo
della
lingua
nostra
quello
di
Dante
o
del
Petrarca
e
del
Boccaccio
;
ma
gli
scrittori
in
quella
età
non
ebbero
tanta
fiducia
di
se
stessi
né
tanta
superbia
.
Il
che
si
dimostra
in
primo
luogo
dal
disputare
che
si
fece
subito
intorno
alla
lingua
,
la
quale
avendo
taccia
,
di
bassezza
non
era
,
autorevole
bastantemente
sulla
nazione
;
era
un
dialetto
venuto
su
quando
una
spinta
maravigliosa
fu
data
agli
ingegni
,
ma
senza
corredo
di
scienza
bastante
.
Sentìano
mancare
all
'
efficacia
della
lingua
l
'
arte
del
dire
;
in
quella
età
noi
cerchiamo
la
potenza
della
parola
e
della
frase
,
ma
non
vi
troviamo
bastante
evidenza
dei
costrutti
,
e
l
'
orditura
dei
periodi
si
dimostra
per
lo
più
timida
o
intralciata
.
Questo
sentivano
gli
scrittori
,
massimamente
poi
quando
ebbero
assaggiato
gli
autori
latini
:
Filippo
Villani
(
nel
Proemio
)
tace
di
Giovanni
,
e
di
Matteo
suo
padre
dice
avere
egli
usato
«
lo
stile
che
a
lui
fu
possibile
;
apparecchiando
materia
a
più
dilicati
ingegni
d
'
usare
più
felice
e
più
alto
stile
»
.
Né
avrebbe
il
Boccaccio
al
nostro
idioma
fatto
la
violenza
ch
'
egli
fece
,
so
non
avesse
egli
nella
prosa
creduto
trovarlo
come
giacente
e
da
cercare
altrove
i
modi
e
le
forme
a
dargli
grandezza
.
Le
varie
parti
della
coltura
non
avendo
le
uno
con
lo
altre
avuto
in
Italia
proporzione
sufficiente
,
quei
primi
sommi
parve
,
si
alzassero
come
giganti
per
virtù
propria
,
dopo
sé
lasciando
un
intervallo
per
cui
le
lettere
cominciassero
un
altro
corso
dove
i
primi
gradi
già
fossero
stati
con
inverso
ordine
preoccupati
.
Il
che
nelle
arti
belle
non
avvenne
,
e
quindi
poterono
esse
regolatamente
salire
alla
loro
perfezione
:
ma
le
lettere
invece
di
Giotto
ebbero
subito
Michelangelo
,
terrore
agli
altri
piuttosto
che
guida
;
ed
il
Boccaccio
avendo
trovato
la
lingua
già
bene
adulta
ma
inesperta
,
la
fece
andare
per
mala
via
:
il
solo
Petrarca
più
degli
altri
fortunato
,
lasciò
dietro
sé
lunga
e
prospera
discendenza
.
Avvenne
per
questa
mala
sorte
che
la
lingua
innanzi
di
farsi
e
di
tenersi
donna
e
madonna
come
si
conveniva
a
tali
uomini
ed
a
tale
popolo
,
non
bene
osasse
distaccarsi
dal
latino
che
stava
siccome
suo
legittimo
signore
,
talché
all
'
italiano
si
diede
per
grazia
l
'
umile
titolo
di
volgare
.
Né
questa
ignobile
appellazione
cessava
col
volger
dei
tempi
,
le
traduzioni
dal
latino
s
'
intitolavano
volgarizzamenti
ed
anche
oggi
quel
che
si
scrive
da
noi
letterati
diciamo
scrivere
in
volgare
,
Dio
ce
lo
perdoni
.
Ma
quando
pei
cercatori
dei
libri
classci
il
latino
fu
ogni
cosa
,
e
chi
non
facesse
di
quello
il
suo
unico
studio
ebbe
nome
d
'
uomo
senza
lettere
;
allora
alla
lingua
stata
compagna
,
dei
loro
affetti
mandarono
i
dotti
il
libello
del
ripudio
,
anzi
fu
cacciata
via
come
la
serva
quando
torna
la
matrona
.
Sarebbe
al
Poggio
ed
ai
suo
pari
sembrato
vergogna
scrivere
italiano
,
onde
egli
scriveva
latine
le
Istorie
dei
tempi
suoi
e
le
Lettere
e
perfino
le
Facezie
.
I
poveri
scritti
di
chi
aveva
narrato
le
cose
come
le
aveva
fatte
,
si
traducevano
in
latino
perché
si
acquistassero
un
poco
di
stima
.
Né
Pico
Della
Mirandola
fu
il
primo
che
dicesse
mancare
le
cose
al
Petrarca
e
a
Dante
le
parole
;
questi
era
stato
già
tempo
innanzi
vituperato
come
sciupatore
del
bello
classico
da
Niccolò
Niccoli
erudito
raccoglitore
di
vecchi
libri
,
che
lui
chiamava
(
così
almeno
lo
fanno
parlare
)
«
poeta
da
fornai
e
da
calzolaj
»
,
perché
non
seppe
né
bene
intendere
Virgilio
né
avviarsegli
dietro
pei
compi
floridi
della
poesia
(
Leonardi
Aretini
Dialog
.
I
Ad
Petrum
Istrum
.
Fu
già
stampato
a
Basilea
,
ed
è
manoscritto
nella
Laurenziana
)
.
Più
tardi
Cristoforo
Landino
,
che
fra
tutti
difese
la
lingua
toscana
e
la
usava
felicemente
,
sentenziò
pure
«
ch
era
mestieri
essere
latino
chi
vuole
essere
buono
toscano
»
(
Orazione
di
Cristoforo
Landino
,
Firenze
,
1853
)
.
Encomia
l
'
industria
che
Leon
Battista
Alberti
pose
a
trasferire
in
noi
l
'
eloquenza
dei
latini
;
né
certo
si
vuole
togliere
merito
a
siffatto
uomo
,
né
a
Matteo
Palmieri
né
ad
altri
lodati
con
lui
:
ma
fatto
è
poi
che
seguitare
nell
'
italiano
le
norme
latine
come
essi
fecero
,
tolse
loro
di
essere
letti
mai
popolarmente
,
così
che
si
giacquero
per
lungo
tempo
come
dimenticati
,
ed
oggi
guardandoli
a
fine
di
studio
ne
pare
di
leggere
una
lingua
morta
.
Cotesti
almeno
erano
uomini
educati
ai
buoni
studi
:
ve
n
'
erano
altri
d
'
ingegno
più
rozzo
,
i
quali
per
volere
essere
eloquenti
in
verso
ed
in
prosa
,
cercando
norme
all
'
italiano
fuori
di
se
stesso
,
facevano
certi
pasticci
di
lingua
,
né
latina
né
volgare
,
la
quale
usciva
come
per
singhiozzi
,
che
Dio
ce
ne
scampi
;
di
che
strani
esempi
potrei
allegare
se
fosse
qui
luogo
.
Ma
vale
fra
tutti
quello
di
Giovanni
Cavalcanti
,
autore
di
Storie
fiorentine
a
mezzo
il
quattrocento
:
non
fu
senza
ingegno
,
e
dove
narrando
le
cose
interne
della
repubblica
descrive
gli
umori
o
riferisce
i
parlari
dei
cittadini
,
dice
il
fatto
suo
con
evidenza
sovente
felice
;
ma
,
quando
vuol
essere
ornato
o
facondo
e
soprattutto
nelle
descrizioni
,
tenendo
dietro
agli
esempi
dei
latini
non
bene
letti
o
non
bene
intesi
,
diventa
oltremodo
fastidioso
per
lungaggini
e
peggio
ancora
per
l
'
ambizione
dei
falsi
colori
:
costui
che
avrebbe
potuto
essere
buon
cronista
,
fu
dall
'
abuso
dei
precetti
che
allora
correvano
condotto
ad
essere
malo
istorico
.
Così
andarono
le
cose
nella
repubblica
delle
lettere
fino
a
Lorenzo
dei
Medici
e
al
Poliziano
;
questi
certamente
mostrò
nelle
Stanze
scritte
da
lui
a
venticinque
anni
e
poi
non
finite
,
una
squisita
forma
di
poesia
che
annunziava
già
i
tempi
nuovi
di
cui
può
dirsi
prima
e
gentile
apparizione
.
Cionondimeno
quell
'
uomo
stesso
faceva
latini
poi
finché
visse
i
versi
e
le
prose
fino
al
racconto
della
Congiura
dei
Pazzi
,
fatto
domestico
e
tremendo
al
quale
era
stato
in
mezzo
e
che
tante
passioni
doveva
destargli
nell
'
animo
.
Nella
poesia
il
Poliziano
pareva
trovarsi
più
in
casa
sua
quando
scriveva
latino
:
più
imitatore
in
quelle
stanze
di
fina
bellezza
che
s
'
era
arrischiato
egli
a
scrivere
italiane
.
Lorenzo
dei
Medici
si
scusa
d
'
avere
in
lingua
volgare
commentato
i
suoi
Sonetti
,
tale
quale
come
Dante
se
n
'
era
scusato
dugent
'
anni
prima
.
Ma
nulla
dunque
si
era
fatto
in
quei
dugent
'
anni
quanto
all
'
uso
della
nostra
lingua
?
S
'
era
fatto
molto
ed
ogni
giorno
si
faceva
;
ma
il
male
stava
in
ciò
che
tale
uso
procedeva
bipartito
,
essendo
pel
naturale
andamento
suo
più
cólto
nei
popoli
ma
insieme
più
guasto
nei
libri
.
Un
assai
grande
numero
di
lettere
scritte
nel
quattrocento
furono
in
questi
anni
pubblicate
,
e
ne
abbiamo
noi
vedute
molte
manoscritte
;
e
molte
tratte
dagli
Archivi
di
Firenze
sono
allegate
nel
grande
Vocabolario
.
Ora
le
lettere
familiari
danno
sempre
l
'
espressione
più
naturale
e
più
immediata
del
vivo
parlare
,
e
chi
le
raffrontiad
altre
più
antiche
le
troverà
scritte
in
modo
che
annunzia
lingua
più
adulta
e
più
conforme
a
quella
che
poi
fu
la
moderna
italiana
lingua
.
Ma
nei
libri
stessi
umili
in
quel
secolo
,
sebbene
pallido
ne
sia
lo
stile
,
pure
il
discorso
procedeva
meglio
ordinato
e
più
finito
e
più
somigliante
ed
acuto
già
fatto
;
ma
non
però
bello
quanto
promettevano
le
grazie
e
il
fuoco
delle
età
prime
.
Io
pure
grido
,
studiamo
il
trecento
,
secolo
che
aveva
in
sé
certamente
quella
potenza
che
più
non
ebbe
la
lingua
nostra
;
ma
vero
è
poi
che
di
tutte
le
nazioni
gli
antichi
scrittori
si
riveriscono
come
vecchi
intanto
che
si
amano
come
fanciulli
;
si
ammirano
per
la
ingenuità
loro
e
per
la
forza
,
ma
non
si
saprebbe
né
si
vorrebbe
per
l
'
appunto
scrivere
a
quel
modo
.
Tuttociò
avviene
sempre
e
dappertutto
;
ma
fu
a
noi
tristo
privilegio
che
la
lingua
o
si
dovesse
o
si
credesse
dovere
attingere
dal
trecento
,
quasiché
in
essa
il
corso
del
tempo
facesse
il
vuoto
o
altro
non
avesse
fatto
che
guastarla
.
Negli
ultimi
anni
del
quattrocento
aveva
la
lingua
dunque
per
se
medesima
progredito
quanto
a
una
struttura
più
regolare
,
ma
dall
'
essere
usata
poco
e
trascuratamente
nei
libri
,
pareva
e
anche
oggi
a
noi
pare
,
in
fatto
essere
decaduta
da
ciò
che
ella
era
nel
secolo
precedente
.
Lorenzo
de
'
Medici
,
il
Landino
ed
altri
dicono
spesso
alla
lingua
nostra
essere
mancati
gli
uomini
e
lo
stile
di
chi
la
usasse
;
il
che
fu
vero
quanto
allo
scriverla
come
abbiamo
qui
sopra
notato
;
ma
fu
anche
vero
quanto
al
parlare
questa
lingua
in
modo
che
fosse
norma
ed
esempio
agli
scrittori
:
su
questo
punto
conviene
ora
,
un
poco
fermarsi
.
Mi
sovviene
avere
una
volta
udito
il
Foscolo
dire
nell
'
impeto
del
discorso
che
«
la
lingua
nostra
non
era
stata
mai
parlata
»
nella
quale
enfasi
di
parola
pare
a
me
stesse
il
germe
di
un
vero
che
ora
si
svolge
sotto
agli
occhi
nostri
.
Ma
il
campo
non
era
libero
a
quel
tempo
,
e
si
disputava
chi
avesse
ragione
se
il
Cesari
purista
,
o
il
Cesarotti
licenzioso
,
o
il
Perticari
con
quella
sua
lingua
che
stava
per
aria
.
Oggi
il
Manzoni
sgombrando
quel
campo
ha
dato
a
noi
terreno
fermo
col
fare
consistere
nell
uso
ogni
cosa
:
né
chi
voglia
uscire
da
quella
dottrina
può
stare
sul
vero
.
Ma
se
a
dire
lingua
si
dice
qualcosa
fuori
d
'
iena
,
semplice
nomenclatura
,
e
se
invece
si
tenga
essere
l
espressione
di
tutto
il
pensare
d
'
un
popolo
colto
,
certo
è
che
gli
usi
di
questa
lingua
sono
diversi
(
quanto
diverse
le
relazioni
cui
deve
servire
;
e
che
in
ciascuna
,
oltre
all
'
essere
disuguale
il
numero
delle
parole
che
si
adoprano
,
varia
è
anche
la
scelta
di
queste
parole
:
al
che
si
aggiunga
(
e
ciò
è
capitale
)
che
oltre
alle
parole
,
le
frasi
e
il
giro
e
i
collocamenti
di
esse
o
la
contestura
del
periodo
ed
in
certi
suoi
elementi
la
forma
di
tutto
il
discorso
che
sempre
ha
del
proprio
e
del
distinto
in
ogni
nazione
,
tutte
queste
cose
fanno
insieme
la
lingua
di
quella
nazione
.
So
che
la
lingua
in
tal
modo
intesa
dovrebbe
piuttosto
chiamarsi
linguaggio
,
ma
so
che
a
distinguere
con
secco
rigore
l
'
una
dall
'
altra
,
queste
due
parole
,
starebbe
la
lingua
tutta
intera
nei
vocabolari
dov
'
ella
si
giace
come
cosa
morta
.
Sotto
questo
aspetto
bisogna
pur
dire
che
la
lingua
che
si
parla
differisce
in
molte
sue
forme
dalla
lingua
che
si
scrive
,
secondo
che
variano
parlando
o
scrivendo
gli
intendimenti
,
le
volontà
ed
in
qualche
modo
lo
stato
degli
animi
in
chi
mette
fuori
il
suo
pensiero
,
e
in
chi
lo
ascolta
presente
o
deve
poi
da
sé
leggerlo
sulla
carta
.
Per
esempio
,
nella
rapidità
del
discorso
familiare
non
sempre
avviene
fare
periodi
che
stieno
in
gambe
come
suol
dirsi
,
perché
in
tal
caso
alla
intelligenza
molti
aiuti
provvedono
,
e
la
parola
come
alterata
da
una
concitazione
d
'
affetti
ne
diventa
spesso
più
efficace
.
Chiaro
esprimeva
questo
pensiero
Giovan
Battista
Gelli
nella
Prefazione
d
'
una
sua
Commedia
stampata
in
Firenze
l
'
anno
1550
:
«
Altra
lingua
è
quella
che
si
scrive
ne
le
cose
alte
e
leggiadre
,
e
altra
è
quella
che
si
parla
familiarmente
;
sì
che
non
sia
alcuno
che
creda
che
quella
nella
quale
scrisse
Tullio
,
sia
quella
che
egli
par
-
lava
giornalmente
»
,
questo
dice
il
Gelli
,
né
intendevano
del
comun
parlare
coloro
che
innanzi
di
lui
scrivevano
essere
mancati
gli
uomini
alla
lingua
(
Landino
,
Proemio
al
Commento
sulla
Divina
Commedia
)
Ma
se
poi
si
guardi
non
più
al
discorso
familiare
,
sibbene
a
quello
di
chi
parla
solo
ed
a
bell
'
agio
e
non
interrotto
,
in
faccia
ad
un
pubblico
o
ad
una
qualsiasi
radunanza
;
allora
il
linguaggio
s
'
avvicina
molto
allo
scrivere
,
di
cui
ben
fu
detto
non
essere
altro
che
un
pensato
parlare
:
nondimeno
chi
ponga
mente
per
non
dire
altro
al
tempo
elle
mette
generalmente
più
lungo
in
questo
pensare
l
'
uomo
che
scrive
di
colui
che
parla
,
non
che
al
discorso
che
n
'
esce
fuori
;
noterà
essere
delle
differenze
per
cui
la
parola
scritta
è
meno
viva
sempre
di
quella
ch
'
esce
parlando
quanto
mai
si
possa
pensatamente
.
Si
vede
nei
libri
quando
l
'
autore
poco
avvezzo
a
dire
le
cose
,
va
cercando
ed
esse
una
forma
che
si
adatti
ai
libri
:
nei
Greci
antichi
e
nei
Latini
ci
si
fa
innanzi
sempre
l
'
oratore
.
Imperocché
allo
scrivere
con
efficacia
è
grande
aiuto
l
'
uso
del
parlare
,
dove
uno
s
'
addestra
a
certo
artifizio
cui
più
di
rado
pervengono
le
scritture
,
dico
quella
distribuzione
sagace
di
concisione
e
di
abbondanza
e
di
facilità
e
di
sostenutezza
,
e
quei
colori
appropriati
a
'
luoghi
secondo
richiedono
i
varii
argomenti
e
le
diverse
parti
dell
'
orazione
:
s
'
imparano
queste
cose
dagli
effetti
che
in
altrui
produce
la
nostra
parola
.
Laonde
a
chi
scrive
manca
una
scuola
molto
essenziale
quando
egli
non
abbia
la
mente
già
instrutta
in
quelle
forme
per
cui
si
esprimono
parlando
le
cose
che
egli
vuole
scrivere
.
la
quale
mancanza
che
fu
in
Italia
,
dai
tempi
antichi
e
si
protrasse
poi
nei
moderni
,
ha
dato
spesso
ai
nostri
libri
certa
aridità
solenne
la
quale
ebbe
nome
di
stile
accademico
.
Da
questo
vizio
salvò
i
Francesi
la
conversazione
,
la
quale
fu
ad
essi
come
una
sorta
di
vita
pubblica
e
informò
lo
scrivere
in
ogni
qualsiasi
più
grave
argomento
;
talché
gli
scrittori
nel
tempo
medesimo
che
ne
acquistavano
maggior
vita
,
divennero
anche
più
facilmente
e
più
generalmente
popolari
,
così
da
esercitare
nella
lingua
qual
maestrato
il
quale
ha
bisogno
la
lingua
medesima
che
venga
dai
libri
.
Questa
,
sorta
di
maestrato
quale
si
sia
,
disse
tanto
bene
Vito
Fornari
in
un
recente
suo
libretto
,
chi
'
io
farei
torto
al
mio
concetto
se
non
lo
esprimessi
con
le
medesime
sue
parole
.
«
Se
egli
è
giusto
il
dire
che
il
linguaggio
non
istà
tutto
negli
scrittori
,
non
si
vorrà
per
questo
affermare
che
si
trovi
intero
fuori
degli
scrittori
.
Certi
fatti
mentali
,
e
certe
più
fine
relazioni
e
determinazioni
del
pensiero
,
non
si
vedono
distintamente
e
non
vengono
significate
,
se
non
quando
si
scrive
,
cosicché
alcuna
piccola
parte
de
'
vocaboli
o
molta
parte
de
'
modi
di
dire
o
de
'
costrutti
non
si
può
imparare
altrove
che
nelle
scritture
»
(
Lettera
stampata
nel
Propugnatore
,
Bologna
,
1869
)
.
Per
essere
in
questo
modo
imperfetta
la
lingua
nostra
poté
nel
secolo
di
cui
scriviamo
essere
accusata
«
di
viltà
e
non
capace
o
degna
di
alcuna
eccellente
materia
e
subietto
»
,
come
attesta
Lorenzo
de
'
Medici
in
quel
commento
del
quale
abbiamo
poc
'
anzi
discorso
.
Bene
egli
l
'
assolse
da
tale
accusa
,
con
argomenti
di
ragione
e
con
gli
esempi
di
Dante
e
del
Petrarca
e
del
Boccaccio
.
Ma
quasi
non
fossero
per
sé
valevoli
quegli
esempi
,
afferma
al
suo
tempo
essere
la
lingua
«
tuttora
nella
adolescenza
perché
ognora
più
si
fa
elegante
e
gentile
.
E
potrebbe
facilmente
nella
gioventù
e
adulta
età
sua
venire
ancora
in
maggiore
perfezione
,
tanto
più
se
il
Fiorentino
impero
venisse
ad
ampliarsi
e
a
distendersi
maggiormente
»
(
Proemio
al
Commento
sulle
Canzoni
)
;
pensiero
nel
quale
stavano
adombrati
,
ma
certo
assai
timidamente
,
il
male
e
il
rimedio
.
Tali
erano
dunque
le
condizioni
di
questa
lingua
negli
ultimi
anni
del
quattrocento
;
l
'
abbiamo
veduta
per
l
'
andamento
suo
naturale
progredire
nelle
sue
più
familiari
ed
umili
forme
,
o
nella
opinione
dei
letterati
intanto
scadere
.
Ma
ricorrendo
ora
col
pensiero
per
tutto
quello
che
si
è
fin
qui
scritto
,
abbiamo
noi
ed
avrà
chi
legge
,
dovuto
accorgersi
che
il
discorso
nostro
non
v
'
era
mai
stato
caso
che
uscisse
fuori
dei
confini
della
Toscana
.
Di
ciò
cagione
fu
la
mancanza
non
dirò
intera
ma
poco
meno
,
di
libri
o
scritture
in
lingua
italiana
usciti
dalle
altre
provincie
d
'
Italia
.
Volere
discernere
se
dalla
cultura
dei
primi
Toscani
uscisse
la
lingua
o
dalla
lingua
la
colture
,
somiglierebbe
troppo
l
'
antica
lite
di
precedenza
che
fu
tra
l
'
ovo
e
la
gallina
;
poiché
la
lingua
essendo
una
materiale
determinazione
dei
pensieri
e
degli
affetti
che
si
produssero
dentro
a
quel
popolo
che
la
forma
,
diviene
strumento
che
rende
capace
quel
popolo
a
nuove
produzioni
del
pensiero
e
a
viepiù
estendere
la
sua
coltura
.
Oltrediché
una
lingua
è
monca
e
dappoco
finch
'
ella
non
abbia
la
sua
finitezza
negli
usi
letterarii
,
cioè
finché
non
sia
capace
ad
esprimere
le
cose
pensate
fuori
del
continuo
uso
e
prima
ordinate
dalla
lenta
opera
degli
intelletti
,
finché
non
abbia
insomma
prodotto
dei
libri
.
Ciò
avvenne
in
Toscana
subito
dopo
al
1230
,
prima
di
quel
tempo
dovendosi
credere
non
bene
compita
questa
moderna
favella
come
Dante
la
chiamava
.
Ma
ebbe
ad
un
tratto
scrittori
in
buon
numero
,
e
si
cominciò
a
tradurre
in
lingua
volgare
gli
autori
latini
;
tanta
fiducia
ebbe
acquistata
allora
il
pensiero
in
quella
sua
nuova
e
giovane
forma
.
E
furono
gli
anni
nei
quali
Firenze
,
divenuta
possente
ad
un
tratto
,
si
rivendicava
in
libertà
,
fondava
una
repubblica
popolare
,
pigliava
in
Italia
egemonia
delle
città
guelfe
,
diveniva
maestra
delle
Arti
e
produceva
il
libro
di
Dante
.
La
lingua
latina
come
noi
l
'
abbiamo
era
il
portato
di
una
solenne
elaborazione
del
pensiero
la
quale
si
fece
dentro
a
Roma
stessa
,
sovrapponendosi
alla
forma
latina
che
aveva
quivi
il
parlare
dei
greco
-
italici
:
nata
nel
fôro
e
nel
Senato
o
già
sovrana
sul
Campidoglio
,
si
distendeva
per
tutta
Italia
come
lingua
insieme
politica
e
letteraria
;
discesa
quindi
nelle
Basiliche
dei
cristiani
,
divenne
propria
della
religione
.
Nacque
il
volgare
nel
modo
stesso
ma
con
effetti
dissomiglianti
dentro
ad
un
popolo
d
'
artisti
,
ed
ebbe
tosto
una
letteratura
che
per
due
secoli
manteneva
l
'
impronta
in
se
stessa
.
della
città
che
l
'
avea
formata
.
In
quella
stavano
per
due
secoli
tutte
le
lettere
italiane
;
ma
perché
s
'
intenda
come
le
altre
provincie
nulla
a
quel
moto
partecipassero
,
vorremmo
che
studi
maggiori
si
facessero
sopra
i
vari
dialetti
d
'
Italia
,
mostrando
per
quali
più
lenti
passi
si
conducessero
anch
'
essi
ad
avere
scrittori
che
fossero
da
contare
oggi
tra
gli
Italiani
.
Allora
si
vedrebbe
fino
a
qual
punto
ciò
conseguissero
per
via
d
'
imprestiti
sopra
i
libri
d
'
autori
toscani
,
ma
né
potevano
questo
fare
né
il
farlo
sarebbe
stato
sufficiente
finché
i
dialetti
più
inferiori
avessero
tutta
serbata
l
'
antica
loro
povertà
.
E
rozzezza
.
Era
il
toscano
in
fine
dei
conti
un
italiano
più
compiuto
e
più
determinato
,
più
omogeneo
in
se
stesso
e
più
latino
,
perché
il
parlare
dell
'
antica
plebe
a
questo
più
affine
,
aveva
,
in
se
stesso
trovato
la
forma
della
lingua
nuova
a
cui
si
era
più
presto
condotto
.
Nello
altre
provincie
più
era
da
fare
,
e
quello
che
si
fece
,
rimase
dialetto
perché
le
misture
avevano
in
sé
troppo
forti
discordanze
;
i
suoni
,
gli
accenti
sempre
non
erano
italiani
.
A
mezzo
il
dugento
uno
scrittore
pugliese
Matteo
Spinelli
da
Giovinazzo
,
avrebbe
prima
dal
Malespini
in
una
sua
Cronaca
mostrato
esempio
di
lingua
italiana
che
poi
rimaneva
lungamente
solitario
.
Né
un
tale
fatto
io
seppi
mai
come
spiegarmi
:
se
non
che
adesso
da
un
erudito
tedesco
viene
accertato
,
la
Cronaca
del
pugliese
non
essere
altro
che
una
falsificazione
fatta
tre
secoli
dopo
;
il
che
era
facile
sospettare
dal
dettato
corrente
più
che
non
sia
quello
dell
'
ispido
Malespini
,
e
dove
si
scorge
sopra
una
forma
tutta
moderna
spruzzate
parole
e
desinenza
napoletane
da
chi
a
quel
gioco
s
'
era
dilettato
(
Bernardi
,
Dissertazione
,
ecc
.
,
Berlino
,
1868
)
.
Gran
tempo
corse
prima
e
uscissero
da
quello
provincie
e
meno
ancora
dalle
settentrionali
,
libi
di
prosa
scritti
in
una
lingua
la
quale
non
fosse
come
rinchiusa
nel
natio
dialetto
.
Ne
abbiamo
esempio
in
quella
vita
di
Cola
di
Rienzo
la
quale
fu
scritta
dal
romano
Fortifiocca
dopo
alla
metà
del
trecento
.
Qui
perché
siamo
nella
Italia
media
,
la
penna
corre
facile
e
sciolta
;
ma
tanto
è
ivi
del
romanesco
,
tanto
le
alterazioni
dei
suoni
e
quelle
che
a
tutto
il
resto
d
'
Italia
infino
d
'
allora
comparivano
brutture
,
da
porre
quel
libro
fuori
del
registro
dei
libri
italiani
.
Quanto
alle
letterefamiliari
un
maggiore
studio
sarebbe
da
farne
secondo
i
tempi
e
le
provincie
,
ma
,
per
via
d
'
esempio
,
quelle
clic
abbiamo
degli
Sforza
irte
e
stentate
,
fanno
contrasto
alle
bellissime
elle
allora
e
prima
scrivevano
l
'
Albizi
e
altri
Commissari
fiorentini
(
Commissioni
di
Rinaldo
degli
Albizzi
,
vol
.
I
,
2
,
Firenze
.
Il
terzo
è
in
corso
di
stampa
)
Le
cronache
in
lingua
italiana
ma
di
autori
non
toscani
che
si
hanno
dalla
metà
,
del
XIV
fino
verso
la
fine
del
XV
secolo
nulla
c
insegnano
di
quello
che
importi
al
nostro
proposito
,
perché
il
Muratori
che
lo
pubblicava
badando
ai
fatti
e
non
volendo
ml
oscurarli
con
le
rozzezze
dei
dialetti
,
né
tener
dietro
alle
ignoranze
dei
copisti
,
tradusse
(
com
'
egli
accennava
nelle
prefazioni
)
coteste
Cronache
nella
lingua
comune
al
suo
tempo
.
Generalmente
però
è
da
notare
che
appartengono
all
'
Italia
media
o
alla
Venezia
,
poche
estendendosi
verso
il
mezzogiorno
:
in
quelle
provincie
la
lingua
italiana
si
era
formata
più
(
l
'
accordo
con
se
stessa
per
la
maggiore
affinità
che
era
tra
'
popoli
primitivi
,
e
poté
quindi
salire
al
grado
di
lingua
scritta
più
presto
che
non
potessero
quelle
dov
'
erano
popoli
usciti
di
razza
celtica
od
iberica
.
Lo
versioni
dei
romanzi
di
cavalleria
generalmente
scritti
in
lingua
francese
,
dovrebbe
cercarsi
se
alle
volte
non
appartenessero
ai
luoghi
dov
'
ebbe
maggiore
entrata
questo
idioma
.
Tutto
ciò
vorrei
che
gli
eruditi
ci
dichiarassero
,
pigliando
esempio
dalla
non
mai
infingarda
curiosità
degli
uomini
tedeschi
.
Ma
si
tenga
a
monte
come
tra
l
'
uso
della
poesia
e
quello
della
prosa
le
cose
andassero
in
modo
diverso
.
La
poesia
lirica
fu
italiana
dai
suoi
primordi
e
si
mantenne
:
da
Ciullo
d
'
Alcamo
siciliano
al
Guinicelli
bolognese
ed
al
Petrarca
un
andamento
sempre
uniforme
la
conduceva
fino
al
sommo
della
perfezione
per
una
via
che
rimase
sempre
l
'
istessa
nel
corso
dei
secoli
.
Emancipatasi
dal
latino
prima
della
prosa
,
fa
in
essa
più
certo
l
'
uso
della
lingua
ed
ebbe
consenso
che
l
'
altra
non
ebbe
:
quindi
noi
troviamo
che
in
sulla
fine
del
quattrocento
v
'
era
una
lingua
nazionale
della
poesia
,
che
nulla
ha
per
noi
né
d
'
antiquato
né
di
provinciale
;
il
che
non
può
dirsi
dei
libri
di
prosa
.
Ma
quello
era
il
tempo
nel
quale
in
Europa
non
che
in
Italia
pareano
le
cose
pigliare
un
essere
tutto
nuovo
;
ciascuna
nazione
d
'
allora
in
poi
ebbe
la
propria
sua
lingua
più
o
meno
perfetta
,
ma
in
tutto
recata
a
foggia
moderna
.
Era
un
procedere
naturale
,
ma
che
in
Italia
più
vivo
che
altrove
,
doveva
estendersi
dappertutto
:
le
minori
città
meno
chiuse
in
se
medesime
poiché
avevano
perduto
ciascuna
,
la
fiera
indipendenza
municipale
,
si
aggregavano
alle
grandi
,
e
l
'
una
con
l
'
altra
più
si
mescolavano
;
la
vita
più
agiata
voleva
relazioni
più
frequenti
,
gli
Stati
col
farsi
più
vasti
creavano
nuovi
centri
di
cultura
,
le
corti
ambivano
essere
accademie
.
Intanto
lo
studio
classico
diffuso
per
tutta
l
'
Italia
valeva
molto
a
correggere
quei
volgari
ch
'
erano
rimasti
infino
allora
meno
latini
;
dal
fondo
di
ciascun
dialetto
cavava
lo
studio
dei
libri
classici
una
forma
,
la
quale
applicata
all
'
uso
colto
di
quei
dialetti
,
faceva
quest
uso
naturalmente
essere
più
italiano
e
più
capace
di
trarre
a
sé
quella
finitezza
che
prima
avevano
acquistata
i
soli
libri
dei
Toscani
:
venivano
i
suoni
a
farsi
più
molli
,
più
agevole
certa
speditezza
di
costrutti
;
molte
proprietà
di
lingua
che
i
Toscani
avevano
appreso
dall
'
uso
antico
tra
loro
,
gli
altri
imparavano
dal
latino
.
Notava
sapientemente
il
Tommaseo
come
le
etimologie
sieno
più
assai
che
non
si
crederebbe
mantenute
dall
'
uso
del
popolo
non
che
da
quello
dei
grandi
scrittori
:
ciò
era
in
Toscana
più
spesso
che
altrove
;
negli
altri
dialetti
gli
uomini
colti
le
ritrovavano
qualche
volta
per
lo
studio
dell
'
antico
latino
e
quindi
le
riconducevano
nei
libri
.
A
questo
modo
il
latino
ch
era
stato
impedimento
allo
scrivere
dei
Toscani
,
condusse
nelle
altre
provincie
i
dialetti
a
meglio
rendersi
italiani
.
In
questo
tempo
era
trovata
la
stampa
,
dal
che
la
parola
aveva
acquistato
come
un
nuovo
organo
a
diffondersi
.
In
tutti
i
tempi
fino
allora
ed
in
tutti
i
luoghi
chi
si
metteva
a
scrivere
un
libro
sapeva
bene
che
sarebbe
andato
in
mano
di
pochi
;
cercavano
quindi
il
loro
teatro
a
così
dire
nella
posterità
:
di
qui
è
che
i
libri
ne
uscivano
più
pensati
e
meno
curanti
di
essere
popolari
;
questo
vantaggio
hanno
i
libri
classici
e
quindi
più
servono
alla
disciplina
del
pensiero
.
Mia
lasciando
stare
queste
cose
,
gli
autori
toscani
,
eccetto
i
poeti
,
scrivevano
fino
allora
per
la
provincia
loro
,
né
credeano
essere
intesi
nelle
altre
:
quindi
è
che
i
libri
che
apparissero
meritevoli
venivano
tradotti
in
lingua
latina
per
dare
ad
essi
,
così
dicevano
,
maggiore
divulgazione
.
Quando
poi
si
cominciò
a
stampare
(
com
è
naturale
)
quei
libri
ch
erano
più
cercati
,
ebbe
il
Petrarca
la
prima
edizione
l
'
anno
1470
,
e
la
ebbe
il
Boccaccio
nel
tempo
medesimo
;
nel
1472
tre
non
delle
non
maggiori
città
d
'
Italia
si
onoravano
pubblicando
ciascuna
il
Poema
di
Dante
che
usciva
a
Napoli
poi
nel
1473
,
ed
aveva
ben
tosto
l
'
aggiunta
,
di
nuovi
commenti
,
ma
in
lingua
latina
.
D
'
altri
toscani
antichi
non
mi
pare
che
avesse
edizioni
in
quei
primi
anni
altri
che
il
Cavalca
sparsamente
per
l
'
Italia
ma
per
tutte
quasi
le
varie
sue
opere
;
e
oltre
lui
pochi
degli
ascetici
:
stamparono
questi
perché
erano
i
soli
elle
avessero
faina
allora
in
Italia
.
Nel
mentre
che
autori
delle
altre
provincie
pubblicavano
commentato
in
lingua
latina
il
libro
di
Dante
,
un
toscano
che
da
principio
soleva
scrivere
latina
ogni
cosa
,
Cristoforo
Landino
,
poneva
le
mani
a
stenderne
un
molto
ampio
commento
in
lingua
italiana
.
Di
già
i
vecchi
commentatori
del
trecento
pareano
a
lui
essere
un
poco
antiquati
ed
io
per
me
credo
che
senza
la
stampa
non
avrebbe
egli
pensato
un
lavoro
il
quale
intendeva
riuscisse
,
come
ora
si
direbbe
,
popolare
.
Lo
stesso
Landino
avea
pubblicato
l
'
anno
1476
una
versione
dell
'
Istoria
naturale
di
Plinio
,
dov
'
entra
un
numero
stragrande
di
voci
;
questa
ed
il
Commento
che
fu
stampato
nel
1481
io
credo
non
poco
servissero
agli
scrittori
tuttora
inesperti
che
ebbero
in
quei
libri
un
esemplare
di
lingua
vivente
ma
non
toscana
soverchiamente
,
perché
il
Landino
per
antico
abito
disdegnava
quei
modi
di
scrivere
che
a
lui
sapessero
di
plebeo
.
Nello
stesso
anno
1481
usciva
il
Morgante
di
Luigi
Pulci
,
e
insieme
i
tre
libri
non
poco
servirono
a
rendere
meglio
familiare
l
'
uso
dello
scrivere
in
lingua
comune
.
Imperocché
il
Pulci
che
sollevava
l
'
ottava
rima
dalla
pesantezza
del
Boccaccio
e
dalle
bassezze
degli
altri
,
scrittore
di
vena
copiosa
e
facile
,
ha
in
sé
qualcosa
quanto
alla
lingua
,
di
meglio
compito
nella
struttura
del
discorso
,
di
più
andante
nei
periodi
,
qualcosa
insomma
di
più
avanzato
e
più
universale
di
quello
che
fosse
generalmente
negli
autori
del
trecento
e
che
annunzia
maggiore
coltura
.
Lorenzo
de
'
Medici
e
Angiolo
Poliziano
ebbero
fama
e
non
del
tutto
immeritata
come
restauratori
del
buono
scrivere
italiano
.
Lorenzo
promosse
l
'
uso
di
questa
lingua
e
lo
difese
dandone
egli
stesso
in
verso
e
in
prosa
pregiati
esempi
.
Seguendo
il
genio
suo
nativo
che
lo
conduceva
bene
all
'
acquisto
della
grandezza
,
cercò
egli
essere
popolare
;
la
conversazione
lo
avea
formato
più
che
lo
studio
dei
libri
greci
e
de
'
latini
che
a
lui
erano
passatempo
:
si
atteneva
quindi
assai
di
buon
grado
all
'
uso
fiorentino
in
quelle
minori
poesie
,
le
quali
o
sacre
o
sollazzevoli
,
bramava
che
fossero
cantate
dal
popolo
;
facea
versi
anche
po
'
contadini
.
Per
tutto
questo
meritò
bene
della
lingua
più
ancora
che
non
facesse
il
classico
Poliziano
il
quale
insegnava
a
trarre
la
forma
della
poesia
italiana
dai
greci
autori
e
dai
latini
.
Finiva
il
secolo
,
e
la
lingua
toscana
pareva
che
già
s
'
avviasse
a
farsi
italiana
.
Alle
altre
provincie
secondo
che
divenivano
più
cólte
,
non
bastava
l
'
uso
di
quei
volgari
plebei
a
cui
rimase
nome
di
dialetti
;
perché
a
cotesto
uso
mancavano
spesso
non
che
le
voci
per
cui
si
esprimono
idee
non
pensate
dagli
uomini
rozzi
,
ma
più
ancora
le
frasi
o
locuzioni
e
il
giro
e
la
forma
di
quel
discorso
più
condensato
che
si
chiama
scelto
,
più
breve
e
rapido
perché
cerca
comprendere
un
maggior
numero
d
'
idee
;
forma
che
serve
generalmente
a
chi
si
mette
a
scrivere
un
libro
.
Non
so
che
i
dialetti
fossero
insegnati
nelle
scuole
,
né
che
si
pensasse
molto
a
coltivarli
come
lingua
letteraria
.
Ciò
tanto
è
vero
che
il
fare
libri
nel
dialetto
proprio
agli
autori
non
toscani
cominciò
tardi
e
fu
per
gioco
e
come
una
sorta
di
prova
non
tanto
facile
,
perché
lo
scrittore
deve
in
quel
suo
dialetto
cacciare
e
costringere
le
frasi
e
i
costrutti
ch
'
egli
era
solito
pigliare
da
un
uso
più
colto
e
più
universale
.
Ma
per
contrario
,
quando
nel
primo
tempo
l
'
autore
avvezzo
al
suo
dialetto
voleva
innalzarlo
fino
a
quella
lingua
,
ch
'
era
intesa
da
tutti
,
ne
aveva
in
sé
il
germe
che
la
coltura
vi
avea
già
posto
:
e
il
nuovo
processo
veniva
spontaneo
,
essendo
per
molta
parte
il
compimento
di
quell
'
antico
suo
parlare
.
È
stato
già
detto
che
a
scrivere
bene
in
lingua
italiana
,
la
meglio
è
cercarla
in
ciascuno
nel
fondo
del
suo
dialetto
,
perché
a
correggere
o
a
dirozzare
questo
si
vede
uscirne
fuori
quella
lingua
,
comune
di
cui
la
lingua
toscana
già
diede
agli
altri
dialetti
la
forma
e
che
n
'
è
il
fiore
e
la
perfezione
.
Ma
questi
dialetti
poiché
non
bastavano
a
quell
'
uso
più
ampio
e
più
scelto
,
chiunque
,
volesse
parlare
o
scrivere
in
tal
modo
,
non
poteva
pigliarne
le
forme
da
un
altro
dialetto
,
perché
non
s
'
intendono
questi
fra
loro
;
poteva
bene
da
quel
linguaggio
e
da
quell
'
uso
più
accettabile
universalmente
,
che
vivo
in
Toscana
corregge
da
per
tutto
i
plebei
parlari
perché
più
italiano
di
ciascuno
d
'
essi
.
Ciò
veramente
poteva
in
qualche
parte
dirsi
opera
di
traduzione
,
ma
non
di
quella
che
si
fa
pigliando
parole
e
forme
da
lingua
straniera
;
e
questo
fu
il
caso
di
quei
primi
non
toscani
,
i
quali
sul
finire
del
secolo
XV
cominciarono
a
scrivere
libri
in
lingua
toscana
.
Vorremmo
allegare
qui
alcuni
di
quelli
sparsi
documenti
che
a
noi
fu
lecito
di
raccogliere
da
varie
provincie
d
'
Italia
,
se
fosse
qui
luogo
a
minute
ricerche
o
se
quelle
che
abbiamo
fatte
ci
apparissero
comprendere
tutta
la
vasta
materia
.
Crediamo
però
che
i
pochi
esempi
sieno
conferma
di
quello
che
abbiamo
sopra
accennato
quanto
alla
difficoltà
che
avevano
maggiore
o
minore
le
altre
provincie
a
farsi
nello
scrivere
italiane
,
secondo
le
varie
qualità
delle
misture
ch
'
erano
entrate
in
ciascun
dialetto
.
Abbiamo
un
Testamento
politico
di
Ludovico
il
Moro
scritto
sulla
fine
del
quattrocento
in
lingua
milanese
che
vorrebb
'
essere
italiana
(
Documenti
di
storia
italiana
,
copiati
a
Parigi
da
G
.
Molini
,
tom
.
I
in
fine
)
;
e
nella
città
stessa
abbiamo
l
'
istoria
di
Bernardino
Corio
che
finisce
al
primo
entrare
del
secolo
susseguente
:
qui
sembra
il
dialetto
nascondersi
affatto
,
ma
lo
stile
duro
e
faticato
ha
proprio
l
aspetto
d
'
un
nuovo
e
non
sempre
felice
sforzo
che
l
'
autore
fece
usando
una
lingua
che
tutti
leggessero
.
Questa
,
e
l
'
istoria
napoletana
di
Pandolfo
Collenuccio
da
Pesaro
credo
sieno
i
primi
libri
dove
il
toscano
fosse
cercato
da
scrittori
non
toscani
:
il
Corio
di
molto
sopravanzò
l
'
altro
per
la
materia
,
ma
il
Pesarese
più
franco
e
sicuro
in
quanto
alla
lingua
,
scrive
anche
in
modo
assai
più
scorrevole
.
Generalmente
gli
uomini
più
meridionali
e
su
su
venendo
quelli
della
sponda
dell
'
Adriatico
,
si
erano
prima
fidati
più
degli
altri
al
natio
dialetto
così
da
usarlo
anche
nello
scrivere
.
I
Veneziani
,
etruschi
d
'
origine
,
come
hanno
dialetto
meno
degli
altri
discordante
,
così
lo
usarono
sebbene
con
qualche
temperamento
sino
al
finire
della
repubblica
nelle
arringhe
che
si
facevano
in
Senato
o
nella
sala
del
Gran
Consiglio
,
tanto
che
v
'
era
un
'
eloquenza
in
veneziano
,
quale
non
credo
che
fosse
nemmeno
in
Firenze
dove
il
Gran
Consiglio
durò
poco
e
prima
era
scarso
l
uso
del
parlare
in
modo
solenne
.
La
vita
e
la
lingua
qui
erano
nel
popolo
,
da
cui
venivano
come
a
scuola
gli
scrittori
quando
al
principio
del
cinquecento
l
'
urto
straniero
ci
ebbe
insegnato
a
rendere
cose
quanto
si
poteva
nazionali
,
la
vita
almeno
civile
e
la
lingua
.
Pochi
anni
prima
di
quel
tempo
Fra
Girolamo
Savonarola
venuto
giovane
da
Ferrara
dove
il
parlare
aveva
qualcosa
del
veneto
,
cominciò
in
Firenze
a
predicare
.
«
Da
principio
diceva
ti
e
mi
,
di
che
gli
altri
Frati
si
ridevano
»
(
Cambi
,
Storia
di
Firenze
,
anno
1498;
sta
nelle
Delizie
,
ecc
.
del
P
.
Ildefonso
)
.
Divenne
poi
grande
oratore
avendo
appreso
qui
la
correttezza
e
la
proprietà
della
favella
,
senza
mai
troppo
cercare
addentro
nell
'
uso
più
familiare
di
questo
popolo
Fiorentino
.
Dal
quale
poi
trasse
non
poco
un
altro
Ferrarese
,
l
'
Ariosto
,
ma
con
quel
fino
e
squisito
gusto
ch
'
era
a
lui
proprio
;
e
se
io
dovessi
dire
quali
autori
allora
o
poi
meglio
adoprassero
nelle
scritture
quell
'
idioma
che
solo
era
degno
di
essere
nazionale
,
porrei
senza
fallo
il
nome
dell
'
Ariosto
accanto
a
quelli
di
due
Toscani
,
che
sono
il
Berni
ed
il
Machiavelli
.
Lo
scrivere
andante
si
poteva
bene
imparare
anche
da
due
poeti
come
questi
,
perciò
infine
la
lingua
della
poesia
viene
dalla
lingua
della
prosa
,
di
cui
non
è
altro
che
un
uso
più
libero
.
Cosi
alla
fine
questo
volgare
che
aveva
data
ne
'
suoi
primordii
una
promessa
poco
attenuta
,
che
fu
negletto
per
oltre
un
secolo
,
o
rinnegato
da
chi
teneva
il
latino
essere
tuttavia
l
'
idioma
illustre
della
nazione
,
questo
volgare
divenne
allora
quel
che
non
era
ma
prima
stato
,
lingua
italiana
.
A
questo
effetto
andavano
tutte
insieme
le
cose
allora
in
Italia
:
già
la
coltura
diffondendosi
agguagliava
presso
a
poco
l
intera
nazione
ad
un
comune
livello
,
intantoché
le
armi
forestiere
distruggevano
in
un
con
le
forze
provinciali
e
cittadine
quanto
nei
piccoli
Stati
soleva
in
antico
essere
di
splendore
e
di
bellezza
;
l
'
idea
,
nazionale
che
allora
spuntava
cominciò
a
farsi
strada
nella
lingua
.
Ma
era
troppo
tardi
:
gli
ingegni
fiorivano
,
le
lettere
e
le
arti
toccavano
il
colmo
,
l
Italia
insegnava
alle
altre
nazioni
fino
alle
eleganze
e
alle
corruttele
della
vita
;
possedeva
una
esperienza
accumulata
d
uomini
e
di
cose
tale
che
una
piccola
città
italiana
aveva
in
corso
più
idee
che
non
fossero
allora
in
tutto
il
resto
d
'
Europa
;
di
scienza
politica
ve
n
'
era
anche
troppa
.
Ma
quando
poi
sopravvennero
i
tempi
duri
,
questo
tanto
sfoggiare
d
'
ingegni
non
approdò
a
nulla
,
perché
le
volontà
in
Italia
,
erano
o
guaste
o
consumate
dall
'
abuso
,
o
vôlte
a
male
.
Quegli
anni
che
diedero
i
grandi
scrittori
passarono
in
mezzo
a
guerre
straniere
dove
gli
Italiani
da
sé
nulla
fecero
,
nulla
impedirono
;
e
come
ne
uscisse
acconcia
l
'
Italia
non
occorre
dire
.
Dopo
le
guerre
o
dopo
i
primi
trent
'
anni
del
cinquecento
,
erano
i
tempi
ed
il
pensare
ed
il
sentire
di
questa
nazione
tanto
mutati
da
mostrare
il
vuoto
che
era
sotto
a
quella
civiltà
splendida
ma
incompiuta
;
da
quelli
anni
in
poi
calava
il
nostro
valore
specifico
(
se
dirlo
sia
lecito
)
,
e
il
nostro
livello
a
petto
alle
altre
nazioni
d
'
Europa
venne
a
discendere
ogni
giorno
.
Mancò
nel
pensiero
,
perché
era
mancato
prima
nella
vita
,
l
'
incitamento
ad
ogni
cosa
che
non
fosse
chiusa
dentro
ad
un
cerchio
molto
angusto
;
manco
la
fiducia
che
all
uomo
deriva
dall
aperto
consentire
insieme
di
molti
:
v
'
era
in
Italia
poco
da
fare
.
Né
ai
tanti
padroni
che
aveva
essa
dentro
andava
,
a
genio
che
si
facesse
,
ma
già
la
stanchezza
o
una
mala
sorta
d
'
incuranza
disperata
menavano
all
'
ozio
,
interrotto
solamente
da
quelle
passioni
che
non
hanno
scusa
nemmen
dal
motivo
;
la
conversazione
tra
gente
svogliata
o
avvilita
o
malcontenta
non
pigliava
vigore
né
ampiezza
dai
gravi
argomenti
;
i
libri
meno
che
per
l
innanzi
andavano
al
fondo
nelle
cose
della
vita
:
dice
il
Fornari
molto
bene
che
«
tra
'
letterati
e
lettori
non
v
'
era
in
Italia
quella
comunicazione
intima
e
piena
»
per
cui
la
vita
,
la
lingua
,
le
lettere
tra
loro
s
'
ajutano
.
Noi
crediamo
che
nei
libri
qualcosa
debba
essere
che
sia
imparata
fuori
dei
libri
,
perché
altrimenti
lo
scrivere
viene
quasi
a
pigliare
la
forma
d
'
un
gergo
necessariamente
arido
e
meno
efficace
,
da
cui
s
'
aliena
,
il
comune
dei
lettori
.
Ciò
avvenne
bentosto
in
Italia
,
e
fu
in
quel
tempo
quando
la
lingua
più
si
voleva
rendere
universale
e
n
'
era
essa
stessa
,
divenuta
più
capace
avendo
perdute
allora
le
asprezze
d
'
un
uso
ristretto
,
e
nel
diffondersi
la
coltura
avendo
acquistato
migliore
esercizio
nelle
arti
della
composizione
.
Ma
giusto
in
quel
tempo
questa
lingua
per
certi
rispetti
più
accuratamente
scritta
,
fu
meno
parlata
;
e
la
parola
meno
di
prima
fu
espressione
di
forti
pensieri
ed
autorevoli
e
accetti
a
molti
:
vennero
fuori
i
letterati
,
sparve
il
cittadino
;
scrivea
per
il
pubblico
chi
nella
,
vita
non
era
avvezzo
parlare
ad
altri
che
alla
sua
combriccola
:
quindi
l
'
eloquenza
cercò
appropriarsi
all
'
uso
delle
accademie
le
quali
erano
una
sorta
di
sparse
chiesuole
.
Mancò
alla
lingua
,
un
centro
comune
perché
mancava
alla
nazione
:
ne
avevano
entrambe
lo
stesso
bisogno
che
appunto
allora
cominciò
ad
essere
più
sentito
,
sebbene
in
modo
confuso
ed
incerto
;
nulla
si
poteva
quanto
alla
nazione
,
rimedii
alla
lingua
si
cercavano
in
più
modi
,
varii
,
discordanti
e
quasi
a
tentone
.
Un
snodo
semplice
vi
sarebbe
stato
,
ed
era
l
'
attingere
copiosamente
da
quel
dialetto
ch
'
era
il
più
finito
;
ma
questo
invece
di
tenere
sugli
altri
l
'
impero
,
vedeva
in
quel
tempo
scadere
non
poco
o
farsi
dubbia
,
l
'
autorità
sua
.
Al
solo
pregio
della
lingua
molti
sdegnavano
ubbidire
:
condizioni
tutte
differenti
sarebbonsi
allora
volute
in
Italia
perché
tante
voci
,
tante
locuzioni
,
tante
figure
con
l
acquistare
sanzione
solenne
potessero
farsi
moneta
corrente
pel
comune
uso
degli
scrittori
.
Avrebbe
la
sede
naturale
della
lingua
dovuto
almeno
stare
in
alto
cosicché
tutte
le
parti
d
'
Italia
a
quella
guardassero
,
e
che
al
toscano
fossero
toccate
lo
condizioni
dell
'
idioma
parigino
;
«
perché
il
toscano
(
dice
il
Manzoni
da
pari
suo
)
faceva
dei
discepoli
fuori
dei
suoi
confini
,
il
francese
si
creava
dei
sudditi
;
quello
era
offerto
,
questo
veniva
imposto
»
.
A
questo
modo
solamente
potea
l
'
ossequio
delle
altre
provincie
essere
necessario
o
inavvertito
,
perché
non
venissero
tra
'
letterati
a
sorgere
le
contese
che
nate
una
volta
non
hanno
mai
fine
.
Se
(
come
fu
detto
)
lo
stile
è
l
'
uomo
,
la
lingua
può
dirsi
che
sia
la
nazione
:
quindi
all
'
esservi
una
linguaggio
bisognava
,
ci
fosse
una
Italia
,
né
altrimenti
poteva
cessare
l
'
eterna
lagnanza
che
il
linguaggio
scritto
si
allontanasse
troppo
dai
modi
che
si
adoprano
favellando
;
né
bene
potesse
fare
sue
le
grazie
e
gli
ardimenti
del
volgar
nostro
,
il
quale
da
molti
ignorato
ebbe
anche
taccia
,
di
abbietto
e
triviale
(
Alcune
parole
di
questo
discorso
erano
scritte
fino
dal
1826
,
e
sono
stampate
negli
Atti
dell
Accademia
della
Crusca
)
.
Cotesta
accusa
molto
antica
tutti
parevano
confermare
contro
alla
povera
nostra
lingua
,
che
ci
avea
colpa
meno
di
tutti
.
Poco
badando
all
uso
vivo
,
nelle
scuole
di
lettere
insegnavano
per
tutta
Italia
dopo
ai
latini
quei
pochi
autori
toscani
che
allora
fossero
conosciuti
,
cercando
alla
meglio
di
mettere
insieme
su
questi
esemplari
una
sorta
di
linguaggio
comune
che
fosse
atto
alle
scritture
.
Un
letterato
molta
solenne
,
Gian
Giorgio
Trissino
da
Vicenza
,
poneva
in
credito
il
linguaggio
illustre
con
la
versione
da
lui
fatta
del
libro
De
Vulgari
Eloquio
;
Baldassarre
Castiglione
mantovano
,
uomo
e
scrittore
di
bella
fama
,
sebbene
dichiari
la
lingua
essere
una
consuetudine
,
biasima
l
'
andare
sulle
pedate
dei
toscani
sia
vecchi
,
sia
nuovi
:
sentenziò
il
Bembo
che
l
'
antica
lingua
stava
nel
Boccaccio
,
di
cui
gli
piacevano
le
grandi
cadenze
;
tutti
i
chiarissimi
dell
'
Italia
,
per
ben
tre
secoli
dopo
lui
accettarono
la
sentenza
.
Ma
della
comune
popolare
come
in
Firenze
si
parlava
e
si
scriveva
,
niuno
voleva
sapere
:
negli
anni
stessi
del
Bembo
,
cioè
verso
il
1530
,
Marino
Sanudo
scriveva
in
una
lettera
stampata
«
che
Leonardo
Aretino
trasse
(
l
'
Istoria
di
Firenze
)
da
un
Giovanni
Villani
il
quale
scrisse
in
lingua
rozza
,
toscana
»
(
Estratti
del
sig
.
Rawdon
Brown
,
Tomo
III
,
p
.
318
)
.
Il
Bembo
era
il
solo
autore
vivente
di
cui
s
'
innalzasse
non
contestata
l
autorità
:
basta
ciò
solo
a
dimostrare
come
si
vivesse
in
fatto
di
lettere
,
quando
gli
Spagnuoli
furono
rimasti
padroni
d
'
Italia
.
Al
Machiavelli
nella
sua
patri
istessa
nuoceva
la
vita
,
gli
nocque
più
tardi
,
quanto
al
numero
dei
lettori
,
l
'
essere
all
'
Indice
;
l
'
Istoria
,
del
Guicciardini
fu
lasciata
,
stampare
,
ed
anche
mutilata
,
solamente
nel
1561
,
due
anni
dopo
a
che
l
'
Italia
per
grande
accordo
tra
'
potentati
si
può
dire
fosse
bello
e
sotterrata
,
e
quando
la
voce
degli
italiani
ormai
più
non
faceva
,
paura
a
nessuno
(
Nel
1559
il
Trattato
di
Castel
Cambrese
aveva
finito
le
guerre
d
Italia
;
ma
in
quell
anno
stesso
dal
piè
delle
Alpi
si
preparava
il
1859
,
tre
secoli
tondi
e
date
che
importano
la
storia
della
lingua
)
.
Frattanto
era
disputa
più
volte
rinnovata
se
si
dovesse
dire
lingua
italiana
o
toscana
o
fiorentina
:
chi
affermava
la
lingua
essere
in
Firenze
facea
nondimeno
poca
stima
degli
autori
che
ivi
nascessero
;
in
certe
parole
recate
dal
Bembo
si
va
fino
a
dire
che
«
a
scrivere
bene
la
lingua
italiana
,
meglio
è
non
essere
fiorentino
»
.
E
in
questa
medesima
città
noi
vedemmo
quante
incuranze
o
quanti
dispregi
soffrisse
la
lingua
nei
più
eminenti
tra
'
suoi
cultori
:
la
Divina
Commedia
non
vi
ebbe
più
quasi
edizioni
,
e
verso
il
1520
certi
maestri
di
scuola
vietavano
agli
scolari
leggere
il
Petrarca
.
Questa
ed
altre
cose
che
stanno
a
dimostrare
la
confusione
dominante
tra
'
letterati
sono
a
disteso
esposte
in
un
libro
di
qualche
pregio
e
di
molta
noja
che
ha
per
titolo
l
'
Ercolano
;
autore
di
esso
fu
Benedetto
Varchi
il
quale
pel
vario
ingegno
non
ebbe
chi
lo
agguagliasse
dentro
a
quella
età
che
scendeva
.
In
quel
medesimo
suo
libro
si
vede
come
allora
molto
dominassero
i
grammatici
ai
quali
avviene
quel
che
ai
fisiologi
,
perché
entrambi
avvezzi
a
tenere
fermo
il
pensiero
sopra
le
minute
particelle
delle
cose
,
riescono
spesso
corti
o
disadatti
a
quelli
studj
più
comprensivi
che
bene
in
antico
nella
loro
massima
estensione
ebbero
nome
di
umanità
.
Consente
il
Varchi
prudenzialmente
al
Bembo
:
ma
solo
nelle
apparenze
;
confessa
la
lingua
in
Firenze
essere
trascurata
,
ma
vuole
si
cerchi
nel
fondo
dell
'
uso
,
mettendo
egli
fuori
per
via
,
d
'
esempi
gran
copia
di
voci
e
soprattutto
di
locuzioni
familiari
,
dovizie
nascoste
da
farne
a
chi
scrive
ricco
patrimonio
(
Varchi
,
Ercolano
,
Padova
,
1744
,
in
4°
,
pag
.
84
e
segg
.
357
e
segg
.
446
e
segg
.
508
e
in
molti
luoghi
)
.
In
questo
avrebbe
egli
dato
nel
segno
,
né
vi
è
anch
'
oggi
da
fare
di
meglio
,
tantoché
sarebbe
alla
unità
della
lingua
mezzo
utilissimo
un
Vocabolario
com
'
è
proposto
dal
Manzoni
.
Ma
il
guajo
stava
in
ciò
che
non
erano
i
più
di
quei
modi
entrati
abbastanza
nell
'
uso
comune
;
molti
erano
figure
che
un
tempo
ebbero
qualche
voga
,
capricci
d
'
un
popolo
arguto
e
faceto
,
e
spesso
allusioni
a
cose
locali
:
cotesti
Firenze
non
avea
diritto
d
'
imporre
all
'
Italia
.
Inoltre
non
era
,
più
questo
popolo
quello
che
aveva
creato
una
lingua
educatrice
di
tanti
ingegni
;
meno
operando
inventava
meno
,
e
fatto
più
inerte
anche
nell
'
animo
,
i
suoi
discorsi
andavano
spesso
a
cose
da
ridere
.
I
letterati
seguendo
in
queste
nuove
condizioni
l
'
antico
genio
popolare
e
avendo
qui
molto
in
uggia
il
sussiego
recato
dagli
Spagnuoli
,
si
dilettavano
oltre
al
giusto
di
certe
bassezze
da
essi
chiamalo
grazie
della
lingua
:
così
tra
le
bassezze
e
nobiltà
false
viveano
le
lettere
poi
tutto
quel
secolo
.
Ma
dentro
a
quegli
anni
nacque
Galileo
.
Le
scienze
matematiche
e
le
fisiche
hanno
questo
,
che
l
'
uomo
le
pensa
dentro
a
se
medesimo
,
si
tengono
fuori
dal
corso
vivo
degli
umani
eventi
,
e
vanno
da
sé
per
la
via
loro
qualunque
si
sieno
le
cose
all
'
intorno
.
Galileo
che
pure
in
mezzo
all
'
sperimentare
minuto
e
sottile
teneva
lo
sguardo
volto
all
'
universo
,
portò
nella
fisica
,
l
'
ampiezza
d
'
una
filosofia
,
degna
li
questo
nome
,
e
fu
in
secolo
di
decadenza
,
scrittore
sommo
,
perché
al
bell
'
ordine
del
discorso
unisce
la
copia
e
una
dignitosa
naturalezza
.
Continuava
da
cento
anni
in
Firenze
la
scuola
fondata
da
Galileo
e
di
sé
lasciava
traccie
indelebili
nelle
scienze
fisiche
;
da
quella
uscirono
anche
uomini
dotti
nelle
razionali
,
e
assai
le
lettere
se
ne
avvantaggiarono
nella
seconda
metà
del
seicento
.
Ma
quando
la
lingua
,
o
le
idee
francesi
predominarono
e
quando
poi
gli
eccitamenti
nuovi
destarono
gli
animi
degli
Italiani
a
cercare
almeno
in
fatto
di
lingua
l
'
unione
vietata
,
la
Toscana
sofferse
rimproveri
dalle
altre
provincie
quasi
ella
fosse
gelosa
,
ma
inutile
custoditrice
di
quel
tesoro
che
aveva
in
casa
ma
non
lo
adoprava
.
Più
grave
è
fatto
il
nostro
debito
ora
in
tempi
di
sorti
mutate
,
di
sorti
maggiori
ma
più
difficili
a
portare
;
noi
siamo
venuti
ad
esse
non
preparati
,
e
s
'
io
dovessi
quanto
alle
future
condizioni
della
lingua
fare
un
pronostico
,
direi
senz
'
altro
:
la
lingua
in
Italia
sarà
quello
che
sapranno
essere
gli
Italiani
.
StampaPeriodica ,
Noi
siamo
dell
'
ingegno
di
Emilio
Zola
caldissimi
ammiratori
:
e
lo
stimeremmo
anche
più
se
tanto
non
si
stimasse
egli
stesso
.
È
uno
scrittore
felicissimo
,
un
osservatore
acuto
,
nessuno
lo
nega
;
che
i
suoi
libri
,
com
'
egli
pretende
,
sieno
destinati
a
riformare
il
mondo
,
è
lecito
porre
in
dubbio
,
ci
pare
.
Che
gli
Héritiers
Rabourdin
e
il
Bouton
de
Rose
riconducano
,
com
'
egli
afferma
,
la
commedia
alla
profonda
gaiezza
del
Molière
,
è
una
eresia
che
grida
vendetta
al
cospetto
di
Dio
.
Lo
Zola
è
un
artista
:
quando
si
atteggia
a
profeta
e
impone
alla
repubblica
di
essere
naturalista
o
di
non
essere
,
ci
fa
ridere
:
quando
sdegnoso
di
chiamar
le
cose
col
loro
nome
più
modesto
e
più
semplice
battezza
il
taccuino
degli
appunti
:
un
archivio
di
documenti
umani
,
e
l
'
osservare
,
com
'
egli
sa
,
gli
uomini
e
le
cose
,
una
notomia
quotidiana
dell
'
universo
,
ci
fa
pena
:
quando
scarta
con
superbo
dispregio
l
'
Hugo
e
la
Sand
,
ci
fa
stizza
.
Quando
si
vanta
innovatore
,
quasi
egli
avesse
inventato
non
soltanto
lo
studio
del
vero
ma
il
vero
istesso
,
ci
fa
meraviglia
.
Ma
più
d
'
ogni
altra
cosa
ci
spiace
,
lo
diciamo
netto
e
chiaro
,
il
clamore
ch
'
egli
tollera
e
forse
desidera
si
faccia
intorno
al
suo
nome
.
Non
ha
ancor
finito
di
scrivere
un
romanzo
,
e
già
le
bozze
del
primo
capitolo
si
mandano
a
tutti
i
giornali
d
'
Europa
;
e
si
racconta
del
libro
l
'
argomento
e
lo
schema
;
e
nei
crocchi
di
Parigi
si
sussurra
il
nome
vero
dei
personaggi
:
non
quello
del
romanzo
,
quello
dello
stato
civile
.
Detto
ciò
,
ecco
il
sunto
della
Nana
suo
romanzo
nuovo
che
a
Parigi
si
stampa
in
appendice
al
Voltaire
e
in
Italia
nel
Pungolo
,
del
quale
sunto
una
volta
che
è
noto
,
non
debbono
essere
defraudati
i
lettori
di
un
foglio
che
tratta
specialmente
di
letteratura
.
La
protagonista
del
nuovo
romanzo
di
Emilio
Zola
è
nota
a
coloro
che
han
letto
l
'
Assommoir
;
l
'
han
vista
bambina
nella
bottega
di
Gervasia
quando
aveva
dodici
anni
.
Un
giorno
d
'
appetito
Nana
,
che
sa
d
'
esser
bella
,
piglia
l
'
ambulo
e
se
ne
va
in
cerca
di
fortuna
;
a
una
bella
ragazza
la
fortuna
serba
sempre
a
Parigi
molti
favori
;
e
quando
il
romanzo
comincia
Nana
ha
già
fatto
un
bel
pezzo
della
strada
che
mena
ad
ottenerli
.
Dalle
luride
bettole
dell
'
antico
quartiere
latino
,
ai
teatri
de
'
sobborghi
,
da
questi
ai
cafés
chantants
,
e
così
via
via
ella
è
giunta
a
farsi
scritturare
al
teatro
delle
Variétés
,
e
vi
esordisce
in
un
'
operetta
intitolata
la
Blonde
Vénus
,
scritta
apposta
per
lei
;
non
perch
'
ella
dia
prova
del
proprio
ingegno
non
ne
ha
;
ma
sì
per
porgerle
occasione
di
mostrare
al
pubblico
tutto
quel
che
una
donna
può
mostrare
sopra
il
palcoscenico
.
L
'
esito
avanza
il
desiderio
;
e
quando
il
sipario
cala
,
la
fortuna
di
Nana
è
bell
'
e
fatta
.
A
quello
spettacolo
,
da
tanto
tempo
e
con
ogni
sorta
di
malizie
annunziato
dall
'
impresario
per
più
mesi
,
assiste
quanto
v
'
è
di
più
ricco
e
di
più
corrotto
nel
bel
mondo
parigino
.
Nana
che
non
doveva
,
recitando
o
cantando
,
né
commuovere
,
né
divertire
,
ma
solleticare
,
eccitare
,
irritare
i
sensi
degli
spettatori
,
raggiunge
facilmente
l
'
intento
.
Il
giorno
dopo
,
al
caffè
Riche
e
da
Bignon
,
nei
circoli
,
sui
baluardi
non
si
parla
che
di
Nana
.
Essa
ha
ottenuto
il
suo
diploma
:
è
un
'
attrice
stupida
e
ignorante
,
una
cortigiana
desiderata
e
famosa
;
lasciate
passare
un
mese
e
la
ragazza
cenciosa
che
strascicava
seco
,
poco
tempo
innanzi
,
d
'
una
in
un
'
altra
taverna
,
la
propria
fame
e
la
propria
vergogna
,
andrà
al
Bois
de
Boulogne
nella
solita
victoria
,
così
cara
alle
cocottes
,
pagherà
duecento
lire
al
mese
di
salario
al
proprio
cuoco
,
e
venticinquemila
lire
l
'
anno
di
pigione
al
padrone
di
casa
.
Fra
i
molti
spettatori
,
alla
massima
parte
dei
quali
non
è
conceduto
altro
che
il
mirare
e
il
bramare
,
è
un
ciambellano
dell
'
imperatore
,
marito
d
'
una
donna
bella
e
cortese
,
padre
di
bambini
svegli
,
robusti
,
affettuosi
;
costui
s
'
innamora
di
Nana
.
S
'
innamora
non
è
forse
qui
la
parola
che
ci
vuole
;
il
sentimento
non
c
'
entra
per
nulla
;
sono
i
sensi
che
si
scatenano
;
di
guisa
che
quest
'
uomo
di
alto
lignaggio
,
culto
,
legato
per
vincoli
di
parentela
o
per
antica
amicizia
alle
più
doviziose
,
alle
più
illustri
famiglie
della
Francia
,
pur
d
'
avere
un
posto
non
nel
cuore
,
ma
nella
camera
di
Nana
,
diviene
lo
schiavo
suo
,
si
sottopone
a
tutte
le
umiliazioni
,
si
prostra
nella
più
abietta
delle
servitù
.
Sa
che
Nana
lo
tradisce
,
sa
che
ella
aiuta
più
d
'
un
figliuolo
di
famiglia
a
mangiare
il
patrimonio
,
eppure
non
ha
la
forza
di
lasciarla
;
consente
a
non
oltrepassare
la
porta
della
casa
di
lei
che
in
certe
date
ore
;
se
non
la
trova
in
casa
,
l
'
aspetta
persuaso
,
convinto
che
ella
intanto
corre
ad
altri
amori
.
Né
basta
:
intanto
che
egli
,
il
ciambellano
,
entra
in
casa
di
Nana
,
qualcun
'
altro
entra
in
casa
sua
.
Ed
egli
finge
di
non
avvedersene
perché
nulla
lo
distragga
o
lo
disturbi
,
perché
egli
possa
in
pace
pensare
alla
voluttà
che
lo
aspetta
,
e
gustarla
tranquillo
e
tranquillo
godere
nel
ricordarla
.
La
cortigiana
,
nel
cui
petto
si
destano
un
giorno
sentimenti
di
mite
dolcezza
,
desideri
di
affetto
e
di
pace
,
fu
soggetto
di
parecchi
tra
drammi
e
romanzi
:
lasciamo
stare
il
teatro
indiano
;
ma
chi
non
ricorda
la
Dame
aux
camélias
?
[...]
.
Anche
Nana
si
innamora
;
stanca
di
agitazioni
,
sazia
di
godimenti
,
fugge
da
Parigi
con
un
giovinetto
di
vent
'
anni
,
si
veste
di
lana
,
diventa
massaja
.
Ma
a
guastare
l
'
idillio
,
[
...
]
,
sopraggiunge
il
fratello
del
giovinetto
,
per
sottrarlo
alle
seduzioni
che
lo
circondano
e
restituirlo
alla
famiglia
che
lo
aspetta
temendo
e
piangendo
.
E
come
avviene
talvolta
che
chi
va
a
soccorrere
il
naufrago
,
s
'
annega
egli
stesso
,
così
il
nuovo
venuto
è
sedotto
alla
sua
volta
.
Nana
cede
:
e
il
giovinetto
atrocemente
deluso
,
geloso
per
la
facile
vittoria
del
proprio
fratello
,
si
uccide
.
Nana
non
è
scientemente
cattiva
;
fa
il
male
per
spensieratezza
e
per
consuetudine
;
e
quando
torna
su
sé
stessa
interroga
la
coscienza
,
riconosce
la
propria
colpa
e
se
ne
duole
;
salvo
,
s
'
intende
,
a
far
peggio
il
giorno
dopo
.
E
della
colpa
sua
,
che
è
stata
cagione
di
tanto
grave
sventura
,
si
pente
,
e
chiude
,
per
far
penitenza
,
l
'
uscio
in
faccia
a
tutti
gli
adoratori
.
Il
rinsavimento
dura
poco
;
non
avvezza
a
sopportare
in
santa
pace
la
malinconia
,
cerca
chi
la
distragga
,
chi
la
diverta
:
un
istrione
volgarmente
faceto
la
fa
ridere
?
basta
perch
'
ella
divenga
sua
,
e
consenta
a
ritornare
sotto
il
braccio
di
lui
in
que
'
caffè
,
in
quelle
bettole
che
già
la
videro
pezzente
,
nota
soltanto
agli
avventori
pezzenti
al
pari
di
lei
e
ai
delegati
di
pubblica
sicurezza
.
Ma
la
bohème
non
ha
durevoli
attrattive
per
chi
salì
in
più
spirabil
aere
:
Je
n
'
aime
plus
que
ce
qui
est
bon
,
dice
Rodolfo
a
Marcello
nel
romanzo
del
Mürger
Nana
dopo
un
po
'
di
tempo
esperta
de
'
lazzi
dell
'
istrioncello
non
sa
più
che
farsi
di
lui
e
dell
'
ambiente
in
cui
egli
vive
non
ne
vuoi
più
sapere
.
E
torna
gloriosa
e
trionfante
sopra
la
scena
:
più
gloriosa
e
più
trionfante
di
prima
,
perché
una
donna
che
possa
vantarsi
di
aver
mangiato
delle
diecine
di
milioni
,
ridotte
alla
miseria
delle
diecine
di
persone
,
e
visto
suicidarsi
per
i
suoi
begli
occhi
un
adolescente
pieno
di
candore
e
di
speranze
,
non
si
trova
a
tutte
le
cantonate
.
E
Parigi
plaude
al
ritorno
:
e
un
autore
in
voga
scrive
una
fiaba
dov
'
ella
avrà
la
parte
fatta
apposta
per
lei
,
dove
,
muta
,
pubblicherà
sul
palco
le
venali
forme
irraggiate
dalla
luce
elettrica
[
...
]
!
Un
banchiere
le
compra
un
palazzo
:
ella
ci
convita
il
bel
mondo
a
feste
,
a
balli
,
dei
quali
parlano
ammirate
le
gazzette
;
chi
si
rovina
per
lei
,
chi
si
uccide
,
chi
uccide
.
Il
vecchio
Giove
parrà
oramai
uno
spilorcio
:
la
pioggia
d
'
oro
che
Danae
mirò
,
è
un
nulla
rispetto
a
quella
che
cade
ogni
giorno
attorno
a
Nana
.
Oh
!
fortuna
!
Oh
!
gloria
!
...
Lea
e
Maria
Blond
avevano
detronizzato
Gaga
;
Nana
,
mostrandosi
,
aveva
fatto
dimenticare
Lea
e
Maria
Blond
.
Un
'
altra
cortigiana
,
bella
del
pari
,
sorgerà
a
deviare
i
desideri
,
a
distrarre
le
bramosie
.
Sorge
difatti
,
e
una
bella
mattina
Nana
si
sveglia
senza
un
soldo
,
senza
amanti
,
senza
ammiratori
.
Tanta
fu
la
ressa
che
le
si
fece
dattorno
quanto
ora
è
l
'
oblio
in
cui
la
pongono
.
Nessuna
simpatia
ha
sopravvissuto
alle
molte
e
fiere
passioni
destate
da
lei
.
Povera
,
quando
appunto
credeva
che
i
molti
agi
non
dovessero
aver
fine
,
le
annunziano
un
giorno
che
un
suo
bambino
da
lei
messo
in
pensione
a
Batignolles
e
che
andava
a
vedere
di
quando
in
quando
a
tempo
avanzato
,
è
preso
dal
vaiuolo
.
Ella
,
fatta
dalla
disgrazia
e
dalla
povertà
meno
insensibile
,
corre
a
vegliarlo
e
soccombe
al
contagio
della
terribile
malattia
.
Così
divenuta
famosa
nel
1867
,
Nana
muore
giovanissima
nel
1870
,
in
quei
giorni
appunto
nei
quali
si
fanno
i
preparativi
della
guerra
e
la
presunzione
francese
grida
per
le
vie
:
A
Berlino
!
a
Berlino
!
Tale
è
lo
schema
del
nuovo
romanzo
di
Emilio
Zola
e
somiglia
allo
schema
di
cento
altri
romanzi
.
E
questo
importa
poco
:
chi
ha
letto
i
libri
di
lui
,
sa
che
il
loro
pregio
maggiore
è
nei
particolari
dei
quali
non
si
può
giudicare
neanche
dal
più
largo
sunto
che
oggi
ci
offrono
i
giornali
francesi
e
che
noi
abbiamo
dovuto
,
per
mancanza
di
spazio
,
restringere
.
Il
Wolf
,
che
degli
scrittori
del
Figaro
è
il
più
competente
in
questa
materia
,
e
che
ha
letto
il
romanzo
,
afferma
che
mai
lo
Zola
nella
dipintura
dei
caratteri
fu
così
vero
,
così
scultorio
:
e
che
la
descrizione
de
'
diversi
ambienti
traverso
ai
quali
passa
la
protagonista
di
questo
triste
libro
è
degna
di
qualsivoglia
grandissimo
artista
.
Noi
a
questo
facilmente
crediamo
:
ma
sorridiamo
di
coloro
i
quali
vengono
fuori
a
cantarci
che
il
libro
ha
un
'
altissima
portata
sociale
,
come
quello
nel
quale
la
miseria
che
si
vendica
dell
'
opulenza
,
è
rappresentata
in
una
ragazza
plebea
che
porta
il
lutto
,
la
ruina
e
la
morte
nelle
case
dei
gaudenti
e
dei
ricchi
!
...
Quanta
pompa
di
parole
,
mio
Dio
!
...
Trent
'
anni
fa
la
Musette
di
Enrico
Mürger
diceva
:
Non
ha
un
figliuolo
quel
milionario
?
Piglio
l
'
impegno
di
metterlo
sulla
paglia
in
un
mese
!
...
E
nessuno
pensava
che
l
'
amante
di
Schaunard
proponesse
di
compiere
una
vendetta
sociale
!
StampaPeriodica ,
Leopardi
tornato
di
Bologna
in
Recanati
gli
undici
di
novembre
del
1826
vi
dimorò
sino
al
23
aprile
del
1827
.
Cosa
fece
in
questo
tempo
?
Curò
la
stampa
del
suo
Petrarca
,
lavorò
intorno
alla
Crestomazia
,
oltre
cose
di
minor
momento
.
Appena
fu
in
Recanati
,
già
desiderava
Bologna
.
Il
17
dicembre
scriveva
al
Brighenti
:
«
sento
qui
un
poco
men
freddo
che
a
Bologna
,
di
corpo
;
ma
d
'
animo
ho
un
freddo
,
che
mi
ammazza
,
e
ogni
ora
mi
par
mille
di
fuggir
via
.
»
Quel
freddo
dell
'
animo
era
la
tristezza
di
una
«
solitudine
continua
e
assoluta
,
»
come
scrive
il
9
febbraio
.
E
s
'
aiuta
,
scrivendo
lettere
,
o
qualche
articolo
per
il
Nuovo
Ricoglitore
,
cercando
spesso
notizie
letterarie
,
ricordando
con
desiderio
gli
amici
e
le
amiche
di
Bologna
,
sopratutto
il
Brighenti
e
il
buon
Pepoli
e
l
'
amorosa
Antonietta
Tommasini
.
S
'
affaticò
tanto
intorno
alla
Crestomazia
,
che
a
'
primi
di
marzo
aveva
già
fatto
lo
spoglio
di
oltre
settanta
autori
.
Aggiungi
le
correzioni
di
stampa
delle
Operette
morali
che
il
fido
Stella
pubblicava
in
Milano
.
E
se
si
pon
mente
che
qualche
dolcezza
gli
dovea
pur
venire
dall
'
usanza
domestica
,
volendo
egli
un
gran
bene
alla
Paolina
e
a
Carlo
,
e
che
di
salute
non
era
male
,
cessatogli
anche
quel
mal
d
'
intestini
che
lo
travagliava
a
Bologna
;
si
vede
che
quel
suo
freddo
d
'
animo
e
quella
sua
tristezza
di
solitudine
non
si
deve
poi
prendere
alla
lettera
.
Potea
ben
sentirsi
tristo
in
certi
momenti
;
ma
la
tristezza
non
era
il
suo
stato
normale
in
quel
soggiorno
di
Recanati
.
E
si
vede
anche
dallo
stile
sciolto
e
ricordevole
,
se
non
affettuoso
,
ch
'
è
nelle
sue
lettere
.
Di
una
qualche
importanza
sono
le
due
ultime
lettere
che
tutta
quella
compagnia
di
letterati
ch
'
erano
intorno
al
Vieusseux
,
e
di
cui
dice
:
sono
tutti
molto
sociali
,
e
generalmente
pensano
e
valgono
assai
più
de
'
bolognesi
.
Tra
quelli
era
Giordani
e
Piccolini
e
Frullani
e
Capponi
e
Lambruschini
e
Montani
.
Più
tardi
conobbe
il
signor
Manzoni
,
col
quale
si
trattenne
a
lungo
:
«
Uomo
pieno
di
amabilità
e
degno
della
sua
fama
.
»
Impressioni
molto
vive
non
pare
che
riceva
dalle
amichevoli
e
interessanti
conversazioni
,
di
cui
non
è
cenno
nemmeno
ai
più
famigliari
.
Dice
a
Brighenti
:
«
Io
vivo
molto
malinconico
,
non
ostante
le
molte
gentilezze
usatemi
da
questi
letterati
:
tra
'
quali
tutti
i
primarii
,
compreso
Niccolini
.
Scrive
al
papà
che
ha
fatto
conoscenza
e
amicizia
col
famoso
Manzoni
di
Milano
,
della
cui
ultima
opera
tutta
l
'
Italia
parla
.
Esposizione
secca
del
fatto
,
quasi
egli
fosse
marmo
,
quantunque
indovini
la
sua
soddisfazione
della
visita
del
Niccolini
,
e
della
conoscenza
col
Manzoni
.
Questo
stato
marmoreo
è
detto
dall
'
autore
stoico
de
'
Dialoghi
indifferenza
filosofica
,
ed
è
quel
medesimo
che
giovane
,
quando
sentiva
più
,
chiamava
con
disperata
energia
ferreo
sopore
.
Talora
se
ne
stanca
,
e
presente
e
chiama
la
morte
.
«
Sono
stanco
della
vita
,
scrive
al
Puccinotti
,
stanco
della
indifferenza
filosofica
,
che
è
il
solo
rimedio
de
'
mali
e
della
noia
,
ma
che
infine
annoia
essa
medesima
.
Non
ho
altri
disegni
,
altre
speranze
che
di
morire
.
»
Il
ferreo
sopore
era
pur
poetico
,
perché
congiunto
con
la
fresca
rimembranza
di
un
altro
stato
,
e
col
sentimento
e
il
dolore
della
privazione
.
L
'
indifferenza
filosofica
è
affatto
prosaica
,
divenuta
un
'
abitudine
contro
la
noia
,
ed
essa
medesima
noiosa
.
In
qualche
momento
d
'
umor
nero
Leopardi
si
ribella
contro
l
abitudine
,
sente
il
peso
dell
'
indifferenza
,
e
può
dire
:
«
certo
è
che
un
morto
passa
la
sua
giornata
meglio
di
me
.
Quel
passar
la
giornata
con
le
braccia
in
croce
,
quell
'
ozio
più
tristo
assai
della
morte
,
a
cui
lo
costringe
il
mal
d
'
occhi
,
è
talora
più
forte
della
sua
indifferenza
filosofica
,
e
gli
abbuia
la
vita
,
non
sì
che
gli
dia
virtù
di
farne
una
rappresentazione
poetica
,
come
fece
già
del
ferreo
sopore
.
Ma
in
generale
la
sua
vita
è
tollerabile
,
messe
le
distrazioni
che
gli
venivano
dalle
molte
conoscenze
e
da
'
buoni
amici
,
e
più
in
là
dalla
vista
di
Firenze
,
quando
lo
stato
degli
occhi
gli
consentiva
uscire
di
giorno
.
Nelle
sue
lettere
troviamo
un
umore
uguale
e
prosaico
,
simile
allo
stato
ordinario
della
più
parte
degli
uomini
,
ciò
ch
'
egli
chiama
indifferenza
;
il
quale
gli
vieta
o
gl
'
inaridisce
le
impressioni
,
così
tardo
il
sentire
,
come
è
tardo
il
suo
respiro
e
la
sua
digestione
.
Scrivendo
al
carissimo
signor
Padre
il
4
ottobre
,
sappiamo
che
gli
occhi
sono
migliorati
e
che
comincia
a
uscire
di
giorno
.
Ma
s
'
affanna
pe
'
quartieri
d
'
inverno
,
perché
il
clima
di
Firenze
non
è
molto
freddo
,
ma
è
infestato
continuamente
da
venti
e
da
nebbie
,
come
a
Recanati
,
e
il
vento
è
suo
capitale
nemico
.
Cerca
un
clima
caldo
.
Stella
offre
Como
.
Ma
è
troppo
lontano
.
Pensa
a
Roma
.
Ma
il
lungo
viaggio
e
la
lontananza
dal
mondo
civilizzato
ne
lo
distoglie
.
Si
risolve
per
Massa
di
Carrara
,
clima
ottimo
,
simile
a
quel
di
Nizza
;
non
vi
nevica
mai
,
si
esce
e
si
passeggia
senza
ferraiuolo
,
in
mezzo
alla
piazza
pubblica
crescono
degli
aranci
piantati
in
terra
.
Ma
in
sul
più
bello
muta
pensiero
,
ed
eccolo
a
Pisa
,
spintovi
da
Giordani
,
ch
'
era
tornato
di
colà
contentissimo
.
Partì
da
Firenze
la
mattina
del
9
novembre
,
e
fu
a
Pisa
la
sera
,
viaggio
di
cinquanta
miglia
.
Scrive
alla
Paolina
:
«
Sono
rimasto
incantato
di
Pisa
per
il
clima
:
se
dura
così
,
sarà
una
beatitudine
.
Qui
ho
trovato
tanto
caldo
che
ho
dovuto
gettare
il
ferraiuolo
e
alleggerirmi
di
panni
....
Lung
'
Arno
è
uno
spettacolo
così
bello
,
così
ampio
,
così
magnifico
,
così
gaio
,
così
ridente
,
che
innamora
....
vi
si
passeggia
poi
nell
'
inverno
con
gran
piacere
,
perché
v
'
è
quasi
sempre
un
'
aria
di
primavera
;
vi
brilla
un
sole
bellissimo
tra
le
dorature
de
'
caffé
,
delle
botteghe
piene
di
galanterie
e
nelle
invetriate
de
'
palazzi
e
delle
case
,
tutte
di
bella
architettura
....
un
misto
di
città
grande
e
di
città
piccola
,
di
cittadino
e
di
villereccio
,
un
misto
così
romantico
che
non
ho
mai
veduto
altrettanto
.
A
tutte
le
altre
bellezze
si
aggiunge
la
bella
lingua
.
E
poi
vi
si
aggiunge
che
io
,
grazie
a
Dio
,
sto
bene
,
che
mangio
con
appetito
,
che
ho
una
camera
a
ponente
che
guarda
sopra
un
orto
,
con
una
grande
apertura
tanto
che
si
arriva
a
vedere
l
'
orizzonte
.
»
Queste
impressioni
ripete
,
ora
l
'
una
,
ora
l
'
altra
,
e
quasi
con
le
stesse
parole
,
agli
amici
.
Pisa
è
un
paradiso
,
il
clima
è
divino
.
Il
padre
lo
esortava
a
tornare
in
Recanati
.
Egli
negava
,
descrivendo
la
sua
vita
in
Pisa
«
Qui
non
v
'
è
mai
vento
,
mai
nebbia
:
v
'
è
sempre
ombra
,
e
se
s
'
hanno
giornate
piovose
,
è
ben
difficile
che
non
trovi
un
intervallo
di
tempo
da
poter
passeggiare
.
Infatti
,
dacché
sono
in
Pisa
non
è
passato
giorno
che
io
non
abbia
passeggiato
per
due
in
tre
ore
:
cosa
per
me
necessarissima
,
e
la
cui
mancanza
è
la
mia
morte
;
perché
il
continuo
esercizio
de
'
nervi
e
muscoli
del
capo
,
senza
il
corrispondente
esercizio
di
quelli
delle
altre
parti
del
corpo
,
produce
quello
squilibrio
totale
nella
macchina
,
che
è
la
rovina
infallibile
degli
studiosi
,
come
io
ho
veduto
in
me
per
così
lunga
esperienza
.
Qui
per
tutto
decembre
abbiamo
avuto
ed
abbiamo
una
temperatura
tale
,
che
io
mi
debbo
difendere
dal
caldo
più
che
dal
freddo
.
Oltre
la
passeggiata
del
giorno
,
esco
anche
la
sera
spesso
senza
ferraiuolo
;
leggo
e
scrivo
a
finestre
aperte
.
»
A
Paolina
scrive
:
«
Ho
qui
parecchi
amici
,
e
più
ne
avrei
se
volessi
far
visite
,
perché
da
per
tutto
m
'
è
usata
assai
buona
accoglienza
.
»
In
casa
Cioni
conobbe
il
Colletta
,
e
conobbe
anche
il
Carmignani
,
e
dice
al
padre
:
«
qui
tutti
mi
vogliono
bene
,
e
quelli
che
parrebbe
dovessero
guardarmi
con
più
gelosia
,
sono
i
miei
panegiristi
ed
introduttori
,
e
mi
stanno
sempre
attorno
.
»
Questo
non
vuol
dire
che
a
volta
non
si
lagni
del
mal
di
nervi
,
e
dello
stomaco
e
degli
intestini
,
e
che
trema
da
mattina
a
sera
,
e
che
non
può
studiare
.
All
'
Antonietta
dice
:
«
Questi
miei
nervi
non
mi
lasciano
più
speranza
;
né
il
mangiar
poco
,
né
il
mangiar
molto
,
né
il
vino
,
né
l
'
acqua
,
né
il
passeggiare
le
mezze
giornate
,
né
lo
star
sempre
in
riposo
,
in
somma
,
nessuna
dieta
e
nessun
metodo
mi
giova
.
Non
posso
fissare
la
mente
in
un
pensiero
serio
per
un
solo
minuto
,
senza
sentirmi
muovere
una
convulsione
interna
.
»
Il
cinque
maggio
del
1828
scrive
a
Giordani
:
«
La
mia
vita
è
noia
e
pena
:
pochissimo
posso
studiare
,
e
quel
pochissimo
è
noia
medesimamente
....
la
mia
salute
è
sempre
tale
da
,
farmi
impossibile
ogni
godimento
:
ogni
menomo
piacere
mi
ammazzerebbe
:
se
non
voglio
morire
,
bisogna
ch
'
io
non
viva
.
»
In
questo
modo
di
scrivere
c
'
è
del
nuovo
:
non
sono
le
solite
lamentanze
,
a
cui
l
'
indifferenza
filosofica
toglieva
ogni
colore
;
c
'
è
qui
dentro
il
sospiro
e
la
lacrima
,
c
'
è
la
partecipazione
dell
'
anima
.
Il
perfetto
scrittore
italiano
,
come
Giordani
lo
aveva
preconizzato
,
continua
così
:
«
questo
anno
passato
(
in
Firenze
)
tu
mi
hai
potuto
conoscere
meglio
che
per
l
addietro
:
hai
potuto
vedere
ch
'
io
non
sono
nulla
;
questo
io
ti
aveva
già
predicato
più
volte
;
questo
è
quello
ch
'
io
predico
a
tutti
quelli
che
desiderano
di
aver
notizia
dell
'
esser
mio
.
Ma
tu
non
devi
perciò
scemarmi
la
tua
benevolenza
,
la
quale
è
fondata
sulle
qualità
del
mio
cuore
,
e
su
quell
'
amore
antico
e
tenero
ch
'
io
ti
giurai
nel
primo
fiore
de
'
miei
poveri
anni
,
e
che
ti
ho
serbato
e
ti
serberò
fino
alla
morte
.
E
sappi
,
o
ricordati
,
che
fuori
della
mia
famiglia
,
tu
sei
il
solo
uomo
,
il
cui
amore
mi
sia
paruto
tale
da
servirmene
come
di
un
'
ara
di
rifugiò
,
una
colonna
dove
la
stanca
mia
vita
s
'
appoggia
.
»
Nel
1819
diceva
:
«
io
sono
già
vissuto
,
»
e
scriveva
gl
'
idillii
;
nel
1828
dice
:
«
io
non
sono
nulla
,
»
e
indovini
dalla
forma
insolitamente
colorita
che
già
risorge
,
già
ha
sacrificato
alla
Musa
.
Ci
è
il
sentimento
della
sua
infelicità
,
non
sonnolento
nella
sua
indifferenza
filosofica
,
ma
vivo
e
poetico
,
e
lo
vedi
in
quell
'
amore
tenero
giurato
nel
primo
fiore
de
'
poveri
anni
,
in
quell
'
ara
di
rifugio
,
in
quella
colonna
a
cui
s
'
appoggia
la
stanca
vita
.
Giordani
non
ne
capì
nulla
;
non
capì
che
il
fuoco
dalla
cenere
divampava
,
e
gli
risponde
i
soliti
conforti
.
La
dimora
in
Firenze
,
le
nuove
amicizie
,
le
illustri
conoscenze
,
le
interessanti
conversazioni
,
il
vivo
di
una
lingua
divina
,
non
gli
furono
inutili
,
e
fiorirono
insieme
con
la
salute
sotto
il
dolce
calore
del
clima
pisano
.
Acquista
un
'
alacrità
insolita
.
Messa
da
banda
col
consenso
dello
Stella
l
Enciclopedia
,
non
senza
avere
accumulato
materiali
per
nuovi
lavori
che
gli
giravano
in
mente
,
e
posta
mano
alla
Crestomazia
poetica
,
l
'
ebbe
condotta
a
termine
in
poco
tempo
.
E
insieme
l
'
immaginazione
gli
si
è
svegliata
,
la
facoltà
del
sogno
ritorna
,
il
passato
gli
si
ripresenta
vivo
,
quel
lungo
torpore
ch
'
egli
chiamava
indifferenza
è
cessato
.
I
nervi
lo
molestano
,
ma
il
sangue
circola
più
libero
,
più
vivace
,
tra
quell
'
aria
pura
,
e
gli
rimette
in
moto
tutte
le
sue
facoltà
.
Le
sue
passeggiate
diventano
poetiche
;
la
via
deliziosa
per
la
quale
suole
andare
è
battezzata
dalla
sua
immaginazione
,
è
chiamata
la
via
delle
rimembranze
.
E
così
camminando
sogna
a
occhi
aperti
,
s
'
abbandona
all
'
onda
delle
sue
immaginazioni
,
gli
pare
d
'
esser
tornato
al
suo
buon
tempo
antico
,
come
il
25
febbraio
scrive
alla
Paolina
.
E
il
due
maggio
le
fa
questa
confidenza
:
«
io
ho
finita
oramai
la
Crestomazia
poetica
,
e
dopo
due
anni
ho
fatto
de
'
versi
quest
'
aprile
,
ma
versi
all
'
antica
,
e
con
quel
mio
cuore
d
'
una
volta
.
»
Ciò
che
non
gl
'
impedisce
di
scrivere
tre
giorni
dopo
al
Giordani
quella
trista
lettera
:
«
io
non
sono
nulla
!
»
Leopardi
è
risorto
e
canta
il
suo
risorgimento
.
E
che
è
questo
risorgimento
di
Leopardi
?
Forse
è
divenuto
felice
?
No
.
Anzi
è
più
vivace
la
coscienza
della
sua
infelicità
.
Mancano
,
il
sento
,
all
'
anima
,
Alta
,
gentile
e
pura
La
sorte
,
e
la
natura
Il
mondo
e
la
beltà
.
Forse
gli
volse
un
riso
la
speranza
?
No
.
Anzi
la
sua
trafittura
è
d
'
averla
perduta
per
sempre
Ahi
della
speme
il
viso
Io
non
vedrò
mai
più
.
Sono
mutate
le
sue
idee
sul
mondo
?
L
'
immagine
,
l
errore
sono
non
più
errore
,
ma
cosa
salda
;
sono
la
verità
?
No
.
Dalle
mie
vaghe
immagini
So
ben
ch
'
ella
discorda
,
So
che
natura
è
sorda
,
Che
miserar
non
sa
.
Che
non
del
ben
.
Sollecita
Fu
,
ma
dell
'
esser
solo
.
La
morte
della
speranza
,
l
impura
vista
della
infausta
verità
.
il
sentimento
della
sua
infelicità
non
è
qui
affievolito
,
anzi
vi
è
ribadito
e
illuminato
.
Perché
dunque
si
sente
risorto
?
Cosa
è
risorto
in
lui
?
La
facoltà
di
sentire
,
di
cui
parlava
a
Iacopsenn
,
o
come
ora
dice
,
il
cuore
.
E
perché
la
vita
non
è
a
suo
avviso
altro
che
facoltà
di
sentire
,
d
'
immaginare
,
d
'
amare
,
è
in
lui
risorta
la
vita
;
si
sentiva
morto
,
ora
torna
a
vivere
.
E
canta
la
risurrezione
della
sua
immaginazione
,
del
suo
sentire
.
Risorgono
i
dolci
affanni
,
i
teneri
moti
della
prima
età
;
rivede
la
bella
natura
,
così
come
la
vedeva
allora
,
inesperto
delle
cose
;
e
ora
,
malgrado
l
esperienza
della
vita
e
la
vista
della
verità
,
sente
con
maraviglia
in
sé
rivivere
gl
'
inganni
aperti
e
noti
.
Questa
rappresentazione
del
suo
nuovo
stato
acquista
rilievo
da
quello
stato
di
sopore
,
ove
le
stesse
cose
gli
comparivano
innanzi
morte
.
Ed
hai
una
rappresentazione
,
in
antitesi
,
della
natura
,
così
come
compariva
a
lui
in
quel
doppio
stato
,
morta
e
viva
.
Queste
cose
non
le
dice
già
con
quel
disordine
,
con
quella
veemenza
,
con
quell
'
improvviso
,
ch
'
è
la
parola
dell
'
entusiasmo
giovanile
.
Ha
racquistato
i
moti
e
i
sensi
della
gioventù
,
ma
non
l
'
ingenuità
di
quella
;
ora
sa
troppo
,
e
parla
con
ironia
della
sorda
Natura
,
che
pure
allora
benediva
:
Pur
che
ci
lasci
al
duolo
Or
d
'
altro
a
lei
non
cal
.
Il
suo
piacere
non
è
puro
e
non
è
intero
.
Qui
non
c
'
è
l
'
inno
E
non
c
'
è
l
'
ode
.
Il
piacere
è
contenuto
dal
sapere
,
dalla
presenza
del
vero
,
che
vi
apparisce
come
fosca
nuvola
in
cielo
sereno
,
con
questo
che
la
nuvola
qui
è
l
'
immutabile
verità
e
il
cielo
è
la
mutabile
apparenza
.
Che
importa
?
Se
l
'
apparenza
dura
,
non
chiamerà
spietato
l
'
autore
della
vita
.
Non
è
una
riconciliazione
,
è
una
concessione
.
Consente
solo
di
non
chiamarlo
spietato
,
e
sub
conditione
,
se
.
La
situazione
poetica
non
è
nel
primo
momento
dell
'
entusiasmo
,
quando
egli
si
sente
rivivere
,
ma
in
un
momento
posteriore
o
di
riflessione
,
interrogando
sé
stesso
,
riandando
la
sua
vita
,
e
descrivendo
e
spiegando
il
nuovo
uomo
che
s
'
è
formato
in
lui
.
Perciò
la
poesia
prende
una
forma
storica
e
riflessiva
.
Non
si
dipinge
egli
nel
punto
che
piange
e
ammira
e
il
cuore
gli
batte
.
Ha
pianto
,
ha
mirato
,
ha
palpitato
.
Ora
ci
riflette
sopra
.
La
mente
rimane
sovrana
,
e
distribuisce
con
ordine
e
con
chiarezza
tutte
le
parti
,
con
orditura
semplice
,
con
moto
diritto
e
soave
,
senza
indugio
e
senza
fretta
.
Non
c
'
è
immagine
e
non
impressione
così
viva
che
lo
svii
e
gli
rompa
il
filo
del
pensiero
.
Le
rimembranze
non
s
'
affollano
,
e
non
s
'
incalzano
,
ma
si
svolgono
l
'
una
dall
'
altra
,
come
onde
di
mare
.
Diresti
che
riviva
la
sua
vita
nella
sua
naturale
successione
.
I
dolci
affanni
della
prima
età
,
e
quando
mancarono
,
il
dolore
della
mancanza
,
e
quando
mancò
il
dolore
,
una
tristezza
ch
'
era
ancora
dolore
,
e
infine
il
sopore
,
abbandonata
ogni
resistenza
:
Quasi
perduto
e
morto
Il
cor
s
'
abbandonò
;
questi
vari
stati
della
vita
gli
tornano
innanzi
l
'
uno
appresso
all
'
altro
,
l
'
uno
uscito
dall
'
altro
.
Si
può
credere
ci
sia
un
po
'
di
sottigliezza
in
quel
dolore
che
manca
,
e
nel
pianto
del
dolore
mancato
,
che
è
una
tristezza
,
la
quale
è
ancora
dolore
.
Ma
chi
ha
studiato
bene
tutte
le
diverse
stazioni
del
suo
martirio
,
vedrà
che
Leopardi
è
qui
non
meno
acuto
che
vero
esploratore
del
suo
passato
.
La
finezza
e
profondità
dell
'
osservazione
ti
costringe
a
pensare
per
coglier
bene
così
delicate
gradazioni
tra
dolore
,
tristezza
e
sopore
;
e
pensando
,
gusti
il
piacere
intellettuale
di
scoprirle
vere
.
Tu
senti
,
e
acquisti
insieme
un
abito
riflessivo
che
ti
dispone
a
spiegare
quello
che
senti
.
E
tale
appunto
è
il
carattere
di
questa
poesia
.
Or
che
gli
sta
tutto
il
passato
innanzi
,
l
'
uomo
nuovo
ricorda
quale
gli
appariva
il
mondo
allora
,
e
lo
rifà
co
'
più
brillanti
colori
di
una
fantasia
ridesta
.
Quella
natura
che
non
valse
a
trarlo
dal
duro
sopore
,
era
pure
così
bella
,
il
canto
della
rondine
,
la
squilla
vespertina
,
il
fuggitivo
sole
,
una
candida
ignuda
mano
,
e
ora
la
rivede
con
sentimento
nuovo
,
e
l
'
accompagna
co
'
più
cari
vezzi
dell
'
immaginazione
.
Questa
rappresentazione
vivace
dà
rilievo
a
quello
stato
d
'
insensibilità
ch
'
egli
caratterizza
in
pochi
indimenticabili
tratti
,
con
una
chiarezza
uguale
alla
finezza
.
Certi
contrasti
e
certi
epiteti
,
come
l
'
età
decrepita
e
l
'
aprile
degli
anni
,
i
giorni
fugaci
e
brevi
,
imprimono
in
questa
rappresentazione
il
moto
del
sentimento
.
Con
quel
grido
di
maraviglia
e
di
tenera
commozione
che
il
cieco
senza
speranza
rivede
improvviso
il
sole
,
con
quel
sentimento
prorompe
qui
il
grido
del
redivivo
.
Non
ci
è
gradazione
,
non
c
'
è
a
poco
a
poco
;
il
passaggio
è
brusco
,
violento
,
.
come
innanzi
un
miracolo
.
Non
è
una
evoluzione
,
come
si
dice
oggi
;
è
una
rivoluzione
:
Chi
dalla
grave
,
immemore
Quiete
or
mi
ridesta
?
Che
virtù
nova
è
questa
,
Questa
ch
'
io
sento
in
me
?
Quasi
non
crede
agli
occhi
suoi
;
non
crede
quasi
a
'
proprii
moti
.
Dunque
è
vero
?
Dunque
il
cuore
è
risorto
?
Oh
sì
.
E
raccoglie
e
accumula
le
nuove
bellezze
e
le
nuove
impressioni
con
così
precipitevole
impeto
ritmico
,
che
pare
voglia
tutto
in
un
sorso
assaporare
il
suo
godimento
.
Qui
è
il
tuono
più
alto
del
sentimento
,
che
va
lentamente
digradando
.
Comparisce
il
crudo
fato
,
il
tristo
secolo
,
l
'
ignuda
gloria
,
la
bellezza
vuota
.
In
lui
non
ci
è
altro
di
risorto
che
il
cuore
,
se
pure
....
E
in
questo
se
vanisce
il
canto
,
quasi
in
un
sospiro
malinconico
di
una
mezza
soddisfazione
.
Qui
tutto
è
vero
,
tutto
è
a
posto
.
Forse
ci
è
di
troppo
l
'
insistenza
sulla
vacuità
della
donna
,
dove
sospetti
qualche
ricordo
personale
,
che
intorbida
le
proporzioni
dell
'
armonia
,
chi
sa
!
un
momento
di
cattivo
umore
contro
le
fiorentine
,
al
quale
dà
sfogo
in
una
lettera
,
o
il
disprezzo
di
quella
strega
bolognese
,
di
cui
scrive
a
Papadopoli
.
È
un
reliquato
,
come
dicono
i
medici
,
nella
vita
nuova
.
E
ci
trovi
insieme
un
presentimento
dell
'
Aspasia
.
In
questo
Risorgimento
non
solo
l
'
asprezza
,
il
latinismo
,
la
solennità
è
liquefatta
,
ma
anche
il
metro
e
il
ritmo
.
Hai
settenarii
metastasiani
,
de
'
quali
il
primo
versetto
sdrucciola
nel
secondo
,
richiamato
dalla
rima
nel
terzo
,
che
va
a
declinare
subitamente
nel
quarto
,
formando
periodetti
liquidi
,
veloci
,
e
talora
con
ripigliate
,
di
una
movenza
melodiosa
.
Le
immagini
sono
vaghe
,
e
le
diresti
note
musicali
,
se
nella
loro
generalità
non
fossero
precise
.
E
sono
tutte
attirate
in
un
movimento
ritmico
,
che
accompagnato
dal
gioco
vario
degli
accenti
esprime
le
gradazioni
del
sentimento
.
Chi
ha
studiato
bene
il
meccanismo
de
'
nostri
versi
,
e
soprattutto
del
nostro
potentissimo
settenario
,
in
cui
la
posizione
dell
'
accento
quasi
senza
limite
ti
dà
le
più
varie
intonazioni
,
ammirerà
gli
effetti
musicali
che
ha
saputo
cavarne
il
poeta
,
come
nota
della
intensità
e
della
velocità
delle
impressioni
.
Perciò
questa
si
può
chiamare
la
poesia
del
sentimento
o
del
cuore
.
Essa
è
il
preludio
musicale
alle
nuove
poesie
,
alla
sua
terza
maniera
.
StampaPeriodica ,
La
pubblicazione
delle
Opere
inedite
del
Guicciardini
fu
uno
di
quei
fatti
che
avrebbe
dovuto
dare
grande
impulso
a
'
nostri
studi
storici
.
Sono
di
tali
scoperte
che
basterebbero
da
sé
a
creare
un
intero
ciclo
di
critica
storica
:
tanta
copia
vi
si
trova
di
notizie
,
con
quelle
riflessioni
e
impressioni
che
le
rendono
vive
e
irraggiano
di
nuova
luce
tutto
un
secolo
.
E
si
tratta
di
un
secolo
intorno
al
quale
si
è
più
scritto
e
meno
compreso
;
di
un
secolo
chiamato
del
risorgimento
,
e
che
fu
pur
quello
della
nostra
decadenza
.
Il
problema
storico
di
quell
'
epoca
non
mi
pare
sia
stato
ancora
posto
e
discusso
e
svolto
con
grande
esattezza
.
Il
problema
è
questo
:
L
'
Italia
a
quel
tempo
era
salita
al
più
alto
grado
di
potenza
,
di
ricchezza
e
di
gloria
,
e
nelle
arti
e
nelle
lettere
e
nelle
scienze
toccava
già
quel
segno
a
cui
poche
nazioni
e
privilegiate
sogliono
giungere
,
e
da
cui
erano
allora
lontanissime
le
altre
nazioni
ch
'
ella
chiamava
con
romana
superbia
i
barbari
.
Eppure
,
al
primo
urto
di
questi
barbari
,
l
Italia
,
come
per
improvvisa
rovina
,
crollò
,
e
fu
cancellata
dal
numero
delle
nazioni
.
E
i
barbari
gittarono
di
nuovo
il
grido
selvaggio
:
Guai
a
'
vinti
!
E
non
solo
li
calcarono
,
ma
li
dileggiarono
,
trattandoli
come
non
fossero
uomini
e
riempiendo
il
mondo
di
querele
e
di
rimproveri
della
perfidia
e
della
viltà
italiana
.
E
sin
d
'
allora
si
restò
intesi
che
i
perfidi
e
i
codardi
fummo
noi
,
che
il
torto
fu
tutto
nostro
,
che
fummo
ripagati
della
nostra
moneta
,
che
ben
ci
stette
e
che
i
barbari
ci
fecero
un
segnalato
favore
a
metterci
un
po
'
di
nuovo
sangue
nelle
vene
.
A
questi
giudizi
degli
storici
oltramontani
si
aggiungono
i
lamenti
de
'
nostri
,
i
quali
attribuiscono
l
inaudita
catastrofe
alle
nostre
discordie
,
che
ci
tolsero
ogni
virtù
di
resistenza
.
Il
buon
Sismondi
,
che
parla
con
tanta
simpatia
delle
cose
nostre
,
trasformando
il
rimprovero
in
elogio
,
assicura
che
il
sentimento
nazionale
mancò
agl
'
Italiani
perché
erano
mossi
da
un
sentimento
più
alto
,
si
sentivano
cosmopoliti
e
furono
benefattori
dell
'
umanità
con
l
'
olocausto
di
se
stessi
.
Né
la
catastrofe
giunse
improvvisa
,
anzi
ce
n
'
era
un
inquieto
presentimento
,
e
non
mancarono
le
solite
profezie
.
Tutti
rammentano
con
che
eloquenza
il
Savonarola
annunziava
dal
pergamo
la
venuta
de
'
Barbari
,
e
quale
impressione
fece
allora
la
profezia
di
un
Francescano
,
che
fra
l
altro
annunziava
il
sacco
di
Roma
.
Sinistri
segni
sono
mentovati
dagli
storici
.
La
folgore
cade
a
Firenze
sul
tempio
di
Santa
Reparata
;
in
una
notte
oscura
fuochi
sanguigni
illuminano
la
villa
Careggi
.
Gli
spettri
degli
antichi
Re
di
Aragona
annunziano
al
loro
successore
la
caduta
del
regno
di
Napoli
.
Le
statue
sudano
sangue
;
i
popoli
spaventati
credono
vedere
nel
cielo
eserciti
che
combattono
.
Una
secreta
inquietudine
incalzava
i
cittadini
fra
le
delizie
e
le
voluttà
di
una
vita
scioperata
.
Ci
era
dunque
la
coscienza
oscura
di
una
dissoluzione
sociale
e
di
una
catastrofe
prossima
.
E
più
che
i
giudizi
degli
stranieri
e
de
'
posteri
è
utile
investigare
le
impressioni
e
i
giudizi
de
'
contemporanei
.
I
frati
e
i
preti
,
e
anche
parecchi
storici
,
pongono
la
fonte
del
male
nella
rilassatezza
de
'
sentimenti
religiosi
e
de
'
costumi
.
Non
si
crede
più
a
Cristo
,
dice
Benivieni
.
Anzi
si
crede
che
tutto
procede
dal
caso
,
massime
le
cose
umane
.
Alcuni
stimano
che
sieno
regolate
da
influssi
celesti
.
Si
nega
la
vita
futura
,
si
schernisce
la
religione
.
Alcuni
la
reputano
un
trovato
di
uomini
.
Tutti
,
uomini
e
donne
,
tornano
agli
usi
pagani
,
e
si
dilettano
dello
studio
de
'
poeti
,
degli
astrologi
e
di
ogni
superstizione
.
Ci
è
in
queste
poche
righe
tutto
Savonarola
.
Altri
stimano
al
contrario
che
il
male
è
principalmente
nella
Corte
di
Roma
e
nelle
pratiche
e
nelle
consuetudini
religiose
,
che
hanno
sfibrato
gli
animi
e
resili
più
disposti
a
perdonare
le
offese
che
a
vendicarle
.
E
non
vedono
altra
via
a
rinvigorire
le
istituzioni
e
gli
uomini
,
che
seguire
gli
esempi
lasciatici
dall
'
antichità
.
Di
questo
erano
tutti
persuasi
,
che
il
paese
era
corrotto
,
salvoché
alcuni
derivavano
la
corruzione
dall
'
indebolito
sentimento
religioso
,
e
gli
altri
ponevano
appunto
la
sua
sede
nella
religione
così
com
'
era
interpretata
e
praticata
dalla
Corte
di
Roma
.
Quelli
vedevano
il
rimedio
nel
ritirare
la
società
a
'
suoi
principii
,
con
una
riforma
religiosa
e
morale
che
valesse
a
restaurare
le
credenze
religiose
ed
emendare
i
costumi
;
la
qual
riforma
,
incalzati
i
preti
da
frate
Savonarola
e
più
tardi
da
frate
Lutero
,
attuarono
a
modo
loro
nel
Concilio
di
Trento
.
Gli
altri
al
contrario
vedevano
il
rimedio
nell
'
emancipazione
della
coscienza
da
ogni
autorità
religiosa
,
ciò
che
traeva
seco
l
abolizione
del
Papato
,
che
essi
giudicavano
il
principale
nemico
della
libertà
e
dell
'
unità
nazionale
.
Erano
due
scuole
che
con
diversi
nomi
si
continuano
anche
oggi
,
e
che
oltrepassavano
ne
'
loro
fini
e
ne
'
loro
mezzi
l
Italia
,
ed
abbracciavano
l
Europa
cattolica
.
Si
può
dire
che
la
loro
storia
è
tutta
la
storia
moderna
,
non
finita
ancora
.
Nella
quale
storia
l
'
Italia
rappresentava
una
parte
molto
secondaria
.
Certo
i
primi
concetti
e
i
primi
tentativi
vennero
da
lei
,
ma
rimasero
concetti
e
tentativi
isolati
e
scarsi
di
effetto
,
e
quando
l
incendio
si
dilatò
e
le
contrarie
opinioni
accesero
in
tutta
Europa
ostinatissime
contese
e
divisioni
e
guerre
di
popoli
,
tra
noi
non
mancarono
cittadini
di
molta
virtù
che
con
la
penna
o
con
le
forti
opere
o
co
'
martirii
mantennero
la
loro
fede
,
ma
fu
moto
di
pochi
e
divisi
,
che
s
'
impresse
appena
alla
superficie
;
sotto
alla
quale
rimasero
in
calma
sonnolenta
e
stupida
le
popolazioni
.
Anche
oggi
sono
di
quelli
che
credono
il
Cattolicismo
e
il
Papato
salute
o
perdizione
d
'
Italia
,
ma
sono
opinioni
oziose
,
che
non
lasciano
traccia
durabile
sulle
moltitudini
;
il
Concilio
ecumenico
che
pure
in
altre
parti
di
Europa
solleva
così
vivi
odii
e
speranze
,
presso
di
noi
non
suscita
né
energiche
opposizioni
,
né
gagliardi
consensi
.
La
corruttela
de
'
costumi
era
l
'
apparenza
più
grossolana
del
male
che
travagliava
l
'
Italia
e
rendeva
inevitabile
la
catastrofe
.
Quell
'
apparenza
fu
presa
per
il
male
esso
medesimo
,
e
gli
uni
ne
davano
colpa
al
paganesimo
e
agli
studi
classici
,
gli
altri
alla
Corte
di
Roma
,
pietra
di
scandalo
,
e
non
pensavano
che
quella
corruttela
del
Papato
e
quel
paganeggiare
delle
classi
intelligenti
e
degli
stessi
Papi
erano
anche
parte
del
problema
;
fenomeni
ed
effetti
che
non
spiegavano
nulla
,
e
volevano
essere
spiegati
loro
.
Ma
gli
uomini
politici
vedevano
la
quistione
sotto
un
aspetto
più
determinato
.
Poca
speranza
avevano
ne
'
tardi
frutti
che
potessero
venire
da
una
riforma
religiosa
e
morale
;
e
non
credevano
a
Papa
né
a
Cristo
,
e
schernivano
i
profeti
disarmati
.
A
loro
era
chiaro
che
l
Italia
divisa
e
debole
d
'
armi
mal
poteva
resistere
a
'
barbari
:
qui
era
il
pericolo
,
e
qui
ci
voleva
il
rimedio
.
Molto
li
preoccupavano
le
discordie
intestine
fra
cittadini
,
fra
le
città
,
fra
gli
Stati
,
e
cercavano
un
sistema
di
equilibrio
,
che
desse
satisfazione
a
tutte
le
classi
,
mantenendo
ordine
e
concordia
al
di
dentro
,
e
legasse
i
grandi
Stati
italiani
con
reciproca
malleveria
contro
gli
assalti
che
venissero
dal
di
fuori
.
Fa
stupire
quanti
sottili
trovati
pullulassero
in
quei
cervelli
acuti
per
ordinare
in
modo
lo
Stato
che
si
ottenesse
il
desiderato
equilibrio
,
quando
già
lo
straniero
era
a
casa
e
lasciava
per
sua
misericordia
disputare
se
i
partiti
si
avessero
a
vincere
per
le
più
fave
o
alla
metà
delle
fave
.
Né
erano
meno
sottili
i
giudizi
sulle
condizioni
e
sulle
forze
degli
Stati
,
sulle
inclinazioni
,
le
passioni
e
gl
'
interessi
de
'
principi
,
e
sulle
varie
combinazioni
delle
alleanze
,
con
una
finezza
di
osservazione
e
di
analisi
che
desidero
in
molti
documenti
della
diplomazia
moderna
.
Strazia
veder
tanta
sapienza
con
tanta
impotenza
.
Vedevano
le
nazioni
vicine
salite
a
grande
potenza
per
i
buoni
ordini
e
le
buone
armi
,
e
soprattutto
per
avere
raccolte
tutte
le
membra
dello
Stato
sotto
un
solo
indirizzo
.
E
tentarono
qualcosa
di
simile
in
Italia
.
Indi
la
serenissima
lega
di
Lorenzo
,
e
le
leghe
e
controleghe
di
Giulio
,
e
fallito
il
tentativo
di
stringere
in
una
forza
sola
gli
Stati
italiani
,
e
avendo
già
lo
straniero
dentro
,
per
cacciar
via
uno
,
chiamare
gli
altri
.
Indi
le
proposte
di
milizie
nazionali
,
per
uscir
di
mano
a
'
condottieri
,
e
certi
ordini
di
governo
misto
che
tenessero
in
qualche
equilibrio
gli
ottimati
e
il
popolo
.
Ciò
che
presso
le
altre
nazioni
era
il
naturale
portato
della
storia
,
in
Italia
erano
combinazioni
artificiali
d
'
ingegni
sottili
.
E
nulla
riuscì
.
Leghe
italiane
poco
stabili
,
perché
leghe
di
principi
,
e
sulla
base
mobile
degl
'
interessi
.
Leghe
con
forestieri
fecero
dell
'
Italia
il
campo
chiuso
di
tutte
le
cupidigie
e
di
tutte
le
insolenze
,
ed
ebbero
quella
fine
che
dice
il
Guicciardini
,
al
quale
pare
ragionevole
,
che
in
qualcuno
sia
per
rimanere
potenza
grande
,
il
quale
cercherà
di
battere
i
minori
e
forse
ridurre
Italia
sotto
una
Monarchia
.
A
milizie
nazionali
si
pensò
troppo
tardi
,
quando
i
condottieri
erano
già
i
padroni
,
e
il
paese
era
corso
da
fanti
svizzeri
e
spagnuoli
e
da
lanzichenecchi
e
stradioti
e
gente
d
'
arme
.
Né
i
buoni
ordini
poterono
ottenere
tanta
concordia
de
'
cittadini
,
che
le
fazioni
smettessero
di
chiamar
gli
stranieri
,
sì
che
,
miserabile
spettacolo
,
tutti
li
odiavano
,
e
tutti
li
chiamavano
.
Perciò
nessuna
propria
e
nazionale
resistenza
fu
possibile
,
e
l
Italia
,
come
si
disse
,
fu
conquistata
col
gesso
.
Il
problema
dunque
ti
ritorna
innanzi
lo
stesso
.
Mai
non
si
vide
tanta
sapienza
e
così
alta
intelligenza
quanta
trovi
allora
nei
grandi
uomini
che
avevano
in
mano
le
sorti
del
paese
,
politici
,
filosofi
,
letterati
,
artisti
,
le
cui
opera
riempiono
anche
oggi
il
mondo
di
ammirazione
.
L
'
Italia
,
scrive
il
Guicciardini
nel
principio
della
sua
storia
,
ridotta
tutta
in
somma
pace
e
tranquillità
,
coltivata
non
meno
ne
'
luoghi
più
montuosi
e
più
sterili
,
che
nelle
pianure
e
regioni
sue
più
fertili
,
né
sottoposta
ad
altro
imperio
che
de
'
suoi
medesimi
,
non
solo
era
abbondantissima
d
'
abitatori
,
di
mercatanzie
e
di
ricchezze
,
ma
illustrata
sommamente
dalla
magnificenza
di
molti
principi
,
dallo
splendore
di
molte
nobilissime
e
bellissime
città
,
dalla
sedia
e
maestà
della
religione
,
fioriva
di
uomini
prestantissimi
nell
'
amministrazione
delle
cose
pubbliche
,
e
d
'
ingegni
molto
nobili
in
tutte
le
dottrine
e
in
qualunque
arte
preclara
e
industriosa
,
né
priva
,
secondo
l
'
uso
di
quella
età
,
di
gloria
militare
;
e
ornatissima
di
tante
doti
,
meritamente
appresso
a
tutte
le
nazioni
nome
e
fama
chiarissima
riteneva
.
Le
parole
del
Guicciardini
si
riferiscono
proprio
al
momento
della
crisi
,
quando
Lorenzo
de
'
Medici
,
Ferdinando
d
'
Aragona
e
Innocenzo
VIII
scomparivano
dall
'
orizzonte
ed
entravano
in
iscena
i
Borgia
,
Alfonso
d
'
Aragona
e
Ludovico
il
Moro
,
e
Carlo
VIII
calava
dalle
Alpi
,
iniziando
un
moto
che
dovea
finire
con
la
soggezione
d
'
Italia
a
signoria
straniera
.
E
dapprima
non
mancarono
le
illusioni
.
A
Venezia
si
diceva
che
Carlo
veniva
a
vedere
l
'
Italia
.
I
nostri
scaltrissimi
uomini
di
Stato
confidavano
di
potere
con
l
ingegno
e
con
l
'
astuzia
vincere
quella
forza
barbara
,
e
alla
peggio
,
opporre
stranieri
a
stranieri
,
e
rintuzzare
gli
uni
con
gli
altri
.
Tutti
vedevano
il
pericolo
,
tutti
proponevano
i
rimedii
,
e
non
si
venne
a
capo
di
nulla
.
Non
marcarono
le
idee
,
mancò
la
volontà
e
la
forza
di
attuarle
.
Arguti
i
discorsi
,
stupendi
gli
scritti
,
fiacche
le
opere
:
tutto
si
ridusse
in
tentativi
infelici
e
isolati
,
senza
eco
,
senza
espansione
.
Atti
eroici
non
infrequenti
,
ma
di
singoli
individui
e
di
singole
città
:
nulla
,
che
rivelasse
vita
collettiva
e
nazionale
.
E
così
non
ci
fu
riforma
,
e
non
lega
italica
e
non
milizie
nazionali
,
e
non
buoni
ordini
,
e
non
buone
armi
,
e
tutto
restò
nelle
parole
e
negli
scritti
.
Discutendo
,
scrivendo
,
l
Italia
finì
facile
preda
dello
straniero
.
Questa
singolare
impotenza
italica
in
mezzo
a
tutte
le
apparenze
della
grandezza
e
della
potenza
certifica
un
male
più
profondo
che
non
pareva
a
'
contemporanei
,
e
non
è
parso
poi
.
Biasimiamo
pure
il
tradimento
di
Ludovico
,
o
la
perfidia
de
'
Borgia
o
la
spensieratezza
di
Leone
X
:
il
biasimo
non
spiega
nulla
;
il
male
era
sì
grave
che
bontà
o
perversità
d
'
individui
ci
potea
poco
.
Diciamo
pure
che
il
senso
morale
era
oscurato
;
che
i
costumi
erano
corrottissimi
,
soprattutto
del
Clero
;
che
le
armi
erano
mercenarie
;
che
gli
odii
tra
classe
e
classe
,
tra
città
e
città
erano
irreconciliabili
;
che
i
principi
e
i
partiti
chiamavano
essi
lo
straniero
.
Con
questa
lugubre
descrizione
dei
fenomeni
di
una
malattia
che
il
Macchiavelli
chiamava
la
corruttela
italiana
,
il
problema
non
si
scioglie
,
ma
si
allarga
,
rimanendo
sempre
a
sapersi
per
quali
cause
l
'
Italia
sotto
le
forme
della
più
rigogliosa
sanità
,
era
pure
in
tale
dissoluzione
o
corruttela
che
al
primo
cozzo
coi
barbari
perdé
tutto
,
anche
l
onore
,
e
per
più
secoli
scomparve
dalla
storia
con
sì
profonda
caduta
,
che
anche
oggi
è
dubbio
se
la
sia
risorta
davvero
.
L
'
analisi
di
questa
corruttela
italiana
,
de
'
suoi
elementi
,
della
sua
universalità
,
della
sua
intensità
,
delle
sue
cagioni
,
del
suo
sviluppo
,
de
'
suoi
effetti
,
il
carattere
e
la
fisonomia
che
diede
alla
nazione
,
e
i
suoi
vestigi
visibili
anche
oggi
e
che
ci
vietano
l
andare
innanzi
,
è
materia
non
ancora
bene
considerata
e
degnissima
di
studio
.
Attendiamo
il
Macchiavelli
o
il
Montesquieu
che
ne
scriva
acconciamente
,
netto
delle
passioni
contemporanee
.
Né
a
questo
basta
sagacia
e
diligenza
di
storico
;
si
richiede
occhio
metafisico
,
che
sappia
cogliere
tra
la
varietà
degli
accidenti
i
tratti
essenziali
.
Chi
guarda
con
quest
'
occhio
in
quei
tempi
,
vedrà
subito
la
differenza
capitale
tra
l
'
Italia
e
le
nazioni
che
dovevano
sceglierla
a
campo
delle
loro
lotte
,
la
Francia
,
la
Germania
,
la
Spagna
,
la
Svizzera
.
Queste
,
dopo
lunga
elaborazione
,
giungevano
pure
allora
ad
uno
stabile
assetto
politico
,
uscendo
dalle
lotte
interne
unificate
,
ordinate
e
più
forti
:
dove
l
'
Italia
si
era
già
costituita
parecchi
secoli
indietro
,
ed
avea
avuta
tutta
una
civiltà
,
frutto
di
quella
precoce
costituzione
.
Fin
d
'
allora
che
i
Comuni
si
vendicarono
a
libertà
,
trovò
essa
il
suo
assetto
,
che
in
tanta
diversità
di
casi
si
mantenne
inalterato
ne
'
suoi
lineamenti
sostanziali
,
e
produsse
quei
miracoli
di
prosperità
,
di
grandezza
e
di
coltura
che
furono
senza
riscontro
in
tutte
le
altre
parti
di
Europa
.
Nel
Regno
,
dov
'
era
prevalsa
la
forma
monarchico
-
feudale
,
il
movimento
fu
superficiale
e
solo
in
alto
,
mentre
le
basse
classi
rimanevano
in
una
condizione
stagnante
d
'
ignoranza
e
di
bestialità
:
pure
la
coltura
italiana
non
era
senza
eco
e
senza
corrispondenza
in
quelle
parti
.
Ma
nel
rimanente
d
'
Italia
la
libertà
aveva
messo
in
moto
tutte
le
forze
,
tutti
gl
'
interessi
,
tutte
le
passioni
,
e
in
parecchi
Comuni
avea
fatta
sentir
la
sua
azione
ne
'
più
bassi
strati
della
società
.
Questo
cumulo
e
concentrazione
di
forze
messe
in
moto
da
stimoli
così
gagliardi
accelerava
e
insieme
consumava
la
vita
italiana
,
logorandovisi
tutte
le
classi
,
sì
che
in
breve
giro
di
tempo
si
compie
la
sua
storia
,
maravigliosa
per
l
'
instancabile
attività
,
per
lo
straordinario
concitamento
delle
passioni
politiche
,
per
l
'
ardore
e
la
ferocia
delle
lotte
,
per
la
larga
partecipazione
di
tutte
le
classi
alla
vita
pubblica
,
per
l
'
infinita
produzione
nelle
industrie
,
ne
'
commerci
,
nell
'
agricoltura
,
negli
studi
,
nelle
opere
di
erudizione
e
d
'
ingegno
.
Fu
la
vita
di
Achille
,
gloriosa
,
ma
breve
.
Il
medio
evo
fu
per
le
altre
nazioni
lunga
e
faticosa
elaborazione
;
per
l
'
Italia
fu
civiltà
,
tutta
quella
civiltà
che
esso
potea
portare
.
Al
tempo
di
cui
parla
il
Guicciardini
,
questa
civiltà
toccava
già
quell
'
ultima
perfezione
che
si
manifesta
nel
lusso
e
nell
'
eleganza
,
con
quella
idolatria
delle
belle
forme
,
con
quel
senso
e
gusto
dell
'
arte
,
con
quella
grandiosità
e
sontuosità
delle
feste
,
con
quella
voluttà
de
'
godimenti
,
con
quella
delicatezza
e
leggiadria
nello
scrivere
e
nel
conversare
,
ne
'
modi
,
e
ne
'
costumi
,
che
sono
segni
non
dubbii
di
prosperità
,
di
agiatezza
e
di
coltura
.
Quella
ricca
e
allegra
e
fiorita
produzione
in
tanta
varietà
di
forme
della
vita
materiale
,
intellettuale
e
artistica
era
non
il
principio
,
ma
il
resultato
,
la
splendida
conclusione
,
quasi
la
corona
di
una
grande
civiltà
,
che
nel
suo
rapido
corso
consumava
rapidamente
se
stessa
:
era
il
frutto
di
un
capitale
accumulato
da
un
'
attività
anteriore
,
il
cui
stimolo
era
mancato
.
Questa
bella
vita
,
in
così
ricca
apparenza
di
sanità
e
di
forza
,
aveva
già
secche
le
sue
radici
,
venute
meno
nella
coscienza
tutte
le
idee
religiose
,
morali
e
politiche
,
che
l
'
avevano
condotta
a
quella
prosperità
,
l
'
impero
,
il
papato
,
la
libertà
comunale
,
la
grandezza
feudale
;
sicché
,
mentre
mandava
così
vivi
splendori
,
la
società
politicamente
e
moralmente
era
sciolta
.
Così
fu
a
'
tempi
di
Pericle
,
e
nel
secolo
di
Augusto
e
in
quello
di
Luigi
XIV
.
Mancati
all
'
Italia
tutti
gli
stimoli
spirituali
di
cui
era
pur
conseguenza
quel
suo
ultimo
fiore
di
civiltà
,
in
breve
appassì
anche
questo
,
rimasti
sole
forze
motrici
degli
uomini
gl
'
interessi
materiali
.
Mancarono
al
Papato
,
al
Comune
,
al
Principe
tutti
gli
alti
fini
,
per
i
quali
si
appassionano
e
vengon
grandi
i
popoli
:
la
tempra
nazionale
s
'
infiacchì
e
si
abbassò
il
carattere
.
E
così
mancarono
insieme
tutte
le
virtù
della
forza
,
l
'
iniziativa
,
la
generosità
,
il
sacrificio
,
il
patriottismo
,
la
tenacità
,
la
disciplina
,
e
vennero
su
le
qualità
proprie
della
fiacchezza
morale
accompagnata
con
la
maggior
coltura
e
svegliatezza
dello
spirito
,
la
dissimulazione
,
la
malizia
,
la
doppiezza
,
quello
stare
in
sull
'
ambiguo
e
tenersi
nel
mezzo
e
lasciarsi
dietro
l
uscita
,
la
prudenza
e
la
pazienza
.
Le
teorie
,
i
principii
,
le
istituzioni
erano
pur
sempre
quelle
,
accettate
nella
parte
esteriore
,
meccanica
e
letterale
,
magnificate
ne
'
discorsi
pubblici
,
divenute
un
linguaggio
di
convenzione
in
casa
ed
in
piazza
,
e
negate
e
contraddette
nella
pratica
;
ipocrisia
abituale
anche
ne
'
più
noti
per
la
libertà
del
pensiero
.
Mancava
la
forza
e
di
accettare
con
sincerità
e
di
negare
con
audacia
;
divenuta
la
vita
una
bassa
commedia
,
tutti
consapevoli
.
Come
contrapposto
o
protesta
di
una
società
non
rassegnata
ancora
a
morire
,
appunto
in
questi
tempi
d
'
infiacchimento
abbondarono
i
grandi
individui
,
patrioti
fortissimi
,
pensatori
arditi
,
riformatori
saldi
sino
al
martirio
,
città
eroiche
,
fatti
ammirati
e
non
imitati
,
rimasti
solitarii
e
di
poca
o
nessuna
efficacia
nella
moltitudine
.
Né
bastò
la
presenza
dello
straniero
nel
paese
,
e
le
offese
alle
sostanze
,
alla
vita
,
all
'
onore
,
che
pur
rendono
arditi
i
più
vili
,
a
destare
in
que
'
popoli
una
favilla
di
risentimento
e
di
vergogna
;
anzi
li
svigorì
affatto
quello
spettacolo
inusitato
di
selvaggia
energia
.
Come
si
fa
ne
'
grandi
mali
e
nelle
improvvise
catastrofi
,
tutti
si
abbandonarono
dell
'
animo
,
ogni
vincolo
si
sciolse
,
ciascuno
provvide
a
se
stesso
,
non
pensando
a
'
vicini
,
anzi
pensando
a
trarre
frutto
dalla
rovina
di
quelli
,
insino
a
che
furono
rovinati
tutti
.
E
non
mancava
la
chiaroveggenza
e
non
l
'
opporntunità
de
'
rimedii
,
e
mai
l
'
ingegno
italiano
non
si
mostrò
così
fecondo
in
ogni
maniera
d
'
industrie
e
di
sottili
accorgimenti
e
di
espedienti
e
di
progetti
ingegnosi
:
non
mancava
l
ingegno
,
mancava
la
tempra
.
L
'
Italia
era
simile
a
quell
'
uomo
che
nella
maturità
dell
'
ingegno
si
sente
già
vecchio
per
avere
abusate
le
forze
.
E
non
è
l
'
ingegno
,
ma
è
il
carattere
o
la
tempra
che
salva
le
nazioni
.
E
la
tempra
si
fiacca
quando
la
coscienza
è
vuota
,
e
non
muove
l
'
uomo
più
altro
che
l
'
interesse
propria
.
Queste
cose
pensando
e
mulinando
da
gran
tempo
,
mi
vennero
alle
mani
le
opere
inedite
del
Guicciardini
,
e
trovai
nella
storia
fiorentina
e
nelle
proposte
,
e
ne
'
carteggi
,
e
ne
'
discorsi
,
e
ne
'
ricordi
tale
un
tesoro
di
notizie
ed
osservazioni
,
che
mi
maraviglio
non
sia
l
edizione
già
tutta
spacciata
,
per
il
gran
numero
de
'
nostri
professori
e
cultori
della
storia
.
E
mi
fecero
molta
impressione
soprattutto
i
ricordi
da
compararsi
a
quanto
di
meglio
è
stato
fatto
in
questo
genere
.
Ciò
che
la
naturale
prudenza
e
la
lunga
pratica
delle
cose
del
mondo
e
la
dottrina
e
la
solitaria
meditazione
e
il
salutare
raccoglimento
ne
'
tristi
e
buoni
accidenti
della
vita
potea
suggerire
ad
un
sagacissimo
osservatore
,
tutto
trovi
qui
condensato
e
scolpito
con
rara
energia
di
pensiero
e
di
parola
.
E
mai
non
ho
capito
così
bene
,
perché
l
'
Italia
fosse
allora
sì
grande
e
sì
debole
,
che
in
questa
lettura
,
dove
lo
storico
con
perfetto
abbandono
dipinge
se
stesso
e
sotto
forma
di
consigli
ci
scopre
i
suoi
pensieri
e
sentimenti
più
intimi
,
o
,
per
dirla
con
parola
moderna
,
il
suo
ideale
politico
e
civile
dell
'
uomo
.
L
'
uomo
del
Guicciardini
,
quale
egli
crede
dovrebbe
essere
l
'
uomo
savio
,
com
'
egli
lo
chiama
,
è
un
tipo
possibile
solo
in
una
civiltà
molto
avanzata
e
segna
quel
momento
che
lo
spirito
già
adulto
e
progredito
caccia
via
l
'
immaginazione
e
l
'
affetto
e
la
fede
,
ed
acquista
assoluta
e
facile
padronanza
di
sé
.
In
questo
regno
dello
spirito
il
nostro
uomo
savio
spiega
tutte
le
sue
forze
.
Molto
ha
imparato
ne
'
libri
,
maraviglioso
di
erudizione
e
di
dottrina
;
ma
non
gli
basta
.
Sa
quanto
è
diversa
la
pratica
dalla
teorica
,
quanti
sono
che
intendono
le
cose
bene
,
che
o
non
si
ricordano
o
non
sanno
metterle
in
atto
,
e
come
non
dee
confidare
alcuno
tanto
nella
prudenza
naturale
,
che
si
persuada
quella
più
bastare
senza
l
accidentale
della
esperienza
.
Perciò
la
naturale
prudenza
e
la
dottrina
accompagna
con
l
'
esperienza
,
ovvero
osservazione
delle
cose
.
E
non
gli
basta
ancora
.
Sa
pure
che
la
dottrina
accompagnata
co
'
cervelli
deboli
o
non
gli
megliora
o
gli
guasta
;
e
però
anche
il
naturale
dee
essere
buono
,
tale
cioè
che
non
sia
offuscato
lo
spirito
dalle
apparenze
,
dalle
impressioni
,
dalle
vane
immaginazioni
e
dalle
passioni
.
E
quando
hanno
queste
buone
parti
,
la
prudenza
naturale
,
e
l
'
esperienza
,
e
la
dottrina
,
e
il
cervello
non
debole
,
gli
uomini
sono
perfetti
e
quasi
divini
.
Nel
nostro
savio
e
nel
nostro
uomo
perfetto
si
riscontra
dunque
l
accidentale
col
naturale
buono
,
la
dottrina
e
l
'
esperienza
col
cervello
positivo
e
prudente
.
Ma
egli
ha
una
qualità
ancora
più
preziosa
senza
la
quale
tutte
le
altre
sono
di
poco
frutto
,
ed
è
la
discrezione
o
il
discernere
.
Su
'
libri
trova
le
regole
;
ma
è
grande
errore
parlare
delle
cose
del
mondo
indistintamente
e
assolutamente
,
e
per
dire
così
per
regola
;
perché
quasi
tutte
hanno
distinzione
ed
eccezione
,
e
queste
distinzioni
e
eccezioni
non
si
trovano
scritte
in
su
'
libri
,
ma
bisogna
lo
insegni
la
discrezione
.
Senza
la
discrezione
adunque
non
giova
la
dottrina
e
non
l
'
esperienza
.
La
dottrina
ti
dà
le
regole
,
l
'
esperienza
ti
dà
gli
esempli
;
ma
è
fallacissimo
il
giudicare
per
gli
esempli
:
con
ciò
sia
che
ogni
minima
varietà
nel
caso
può
essere
causa
di
grandissima
variazione
nello
effetto
;
e
il
discernere
queste
varietà
,
quando
sono
piccole
,
vuole
buono
e
perspicace
occhio
.
E
perciò
,
quanto
s
'
ingannano
coloro
che
a
ogni
parola
allegano
i
Romani
!
Bisognerebbe
avere
una
città
condizionata
come
era
la
loro
,
e
poi
governarsi
secondo
quello
esempio
;
il
quale
a
chi
ha
le
qualità
disproporzionate
è
tanto
disproporzionato
,
quanto
sarebbe
volere
che
uno
asino
facesse
il
corso
di
uno
cavallo
.
Ma
il
nostro
uomo
non
capita
a
prendere
un
asino
per
cavallo
;
perché
ha
da
natura
buono
e
perspicace
occhio
,
e
legge
spesso
in
un
libro
suo
,
che
il
Guicciardini
chiama
libro
della
discrezione
.
Questo
è
l
'
uomo
perfetto
del
Guicciardini
,
tutto
spirito
,
e
armato
di
così
forti
armi
,
naturali
e
accidentali
.
Né
è
colpa
sua
che
abbia
coscienza
della
sua
superiorità
,
e
disprezzi
i
vulgari
,
e
come
italiano
,
stimi
barbari
tutti
gli
altri
popoli
,
e
quantunque
fortissimi
e
valorosissimi
,
confidi
di
poterli
vincere
e
farli
suoi
istrumenti
con
la
forza
dell
'
ingegno
e
della
coltura
.
Chi
studii
con
qualche
attenzione
in
questo
tipo
intellettuale
,
così
com
'
è
uscito
dalla
mente
del
Guicciardini
,
e
che
risponde
generalmente
allo
stato
reale
dello
spirito
italiano
a
quel
tempo
,
vedrà
perché
i
nostri
uomini
di
Stato
giocavano
quasi
con
gli
stranieri
,
a
cui
si
sentivano
tanto
soprastare
per
intelligenza
e
per
coltura
,
e
non
che
averne
paura
,
confidavano
di
poterli
usare
a
'
loro
fini
e
a
'
loro
interessi
particolari
.
Voi
v
'
intendete
di
armi
,
ma
non
v
'
intendete
di
Stato
,
dicea
con
orgoglio
Nicolò
Macchiavelli
a
un
potente
straniero
.
Il
nostro
uomo
,
dotato
di
tante
forze
intellettive
,
e
così
disciplinate
,
con
quel
suo
occhio
buono
e
perspicace
vede
il
mondo
altro
da
quello
che
i
volgari
sogliono
.
Non
crede
agli
astrologi
e
ai
teologi
e
ai
filosofi
e
a
tutti
gli
altri
che
scrivono
le
cose
sopra
natura
o
che
non
si
veggono
,
e
dicono
mille
pazzie
:
perché
in
effetto
gli
uomini
sono
al
bujo
delle
cose
e
questa
indaga
ione
ha
servilo
e
serve
più
a
esercitare
gl
'
ingegni
che
a
trovare
la
verità
.
Parla
con
ironia
di
Santa
Maria
Impruneta
,
che
fa
piova
e
bel
tempo
,
e
delle
devozioni
e
de
'
miracoli
,
e
de
'
digiuni
e
orazioni
e
simili
opere
pie
,
ordinate
dalla
Chiesa
o
ricordate
da
'
Frati
,
e
dell
'
aiuto
che
Dio
dà
a
'
buoni
,
e
del
buon
successo
delle
cause
giuste
.
Stima
che
la
troppa
religione
guasta
il
mondo
,
perché
effemina
gli
animi
,
avviluppa
gli
uomini
in
mille
errori
e
divertisceli
da
molle
imprese
generose
e
virili
.
Crede
che
,
dalle
repubbliche
in
fuora
,
nella
loro
patria
,
e
non
più
oltre
,
tutti
gli
Stati
,
chi
bene
considera
la
loro
origine
,
sono
violenti
,
né
v
'
è
potestà
che
sia
legittima
:
né
anche
quella
dell
'
imperatore
,
che
è
fondata
in
sull
'
autorità
de
'
Romani
,
che
fu
maggiore
usurpazione
che
nessun
'
altra
;
e
non
quella
de
'
preti
,
la
violenza
de
'
quali
è
doppia
,
perché
a
tenerci
sotto
usano
le
armi
temporali
e
le
spirituali
.
Innanzi
a
quest
'
occhio
perspicace
tutto
l
'
antico
edificio
crolla
,
e
del
medio
evo
non
rimane
nulla
.
Il
regno
celeste
rovina
e
si
trae
appresso
nella
caduta
Papa
e
Imperatore
.
Lo
spirito
,
adulto
e
per
virtù
propria
emancipato
,
si
ribella
contro
il
passato
dal
quale
è
uscito
e
che
lo
ha
cresciuto
ed
educato
,
caccia
via
da
sé
tutte
le
credenze
e
i
principii
,
fattori
di
quella
civiltà
della
quale
egli
è
la
corona
e
l
orgoglio
,
e
si
chiude
nella
terra
,
o
nella
vita
reale
,
nel
mondo
naturale
,
così
com
'
è
e
non
come
è
immaginato
,
e
pone
la
sua
gloria
nell
'
interpretarlo
,
nel
comprenderlo
e
nel
valersene
a
'
suoi
fini
.
Se
il
nostro
savio
ammette
con
le
persone
spirituali
che
la
fede
conduce
cose
grandi
,
gli
è
non
per
alcuna
assistenza
soprannaturale
o
provvidenziale
,
ma
perché
la
fede
fa
ostinazione
,
e
chi
dura
,
la
vince
.
Quanto
a
lui
,
non
gli
è
bisogno
la
fede
,
perché
a
vincere
bastano
le
sue
armi
proprie
,
la
naturale
prudenza
,
e
la
dottrina
e
l
'
esperienza
e
quel
suo
terribile
occhio
buono
e
perspicace
.
E
non
ci
è
latebra
del
cuore
umano
che
stia
nascosta
a
quell
'
occhio
,
e
non
apparenza
o
nebbia
così
fitta
che
gli
chiuda
la
via
,
e
non
vanità
d
'
immaginazione
o
impeto
di
passione
.
Quelli
che
si
lasciano
signoreggiare
da
vane
immaginazioni
,
sono
cervelli
deboli
.
Quelli
che
si
gittano
nelle
imprese
senza
considerare
le
difficoltà
,
sono
uomini
bestiali
.
E
chi
governa
a
caso
,
si
ritrova
alla
fine
a
caso
.
E
sono
matti
quelli
che
operano
secondo
passione
,
ancorché
nobile
e
generosa
.
E
sono
sciocchi
quelli
che
seguono
il
comune
ragionare
degli
uomini
e
le
vane
opinioni
del
popolo
.
Chi
disse
uno
popolo
,
disse
veramente
uno
pazzo
:
perché
è
un
mostro
pieno
di
confusione
e
di
errori
,
e
le
sue
vane
opinioni
sono
tanto
lontane
dalle
verità
,
quanto
è
,
secondo
Tolomeo
,
la
Spagna
dalla
India
.
Né
è
bene
stare
al
giudicio
di
quelli
che
scrivono
,
e
in
ogni
cosa
volere
vedere
ognuno
che
scrive
:
e
così
quello
tempo
che
s
'
arebbe
a
mettere
in
speculare
,
si
consuma
in
leggere
libri
con
stracchezza
d
'
animo
e
di
corpo
,
in
modo
che
l
'
ha
quasi
più
similitudine
a
una
fatica
di
facchini
,
che
di
dotti
.
Il
nostro
uomo
savio
e
perfetto
non
ha
fede
che
nel
suo
giudicio
proprio
,
nel
suo
speculare
,
e
nella
evidenza
del
fatto
,
che
scopre
ogni
fallacia
di
apparenza
;
quanti
dicono
bene
che
non
sanno
fare
:
quanti
in
sulle
panche
e
in
sulle
piazze
paiono
uomini
eccellenti
che
adoperali
riescono
ombre
!
Egli
crede
che
i
fatti
umani
sieno
determinati
dalle
inclinazioni
e
passioni
e
opinioni
degli
uomini
,
e
che
ci
sia
perciò
un
'
arte
della
vita
pubblica
e
privata
,
fondata
sullo
studio
e
la
cognizione
del
cuore
umano
,
scienza
affatto
sperimentale
.
E
qual
maestro
in
quest
'
arte
!
Nessuno
è
più
addentro
di
lui
ne
'
motivi
più
occulti
e
con
più
cura
dissimulati
delle
nostre
azioni
;
né
più
sicuro
in
determinare
gli
effetti
più
lontani
,
o
quella
lenta
successione
di
cause
poco
sensibili
e
poco
osservate
,
le
quali
spiegano
quei
moti
delle
cose
,
che
al
volgo
pajono
rovine
subitanee
.
Fra
tanta
varietà
di
accidenti
e
di
opinioni
e
di
passioni
nessuna
cosa
lo
sorprende
o
lo
sgomenta
o
lo
turba
,
perché
considera
ogni
cosa
etiam
minima
,
e
di
tutto
sa
trovare
il
bandolo
,
e
ne
'
più
diversi
casi
della
vita
prevede
e
provvede
,
da
'
più
alti
negozi
dello
Stato
alle
più
umili
faccende
della
famiglia
.
Il
suo
sguardo
ne
'
casi
più
improvvisi
freddo
e
tranquillo
è
quello
di
un
Iddio
,
alto
e
sereno
sulle
tempeste
,
ma
di
un
Iddio
leggermente
ironico
,
inclinato
a
pigliarsi
spasso
degli
uomini
e
voltarli
a
modo
suo
.
Questo
tipo
del
Guicciardini
è
la
pianta
uomo
,
come
s
'
era
più
o
meno
sviluppata
in
Italia
;
è
la
fisonomia
rimasa
storica
e
tradizionale
dell
'
uomo
italiano
com
'
era
a
quel
tempo
;
è
quella
superiorità
e
padronanza
dello
spirito
,
alla
quale
i
popoli
non
giungono
se
non
dopo
molti
secoli
d
'
iniziazione
e
di
civiltà
,
e
dove
l
'
Italia
giunse
con
tanta
celerità
di
cammino
,
che
vi
lasciò
per
via
gran
parte
delle
sue
forze
.
Onde
avvenne
,
che
in
così
visibile
progresso
dello
spirito
,
in
così
varia
e
ricca
coltura
,
in
tanta
prosperità
,
fra
tanti
capilavori
,
quando
coglieva
il
più
bel
fiore
di
una
vita
breve
e
affaticata
,
e
aveva
in
vista
nuovi
orizzonti
,
si
trovò
esausta
,
e
i
giorni
più
allegri
e
più
belli
della
sua
esistenza
furono
i
giorni
della
sua
morte
.
L
'
Italia
era
molto
simile
a
quest
'
uomo
del
Guicciardini
,
che
ha
fatto
piano
di
tutto
il
passato
,
e
rimasto
solo
col
suo
spirito
,
si
gitta
nella
vita
pieno
di
confidenza
nel
suo
ingegno
,
nella
sua
dottrina
,
nella
sua
esperienza
,
nel
suo
occhio
perspicace
,
e
tratta
l
uomo
,
come
la
natura
,
quasi
suo
servo
,
e
suo
istrumento
e
nato
a
utile
suo
,
e
guarda
con
uno
sguardo
fra
l
ironico
e
il
compassionevole
;
e
in
verità
il
più
degno
di
compassione
è
lui
.
Perché
infine
qual
'
è
l
'
uso
che
di
tante
forze
intellettive
farà
quest
'
uomo
?
qual
è
per
lui
il
problema
della
vita
?
Vivere
è
voltare
tutte
le
cose
divine
e
umane
,
spirituali
e
temporali
,
animate
ed
inanimate
,
a
beneficio
proprio
.
Ecco
l
'
ultimo
motto
di
questa
scienza
e
arte
della
vita
.
Seguiamo
la
storia
di
quest
'
uomo
secondo
il
tipo
del
Guicciardini
,
disegnato
con
tanta
maestria
in
questi
implacabili
ricordi
.
Egli
ha
sciolto
tutti
i
vincoli
col
passato
,
è
uscito
dalla
barbarie
del
medio
evo
,
ed
è
già
l
'
uomo
nuovo
o
l
'
uomo
moderno
,
che
si
beffa
del
soprannaturale
,
e
di
tutti
gli
occulti
e
le
vane
cogitazioni
dell
'
astrologia
e
della
magia
,
de
'
teologi
e
de
'
filosofi
,
e
non
ha
fede
che
nella
scienza
,
e
vi
pone
a
fondamento
l
'
esperienza
e
il
giudizio
proprio
,
lo
speculare
:
tipo
intellettuale
italiano
,
divenuto
dopo
grandi
lotte
il
tipo
,
la
fisonomia
di
tutta
l
'
Europa
civile
.
Questa
potenza
ed
energia
intellettuale
produsse
lavori
che
fruttificarono
in
altre
terre
,
aiutarono
al
progresso
umano
,
e
rimasero
sterili
,
dove
nacquero
.
Galilei
,
Colombo
,
Vico
,
e
molti
altri
potenti
intelletti
,
che
tanta
parte
ebbero
nella
civiltà
europea
,
non
ebbero
quasi
virtù
o
efficacia
nella
civiltà
del
loro
paese
,
dove
non
era
più
materia
atta
a
ricevere
e
generare
.
Il
Guicciardini
dice
che
le
città
non
sono
mortali
,
come
gl
'
individui
,
perché
la
materia
si
rinnova
,
e
se
periscono
,
è
per
gli
errori
di
quelli
che
governano
.
Superbia
di
statista
:
perché
non
ci
è
scienza
di
statista
,
la
quale
possa
fare
che
viva
una
città
,
a
cui
tutte
le
forze
spirituali
sono
mancate
,
e
dove
la
materia
che
si
rinnova
,
è
fiacca
e
corrotta
e
senza
succo
generativo
.
Né
alla
vita
basta
la
sparsa
cultura
e
l
'
intelligenza
sviluppata
:
perché
sapere
non
è
potere
,
come
vedremo
,
continuando
la
storia
del
nostro
uomo
.
Il
quale
,
così
potente
d
'
intelletto
e
di
dottrina
e
di
esperienza
e
di
discrezione
,
è
altresì
un
patriota
ed
un
liberale
,
con
tali
opinioni
che
lo
certificano
lontanissimo
già
dal
medio
evo
e
personaggio
affatto
moderno
.
Imperatore
e
Papa
,
guelfi
e
ghibellini
,
dritto
feudale
e
dritto
di
conquista
,
lotte
di
ottimati
e
di
popolani
,
tutto
questo
è
già
roba
vieta
,
è
cancellato
dalla
sua
coscienza
.
Italiano
,
cittadino
di
Firenze
e
laico
,
le
sue
opinioni
si
riassumono
in
queste
memorabili
parole
:
Tre
cose
desidero
vedere
innanzi
alla
mia
morte
,
ma
dubito
,
ancora
che
io
vivessi
molto
,
non
ne
vedere
alcuna
:
uno
vivere
di
repubblica
bene
ordinato
nella
città
nostra
;
Italia
liberata
da
tutti
i
barbari
,
e
liberato
il
mondo
dalla
tirannide
di
questi
scellerati
preti
.
Bellissime
sentenze
che
,
come
egli
presentiva
,
furono
un
testamento
,
divenuto
oggi
bandiera
di
tutta
la
parte
liberale
e
civile
europea
:
una
libertà
bene
ordinata
,
l
'
indipendenza
e
l
autonomia
delle
Nazioni
,
e
l
'
affrancamento
del
laicato
.
Questo
desiderava
allora
il
nostro
uomo
,
e
con
lui
tutta
la
parte
colta
del
popolo
Italiano
,
così
a
lui
simile
.
Ma
altro
è
desiderare
,
altro
è
fare
.
Il
nostro
uomo
farebbe
,
se
potesse
far
solo
,
ma
lo
sgomenta
la
compagnia
de
'
pazzi
e
de
'
maligni
.
Molti
,
è
vero
,
gridano
libertà
,
ma
in
quasi
tutti
prepondera
il
rispetto
dell
'
interesse
suo
.
Essendo
il
mondo
fatto
così
,
e
dovendo
l
uomo
savio
pigliare
il
mondo
com
'
è
e
non
come
dovrebbe
essere
,
la
scienza
e
l
arte
della
vita
è
posta
in
saper
condursi
di
guisa
che
non
te
ne
venga
danno
,
anzi
la
maggiore
comodità
possibile
.
Conoscere
non
è
mettere
in
atto
.
Pensa
come
vuoi
,
ma
fai
come
ti
torna
.
Perciò
la
principal
mira
del
nostro
savio
è
di
procurarsi
e
mantenersi
riputazione
,
perché
allora
tutti
li
corrono
dietro
;
e
quando
non
si
stima
l
'
onore
,
quando
manca
questo
stimolo
ardente
,
sono
morte
e
vane
le
azioni
degli
uomini
.
E
non
c
'
è
cosa
,
benché
minima
,
che
non
si
debba
fare
,
chi
vuole
acquistarsi
riputazione
.
Quantunque
sapere
sonare
,
ballare
,
cantare
e
simili
leggiadrie
,
scrivere
bene
,
sapere
cavalcare
,
sapere
vestire
accomodato
pare
che
diano
agli
uomini
più
presto
ornamento
,
che
sostanza
;
pure
è
bene
averne
cura
,
perché
questi
ornamenti
danno
degnità
e
riputazione
agli
uomini
etiam
bene
qualificati
e
aprono
la
via
al
favore
de
'
principi
,
e
sono
talvolta
principio
e
cagione
di
grande
profitto
e
esaltazione
.
Il
nostro
savio
non
è
uno
stoico
,
né
un
cinico
;
anzi
è
piuttosto
un
amabile
epicureo
.
Si
guarda
d
'
ingiuriare
e
di
offendere
,
e
quando
vi
sia
sforzato
,
fa
quello
solo
che
necessità
o
utilità
vuole
.
Fa
volentieri
il
bene
,
non
perché
ne
attenda
cambio
,
essendo
gli
uomini
facilissimi
a
dimenticare
i
benefizi
,
ma
perché
gli
cresce
riputazione
.
È
largo
di
cerimonie
e
di
lusinghe
e
di
promesse
generali
,
perché
ne
acquista
grazia
presso
gli
uomini
,
quando
pure
le
buone
parole
non
sieno
seguite
da
'
buoni
tatti
.
Si
studia
di
tenersi
bene
co
'
fratelli
,
co
'
parenti
,
co
'
principi
,
di
procacciarsi
amici
,
di
non
farsi
nemici
,
che
gli
uomini
si
riscontrano
,
e
te
ne
può
venir
male
.
Procura
di
trovarsi
sempre
con
chi
vince
:
perché
glie
ne
viene
parte
di
lode
e
di
premio
.
Ha
appetito
della
roba
,
non
per
godere
di
quella
,
che
sarebbe
cosa
bassa
,
ma
perché
gli
dà
riputazione
e
la
povertà
è
spregiata
.
È
persona
libera
e
reale
,
o
come
si
dice
in
Firenze
,
schietta
,
perché
piace
agli
uomini
e
perché
,
quando
sia
il
caso
di
simulare
,
più
facilmente
acquisti
fede
.
E
nega
arditamente
,
quando
anche
quello
abbia
fatto
o
tentato
sia
quasi
scoperto
e
pubblico
;
perché
la
negazione
efficace
,
quando
bene
non
persuada
a
chi
ha
indizi
o
creda
il
contrario
,
gli
mette
almanco
il
cervello
a
partito
.
È
stretto
nello
spendere
ancoraché
la
prodigalità
piaccia
:
perché
più
onore
ti
fa
uno
ducato
che
la
hai
in
borsa
,
che
dieci
che
tu
ne
hai
spesi
.
Fa
ogni
cosa
per
parere
buono
:
perché
il
buon
nome
vale
più
che
molte
ricchezze
.
Cerca
non
meritarsi
nome
di
essere
sospettoso
;
ma
perché
più
sono
i
cattivi
che
i
buoni
,
massime
dove
è
interesse
di
roba
o
di
stato
,
e
l
'
uomo
tanto
cupido
dello
interesse
suo
,
tanto
poco
respettivo
a
quello
di
altri
,
crede
poco
e
si
fida
poco
.
Sarei
infinito
se
volessi
continuare
in
queste
citazioni
.
E
forse
mi
sono
steso
troppo
.
Ma
dice
così
bene
,
così
preciso
,
in
un
linguaggio
e
in
uno
stile
così
oggi
dimenticato
,
che
nessuno
me
ne
vorrà
male
.
E
sarò
contento
,
se
avrò
potuto
invogliare
molti
a
leggere
questo
codice
della
vita
scritto
in
stile
lapidario
e
monumentale
e
pieno
di
alti
insegnamenti
per
i
cultori
delle
scienze
storiche
e
morali
.
Quest
'
uomo
savio
,
secondo
l
immagine
che
ce
ne
porge
il
Guicciardini
,
è
quello
che
oggi
direbbesi
un
gentiluomo
,
un
amabile
gentiluomo
,
nel
vestire
,
nelle
maniere
e
ne
'
tratti
.
Il
ritratto
è
così
fresco
e
vivo
,
così
conforme
alle
consuetudini
moderne
che
ad
ogni
ora
ti
par
d
'
incontrarlo
per
via
,
con
quel
suo
risetto
di
una
benevolenza
equivoca
,
con
quella
perfetta
misura
ne
'
modi
e
nelle
parole
,
con
quella
padronanza
di
sé
,
con
quella
confidenza
nel
suo
saper
fare
e
saper
vivere
.
Tutti
gli
fanno
largo
;
multi
gli
sono
attorno
;
e
se
ne
dice
un
gran
bene
.
Quelli
che
sono
da
più
di
lui
,
non
ne
hanno
ombra
,
perché
si
guarda
di
entrare
in
concorrenza
,
ed
anche
di
far
lega
co
'
potenti
,
memore
del
proverbio
castigliano
:
il
filo
si
rompe
dal
capo
più
debole
.
I
principi
lo
hanno
in
grazia
e
lo
colmano
di
onori
e
di
ricchezze
,
perché
mostra
di
avere
loro
rispetto
e
reverenza
,
e
in
questo
è
più
presto
abbondante
che
scarso
.
Ha
il
favore
del
popolo
,
fugge
il
nome
di
ambizioso
,
e
tutte
le
dimostrazioni
di
volere
parere
,
etiam
nelle
cose
minime
e
nel
vivere
quotidiano
,
maggiore
o
più
pomposo
o
delicato
che
gli
altri
.
Nessuno
gli
ha
gelosia
o
sospetto
,
perché
fugge
la
troppa
cupidità
,
per
la
quale
l
'
uomo
è
il
peggior
nemico
di
se
stesso
.
Qual
è
la
miglior
cosa
del
mondo
?
E
il
nostro
savio
risponde
:
è
misura
.
Aborre
dal
troppo
e
dal
vano
;
e
non
sforza
la
natura
,
e
si
rassegna
al
fato
,
a
quello
che
essere
,
citando
l
'
aureo
detto
:
Ducunt
volentes
fata
,
nolentes
trahunt
.
Se
non
può
colorire
tutti
i
suoi
disegni
,
non
se
ne
sdegna
e
sa
attendere
:
perché
i
savi
sono
pazienti
.
È
buono
cittadino
,
perché
si
mostra
zelante
del
bene
della
patria
e
alieno
da
quelle
cose
che
pregiudicano
a
un
terzo
;
ma
riprendere
i
disprezzatori
della
religione
e
de
buoni
costumi
è
bontà
superflua
di
quelli
di
San
Marco
la
quale
o
è
spesso
ipocrisia
,
o
quando
pure
non
sia
simulata
non
è
già
troppa
a
un
cristiano
,
ma
non
giova
niente
al
buono
essere
della
città
.
Vuol
provvedere
alla
sua
grandezza
,
ma
non
se
la
propone
per
idolo
come
fanno
comunemente
i
principi
,
i
quali
per
conseguire
ciò
che
gli
conduce
a
quella
fanno
uno
piano
della
coscienza
dell
onore
,
della
umanità
e
di
ogni
altra
cosa
.
Tutto
è
previsto
misurato
:
a
tutto
ci
è
un
ma
,
che
toglie
ogni
esagerazione
e
tien
fermo
il
nostro
savio
nella
via
del
mezzo
.
Aurea
mediocritas
.
Il
soperchio
rompe
il
coperchio
,
e
la
miglior
cosa
del
mondo
è
misura
.
Gl
'
intelletti
elevati
trascendono
il
grado
umano
e
si
accostano
alle
nature
celesti
,
ma
senza
dubbio
ha
migliore
tempo
nel
mondo
,
più
lunga
vita
e
è
in
uno
certo
modo
più
felice
chi
è
d
'
ingegno
più
positivo
.
E
questo
è
esser
savio
e
saper
vivere
.
senza
dubbio
il
nostro
savio
ama
la
gloria
,
e
desidera
di
fare
cose
grandi
ed
eccelse
,
ma
ingegno
positivo
,
com
'
egli
è
,
a
patto
che
non
sia
con
suo
danno
o
incomodità
.
Gli
cascano
di
bocca
parole
d
oro
.
Parla
volentieri
di
patria
,
di
libertà
,
di
onore
,
di
gloria
,
di
umanità
,
;
ma
vediamolo
a
'
fatti
.
Ama
la
patria
e
se
perisce
gliene
duole
non
per
lei
,
perciò
così
ha
a
essere
,
ma
per
sé
,
nato
in
tempi
di
tanta
infelicità
.
È
zelante
del
ben
pubblico
,
ma
non
s
ingolfa
tanto
nello
Stato
,
da
mettere
in
quello
tutta
la
sua
fortuna
.
Vuole
la
libertà
,
ma
quando
la
sia
perduta
non
è
bene
fare
mutazioni
,
perché
spesso
mutano
i
visi
delle
persone
non
le
cose
,
e
come
non
puoi
mutare
tu
solo
,
ti
riesce
altro
da
quello
che
avevi
in
mente
,
e
non
puoi
fare
fondamento
sul
populo
così
instabile
,
e
quando
la
vada
male
,
ti
tocca
la
vita
spregiata
del
fuoruscita
.
Se
tu
fossi
di
qualità
a
essere
capo
di
Stato
,
passi
;
ma
non
così
non
essendo
,
è
miglior
consiglio
portarsi
in
modo
che
quelli
che
governano
non
ti
abbiano
in
sospetto
,
e
neppure
ti
pongano
tra
i
malcontenti
.
Quelli
che
altrimenti
fanno
,
sono
nomini
leggieri
.
Nel
mondo
sono
i
savii
e
i
pazzi
.
E
pazzi
chiama
quei
fiorentini
,
che
vollero
contro
ogni
ragione
opporsi
,
quando
i
savii
di
Firenze
arebbono
ceduto
alla
tempesta
.
A
nessuno
dispiace
più
che
a
lui
l
ambizione
,
l
'
avarizia
e
la
mollizie
de
'
preti
,
e
il
dominio
temporale
ecclesiastico
;
ama
.
Martino
Lutero
,
per
vedere
ridurre
questa
caterva
di
scelerati
a
'
termini
debiti
,
cioè
a
restare
o
senza
vizi
,
o
senza
autorità
;
ma
per
il
suo
particulare
è
necessitato
amare
la
grandezza
de
'
pontefici
,
e
operare
a
sostegno
de
'
preti
e
del
dominio
temporale
.
Vuole
emendata
la
religione
in
molte
parti
;
ma
quanto
a
lui
,
non
combatte
con
la
religione
,
né
con
le
cose
che
pare
che
dependono
da
Dio
;
perchè
questo
obbietto
ha
troppa
forza
nella
mente
delli
sciocchi
.
Così
il
nostro
savio
si
nutre
di
amori
platonici
e
di
desiderii
impotenti
.
E
la
stia
impotenza
è
in
questo
,
che
a
lui
manca
la
forza
di
sacrificare
il
suo
particulare
a
quello
ch
'
egli
e
vuole
:
perché
quelle
cose
che
dice
di
amare
e
di
desiderare
,
la
verità
,
la
giustizia
,
la
virtù
,
la
libertà
,
la
patria
,
l
'
Italia
liberata
da
'
barbari
,
e
il
mondo
liberato
da
'
preti
,
non
sono
in
lui
sentimenti
vivi
e
operosi
,
ma
opinioni
e
idee
astratte
,
e
quello
solo
che
sente
,
quello
solo
che
lo
muove
,
è
il
suo
particolare
.
La
lotta
era
accesa
in
Germania
per
la
riforma
religiosa
e
si
stendeva
nelle
nazioni
vicine
,
e
non
mancavano
pazzi
tra
noi
che
per
quella
combattevano
e
morivano
;
in
Italia
si
combattevano
le
ultime
battaglie
della
libertà
e
dell
'
indipendenza
nazionale
;
il
paese
si
dibatteva
tra
Svizzeri
,
Spagnuoli
,
Tedeschi
e
Francesi
;
e
il
nostro
savio
non
pare
abbia
anima
d
'
uomo
,
e
non
dà
segno
quasi
di
accorgersene
e
non
se
ne
commove
,
e
libra
,
e
pesa
,
e
misura
quello
che
gli
noccia
o
gli
giovi
.
La
vita
è
per
lui
un
calcolo
aritmetico
.
L
Italia
perì
perchè
i
pazzi
furono
pochissimi
,
e
i
più
erano
i
savii
.
Città
,
principi
,
popolo
,
rispondevano
all
'
esemplare
stupendamente
delineato
in
questi
Ricordi
.
L
'
ideale
non
era
più
Farinata
,
erano
i
Medici
;
e
lo
scrittore
di
questi
tempi
non
era
Dante
,
era
Francesco
Guicciardini
.
La
società
s
'
era
ita
trasformando
,
pulita
,
elegante
,
colta
,
erudita
,
spensierata
,
amante
del
quieto
vivere
,
vaga
de
'
piaceri
dello
spirito
e
della
immaginazione
,
quale
tu
la
senti
ne
'
versi
di
Angiolo
Poliziano
.
Ogni
serietà
e
dignità
di
scopo
era
mancata
a
quella
insipida
realtà
.
Patria
,
religione
,
libertà
,
onore
,
gloria
,
tutto
quello
che
stimola
gli
uomini
ad
atti
magnanimi
e
fa
le
nazioni
grandi
,
ammesso
in
teoria
.
,
non
aveva
più
senso
nella
vita
pratica
,
non
era
più
il
motivo
della
vita
sociale
.
E
perché
mancarono
questi
stimoli
,
i
quali
soli
hanno
virtù
di
mantener
vivo
il
carattere
e
la
tempra
delle
nazioni
,
mancò
appresso
anche
ogni
energia
intellettuale
ed
ogni
attività
negli
usi
e
ne
'
bisogni
della
vita
,
e
il
paese
finì
in
quella
sonnolenza
,
che
i
nostri
vincitori
con
immortale
scherno
trasportarono
ne
'
loro
vocabolarii
e
chiamarono
il
dolce
far
niente
.
Un
individuo
simile
al
nostro
savio
può
forse
vivere
;
una
società
non
può
.
Perché
a
tenere
insieme
uniti
gli
uomini
è
necessità
che
essi
abbiano
la
forza
di
sacrificare
,
quando
occorra
,
anche
le
sostanze
,
anche
la
vita
;
e
dove
manchi
questa
virtù
o
sia
ridotta
in
pochi
,
la
società
è
disfatta
,
ancoraché
paja
viva
.
Questa
forza
mancò
agl
'
Italiani
,
simili
in
gran
parte
a
quel
romano
ricchissimo
,
che
non
volle
spendere
cento
ducati
per
la
comune
difesa
,
e
nel
sacco
di
Roma
perdette
l
onore
delle
figliuole
e
gran
parte
della
sua
fortuna
.
Questa
forza
mancò
,
perché
le
idee
che
mossero
i
loro
maggiori
erano
esauste
,
succeduta
la
stanchezza
e
l
indifferenza
,
e
in
tanta
cultura
e
prosperità
la
tempra
,
la
stoffa
dell
'
uomo
era
logora
,
mancata
quella
fede
e
caldezza
di
cuore
che
conduce
le
cose
grandi
,
che
può
comandare
ai
monti
,
come
dice
l
'
Evangelo
,
o
se
vi
piace
meglio
,
può
rendere
facili
e
dolci
i
più
duri
sacrifici
.
Che
cosa
rimaneva
?
La
saviezza
del
Guicciardini
.
Mancata
era
la
forza
:
supplì
l
'
intrigo
,
l
'
astuzia
,
la
simulazione
,
la
doppiezza
.
E
pensando
ciascuno
al
suo
particolare
,
nella
tempesta
,
comune
naufragarono
tutti
.
Come
erano
rimpiccoliti
gl
'
Italiani
e
in
quanta
fiacchezza
morale
erano
caduti
,
quali
erano
i
disegni
,
i
desiderii
fra
tanta
tempesta
,
può
far
fede
la
descrizione
che
fa
il
Guicciardini
dell
'
animo
dei
suoi
concittadini
,
ne
'
quali
era
pur
rimasta
tanta
virtù
che
valse
a
farli
cadere
con
lode
.
La
consuetudine
nostra
,
fa
dire
a
loro
lo
storico
,
non
comportava
che
s
'
implicassi
nella
guerra
tra
questi
principi
grandi
,
ma
attendessi
a
schermirsi
e
ricomperarsi
da
chi
vinceva
secondo
le
occasioni
e
le
necessità
.
Non
era
uficio
nostro
volere
dare
legge
a
Italia
,
volerci
fare
maestri
e
censori
di
chi
aveva
a
uscirne
:
non
mescolarci
nelle
quistioni
de
'
maggiori
re
de
'
cristiani
:
abbiamo
bisogno
noi
d
'
intrattenerci
con
ognuno
,
di
fare
che
i
mercatanti
nostri
,
che
sono
la
vita
nostra
,
possino
andare
sicuri
per
tutto
:
di
non
fare
mai
offesa
a
alcuno
principe
grande
se
non
constretti
e
in
modo
che
la
scusa
accompagni
l
ingiuria
,
né
si
vegga
,
prima
l
'
offesa
che
la
necessità
.
Non
abbiamo
bisogno
di
spendere
i
nostri
danari
per
nutrire
le
guerre
di
altri
,
ma
serbargli
per
difenderci
dalle
vittorie
;
non
per
travagliare
e
mettere
in
pericolo
la
vita
e
la
città
,
ma
per
riposarci
e
salvarci
.
Questo
linguaggio
di
servitori
e
di
mercanti
mostra
qual
era
allora
la
saviezza
de
'
popoli
italiani
,
e
che
cosa
è
l
'
uomo
savio
del
Guicciardini
.
Non
c
'
è
spettacolo
più
miserevole
di
tanta
impotenza
e
fiacchezza
in
tanta
saviezza
.
La
razza
italiana
non
è
ancora
sanata
da
questa
fiacchezza
morale
,
e
non
è
ancora
scomparso
dalla
sua
fronte
quel
marchio
che
ci
ha
impresso
la
storia
di
doppiezza
e
di
simulazione
.
L
'
uomo
del
Guicciardini
vivit
,
imo
in
Senatum
venit
,
e
lo
incontri
ad
ogni
passo
.
E
quest
'
uomo
fatale
c
'
impedisce
la
via
se
non
abbiamo
la
forza
di
ucciderlo
nella
nostra
coscienza
.
StampaPeriodica ,
PARTE
I
:
Che
debbasi
intendere
per
emancipazione
della
donna
.
La
donna
ne
ha
essa
diritto
?
Ne
è
essa
degna
?
Riconosciuta
l
'
uguaglianza
dei
due
sessi
e
quindi
il
diritto
di
emancipazione
per
la
donna
,
rinnoviamo
la
già
fatta
domanda
:
Ne
è
dessa
degna
?
Non
si
conquista
se
non
meritando
.
È
la
legge
storica
d
'
ogni
grande
emancipazione
.
Guardiamo
alla
classe
operaia
il
tempo
è
maturo
,
per
la
sua
emancipazione
,
ma
gli
operai
s
'
affratellarono
da
lunghi
anni
,
dietro
l
'
obolo
e
il
sangue
,
patirono
combattendo
per
la
causa
della
patria
,
pel
trionfo
d
'
un
santo
principio
.
La
donna
nulla
di
simile
ha
fatto
finora
.
Mi
direte
che
la
severità
mi
rende
ingiusta
contro
il
mio
sesso
,
poiché
qual
maggior
sacrifizio
può
idearsi
di
quello
della
vita
de
'
propri
cari
?
La
donna
non
offre
in
olocausto
alla
patria
,
in
ogni
conflitto
,
in
ogni
battaglia
,
la
parte
più
cara
di
sé
nella
persona
del
proprio
figlio
,
consorte
o
padre
?
Non
furono
le
donne
che
abbandonando
ogni
occupazione
domestica
dedicarono
giorni
e
notti
alla
cura
dei
feriti
e
dei
moribondi
quando
il
bisogno
richiedeva
il
loro
aiuto
?
Non
fu
per
opera
spontanea
delle
donne
che
nelle
varie
città
italiane
vennero
costituiti
comitati
di
soccorso
pei
garibaldini
e
pei
feriti
?
Tutto
ciò
è
vero
,
e
la
slanciata
accusa
va
alquanto
ritemprata
;
ma
tutto
questo
non
basta
per
cancellarla
.
Poiché
quelle
donne
che
in
tal
modo
cooperarono
alla
redenzione
della
propria
patria
erano
,
benché
la
più
cospicua
,
una
parte
minima
della
nazione
,
e
la
maggior
parte
di
quelle
,
diciamolo
pur
francamente
,
nonché
spinte
da
un
santo
principio
,
dall
'
intimo
sentimento
del
proprio
dovere
,
lo
erano
da
vanità
,
da
invidia
o
da
più
ignobile
passione
.
Certamente
sacrifizio
superiore
a
quello
della
propria
esistenza
è
per
la
donna
il
sacrifizio
della
vita
d
'
un
suo
caro
;
ma
sì
nobile
olocausto
non
è
spontaneo
,
non
è
volontario
,
bensì
imposto
dalla
necessità
.
Eccezione
rara
si
è
vedere
una
sposa
,
una
madre
di
non
dubbia
sensibilità
spingere
animosa
il
suo
diletto
alla
battaglia
e
non
versare
un
effluvio
di
lagrime
che
tenti
ammollire
in
lui
l
'
innata
virtù
e
gli
faccia
imprecare
al
suo
dovere
,
alla
patria
sua
!
Alla
mancanza
di
un
tale
eroismo
nel
cuore
femminile
dobbiamo
occagionare
se
la
indipendenza
del
nostro
paese
non
è
ancora
compiuta
se
la
libertà
è
ancora
per
gl
'
Italiani
uno
splendido
fantasma
che
va
errando
dell
'
un
capo
all
'
altro
della
penisola
senza
trovare
chi
abbia
la
virtù
di
realizzarlo
.
Fossero
le
donne
animate
da
un
giusto
sentimento
del
proprio
dovere
,
se
null
'
altro
avessimo
potuto
risparmiare
,
non
avremmo
però
lo
scorso
autunno
pianto
gli
assassinati
di
Mentana
,
non
avremmo
ingoiato
ignominia
sopra
ignominia
fino
al
punto
di
lasciare
che
lo
straniero
dicesse
impunentemente
:
Roma
non
sarà
mai
degli
Italiani
.
Ma
ritorniamo
all
'
argomento
,
da
cui
desolanti
riflessioni
sulla
attualità
ci
hanno
per
breve
alquanto
sviate
.
Abbiamo
cercato
dimostrare
che
la
donna
de
'
nostri
giorni
,
vana
,
civetta
,
inconseguente
,
apatica
,
non
è
degna
d
'
emancipazione
,
che
nulla
ha
fatto
finora
,
perché
la
generalità
debba
riconoscere
in
lei
questo
diritto
,
che
anzi
la
maggior
parte
delle
donne
non
solo
non
se
ne
curano
,
ma
non
sognano
pur
di
averlo
.
Conchiudiamo
che
se
la
donna
vuole
da
senno
che
il
principio
della
sua
emancipazione
passi
nel
novero
della
verità
riconosciute
,
non
deve
retrocedere
davanti
a
qualunque
sacrifizio
pel
trionfo
'
di
detto
principio
.
È
necessario
ch
'
ella
curvi
rassegnata
il
capo
alla
corona
del
marito
,
che
a
somiglianza
delle
primi
martiri
del
Cristianesimo
sfidi
imperterrita
ogni
tortura
,
che
gli
egoisti
ed
i
retrivi
non
mancheranno
di
apprestarle
,
pel
trionfo
della
sua
causa
.
Quando
la
fede
illuminerà
l
'
anima
nostra
,
quando
unite
,
perseveranti
,
concordi
,
l
'
uomo
,
ci
vedrà
camminare
sulla
via
dell
'
abnegazione
per
raggiungere
la
sublime
meta
,
allora
soltanto
si
prostrerà
a
noi
d
'
inanzi
e
ci
saluterà
,
non
con
ipocrite
parole
,
ma
coi
fatti
,
veramente
compagne
ed
uguali
.
StampaPeriodica ,
La
donna
ha
doveri
nella
famiglia
,
ha
doveri
nella
società
,
ha
doveri
in
faccia
alla
patria
.
Essa
è
figlia
,
essa
è
sposa
,
essa
è
madre
;
e
come
figlia
e
come
sposa
e
come
madre
non
le
basta
saper
compiere
i
bassi
ufficii
della
domestica
azienda
,
la
fisica
e
la
morale
sua
forza
a
questi
soli
misurare
e
,
questi
soddisfatti
,
illudersi
di
aver
bene
adempiuto
alla
sua
missione
.
Oh
,
codesta
non
è
se
non
la
missione
della
donna
massaia
,
e
non
quella
della
donna
compagna
dell
'
uomo
e
con
lui
progredire
al
bene
infinito
delle
masse
.
La
missione
della
donna
,
collo
sviluppo
delle
odierne
aspirazioni
,
è
pure
di
diversa
natura
.
La
donna
dev
'
essere
l
'
iniziatrice
dell
'
avvenire
d
'
ogni
nazione
;
ma
perché
possa
degnamente
rispondere
al
suo
nobile
compito
e
collocarsi
al
suo
vero
posto
,
ella
deve
istruirsi
;
istrutta
,
resa
valida
nelle
facoltà
del
suo
intelletto
,
non
potrà
più
sgarrare
dalla
retta
linea
che
deve
percorrere
,
e
la
percorrerà
con
fermezza
e
coraggio
;
istrutta
,
la
sua
redenzione
non
ne
sarà
che
una
naturale
conseguenza
,
ché
da
sé
stessa
saprà
scuotersi
di
dosso
quei
mille
vincoli
che
sotto
forme
speciose
ora
la
tengono
soggiogata
ed
avvilita
,
rendendo
nullo
il
suo
concorso
ne
'
liberi
ordinamenti
,
o
piuttosto
che
nullo
,
di
uno
speciale
svantaggio
.
Perciò
solo
noi
assumemmo
il
difficile
incarico
di
questa
effemeride
per
contribuire
,
con
quei
pochi
mezzi
di
cui
possiamo
disporre
,
a
preparare
la
donna
onde
rendersi
man
mano
degna
della
esigenza
dei
tempi
e
dei
portati
della
nuova
filosofia
razionale
che
riconosce
in
lei
la
potenza
rigeneratrice
dell
'
umanità
prostrata
.
Ma
resa
la
donna
all
'
altezza
de
'
suoi
doveri
,
è
impossibile
che
ella
soggiaccia
più
a
lungo
sotto
l
'
oppressione
continua
delle
leggi
che
,
con
troppo
evidente
ingiustizia
,
la
vogliono
tutelata
dalla
culla
alla
tomba
;
quando
l
'
uomo
corrisponde
pienamente
all
'
adempimento
de
'
suoi
obblighi
,
egli
ha
per
sé
il
libero
esercizio
dei
suoi
diritti
;
e
la
società
che
accenna
a
spogliarsi
d
'
ogni
muliebre
pregiudizio
,
triste
eredità
dell
'
evo
medio
,
lo
niegherà
alla
donna
?
Se
vuolsi
la
donna
sentinella
avanzata
d
'
ogni
più
perfetto
incivilimento
,
si
dovrà
di
ragione
concederle
l
'
autonomia
del
suo
individuo
,
e
lasciandole
la
responsabilità
delle
proprie
azioni
,
permetterle
di
consacrarsi
colla
devozione
di
cui
può
essere
capace
ai
pubblici
interessi
e
concorrere
colla
sua
opera
di
cittadina
all
'
ingrandimento
della
patria
,
pur
soddisfacendo
ai
suoi
attributi
che
,
come
figlia
,
come
sposa
e
quale
madre
,
la
provvidenza
le
assegnava
.
Epperò
noi
offriamo
alle
nostre
lettrici
il
Progetto
di
legge
del
Deputato
di
Sessa
,
Salvatore
Morelli
,
presentato
alla
Camera
il
18
Giugno
1867
,
e
l
'
Indirizzo
del
Comitato
Supremo
per
l
'
emancipazione
della
donna
,
organizzatosi
in
Napoli
.
Leggano
le
nostre
sorelle
e
Indirizzo
e
Progetto
,
fermino
il
loro
pensiero
sui
punti
salienti
;
e
quando
esse
vi
si
trovino
(
e
si
potrebbe
dubitarne
?
)
inclinate
ad
accondiscendervi
,
seguano
fervorose
le
vie
che
la
nuova
luce
ci
appresenta
,
e
tutte
concordi
riusciremo
allo
scopo
rigeneratore
a
cui
con
ogni
sforzo
ora
attendiamo
.
StampaPeriodica ,
In
generale
le
madri
non
comprendono
il
vasto
significato
di
questo
nome
,
che
le
somiglia
a
Dio
.
Non
furono
educate
a
comprenderlo
.
Esse
insegnano
al
figlio
quanto
fu
loro
appreso
,
senza
discuterlo
;
e
di
qui
la
causa
,
di
quella
lotta
del
vero
col
falso
,
del
bene
col
male
che
dura
da
secoli
,
e
anche
oggi
impedisce
all
'
uomo
di
trionfare
(...)
.
Oh
madre
...
Spezza
i
ceppi
che
costringono
il
tuo
pensiero
entro
i
limiti
angusti
;
esci
dalle
strettoie
del
pregiudizio
,
corri
incontro
all
'
avvenire
,
e
crea
l
'
accordo
fra
la
tua
famiglia
e
il
progresso
dell
'
idea
umanitaria
.
Attingi
alla
scienza
del
cuore
,
che
precorre
quella
dell
'
intelletto
,
e
pianta
nell
'
animo
del
figlio
i
germi
della
virtù
,
divinando
col
tuo
intuito
meraviglioso
,
quali
sono
i
nuovi
doveri
che
la
società
domanda
all
'
uomo
.
Qualsiasi
la
tua
condizione
,
è
sempre
eguale
il
tuo
compito
,
tu
devi
formare
l
'
uomo
morale
,
e
formarlo
quale
i
tempi
lo
esigono
.
Non
ti
dico
di
farti
maestra
al
figlio
di
questa
o
quella
disciplina
;
ben
più
sublime
è
il
tuo
ministero
.
Devi
attendere
non
alla
sua
istruzione
,
sibbene
alla
sua
educazione
.
Quella
illumina
la
mente
,
sviluppa
la
ragione
;
questa
dà
il
dovuto
indirizzo
alle
facoltà
dell
'
anima
.
V
'
ha
un
campo
,
quello
del
sentimento
,
in
cui
l
'
uomo
non
può
stare
di
fronte
alla
donna
;
e
se
la
donna
vi
si
colloca
,
circondandosi
della
luce
che
spande
il
progresso
,
vi
regnerà
regina
,
e
l
'
uomo
,
marito
o
figlio
,
padre
o
fratello
,
là
dovrà
inchinare
e
adorarla
.
Ma
se
il
sentimento
non
avrà
a
guida
la
verità
,
se
negherà
i
risultati
della
scienza
,
se
vorrà
trincerarsi
nell
'
errore
,
allora
avverranno
le
tristi
conseguenze
cui
prima
ho
descritto
.
Oh
no
,
tu
devi
crescere
il
figlio
a
quel
sentimento
,
padre
del
bene
,
acerrimo
nemico
del
male
;
padre
del
sacrificio
,
mortale
nemico
dell
'
egoismo
;
padre
dell
'
amore
,
nemico
dell
'
odio
;
a
quel
sentimento
che
s
'
ingigantisce
mano
a
mano
che
la
mente
va
guardando
sul
campo
della
scienza
;
a
quel
sentimento
che
ha
principio
da
Dio
,
e
attraverso
l
'
umanità
,
in
Dio
s
'
appunta
(...)
.
StampaPeriodica ,
Sì
,
un
dovere
imprescindibile
ci
appella
,
o
sorelle
;
tale
che
lasciandolo
inadempiuto
,
noi
ci
macchieremmo
di
colpa
.
Deh
,
che
trascinate
da
un
sentimento
cui
forse
si
vorrebbe
dar
nome
di
onestà
,
voi
non
abbiate
da
rimaner
sorde
alla
sua
voce
(...)
.
(...)
È
in
nome
del
pudore
,
non
falso
,
non
illusorio
o
derisore
,
che
il
nostro
periodico
entra
oggi
a
pronunciarsi
sopra
un
argomento
,
serio
,
grave
,
che
ci
tocca
da
vicino
,
o
mie
care
sorelle
,
ben
da
vicino
e
che
sarebbe
stato
vergognoso
ch
'
esso
non
avesse
avuto
il
coraggio
di
trattare
poi
che
lo
scopo
cui
tende
è
:
la
riabilitazione
della
donna
per
mezzo
dell
'
educazione
riformatrice
de
'
costumi
.
Come
si
avrebbe
potuto
tacere
quando
una
voce
generosa
si
è
alzata
a
domandare
pietà
per
le
povere
cadute
,
che
la
colpa
,
sotto
vesti
seducenti
,
che
abbagliano
le
inesperte
,
avvolse
nelle
sue
spire
fatali
e
trascinò
nel
baratro
dell
'
ignominia
,
senza
che
,
forse
,
esse
stesse
potessero
rendersi
ragione
di
avere
spruzzata
di
fango
la
candida
stola
dell
'
innocenza
,
perduta
per
sempre
la
loro
aureola
di
purezza
?
Per
quelle
sciagurate
che
prive
di
un
appoggio
,
orfane
de
'
genitori
,
o
co
'
genitori
stanchi
delle
fatiche
sostenute
,
affievoliti
nella
salute
,
incapaci
di
guadagnarsi
ormai
un
pane
;
o
con
un
marito
disoccupato
e
dedito
alla
crapula
e
circondate
da
numerosa
figliolanza
,
o
vedove
e
ricche
solo
di
prole
e
di
miseria
,
poi
che
tutte
le
vie
hanno
tentato
dell
'
onesto
lavoro
,
vendono
la
propria
bellezza
,
per
sopperire
non
a
'
loro
ma
a
'
bisogni
delle
creature
che
da
esse
attendono
l
'
esistenza
,
come
si
avrebbe
potuto
tacere
,
ripeto
,
e
non
far
eco
a
questa
voce
ch
'
era
di
donna
e
alla
quale
risposero
mille
e
mille
voci
d
'
uomo
?
L
'
uomo
causa
prima
di
tanta
sventura
,
che
pesa
come
una
maledizione
sul
nostro
sesso
;
l
'
uomo
causa
principale
,
che
resta
immacolato
di
quel
fango
che
getta
a
piene
mani
sulla
vittima
delle
sue
crudeli
follie
.
No
,
non
si
poteva
rimanere
indifferenti
in
mezzo
al
movimento
benefico
che
si
iniziò
da
qualche
tempo
per
correggere
,
per
cancellare
l
'
ingiustizia
delle
leggi
che
puniscono
l
'
essere
meno
colpevole
e
più
degno
di
misericordia
e
di
perdono
(...)
.
Noi
,
sorelle
delle
cadute
,
noi
che
,
sarebbe
stoltezza
non
riconoscerlo
,
partecipiamo
alla
loro
vergogna
...
oh
!
,
non
mi
dite
ch
'
io
esagero
;
chi
assevera
il
vero
,
chi
assevera
un
vero
doloroso
come
questo
,
può
benissimo
venire
tacciato
di
esagerazione
;
ma
o
non
temo
le
accuse
,
non
mi
preoccupo
di
quel
che
potreste
pensare
di
me
;
se
trattasi
di
un
bene
comune
,
non
mi
curo
del
danno
che
al
mio
individuo
potrebbe
derivarne
;
e
vi
ripeto
,
sì
,
noi
siamo
sorelle
delle
cadute
;
la
vergogna
che
pesa
su
di
loro
,
pesa
pure
su
di
noi
,
pesa
sulle
nostre
famiglie
,
che
non
ponno
prosperare
poi
che
la
fonte
della
morale
è
attossicata
,
e
per
esse
,
tanto
avvilite
,
alle
quali
si
crede
non
doversi
più
riguardo
alcuno
,
ma
disprezzo
,
ma
insulti
,
ma
umiliazioni
;
e
questo
disprezzo
,
questi
insulti
,
queste
umiliazioni
continue
,
scemano
quel
rispetto
al
quale
ha
diritto
la
donna
onesta
,
perché
solidale
nella
colpa
con
le
sventurate
ludibrio
delle
passioni
che
disonorano
l
'
uomo
(...)
.
StampaPeriodica ,
L
'
uomo
,
sentendosi
più
forte
,
s
'
immaginò
che
l
'
intelligenza
procedesse
di
pari
passo
colla
forza
e
crescesse
in
ragione
diretta
di
questa
,
cosicché
si
credette
anche
più
intelligente
e
come
tale
,
destinato
a
dirigere
ogni
cosa
e
ad
imperare
sovra
tutti
gli
esseri
,
compresavi
la
sua
compagna
.
Stimandola
tanto
a
sé
inferiore
pensò
che
fosse
nata
per
il
solo
piacere
suo
e
non
avesse
com
'
esso
il
diritto
di
disporre
di
sé
,
di
vivere
e
regolarsi
secondo
la
propria
volontà
ed
inclinazione
.
Si
arrogò
tutti
i
diritti
e
le
impose
tutti
i
doveri
.
In
seguito
,
trovando
nella
diversità
,
nel
contrasto
delle
cose
alcun
che
di
armonico
,
di
piacevole
,
volle
avere
pella
donna
un
essere
che
totalmente
da
esso
differenziasse
e
diresse
la
sua
educazione
in
questo
senso
.
Parvegli
molto
opportuna
cosa
l
'
accrescere
la
naturale
differenza
di
forza
,
aumentando
la
propria
col
continuo
esercizio
che
gli
offrivano
le
frequenti
guerre
,
le
lunghe
marcie
;
colla
ginnastica
,
col
pugilato
,
coi
lavori
dei
campi
,
ecc
.
,
e
diminuendo
quella
della
donna
,
costringendola
ad
una
vita
sedentaria
,
anche
nell
'
infanzia
(
l
'
età
in
cui
è
tanto
necessario
il
moto
per
acquistare
una
vigorosa
salute
)
condannandola
al
monotono
lavoro
dell
'
ago
,
continuamente
seduta
nel
vano
di
una
finestra
,
dall
'
alba
sino
alla
sera
.
Coll
'
andare
del
tempo
quest
'
educazione
portò
i
suoi
frutti
.
La
donna
divenne
più
debole
;
la
sua
costituzione
fisica
si
alterò
;
si
fece
più
delicata
,
più
sensibile
.
Dalla
debolezza
nacque
la
timidità
,
qualità
di
cui
l
'
uomo
assai
si
compiacque
,
perché
offriva
alla
nature
grossolane
e
brutali
,
che
sono
per
necessità
tanto
numerose
,
i
mezzi
di
abusare
sempre
più
del
loro
potere
,
ed
alle
nature
generose
,
che
sono
sempre
rare
,
porgeva
occasione
di
protezione
,
la
quale
genera
per
solito
la
riconoscenza
e
l
'
amore
.
A
questa
educazione
fisica
deprimente
,
tenne
dietro
un
'
analoga
educazione
intellettuale
e
morale
.
Dapprincipio
nulla
doveva
la
donna
conoscere
;
non
le
s
'
insegnava
né
a
scrivere
né
a
leggere
.
Più
tardi
imparò
dell
'
alfabeto
quant
'
era
necessario
alla
lettura
delle
sue
preghiere
,
ed
annotare
gli
oggetti
di
biancheria
che
consegnava
al
bucato
.
Con
tal
genere
d
'
istruzione
negativa
era
facilissimo
farle
credere
tutto
quello
che
si
voleva
.
Allora
s
'
inventò
per
uso
della
donna
,
una
morale
tutta
speciale
.
Si
crearono
delle
virtù
maschili
e
delle
virtù
femminili
.
Le
prime
furono
il
coraggio
spinto
sino
alla
temerità
,
sino
alla
baldanza
;
la
fierezza
;
la
rigidità
del
carattere
!
l
'
ostinazione
che
si
chiamò
fermezza
;
la
nobile
ambizione
di
distinguersi
,
di
empire
il
mondo
della
propria
fama
;
il
dignitoso
sentire
di
sé
stesso
...
Infine
,
tutto
ciò
che
lusingava
l
'
amar
proprio
dell
'
uomo
,
che
secondava
le
sue
inclinazioni
dominatrici
,
il
suo
istinto
belligero
fu
stimato
virtù
maschile
e
,
per
contro
,
la
timidezza
,
la
rassegnazione
,
la
dolcezza
e
pieghevolezza
del
carattere
,
l
'
obbedienza
,
la
sommissione
al
volere
altrui
,
la
modestia
,
il
pudore
,
il
silenzio
,
la
disposizione
al
sacrifizio
,
si
dissero
virtù
che
convenivano
eminentemente
alla
donna
;
e
tanto
si
perdurò
in
questo
sistema
da
far
parere
naturale
,
non
solo
agli
occhi
del
volgo
ma
a
quelli
pur
anco
delle
persone
colte
,
ciò
che
altro
non
è
se
un
mero
effetto
della
educazione
.
Si
riuscì
,
per
tal
modo
,
ad
avere
nella
donna
e
nello
uomo
due
contrasti
viventi
;
due
nature
direi
quasi
eterogenee
;
due
tipi
opposti
,
come
l
'
acqua
e
il
fuoco
,
lo
spirito
e
la
materia
,
la
gioia
e
il
dolore
,
e
via
dicendo
;
il
cui
stato
normale
è
una
lotta
continua
che
la
stessa
mutua
attrazione
è
impotente
a
spegnere
.
La
donna
fu
la
poesia
,
l
'
ideale
;
l
'
uomo
fu
la
prosa
,
il
reale
.
La
donna
rappresentò
la
passività
,
l
'
uomo
l
'
attività
(...)
.
(...)
L
'
uomo
cammina
a
fronte
alta
in
qualsiasi
luogo
ed
in
ogni
circostanza
,
la
donna
deve
camminare
cogli
occhi
bassi
come
una
colpevole
,
ché
la
modestia
gliene
fa
un
dovere
.
È
permesso
all
'
uomo
di
farsi
ammirare
,
di
uscire
dalla
folla
e
mettersi
in
evidenza
salendo
sovra
un
piedestallo
;
la
donna
deve
eclissarsi
,
evitare
che
si
parli
di
lei
,
sia
in
male
che
in
bene
;
deve
tenersi
celata
,
occupare
il
minore
spazio
possibile
,
onde
l
'
uomo
possa
meglio
muoversi
in
tutto
suo
agio
.
In
verità
si
direbbe
che
il
nascer
donna
sia
un
disonore
,
un
'
onta
,
una
colpa
da
doversi
espiare
a
forza
di
umiliazioni
,
di
rassegnazione
,
di
pazienza
,
e
senza
potervi
mai
riuscire
(...)
.
(...)
Non
v
'
è
bisogno
alcuno
di
essere
forte
,
o
intelligente
,
o
dotto
,
o
saggio
,
o
educato
,
per
aver
diritto
alla
libertà
.
Tutti
gli
uomini
,
dal
più
degno
al
più
tristo
,
sono
liberi
ed
eguali
tra
loro
.
Le
donne
devono
,
allo
stesso
titolo
,
esser
libere
e
sovra
un
piede
di
perfetta
eguaglianza
cogli
uomini
,
per
questo
solo
motivo
,
ché
sono
anch
'
esse
dotate
di
volontà
,
di
spontaneità
,
al
paro
di
tutti
gli
altri
esseri
viventi
;
perché
la
libertà
è
un
bisogno
e
quando
una
volontà
non
è
libera
,
è
vincolata
da
un
'
altra
,
vi
è
un
individuo
che
soffre
ed
un
altro
che
si
arroga
più
che
non
gli
spetta
.
Ogni
individuo
a
qualunque
classe
appartenga
,
deve
avere
la
sua
giusta
,
eguale
dose
di
libertà
,
limitata
soltanto
da
quella
di
un
altro
;
la
sua
dose
di
responsabilità
,
senza
la
quale
non
vi
può
essere
né
moralità
,
né
onore
,
né
dignità
,
né
virtù
di
sorta
.
La
donna
ha
diritto
al
pieno
e
legittimo
possesso
della
sua
persona
perché
è
un
individuo
distinto
e
completo
,
che
può
stare
da
sé
,
senza
unirsi
all
'
uomo
e
vivere
,
ciò
non
di
meno
,
felice
,
rendersi
utile
alla
patria
,
alla
società
,
alla
umanità
,
come
l
'
uomo
può
stare
ed
è
un
individuo
completo
anche
senza
unirsi
alla
donna
,
del
che
abbiamo
numerosi
esempi
.
La
donna
ha
diritto
quanto
l
'
uomo
alla
scienza
,
alla
conoscenza
del
vero
perché
è
quanto
l
'
uomo
intelligente
,
morale
e
ragionevole
.
Ha
diritto
a
tutto
ciò
cui
ha
diritto
l
'
uomo
,
perché
una
sola
è
la
morale
,
una
la
giustizia
,
una
la
ragione
,
uno
l
'
onore
.
Tutto
ciò
che
è
permesso
all
'
uomo
deve
esserlo
parimente
alla
donna
,
come
tutto
ciò
che
è
vietato
alla
donna
,
se
veramente
giusto
è
il
divieto
,
lo
deve
essere
anche
all
'
uomo
.
Il
male
ed
il
bene
,
sì
fisico
che
morale
,
non
hanno
,
non
conoscono
,
non
sono
d
'
alcun
sesso
.
Tutto
ciò
che
merita
davvero
il
nome
di
virtù
conviene
ad
entrambi
e
ciò
che
è
riconosciuto
immorale
,
se
propriamente
è
tale
,
non
se
lo
devono
permettere
né
l
'
uno
né
l
'
altro
.
È
tempo
,
ormai
,
che
si
cessi
dall
'
usare
due
pesi
e
due
misure
,
e
qualora
si
persistesse
a
credere
necessaria
una
distinzione
tra
i
sessi
(
cosa
che
noi
non
possiamo
in
verun
modo
ammettere
)
la
giustizia
esigerebbe
assolutamente
che
le
prerogative
,
i
riguardi
,
le
preferenze
,
la
maggiore
tolleranza
della
legge
,
come
della
società
,
fossero
in
favore
del
più
debole
e
la
severità
,
il
rigore
dei
Codici
,
dei
Tribunali
,
della
pubblica
opinione
,
si
adoperassero
contro
il
più
forte
e
non
già
tutto
il
contrario
,
come
si
è
sempre
praticato
ed
ancora
si
pratica
.
StampaPeriodica ,
Lasciando
,
per
ora
,
d
'
indagare
quanto
vi
possa
essere
di
vero
in
questa
sentenza
:
La
speciale
missione
della
donna
è
la
maternità
,
come
accade
,
domando
io
,
che
una
donna
divenuta
madre
senza
essere
maritata
,
è
disprezzata
da
tutti
,
e
talmente
disprezzata
,
che
si
trova
nella
dura
necessità
di
nascondersi
per
dare
la
vita
alla
sua
creatura
,
o
rassegnarsi
ad
una
vita
di
disonore
,
di
disprezzo
,
d
'
umiliazione
e
di
miseria
(...)
.
(...)
Mi
risponde
:
Per
essere
madre
onorata
la
donna
deve
prima
maritarsi
.
Bene
,
sia
pure
.
Ma
può
la
donna
maritarsi
come
,
quando
e
con
chi
vuole
?
No
;
deve
aspettare
di
essere
chiesta
in
moglie
.
E
se
nessuno
la
chiede
?
In
tal
caso
si
conservi
zitella
.
Ma
allora
che
diviene
la
vostra
massima
:
la
donna
è
nata
per
essere
madre
?
E
poi
,
conservarsi
casta
per
tutta
la
vita
è
presto
detto
,
ma
credete
che
sia
cosa
tanto
facile
,
non
dico
per
tutte
,
ma
per
molte
e
molte
?
Tuttavia
date
loro
,
o
Signori
,
l
'
esempio
e
sono
sicura
che
tutte
sapranno
imitarvi
.
Come
oserete
parlar
loro
di
castità
assoluta
mentre
voi
,
o
Signori
,
date
al
mondo
continue
prove
che
la
credete
una
virtù
impossibile
?
Voi
sembrate
persuasi
che
la
donna
può
,
anzi
deve
esser
casta
,
ma
per
vostro
conto
la
castità
sembra
che
la
consideriate
,
non
più
una
virtù
necessaria
,
ma
una
vera
impossibilità
e
nello
stesso
tempo
una
ridicolaggine
,
direi
quasi
,
una
vergogna
.
Tutti
i
filosofi
,
siano
spiritualisti
ovvero
materialisti
,
si
accordano
nel
dire
che
l
'
amore
è
un
bisogno
del
cuore
umano
.
Or
come
soddisferanno
a
questo
bisogno
le
donne
che
non
si
maritano
?
Mi
si
potrebbe
rispondere
:
Vi
è
l
'
amor
platonico
e
di
questo
forse
intendono
parlare
i
filosofi
.
Nessuno
al
mondo
più
di
me
rispetta
ed
ammira
l
'
amor
platonico
,
ma
perché
fosse
possibile
bisognerebbe
trovare
uomini
che
se
ne
contentassero
.
E
,
dopo
tutto
,
mi
sia
permesso
il
dirlo
,
la
natura
fisica
ha
pure
le
sue
esigenze
,
che
sono
tanto
legittime
quanto
quelle
della
natura
morale
e
senza
le
quali
l
'
umanità
si
estinguerebbe
.
Sapreste
dirmi
,
o
Signori
,
in
cortesia
perché
,
quando
trattasi
del
vostro
sesso
,
voi
considerate
l
'
amor
fisico
quale
un
bisogno
e
ne
fate
una
questione
di
salute
,
e
quando
trattasi
del
nostro
il
bisogno
e
la
salute
scompaiono
ad
un
tratto
e
più
nessuno
ne
parla
?
Se
mai
vi
figurate
che
le
donne
non
hanno
gli
stessi
bisogni
vostri
rivolgetevi
ad
un
medico
,
che
sia
anche
filosofo
,
e
sentirete
quali
terribili
sconcerti
la
castità
forzata
produce
nella
salute
di
quelle
sventurate
che
si
rinchiudono
nei
chiostri
.
Tutti
compiangono
la
misera
sorte
di
quelle
povere
sacrificate
che
,
illuse
da
un
falso
concetto
religioso
,
credettero
non
poter
salvare
l
'
anima
se
non
a
patto
di
martoriare
il
corpo
,
e
tale
compianto
è
giusto
,
è
generoso
,
ma
come
poi
conciliare
questo
lodevole
senso
di
simpatia
per
quelle
infelici
che
finalmente
si
sono
,
dobbiamo
supporlo
,
volontariamente
immolate
,
colla
pretensione
che
ha
la
società
d
'
imporre
a
tutte
le
donne
non
maritate
quella
medesima
castità
assoluta
che
si
deplora
nelle
monache
?
Non
dipende
sempre
dalla
donna
il
maritarsi
;
sono
anzi
biasimate
,
criticate
,
messe
in
ridicolo
le
giovani
che
si
industriano
per
trovare
un
marito
,
(
che
si
pretende
d
'
altronde
tanto
necessario
)
e
si
vuole
che
non
amino
,
che
non
diventino
madri
se
non
unite
in
legittimo
matrimonio
!
(...)
.
(...)
Ogni
qual
volta
io
sento
parlare
nei
termini
più
obbrobriosi
di
donne
perdute
,
da
uomini
che
le
superano
spesso
in
dissolutezze
;
ogni
volta
che
li
sento
,
ipocritamente
o
ingenuamente
,
deplorare
la
crescente
demoralizzazione
femminile
,
mi
par
di
sentire
un
'
orribile
stuonatura
.
Suppongo
che
ben
pochi
debbano
essere
gli
uomini
che
non
siano
stati
,
almeno
una
volta
nella
loro
vita
,
in
qualche
casa
di
tolleranza
,
potendolo
fare
impunemente
.
Non
sono
soltanto
gli
uomini
libertini
,
scostumati
,
rotti
ad
ogni
vizio
;
non
sono
soltanto
gli
uomini
delle
basse
classi
che
frequentano
,
più
o
meno
assiduamente
,
tali
luoghi
.
Quelle
donne
affermano
che
uomini
d
'
ogni
rango
,
d
'
ogni
classe
,
d
'
ogni
condizione
,
d
'
ogni
età
;
celibi
,
ammogliati
,
rispettabili
padri
di
famiglia
,
si
recano
a
visitarle
,
e
non
si
sanno
persuadere
perché
esse
debbano
essere
un
oggetto
d
'
esecrazione
per
tutti
,
mentre
gli
uomini
che
frequentano
le
loro
case
sono
tuttavia
stimati
onesti
,
degni
,
persone
ammodo
e
come
si
deve
.
Io
lo
confesso
,
in
questo
non
posso
dar
loro
torto
(...)
.
(...)
Per
me
,
non
lo
nascondo
,
vi
è
qualche
cosa
di
ben
più
vile
,
di
ben
più
abbietto
,
di
ben
più
ignobile
di
una
donna
perduta
.
È
l
'
uomo
che
confessa
averne
bisogno
,
la
considera
necessaria
,
l
'
avvicina
e
la
disprezza
!
(...)
.