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> anno_i:[1850 TO 1880} > categoria_s:"StampaPeriodica"
StampaPeriodica ,
Verso la fine del quattrocento grande era il disordine in cui s ' aggirava il concetto della lingua nostra e delle lettere , che da un lato erano declinanti , dall ' altro sentivano se stesse per anche non bene mature . Da noi si chiama buon secolo della lingua nostra quello di Dante o del Petrarca e del Boccaccio ; ma gli scrittori in quella età non ebbero tanta fiducia di se stessi né tanta superbia . Il che si dimostra in primo luogo dal disputare che si fece subito intorno alla lingua , la quale avendo taccia , di bassezza non era , autorevole bastantemente sulla nazione ; era un dialetto venuto su quando una spinta maravigliosa fu data agli ingegni , ma senza corredo di scienza bastante . Sentìano mancare all ' efficacia della lingua l ' arte del dire ; in quella età noi cerchiamo la potenza della parola e della frase , ma non vi troviamo bastante evidenza dei costrutti , e l ' orditura dei periodi si dimostra per lo più timida o intralciata . Questo sentivano gli scrittori , massimamente poi quando ebbero assaggiato gli autori latini : Filippo Villani ( nel Proemio ) tace di Giovanni , e di Matteo suo padre dice avere egli usato « lo stile che a lui fu possibile ; apparecchiando materia a più dilicati ingegni d ' usare più felice e più alto stile » . Né avrebbe il Boccaccio al nostro idioma fatto la violenza ch ' egli fece , so non avesse egli nella prosa creduto trovarlo come giacente e da cercare altrove i modi e le forme a dargli grandezza . Le varie parti della coltura non avendo le uno con lo altre avuto in Italia proporzione sufficiente , quei primi sommi parve , si alzassero come giganti per virtù propria , dopo sé lasciando un intervallo per cui le lettere cominciassero un altro corso dove i primi gradi già fossero stati con inverso ordine preoccupati . Il che nelle arti belle non avvenne , e quindi poterono esse regolatamente salire alla loro perfezione : ma le lettere invece di Giotto ebbero subito Michelangelo , terrore agli altri piuttosto che guida ; ed il Boccaccio avendo trovato la lingua già bene adulta ma inesperta , la fece andare per mala via : il solo Petrarca più degli altri fortunato , lasciò dietro sé lunga e prospera discendenza . Avvenne per questa mala sorte che la lingua innanzi di farsi e di tenersi donna e madonna come si conveniva a tali uomini ed a tale popolo , non bene osasse distaccarsi dal latino che stava siccome suo legittimo signore , talché all ' italiano si diede per grazia l ' umile titolo di volgare . Né questa ignobile appellazione cessava col volger dei tempi , le traduzioni dal latino s ' intitolavano volgarizzamenti ed anche oggi quel che si scrive da noi letterati diciamo scrivere in volgare , Dio ce lo perdoni . Ma quando pei cercatori dei libri classci il latino fu ogni cosa , e chi non facesse di quello il suo unico studio ebbe nome d ' uomo senza lettere ; allora alla lingua stata compagna , dei loro affetti mandarono i dotti il libello del ripudio , anzi fu cacciata via come la serva quando torna la matrona . Sarebbe al Poggio ed ai suo pari sembrato vergogna scrivere italiano , onde egli scriveva latine le Istorie dei tempi suoi e le Lettere e perfino le Facezie . I poveri scritti di chi aveva narrato le cose come le aveva fatte , si traducevano in latino perché si acquistassero un poco di stima . Né Pico Della Mirandola fu il primo che dicesse mancare le cose al Petrarca e a Dante le parole ; questi era stato già tempo innanzi vituperato come sciupatore del bello classico da Niccolò Niccoli erudito raccoglitore di vecchi libri , che lui chiamava ( così almeno lo fanno parlare ) « poeta da fornai e da calzolaj » , perché non seppe né bene intendere Virgilio né avviarsegli dietro pei compi floridi della poesia ( Leonardi Aretini Dialog . I Ad Petrum Istrum . Fu già stampato a Basilea , ed è manoscritto nella Laurenziana ) . Più tardi Cristoforo Landino , che fra tutti difese la lingua toscana e la usava felicemente , sentenziò pure « ch ’ era mestieri essere latino chi vuole essere buono toscano » ( Orazione di Cristoforo Landino , Firenze , 1853 ) . Encomia l ' industria che Leon Battista Alberti pose a trasferire in noi l ' eloquenza dei latini ; né certo si vuole togliere merito a siffatto uomo , né a Matteo Palmieri né ad altri lodati con lui : ma fatto è poi che seguitare nell ' italiano le norme latine come essi fecero , tolse loro di essere letti mai popolarmente , così che si giacquero per lungo tempo come dimenticati , ed oggi guardandoli a fine di studio ne pare di leggere una lingua morta . Cotesti almeno erano uomini educati ai buoni studi : ve n ' erano altri d ' ingegno più rozzo , i quali per volere essere eloquenti in verso ed in prosa , cercando norme all ' italiano fuori di se stesso , facevano certi pasticci di lingua , né latina né volgare , la quale usciva come per singhiozzi , che Dio ce ne scampi ; di che strani esempi potrei allegare se fosse qui luogo . Ma vale fra tutti quello di Giovanni Cavalcanti , autore di Storie fiorentine a mezzo il quattrocento : non fu senza ingegno , e dove narrando le cose interne della repubblica descrive gli umori o riferisce i parlari dei cittadini , dice il fatto suo con evidenza sovente felice ; ma , quando vuol essere ornato o facondo e soprattutto nelle descrizioni , tenendo dietro agli esempi dei latini non bene letti o non bene intesi , diventa oltremodo fastidioso per lungaggini e peggio ancora per l ' ambizione dei falsi colori : costui che avrebbe potuto essere buon cronista , fu dall ' abuso dei precetti che allora correvano condotto ad essere malo istorico . Così andarono le cose nella repubblica delle lettere fino a Lorenzo dei Medici e al Poliziano ; questi certamente mostrò nelle Stanze scritte da lui a venticinque anni e poi non finite , una squisita forma di poesia che annunziava già i tempi nuovi di cui può dirsi prima e gentile apparizione . Cionondimeno quell ' uomo stesso faceva latini poi finché visse i versi e le prose fino al racconto della Congiura dei Pazzi , fatto domestico e tremendo al quale era stato in mezzo e che tante passioni doveva destargli nell ' animo . Nella poesia il Poliziano pareva trovarsi più in casa sua quando scriveva latino : più imitatore in quelle stanze di fina bellezza che s ' era arrischiato egli a scrivere italiane . Lorenzo dei Medici si scusa d ' avere in lingua volgare commentato i suoi Sonetti , tale quale come Dante se n ' era scusato dugent ' anni prima . Ma nulla dunque si era fatto in quei dugent ' anni quanto all ' uso della nostra lingua ? S ' era fatto molto ed ogni giorno si faceva ; ma il male stava in ciò che tale uso procedeva bipartito , essendo pel naturale andamento suo più cólto nei popoli ma insieme più guasto nei libri . Un assai grande numero di lettere scritte nel quattrocento furono in questi anni pubblicate , e ne abbiamo noi vedute molte manoscritte ; e molte tratte dagli Archivi di Firenze sono allegate nel grande Vocabolario . Ora le lettere familiari danno sempre l ' espressione più naturale e più immediata del vivo parlare , e chi le raffrontiad altre più antiche le troverà scritte in modo che annunzia lingua più adulta e più conforme a quella che poi fu la moderna italiana lingua . Ma nei libri stessi umili in quel secolo , sebbene pallido ne sia lo stile , pure il discorso procedeva meglio ordinato e più finito e più somigliante ed acuto già fatto ; ma non però bello quanto promettevano le grazie e il fuoco delle età prime . Io pure grido , studiamo il trecento , secolo che aveva in sé certamente quella potenza che più non ebbe la lingua nostra ; ma vero è poi che di tutte le nazioni gli antichi scrittori si riveriscono come vecchi intanto che si amano come fanciulli ; si ammirano per la ingenuità loro e per la forza , ma non si saprebbe né si vorrebbe per l ' appunto scrivere a quel modo . Tuttociò avviene sempre e dappertutto ; ma fu a noi tristo privilegio che la lingua o si dovesse o si credesse dovere attingere dal trecento , quasiché in essa il corso del tempo facesse il vuoto o altro non avesse fatto che guastarla . Negli ultimi anni del quattrocento aveva la lingua dunque per se medesima progredito quanto a una struttura più regolare , ma dall ' essere usata poco e trascuratamente nei libri , pareva e anche oggi a noi pare , in fatto essere decaduta da ciò che ella era nel secolo precedente . Lorenzo de ' Medici , il Landino ed altri dicono spesso alla lingua nostra essere mancati gli uomini e lo stile di chi la usasse ; il che fu vero quanto allo scriverla come abbiamo qui sopra notato ; ma fu anche vero quanto al parlare questa lingua in modo che fosse norma ed esempio agli scrittori : su questo punto conviene ora , un poco fermarsi . Mi sovviene avere una volta udito il Foscolo dire nell ' impeto del discorso che « la lingua nostra non era stata mai parlata » nella quale enfasi di parola pare a me stesse il germe di un vero che ora si svolge sotto agli occhi nostri . Ma il campo non era libero a quel tempo , e si disputava chi avesse ragione se il Cesari purista , o il Cesarotti licenzioso , o il Perticari con quella sua lingua che stava per aria . Oggi il Manzoni sgombrando quel campo ha dato a noi terreno fermo col fare consistere nell ’ uso ogni cosa : né chi voglia uscire da quella dottrina può stare sul vero . Ma se a dire lingua si dice qualcosa fuori d ' iena , semplice nomenclatura , e se invece si tenga essere l ’ espressione di tutto il pensare d ' un popolo colto , certo è che gli usi di questa lingua sono diversi ( quanto diverse le relazioni cui deve servire ; e che in ciascuna , oltre all ' essere disuguale il numero delle parole che si adoprano , varia è anche la scelta di queste parole : al che si aggiunga ( e ciò è capitale ) che oltre alle parole , le frasi e il giro e i collocamenti di esse o la contestura del periodo ed in certi suoi elementi la forma di tutto il discorso che sempre ha del proprio e del distinto in ogni nazione , tutte queste cose fanno insieme la lingua di quella nazione . So che la lingua in tal modo intesa dovrebbe piuttosto chiamarsi linguaggio , ma so che a distinguere con secco rigore l ' una dall ' altra , queste due parole , starebbe la lingua tutta intera nei vocabolari dov ' ella si giace come cosa morta . Sotto questo aspetto bisogna pur dire che la lingua che si parla differisce in molte sue forme dalla lingua che si scrive , secondo che variano parlando o scrivendo gli intendimenti , le volontà ed in qualche modo lo stato degli animi in chi mette fuori il suo pensiero , e in chi lo ascolta presente o deve poi da sé leggerlo sulla carta . Per esempio , nella rapidità del discorso familiare non sempre avviene fare periodi che stieno in gambe come suol dirsi , perché in tal caso alla intelligenza molti aiuti provvedono , e la parola come alterata da una concitazione d ' affetti ne diventa spesso più efficace . Chiaro esprimeva questo pensiero Giovan Battista Gelli nella Prefazione d ' una sua Commedia stampata in Firenze l ' anno 1550 : « Altra lingua è quella che si scrive ne le cose alte e leggiadre , e altra è quella che si parla familiarmente ; sì che non sia alcuno che creda che quella nella quale scrisse Tullio , sia quella che egli par - lava giornalmente » , questo dice il Gelli , né intendevano del comun parlare coloro che innanzi di lui scrivevano essere mancati gli uomini alla lingua ( Landino , Proemio al Commento sulla Divina Commedia ) Ma se poi si guardi non più al discorso familiare , sibbene a quello di chi parla solo ed a bell ' agio e non interrotto , in faccia ad un pubblico o ad una qualsiasi radunanza ; allora il linguaggio s ' avvicina molto allo scrivere , di cui ben fu detto non essere altro che un pensato parlare : nondimeno chi ponga mente per non dire altro al tempo elle mette generalmente più lungo in questo pensare l ' uomo che scrive di colui che parla , non che al discorso che n ' esce fuori ; noterà essere delle differenze per cui la parola scritta è meno viva sempre di quella ch ' esce parlando quanto mai si possa pensatamente . Si vede nei libri quando l ' autore poco avvezzo a dire le cose , va cercando ed esse una forma che si adatti ai libri : nei Greci antichi e nei Latini ci si fa innanzi sempre l ' oratore . Imperocché allo scrivere con efficacia è grande aiuto l ' uso del parlare , dove uno s ' addestra a certo artifizio cui più di rado pervengono le scritture , dico quella distribuzione sagace di concisione e di abbondanza e di facilità e di sostenutezza , e quei colori appropriati a ' luoghi secondo richiedono i varii argomenti e le diverse parti dell ' orazione : s ' imparano queste cose dagli effetti che in altrui produce la nostra parola . Laonde a chi scrive manca una scuola molto essenziale quando egli non abbia la mente già instrutta in quelle forme per cui si esprimono parlando le cose che egli vuole scrivere . la quale mancanza che fu in Italia , dai tempi antichi e si protrasse poi nei moderni , ha dato spesso ai nostri libri certa aridità solenne la quale ebbe nome di stile accademico . Da questo vizio salvò i Francesi la conversazione , la quale fu ad essi come una sorta di vita pubblica e informò lo scrivere in ogni qualsiasi più grave argomento ; talché gli scrittori nel tempo medesimo che ne acquistavano maggior vita , divennero anche più facilmente e più generalmente popolari , così da esercitare nella lingua qual maestrato il quale ha bisogno la lingua medesima che venga dai libri . Questa , sorta di maestrato quale si sia , disse tanto bene Vito Fornari in un recente suo libretto , chi ' io farei torto al mio concetto se non lo esprimessi con le medesime sue parole . « Se egli è giusto il dire che il linguaggio non istà tutto negli scrittori , non si vorrà per questo affermare che si trovi intero fuori degli scrittori . Certi fatti mentali , e certe più fine relazioni e determinazioni del pensiero , non si vedono distintamente e non vengono significate , se non quando si scrive , cosicché alcuna piccola parte de ' vocaboli o molta parte de ' modi di dire o de ' costrutti non si può imparare altrove che nelle scritture » ( Lettera stampata nel Propugnatore , Bologna , 1869 ) . Per essere in questo modo imperfetta la lingua nostra poté nel secolo di cui scriviamo essere accusata « di viltà e non capace o degna di alcuna eccellente materia e subietto » , come attesta Lorenzo de ' Medici in quel commento del quale abbiamo poc ' anzi discorso . Bene egli l ' assolse da tale accusa , con argomenti di ragione e con gli esempi di Dante e del Petrarca e del Boccaccio . Ma quasi non fossero per sé valevoli quegli esempi , afferma al suo tempo essere la lingua « tuttora nella adolescenza perché ognora più si fa elegante e gentile . E potrebbe facilmente nella gioventù e adulta età sua venire ancora in maggiore perfezione , tanto più se il Fiorentino impero venisse ad ampliarsi e a distendersi maggiormente » ( Proemio al Commento sulle Canzoni ) ; pensiero nel quale stavano adombrati , ma certo assai timidamente , il male e il rimedio . Tali erano dunque le condizioni di questa lingua negli ultimi anni del quattrocento ; l ' abbiamo veduta per l ' andamento suo naturale progredire nelle sue più familiari ed umili forme , o nella opinione dei letterati intanto scadere . Ma ricorrendo ora col pensiero per tutto quello che si è fin qui scritto , abbiamo noi ed avrà chi legge , dovuto accorgersi che il discorso nostro non v ' era mai stato caso che uscisse fuori dei confini della Toscana . Di ciò cagione fu la mancanza non dirò intera ma poco meno , di libri o scritture in lingua italiana usciti dalle altre provincie d ' Italia . Volere discernere se dalla cultura dei primi Toscani uscisse la lingua o dalla lingua la colture , somiglierebbe troppo l ' antica lite di precedenza che fu tra l ' ovo e la gallina ; poiché la lingua essendo una materiale determinazione dei pensieri e degli affetti che si produssero dentro a quel popolo che la forma , diviene strumento che rende capace quel popolo a nuove produzioni del pensiero e a viepiù estendere la sua coltura . Oltrediché una lingua è monca e dappoco finch ' ella non abbia la sua finitezza negli usi letterarii , cioè finché non sia capace ad esprimere le cose pensate fuori del continuo uso e prima ordinate dalla lenta opera degli intelletti , finché non abbia insomma prodotto dei libri . Ciò avvenne in Toscana subito dopo al 1230 , prima di quel tempo dovendosi credere non bene compita questa moderna favella come Dante la chiamava . Ma ebbe ad un tratto scrittori in buon numero , e si cominciò a tradurre in lingua volgare gli autori latini ; tanta fiducia ebbe acquistata allora il pensiero in quella sua nuova e giovane forma . E furono gli anni nei quali Firenze , divenuta possente ad un tratto , si rivendicava in libertà , fondava una repubblica popolare , pigliava in Italia egemonia delle città guelfe , diveniva maestra delle Arti e produceva il libro di Dante . La lingua latina come noi l ' abbiamo era il portato di una solenne elaborazione del pensiero la quale si fece dentro a Roma stessa , sovrapponendosi alla forma latina che aveva quivi il parlare dei greco - italici : nata nel fôro e nel Senato o già sovrana sul Campidoglio , si distendeva per tutta Italia come lingua insieme politica e letteraria ; discesa quindi nelle Basiliche dei cristiani , divenne propria della religione . Nacque il volgare nel modo stesso ma con effetti dissomiglianti dentro ad un popolo d ' artisti , ed ebbe tosto una letteratura che per due secoli manteneva l ' impronta in se stessa . della città che l ' avea formata . In quella stavano per due secoli tutte le lettere italiane ; ma perché s ' intenda come le altre provincie nulla a quel moto partecipassero , vorremmo che studi maggiori si facessero sopra i vari dialetti d ' Italia , mostrando per quali più lenti passi si conducessero anch ' essi ad avere scrittori che fossero da contare oggi tra gli Italiani . Allora si vedrebbe fino a qual punto ciò conseguissero per via d ' imprestiti sopra i libri d ' autori toscani , ma né potevano questo fare né il farlo sarebbe stato sufficiente finché i dialetti più inferiori avessero tutta serbata l ' antica loro povertà . E rozzezza . Era il toscano in fine dei conti un italiano più compiuto e più determinato , più omogeneo in se stesso e più latino , perché il parlare dell ' antica plebe a questo più affine , aveva , in se stesso trovato la forma della lingua nuova a cui si era più presto condotto . Nello altre provincie più era da fare , e quello che si fece , rimase dialetto perché le misture avevano in sé troppo forti discordanze ; i suoni , gli accenti sempre non erano italiani . A mezzo il dugento uno scrittore pugliese Matteo Spinelli da Giovinazzo , avrebbe prima dal Malespini in una sua Cronaca mostrato esempio di lingua italiana che poi rimaneva lungamente solitario . Né un tale fatto io seppi mai come spiegarmi : se non che adesso da un erudito tedesco viene accertato , la Cronaca del pugliese non essere altro che una falsificazione fatta tre secoli dopo ; il che era facile sospettare dal dettato corrente più che non sia quello dell ' ispido Malespini , e dove si scorge sopra una forma tutta moderna spruzzate parole e desinenza napoletane da chi a quel gioco s ' era dilettato ( Bernardi , Dissertazione , ecc . , Berlino , 1868 ) . Gran tempo corse prima e uscissero da quello provincie e meno ancora dalle settentrionali , libi di prosa scritti in una lingua la quale non fosse come rinchiusa nel natio dialetto . Ne abbiamo esempio in quella vita di Cola di Rienzo la quale fu scritta dal romano Fortifiocca dopo alla metà del trecento . Qui perché siamo nella Italia media , la penna corre facile e sciolta ; ma tanto è ivi del romanesco , tanto le alterazioni dei suoni e quelle che a tutto il resto d ' Italia infino d ' allora comparivano brutture , da porre quel libro fuori del registro dei libri italiani . Quanto alle letterefamiliari un maggiore studio sarebbe da farne secondo i tempi e le provincie , ma , per via d ' esempio , quelle clic abbiamo degli Sforza irte e stentate , fanno contrasto alle bellissime elle allora e prima scrivevano l ' Albizi e altri Commissari fiorentini ( Commissioni di Rinaldo degli Albizzi , vol . I , 2 , Firenze . – Il terzo è in corso di stampa ) Le cronache in lingua italiana ma di autori non toscani che si hanno dalla metà , del XIV fino verso la fine del XV secolo nulla c ’ insegnano di quello che importi al nostro proposito , perché il Muratori che lo pubblicava badando ai fatti e non volendo ml oscurarli con le rozzezze dei dialetti , né tener dietro alle ignoranze dei copisti , tradusse ( com ' egli accennava nelle prefazioni ) coteste Cronache nella lingua comune al suo tempo . Generalmente però è da notare che appartengono all ' Italia media o alla Venezia , poche estendendosi verso il mezzogiorno : in quelle provincie la lingua italiana si era formata più ( l ' accordo con se stessa per la maggiore affinità che era tra ' popoli primitivi , e poté quindi salire al grado di lingua scritta più presto che non potessero quelle dov ' erano popoli usciti di razza celtica od iberica . Lo versioni dei romanzi di cavalleria generalmente scritti in lingua francese , dovrebbe cercarsi se alle volte non appartenessero ai luoghi dov ' ebbe maggiore entrata questo idioma . Tutto ciò vorrei che gli eruditi ci dichiarassero , pigliando esempio dalla non mai infingarda curiosità degli uomini tedeschi . Ma si tenga a monte come tra l ' uso della poesia e quello della prosa le cose andassero in modo diverso . La poesia lirica fu italiana dai suoi primordi e si mantenne : da Ciullo d ' Alcamo siciliano al Guinicelli bolognese ed al Petrarca un andamento sempre uniforme la conduceva fino al sommo della perfezione per una via che rimase sempre l ' istessa nel corso dei secoli . Emancipatasi dal latino prima della prosa , fa in essa più certo l ' uso della lingua ed ebbe consenso che l ' altra non ebbe : quindi noi troviamo che in sulla fine del quattrocento v ' era una lingua nazionale della poesia , che nulla ha per noi né d ' antiquato né di provinciale ; il che non può dirsi dei libri di prosa . Ma quello era il tempo nel quale in Europa non che in Italia pareano le cose pigliare un essere tutto nuovo ; ciascuna nazione d ' allora in poi ebbe la propria sua lingua più o meno perfetta , ma in tutto recata a foggia moderna . Era un procedere naturale , ma che in Italia più vivo che altrove , doveva estendersi dappertutto : le minori città meno chiuse in se medesime poiché avevano perduto ciascuna , la fiera indipendenza municipale , si aggregavano alle grandi , e l ' una con l ' altra più si mescolavano ; la vita più agiata voleva relazioni più frequenti , gli Stati col farsi più vasti creavano nuovi centri di cultura , le corti ambivano essere accademie . Intanto lo studio classico diffuso per tutta l ' Italia valeva molto a correggere quei volgari ch ' erano rimasti infino allora meno latini ; dal fondo di ciascun dialetto cavava lo studio dei libri classici una forma , la quale applicata all ' uso colto di quei dialetti , faceva quest ’ uso naturalmente essere più italiano e più capace di trarre a sé quella finitezza che prima avevano acquistata i soli libri dei Toscani : venivano i suoni a farsi più molli , più agevole certa speditezza di costrutti ; molte proprietà di lingua che i Toscani avevano appreso dall ' uso antico tra loro , gli altri imparavano dal latino . Notava sapientemente il Tommaseo come le etimologie sieno più assai che non si crederebbe mantenute dall ' uso del popolo non che da quello dei grandi scrittori : ciò era in Toscana più spesso che altrove ; negli altri dialetti gli uomini colti le ritrovavano qualche volta per lo studio dell ' antico latino e quindi le riconducevano nei libri . A questo modo il latino ch ’ era stato impedimento allo scrivere dei Toscani , condusse nelle altre provincie i dialetti a meglio rendersi italiani . In questo tempo era trovata la stampa , dal che la parola aveva acquistato come un nuovo organo a diffondersi . In tutti i tempi fino allora ed in tutti i luoghi chi si metteva a scrivere un libro sapeva bene che sarebbe andato in mano di pochi ; cercavano quindi il loro teatro a così dire nella posterità : di qui è che i libri ne uscivano più pensati e meno curanti di essere popolari ; questo vantaggio hanno i libri classici e quindi più servono alla disciplina del pensiero . Mia lasciando stare queste cose , gli autori toscani , eccetto i poeti , scrivevano fino allora per la provincia loro , né credeano essere intesi nelle altre : quindi è che i libri che apparissero meritevoli venivano tradotti in lingua latina per dare ad essi , così dicevano , maggiore divulgazione . Quando poi si cominciò a stampare ( com ’ è naturale ) quei libri ch ’ erano più cercati , ebbe il Petrarca la prima edizione l ' anno 1470 , e la ebbe il Boccaccio nel tempo medesimo ; nel 1472 tre non delle non maggiori città d ' Italia si onoravano pubblicando ciascuna il Poema di Dante che usciva a Napoli poi nel 1473 , ed aveva ben tosto l ' aggiunta , di nuovi commenti , ma in lingua latina . D ' altri toscani antichi non mi pare che avesse edizioni in quei primi anni altri che il Cavalca sparsamente per l ' Italia ma per tutte quasi le varie sue opere ; e oltre lui pochi degli ascetici : stamparono questi perché erano i soli elle avessero faina allora in Italia . Nel mentre che autori delle altre provincie pubblicavano commentato in lingua latina il libro di Dante , un toscano che da principio soleva scrivere latina ogni cosa , Cristoforo Landino , poneva le mani a stenderne un molto ampio commento in lingua italiana . Di già i vecchi commentatori del trecento pareano a lui essere un poco antiquati ed io per me credo che senza la stampa non avrebbe egli pensato un lavoro il quale intendeva riuscisse , come ora si direbbe , popolare . Lo stesso Landino avea pubblicato l ' anno 1476 una versione dell ' Istoria naturale di Plinio , dov ' entra un numero stragrande di voci ; questa ed il Commento che fu stampato nel 1481 io credo non poco servissero agli scrittori tuttora inesperti che ebbero in quei libri un esemplare di lingua vivente ma non toscana soverchiamente , perché il Landino per antico abito disdegnava quei modi di scrivere che a lui sapessero di plebeo . Nello stesso anno 1481 usciva il Morgante di Luigi Pulci , e insieme i tre libri non poco servirono a rendere meglio familiare l ' uso dello scrivere in lingua comune . Imperocché il Pulci che sollevava l ' ottava rima dalla pesantezza del Boccaccio e dalle bassezze degli altri , scrittore di vena copiosa e facile , ha in sé qualcosa quanto alla lingua , di meglio compito nella struttura del discorso , di più andante nei periodi , qualcosa insomma di più avanzato e più universale di quello che fosse generalmente negli autori del trecento e che annunzia maggiore coltura . Lorenzo de ' Medici e Angiolo Poliziano ebbero fama e non del tutto immeritata come restauratori del buono scrivere italiano . Lorenzo promosse l ' uso di questa lingua e lo difese dandone egli stesso in verso e in prosa pregiati esempi . Seguendo il genio suo nativo che lo conduceva bene all ' acquisto della grandezza , cercò egli essere popolare ; la conversazione lo avea formato più che lo studio dei libri greci e de ' latini che a lui erano passatempo : si atteneva quindi assai di buon grado all ' uso fiorentino in quelle minori poesie , le quali o sacre o sollazzevoli , bramava che fossero cantate dal popolo ; facea versi anche po ' contadini . Per tutto questo meritò bene della lingua più ancora che non facesse il classico Poliziano il quale insegnava a trarre la forma della poesia italiana dai greci autori e dai latini . Finiva il secolo , e la lingua toscana pareva che già s ' avviasse a farsi italiana . Alle altre provincie secondo che divenivano più cólte , non bastava l ' uso di quei volgari plebei a cui rimase nome di dialetti ; perché a cotesto uso mancavano spesso non che le voci per cui si esprimono idee non pensate dagli uomini rozzi , ma più ancora le frasi o locuzioni e il giro e la forma di quel discorso più condensato che si chiama scelto , più breve e rapido perché cerca comprendere un maggior numero d ' idee ; forma che serve generalmente a chi si mette a scrivere un libro . Non so che i dialetti fossero insegnati nelle scuole , né che si pensasse molto a coltivarli come lingua letteraria . Ciò tanto è vero che il fare libri nel dialetto proprio agli autori non toscani cominciò tardi e fu per gioco e come una sorta di prova non tanto facile , perché lo scrittore deve in quel suo dialetto cacciare e costringere le frasi e i costrutti ch ' egli era solito pigliare da un uso più colto e più universale . Ma per contrario , quando nel primo tempo l ' autore avvezzo al suo dialetto voleva innalzarlo fino a quella lingua , ch ' era intesa da tutti , ne aveva in sé il germe che la coltura vi avea già posto : e il nuovo processo veniva spontaneo , essendo per molta parte il compimento di quell ' antico suo parlare . È stato già detto che a scrivere bene in lingua italiana , la meglio è cercarla in ciascuno nel fondo del suo dialetto , perché a correggere o a dirozzare questo si vede uscirne fuori quella lingua , comune di cui la lingua toscana già diede agli altri dialetti la forma e che n ' è il fiore e la perfezione . Ma questi dialetti poiché non bastavano a quell ' uso più ampio e più scelto , chiunque , volesse parlare o scrivere in tal modo , non poteva pigliarne le forme da un altro dialetto , perché non s ' intendono questi fra loro ; poteva bene da quel linguaggio e da quell ' uso più accettabile universalmente , che vivo in Toscana corregge da per tutto i plebei parlari perché più italiano di ciascuno d ' essi . Ciò veramente poteva in qualche parte dirsi opera di traduzione , ma non di quella che si fa pigliando parole e forme da lingua straniera ; e questo fu il caso di quei primi non toscani , i quali sul finire del secolo XV cominciarono a scrivere libri in lingua toscana . Vorremmo allegare qui alcuni di quelli sparsi documenti che a noi fu lecito di raccogliere da varie provincie d ' Italia , se fosse qui luogo a minute ricerche o se quelle che abbiamo fatte ci apparissero comprendere tutta la vasta materia . Crediamo però che i pochi esempi sieno conferma di quello che abbiamo sopra accennato quanto alla difficoltà che avevano maggiore o minore le altre provincie a farsi nello scrivere italiane , secondo le varie qualità delle misture ch ' erano entrate in ciascun dialetto . Abbiamo un Testamento politico di Ludovico il Moro scritto sulla fine del quattrocento in lingua milanese che vorrebb ' essere italiana ( Documenti di storia italiana , copiati a Parigi da G . Molini , tom . I in fine ) ; e nella città stessa abbiamo l ' istoria di Bernardino Corio che finisce al primo entrare del secolo susseguente : qui sembra il dialetto nascondersi affatto , ma lo stile duro e faticato ha proprio l ’ aspetto d ' un nuovo e non sempre felice sforzo che l ' autore fece usando una lingua che tutti leggessero . Questa , e l ' istoria napoletana di Pandolfo Collenuccio da Pesaro credo sieno i primi libri dove il toscano fosse cercato da scrittori non toscani : il Corio di molto sopravanzò l ' altro per la materia , ma il Pesarese più franco e sicuro in quanto alla lingua , scrive anche in modo assai più scorrevole . Generalmente gli uomini più meridionali e su su venendo quelli della sponda dell ' Adriatico , si erano prima fidati più degli altri al natio dialetto così da usarlo anche nello scrivere . I Veneziani , etruschi d ' origine , come hanno dialetto meno degli altri discordante , così lo usarono sebbene con qualche temperamento sino al finire della repubblica nelle arringhe che si facevano in Senato o nella sala del Gran Consiglio , tanto che v ' era un ' eloquenza in veneziano , quale non credo che fosse nemmeno in Firenze dove il Gran Consiglio durò poco e prima era scarso l ’ uso del parlare in modo solenne . La vita e la lingua qui erano nel popolo , da cui venivano come a scuola gli scrittori quando al principio del cinquecento l ' urto straniero ci ebbe insegnato a rendere cose quanto si poteva nazionali , la vita almeno civile e la lingua . Pochi anni prima di quel tempo Fra Girolamo Savonarola venuto giovane da Ferrara dove il parlare aveva qualcosa del veneto , cominciò in Firenze a predicare . « Da principio diceva ti e mi , di che gli altri Frati si ridevano » ( Cambi , Storia di Firenze , anno 1498; sta nelle Delizie , ecc . del P . Ildefonso ) . Divenne poi grande oratore avendo appreso qui la correttezza e la proprietà della favella , senza mai troppo cercare addentro nell ' uso più familiare di questo popolo Fiorentino . Dal quale poi trasse non poco un altro Ferrarese , l ' Ariosto , ma con quel fino e squisito gusto ch ' era a lui proprio ; e se io dovessi dire quali autori allora o poi meglio adoprassero nelle scritture quell ' idioma che solo era degno di essere nazionale , porrei senza fallo il nome dell ' Ariosto accanto a quelli di due Toscani , che sono il Berni ed il Machiavelli . Lo scrivere andante si poteva bene imparare anche da due poeti come questi , perciò infine la lingua della poesia viene dalla lingua della prosa , di cui non è altro che un uso più libero . Cosi alla fine questo volgare che aveva data ne ' suoi primordii una promessa poco attenuta , che fu negletto per oltre un secolo , o rinnegato da chi teneva il latino essere tuttavia l ' idioma illustre della nazione , questo volgare divenne allora quel che non era ma prima stato , lingua italiana . A questo effetto andavano tutte insieme le cose allora in Italia : già la coltura diffondendosi agguagliava presso a poco l ’ intera nazione ad un comune livello , intantoché le armi forestiere distruggevano in un con le forze provinciali e cittadine quanto nei piccoli Stati soleva in antico essere di splendore e di bellezza ; l ' idea , nazionale che allora spuntava cominciò a farsi strada nella lingua . Ma era troppo tardi : gli ingegni fiorivano , le lettere e le arti toccavano il colmo , l ’ Italia insegnava alle altre nazioni fino alle eleganze e alle corruttele della vita ; possedeva una esperienza accumulata d ’ uomini e di cose tale che una piccola città italiana aveva in corso più idee che non fossero allora in tutto il resto d ' Europa ; di scienza politica ve n ' era anche troppa . Ma quando poi sopravvennero i tempi duri , questo tanto sfoggiare d ' ingegni non approdò a nulla , perché le volontà in Italia , erano o guaste o consumate dall ' abuso , o vôlte a male . Quegli anni che diedero i grandi scrittori passarono in mezzo a guerre straniere dove gli Italiani da sé nulla fecero , nulla impedirono ; e come ne uscisse acconcia l ' Italia non occorre dire . Dopo le guerre o dopo i primi trent ' anni del cinquecento , erano i tempi ed il pensare ed il sentire di questa nazione tanto mutati da mostrare il vuoto che era sotto a quella civiltà splendida ma incompiuta ; da quelli anni in poi calava il nostro valore specifico ( se dirlo sia lecito ) , e il nostro livello a petto alle altre nazioni d ' Europa venne a discendere ogni giorno . Mancò nel pensiero , perché era mancato prima nella vita , l ' incitamento ad ogni cosa che non fosse chiusa dentro ad un cerchio molto angusto ; manco la fiducia che all ’ uomo deriva dall ’ aperto consentire insieme di molti : v ' era in Italia poco da fare . Né ai tanti padroni che aveva essa dentro andava , a genio che si facesse , ma già la stanchezza o una mala sorta d ' incuranza disperata menavano all ' ozio , interrotto solamente da quelle passioni che non hanno scusa nemmen dal motivo ; la conversazione tra gente svogliata o avvilita o malcontenta non pigliava vigore né ampiezza dai gravi argomenti ; i libri meno che per l ’ innanzi andavano al fondo nelle cose della vita : dice il Fornari molto bene che « tra ' letterati e lettori non v ' era in Italia quella comunicazione intima e piena » per cui la vita , la lingua , le lettere tra loro s ' ajutano . Noi crediamo che nei libri qualcosa debba essere che sia imparata fuori dei libri , perché altrimenti lo scrivere viene quasi a pigliare la forma d ' un gergo necessariamente arido e meno efficace , da cui s ' aliena , il comune dei lettori . Ciò avvenne bentosto in Italia , e fu in quel tempo quando la lingua più si voleva rendere universale e n ' era essa stessa , divenuta più capace avendo perdute allora le asprezze d ' un uso ristretto , e nel diffondersi la coltura avendo acquistato migliore esercizio nelle arti della composizione . Ma giusto in quel tempo questa lingua per certi rispetti più accuratamente scritta , fu meno parlata ; e la parola meno di prima fu espressione di forti pensieri ed autorevoli e accetti a molti : vennero fuori i letterati , sparve il cittadino ; scrivea per il pubblico chi nella , vita non era avvezzo parlare ad altri che alla sua combriccola : quindi l ' eloquenza cercò appropriarsi all ' uso delle accademie le quali erano una sorta di sparse chiesuole . Mancò alla lingua , un centro comune perché mancava alla nazione : ne avevano entrambe lo stesso bisogno che appunto allora cominciò ad essere più sentito , sebbene in modo confuso ed incerto ; nulla si poteva quanto alla nazione , rimedii alla lingua si cercavano in più modi , varii , discordanti e quasi a tentone . Un snodo semplice vi sarebbe stato , ed era l ' attingere copiosamente da quel dialetto ch ' era il più finito ; ma questo invece di tenere sugli altri l ' impero , vedeva in quel tempo scadere non poco o farsi dubbia , l ' autorità sua . Al solo pregio della lingua molti sdegnavano ubbidire : condizioni tutte differenti sarebbonsi allora volute in Italia perché tante voci , tante locuzioni , tante figure con l ’ acquistare sanzione solenne potessero farsi moneta corrente pel comune uso degli scrittori . Avrebbe la sede naturale della lingua dovuto almeno stare in alto cosicché tutte le parti d ' Italia a quella guardassero , e che al toscano fossero toccate lo condizioni dell ' idioma parigino ; « perché il toscano ( dice il Manzoni da pari suo ) faceva dei discepoli fuori dei suoi confini , il francese si creava dei sudditi ; quello era offerto , questo veniva imposto » . A questo modo solamente potea l ' ossequio delle altre provincie essere necessario o inavvertito , perché non venissero tra ' letterati a sorgere le contese che nate una volta non hanno mai fine . Se ( come fu detto ) lo stile è l ' uomo , la lingua può dirsi che sia la nazione : quindi all ' esservi una linguaggio bisognava , ci fosse una Italia , né altrimenti poteva cessare l ' eterna lagnanza che il linguaggio scritto si allontanasse troppo dai modi che si adoprano favellando ; né bene potesse fare sue le grazie e gli ardimenti del volgar nostro , il quale da molti ignorato ebbe anche taccia , di abbietto e triviale ( Alcune parole di questo discorso erano scritte fino dal 1826 , e sono stampate negli Atti dell ’ Accademia della Crusca ) . Cotesta accusa molto antica tutti parevano confermare contro alla povera nostra lingua , che ci avea colpa meno di tutti . Poco badando all ’ uso vivo , nelle scuole di lettere insegnavano per tutta Italia dopo ai latini quei pochi autori toscani che allora fossero conosciuti , cercando alla meglio di mettere insieme su questi esemplari una sorta di linguaggio comune che fosse atto alle scritture . Un letterato molta solenne , Gian Giorgio Trissino da Vicenza , poneva in credito il linguaggio illustre con la versione da lui fatta del libro De Vulgari Eloquio ; Baldassarre Castiglione mantovano , uomo e scrittore di bella fama , sebbene dichiari la lingua essere una consuetudine , biasima l ' andare sulle pedate dei toscani sia vecchi , sia nuovi : sentenziò il Bembo che l ' antica lingua stava nel Boccaccio , di cui gli piacevano le grandi cadenze ; tutti i chiarissimi dell ' Italia , per ben tre secoli dopo lui accettarono la sentenza . Ma della comune popolare come in Firenze si parlava e si scriveva , niuno voleva sapere : negli anni stessi del Bembo , cioè verso il 1530 , Marino Sanudo scriveva in una lettera stampata « che Leonardo Aretino trasse ( l ' Istoria di Firenze ) da un Giovanni Villani il quale scrisse in lingua rozza , toscana » ( Estratti del sig . Rawdon Brown , Tomo III , p . 318 ) . Il Bembo era il solo autore vivente di cui s ' innalzasse non contestata l ’ autorità : basta ciò solo a dimostrare come si vivesse in fatto di lettere , quando gli Spagnuoli furono rimasti padroni d ' Italia . Al Machiavelli nella sua patri istessa nuoceva la vita , gli nocque più tardi , quanto al numero dei lettori , l ' essere all ' Indice ; l ' Istoria , del Guicciardini fu lasciata , stampare , ed anche mutilata , solamente nel 1561 , due anni dopo a che l ' Italia per grande accordo tra ' potentati si può dire fosse bello e sotterrata , e quando la voce degli italiani ormai più non faceva , paura a nessuno ( Nel 1559 il Trattato di Castel Cambrese aveva finito le guerre d ’ Italia ; ma in quell ’ anno stesso dal piè delle Alpi si preparava il 1859 , tre secoli tondi e date che importano la storia della lingua ) . Frattanto era disputa più volte rinnovata se si dovesse dire lingua italiana o toscana o fiorentina : chi affermava la lingua essere in Firenze facea nondimeno poca stima degli autori che ivi nascessero ; in certe parole recate dal Bembo si va fino a dire che « a scrivere bene la lingua italiana , meglio è non essere fiorentino » . E in questa medesima città noi vedemmo quante incuranze o quanti dispregi soffrisse la lingua nei più eminenti tra ' suoi cultori : la Divina Commedia non vi ebbe più quasi edizioni , e verso il 1520 certi maestri di scuola vietavano agli scolari leggere il Petrarca . Questa ed altre cose che stanno a dimostrare la confusione dominante tra ' letterati sono a disteso esposte in un libro di qualche pregio e di molta noja che ha per titolo l ' Ercolano ; autore di esso fu Benedetto Varchi il quale pel vario ingegno non ebbe chi lo agguagliasse dentro a quella età che scendeva . In quel medesimo suo libro si vede come allora molto dominassero i grammatici ai quali avviene quel che ai fisiologi , perché entrambi avvezzi a tenere fermo il pensiero sopra le minute particelle delle cose , riescono spesso corti o disadatti a quelli studj più comprensivi che bene in antico nella loro massima estensione ebbero nome di umanità . Consente il Varchi prudenzialmente al Bembo : ma solo nelle apparenze ; confessa la lingua in Firenze essere trascurata , ma vuole si cerchi nel fondo dell ' uso , mettendo egli fuori per via , d ' esempi gran copia di voci e soprattutto di locuzioni familiari , dovizie nascoste da farne a chi scrive ricco patrimonio ( Varchi , Ercolano , Padova , 1744 , in 4° , pag . 84 e segg . – 357 e segg . – 446 e segg . – 508 e in molti luoghi ) . In questo avrebbe egli dato nel segno , né vi è anch ' oggi da fare di meglio , tantoché sarebbe alla unità della lingua mezzo utilissimo un Vocabolario com ' è proposto dal Manzoni . Ma il guajo stava in ciò che non erano i più di quei modi entrati abbastanza nell ' uso comune ; molti erano figure che un tempo ebbero qualche voga , capricci d ' un popolo arguto e faceto , e spesso allusioni a cose locali : cotesti Firenze non avea diritto d ' imporre all ' Italia . Inoltre non era , più questo popolo quello che aveva creato una lingua educatrice di tanti ingegni ; meno operando inventava meno , e fatto più inerte anche nell ' animo , i suoi discorsi andavano spesso a cose da ridere . I letterati seguendo in queste nuove condizioni l ' antico genio popolare e avendo qui molto in uggia il sussiego recato dagli Spagnuoli , si dilettavano oltre al giusto di certe bassezze da essi chiamalo grazie della lingua : così tra le bassezze e nobiltà false viveano le lettere poi tutto quel secolo . Ma dentro a quegli anni nacque Galileo . Le scienze matematiche e le fisiche hanno questo , che l ' uomo le pensa dentro a se medesimo , si tengono fuori dal corso vivo degli umani eventi , e vanno da sé per la via loro qualunque si sieno le cose all ' intorno . Galileo che pure in mezzo all ' sperimentare minuto e sottile teneva lo sguardo volto all ' universo , portò nella fisica , l ' ampiezza d ' una filosofia , degna li questo nome , e fu in secolo di decadenza , scrittore sommo , perché al bell ' ordine del discorso unisce la copia e una dignitosa naturalezza . Continuava da cento anni in Firenze la scuola fondata da Galileo e di sé lasciava traccie indelebili nelle scienze fisiche ; da quella uscirono anche uomini dotti nelle razionali , e assai le lettere se ne avvantaggiarono nella seconda metà del seicento . Ma quando la lingua , o le idee francesi predominarono e quando poi gli eccitamenti nuovi destarono gli animi degli Italiani a cercare almeno in fatto di lingua l ' unione vietata , la Toscana sofferse rimproveri dalle altre provincie quasi ella fosse gelosa , ma inutile custoditrice di quel tesoro che aveva in casa ma non lo adoprava . Più grave è fatto il nostro debito ora in tempi di sorti mutate , di sorti maggiori ma più difficili a portare ; noi siamo venuti ad esse non preparati , e s ' io dovessi quanto alle future condizioni della lingua fare un pronostico , direi senz ' altro : la lingua in Italia sarà quello che sapranno essere gli Italiani .
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Noi siamo dell ' ingegno di Emilio Zola caldissimi ammiratori : e lo stimeremmo anche più se tanto non si stimasse egli stesso . È uno scrittore felicissimo , un osservatore acuto , nessuno lo nega ; che i suoi libri , com ' egli pretende , sieno destinati a riformare il mondo , è lecito porre in dubbio , ci pare . Che gli Héritiers Rabourdin e il Bouton de Rose riconducano , com ' egli afferma , la commedia alla profonda gaiezza del Molière , è una eresia che grida vendetta al cospetto di Dio . Lo Zola è un artista : quando si atteggia a profeta e impone alla repubblica di essere naturalista o di non essere , ci fa ridere : quando sdegnoso di chiamar le cose col loro nome più modesto e più semplice battezza il taccuino degli appunti : un archivio di documenti umani , e l ' osservare , com ' egli sa , gli uomini e le cose , una notomia quotidiana dell ' universo , ci fa pena : quando scarta con superbo dispregio l ' Hugo e la Sand , ci fa stizza . Quando si vanta innovatore , quasi egli avesse inventato non soltanto lo studio del vero ma il vero istesso , ci fa meraviglia . Ma più d ' ogni altra cosa ci spiace , lo diciamo netto e chiaro , il clamore ch ' egli tollera e forse desidera si faccia intorno al suo nome . Non ha ancor finito di scrivere un romanzo , e già le bozze del primo capitolo si mandano a tutti i giornali d ' Europa ; e si racconta del libro l ' argomento e lo schema ; e nei crocchi di Parigi si sussurra il nome vero dei personaggi : non quello del romanzo , quello dello stato civile . Detto ciò , ecco il sunto della Nana suo romanzo nuovo che a Parigi si stampa in appendice al Voltaire e in Italia nel Pungolo , del quale sunto una volta che è noto , non debbono essere defraudati i lettori di un foglio che tratta specialmente di letteratura . La protagonista del nuovo romanzo di Emilio Zola è nota a coloro che han letto l ' Assommoir ; l ' han vista bambina nella bottega di Gervasia quando aveva dodici anni . Un giorno d ' appetito Nana , che sa d ' esser bella , piglia l ' ambulo e se ne va in cerca di fortuna ; a una bella ragazza la fortuna serba sempre a Parigi molti favori ; e quando il romanzo comincia Nana ha già fatto un bel pezzo della strada che mena ad ottenerli . Dalle luride bettole dell ' antico quartiere latino , ai teatri de ' sobborghi , da questi ai cafés chantants , e così via via ella è giunta a farsi scritturare al teatro delle Variétés , e vi esordisce in un ' operetta intitolata la Blonde Vénus , scritta apposta per lei ; non perch ' ella dia prova del proprio ingegno non ne ha ; ma sì per porgerle occasione di mostrare al pubblico tutto quel che una donna può mostrare sopra il palcoscenico . L ' esito avanza il desiderio ; e quando il sipario cala , la fortuna di Nana è bell ' e fatta . A quello spettacolo , da tanto tempo e con ogni sorta di malizie annunziato dall ' impresario per più mesi , assiste quanto v ' è di più ricco e di più corrotto nel bel mondo parigino . Nana che non doveva , recitando o cantando , né commuovere , né divertire , ma solleticare , eccitare , irritare i sensi degli spettatori , raggiunge facilmente l ' intento . Il giorno dopo , al caffè Riche e da Bignon , nei circoli , sui baluardi non si parla che di Nana . Essa ha ottenuto il suo diploma : è un ' attrice stupida e ignorante , una cortigiana desiderata e famosa ; lasciate passare un mese e la ragazza cenciosa che strascicava seco , poco tempo innanzi , d ' una in un ' altra taverna , la propria fame e la propria vergogna , andrà al Bois de Boulogne nella solita victoria , così cara alle cocottes , pagherà duecento lire al mese di salario al proprio cuoco , e venticinquemila lire l ' anno di pigione al padrone di casa . Fra i molti spettatori , alla massima parte dei quali non è conceduto altro che il mirare e il bramare , è un ciambellano dell ' imperatore , marito d ' una donna bella e cortese , padre di bambini svegli , robusti , affettuosi ; costui s ' innamora di Nana . S ' innamora non è forse qui la parola che ci vuole ; il sentimento non c ' entra per nulla ; sono i sensi che si scatenano ; di guisa che quest ' uomo di alto lignaggio , culto , legato per vincoli di parentela o per antica amicizia alle più doviziose , alle più illustri famiglie della Francia , pur d ' avere un posto non nel cuore , ma nella camera di Nana , diviene lo schiavo suo , si sottopone a tutte le umiliazioni , si prostra nella più abietta delle servitù . Sa che Nana lo tradisce , sa che ella aiuta più d ' un figliuolo di famiglia a mangiare il patrimonio , eppure non ha la forza di lasciarla ; consente a non oltrepassare la porta della casa di lei che in certe date ore ; se non la trova in casa , l ' aspetta persuaso , convinto che ella intanto corre ad altri amori . Né basta : intanto che egli , il ciambellano , entra in casa di Nana , qualcun ' altro entra in casa sua . Ed egli finge di non avvedersene perché nulla lo distragga o lo disturbi , perché egli possa in pace pensare alla voluttà che lo aspetta , e gustarla tranquillo e tranquillo godere nel ricordarla . La cortigiana , nel cui petto si destano un giorno sentimenti di mite dolcezza , desideri di affetto e di pace , fu soggetto di parecchi tra drammi e romanzi : lasciamo stare il teatro indiano ; ma chi non ricorda la Dame aux camélias ? [...] . Anche Nana si innamora ; stanca di agitazioni , sazia di godimenti , fugge da Parigi con un giovinetto di vent ' anni , si veste di lana , diventa massaja . Ma a guastare l ' idillio , [ ... ] , sopraggiunge il fratello del giovinetto , per sottrarlo alle seduzioni che lo circondano e restituirlo alla famiglia che lo aspetta temendo e piangendo . E come avviene talvolta che chi va a soccorrere il naufrago , s ' annega egli stesso , così il nuovo venuto è sedotto alla sua volta . Nana cede : e il giovinetto atrocemente deluso , geloso per la facile vittoria del proprio fratello , si uccide . Nana non è scientemente cattiva ; fa il male per spensieratezza e per consuetudine ; e quando torna su sé stessa interroga la coscienza , riconosce la propria colpa e se ne duole ; salvo , s ' intende , a far peggio il giorno dopo . E della colpa sua , che è stata cagione di tanto grave sventura , si pente , e chiude , per far penitenza , l ' uscio in faccia a tutti gli adoratori . Il rinsavimento dura poco ; non avvezza a sopportare in santa pace la malinconia , cerca chi la distragga , chi la diverta : un istrione volgarmente faceto la fa ridere ? basta perch ' ella divenga sua , e consenta a ritornare sotto il braccio di lui in que ' caffè , in quelle bettole che già la videro pezzente , nota soltanto agli avventori pezzenti al pari di lei e ai delegati di pubblica sicurezza . Ma la bohème non ha durevoli attrattive per chi salì in più spirabil aere : Je n ' aime plus que ce qui est bon , dice Rodolfo a Marcello nel romanzo del Mürger Nana dopo un po ' di tempo esperta de ' lazzi dell ' istrioncello non sa più che farsi di lui e dell ' ambiente in cui egli vive non ne vuoi più sapere . E torna gloriosa e trionfante sopra la scena : più gloriosa e più trionfante di prima , perché una donna che possa vantarsi di aver mangiato delle diecine di milioni , ridotte alla miseria delle diecine di persone , e visto suicidarsi per i suoi begli occhi un adolescente pieno di candore e di speranze , non si trova a tutte le cantonate . E Parigi plaude al ritorno : e un autore in voga scrive una fiaba dov ' ella avrà la parte fatta apposta per lei , dove , muta , pubblicherà sul palco le venali forme irraggiate dalla luce elettrica [ ... ] ! Un banchiere le compra un palazzo : ella ci convita il bel mondo a feste , a balli , dei quali parlano ammirate le gazzette ; chi si rovina per lei , chi si uccide , chi uccide . Il vecchio Giove parrà oramai uno spilorcio : la pioggia d ' oro che Danae mirò , è un nulla rispetto a quella che cade ogni giorno attorno a Nana . Oh ! fortuna ! Oh ! gloria ! ... Lea e Maria Blond avevano detronizzato Gaga ; Nana , mostrandosi , aveva fatto dimenticare Lea e Maria Blond . Un ' altra cortigiana , bella del pari , sorgerà a deviare i desideri , a distrarre le bramosie . Sorge difatti , e una bella mattina Nana si sveglia senza un soldo , senza amanti , senza ammiratori . Tanta fu la ressa che le si fece dattorno quanto ora è l ' oblio in cui la pongono . Nessuna simpatia ha sopravvissuto alle molte e fiere passioni destate da lei . Povera , quando appunto credeva che i molti agi non dovessero aver fine , le annunziano un giorno che un suo bambino da lei messo in pensione a Batignolles e che andava a vedere di quando in quando a tempo avanzato , è preso dal vaiuolo . Ella , fatta dalla disgrazia e dalla povertà meno insensibile , corre a vegliarlo e soccombe al contagio della terribile malattia . Così divenuta famosa nel 1867 , Nana muore giovanissima nel 1870 , in quei giorni appunto nei quali si fanno i preparativi della guerra e la presunzione francese grida per le vie : A Berlino ! a Berlino ! Tale è lo schema del nuovo romanzo di Emilio Zola e somiglia allo schema di cento altri romanzi . E questo importa poco : chi ha letto i libri di lui , sa che il loro pregio maggiore è nei particolari dei quali non si può giudicare neanche dal più largo sunto che oggi ci offrono i giornali francesi e che noi abbiamo dovuto , per mancanza di spazio , restringere . Il Wolf , che degli scrittori del Figaro è il più competente in questa materia , e che ha letto il romanzo , afferma che mai lo Zola nella dipintura dei caratteri fu così vero , così scultorio : e che la descrizione de ' diversi ambienti traverso ai quali passa la protagonista di questo triste libro è degna di qualsivoglia grandissimo artista . Noi a questo facilmente crediamo : ma sorridiamo di coloro i quali vengono fuori a cantarci che il libro ha un ' altissima portata sociale , come quello nel quale la miseria che si vendica dell ' opulenza , è rappresentata in una ragazza plebea che porta il lutto , la ruina e la morte nelle case dei gaudenti e dei ricchi ! ... Quanta pompa di parole , mio Dio ! ... Trent ' anni fa la Musette di Enrico Mürger diceva : Non ha un figliuolo quel milionario ? Piglio l ' impegno di metterlo sulla paglia in un mese ! ... E nessuno pensava che l ' amante di Schaunard proponesse di compiere una vendetta sociale !
LEOPARDI RISORTO ( DE_SANCTIS FRANCESCO , 1879 )
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Leopardi tornato di Bologna in Recanati gli undici di novembre del 1826 vi dimorò sino al 23 aprile del 1827 . Cosa fece in questo tempo ? Curò la stampa del suo Petrarca , lavorò intorno alla Crestomazia , oltre cose di minor momento . Appena fu in Recanati , già desiderava Bologna . Il 17 dicembre scriveva al Brighenti : « sento qui un poco men freddo che a Bologna , di corpo ; ma d ' animo ho un freddo , che mi ammazza , e ogni ora mi par mille di fuggir via . » Quel freddo dell ' animo era la tristezza di una « solitudine continua e assoluta , » come scrive il 9 febbraio . E s ' aiuta , scrivendo lettere , o qualche articolo per il Nuovo Ricoglitore , cercando spesso notizie letterarie , ricordando con desiderio gli amici e le amiche di Bologna , sopratutto il Brighenti e il buon Pepoli e l ' amorosa Antonietta Tommasini . S ' affaticò tanto intorno alla Crestomazia , che a ' primi di marzo aveva già fatto lo spoglio di oltre settanta autori . Aggiungi le correzioni di stampa delle Operette morali che il fido Stella pubblicava in Milano . E se si pon mente che qualche dolcezza gli dovea pur venire dall ' usanza domestica , volendo egli un gran bene alla Paolina e a Carlo , e che di salute non era male , cessatogli anche quel mal d ' intestini che lo travagliava a Bologna ; si vede che quel suo freddo d ' animo e quella sua tristezza di solitudine non si deve poi prendere alla lettera . Potea ben sentirsi tristo in certi momenti ; ma la tristezza non era il suo stato normale in quel soggiorno di Recanati . E si vede anche dallo stile sciolto e ricordevole , se non affettuoso , ch ' è nelle sue lettere . Di una qualche importanza sono le due ultime lettere che tutta quella compagnia di letterati ch ' erano intorno al Vieusseux , e di cui dice : sono tutti molto sociali , e generalmente pensano e valgono assai più de ' bolognesi . Tra quelli era Giordani e Piccolini e Frullani e Capponi e Lambruschini e Montani . Più tardi conobbe il signor Manzoni , col quale si trattenne a lungo : « Uomo pieno di amabilità e degno della sua fama . » Impressioni molto vive non pare che riceva dalle amichevoli e interessanti conversazioni , di cui non è cenno nemmeno ai più famigliari . Dice a Brighenti : « Io vivo molto malinconico , non ostante le molte gentilezze usatemi da questi letterati : tra ' quali tutti i primarii , compreso Niccolini . Scrive al papà che ha fatto conoscenza e amicizia col famoso Manzoni di Milano , della cui ultima opera tutta l ' Italia parla . Esposizione secca del fatto , quasi egli fosse marmo , quantunque indovini la sua soddisfazione della visita del Niccolini , e della conoscenza col Manzoni . Questo stato marmoreo è detto dall ' autore stoico de ' Dialoghi indifferenza filosofica , ed è quel medesimo che giovane , quando sentiva più , chiamava con disperata energia ferreo sopore . Talora se ne stanca , e presente e chiama la morte . « Sono stanco della vita , scrive al Puccinotti , stanco della indifferenza filosofica , che è il solo rimedio de ' mali e della noia , ma che infine annoia essa medesima . Non ho altri disegni , altre speranze che di morire . » Il ferreo sopore era pur poetico , perché congiunto con la fresca rimembranza di un altro stato , e col sentimento e il dolore della privazione . L ' indifferenza filosofica è affatto prosaica , divenuta un ' abitudine contro la noia , ed essa medesima noiosa . In qualche momento d ' umor nero Leopardi si ribella contro l ’ abitudine , sente il peso dell ' indifferenza , e può dire : « certo è che un morto passa la sua giornata meglio di me . Quel passar la giornata con le braccia in croce , quell ' ozio più tristo assai della morte , a cui lo costringe il mal d ' occhi , è talora più forte della sua indifferenza filosofica , e gli abbuia la vita , non sì che gli dia virtù di farne una rappresentazione poetica , come fece già del ferreo sopore . Ma in generale la sua vita è tollerabile , messe le distrazioni che gli venivano dalle molte conoscenze e da ' buoni amici , e più in là dalla vista di Firenze , quando lo stato degli occhi gli consentiva uscire di giorno . Nelle sue lettere troviamo un umore uguale e prosaico , simile allo stato ordinario della più parte degli uomini , ciò ch ' egli chiama indifferenza ; il quale gli vieta o gl ' inaridisce le impressioni , così tardo il sentire , come è tardo il suo respiro e la sua digestione . Scrivendo al carissimo signor Padre il 4 ottobre , sappiamo che gli occhi sono migliorati e che comincia a uscire di giorno . Ma s ' affanna pe ' quartieri d ' inverno , perché il clima di Firenze non è molto freddo , ma è infestato continuamente da venti e da nebbie , come a Recanati , e il vento è suo capitale nemico . Cerca un clima caldo . Stella offre Como . Ma è troppo lontano . Pensa a Roma . Ma il lungo viaggio e la lontananza dal mondo civilizzato ne lo distoglie . Si risolve per Massa di Carrara , clima ottimo , simile a quel di Nizza ; non vi nevica mai , si esce e si passeggia senza ferraiuolo , in mezzo alla piazza pubblica crescono degli aranci piantati in terra . Ma in sul più bello muta pensiero , ed eccolo a Pisa , spintovi da Giordani , ch ' era tornato di colà contentissimo . Partì da Firenze la mattina del 9 novembre , e fu a Pisa la sera , viaggio di cinquanta miglia . Scrive alla Paolina : « Sono rimasto incantato di Pisa per il clima : se dura così , sarà una beatitudine . Qui ho trovato tanto caldo che ho dovuto gettare il ferraiuolo e alleggerirmi di panni .... Lung ' Arno è uno spettacolo così bello , così ampio , così magnifico , così gaio , così ridente , che innamora .... vi si passeggia poi nell ' inverno con gran piacere , perché v ' è quasi sempre un ' aria di primavera ; vi brilla un sole bellissimo tra le dorature de ' caffé , delle botteghe piene di galanterie e nelle invetriate de ' palazzi e delle case , tutte di bella architettura .... un misto di città grande e di città piccola , di cittadino e di villereccio , un misto così romantico che non ho mai veduto altrettanto . A tutte le altre bellezze si aggiunge la bella lingua . E poi vi si aggiunge che io , grazie a Dio , sto bene , che mangio con appetito , che ho una camera a ponente che guarda sopra un orto , con una grande apertura tanto che si arriva a vedere l ' orizzonte . » Queste impressioni ripete , ora l ' una , ora l ' altra , e quasi con le stesse parole , agli amici . Pisa è un paradiso , il clima è divino . Il padre lo esortava a tornare in Recanati . Egli negava , descrivendo la sua vita in Pisa « Qui non v ' è mai vento , mai nebbia : v ' è sempre ombra , e se s ' hanno giornate piovose , è ben difficile che non trovi un intervallo di tempo da poter passeggiare . Infatti , dacché sono in Pisa non è passato giorno che io non abbia passeggiato per due in tre ore : cosa per me necessarissima , e la cui mancanza è la mia morte ; perché il continuo esercizio de ' nervi e muscoli del capo , senza il corrispondente esercizio di quelli delle altre parti del corpo , produce quello squilibrio totale nella macchina , che è la rovina infallibile degli studiosi , come io ho veduto in me per così lunga esperienza . Qui per tutto decembre abbiamo avuto ed abbiamo una temperatura tale , che io mi debbo difendere dal caldo più che dal freddo . Oltre la passeggiata del giorno , esco anche la sera spesso senza ferraiuolo ; leggo e scrivo a finestre aperte . » A Paolina scrive : « Ho qui parecchi amici , e più ne avrei se volessi far visite , perché da per tutto m ' è usata assai buona accoglienza . » In casa Cioni conobbe il Colletta , e conobbe anche il Carmignani , e dice al padre : « qui tutti mi vogliono bene , e quelli che parrebbe dovessero guardarmi con più gelosia , sono i miei panegiristi ed introduttori , e mi stanno sempre attorno . » Questo non vuol dire che a volta non si lagni del mal di nervi , e dello stomaco e degli intestini , e che trema da mattina a sera , e che non può studiare . All ' Antonietta dice : « Questi miei nervi non mi lasciano più speranza ; né il mangiar poco , né il mangiar molto , né il vino , né l ' acqua , né il passeggiare le mezze giornate , né lo star sempre in riposo , in somma , nessuna dieta e nessun metodo mi giova . Non posso fissare la mente in un pensiero serio per un solo minuto , senza sentirmi muovere una convulsione interna . » Il cinque maggio del 1828 scrive a Giordani : « La mia vita è noia e pena : pochissimo posso studiare , e quel pochissimo è noia medesimamente .... la mia salute è sempre tale da , farmi impossibile ogni godimento : ogni menomo piacere mi ammazzerebbe : se non voglio morire , bisogna ch ' io non viva . » In questo modo di scrivere c ' è del nuovo : non sono le solite lamentanze , a cui l ' indifferenza filosofica toglieva ogni colore ; c ' è qui dentro il sospiro e la lacrima , c ' è la partecipazione dell ' anima . Il perfetto scrittore italiano , come Giordani lo aveva preconizzato , continua così : « questo anno passato ( in Firenze ) tu mi hai potuto conoscere meglio che per l ’ addietro : hai potuto vedere ch ' io non sono nulla ; questo io ti aveva già predicato più volte ; questo è quello ch ' io predico a tutti quelli che desiderano di aver notizia dell ' esser mio . Ma tu non devi perciò scemarmi la tua benevolenza , la quale è fondata sulle qualità del mio cuore , e su quell ' amore antico e tenero ch ' io ti giurai nel primo fiore de ' miei poveri anni , e che ti ho serbato e ti serberò fino alla morte . E sappi , o ricordati , che fuori della mia famiglia , tu sei il solo uomo , il cui amore mi sia paruto tale da servirmene come di un ' ara di rifugiò , una colonna dove la stanca mia vita s ' appoggia . » Nel 1819 diceva : « io sono già vissuto , » e scriveva gl ' idillii ; nel 1828 dice : « io non sono nulla , » e indovini dalla forma insolitamente colorita che già risorge , già ha sacrificato alla Musa . Ci è il sentimento della sua infelicità , non sonnolento nella sua indifferenza filosofica , ma vivo e poetico , e lo vedi in quell ' amore tenero giurato nel primo fiore de ' poveri anni , in quell ' ara di rifugio , in quella colonna a cui s ' appoggia la stanca vita . Giordani non ne capì nulla ; non capì che il fuoco dalla cenere divampava , e gli risponde i soliti conforti . La dimora in Firenze , le nuove amicizie , le illustri conoscenze , le interessanti conversazioni , il vivo di una lingua divina , non gli furono inutili , e fiorirono insieme con la salute sotto il dolce calore del clima pisano . Acquista un ' alacrità insolita . Messa da banda col consenso dello Stella l ’ Enciclopedia , non senza avere accumulato materiali per nuovi lavori che gli giravano in mente , e posta mano alla Crestomazia poetica , l ' ebbe condotta a termine in poco tempo . E insieme l ' immaginazione gli si è svegliata , la facoltà del sogno ritorna , il passato gli si ripresenta vivo , quel lungo torpore ch ' egli chiamava indifferenza è cessato . I nervi lo molestano , ma il sangue circola più libero , più vivace , tra quell ' aria pura , e gli rimette in moto tutte le sue facoltà . Le sue passeggiate diventano poetiche ; la via deliziosa per la quale suole andare è battezzata dalla sua immaginazione , è chiamata la via delle rimembranze . E così camminando sogna a occhi aperti , s ' abbandona all ' onda delle sue immaginazioni , gli pare d ' esser tornato al suo buon tempo antico , come il 25 febbraio scrive alla Paolina . E il due maggio le fa questa confidenza : « io ho finita oramai la Crestomazia poetica , e dopo due anni ho fatto de ' versi quest ' aprile , ma versi all ' antica , e con quel mio cuore d ' una volta . » Ciò che non gl ' impedisce di scrivere tre giorni dopo al Giordani quella trista lettera : « io non sono nulla ! » Leopardi è risorto e canta il suo risorgimento . E che è questo risorgimento di Leopardi ? Forse è divenuto felice ? No . Anzi è più vivace la coscienza della sua infelicità . Mancano , il sento , all ' anima , Alta , gentile e pura La sorte , e la natura Il mondo e la beltà . Forse gli volse un riso la speranza ? No . Anzi la sua trafittura è d ' averla perduta per sempre Ahi della speme il viso Io non vedrò mai più . Sono mutate le sue idee sul mondo ? L ' immagine , l ’ errore sono non più errore , ma cosa salda ; sono la verità ? No . Dalle mie vaghe immagini So ben ch ' ella discorda , So che natura è sorda , Che miserar non sa . Che non del ben . Sollecita Fu , ma dell ' esser solo . La morte della speranza , l ’ impura vista della infausta verità . il sentimento della sua infelicità non è qui affievolito , anzi vi è ribadito e illuminato . Perché dunque si sente risorto ? Cosa è risorto in lui ? La facoltà di sentire , di cui parlava a Iacopsenn , o come ora dice , il cuore . E perché la vita non è a suo avviso altro che facoltà di sentire , d ' immaginare , d ' amare , è in lui risorta la vita ; si sentiva morto , ora torna a vivere . E canta la risurrezione della sua immaginazione , del suo sentire . Risorgono i dolci affanni , i teneri moti della prima età ; rivede la bella natura , così come la vedeva allora , inesperto delle cose ; e ora , malgrado l ’ esperienza della vita e la vista della verità , sente con maraviglia in sé rivivere gl ' inganni aperti e noti . Questa rappresentazione del suo nuovo stato acquista rilievo da quello stato di sopore , ove le stesse cose gli comparivano innanzi morte . Ed hai una rappresentazione , in antitesi , della natura , così come compariva a lui in quel doppio stato , morta e viva . Queste cose non le dice già con quel disordine , con quella veemenza , con quell ' improvviso , ch ' è la parola dell ' entusiasmo giovanile . Ha racquistato i moti e i sensi della gioventù , ma non l ' ingenuità di quella ; ora sa troppo , e parla con ironia della sorda Natura , che pure allora benediva : Pur che ci lasci al duolo Or d ' altro a lei non cal . Il suo piacere non è puro e non è intero . Qui non c ' è l ' inno E non c ' è l ' ode . Il piacere è contenuto dal sapere , dalla presenza del vero , che vi apparisce come fosca nuvola in cielo sereno , con questo che la nuvola qui è l ' immutabile verità e il cielo è la mutabile apparenza . Che importa ? Se l ' apparenza dura , non chiamerà spietato l ' autore della vita . Non è una riconciliazione , è una concessione . Consente solo di non chiamarlo spietato , e sub conditione , se . La situazione poetica non è nel primo momento dell ' entusiasmo , quando egli si sente rivivere , ma in un momento posteriore o di riflessione , interrogando sé stesso , riandando la sua vita , e descrivendo e spiegando il nuovo uomo che s ' è formato in lui . Perciò la poesia prende una forma storica e riflessiva . Non si dipinge egli nel punto che piange e ammira e il cuore gli batte . Ha pianto , ha mirato , ha palpitato . Ora ci riflette sopra . La mente rimane sovrana , e distribuisce con ordine e con chiarezza tutte le parti , con orditura semplice , con moto diritto e soave , senza indugio e senza fretta . Non c ' è immagine e non impressione così viva che lo svii e gli rompa il filo del pensiero . Le rimembranze non s ' affollano , e non s ' incalzano , ma si svolgono l ' una dall ' altra , come onde di mare . Diresti che riviva la sua vita nella sua naturale successione . I dolci affanni della prima età , e quando mancarono , il dolore della mancanza , e quando mancò il dolore , una tristezza ch ' era ancora dolore , e infine il sopore , abbandonata ogni resistenza : Quasi perduto e morto Il cor s ' abbandonò ; questi vari stati della vita gli tornano innanzi l ' uno appresso all ' altro , l ' uno uscito dall ' altro . Si può credere ci sia un po ' di sottigliezza in quel dolore che manca , e nel pianto del dolore mancato , che è una tristezza , la quale è ancora dolore . Ma chi ha studiato bene tutte le diverse stazioni del suo martirio , vedrà che Leopardi è qui non meno acuto che vero esploratore del suo passato . La finezza e profondità dell ' osservazione ti costringe a pensare per coglier bene così delicate gradazioni tra dolore , tristezza e sopore ; e pensando , gusti il piacere intellettuale di scoprirle vere . Tu senti , e acquisti insieme un abito riflessivo che ti dispone a spiegare quello che senti . E tale appunto è il carattere di questa poesia . Or che gli sta tutto il passato innanzi , l ' uomo nuovo ricorda quale gli appariva il mondo allora , e lo rifà co ' più brillanti colori di una fantasia ridesta . Quella natura che non valse a trarlo dal duro sopore , era pure così bella , il canto della rondine , la squilla vespertina , il fuggitivo sole , una candida ignuda mano , e ora la rivede con sentimento nuovo , e l ' accompagna co ' più cari vezzi dell ' immaginazione . Questa rappresentazione vivace dà rilievo a quello stato d ' insensibilità ch ' egli caratterizza in pochi indimenticabili tratti , con una chiarezza uguale alla finezza . Certi contrasti e certi epiteti , come l ' età decrepita e l ' aprile degli anni , i giorni fugaci e brevi , imprimono in questa rappresentazione il moto del sentimento . Con quel grido di maraviglia e di tenera commozione che il cieco senza speranza rivede improvviso il sole , con quel sentimento prorompe qui il grido del redivivo . Non ci è gradazione , non c ' è a poco a poco ; il passaggio è brusco , violento , . come innanzi un miracolo . Non è una evoluzione , come si dice oggi ; è una rivoluzione : Chi dalla grave , immemore Quiete or mi ridesta ? Che virtù nova è questa , Questa ch ' io sento in me ? Quasi non crede agli occhi suoi ; non crede quasi a ' proprii moti . Dunque è vero ? Dunque il cuore è risorto ? Oh sì . E raccoglie e accumula le nuove bellezze e le nuove impressioni con così precipitevole impeto ritmico , che pare voglia tutto in un sorso assaporare il suo godimento . Qui è il tuono più alto del sentimento , che va lentamente digradando . Comparisce il crudo fato , il tristo secolo , l ' ignuda gloria , la bellezza vuota . In lui non ci è altro di risorto che il cuore , se pure .... E in questo se vanisce il canto , quasi in un sospiro malinconico di una mezza soddisfazione . Qui tutto è vero , tutto è a posto . Forse ci è di troppo l ' insistenza sulla vacuità della donna , dove sospetti qualche ricordo personale , che intorbida le proporzioni dell ' armonia , chi sa ! un momento di cattivo umore contro le fiorentine , al quale dà sfogo in una lettera , o il disprezzo di quella strega bolognese , di cui scrive a Papadopoli . È un reliquato , come dicono i medici , nella vita nuova . E ci trovi insieme un presentimento dell ' Aspasia . In questo Risorgimento non solo l ' asprezza , il latinismo , la solennità è liquefatta , ma anche il metro e il ritmo . Hai settenarii metastasiani , de ' quali il primo versetto sdrucciola nel secondo , richiamato dalla rima nel terzo , che va a declinare subitamente nel quarto , formando periodetti liquidi , veloci , e talora con ripigliate , di una movenza melodiosa . Le immagini sono vaghe , e le diresti note musicali , se nella loro generalità non fossero precise . E sono tutte attirate in un movimento ritmico , che accompagnato dal gioco vario degli accenti esprime le gradazioni del sentimento . Chi ha studiato bene il meccanismo de ' nostri versi , e soprattutto del nostro potentissimo settenario , in cui la posizione dell ' accento quasi senza limite ti dà le più varie intonazioni , ammirerà gli effetti musicali che ha saputo cavarne il poeta , come nota della intensità e della velocità delle impressioni . Perciò questa si può chiamare la poesia del sentimento o del cuore . Essa è il preludio musicale alle nuove poesie , alla sua terza maniera .
L'UOMO DEL GUICCIARDINI ( DE_SANCTIS FRANCESCO , 1869 )
StampaPeriodica ,
La pubblicazione delle Opere inedite del Guicciardini fu uno di quei fatti che avrebbe dovuto dare grande impulso a ' nostri studi storici . Sono di tali scoperte che basterebbero da sé a creare un intero ciclo di critica storica : tanta copia vi si trova di notizie , con quelle riflessioni e impressioni che le rendono vive e irraggiano di nuova luce tutto un secolo . E si tratta di un secolo intorno al quale si è più scritto e meno compreso ; di un secolo chiamato del risorgimento , e che fu pur quello della nostra decadenza . Il problema storico di quell ' epoca non mi pare sia stato ancora posto e discusso e svolto con grande esattezza . Il problema è questo : L ' Italia a quel tempo era salita al più alto grado di potenza , di ricchezza e di gloria , e nelle arti e nelle lettere e nelle scienze toccava già quel segno a cui poche nazioni e privilegiate sogliono giungere , e da cui erano allora lontanissime le altre nazioni ch ' ella chiamava con romana superbia i barbari . Eppure , al primo urto di questi barbari , l ’ Italia , come per improvvisa rovina , crollò , e fu cancellata dal numero delle nazioni . E i barbari gittarono di nuovo il grido selvaggio : Guai a ' vinti ! E non solo li calcarono , ma li dileggiarono , trattandoli come non fossero uomini e riempiendo il mondo di querele e di rimproveri della perfidia e della viltà italiana . E sin d ' allora si restò intesi che i perfidi e i codardi fummo noi , che il torto fu tutto nostro , che fummo ripagati della nostra moneta , che ben ci stette e che i barbari ci fecero un segnalato favore a metterci un po ' di nuovo sangue nelle vene . A questi giudizi degli storici oltramontani si aggiungono i lamenti de ' nostri , i quali attribuiscono l ’ inaudita catastrofe alle nostre discordie , che ci tolsero ogni virtù di resistenza . Il buon Sismondi , che parla con tanta simpatia delle cose nostre , trasformando il rimprovero in elogio , assicura che il sentimento nazionale mancò agl ' Italiani perché erano mossi da un sentimento più alto , si sentivano cosmopoliti e furono benefattori dell ' umanità con l ' olocausto di se stessi . Né la catastrofe giunse improvvisa , anzi ce n ' era un inquieto presentimento , e non mancarono le solite profezie . Tutti rammentano con che eloquenza il Savonarola annunziava dal pergamo la venuta de ' Barbari , e quale impressione fece allora la profezia di un Francescano , che fra l ’ altro annunziava il sacco di Roma . Sinistri segni sono mentovati dagli storici . La folgore cade a Firenze sul tempio di Santa Reparata ; in una notte oscura fuochi sanguigni illuminano la villa Careggi . Gli spettri degli antichi Re di Aragona annunziano al loro successore la caduta del regno di Napoli . Le statue sudano sangue ; i popoli spaventati credono vedere nel cielo eserciti che combattono . Una secreta inquietudine incalzava i cittadini fra le delizie e le voluttà di una vita scioperata . Ci era dunque la coscienza oscura di una dissoluzione sociale e di una catastrofe prossima . E più che i giudizi degli stranieri e de ' posteri è utile investigare le impressioni e i giudizi de ' contemporanei . I frati e i preti , e anche parecchi storici , pongono la fonte del male nella rilassatezza de ' sentimenti religiosi e de ' costumi . “ Non si crede più a Cristo , dice Benivieni . Anzi si crede che tutto procede dal caso , massime le cose umane . Alcuni stimano che sieno regolate da influssi celesti . Si nega la vita futura , si schernisce la religione . Alcuni la reputano un trovato di uomini . Tutti , uomini e donne , tornano agli usi pagani , e si dilettano dello studio de ' poeti , degli astrologi e di ogni superstizione ” . Ci è in queste poche righe tutto Savonarola . Altri stimano al contrario che il male è principalmente nella Corte di Roma e nelle pratiche e nelle consuetudini religiose , che hanno sfibrato gli animi e resili più disposti a perdonare le offese che a vendicarle . E non vedono altra via a rinvigorire le istituzioni e gli uomini , che seguire gli esempi lasciatici dall ' antichità . Di questo erano tutti persuasi , che il paese era corrotto , salvoché alcuni derivavano la corruzione dall ' indebolito sentimento religioso , e gli altri ponevano appunto la sua sede nella religione così com ' era interpretata e praticata dalla Corte di Roma . Quelli vedevano il rimedio nel ritirare la società a ' suoi principii , con una riforma religiosa e morale che valesse a restaurare le credenze religiose ed emendare i costumi ; la qual riforma , incalzati i preti da frate Savonarola e più tardi da frate Lutero , attuarono a modo loro nel Concilio di Trento . Gli altri al contrario vedevano il rimedio nell ' emancipazione della coscienza da ogni autorità religiosa , ciò che traeva seco l ’ abolizione del Papato , che essi giudicavano il principale nemico della libertà e dell ' unità nazionale . Erano due scuole che con diversi nomi si continuano anche oggi , e che oltrepassavano ne ' loro fini e ne ' loro mezzi l ’ Italia , ed abbracciavano l ’ Europa cattolica . Si può dire che la loro storia è tutta la storia moderna , non finita ancora . Nella quale storia l ' Italia rappresentava una parte molto secondaria . Certo i primi concetti e i primi tentativi vennero da lei , ma rimasero concetti e tentativi isolati e scarsi di effetto , e quando l ’ incendio si dilatò e le contrarie opinioni accesero in tutta Europa ostinatissime contese e divisioni e guerre di popoli , tra noi non mancarono cittadini di molta virtù che con la penna o con le forti opere o co ' martirii mantennero la loro fede , ma fu moto di pochi e divisi , che s ' impresse appena alla superficie ; sotto alla quale rimasero in calma sonnolenta e stupida le popolazioni . Anche oggi sono di quelli che credono il Cattolicismo e il Papato salute o perdizione d ' Italia , ma sono opinioni oziose , che non lasciano traccia durabile sulle moltitudini ; il Concilio ecumenico che pure in altre parti di Europa solleva così vivi odii e speranze , presso di noi non suscita né energiche opposizioni , né gagliardi consensi . La corruttela de ' costumi era l ' apparenza più grossolana del male che travagliava l ' Italia e rendeva inevitabile la catastrofe . Quell ' apparenza fu presa per il male esso medesimo , e gli uni ne davano colpa al paganesimo e agli studi classici , gli altri alla Corte di Roma , pietra di scandalo , e non pensavano che quella corruttela del Papato e quel paganeggiare delle classi intelligenti e degli stessi Papi erano anche parte del problema ; fenomeni ed effetti che non spiegavano nulla , e volevano essere spiegati loro . Ma gli uomini politici vedevano la quistione sotto un aspetto più determinato . Poca speranza avevano ne ' tardi frutti che potessero venire da una riforma religiosa e morale ; e non credevano a Papa né a Cristo , e schernivano i profeti disarmati . A loro era chiaro che l ’ Italia divisa e debole d ' armi mal poteva resistere a ' barbari : qui era il pericolo , e qui ci voleva il rimedio . Molto li preoccupavano le discordie intestine fra cittadini , fra le città , fra gli Stati , e cercavano un sistema di equilibrio , che desse satisfazione a tutte le classi , mantenendo ordine e concordia al di dentro , e legasse i grandi Stati italiani con reciproca malleveria contro gli assalti che venissero dal di fuori . Fa stupire quanti sottili trovati pullulassero in quei cervelli acuti per ordinare in modo lo Stato che si ottenesse il desiderato equilibrio , quando già lo straniero era a casa e lasciava per sua misericordia disputare se i partiti si avessero a vincere per le più fave o alla metà delle fave . Né erano meno sottili i giudizi sulle condizioni e sulle forze degli Stati , sulle inclinazioni , le passioni e gl ' interessi de ' principi , e sulle varie combinazioni delle alleanze , con una finezza di osservazione e di analisi che desidero in molti documenti della diplomazia moderna . Strazia veder tanta sapienza con tanta impotenza . Vedevano le nazioni vicine salite a grande potenza per i buoni ordini e le buone armi , e soprattutto per avere raccolte tutte le membra dello Stato sotto un solo indirizzo . E tentarono qualcosa di simile in Italia . Indi la serenissima lega di Lorenzo , e le leghe e controleghe di Giulio , e fallito il tentativo di stringere in una forza sola gli Stati italiani , e avendo già lo straniero dentro , per cacciar via uno , chiamare gli altri . Indi le proposte di milizie nazionali , per uscir di mano a ' condottieri , e certi ordini di governo misto che tenessero in qualche equilibrio gli ottimati e il popolo . Ciò che presso le altre nazioni era il naturale portato della storia , in Italia erano combinazioni artificiali d ' ingegni sottili . E nulla riuscì . Leghe italiane poco stabili , perché leghe di principi , e sulla base mobile degl ' interessi . Leghe con forestieri fecero dell ' Italia il campo chiuso di tutte le cupidigie e di tutte le insolenze , ed ebbero quella fine che dice il Guicciardini , al quale pare ragionevole , che in qualcuno sia per rimanere potenza grande , il quale cercherà di battere i minori e forse ridurre Italia sotto una Monarchia . A milizie nazionali si pensò troppo tardi , quando i condottieri erano già i padroni , e il paese era corso da fanti svizzeri e spagnuoli e da lanzichenecchi e stradioti e gente d ' arme . Né i buoni ordini poterono ottenere tanta concordia de ' cittadini , che le fazioni smettessero di chiamar gli stranieri , sì che , miserabile spettacolo , tutti li odiavano , e tutti li chiamavano . Perciò nessuna propria e nazionale resistenza fu possibile , e l ’ Italia , come si disse , fu conquistata col gesso . Il problema dunque ti ritorna innanzi lo stesso . Mai non si vide tanta sapienza e così alta intelligenza quanta trovi allora nei grandi uomini che avevano in mano le sorti del paese , politici , filosofi , letterati , artisti , le cui opera riempiono anche oggi il mondo di ammirazione . “ L ' Italia , scrive il Guicciardini nel principio della sua storia , ridotta tutta in somma pace e tranquillità , coltivata non meno ne ' luoghi più montuosi e più sterili , che nelle pianure e regioni sue più fertili , né sottoposta ad altro imperio che de ' suoi medesimi , non solo era abbondantissima d ' abitatori , di mercatanzie e di ricchezze , ma illustrata sommamente dalla magnificenza di molti principi , dallo splendore di molte nobilissime e bellissime città , dalla sedia e maestà della religione , fioriva di uomini prestantissimi nell ' amministrazione delle cose pubbliche , e d ' ingegni molto nobili in tutte le dottrine e in qualunque arte preclara e industriosa , né priva , secondo l ' uso di quella età , di gloria militare ; e ornatissima di tante doti , meritamente appresso a tutte le nazioni nome e fama chiarissima riteneva ” . Le parole del Guicciardini si riferiscono proprio al momento della crisi , quando Lorenzo de ' Medici , Ferdinando d ' Aragona e Innocenzo VIII scomparivano dall ' orizzonte ed entravano in iscena i Borgia , Alfonso d ' Aragona e Ludovico il Moro , e Carlo VIII calava dalle Alpi , iniziando un moto che dovea finire con la soggezione d ' Italia a signoria straniera . E dapprima non mancarono le illusioni . A Venezia si diceva che Carlo veniva a vedere l ' Italia . I nostri scaltrissimi uomini di Stato confidavano di potere con l ’ ingegno e con l ' astuzia vincere quella forza barbara , e alla peggio , opporre stranieri a stranieri , e rintuzzare gli uni con gli altri . Tutti vedevano il pericolo , tutti proponevano i rimedii , e non si venne a capo di nulla . Non marcarono le idee , mancò la volontà e la forza di attuarle . Arguti i discorsi , stupendi gli scritti , fiacche le opere : tutto si ridusse in tentativi infelici e isolati , senza eco , senza espansione . Atti eroici non infrequenti , ma di singoli individui e di singole città : nulla , che rivelasse vita collettiva e nazionale . E così non ci fu riforma , e non lega italica e non milizie nazionali , e non buoni ordini , e non buone armi , e tutto restò nelle parole e negli scritti . Discutendo , scrivendo , l ’ Italia finì facile preda dello straniero . Questa singolare impotenza italica in mezzo a tutte le apparenze della grandezza e della potenza certifica un male più profondo che non pareva a ' contemporanei , e non è parso poi . Biasimiamo pure il tradimento di Ludovico , o la perfidia de ' Borgia o la spensieratezza di Leone X : il biasimo non spiega nulla ; il male era sì grave che bontà o perversità d ' individui ci potea poco . Diciamo pure che il senso morale era oscurato ; che i costumi erano corrottissimi , soprattutto del Clero ; che le armi erano mercenarie ; che gli odii tra classe e classe , tra città e città erano irreconciliabili ; che i principi e i partiti chiamavano essi lo straniero . Con questa lugubre descrizione dei fenomeni di una malattia che il Macchiavelli chiamava la corruttela italiana , il problema non si scioglie , ma si allarga , rimanendo sempre a sapersi per quali cause l ' Italia sotto le forme della più rigogliosa sanità , era pure in tale dissoluzione o corruttela che al primo cozzo coi barbari perdé tutto , anche l ’ onore , e per più secoli scomparve dalla storia con sì profonda caduta , che anche oggi è dubbio se la sia risorta davvero . L ' analisi di questa corruttela italiana , de ' suoi elementi , della sua universalità , della sua intensità , delle sue cagioni , del suo sviluppo , de ' suoi effetti , il carattere e la fisonomia che diede alla nazione , e i suoi vestigi visibili anche oggi e che ci vietano l ’ andare innanzi , è materia non ancora bene considerata e degnissima di studio . Attendiamo il Macchiavelli o il Montesquieu che ne scriva acconciamente , netto delle passioni contemporanee . Né a questo basta sagacia e diligenza di storico ; si richiede occhio metafisico , che sappia cogliere tra la varietà degli accidenti i tratti essenziali . Chi guarda con quest ' occhio in quei tempi , vedrà subito la differenza capitale tra l ' Italia e le nazioni che dovevano sceglierla a campo delle loro lotte , la Francia , la Germania , la Spagna , la Svizzera . Queste , dopo lunga elaborazione , giungevano pure allora ad uno stabile assetto politico , uscendo dalle lotte interne unificate , ordinate e più forti : dove l ' Italia si era già costituita parecchi secoli indietro , ed avea avuta tutta una civiltà , frutto di quella precoce costituzione . Fin d ' allora che i Comuni si vendicarono a libertà , trovò essa il suo assetto , che in tanta diversità di casi si mantenne inalterato ne ' suoi lineamenti sostanziali , e produsse quei miracoli di prosperità , di grandezza e di coltura che furono senza riscontro in tutte le altre parti di Europa . Nel Regno , dov ' era prevalsa la forma monarchico - feudale , il movimento fu superficiale e solo in alto , mentre le basse classi rimanevano in una condizione stagnante d ' ignoranza e di bestialità : pure la coltura italiana non era senza eco e senza corrispondenza in quelle parti . Ma nel rimanente d ' Italia la libertà aveva messo in moto tutte le forze , tutti gl ' interessi , tutte le passioni , e in parecchi Comuni avea fatta sentir la sua azione ne ' più bassi strati della società . Questo cumulo e concentrazione di forze messe in moto da stimoli così gagliardi accelerava e insieme consumava la vita italiana , logorandovisi tutte le classi , sì che in breve giro di tempo si compie la sua storia , maravigliosa per l ' instancabile attività , per lo straordinario concitamento delle passioni politiche , per l ' ardore e la ferocia delle lotte , per la larga partecipazione di tutte le classi alla vita pubblica , per l ' infinita produzione nelle industrie , ne ' commerci , nell ' agricoltura , negli studi , nelle opere di erudizione e d ' ingegno . Fu la vita di Achille , gloriosa , ma breve . Il medio evo fu per le altre nazioni lunga e faticosa elaborazione ; per l ' Italia fu civiltà , tutta quella civiltà che esso potea portare . Al tempo di cui parla il Guicciardini , questa civiltà toccava già quell ' ultima perfezione che si manifesta nel lusso e nell ' eleganza , con quella idolatria delle belle forme , con quel senso e gusto dell ' arte , con quella grandiosità e sontuosità delle feste , con quella voluttà de ' godimenti , con quella delicatezza e leggiadria nello scrivere e nel conversare , ne ' modi , e ne ' costumi , che sono segni non dubbii di prosperità , di agiatezza e di coltura . Quella ricca e allegra e fiorita produzione in tanta varietà di forme della vita materiale , intellettuale e artistica era non il principio , ma il resultato , la splendida conclusione , quasi la corona di una grande civiltà , che nel suo rapido corso consumava rapidamente se stessa : era il frutto di un capitale accumulato da un ' attività anteriore , il cui stimolo era mancato . Questa bella vita , in così ricca apparenza di sanità e di forza , aveva già secche le sue radici , venute meno nella coscienza tutte le idee religiose , morali e politiche , che l ' avevano condotta a quella prosperità , l ' impero , il papato , la libertà comunale , la grandezza feudale ; sicché , mentre mandava così vivi splendori , la società politicamente e moralmente era sciolta . Così fu a ' tempi di Pericle , e nel secolo di Augusto e in quello di Luigi XIV . Mancati all ' Italia tutti gli stimoli spirituali di cui era pur conseguenza quel suo ultimo fiore di civiltà , in breve appassì anche questo , rimasti sole forze motrici degli uomini gl ' interessi materiali . Mancarono al Papato , al Comune , al Principe tutti gli alti fini , per i quali si appassionano e vengon grandi i popoli : la tempra nazionale s ' infiacchì e si abbassò il carattere . E così mancarono insieme tutte le virtù della forza , l ' iniziativa , la generosità , il sacrificio , il patriottismo , la tenacità , la disciplina , e vennero su le qualità proprie della fiacchezza morale accompagnata con la maggior coltura e svegliatezza dello spirito , la dissimulazione , la malizia , la doppiezza , quello stare in sull ' ambiguo e tenersi nel mezzo e lasciarsi dietro l ’ uscita , la prudenza e la pazienza . Le teorie , i principii , le istituzioni erano pur sempre quelle , accettate nella parte esteriore , meccanica e letterale , magnificate ne ' discorsi pubblici , divenute un linguaggio di convenzione in casa ed in piazza , e negate e contraddette nella pratica ; ipocrisia abituale anche ne ' più noti per la libertà del pensiero . Mancava la forza e di accettare con sincerità e di negare con audacia ; divenuta la vita una bassa commedia , tutti consapevoli . Come contrapposto o protesta di una società non rassegnata ancora a morire , appunto in questi tempi d ' infiacchimento abbondarono i grandi individui , patrioti fortissimi , pensatori arditi , riformatori saldi sino al martirio , città eroiche , fatti ammirati e non imitati , rimasti solitarii e di poca o nessuna efficacia nella moltitudine . Né bastò la presenza dello straniero nel paese , e le offese alle sostanze , alla vita , all ' onore , che pur rendono arditi i più vili , a destare in que ' popoli una favilla di risentimento e di vergogna ; anzi li svigorì affatto quello spettacolo inusitato di selvaggia energia . Come si fa ne ' grandi mali e nelle improvvise catastrofi , tutti si abbandonarono dell ' animo , ogni vincolo si sciolse , ciascuno provvide a se stesso , non pensando a ' vicini , anzi pensando a trarre frutto dalla rovina di quelli , insino a che furono rovinati tutti . E non mancava la chiaroveggenza e non l ' opporntunità de ' rimedii , e mai l ' ingegno italiano non si mostrò così fecondo in ogni maniera d ' industrie e di sottili accorgimenti e di espedienti e di progetti ingegnosi : non mancava l ’ ingegno , mancava la tempra . L ' Italia era simile a quell ' uomo che nella maturità dell ' ingegno si sente già vecchio per avere abusate le forze . E non è l ' ingegno , ma è il carattere o la tempra che salva le nazioni . E la tempra si fiacca quando la coscienza è vuota , e non muove l ' uomo più altro che l ' interesse propria . Queste cose pensando e mulinando da gran tempo , mi vennero alle mani le opere inedite del Guicciardini , e trovai nella storia fiorentina e nelle proposte , e ne ' carteggi , e ne ' discorsi , e ne ' ricordi tale un tesoro di notizie ed osservazioni , che mi maraviglio non sia l ’ edizione già tutta spacciata , per il gran numero de ' nostri professori e cultori della storia . E mi fecero molta impressione soprattutto i ricordi da compararsi a quanto di meglio è stato fatto in questo genere . Ciò che la naturale prudenza e la lunga pratica delle cose del mondo e la dottrina e la solitaria meditazione e il salutare raccoglimento ne ' tristi e buoni accidenti della vita potea suggerire ad un sagacissimo osservatore , tutto trovi qui condensato e scolpito con rara energia di pensiero e di parola . E mai non ho capito così bene , perché l ' Italia fosse allora sì grande e sì debole , che in questa lettura , dove lo storico con perfetto abbandono dipinge se stesso e sotto forma di consigli ci scopre i suoi pensieri e sentimenti più intimi , o , per dirla con parola moderna , il suo ideale politico e civile dell ' uomo . L ' uomo del Guicciardini , quale egli crede dovrebbe essere l ' uomo savio , com ' egli lo chiama , è un tipo possibile solo in una civiltà molto avanzata e segna quel momento che lo spirito già adulto e progredito caccia via l ' immaginazione e l ' affetto e la fede , ed acquista assoluta e facile padronanza di sé . In questo regno dello spirito il nostro uomo savio spiega tutte le sue forze . Molto ha imparato ne ' libri , maraviglioso di erudizione e di dottrina ; ma non gli basta . Sa “ quanto è diversa la pratica dalla teorica , quanti sono che intendono le cose bene , che o non si ricordano o non sanno metterle in atto ” , e come non dee confidare alcuno “ tanto nella prudenza naturale , che si persuada quella più bastare senza l ’ accidentale della esperienza ” . Perciò la naturale prudenza e la dottrina accompagna con l ' esperienza , ovvero osservazione delle cose . E non gli basta ancora . Sa pure che “ la dottrina accompagnata co ' cervelli deboli o non gli megliora o gli guasta ” ; e però anche il naturale dee essere buono , tale cioè che non sia offuscato lo spirito dalle apparenze , dalle impressioni , dalle vane immaginazioni e dalle passioni . E quando hanno queste buone parti , la prudenza naturale , e l ' esperienza , e la dottrina , e il cervello non debole , gli uomini sono perfetti e quasi divini . Nel nostro savio e nel nostro uomo perfetto si riscontra dunque l ’ accidentale col naturale buono , la dottrina e l ' esperienza col cervello positivo e prudente . Ma egli ha una qualità ancora più preziosa senza la quale tutte le altre sono di poco frutto , ed è la discrezione o il discernere . Su ' libri trova le regole ; ma “ è grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente e assolutamente , e per dire così per regola ; perché quasi tutte hanno distinzione ed eccezione , e queste distinzioni e eccezioni non si trovano scritte in su ' libri , ma bisogna lo insegni la discrezione ” . Senza la discrezione adunque non giova la dottrina e non l ' esperienza . La dottrina ti dà le regole , l ' esperienza ti dà gli esempli ; ma è fallacissimo il giudicare per gli esempli : “ con ciò sia che ogni minima varietà nel caso può essere causa di grandissima variazione nello effetto ; e il discernere queste varietà , quando sono piccole , vuole buono e perspicace occhio ” . E perciò , “ quanto s ' ingannano coloro che a ogni parola allegano i Romani ! Bisognerebbe avere una città condizionata come era la loro , e poi governarsi secondo quello esempio ; il quale a chi ha le qualità disproporzionate è tanto disproporzionato , quanto sarebbe volere che uno asino facesse il corso di uno cavallo ” . Ma il nostro uomo non capita a prendere un asino per cavallo ; perché ha da natura buono e perspicace occhio , e legge spesso in un libro suo , che il Guicciardini chiama libro della discrezione . Questo è l ' uomo perfetto del Guicciardini , tutto spirito , e armato di così forti armi , naturali e accidentali . Né è colpa sua che abbia coscienza della sua superiorità , e disprezzi i vulgari , e come italiano , stimi barbari tutti gli altri popoli , e quantunque fortissimi e valorosissimi , confidi di poterli vincere e farli suoi istrumenti con la forza dell ' ingegno e della coltura . Chi studii con qualche attenzione in questo tipo intellettuale , così com ' è uscito dalla mente del Guicciardini , e che risponde generalmente allo stato reale dello spirito italiano a quel tempo , vedrà perché i nostri uomini di Stato giocavano quasi con gli stranieri , a cui si sentivano tanto soprastare per intelligenza e per coltura , e non che averne paura , confidavano di poterli usare a ' loro fini e a ' loro interessi particolari . Voi v ' intendete di armi , ma non v ' intendete di Stato , dicea con orgoglio Nicolò Macchiavelli a un potente straniero . Il nostro uomo , dotato di tante forze intellettive , e così disciplinate , con quel suo occhio buono e perspicace vede il mondo altro da quello che i volgari sogliono . Non crede agli astrologi e ai teologi e ai filosofi e a tutti gli altri che scrivono le cose sopra natura o che non si veggono , “ e dicono mille pazzie : perché in effetto gli uomini sono al bujo delle cose e questa indaga ione ha servilo e serve più a esercitare gl ' ingegni che a trovare la verità ” . Parla con ironia di Santa Maria Impruneta , che fa piova e bel tempo , e delle devozioni e de ' miracoli , e de ' digiuni e orazioni e simili opere pie , “ ordinate dalla Chiesa o ricordate da ' Frati , e dell ' aiuto che Dio dà a ' buoni , e del buon successo delle cause giuste ” . Stima che “ la troppa religione guasta il mondo , perché effemina gli animi , avviluppa gli uomini in mille errori e divertisceli da molle imprese generose e virili ” . Crede che , “ dalle repubbliche in fuora , nella loro patria , e non più oltre , tutti gli Stati , chi bene considera la loro origine , sono violenti , né v ' è potestà che sia legittima : né anche quella dell ' imperatore , che è fondata in sull ' autorità de ' Romani , che fu maggiore usurpazione che nessun ' altra ; e non quella de ' preti , la violenza de ' quali è doppia , perché a tenerci sotto usano le armi temporali e le spirituali ” . Innanzi a quest ' occhio perspicace tutto l ' antico edificio crolla , e del medio evo non rimane nulla . Il regno celeste rovina e si trae appresso nella caduta Papa e Imperatore . Lo spirito , adulto e per virtù propria emancipato , si ribella contro il passato dal quale è uscito e che lo ha cresciuto ed educato , caccia via da sé tutte le credenze e i principii , fattori di quella civiltà della quale egli è la corona e l ’ orgoglio , e si chiude nella terra , o nella vita reale , nel mondo naturale , così com ' è e non come è immaginato , e pone la sua gloria nell ' interpretarlo , nel comprenderlo e nel valersene a ' suoi fini . Se il nostro savio ammette con le persone spirituali che la fede conduce cose grandi , gli è non per alcuna assistenza soprannaturale o provvidenziale , ma perché la fede fa ostinazione , e chi dura , la vince . Quanto a lui , non gli è bisogno la fede , perché a vincere bastano le sue armi proprie , la naturale prudenza , e la dottrina e l ' esperienza e quel suo terribile occhio buono e perspicace . E non ci è latebra del cuore umano che stia nascosta a quell ' occhio , e non apparenza o nebbia così fitta che gli chiuda la via , e non vanità d ' immaginazione o impeto di passione . Quelli che si lasciano signoreggiare da vane immaginazioni , sono cervelli deboli . Quelli che si gittano nelle imprese senza considerare le difficoltà , sono uomini bestiali . E “ chi governa a caso , si ritrova alla fine a caso ” . E sono matti quelli che operano secondo passione , ancorché nobile e generosa . E sono sciocchi quelli che seguono il “ comune ragionare degli uomini e le vane opinioni del popolo . Chi disse uno popolo , disse veramente uno pazzo : perché è un mostro pieno di confusione e di errori , e le sue vane opinioni sono tanto lontane dalle verità , quanto è , secondo Tolomeo , la Spagna dalla India ” . Né è bene stare al giudicio di quelli che scrivono , e in ogni cosa “ volere vedere ognuno che scrive : e così quello tempo che s ' arebbe a mettere in speculare , si consuma in leggere libri con stracchezza d ' animo e di corpo , in modo che l ' ha quasi più similitudine a una fatica di facchini , che di dotti ” . Il nostro uomo savio e perfetto non ha fede che nel suo giudicio proprio , nel suo speculare , e nella evidenza del fatto , che scopre ogni fallacia di apparenza ; quanti dicono bene che non sanno fare : quanti in sulle panche e in sulle piazze paiono uomini eccellenti che adoperali riescono ombre ! Egli crede che i fatti umani sieno determinati dalle inclinazioni e passioni e opinioni degli uomini , e che ci sia perciò un ' arte della vita pubblica e privata , fondata sullo studio e la cognizione del cuore umano , scienza affatto sperimentale . E qual maestro in quest ' arte ! Nessuno è più addentro di lui ne ' motivi più occulti e con più cura dissimulati delle nostre azioni ; né più sicuro in determinare gli effetti più lontani , o quella lenta successione di cause poco sensibili e poco osservate , le quali spiegano quei moti delle cose , che al volgo pajono rovine subitanee . Fra tanta varietà di accidenti e di opinioni e di passioni nessuna cosa lo sorprende o lo sgomenta o lo turba , perché considera ogni cosa etiam minima , e di tutto sa trovare il bandolo , e ne ' più diversi casi della vita prevede e provvede , da ' più alti negozi dello Stato alle più umili faccende della famiglia . Il suo sguardo ne ' casi più improvvisi freddo e tranquillo è quello di un Iddio , alto e sereno sulle tempeste , ma di un Iddio leggermente ironico , inclinato a pigliarsi spasso degli uomini e voltarli a modo suo . Questo tipo del Guicciardini è la pianta uomo , come s ' era più o meno sviluppata in Italia ; è la fisonomia rimasa storica e tradizionale dell ' uomo italiano com ' era a quel tempo ; è quella superiorità e padronanza dello spirito , alla quale i popoli non giungono se non dopo molti secoli d ' iniziazione e di civiltà , e dove l ' Italia giunse con tanta celerità di cammino , che vi lasciò per via gran parte delle sue forze . Onde avvenne , che in così visibile progresso dello spirito , in così varia e ricca coltura , in tanta prosperità , fra tanti capilavori , quando coglieva il più bel fiore di una vita breve e affaticata , e aveva in vista nuovi orizzonti , si trovò esausta , e i giorni più allegri e più belli della sua esistenza furono i giorni della sua morte . L ' Italia era molto simile a quest ' uomo del Guicciardini , che ha fatto piano di tutto il passato , e rimasto solo col suo spirito , si gitta nella vita pieno di confidenza nel suo ingegno , nella sua dottrina , nella sua esperienza , nel suo occhio perspicace , e tratta l ’ uomo , come la natura , quasi suo servo , e suo istrumento e nato a utile suo , e guarda con uno sguardo fra l ’ ironico e il compassionevole ; e in verità il più degno di compassione è lui . Perché infine qual ' è l ' uso che di tante forze intellettive farà quest ' uomo ? qual è per lui il problema della vita ? Vivere è voltare tutte le cose divine e umane , spirituali e temporali , animate ed inanimate , a beneficio proprio . Ecco l ' ultimo motto di questa scienza e arte della vita . Seguiamo la storia di quest ' uomo secondo il tipo del Guicciardini , disegnato con tanta maestria in questi implacabili ricordi . Egli ha sciolto tutti i vincoli col passato , è uscito dalla barbarie del medio evo , ed è già l ' uomo nuovo o l ' uomo moderno , che si beffa del soprannaturale , e di tutti gli occulti e le vane cogitazioni dell ' astrologia e della magia , de ' teologi e de ' filosofi , e non ha fede che nella scienza , e vi pone a fondamento l ' esperienza e il giudizio proprio , lo speculare : tipo intellettuale italiano , divenuto dopo grandi lotte il tipo , la fisonomia di tutta l ' Europa civile . Questa potenza ed energia intellettuale produsse lavori che fruttificarono in altre terre , aiutarono al progresso umano , e rimasero sterili , dove nacquero . Galilei , Colombo , Vico , e molti altri potenti intelletti , che tanta parte ebbero nella civiltà europea , non ebbero quasi virtù o efficacia nella civiltà del loro paese , dove non era più materia atta a ricevere e generare . Il Guicciardini dice che le città non sono mortali , come gl ' individui , perché la materia si rinnova , e se periscono , è per gli errori di quelli che governano . Superbia di statista : perché non ci è scienza di statista , la quale possa fare che viva una città , a cui tutte le forze spirituali sono mancate , e dove la materia che si rinnova , è fiacca e corrotta e senza succo generativo . Né alla vita basta la sparsa cultura e l ' intelligenza sviluppata : perché sapere non è potere , come vedremo , continuando la storia del nostro uomo . Il quale , così potente d ' intelletto e di dottrina e di esperienza e di discrezione , è altresì un patriota ed un liberale , con tali opinioni che lo certificano lontanissimo già dal medio evo e personaggio affatto moderno . Imperatore e Papa , guelfi e ghibellini , dritto feudale e dritto di conquista , lotte di ottimati e di popolani , tutto questo è già roba vieta , è cancellato dalla sua coscienza . Italiano , cittadino di Firenze e laico , le sue opinioni si riassumono in queste memorabili parole : “ Tre cose desidero vedere innanzi alla mia morte , ma dubito , ancora che io vivessi molto , non ne vedere alcuna : uno vivere di repubblica bene ordinato nella città nostra ; Italia liberata da tutti i barbari , e liberato il mondo dalla tirannide di questi scellerati preti ” . Bellissime sentenze che , come egli presentiva , furono un testamento , divenuto oggi bandiera di tutta la parte liberale e civile europea : una libertà bene ordinata , l ' indipendenza e l ’ autonomia delle Nazioni , e l ' affrancamento del laicato . Questo desiderava allora il nostro uomo , e con lui tutta la parte colta del popolo Italiano , così a lui simile . Ma altro è desiderare , altro è fare . Il nostro uomo farebbe , se potesse far solo , ma lo sgomenta la compagnia de ' pazzi e de ' maligni . Molti , è vero , gridano libertà , ma in quasi tutti prepondera il rispetto dell ' interesse suo . Essendo il mondo fatto così , e dovendo l ’ uomo savio pigliare il mondo com ' è e non come dovrebbe essere , la scienza e l ’ arte della vita è posta in saper condursi di guisa che non te ne venga danno , anzi la maggiore comodità possibile . Conoscere non è mettere in atto . Pensa come vuoi , ma fai come ti torna . Perciò la principal mira del nostro savio è di procurarsi e mantenersi riputazione , perché allora tutti li corrono dietro ; e quando non si stima l ' onore , quando manca questo stimolo ardente , sono morte e vane le azioni degli uomini . E non c ' è cosa , benché minima , che non si debba fare , chi vuole acquistarsi riputazione . Quantunque “ sapere sonare , ballare , cantare e simili leggiadrie , scrivere bene , sapere cavalcare , sapere vestire accomodato pare che diano agli uomini più presto ornamento , che sostanza ” ; pure è bene averne cura , perché “ questi ornamenti danno degnità e riputazione agli uomini etiam bene qualificati e aprono la via al favore de ' principi , e sono talvolta principio e cagione di grande profitto e esaltazione ” . Il nostro savio non è uno stoico , né un cinico ; anzi è piuttosto un amabile epicureo . Si guarda d ' ingiuriare e di offendere , e quando vi sia sforzato , fa quello solo che necessità o utilità vuole . Fa volentieri il bene , non perché ne attenda cambio , essendo gli uomini facilissimi a dimenticare i benefizi , ma perché gli cresce riputazione . È largo di cerimonie e di lusinghe e di promesse generali , perché ne acquista grazia presso gli uomini , quando pure le buone parole non sieno seguite da ' buoni tatti . Si studia di tenersi bene co ' fratelli , co ' parenti , co ' principi , di procacciarsi amici , di non farsi nemici , che gli uomini si riscontrano , e te ne può venir male . Procura di trovarsi sempre con chi vince : perché glie ne viene parte di lode e di premio . Ha appetito della roba , non per godere di quella , che sarebbe cosa bassa , ma perché gli dà riputazione e la povertà è spregiata . È persona libera e reale , o come si dice in Firenze , schietta , perché piace agli uomini e perché , quando sia il caso di simulare , più facilmente acquisti fede . E nega arditamente , quando anche “ quello abbia fatto o tentato sia quasi scoperto e pubblico ; perché la negazione efficace , quando bene non persuada a chi ha indizi o creda il contrario , gli mette almanco il cervello a partito ” . È stretto nello spendere ancoraché la prodigalità piaccia : perché “ più onore ti fa uno ducato che la hai in borsa , che dieci che tu ne hai spesi ” . Fa ogni cosa per parere buono : perché il buon nome vale più che molte ricchezze . Cerca non meritarsi nome di essere sospettoso ; ma perché più sono i cattivi che i buoni , “ massime dove è interesse di roba o di stato , e l ' uomo tanto cupido dello interesse suo , tanto poco respettivo a quello di altri , crede poco e si fida poco ” . Sarei infinito se volessi continuare in queste citazioni . E forse mi sono steso troppo . Ma dice così bene , così preciso , in un linguaggio e in uno stile così oggi dimenticato , che nessuno me ne vorrà male . E sarò contento , se avrò potuto invogliare molti a leggere questo codice della vita scritto in stile lapidario e monumentale e pieno di alti insegnamenti per i cultori delle scienze storiche e morali . Quest ' uomo savio , secondo l ’ immagine che ce ne porge il Guicciardini , è quello che oggi direbbesi un gentiluomo , un amabile gentiluomo , nel vestire , nelle maniere e ne ' tratti . Il ritratto è così fresco e vivo , così conforme alle consuetudini moderne che ad ogni ora ti par d ' incontrarlo per via , con quel suo risetto di una benevolenza equivoca , con quella perfetta misura ne ' modi e nelle parole , con quella padronanza di sé , con quella confidenza nel suo saper fare e saper vivere . Tutti gli fanno largo ; multi gli sono attorno ; e se ne dice un gran bene . Quelli che sono da più di lui , non ne hanno ombra , perché si guarda di entrare in concorrenza , ed anche di far lega co ' potenti , memore del proverbio castigliano : il filo si rompe dal capo più debole . I principi lo hanno in grazia e lo colmano di onori e di ricchezze , perché mostra di avere loro rispetto e reverenza , e in questo è più presto abbondante che scarso . Ha il favore del popolo , “ fugge il nome di ambizioso , e tutte le dimostrazioni di volere parere , etiam nelle cose minime e nel vivere quotidiano , maggiore o più pomposo o delicato che gli altri ” . Nessuno gli ha gelosia o sospetto , perché fugge la troppa cupidità , per la quale l ' uomo è il peggior nemico di se stesso . Qual è la miglior cosa del mondo ? E il nostro savio risponde : è misura . Aborre dal troppo e dal vano ; e non sforza la natura , e si rassegna al fato , a quello che essere , citando l ' aureo detto : Ducunt volentes fata , nolentes trahunt . Se non può colorire tutti i suoi disegni , non se ne sdegna e sa attendere : perché i savi sono pazienti . È buono cittadino , perché si mostra “ zelante del bene della patria e alieno da quelle cose che pregiudicano a un terzo ; ma riprendere i disprezzatori della religione e de ’ buoni costumi è bontà superflua di quelli di San Marco la quale o è spesso ipocrisia , o quando pure non sia simulata non è già troppa a un cristiano , ma non giova niente al buono essere della città . Vuol provvedere alla sua grandezza , ma non se la propone per idolo come fanno comunemente i principi , i quali “ per conseguire ciò che gli conduce a quella fanno uno piano della coscienza dell ’ onore , della umanità e di ogni altra cosa . Tutto è previsto misurato : a tutto ci è un ma , che toglie ogni esagerazione e tien fermo il nostro savio nella via del mezzo . Aurea mediocritas . Il soperchio rompe il coperchio , e la miglior cosa del mondo è misura . “ Gl ' intelletti elevati trascendono il grado umano e si accostano alle nature celesti , ma senza dubbio ha migliore tempo nel mondo , più lunga vita e è in uno certo modo più felice chi è d ' ingegno più positivo ” . E questo è esser savio e saper vivere . senza dubbio il nostro savio ama la gloria , e desidera di fare cose grandi ed eccelse , ma ingegno positivo , com ' egli è , a patto che non sia con suo danno o incomodità . Gli cascano di bocca parole d ’ oro . Parla volentieri di patria , di libertà , di onore , di gloria , di umanità , ; ma vediamolo a ' fatti . Ama la patria e se perisce gliene duole non per lei , perciò così ha a essere , ma per sé , nato in tempi di tanta infelicità . È zelante del ben pubblico , ma non s ’ ingolfa tanto nello Stato , da mettere in quello tutta la sua fortuna . Vuole la libertà , ma quando la sia perduta non è bene fare mutazioni , perché spesso mutano i visi delle persone non le cose , e come non puoi mutare tu solo , “ ti riesce altro da quello che avevi in mente , e non puoi fare fondamento sul populo ” così instabile , e quando la vada male , ti tocca la vita spregiata del fuoruscita . Se tu fossi di qualità a essere capo di Stato , passi ; ma non così non essendo , è miglior consiglio portarsi in modo che quelli che governano non ti abbiano in sospetto , e neppure ti pongano tra i malcontenti . Quelli che altrimenti fanno , sono nomini leggieri . Nel mondo sono i savii e i pazzi . E pazzi chiama quei fiorentini , che “ vollero contro ogni ragione opporsi ” , quando “ i savii di Firenze arebbono ceduto alla tempesta ” . A nessuno dispiace più che a lui l ’ “ ambizione , l ' avarizia e la mollizie de ' preti , e il dominio temporale ecclesiastico ; ama . Martino Lutero , per vedere ridurre questa caterva di scelerati a ' termini debiti , cioè a restare o senza vizi , o senza autorità ” ; ma per il suo particulare è necessitato amare la grandezza de ' pontefici , e operare a sostegno de ' preti e del dominio temporale . Vuole emendata la religione in molte parti ; ma quanto a lui , “ non combatte con la religione , né con le cose che pare che dependono da Dio ; perchè questo obbietto ha troppa forza nella mente delli sciocchi ” . Così il nostro savio si nutre di amori platonici e di desiderii impotenti . E la stia impotenza è in questo , che a lui manca la forza di sacrificare il suo particulare a quello ch ' egli e vuole : perché quelle cose che dice di amare e di desiderare , la verità , la giustizia , la virtù , la libertà , la patria , l ' Italia liberata da ' barbari , e il mondo liberato da ' preti , non sono in lui sentimenti vivi e operosi , ma opinioni e idee astratte , e quello solo che sente , quello solo che lo muove , è il suo particolare . La lotta era accesa in Germania per la riforma religiosa e si stendeva nelle nazioni vicine , e non mancavano pazzi tra noi che per quella combattevano e morivano ; in Italia si combattevano le ultime battaglie della libertà e dell ' indipendenza nazionale ; il paese si dibatteva tra Svizzeri , Spagnuoli , Tedeschi e Francesi ; e il nostro savio non pare abbia anima d ' uomo , e non dà segno quasi di accorgersene e non se ne commove , e libra , e pesa , e misura quello che gli noccia o gli giovi . La vita è per lui un calcolo aritmetico . L ’ Italia perì perchè i pazzi furono pochissimi , e i più erano i savii . Città , principi , popolo , rispondevano all ' esemplare stupendamente delineato in questi Ricordi . L ' ideale non era più Farinata , erano i Medici ; e lo scrittore di questi tempi non era Dante , era Francesco Guicciardini . La società s ' era ita trasformando , pulita , elegante , colta , erudita , spensierata , amante del quieto vivere , vaga de ' piaceri dello spirito e della immaginazione , quale tu la senti ne ' versi di Angiolo Poliziano . Ogni serietà e dignità di scopo era mancata a quella insipida realtà . Patria , religione , libertà , onore , gloria , tutto quello che stimola gli uomini ad atti magnanimi e fa le nazioni grandi , ammesso in teoria . , non aveva più senso nella vita pratica , non era più il motivo della vita sociale . E perché mancarono questi stimoli , i quali soli hanno virtù di mantener vivo il carattere e la tempra delle nazioni , mancò appresso anche ogni energia intellettuale ed ogni attività negli usi e ne ' bisogni della vita , e il paese finì in quella sonnolenza , che i nostri vincitori con immortale scherno trasportarono ne ' loro vocabolarii e chiamarono il dolce far niente . Un individuo simile al nostro savio può forse vivere ; una società non può . Perché a tenere insieme uniti gli uomini è necessità che essi abbiano la forza di sacrificare , quando occorra , anche le sostanze , anche la vita ; e dove manchi questa virtù o sia ridotta in pochi , la società è disfatta , ancoraché paja viva . Questa forza mancò agl ' Italiani , simili in gran parte a quel romano ricchissimo , che non volle spendere cento ducati per la comune difesa , e nel sacco di Roma perdette l ’ onore delle figliuole e gran parte della sua fortuna . Questa forza mancò , perché le idee che mossero i loro maggiori erano esauste , succeduta la stanchezza e l ’ indifferenza , e in tanta cultura e prosperità la tempra , la stoffa dell ' uomo era logora , mancata quella fede e caldezza di cuore che conduce le cose grandi , che può comandare ai monti , come dice l ' Evangelo , o se vi piace meglio , può rendere facili e dolci i più duri sacrifici . Che cosa rimaneva ? La saviezza del Guicciardini . Mancata era la forza : supplì l ' intrigo , l ' astuzia , la simulazione , la doppiezza . E pensando ciascuno al suo particolare , nella tempesta , comune naufragarono tutti . Come erano rimpiccoliti gl ' Italiani e in quanta fiacchezza morale erano caduti , quali erano i disegni , i desiderii fra tanta tempesta , può far fede la descrizione che fa il Guicciardini dell ' animo dei suoi concittadini , ne ' quali era pur rimasta tanta virtù che valse a farli cadere con lode . “ La consuetudine nostra , fa dire a loro lo storico , non comportava che s ' implicassi nella guerra tra questi principi grandi , ma attendessi a schermirsi e ricomperarsi da chi vinceva secondo le occasioni e le necessità . Non era uficio nostro volere dare legge a Italia , volerci fare maestri e censori di chi aveva a uscirne : non mescolarci nelle quistioni de ' maggiori re de ' cristiani : abbiamo bisogno noi d ' intrattenerci con ognuno , di fare che i mercatanti nostri , che sono la vita nostra , possino andare sicuri per tutto : di non fare mai offesa a alcuno principe grande se non constretti e in modo che la scusa accompagni l ’ ingiuria , né si vegga , prima l ' offesa che la necessità . Non abbiamo bisogno di spendere i nostri danari per nutrire le guerre di altri , ma serbargli per difenderci dalle vittorie ; non per travagliare e mettere in pericolo la vita e la città , ma per riposarci e salvarci ” . Questo linguaggio di servitori e di mercanti mostra qual era allora la saviezza de ' popoli italiani , e che cosa è l ' uomo savio del Guicciardini . Non c ' è spettacolo più miserevole di tanta impotenza e fiacchezza in tanta saviezza . La razza italiana non è ancora sanata da questa fiacchezza morale , e non è ancora scomparso dalla sua fronte quel marchio che ci ha impresso la storia di doppiezza e di simulazione . L ' uomo del Guicciardini vivit , imo in Senatum venit , e lo incontri ad ogni passo . E quest ' uomo fatale c ' impedisce la via se non abbiamo la forza di ucciderlo nella nostra coscienza .
EMANCIPAZIONE DELLA DONNA ( BALLIO ELENA , 1868 )
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PARTE I : Che debbasi intendere per emancipazione della donna . La donna ne ha essa diritto ? Ne è essa degna ? Riconosciuta l ' uguaglianza dei due sessi e quindi il diritto di emancipazione per la donna , rinnoviamo la già fatta domanda : Ne è dessa degna ? Non si conquista se non meritando . È la legge storica d ' ogni grande emancipazione . Guardiamo alla classe operaia il tempo è maturo , per la sua emancipazione , ma gli operai s ' affratellarono da lunghi anni , dietro l ' obolo e il sangue , patirono combattendo per la causa della patria , pel trionfo d ' un santo principio . La donna nulla di simile ha fatto finora . Mi direte che la severità mi rende ingiusta contro il mio sesso , poiché qual maggior sacrifizio può idearsi di quello della vita de ' propri cari ? La donna non offre in olocausto alla patria , in ogni conflitto , in ogni battaglia , la parte più cara di sé nella persona del proprio figlio , consorte o padre ? Non furono le donne che abbandonando ogni occupazione domestica dedicarono giorni e notti alla cura dei feriti e dei moribondi quando il bisogno richiedeva il loro aiuto ? Non fu per opera spontanea delle donne che nelle varie città italiane vennero costituiti comitati di soccorso pei garibaldini e pei feriti ? Tutto ciò è vero , e la slanciata accusa va alquanto ritemprata ; ma tutto questo non basta per cancellarla . Poiché quelle donne che in tal modo cooperarono alla redenzione della propria patria erano , benché la più cospicua , una parte minima della nazione , e la maggior parte di quelle , diciamolo pur francamente , nonché spinte da un santo principio , dall ' intimo sentimento del proprio dovere , lo erano da vanità , da invidia o da più ignobile passione . Certamente sacrifizio superiore a quello della propria esistenza è per la donna il sacrifizio della vita d ' un suo caro ; ma sì nobile olocausto non è spontaneo , non è volontario , bensì imposto dalla necessità . Eccezione rara si è vedere una sposa , una madre di non dubbia sensibilità spingere animosa il suo diletto alla battaglia e non versare un effluvio di lagrime che tenti ammollire in lui l ' innata virtù e gli faccia imprecare al suo dovere , alla patria sua ! Alla mancanza di un tale eroismo nel cuore femminile dobbiamo occagionare se la indipendenza del nostro paese non è ancora compiuta se la libertà è ancora per gl ' Italiani uno splendido fantasma che va errando dell ' un capo all ' altro della penisola senza trovare chi abbia la virtù di realizzarlo . Fossero le donne animate da un giusto sentimento del proprio dovere , se null ' altro avessimo potuto risparmiare , non avremmo però lo scorso autunno pianto gli assassinati di Mentana , non avremmo ingoiato ignominia sopra ignominia fino al punto di lasciare che lo straniero dicesse impunentemente : Roma non sarà mai degli Italiani . Ma ritorniamo all ' argomento , da cui desolanti riflessioni sulla attualità ci hanno per breve alquanto sviate . Abbiamo cercato dimostrare che la donna de ' nostri giorni , vana , civetta , inconseguente , apatica , non è degna d ' emancipazione , che nulla ha fatto finora , perché la generalità debba riconoscere in lei questo diritto , che anzi la maggior parte delle donne non solo non se ne curano , ma non sognano pur di averlo . Conchiudiamo che se la donna vuole da senno che il principio della sua emancipazione passi nel novero della verità riconosciute , non deve retrocedere davanti a qualunque sacrifizio pel trionfo ' di detto principio . È necessario ch ' ella curvi rassegnata il capo alla corona del marito , che a somiglianza delle primi martiri del Cristianesimo sfidi imperterrita ogni tortura , che gli egoisti ed i retrivi non mancheranno di apprestarle , pel trionfo della sua causa . Quando la fede illuminerà l ' anima nostra , quando unite , perseveranti , concordi , l ' uomo , ci vedrà camminare sulla via dell ' abnegazione per raggiungere la sublime meta , allora soltanto si prostrerà a noi d ' inanzi e ci saluterà , non con ipocrite parole , ma coi fatti , veramente compagne ed uguali .
DEI DOVERI E DEI DIRITTI DELLA DONNA ( LA DIREZIONE , 1868 )
StampaPeriodica ,
La donna ha doveri nella famiglia , ha doveri nella società , ha doveri in faccia alla patria . Essa è figlia , essa è sposa , essa è madre ; e come figlia e come sposa e come madre non le basta saper compiere i bassi ufficii della domestica azienda , la fisica e la morale sua forza a questi soli misurare e , questi soddisfatti , illudersi di aver bene adempiuto alla sua missione . Oh , codesta non è se non la missione della donna massaia , e non quella della donna compagna dell ' uomo e con lui progredire al bene infinito delle masse . La missione della donna , collo sviluppo delle odierne aspirazioni , è pure di diversa natura . La donna dev ' essere l ' iniziatrice dell ' avvenire d ' ogni nazione ; ma perché possa degnamente rispondere al suo nobile compito e collocarsi al suo vero posto , ella deve istruirsi ; istrutta , resa valida nelle facoltà del suo intelletto , non potrà più sgarrare dalla retta linea che deve percorrere , e la percorrerà con fermezza e coraggio ; istrutta , la sua redenzione non ne sarà che una naturale conseguenza , ché da sé stessa saprà scuotersi di dosso quei mille vincoli che sotto forme speciose ora la tengono soggiogata ed avvilita , rendendo nullo il suo concorso ne ' liberi ordinamenti , o piuttosto che nullo , di uno speciale svantaggio . Perciò solo noi assumemmo il difficile incarico di questa effemeride per contribuire , con quei pochi mezzi di cui possiamo disporre , a preparare la donna onde rendersi man mano degna della esigenza dei tempi e dei portati della nuova filosofia razionale che riconosce in lei la potenza rigeneratrice dell ' umanità prostrata . Ma resa la donna all ' altezza de ' suoi doveri , è impossibile che ella soggiaccia più a lungo sotto l ' oppressione continua delle leggi che , con troppo evidente ingiustizia , la vogliono tutelata dalla culla alla tomba ; quando l ' uomo corrisponde pienamente all ' adempimento de ' suoi obblighi , egli ha per sé il libero esercizio dei suoi diritti ; e la società che accenna a spogliarsi d ' ogni muliebre pregiudizio , triste eredità dell ' evo medio , lo niegherà alla donna ? Se vuolsi la donna sentinella avanzata d ' ogni più perfetto incivilimento , si dovrà di ragione concederle l ' autonomia del suo individuo , e lasciandole la responsabilità delle proprie azioni , permetterle di consacrarsi colla devozione di cui può essere capace ai pubblici interessi e concorrere colla sua opera di cittadina all ' ingrandimento della patria , pur soddisfacendo ai suoi attributi che , come figlia , come sposa e quale madre , la provvidenza le assegnava . Epperò noi offriamo alle nostre lettrici il Progetto di legge del Deputato di Sessa , Salvatore Morelli , presentato alla Camera il 18 Giugno 1867 , e l ' Indirizzo del Comitato Supremo per l ' emancipazione della donna , organizzatosi in Napoli . Leggano le nostre sorelle e Indirizzo e Progetto , fermino il loro pensiero sui punti salienti ; e quando esse vi si trovino ( e si potrebbe dubitarne ? ) inclinate ad accondiscendervi , seguano fervorose le vie che la nuova luce ci appresenta , e tutte concordi riusciremo allo scopo rigeneratore a cui con ogni sforzo ora attendiamo .
ADELAIDE CAIROLI BONO - NECROLOGIA ( BECCARI GUALBERTA ALAIDE , 1874 )
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In generale le madri non comprendono il vasto significato di questo nome , che le somiglia a Dio . Non furono educate a comprenderlo . Esse insegnano al figlio quanto fu loro appreso , senza discuterlo ; e di qui la causa , di quella lotta del vero col falso , del bene col male che dura da secoli , e anche oggi impedisce all ' uomo di trionfare (...) . Oh madre ... Spezza i ceppi che costringono il tuo pensiero entro i limiti angusti ; esci dalle strettoie del pregiudizio , corri incontro all ' avvenire , e crea l ' accordo fra la tua famiglia e il progresso dell ' idea umanitaria . Attingi alla scienza del cuore , che precorre quella dell ' intelletto , e pianta nell ' animo del figlio i germi della virtù , divinando col tuo intuito meraviglioso , quali sono i nuovi doveri che la società domanda all ' uomo . Qualsiasi la tua condizione , è sempre eguale il tuo compito , tu devi formare l ' uomo morale , e formarlo quale i tempi lo esigono . Non ti dico di farti maestra al figlio di questa o quella disciplina ; ben più sublime è il tuo ministero . Devi attendere non alla sua istruzione , sibbene alla sua educazione . Quella illumina la mente , sviluppa la ragione ; questa dà il dovuto indirizzo alle facoltà dell ' anima . V ' ha un campo , quello del sentimento , in cui l ' uomo non può stare di fronte alla donna ; e se la donna vi si colloca , circondandosi della luce che spande il progresso , vi regnerà regina , e l ' uomo , marito o figlio , padre o fratello , là dovrà inchinare e adorarla . Ma se il sentimento non avrà a guida la verità , se negherà i risultati della scienza , se vorrà trincerarsi nell ' errore , allora avverranno le tristi conseguenze cui prima ho descritto . Oh no , tu devi crescere il figlio a quel sentimento , padre del bene , acerrimo nemico del male ; padre del sacrificio , mortale nemico dell ' egoismo ; padre dell ' amore , nemico dell ' odio ; a quel sentimento che s ' ingigantisce mano a mano che la mente va guardando sul campo della scienza ; a quel sentimento che ha principio da Dio , e attraverso l ' umanità , in Dio s ' appunta (...) .
UN DOVERE IMPRESCINDIBILE ( BECCARI GUALBERTA ALAIDE , 1875 )
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Sì , un dovere imprescindibile ci appella , o sorelle ; tale che lasciandolo inadempiuto , noi ci macchieremmo di colpa . Deh , che trascinate da un sentimento cui forse si vorrebbe dar nome di onestà , voi non abbiate da rimaner sorde alla sua voce (...) . (...) È in nome del pudore , non falso , non illusorio o derisore , che il nostro periodico entra oggi a pronunciarsi sopra un argomento , serio , grave , che ci tocca da vicino , o mie care sorelle , ben da vicino e che sarebbe stato vergognoso ch ' esso non avesse avuto il coraggio di trattare poi che lo scopo cui tende è : la riabilitazione della donna per mezzo dell ' educazione riformatrice de ' costumi . Come si avrebbe potuto tacere quando una voce generosa si è alzata a domandare pietà per le povere cadute , che la colpa , sotto vesti seducenti , che abbagliano le inesperte , avvolse nelle sue spire fatali e trascinò nel baratro dell ' ignominia , senza che , forse , esse stesse potessero rendersi ragione di avere spruzzata di fango la candida stola dell ' innocenza , perduta per sempre la loro aureola di purezza ? Per quelle sciagurate che prive di un appoggio , orfane de ' genitori , o co ' genitori stanchi delle fatiche sostenute , affievoliti nella salute , incapaci di guadagnarsi ormai un pane ; o con un marito disoccupato e dedito alla crapula e circondate da numerosa figliolanza , o vedove e ricche solo di prole e di miseria , poi che tutte le vie hanno tentato dell ' onesto lavoro , vendono la propria bellezza , per sopperire non a ' loro ma a ' bisogni delle creature che da esse attendono l ' esistenza , come si avrebbe potuto tacere , ripeto , e non far eco a questa voce ch ' era di donna e alla quale risposero mille e mille voci d ' uomo ? L ' uomo causa prima di tanta sventura , che pesa come una maledizione sul nostro sesso ; l ' uomo causa principale , che resta immacolato di quel fango che getta a piene mani sulla vittima delle sue crudeli follie . No , non si poteva rimanere indifferenti in mezzo al movimento benefico che si iniziò da qualche tempo per correggere , per cancellare l ' ingiustizia delle leggi che puniscono l ' essere meno colpevole e più degno di misericordia e di perdono (...) . Noi , sorelle delle cadute , noi che , sarebbe stoltezza non riconoscerlo , partecipiamo alla loro vergogna ... oh ! , non mi dite ch ' io esagero ; chi assevera il vero , chi assevera un vero doloroso come questo , può benissimo venire tacciato di esagerazione ; ma o non temo le accuse , non mi preoccupo di quel che potreste pensare di me ; se trattasi di un bene comune , non mi curo del danno che al mio individuo potrebbe derivarne ; e vi ripeto , sì , noi siamo sorelle delle cadute ; la vergogna che pesa su di loro , pesa pure su di noi , pesa sulle nostre famiglie , che non ponno prosperare poi che la fonte della morale è attossicata , e per esse , tanto avvilite , alle quali si crede non doversi più riguardo alcuno , ma disprezzo , ma insulti , ma umiliazioni ; e questo disprezzo , questi insulti , queste umiliazioni continue , scemano quel rispetto al quale ha diritto la donna onesta , perché solidale nella colpa con le sventurate ludibrio delle passioni che disonorano l ' uomo (...) .
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L ' uomo , sentendosi più forte , s ' immaginò che l ' intelligenza procedesse di pari passo colla forza e crescesse in ragione diretta di questa , cosicché si credette anche più intelligente e come tale , destinato a dirigere ogni cosa e ad imperare sovra tutti gli esseri , compresavi la sua compagna . Stimandola tanto a sé inferiore pensò che fosse nata per il solo piacere suo e non avesse com ' esso il diritto di disporre di sé , di vivere e regolarsi secondo la propria volontà ed inclinazione . Si arrogò tutti i diritti e le impose tutti i doveri . In seguito , trovando nella diversità , nel contrasto delle cose alcun che di armonico , di piacevole , volle avere pella donna un essere che totalmente da esso differenziasse e diresse la sua educazione in questo senso . Parvegli molto opportuna cosa l ' accrescere la naturale differenza di forza , aumentando la propria col continuo esercizio che gli offrivano le frequenti guerre , le lunghe marcie ; colla ginnastica , col pugilato , coi lavori dei campi , ecc . , e diminuendo quella della donna , costringendola ad una vita sedentaria , anche nell ' infanzia ( l ' età in cui è tanto necessario il moto per acquistare una vigorosa salute ) condannandola al monotono lavoro dell ' ago , continuamente seduta nel vano di una finestra , dall ' alba sino alla sera . Coll ' andare del tempo quest ' educazione portò i suoi frutti . La donna divenne più debole ; la sua costituzione fisica si alterò ; si fece più delicata , più sensibile . Dalla debolezza nacque la timidità , qualità di cui l ' uomo assai si compiacque , perché offriva alla nature grossolane e brutali , che sono per necessità tanto numerose , i mezzi di abusare sempre più del loro potere , ed alle nature generose , che sono sempre rare , porgeva occasione di protezione , la quale genera per solito la riconoscenza e l ' amore . A questa educazione fisica deprimente , tenne dietro un ' analoga educazione intellettuale e morale . Dapprincipio nulla doveva la donna conoscere ; non le s ' insegnava né a scrivere né a leggere . Più tardi imparò dell ' alfabeto quant ' era necessario alla lettura delle sue preghiere , ed annotare gli oggetti di biancheria che consegnava al bucato . Con tal genere d ' istruzione negativa era facilissimo farle credere tutto quello che si voleva . Allora s ' inventò per uso della donna , una morale tutta speciale . Si crearono delle virtù maschili e delle virtù femminili . Le prime furono il coraggio spinto sino alla temerità , sino alla baldanza ; la fierezza ; la rigidità del carattere ! l ' ostinazione che si chiamò fermezza ; la nobile ambizione di distinguersi , di empire il mondo della propria fama ; il dignitoso sentire di sé stesso ... Infine , tutto ciò che lusingava l ' amar proprio dell ' uomo , che secondava le sue inclinazioni dominatrici , il suo istinto belligero fu stimato virtù maschile e , per contro , la timidezza , la rassegnazione , la dolcezza e pieghevolezza del carattere , l ' obbedienza , la sommissione al volere altrui , la modestia , il pudore , il silenzio , la disposizione al sacrifizio , si dissero virtù che convenivano eminentemente alla donna ; e tanto si perdurò in questo sistema da far parere naturale , non solo agli occhi del volgo ma a quelli pur anco delle persone colte , ciò che altro non è se un mero effetto della educazione . Si riuscì , per tal modo , ad avere nella donna e nello uomo due contrasti viventi ; due nature direi quasi eterogenee ; due tipi opposti , come l ' acqua e il fuoco , lo spirito e la materia , la gioia e il dolore , e via dicendo ; il cui stato normale è una lotta continua che la stessa mutua attrazione è impotente a spegnere . La donna fu la poesia , l ' ideale ; l ' uomo fu la prosa , il reale . La donna rappresentò la passività , l ' uomo l ' attività (...) . (...) L ' uomo cammina a fronte alta in qualsiasi luogo ed in ogni circostanza , la donna deve camminare cogli occhi bassi come una colpevole , ché la modestia gliene fa un dovere . È permesso all ' uomo di farsi ammirare , di uscire dalla folla e mettersi in evidenza salendo sovra un piedestallo ; la donna deve eclissarsi , evitare che si parli di lei , sia in male che in bene ; deve tenersi celata , occupare il minore spazio possibile , onde l ' uomo possa meglio muoversi in tutto suo agio . In verità si direbbe che il nascer donna sia un disonore , un ' onta , una colpa da doversi espiare a forza di umiliazioni , di rassegnazione , di pazienza , e senza potervi mai riuscire (...) . (...) Non v ' è bisogno alcuno di essere forte , o intelligente , o dotto , o saggio , o educato , per aver diritto alla libertà . Tutti gli uomini , dal più degno al più tristo , sono liberi ed eguali tra loro . Le donne devono , allo stesso titolo , esser libere e sovra un piede di perfetta eguaglianza cogli uomini , per questo solo motivo , ché sono anch ' esse dotate di volontà , di spontaneità , al paro di tutti gli altri esseri viventi ; perché la libertà è un bisogno e quando una volontà non è libera , è vincolata da un ' altra , vi è un individuo che soffre ed un altro che si arroga più che non gli spetta . Ogni individuo a qualunque classe appartenga , deve avere la sua giusta , eguale dose di libertà , limitata soltanto da quella di un altro ; la sua dose di responsabilità , senza la quale non vi può essere né moralità , né onore , né dignità , né virtù di sorta . La donna ha diritto al pieno e legittimo possesso della sua persona perché è un individuo distinto e completo , che può stare da sé , senza unirsi all ' uomo e vivere , ciò non di meno , felice , rendersi utile alla patria , alla società , alla umanità , come l ' uomo può stare ed è un individuo completo anche senza unirsi alla donna , del che abbiamo numerosi esempi . La donna ha diritto quanto l ' uomo alla scienza , alla conoscenza del vero perché è quanto l ' uomo intelligente , morale e ragionevole . Ha diritto a tutto ciò cui ha diritto l ' uomo , perché una sola è la morale , una la giustizia , una la ragione , uno l ' onore . Tutto ciò che è permesso all ' uomo deve esserlo parimente alla donna , come tutto ciò che è vietato alla donna , se veramente giusto è il divieto , lo deve essere anche all ' uomo . Il male ed il bene , sì fisico che morale , non hanno , non conoscono , non sono d ' alcun sesso . Tutto ciò che merita davvero il nome di virtù conviene ad entrambi e ciò che è riconosciuto immorale , se propriamente è tale , non se lo devono permettere né l ' uno né l ' altro . È tempo , ormai , che si cessi dall ' usare due pesi e due misure , e qualora si persistesse a credere necessaria una distinzione tra i sessi ( cosa che noi non possiamo in verun modo ammettere ) la giustizia esigerebbe assolutamente che le prerogative , i riguardi , le preferenze , la maggiore tolleranza della legge , come della società , fossero in favore del più debole e la severità , il rigore dei Codici , dei Tribunali , della pubblica opinione , si adoperassero contro il più forte e non già tutto il contrario , come si è sempre praticato ed ancora si pratica .
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Lasciando , per ora , d ' indagare quanto vi possa essere di vero in questa sentenza : La speciale missione della donna è la maternità , come accade , domando io , che una donna divenuta madre senza essere maritata , è disprezzata da tutti , e talmente disprezzata , che si trova nella dura necessità di nascondersi per dare la vita alla sua creatura , o rassegnarsi ad una vita di disonore , di disprezzo , d ' umiliazione e di miseria (...) . (...) Mi risponde : Per essere madre onorata la donna deve prima maritarsi . Bene , sia pure . Ma può la donna maritarsi come , quando e con chi vuole ? No ; deve aspettare di essere chiesta in moglie . E se nessuno la chiede ? In tal caso si conservi zitella . Ma allora che diviene la vostra massima : la donna è nata per essere madre ? E poi , conservarsi casta per tutta la vita è presto detto , ma credete che sia cosa tanto facile , non dico per tutte , ma per molte e molte ? Tuttavia date loro , o Signori , l ' esempio e sono sicura che tutte sapranno imitarvi . Come oserete parlar loro di castità assoluta mentre voi , o Signori , date al mondo continue prove che la credete una virtù impossibile ? Voi sembrate persuasi che la donna può , anzi deve esser casta , ma per vostro conto la castità sembra che la consideriate , non più una virtù necessaria , ma una vera impossibilità e nello stesso tempo una ridicolaggine , direi quasi , una vergogna . Tutti i filosofi , siano spiritualisti ovvero materialisti , si accordano nel dire che l ' amore è un bisogno del cuore umano . Or come soddisferanno a questo bisogno le donne che non si maritano ? Mi si potrebbe rispondere : Vi è l ' amor platonico e di questo forse intendono parlare i filosofi . Nessuno al mondo più di me rispetta ed ammira l ' amor platonico , ma perché fosse possibile bisognerebbe trovare uomini che se ne contentassero . E , dopo tutto , mi sia permesso il dirlo , la natura fisica ha pure le sue esigenze , che sono tanto legittime quanto quelle della natura morale e senza le quali l ' umanità si estinguerebbe . Sapreste dirmi , o Signori , in cortesia perché , quando trattasi del vostro sesso , voi considerate l ' amor fisico quale un bisogno e ne fate una questione di salute , e quando trattasi del nostro il bisogno e la salute scompaiono ad un tratto e più nessuno ne parla ? Se mai vi figurate che le donne non hanno gli stessi bisogni vostri rivolgetevi ad un medico , che sia anche filosofo , e sentirete quali terribili sconcerti la castità forzata produce nella salute di quelle sventurate che si rinchiudono nei chiostri . Tutti compiangono la misera sorte di quelle povere sacrificate che , illuse da un falso concetto religioso , credettero non poter salvare l ' anima se non a patto di martoriare il corpo , e tale compianto è giusto , è generoso , ma come poi conciliare questo lodevole senso di simpatia per quelle infelici che finalmente si sono , dobbiamo supporlo , volontariamente immolate , colla pretensione che ha la società d ' imporre a tutte le donne non maritate quella medesima castità assoluta che si deplora nelle monache ? Non dipende sempre dalla donna il maritarsi ; sono anzi biasimate , criticate , messe in ridicolo le giovani che si industriano per trovare un marito , ( che si pretende d ' altronde tanto necessario ) e si vuole che non amino , che non diventino madri se non unite in legittimo matrimonio ! (...) . (...) Ogni qual volta io sento parlare nei termini più obbrobriosi di donne perdute , da uomini che le superano spesso in dissolutezze ; ogni volta che li sento , ipocritamente o ingenuamente , deplorare la crescente demoralizzazione femminile , mi par di sentire un ' orribile stuonatura . Suppongo che ben pochi debbano essere gli uomini che non siano stati , almeno una volta nella loro vita , in qualche casa di tolleranza , potendolo fare impunemente . Non sono soltanto gli uomini libertini , scostumati , rotti ad ogni vizio ; non sono soltanto gli uomini delle basse classi che frequentano , più o meno assiduamente , tali luoghi . Quelle donne affermano che uomini d ' ogni rango , d ' ogni classe , d ' ogni condizione , d ' ogni età ; celibi , ammogliati , rispettabili padri di famiglia , si recano a visitarle , e non si sanno persuadere perché esse debbano essere un oggetto d ' esecrazione per tutti , mentre gli uomini che frequentano le loro case sono tuttavia stimati onesti , degni , persone ammodo e come si deve . Io lo confesso , in questo non posso dar loro torto (...) . (...) Per me , non lo nascondo , vi è qualche cosa di ben più vile , di ben più abbietto , di ben più ignobile di una donna perduta . È l ' uomo che confessa averne bisogno , la considera necessaria , l ' avvicina e la disprezza ! (...) .