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> anno_i:[1970 TO 2000} > autore_s:"Moravia Alberto" > categoria_s:"StampaQuotidiana"
Potosí ( Moravia Alberto , 1970 )
StampaQuotidiana ,
La Paz . L ' aeroporto di La Paz a quattromila metri di altezza pare nient ' altro che un minimo lembo , dello sterminato aeroporto che è l ' altipiano boliviano . L ' altipiano è deserto , spianato e vertiginosamente ventoso e luminoso come sanno esserlo soltanto le piste degli aeroporti . Di un colore brullo uniforme , l ' altipiano fugge d ' ogni parte verso remoti orizzonti circolari dai quali si affaccia , bizzarramente , tutta una fila di picchi nevosi . È la cordigliera Real , la catena andina al di là della quale la Bolivia , paese dualistico , precipita senza transizione nelle bassure tropicali . Non ci sono che due piccoli aeroplani da turismo , ad una sola elica , nell ' aeroporto . Trappoco una di queste libellule bianche e azzurre ci porterà , sgattaiolando intorno i picchi , a Potosí , la città morta dell ' argento . Saliamo , ci chiudiamo nell ' abitacolo non più grande di quello di una comune automobile . Il pilota , un capitano dell ' aviazione militare boliviana , non dispone , per dirigersi , che di una piccola carta geografica sulla quale con una matita tira una linea retta da La Paz a Potosí . Volerà tra rupi altissime , al di sopra di voragini spalancate , servendosi unicamente di questa carta . Partiamo . L ' aeroplano romba , ma neppure tanto , corre un poco sulla pista e quindi decolla e si dirige con esasperante lentezza ( duecento chilometri all ' ora ) verso le montagne all ' orizzonte . Sorvoliamo La Paz , che per proteggerla dai venti , gli spagnoli hanno costruito in fondo ad una specie di cratere dalle pareti erose , di un giallo leonino , che ricordano le crete di Siena ; sorvoliamo ancora per un po ' l ' altipiano ; quindi entriamo tra le montagne . La Bolivia è un paese di miniere . O meglio è un paese di contadini che per sua disgrazia è ricchissimo di minerali . Gli Incas conoscevano le miniere ; ma la loro civiltà comunitaria , isolata tra le Ande e l ' oceano , era per forza di cose disinteressata ; e perciò si servivano dei metalli soltanto per scopi domestici . Gli spagnoli invece erano dei colonialisti , i primi , in ordine di tempo , del mondo moderno . È interessante notare come all ' origine del colonialismo spagnolo c ' è una deviazione psicologica che forse riguarda più il moralista che lo scienziato di cose economiche . L ' idea dell ' arricchimento facile , senza lavoro , per rapina o per fortuna o per tutte e due , ha corrotto in partenza la conquista dell ' America . Il mito asiatico dell ' oro , dell ' argento , delle pietre preziose , delle essenze rare , delle spezie si frapponeva come un miraggio tra gli occhi dei soldati spagnoli e la umile realtà primitiva del nuovo mondo . Purtroppo questo mito trovò una conferma nella natura e fu allora la rovina della Bolivia . L ' agricoltura , un tempo pianificata con complicati sistemi di irrigazione , fu lasciata decadere fino all ' attuale livello di mera sussistenza ; gli indios furono avviati in massa alle miniere con metodi schiavistici . Volando sulla cordigliera Real , tutto questo si può vedere a occhio nudo . Giù , giù , in fondo alle vallate anguste , si aprono ogni tanto dei piccoli slarghi e sopra un ripiano si scorgono tanti rettangolini grigi disposti in simmetria . Al di sopra di questi rettangolini incombono altissime montagne brulle e dirupate che , ad uno sguardo attento , si rivelano tutte sforacchiate di caverne oscure . Sono le miniere , le famose , funeste miniere d ' oro , d ' argento , di antimonio , di zinco , di piombo , di stagno , di rame della Bolivia . Guardando a quei miseri villaggi sprofondati nelle gole solitarie si capiscono tante cose : l ' isolamento assoluto dei minatori , causa di continui moti rivoluzionari che mirano , a ben guardare , a inserire quelle sperdute comunità nella vita sociale e politica del paese ; le immense difficoltà dei trasporti del minerale che gli spagnoli avevano risolto con l ' asservimento degli indiani ma che oggi , dopo la nazionalizzazione di due terzi delle miniere , rende passivi i bilanci delle amministrazioni statali . Ecco finalmente Potosí . La sorvoliamo planando obliquamente . Potosí appare come una città testuggine , a causa dei tetti accostati come le piastre , appunto , della corazza della tartaruga . L ' aeroplano continua a planare tutt ' intorno l ' arida nuda valle , ed ecco ci viene incontro la celebre montagna triangolare che domina Potosí , il Cerro Rico . È una montagna brulla , color tabacco , sparsa delle solite caverne oscure . Da questa montagna , gli economisti moderni calcolano che la corona di Spagna ha estratto in tre secoli per un valore di un miliardo di dollari di argento . Nel Seicento , da Potosí veniva la metà dell ' argento di tutta Europa . A Potosí , più poeticamente , dicono che con l ' argento ricavato dal Cerro Rico si potrebbe costruire un ponte tutto d ' argento massiccio dalla città fino alla lontanissima Madrid . Potosí è una città coloniale spagnola del tipo di quelle messicane per esempio Oaxaca . C ' è la solita plana , i soliti grandi alberi fronzuti , le solite panchine , la solita cattedrale barocca . Soltanto , a differenza delle città messicane , Potosí è morta , di una morte antica che non risale a ieri ma al Settecento , quando le miniere d ' argento , esaurite , non pagarono più le spese dell ' estrazione . Potosí è dunque la città simbolica del colonialismo spagnolo : nata con l ' argento , è morta con l ' argento . La sua vita è stata anche d ' argento , poiché , per cupidigia del prezioso metallo , ci sono state , a Potosí , perfino delle guerre civili . Di questo parere , del resto , è anche l ' anonimo poeta che ha scritto , verso il Settecento , il poema Testamento di Potosí , alla maniera dei testamenti di François Villon . Il poema è un elenco di lasciti ora descrittivi e ora burleschi fatti dalla celebre città in punto di morte . Tra le altre cose , Potosí lascia a Dio la propria anima ; la quale , però come nota ironicamente il poeta , es la plata pura , è fatta di puro argento . Naturale che il centro di una città così emblematica non sia , a ben guardare , la cattedrale bensì il famoso Palazzo della Moneta , uno dei più belli dell ' America Latina . È la stagione delle piogge , piove a dirotto ; così visitiamo il palazzo quasi al buio perché , per economia , la luce elettrica c ' è soltanto negli uffici della direzione . Percorriamo in fretta le sale del museo di pittura coloniale nelle quali , dalla penombra , ci guardano le solite ninfe spropositate , le solite Madonne dalle facce sciocche , i soliti gentiluomini e le solite dame pieni di galloni e di sufficienza ; quindi scendiamo a pianterreno , dove si trovava la zecca . Sempre al buio , ecco le enormi macchine tutte di legno , senza un solo chiodo di ferro , con le quali si batteva moneta ; ecco , dentro le teche , gli stampi delle monete con le armi di Castiglia da una parte e l ' effigie del sovrano dall ' altra . Siamo dunque nel cuore stesso , morto e secco , del colonialismo spagnolo . Queste grandi ruote dentate di legno durissimo delle foreste boliviane non gireranno mai più ; gli stampi non imprimeranno mai più nell ' argento antichi stemmi e profili accigliati di re . E tuttavia non si può negare che proprio in questa penombra , tra questa roba defunta , si avverta più che altrove il senso riposto della storia del subcontinente . La sola riflessione che venga fatto di formulare è che queste sale sono più eloquenti di qualsiasi chiesa . Certo , l ' arte , i riti , le cerimonie della religione hanno varcato l ' oceano e si sono radicate in America ; ma , come avviene ancor oggi , con tutti i colonialismi di tutti i generi e di tutti i paesi , il messaggio che era legato a quelle forme è come se fosse rimasto in Europa , tanto poco ha informato di sé il rapporto fra conquistatori e indigeni . Così che qualche anno fa ha potuto addirittura essere ripresentato come un messaggio rivoluzionario dal prete guerrigliero Camilo Torres e dai suoi seguaci . Giriamo per Potosí tutto il giorno , sotto la pioggia . La serata ci vedrà seduti nel grande atrio gelido dell ' albergo , in un cerchio di notabili venuti a visitarci : l ' alcalde o sindaco , il comandante della guarnigione , qualche altro personaggio ufficiale . Si mangiano olive e mandorle salate , si sorseggia una bevanda che rassomiglia alla tequila messicana . La conversazione langue ; si parla del tempo che fa , come in un salotto inglese dell ' era vittoriana . Poi , non senza intenzione , buttiamo là una qualsiasi allusione politica e allora , come d ' incanto , i discorsi diventano vivacissimi . Gli è che i boliviani hanno la passione della politica ; forse perché i problemi di questo paese sono così antichi e così intrattabili da diventare , per forza di cose e quasi per la consapevolezza della loro intrattabilità , prima di tutto politici . Naturalmente , ad un certo punto , si parla del " Che " Guevara e della sua tragica avventura . Se ne parla tuttora e dappertutto in Bolivia ; e anche da parte degli avversari con una strana , quasi inconscia riconoscenza ; è una tragedia che ha ricordato al mondo , a livello storico , la Bolivia , paese isolato e frustrato ; e al tempo stesso ne ha innalzato , per così dire , il tasso di vitalità . Ma la discussione suscita strane interpretazioni che bisogna pur chiamare " provinciali " . Non odo forse qualcuno attribuire la spedizione cubana alla massoneria ? Partiremo la mattina dopo ; ma il pilota , dopo aver captato alla radio le notizie sul tempo e consultato la sua carta , decide di dirigersi verso Oruro . Come se , in Italia , chi volesse andare da Milano a Roma puntasse sopra Trieste . Voliamo sotto un cielo basso e scuro , tra i picchi , seguendo i canaloni , in direzione di un chiarore sulfureo che sta a indicare una spera di sole sull ' altipiano . Ecco di nuovo , in fondo alle vallate nude e aride , i villaggi delle miniere ; si vedono le piste serpeggiare lontano , bianche e sottili tra i monti : a dorso di mulo o a piedi ci vogliono anche venti giorni per percorrere la distanza che il nostro monoplano varca in poco più di un ' ora . Sbuchiamo finalmente sull ' altipiano , c ' è il sole e piove attraverso il sole . Ecco l ' aeroporto , un prato come un altro . Prendiamo un tassi , ci precipitiamo alla stazione per sentirci dire che il treno parte tra mezz ' ora ma che non c ' è posto perché tutto è stato già prenotato da quindici giorni . Poiché il cattivo tempo peggiora nel pomeriggio , come avviene di regola nella stagione delle piogge , con lo stesso tassì , correndo a perdifiato per la pista allagata , attraverso l ' altipiano , in quattro ore arriviamo a La Paz . Durante il viaggio non ci fermiamo che una sola volta : per ammirare un lama , il primo che abbiamo visto sinora , fermo sotto la pioggia , nel mezzo di una steppa sterminata , simile ad un cammello con le gambe corte .
Gli Indi boliviani ( Moravia Alberto , 1970 )
StampaQuotidiana ,
La Paz . La Paz è una città in gran parte india , costruita , però , dai bianchi per i bianchi . In altri termini la divisione sociale a La Paz si raddoppia di una divisione razziale o se si preferisce culturale . La classe dirigente è bianca o meticcia ; il popolo è indio . Questa divisione che riflette la più vasta divisione del paese ( quattro milioni di abitanti di cui soltanto quattrocentomila bianchi e meticci ) è l ' eredità più vistosa del colonialismo spagnolo . La Paz è una bellissima e strana città costruita in una specie di crepaccio dell ' altipiano . Monti scoscesi ed erosi simili alle pareti interne di un cratere circondano e si innalzano da ogni parte intorno la città . La parte bassa dell ' angusta vallata è occupata dalla città bianca ; sui fianchi dei monti si arrampicano invece i quartieri popolari , cioè indi , composti di case di fango seccato . Gli Indi , naturalmente , si vedono dappertutto , gli uomini coi ponci infilati nel collo e drappeggiati davanti e dietro come ferraioli ; le donne con la bombetta nera o marrone , la gonnella succinta e sospesa su una crinolina , lo scialle intorno le spalle che il più delle volte avvolge un bambino portato a cavalcioni sulle reni . Dire che gli Indi sono attraenti sarebbe deformare la verità . Mentre esiste certamente una bellezza africana , non esiste una bellezza india . E colpisce , nel confronto con gli africani ( il paragone è inevitabile , se non altro per la somiglianza delle situazioni economiche e sociali ) l ' eleganza dei vestiti dei primi rispetto alla goffaggine dei costumi " nazionali " dei secondi . Con gli Indi si ha continuamente l ' impressione del " già visto " , corretto però , in maniera ambigua e il più delle volte non troppo estetica , da modificazioni che si è tentati di attribuire al clima e all ' isolamento . Si pensa , vedendoli , subito , a dei mongoli ; poi , in un secondo momento si notano differenze curiose che , però , non riescono a scacciare l ' idea dell ' origine asiatica : un colore bruno che tira al rosso ; una lunghezza insolita del volto che congiunta alla larghezza mongolica fa sì che le facce risultino sproporzionatamente grandi : una specie di caduta dei tratti l ' uno sull ' altro , la fronte sul naso , il naso sulla bocca e la bocca sul mento . Invincibilmente , non si può fare a meno di pensare ad un ' emigrazione asiatica preistorica abbastanza numerosa da permettere gli insediamenti americani ; ma troppo scarsa per fomentare sviluppi decisivi , somatici e altri . Bruciati dal sole e dal vento degli altipiani , senza rapporti con altri popoli , si direbbe che gli Indi siano rimasti a metà strada , non più mongoli , non ancora americani . Così che , a ben guardare , il termine " indio " coniato per sbaglio dagli spagnoli , si rivela , nella sua ambiguità , assai espressivo della ambiguità fisica delle popolazioni indigene dell ' America . Per osservare gli Indi bisogna recarsi al mercato , su su , nella parte alta di La Paz . Nelle straducce che portano al mercato , le donne stanno accovacciate sui marciapiedi , le une contro le altre , come galline infreddolite e torpide . Davanti a loro , sui lastroni , è esposta la merce : minimi mucchietti di peperoncini , pochi sacchetti di foglie verdi di coca , qualche frittella fatta in casa . Guardano a questa misera roba con indifferenza , come se non gli appartenesse . Più su , tra le bancarelle del mercato , l ' atmosfera è in apparenza quella dei mercati di tutto il mondo : compratori che circolano lentamente guardando ed esaminando ; venditori che se ne stanno immobili dietro i banchi . Ma ad un esame più attento , ci si rende conto che in quella folla mancano l ' allegria , la confusione e anche la promiscuità e la sporcizia proprie dei mercati . Il mercato boliviano è grave , poco rumoroso , pulito e senza contatti e spintoni . Certo , si potrebbe attribuire questo carattere al temperamento poco vivace della gente di montagna . Ma forse la ragione è più profonda . Forse , in maniera inconscia , fra venditori e compratori c ' è una tacita intesa per non dare importanza al mercato in quanto occasione sociale , luogo di comunicazione e di incontro . In altri termini , bisognerebbe ravvisare nella riserva e compostezza degli Indi un aspetto tra i tanti del " rifiuto sociale " che in tutta l ' America Latina gli indigeni hanno opposto , fin dai tempi della conquista , al sistema colonialista . Questo rifiuto sociale degli Indi , cioè rifiuto di comunicare , di partecipare , di integrarsi , è una delle cose che colpisce di più in Bolivia . Certo per gli Indi , come per gli africani , è difficile passare da un ' economia autarchica e di mera sussistenza al produttivismo e al consumismo del mondo moderno . Ma al contrario degli africani che mostrano un vivo e manifesto desiderio di partecipare alla civiltà industriale , gli Indi oppongono a questa stessa civiltà una resistenza passiva fatta di cocciuta fedeltà alla tradizione e di assoluta mancanza di ambizione . Negli Indi si avverte se non proprio ostilità , cattiva volontà ; non tanto forse per diffidenza verso la novità quanto per nostalgia inconscia e rancorosa di un passato defunto e migliore . Insomma , mentre dietro l ' africano si sente un ' antica simbiosi con la natura rispetto alla quale neppure la schiavitù può considerarsi una soluzione di continuità , nell ' indio invece si intuisce il trauma di una civiltà originale bruscamente e spietatamente distrutta . La sensazione di un ripiegamento , di un rifiuto , di una rinunzia non soltanto imposta ma anche voluta , è del resto confermata dall ' archeologia . A cento chilometri da La Paz , le rovine stupende del tempio di Tiahuanaco con le loro muraglie fatte di enormi blocchi incastrati a secco fanno guardare con stupore alle figure goffe degli Indi , mascherati secondo il rozzo folklore dell ' oppressione europea . Si stenta a credere che quei contadini in costume appartengano allo stesso popolo che ha costruito il tempio . E vien fatto di pensare che nessun gruppo umano può impunemente retrocedere ad uno stato primitivo , dopo aver creato una civiltà . Esso apparirà non già tornato alla natura ma regredito , umiliato , decaduto . La civiltà , a quanto pare , è un ' esperienza incancellabile . Naturalmente i responsabili della situazione odierna degli Indi , cioè gli spagnoli , sono oggi acutamente consapevoli del problema costituito da questa massa inerte e frustrata di cittadini di secondo grado che oltre tutto incide per l ' ottanta per cento sulla popolazione della Bolivia . Si distinguono diverse maniere di affrontare il problema indio . Prima di tutto i colonialisti tradizionali . Per loro l ' indio refrattario all ' educazione , privo di ambizioni consumistiche e sociali , attaccato alle sue tradizioni , dedito alla coca e all ' alcool , sarebbe irrecuperabile . Non c ' è bisogno di molto acume , tuttavia , per capire che i colonialisti trasformano in caratteri razziali gli effetti della catastrofe storica dell ' indio . In secondo luogo vengono coloro che basandosi su una certa letteratura di rivalutazione degli Indi , il cui massimo rappresentante è stato D.H. Lawrence , si sono costruiti il mito di una civiltà india di gran lunga superiore a quella occidentale in quanto tuttora attaccata ai valori del sangue e della terra . D.H. Lawrence si era servito di queste idee per polemizzare con la civiltà industriale dell ' Occidente . Ma in Bolivia , paese agrario , simili teorie sembrano nient ' altro che l ' altra faccia del colonialismo con il quale , infatti , condividono , sia pure per motivi diversi , la convinzione che l ' indio sta bene come sta e che di conseguenza niente va cambiato . Infine i socialisti di vario genere , sia i gruppi socialnazionalisti oggi al potere sia i castristi all ' opposizione , considerano l ' indio come il risultato di un processo storico di degenerazione dovuta a quattro secoli di spietato e imprevidente sfruttamento . I rimedi proposti dai socialisti variano secondo che pongono l ' accento piuttosto sul dato culturale e nazionale o sull ' economico . Ma tutti sono d ' accordo in fondo nel considerare l ' integrazione dell ' indio nella vita sociale , economica e culturale del paese come il problema massimo della Bolivia . Abbiamo visto gli Indi in due occasioni , l ' una , diciamo così , privata , l ' altra pubblica . La prima è stata durante una gita al lago Titicaca , l ' immenso lago sacro alla cultura india , ai confini col Perù . In un villaggio sulla strada , in un grande spazio terroso , in pendio , limitato , in fondo , da un muro bianco sul quale a grandi lettere nere si leggeva scritto : " Cristo unica esperanza " , aveva luogo un ballonzolo rusticano . Un gruppo di suonatori girava di qua e di là saltellando e intonando certe ariette discordi e agre con pifferi di canne , bidoni di benzina e tamburelli . Gli Indi gravi , goffi , malsicuri e rozzi entravano nella danza tenendosi per mano , in una lunga fila che pian piano si trasformava in una specie di pesante e orsino girotondo . Veniva fatto di ricordare il quadro celebre della festa contadina di Breughel , ma senza allegria , senza prosperità , senza slancio , in un ' aria triste , frustrata e misera anche se certamente autentica . L ' occasione pubblica è stata durante uno spettacolo di balli folcloristici al palazzo del governo , davanti al miglior pubblico della capitale e il più ufficiale . In prima fila sedevano tutti i ministri e il presidente della repubblica Ovando . Danzatori indi di diverse tribù , nei costumi tradizionali , hanno eseguito danze tradizionali assai pittoresche , al suono dei soliti striduli pifferi e dei soliti cupi tamburi . Finito lo spettacolo il presidente si è alzato e i danzatori , uno per uno , sono sfilati e hanno stretto la mano al presidente ricevendone in cambio una specie di fraterno abbraccio . C ' era un ' aria strana come di riconciliazione difficile e comunque non del tutto sincera tra due gruppi nemici . Si avvertiva l ' impaccio di una distanza sociale e culturale che permaneva nonostante la buona volontà di ambedue le parti . La Bolivia non è un paese unitario ma dualistico . E per molto tempo ancora sarà difficile che cambi .
L'altipiano dei fallimenti ( Moravia Alberto , 1970 )
StampaQuotidiana ,
La Paz . Da La Paz al lago Titicaca si va in macchina in meno di due ore . Si corre per una pista di pietrisco attraverso la steppa che ha un colore uniforme fra il marrone e il bruno , con striature gialle e grigie : il colore dei cespugli bassi e spinosi che riescono a resistere ai venti , al freddo , all ' aridità , alla rarefazione dell ' aria dell ' altipiano . Poiché è la stagione delle piogge , un ' immobile nuvolaglia nera pende a mezz ' aria , simile ad una catena di montagne capovolte , con la base in su e le punte in giù , lasciando sereno l ' azzurro scuro e gelato degli orizzonti . L ' altipiano non è così piatto come sembra : ogni tanto file di colline pietrose e sgretolate si sollevano di poco sulla steppa . Valichiamo una di queste collinette ed ecco , sotto di noi , allargarsi la distesa diafana del lago Titicaca . Ha un ' estensione di novemila chilometri quadrati ; ma le numerose isole e promontori che ne emergono e l ' aspetto paludoso , incerto , informe delle rive lo fanno parere un ' immensa pozzanghera sparsa di pietre , che si stia prosciugando al sole . Quest ' impressione è esatta , del resto . Il lago sta morendo ; perde per assorbimento del terreno e per evaporazione più acqua di quanto ne riceva . Eppure il lago Titicaca così informe , così deserto , così privo di tracce umane , è stato il centro di una delle due sole culture originali ( l ' altra è quella del Messico ) dell ' America precolombiana . Al lago Titicaca sono collegati i miti delle origini del mondo secondo la religione india ; e gli inizi della dinastia imperiale degli Incas . In una delle sue trentasei isole , chiamata , per il culto a cui era votata , l ' Isola del Sole , è apparso per la prima volta , secondo il mito , Viracocha , creatore dell ' uomo , della donna , degli animali , del cielo e della terra . In quella stessa isola sono nati í figli del Sole , Manco Capac e sua sorella nonché coniuge alla maniera faraonica Mama Ocllo , capostipiti della dinastia che in linea diretta , attraverso quindici monarchi , arriva fino ad Atahualpa , l ' ultimo imperatore , ucciso a tradimento da Francisco Pizarro . Di queste leggende e di questi eventi il lago Titicaca , naturalmente , non conserva nulla . La memoria atavica degli indi e le ricerche archeologiche degli europei qui si scontrano con il vuoto assoluto e maestoso di una natura forse originariamente abitata dalla storia ma che la storia ha abbandonato per sempre . Poco lontano dal lago Titicaca , in un immenso anfiteatro naturale formato da basse colline nude ed erose , si trovano le rovine del santuario di Tiahuanaco , il centro religioso più importante della civiltà india prima degli Incas . A Tiahuanaco si esasperano i caratteri dell ' altipiano : solitudine , luminosità , vastità , vuoto , silenzio . Il tempio affondato per metà sottoterra , ha muraglie costruite con enormi blocchi di pietra grigia incastrati a secco con grande ingegnosità e perfezione . La celebre Porta del Sole , con la sua divinità dalla testa felina e la stele chiamata dagli Spagnoli el fraile ( il frate ) , in realtà un dio anch ' esso , in forma umana , con caratteri tipici indi ( busto lungo , gambe corte , testone , facciona ) sono le parti del tempio in cui , oltre alle capacità tecniche ed architettoniche , si rivela il talento propriamente artistico degli indi . È ammirevole , attraente , bella quest ' arte ? Diremmo piuttosto che è strana e che ispira un curioso senso di malessere , diciamo così , estetico . Paragonata ai prodotti artistici dei veri primitivi ( arte negra , polinesiana , greca arcaica ecc. ecc . ) rivela una stilizzazione , una cifra per niente ingenue , di tipo tardo e decadente che dà un ' impressione sgradevole come di frutto per metà acerbo e per metà già putrefatto . Che c ' è in fondo a quest ' impressione ? Il senso di una civiltà isolata , senza possibilità di prestiti , di confronti , di apporti , che arriva alla decadenza direttamente dalla primitività senza passare per la fase della maturità . Quel non so che di crudele e di tetro che emana da quest ' arte sembra alludere al destino proprio delle cose predestinate al fallimento in quanto fin dagli inizi avviate per la strada sbagliata . L ' individuo può correggere i propri errori attraverso una presa di coscienza ; ma le nazioni , le società , le collettività , poiché non vivono a livello morale ma storico , non si accorgono di sbagliare e in realtà non " possono " sbagliare . Possono soltanto fallire , ossia avere una storia breve , una storia catastrofica , una storia in forma di vicolo cieco . Nell ' erba , presso la muraglia del santuario , giacciono alla rinfusa molti blocchi di pietra . Si pensa che siano caduti giù per opera del tempo o delle devastazioni degli spagnoli . Ma non è così . Il santuario di Tiahuanaco , a quanto sembra , è stato abbandonato prima di essere finito . Quei blocchi semi - lavorati erano già interrati nell ' erba prima della conquista . Chissà , forse gli indi si erano accorti di aver " sbagliato " ; di essere stati traditi dai propri dei ; ossia di aver creato una civiltà predestinata al fallimento . Sull ' altipiano , però , non sono stati soltanto gli indi a fallire ; ma anche i loro oppressori , gli spagnoli . La croce cristiana è graffita sulla spalla del / rade ; e dietro la collina spunta la cupola di una chiesa fabbricata , a quanto ci dicono , con materiale portato via dal santuario del Sole ; ma il fallimento spagnolo è visibile dappertutto nell ' abbandono in cui giacciono gli antichi palazzi viceregali , le monumentali chiese barocche , e ancor più nella miseria , nell ' ignoranza , nell ' arretratezza della popolazione india , dopo quattro secoli di cultura europea . Dalla chiesa , adesso , giungono suoni agri e discordi di musiche , tonfi cupi di tamburo , scoppi secchi di petardi . È la fiesta india , rozzamente e poveramente folcloristica la quale , tra la morte del santuario pagano e lo squallore della chiesa cristiana , dà il senso acuto e straziante del fallimento congiunto delle due culture . La civiltà india originaria ( chiamata collas dal nome della tribù più importante ) era di tipo comunitario , libera e democratica . Ma all ' arrivo degli spagnoli , questa civiltà già da quattro secoli è stata trasformata dagli Incas in impero schiavistico . D ' altra parte , gli spagnoli conquistano l ' America in piena fase controriformistica , quando tutto ciò che c ' è di vivo e di nuovo in Europa si trova schierato contro la Spagna . Così la conquista si potrebbe definire la fusione di due fallimenti , quello indio e quello spagnolo , l ' innesto mostruoso della decadenza europea sul tronco della decadenza india . Ma qual è il motivo profondo del momentaneo successo di questa operazione teratologica ? Come mai un centinaio di avventurieri si sono impadroniti di un impero di dieci milioni di indi ? Forse l ' evoluzione singolare dell ' istituzione della mita può fornire , in maniera simbolica , la chiave del mistero . Originariamente , ai tempi della civiltà comunitaria preincaica , la mita era un servizio pubblico al quale le comunità indie si assoggettavano volontariamente e gratuitamente . Si trattava di coltivare le terre della comunità , di irrigarle , di imbrigliare í corsi d ' acqua , di mantenere i sentieri ecc. ecc. La mita era insomma un lavoro collettivo in cui si manifestava l ' alto grado di senso " associativo " degli indi . Poi con l ' impero degli Incas , la libera organizzazione comunitaria , si trasforma in struttura rigidamente centralizzata e statale ossia , in sostanza , in servitù della gleba inquadrata e diretta da una burocrazia di tipo religioso . Si trattava , però , di una servitù della gleba di un genere particolare , non tanto basata sullo sfruttamento a scopo di lucro , quanto sulle necessità reali di un ' agricoltura estensiva che dipendeva in gran parte dai vasti e complessi sistemi di irrigazione . Il passaggio dalla servitù della gleba degli Incas alla franca e orrenda schiavitù mineraria imposta dagli spagnoli , sembra dovuto alla forza . In realtà , è reso possibile dal senso sociale degli indi , che già a suo tempo aveva consentito la trasformazione dell ' economia comunitaria in economia statale . Intendiamoci : il senso sociale non è un difetto ma una qualità . Sempre , però , che non distrugga l ' istinto individuale , come sembra essere avvenuto nella civiltà india . La mancanza di individualismo fa sì che la mita da servizio pubblico libero e spontaneo si trasformi con gli Incas e poi con gli spagnoli in corvée . Gli indi erano soprattutto e soltanto " sociali " ossia docili , sottomessi alle leggi , disciplinati e ligi . Gli Incas si sono serviti di questa socialità per avviare gli indi allo statalismo teocratico ; gli spagnoli per farne degli schiavi . In un secolo la popolazione india cade da dieci milioni ad un solo milione . La mita diventa una condanna a morte . Tanto è vero che quando un indio veniva reclutato per la mita mineraria , i compagni gli facevano i funerali in anticipo . Il mitayo era sinonimo di indio morto . All ' atrofia del sentimento di individualità degli indi fa riscontro l ' ipertrofia dell ' individualismo degli spagnoli . I conquistadores sono avventurieri intrepidi ma senza neppure l ' ombra di quel cristianesimo di cui tuttavia alzano il vessillo . Spietati , fedifraghi , sanguinari , insaziabili , dicono di rappresentare la società spagnola ; ma in realtà rappresentano soltanto se stessi , anche perché la società spagnola individualista e feudale , è stata lei a farli così come sono . Anche a giudicarli col metro morale molto particolare del Rinascimento , difficilmente possono essere giustificati e tanto meno assolti . Sterminano gli indi , si sterminano tra di loro ; e questo pur sempre per motivi di potere e di bottino . È vero che la Corona di Spagna e la Chiesa cercano di proteggere le disgraziate popolazioni indigene ; ma sono lontane mentre i feudatari sono presenti sul luogo . Il fallimento spagnolo è già in germe in questo individualismo efferato e imprevidente . Come , d ' altra parte , il fallimento indio era già in germe nell ' eccessivo senso comunitario , nella mancanza di spirito individuale degli indi .
L'Africa ha il suo Marx ( Moravia Alberto , 1974 )
StampaQuotidiana ,
Libreville . Un nuovo Machiavelli , oggi , certo abbandonerebbe la figura del Principe , nutrito di letture umanistiche , da Tito Livio a Plutarco e a Tacito e disegnerebbe invece quella del rivoluzionario moderno , assurto o no al potere . Questo rivoluzionario , naturalmente , sarebbe anche lui un uomo di cultura ; ma la sua cultura non sarebbe più quella dell ' umanesimo rinascimentale bensì una mescolanza di ideologia e di scienza . Come Marx , come Lenin , come Trotzki , come Stalin , come Mao , il rivoluzionario moderno sarebbe , oltre che un uomo politico portatore di una determinata ideologia , un cultore di quelle scienze che si occupano del fatto sociale . Frantz Fanon , il medico martinicano creatore del " fanonismo " ossia della sintesi più potente , più complessa e più vasta elaborata finora da tutti i motivi della rivoluzione anticolonialista nel Terzo Mondo , non costituisce un ' eccezione alla regola che oggi vuole l ' uomo politico anche uomo di scienza . Frantz Fanon era , infatti , un sociologo acuto e lucido , oltre che un uomo d ' azione e un poeta della palingenesi del Terzo Mondo . Ma quello che rende Fanon diverso dagli altri rivoluzionari e probabilmente unico nel suo genere , è il fatto che fosse anche uno psichiatra . Quanto a dire che egli si interessava attivamente non soltanto all ' uomo come animale politico e sociale ma anche alla persona umana vista nella sua inconfondibile e singolare interiorità . Immaginiamo un Marx che non solo ci descriva , nei suoi effetti sociali ed economici , il lavoro infantile nelle fabbriche inglesi del suo tempo ma anche esamini i riflessi di questo lavoro nell ' animo di una particolare bambina o di un particolare ragazzo ; e avremo il senso preciso della situazione centrale rispetto alla cultura moderna di Frantz Fanon ideologo della lotta anticolonialista e della " negritudine " , personaggio di primo piano della rivoluzione africana , medico psichiatrico , scrittore ormai classico . La sua originalità , come sempre avviene , va soprattutto ravvisata nella sua capacità di conciliare senza sopprimerle le contraddizioni estreme . Frantz Fanon è fautore a oltranza del nazionalismo come l ' arma più efficace contro il colonialismo e il mezzo migliore per creare o recuperare le culture nazionali ; ma al tempo stesso sembra rendersi conto che il nazionalismo europeo è stato il padre del colonialismo e del razzismo e che , invece di creare o recuperare le culture nazionali , il nazionalismo , strumentalizzandole , ne arresta lo sviluppo e ne uccide i germi più fecondi . È sostenitore del ricorso alla violenza sistematica e spietata nella lotta contro il colonialismo ; ma al tempo stesso , ne I dannati della Terra , nel capitolo " Guerra coloniale e disturbi mentali " studia con lucidità e delicatezza gli effetti distruttivi di questa stessa violenza nell ' intimità dell ' animo umano ( a proposito , cosa avrebbe detto Fanon dei killers di Fiumicino che si sono dichiarati " fieri " di aver bruciato vivi trenta innocenti , lui che , tra i casi clinici della guerra totale in Algeria , include quello dei due ragazzi arabi , assassini alienati e automatici di un loro amichetto francese ? Avrebbe riscontrato in quella " fierezza " un tratto psicopatico oppure l ' avrebbe approvata ? ) . Infine egli odia le cosiddette borghesie nazionali africane ( " la fase borghese nei paesi sottosviluppati è una fase inutile " ) ; ma al tempo stesso si palesa estimatore della borghesia europea anche se colonialista e imperialista ( " questa borghesia dinamica , colta , laica è riuscita pienamente nella sua impresa di accumulazione del capitale e ha dato alla nazione un minimo di prosperità " ) . Frantz Fanon è morto nel 1961 . L ' Algeria , alla cui rivoluzione ha partecipato in qualità di militante , la maggior parte delle colonie africane alla cui liberazione ha contribuito potentemente con la sua opera scritta , sono Stati indipendenti . Ora , cosa direbbe Frantz Fanon oggi del Terzo Mondo e in particolare dell ' Africa nera come si è venuta assestando a livello politico negli ultimi anni ? Nell ' opera di Frantz Fanon , vorrei distinguere due parti . La prima è quella in cui Fanon definisce la situazione del negro nel mondo creato dai bianchi e , conseguentemente , incita gli africani alla violenza per distruggere il colonialismo razzista . La seconda , che chiamerei testamentaria e profetica , è quella in cui Fanon critica le nuove società africane e i loro sistemi politici e suggerisce i modi , " per l ' Europa , per noi stessi e per l ' umanità " coi quali sarà possibile " rinnovarsi , sviluppare un pensiero nuovo , tentare di metter su un uomo nuovo " . La prima parte contiene una requisitoria folgorante contro il colonialismo e il razzismo e va considerata fondamentale per tutto quanto riguarda il Terzo Mondo : ma occorre dirlo , essa ormai " data " senza per questo perdere il suo valore ideologico e letterario , come è proprio in genere dei classici , appunto perché ha determinato in maniera irreversibile e definitiva la presa di coscienza da parte degli africani e degli europei nei riguardi del colonialismo . Il quale , è vero , è ancora attivo in Africa , ma appare , ormai , anche per merito di Fanon , del tutto anacronistico e svuotato di contenuto . La seconda parte , quella che ho chiamato testamentaria e profetica , è e sarà invece per lungo tempo di attualità non soltanto nel Terzo Mondo . È chiaro infatti che quando Fanon , nella conclusione dei Dannati della Terra , dice : " Cerchiamo di inventare l ' uomo totale che l ' Europa è stata incapace di far trionfare " egli si rivolge indistintamente a tutti gli uomini . Ma accanto a questa attualità , diciamo così , universale , ce n ' è un ' altra che riguarda direttamente e unicamente la nuova Africa . Vediamo adesso perché e in che modo . Come ho già accennato , Frantz Fanon è prima di tutto , per le esigenze della lotta anticolonialista , un nazionalista convinto . Ma egli non crede alla possibilità e tanto meno alla necessità di una borghesia nazionale in Africa . Logicamente , quindi , Fanon finisce per orientarsi verso il socialismo cioè verso quella democrazia " dal basso » che si esprima nell ' istituzione del partito unico , depositario dell ' ideologia " progressista " ( per distinguerlo , come si vedrà , dal partito unico " reazionario " ) . Il pluripartitismo di specie parlamentare è , infatti , inconcepibile senza una borghesia forte e colta e abbiamo già visto che per Fanon questa borghesia in Africa non è né possibile né desiderabile . Non c ' è dubbio , insomma , che se Fanon non fosse morto nel 1961 , avrebbe accolto , pochi anni dopo , molte delle istanze sociali e politiche della contestazione . Adesso guardiamo all ' Africa , oggi . Il fenomeno politico che colpisce a prima vista è il trionfo del partito unico e del suo indispensabile complemento , quello cioè che Fanon chiama il leader . Quasi dappertutto , insomma , il pluripartitismo parlamentare , con le sue appendici indispensabili di libertà individuali e di diritti dell ' uomo , è stato annullato da rivoluzioni , colpi di Stato militari e no , dissoluzioni delle opposizioni . Forse nessuno è più idoneo , oggi , a spiegarci i motivi , diciamo così , " interni " di questa crisi del pluripartitismo in Africa , di un uomo come Kenneth Kaunda , attuale presidente dello Zambia . Questo paese per dieci anni dopo l ' indipendenza è stato governato da Kaunda col sistema pluripartitico . L ' anno scorso , Kaunda ha proclamato lo Zambia paese a partito unico . In una intervista a " Newsweek " , alla domanda di come sono andate le elezioni basate per la prima volta sul partito unico , Kaunda risponde con una certa quale ingenuità : " Sono state le elezioni più tranquille che abbiamo mai avuto in questo paese . In passato , tutte le volte che scioglievo il parlamento , letteralmente mi aspettavo la morte di molti dei miei concittadini . La burocrazia , l ' esercito , la polizia , tutte le istituzioni della nazione erano spaccate dalle linee politiche dei partiti . D ' altronde questi partiti erano a loro volta basati sulle tribù e così , qualsiasi cosa si facesse , portava alla divisione . " A questo quadro desolante degli effetti del pluripartitismo , il giornalista americano fa seguire la logica domanda : " Ma il partito unico può realmente essere democratico ? " . Al che Kaunda risponde : " In Occidente , quando si parla di partito unico , i più pensano immediatamente a tirannie , repressioni , dittature ... Io non accetto questo punto di vista . Noi abbiamo tentato il pluripartitismo qui nello Zambia . Sinceramente , abbiamo cercato di farlo funzionare . Ma ci siamo trovati sommersi dai risentimenti tribali , religiosi , razziali e così via . Questo sistema qui non funziona ; avrebbe distrutto la nazione ... allora alla fine abbiamo deciso di creare un sistema nuovo " . Non c ' è molto da aggiungere a queste parole così illuminanti sulla crisi del pluripartitismo e sul passaggio alla " democrazia " del partito unico . Naturalmente il carattere politico e sociale di questi partiti unici varia grandemente . Una prima suddivisione sarebbe quella tra partiti unici legati alle borghesie nazionali e partiti unici socialisti dalle varie sfumature , dal " socialismo africano " al marxismo di stretta osservanza . Una seconda , quella tra leaders militari e leaders civili . Una terza potrebbe essere basata sulle tendenze politiche di questi leaders : vi sono militari che si proclamano socialisti , e civili che si appoggiano alle borghesie nazionali , e viceversa . Ma c ' è un tratto comune che sovrasta a tutte queste differenze ; ed è la personalizzazione del potere o , se si preferisce , il culto della personalità . Quest ' ultima definizione è diventata ormai un luogo comune il cui significato , appunto perché ovvio , quasi sfugge all ' attenzione . Ma in Africa il culto della personalità è proprio il culto della personalità , né più né meno . Nei nuovi Stati africani tutto sembra contribuire al culto della personalità : la dittatura del proletariato come la dittatura militare , il partito unico socialista come il partito unico borghese nazionale , il centralismo urbano e industriale come il decentramento tribale e contadino . Ciò che si vede , nella sua ingenuità e autenticità , ha un valore altrettanto probante di ciò che si potrebbe scoprire con indagine approfondita . Per esempio i perizomi vivaci in cui si avvolgono le donne africane , dovunque e coi più diversi partiti unici , mostrano spesso sul dorso e sul ventre il ritratto in grandezza naturale del leader con il titolo che gli compete ( quasi sempre " presidente " , in alcuni casi " presidente a vita " ) circondato di slogan e motti di propaganda . D ' altra parte , bisognerebbe essere ciechi e sordi per non accorgersi , viaggiando in Africa , dell ' atmosfera di timore reverenziale , di devozione intransigente , di rispetto protocollare che circonda la personalità del leader , nonché dei modi più o meno autoritari del suo predominio . Accanto a questi caratteri che si possono ancora chiamare positivi , ve ne sono altri che difficilmente potrebbero essere considerati tali . Il culto della personalità , come abbiamo visto , si basa sul partito unico , e dunque sulla assenza dei partiti di opposizione . Da questo , all ' intolleranza verso gli oppositori esterni e interni , il passo non è lungo . È un fatto accertato che in alcuni Stati africani retti a partito unico , secondo l ' ultimo rapporto dell ' Amnesty International molti oppositori di varie tendenze politiche si trovano in carcere senz ' altro motivo che il loro dissenso dal leader . L ' imprigionamento degli oppositori dimostra , secondo me , più di qualsiasi acritico fanatismo popolare , il prevalere del culto della personalità . Allo stesso modo che l ' esistenza legale di un ' opposizione è l ' indizio più sicuro di segno contrario . Insomma , il leader africano militare o civile , borghese - nazionale o socialista - si ammanta spesso di un potere che bisogna pur chiamare carismatico . Al carattere sacrale del potere politico contribuisce probabilmente anche la particolare religiosità delle masse . Le religioni , tutte le religioni , sia quelle autoctone e tribali sia quelle a sfondo universalistico , non sembrano spesso avere in Africa limiti sociali e psicologici precisi . Come i grandi fiumi africani che alla stagione delle piogge escono dai loro alvei e inondano immensi territori , la religiosità africana , pur di fronte a novità sconvolgenti come il socialismo e il nazionalismo , non tanto scompare quanto trapassa dalle vecchie alle nuove istituzioni tutte sommergendole nella sua irresistibile onda mitica . Il leader africano prim ' ancora che un militare o un civile , che un borghese nazionale o un socialista , è spesso un padre spirituale , una guida morale , un maestro di saggezza , un capo religioso , un tutore ideologico , un messia politico . I leaders si chiamano " Osagyefo " ( redentore ) e " Mwalimu " ( maestro ) ; parlano di " Ujamaa " ( spirito della famiglia ) e di " Harambee " ( cooperazione ) oppure informano il partito ad " un umanismo cristiano " affinché " il servizio incondizionato dei nostri compagni sia la più pura forma del servizio di Dio " . Sugli autobus in gran parte dell ' Africa nera , al di sopra della scritta che ne indica il percorso , si leggono frasi edificanti di questo genere : " Dio è la mia guida " ; " L ' onestà è il migliore sistema " ; " Con Dio mi sento sicuro " ; " Onora tuo padre e tua madre " , ecc. ecc. L ' idea soggiacente al potere carismatico sembra essere che la società è tutta una grande famiglia affettuosa in cui si viene istruiti , educati , assistiti , guidati e , alla fine , premiati o puniti . Naturalmente tutto questo non impedisce al potere di essere il potere , alla politica di essere la politica , alle classi di essere le classi . Si tratta , insomma , soprattutto di una questione di linguaggio connessa a sua volta con la civiltà contadina che è propria di tutto il Terzo Mondo ma che in Africa ha caratteri originali diversi dall ' Asia e dall ' America Latina . D ' altra parte bisogna avvertire che il carisma non impedisce affatto una consapevolezza del tutto realistica dei limiti e dei lati negativi sia del leader che del sistema a partito unico . Ma la personalizzazione del potere sembra essere alla fine la condizione essenziale affinché il carisma si verifichi .