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> anno_i:[1970 TO 2000} > autore_s:"Gambino Antonio"
Che faranno senza Nasser ( Gambino Antonio , 1970 )
StampaPeriodica ,
Quante volte negli ultimi quindici anni si è provato ad immaginare in che modo Abdel Gamal Nasser sarebbe uscito dalla scena politica ? Pochi ammettevano che egli sarebbe morto , come invece è avvenuto , per malattia naturale , nel suo palazzo presidenziale del Cairo . Specie in Italia dove un buon numero di commentatori politici e uomini pubblici sembrava non aver dubbi in proposito : il presidente egiziano avrebbe finito i suoi giorni in modo violento , vittima di un attentato da parte di uno dei suoi molti nemici o processato sommariamente e giustiziato come si conveniva ad un « dittatore fascista » del suo stampo . Coloro che a lungo hanno detto e scritto queste cose , con incredibile e puntuale monotonia ( anche se oggi tendono a dimenticare simili giudizi ) non dimostravano solo una approssimativa conoscenza della natura del fascismo ( che come movimento reazionario di massa , antioperaio e antisindacale , presuppone l ' esistenza di una società industriale sviluppata ) ; ma ancor più rivelavano di ignorare le tradizioni , le strutture sociali e culturali , i problemi e quindi le condizioni di vita politica dei paesi arretrati del Terzo Mondo ai quali l ' Egitto indubbiamente apparteneva e ancor oggi appartiene . Le masse che la sera di lunedì , al momento in cui radio Cairo ha dato l ' annuncio della morte di Nasser , si sono riversate piangenti nelle strade e nelle piazze della capitale egiziana , hanno dato la migliore risposta circa il carattere dittatoriale del governo dell ' uomo appena scomparso . Il fatto tuttavia che questi giudizi abbiano a lungo prevalso specie in Italia , ha avuto un peso notevole nell ' evoluzione politica del Medio Oriente . Solo in uno sfondo di estremismo si possono spiegare infatti le successive decisioni « punitive » dell ' Occidente , dal rifiuto della vendita di armi della primavera 1955 all ' improvviso ritiro del finanziamento per la diga di Assuan , fino alla follia della spedizione anglo francese di Suez dell ' ottobre 1956 e alla guerra fredda degli anni successivi . Nessuno può sapere quali , in circostanze diverse , sarebbero stati gli sviluppi di questo scacchiere così delicato e fondamentale . È certo che a distanza di anni , dopo tutto quello che da allora è successo nel mondo , dopo che le potenze ex coloniali hanno dovuto incassare ben altri colpi al loro orgoglio e al loro prestigio , appare chiaro che col suo boicottaggio verso il leader dei giovani ufficiali egiziani l ' Occidente dimostrava solo la propria inadeguatezza a comprendere il moto storico di fronte al quale si trovava , la propria incapacità ad accettare il tentativo dei popoli sottosviluppati di liberarsi dai vincoli e dalle servitù a cui ancora erano sottoposti . Le maggiori doti di intuizione furono dimostrate , in quegli anni decisivi , dai dirigenti del nuovo Stato ebraico , nato da poco in Palestina . Sono ormai alcuni anni che David Ben Gurion non nasconde la sua ammirazione per Abdel Gamal Nasser , gli attribuisce in pubbliche dichiarazioni e interviste la qualifica di grande uomo di Stato e di vero patriota . Se queste frasi dimostrano un ripensamento e una correzione di precedenti errori di valutazione , vanno accolte come tali . Ma i fatti dimostrano che furono proprio Ben Gurion e gli uomini a lui più vicini , che sono poi quelli che costituiscono l ' attuale gruppo dirigente israeliano , ad indirizzare i rapporti tra Tel Aviv e il Cairo in una strada senza uscita e a non apprezzare le opportunità che offriva l ' ascesa al potere dei giovani ufficiali autori del colpo di Stato contro Faruk . Salito al potere con un programma di riforme interne , Nasser cercò infatti , nei primi anni del suo governo , di smorzare i risentimenti nati dalla guerra anti - israeliana del 194849 . Questa azione avrebbe avuto successo ? A poco a poco si sarebbe arrivati ad un modus vivendi accettabile da entrambe le parti e infine ad una vera pace ? Difficile oggi dirlo . È però accertato che , mentre una parte dell ' opinione pubblica e della stessa classe dirigente israeliana ( compreso il primo ministro del periodo a cavallo tra il 195455 Moshe Sharett ) cercava di approfittare della situazione favorevole per raggiungere un ' intesa col Cairo ( ed in effetti in quei mesi vi furono contatti indiretti tra egiziani e Israele attraverso l ' ambasciatore indiano al Cairo , lo storico K.M. Panikkar , e il leader socialista maltese Dom Mintoff ) , Ben Gurion e i suoi amici si muovevano in direzione esattamente opposta . I loro sforzi si concretarono prima nel complotto che va sotto il nome di « affare Lavon » ( il tentativo di organizzare , nell ' estate del 1954 , una serie di attentati in edifici di proprietà inglese e americana in Egitto , in modo da spingere Londra e Washington a scagliarsi contro Nasser e possibilmente ad abbatterlo ) e poi , otto mesi più tardi , nella spedizione punitiva contro i campi dell ' esercito egiziano a Gaza che , in risposta ad un limitato incidente di frontiera , provocò la morte di 38 soldati del Cairo . Ben Gurion in quel momento era ritornato al governo , come ministro della Difesa , esattamente da due settimane . Otto mesi più tardi avrebbe sostituito Sharett alla testa del governo . La macchina che nell ' ottobre del 1956 doveva portare alla prima campagna del Sinai era stata ormai messa in moto . L ' occasione propizia offerta dalla formazione al Cairo di un governo di uomini nuovi e non legati all ' impostazione del passato era stata definitivamente perduta . Dovevano passare esattamente undici anni , con in mezzo una nuova guerra , perché si tornasse a creare una situazione altrettanto suscettibile di sviluppi positivi . Nella primavera del 1967 Nasser , forse ingannato dai siriani , forse spinto dai russi , certo preso in un ingranaggio che presto non sarebbe riuscito più a controllare , aveva posto a Israele , con la chiusura dello stretto di Tiran , un ultimatum che lo Stato ebraico , non a torto , considerava inaccettabile . La guerra che era scoppiata all ' inizio di giugno aveva avuto per l ' Egitto e per l ' intero fronte arabo conseguenze disastrose . Ma a distanza di due mesi , nonostante la rapida ricostruzione del suo esercito da parte dell ' URSS , Nasser appariva disposto a trarre le conseguenze da quanto era accaduto . Nonostante le apparenze e gli slogan propagandistici ( i tre no : alle trattative dirette , al riconoscimento di Israele , ad un trattato di pace ) fu esattamente questo il significato del vertice arabo di Kartum . Nasser si separava dagli estremisti , smentiva pubblicamente i palestinesi che , attraverso il loro screditato leader Shukeri , seguitavano a invocare la distruzione di Israele , e si dichiarava partigiano di una « soluzione politica » . La vera portata di questa scelta apparve chiara nel giro di poche settimane , quando il governo del Cairo dichiarò di accettare senza condizioni la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell ' ONU del 22 settembre 1967 ( mentre israeliani , e siriani , si rifiutavano di fare altrettanto ) . Si può dire che da allora questa decisione abbia sempre costituito il filo conduttore della politica del Cairo . Sia pure attraverso gli alti e bassi dettati dalla tattica diplomatica e dalle complesse necessità della situazione interna e internazionale , Nasser ha insistito sulla possibilità di trovare un accordo negoziato , ha spostato il discorso dal problema dell ' esistenza di Israele a quello delle sue frontiere , fino ad accettare , nel luglio scorso , il piano Rogers e a tentare , pochi giorni prima della sua scomparsa , la mediazione del conflitto giordano . Questa ultima iniziativa e gli avvenimenti che l ' hanno immediatamente preceduta presentano aspetti ancora tutt ' altro che chiari . Per i primi due giorni dello scontro tra i beduini e i movimenti di resistenza di Arafat e di Habash , il Cairo tace ; solo al terzo giorno , quando si profila il massacro dell ' intera comunità palestinese , l ' Egitto interviene per ammonire Hussein e per arrestare i combattimenti . Nel complesso Nasser sembra desiderare non la distruzione della guerriglia ma certo un suo ridimensionamento , possibilmente sotto la guida del suo leader più moderato Yassir Arafat . Realisticamente il leader egiziano si rende infatti conto che , mentre una pace in Medio Oriente non potrà mai essere trovata se non verranno riconosciute le giuste esigenze del popolo palestinese , chiedere la formazione di uno Stato unitario di arabi , ebrei e cristiani ( come vogliono Habash e Hawtmeh ) equivale ad allontanare per sempre ogni prospettiva di soluzione negoziata . Il discorso di Nasser si interrompe a questo punto e i dubbi che esso avrebbe potuto essere proseguito fino al conseguimento di un risultato positivo sono , oggi non meno di ieri , legittimi . Ci si può chiedere infatti se Israele avrebbe mai finito per rinunziare alle sue aspirazioni annessionistiche , se l ' intera comunità palestinese avrebbe accettato la leadership di Arafat , se Hussein non avrebbe ancora una volta ceduto ai suoi estremisti decisi a raggiungere un accordo con Tel Aviv sopra i cadaveri della guerriglia , se la Siria avrebbe mai abbandonato il campo degli intransigenti . Ma nel caos della situazione mediorientale quello del leader egiziano rappresentava il solo filo logico , il solo punto di riferimento per chi mirava ad una sia pure lenta e progressiva pacificazione . Ora invece le forze centrifughe rischiano di prevalere in ogni campo . I n primo luogo tra i palestinesi . Nasser , infatti , con il suo immenso prestigio poteva coprire Arafat nella fase difficile di sganciamento dagli slogan massimalistici e di avvicinamento a tesi più compatibili con la reale situazione e con i reali rapporti di forza . Sadat o qualsiasi altro leader del Cairo non potrà fare altrettanto . Per quanto riguarda il futuro dell ' Egitto , ogni ipotesi è possibile . Si potrà assistere alla riapparizione di vecchie forze politiche ( come i Fratelli musulmani ) , ad una lotta per il potere tra le varie tendenze dell ' esercito e l ' Unione socialista araba o , infine , alla caduta del paese in uno stato di disgregazione e di tensione . Né si può infine escludere che , sotto la guida di un nuovo leader o di un nuovo gruppo dirigente , l ' Egitto tenda a ripiegarsi su se stesso e , anche per la pressione dei russi ( interessati alla riapertura del canale di Suez ) , finisca per accettare una forma di pace separata con Israele , abbandonando completamente i palestinesi al loro destino . In questo caso quello dei palestinesi si declasserebbe ad un semplice problema di « polizia interna » per Israele . A prescindere da ogni considerazione di carattere morale ( la storia conosce di simili infamie ) è difficile credere che è su queste basi che il Medio Oriente potrà mai raggiungere una vera pace .