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> anno_i:[1970 TO 2000} > autore_s:"Montale Eugenio"
Naufraghi del cielo ( Montale Eugenio , 1970 )
StampaQuotidiana ,
Mentre scrivo ( sono le ore 15 del 16 aprile ) non so ancora se gli astronauti dell ' Apollo 13 riusciranno ad ammarare felicemente ... in mare , ciò che sarebbe fatto assai raro perché di solito il verbo ammarare ( io preferisco la forma amarrare ) significa il raggiungimento della terraferma dal mare . L ' infelice esito del tredicesimo ludo apollineo non porrà certo fine ai viaggi spaziali , anzi sarà considerato come una « sfida » che bisogna accettare perché l ' onore della scienza non tollera smentite . Il « mirabil mostro » ( cfr. Vincenzo Monti , ode Al Signor di Montgolfier ) sarà certo sostituito da un altro che porterà un numero meno infausto e raggiungerà i previsti obiettivi . Ma messe a parte eventuali congratulazioni o condoglianze - e facciamo i debiti scongiuri - quel che vorrei sottolineare è il carattere illogico , irrazionale , di simili tentativi . Sembra un paradosso : le imprese dell ' uomo , le conquiste della tecnica sono da un lato il trionfo della mente umana , dall ' altro il fatto evidente che la scienza « non pensa » e non lo può costituzionalmente . Se la scienza pensasse si troverebbe di fronte all ' opzione tra il bene e il male , tra l ' utile e l ' inutile , tra la felicità e l ' infelicità : e dovrebbe trarne le debite conseguenze . Ma questo non avviene né risulta che sia mai avvenuto . La scienza non opta perché non conosce : la scienza agisce , confronta , trova ( e talvolta trova cose utilissime ) , ma la sorte dell ' uomo le è del tutto indifferente . In questo la scienza è un prolungamento della natura . E opinione assai diffusa che l ' ingegno dell ' uomo vinca e domini gli ostacoli dell ' avversa natura , ma non è così . Natura e scienza rivelano la loro profonda affinità per il fatto ch ' esse sono le sole e invincibili nemiche dell ' uomo . E ' molto strano ( anche se comprensibile ) che sorgano società per la protezione della natura . Io stesso inorridisco per la scomparsa degli alberi , per l ' insania dei parlamentari che permettono il barbaro aucupio con le reti ; io stesso mi commuovo pensando che Venezia sarà , un giorno , visitata solo da coraggiosi sommozzatori . Ma questo non toglie nulla all ' evidenza che la natura può fare a meno dell ' uomo e che l ' uomo ha qualche giustificazione quando tenta , con sporadici successi , di sopprimerla . Avversa la natura , neutra o agnostica la scienza , che cosa resta all ' uomo ? Certamente il pensiero , non il pensiero che crea il mondo e la storia ( idealismo , marxismo ecc . ) , ma il pensiero che l ' ignoranza è una forma del tutto oscura ed embrionale della conoscenza . La sola autentica , in ogni modo . Tutto il resto è vanità ; è astronautica , è riforma della scuola , riforma del clero , riforma della burocrazia ( figuriamoci ! ) , riforma delle riforme , di tutto ciò che aiuta a vivere perché con la verità non è neppure concepibile la vita . ( Postilla . E la vita stessa sarebbe dunque inutile ? No assolutamente , perché io credo che la vita sia una cosa meravigliosa . )
Il Diario di Mosca ( Montale Eugenio , 1970 )
StampaQuotidiana ,
Nel 1961 Enzo Bettiza , da quattro anni corrispondente da Vienna , fu trasferito a Mosca ; e non senza disappunto abbandonò il prezioso « fossile » che per cultura ed estrazione familiare gli era tanto caro . Nato a Spalato jugoslava , studente liceale nell ' italianissima Zara , figlio di un irredentista dalmata cittadino italiano e di una montenegrina , Bettiza si è sempre considerato un mitteleuropeo e più precisamente un Altósterreicher , sentimentalmente legato alla sua « defunta » capitale . Alla nuova residenza egli non giunge tuttavia impreparato . Ha una moglie goriziana , parla perfettamente la lingua slovena , conosce il serbo - croato e il tedesco , non gli è difficile impadronirsi del russo . Gli sarà perciò meno dura quella crisi di rigetto ch ' egli , confrontandosi con altri suoi colleghi italiani , ci descrive nel suo nuovo libro Il diario di Mosca ( Longanesi ) , rendiconto dei quattro anni da lui trascorsi in quella città e prima parte di un ' opera che avrà un seguito . Più che preparato Bettiza era vaccinato . Ha assistito all ' ingresso dei titoisti a Spalato , giovane comunista ha contemplato con un misto di desolazione e di esultanza l ' impoverimento della famiglia ; in seguito ha lasciato il partito , definitivamente immunizzato dal fideismo marxista . In che cosa poteva respingerlo la nuova sede ? L altro pericolo , l ' insabbiamento , a cui vanno soggetti gli stranieri che si stabiliscono in Russia fu da lui evitato studiando il fenomeno davvicino , nei giornalisti stranieri che vivono da molti anni in quella capitale . L ' immensa Russia ha una dimensione temporale diversa dalla nostra . La lentezza , la monotonia , l ' incolore opacità del mastodonte sovietico possono indurre chi vi soggiace ad una sorta di claustrofilia . Non vale la pena di uscirne , tutto il resto del mondo è un technicolor di cui si perde anche il desiderio . Quando Bettiza giunge a Mosca la destalinizzazione ha già compiuto molti passi e forse sta facendone qualcuno indietro . Tukacevski e quasi tutti i generali che Stalin ha mandato a morte sono stati riabilitati ; ma in altri settori non si avvertono veri mutamenti . Qualcuno trova che si esagera . Con Stalin , dichiara confidenzialmente un cremlinologo , si sapeva benissimo dove si andava a finire ; ma con Kruscev nulla è prevedibile . Dopo tutto Stalin non era per niente incolto , afferma un poeta che recita i suoi versi dinanzi a folle entusiaste . Narratori e teatranti godono di qualche maggiore libertà ma accettano i benevoli consigli della censura . La più nota gazzetta letteraria è meno prudente ma manca del tutto la stampa d ' informazione . Le notizie , se ci sono , si devono cercare tra le righe della « Pravda » . Quel che conta negli articoli di quel giornale non è il generico ottimismo ma quell '«eppure...», quel « tuttavia » che sarà il campanello d ' allarme di qualche alto funzionario periferico . Quel « tuttavia » permetterà ai cremlinologi ( nuovo ramo di una più vasta scienza , la sovietologia ) di tirare l ' oroscopo . Il comune lettore sorvola sul « tuttavia » che di solito appare nelle ultime righe dell ' articolo ; ma le vere notizie deve cercarle in qualche giornale straniero ( se lo trova o se riesce a leggerlo ) . Non c ' è stata vera riabilitazione neppure per Pasternak . Gli si riconoscono qualità di poeta ma si osserva che il romanzo non era pane per i suoi denti . La sua dacia non diventerà un museo nazionale . In un Paese dove la mummia di Lenin - tolta dal mausoleo quella di Stalin - è meta di un continuo e adorante pellegrinaggio , un senso d ' incombente mummificazione generale desta l ' attenzione del giornalista che voglia sfuggire al mortale invito . Bisogna sfuggire al primo click , dice Frane Barbieri , altro dalmata che è corrispondente di un giornale di Zagabria . Come si difendono gli stranieri ? I francesi vivono in un mondo a sé , distaccati . Gli inglesi sono più curiosi che interessati , non abbandonano mai il loro fondamentale empirismo , mentre i tedeschi sono irretiti , imprigionati da quel complesso di amore - odio per il mondo russo che non sarà una sorpresa per chi abbia letto il grande romanzo di Gonciarov e qualche altro classico della letteratura russa . In Oblomov il personaggio di Stolz , tedesco , è l ' eroe positivo , sebbene di una positività assai mediocre , e non mancano esempi in altri autori . Da Bielinski in poi , assai prima che il pensiero di Marx giungesse in Russia , la filosofia di Hegel ha fatto strage nell ' intelligenza slava ( molto prima che in Italia , sia detto tra parentesi ) . Nessuna inimicizia è così grande come quella che scoppia tra lontani parenti , tra affini . Ed è proprio su questo tema che Bettiza ci dà alcune delle sue pagine migliori , perché in lui l ' amore per le idee è di gran lunga superiore all ' amore per gli uomini . E non è , intendiamoci , ch ' egli non sia un attento osservatore degli uomini ; ma il fatto è che il color locale , la barzelletta , l ' aneddoto sono del tutto estranei ad un temperamento come il suo . Uno scrittore impressionistico avrebbe speso molte pagine per descriverci gli orrori di quell ' hotel Lux dove a migliaia di uomini furono inflitte mostruose torture per ottenere confessioni di inesistenti congiure , autoaccuse , delazioni ; dove quella « historia generai de la infamia » progettata dal Borges ha scritto una delle sue vette più ingloriose . Tre o quattro pagine sole , plumbee , dure , senza un filo di commozione , ma proprio per questo tanto più dure nel giudizio . Ne sanno qualcosa i giovanissimi russi di oggi ? Bettiza è incline a credere che non ne sappiano nulla , o meglio che non vogliano saperne nulla . D ' altronde , chi è meglio qualificato a descrivere i grandi eventi della storia ? Chi li ha vissuti o colui che li osserva da lontano , col cannocchiale , esperto del prima e del poi , delle cause e delle conseguenze ? Il non comprendere , il non voler comprendere ciò che ci sta davanti agli occhi non è specifico della mentalità slava , sebbene l ' immensa costellazione sovietica , tanto diversa nelle sue componenti , abbia avuto un comune destino : quello di saltare a piè pari almeno un secolo passando da un ' autocrazia feudale a un tipo di collettivismo anche più accentratore , non certo previsto da Marx che mai nascose la sua antipatia per il mondo russo . Né credo che in Marx agisse quell ' ambivalenza che Bettiza ha posto in luce con tanta precisione . Fabrizio del Dongo non si rese conto di essere coinvolto nella battaglia di Waterloo così come molti tedeschi e molti italiani non videro ciò che stava accadendo sotto i loro occhi . La storia che non si ripete mai , in questo si ripete sempre . Vede chi vuole e pochi sono nella condizione di volere . E sono certo che anche in Russia la pietà è di gran lunga più forte della ferocia . Un luogo comune , accettato da tutti coloro che conoscono la grande letteratura russa , è che in quei paesi sia vivo e ineliminabile il sentimento religioso . Su questo punto la testimonianza di Bettiza non suona discorde . Nella Russia d ' oggi la religiosità non è solo fuoco sotto la cenere ma assume anche forme spettacolari : non tali però da mettere in causa la solidità del regime . Non c ' è grande differenza tra quelli che ascoltano in massa le poesie di chitarristi stipendiati dallo Stato e coloro che affollano le cerimonie della Chiesa ortodossa e i culti non certo clandestini della seconda Chiesa russa , riconosciuta dallo Stato , quella dei Vecchi Credenti , non riconosciuta dall ' Ortodossia . Pare che all ' origine di questo scisma tardo - seicentesco sia un diverso modo di farsi il segno della croce . Con tre dita o con due ( a pizzico ) ? Poi sorsero altre divergenze dottrinali che ignoro . I Vecchi Credenti sono milioni , hanno le loro chiese , i loro preti , una loro organizzazione . E come ho già detto anche l ' orrendo teschio di Lenin esercita una morbosa attrazione mistica sui visitatori che sostano in fila per essere ammessi alla beatitudine . Lo spettacolo dev ' essere allucinante . Non è affatto prevedibile una futura mummificazione di Kruscev . Non lo era neppure nel '6l'62 , quando Bettiza scriveva questo suo diario . La prova secca , precisa , lineare di Bettiza non è quella del journal , non consente citazioni , estrapolazioni . Non vuol essere « prosa d ' arte » nel significato più dubbio della parola . D ' altronde Bettiza considera questo libro e i suoi precedenti ( tra gli altri quel Fantasma di Trieste che fu tradotto in molte lingue ) come il materiale che dovrebbe confluire in un futuro romanzo mitteleuropeo , globale , sinfonico , « completamente distaccato dagli umori passeggeri dello scrittore » . Ardua impresa in un tempo nel quale arte e scienza tendono piuttosto al micro che al macroscopico . Ma non è lecito porre limiti alle giuste ambizioni di uno scrittore tanto dotato . Può darsi che un giorno egli si avveda che il Diario di Mosca e quelli che eventualmente seguiranno sono già il romanzo ch ' egli , in astratto , vagheggiava . Un romanzo che ha un solo personaggio : l ' uomo , il Singolo di fronte alla Moltitudine . La scomparsa del singolo sarebbe la fine dell ' avventura umana ; e di questo la provvidenza ci ha dato già qualche annuncio ma non la sentenza definitiva . Può darsi che ce la risparmi , anche se non l ' abbiamo meritato .
Vivere a Milano ( Montale Eugenio , 1970 )
StampaQuotidiana ,
Vivo a Milano dal 1948; avevo allora cinquantadue anni . Perché ho scelto Milano a preferenza d ' altre città ? Molti amici , quando vado a Roma o altrove , me lo chiedono , tra stupiti e scandalizzati . E la mia risposta è sempre la stessa : perché a Milano ho trovato un posto di lavoro soddisfacente . Ma gli amici non si arrendono e obiettano : che ne è del clima o meglio dell ' habitat intellettuale della città ? Non è forse vero che l ' incomunicazione di massa ha qui toccato uno dei suoi vertici ? E a questo punto la mia risposta è sempre la stessa : 1° ) l ' incomunicazione di massa può essere molto favorevole a uno scrittore o artista che non sia eterodiretto , che non dipenda dagli alti e bassi della moda culturale ; mentre sarebbe disastrosa per quei titani dell ' aggiornamento porno - sociologico che contestano « il sistema » ritraendone lauti vantaggi ; 2° ) anche mettendo da parte ciò che Milano e la Lombardia rappresentano nella vita economica del nostro Paese , anche se ci scordiamo per un momento la meravigliosa stagione del romanticismo lombardo possiamo tranquillamente affermare che gli anni della scapigliatura e del primo naturalismo hanno fatto di Milano una città civilissima e culturalmente importante . Sì , hanno fatto : ma ora ? Io posso riferire due episodi diversissimi , ma forse significativi . Nel 1926 incontrai a Milano Italo Svevo , di cui conoscevo solo l ' opera e la fotografia . Mi feci coraggio , mi presentai e lo condussi subito in via Borgospesso , al « Convegno » . Vi trovai alcuni scrittori ben lieti di rendere omaggio al loro più anziano collega . Enzo Ferrieri , naturalmente , Carlo Linati , Eugenio Levi , Alessandro Pellegrini ed altri ancora . Qualche mese dopo Svevo tornò al « Convegno » per leggere una sua conferenza su Joyce : fu un avvenimento che oggi non potrebbe ripetersi . Secondo episodio , trent ' anni dopo . Nel 1956 si dette alla Scala un dramma lirico di sir William Walton , Troilo e Cressida . Io ero il traduttore del bellissimo libretto . Musicalmente , la partitura era elegantissima , la parte vocale non facile . Lo feci notare a Victor de Sabata , il quale sorrise e mi disse che la Scala sapeva il fatto suo . De Sabata , grande direttore d ' orchestra , era notoriamente incapace di mettere insieme un cast . Il risultato fu disastroso : l ' opera , eseguita da artisti di terz ' ordine , finì tra fischi assordanti . Alla fine dello spettacolo né il Sovrintendente , né il De Sabata , né il direttore d ' orchestra si fecero vedere dall ' autore . Faceva freddo , nevicava . Accompagnai Walton sguazzando nella neve e nelle pozzanghere . Lui era tranquillo , io pieno di vergogna . Nonostante il freddo , la nebbia e lo smog Milano ha o avrebbe tutto ciò che occorre per essere un ' importante città d ' arte e di cultura . Ha molte opere d ' arte , musei , biblioteche ( eccellente la Biblioteca comunale ) , alcune università ; possiede due grandi orchestre , parecchie istituzioni musicali , è sede dei maggiori editori italiani , i suoi giornali e rotocalchi raggiungono alte tirature . Ogni sera vi si tengono decine di conferenze e dibattiti , il Piccolo Teatro ha ottenuto successi internazionali , la Scala fa quel che può ( meno di quel che potrebbe ) per sopravvivere , la direzione locale della Rai - TV compie lodevoli sforzi , ma non si è mai riusciti a dare alla città un decente museo d ' arte moderna . Tuttavia la somma di simili meriti e demeriti è ben lontana dal dare un risultato positivo . Non mancano le apparecchiature e i mezzi , è invece assente la volontà di coordinare gli strumenti a disposizione e di dare al pubblico , anche al pubblico dei meno abbienti , quei « servizi » ch ' esso avrebbe il diritto di pretendere . Che Milano sia stata sempre una città sorda all ' intelligenza non può dirsi in alcun modo . Anche senza essere un longobardista ( com ' era il compianto Bognetti ) e nemmeno un lombardista ( com ' è il valentissimo Dante Isella ) io so quanto Milano abbia contato nella storia dell ' intelligenza italiana . Lo so per averlo letto nei libri , non lo so affatto per mie recenti esperienze personali . Tra il '25 e il '30 io venivo a Milano come si va alla Mecca : per rendere il mio tributo a una città d ' eccezione . Ma se debbo prescindere dall ' enorme importanza che Milano ha nel campo dell ' industria e dell ' economia , io amo questa città per l ' innegabile senso civico dei suoi abitanti , l ' amo perché vivendoci riesco quasi a dimenticarmi di essere in Italia ( e non è dir poco ) , l ' amo perché qui il sottobosco politico e pseudo culturale fa poca presa , l ' amo perché i miei amici A B C ... Z non potrebbero viverci e prosperare , l ' amo perché qui si può vivere senza vedere nessuno , senza essere coinvolto in qualsiasi indecoroso intrallazzo mondano , senza vergognarmi di essere al mondo , l ' amo con tutto il cuore ma non riesco ad amarla per la souplesse , l ' agilità e l ' acume della sua intelligenza . Dipenderà dai cittadini di Milano un futuro e imprevedibile mutamento del volto , del carattere della città ? Certamente , ma non dai suoi uomini d ' oggi . Milano è una città buona , ma non è una città interessante . Gli stranieri vengono qui per ragioni d ' affari , ma ben pochi viaggiatori sentimentali ( nel senso reso tradizionale da Sterne ) vengono a stabilirvisi . Milano potrà dunque , anzi dovrà , diventare una città di cultura rinunziando ( et pour cause ) a quanto non ha di congeniale : il colore locale , la cattiva reputazione , lo scandalo , la moda . Sarà possibile ? Tutto dipenderà dai suoi uomini di domani . Se i giovani d ' oggi si tagliassero la barba e imparassero a studiare senza far credito alle molte università che vi sorgeranno , numerose come i funghi , allora Milano potrebbe acquistare quella dimensione morale e culturale che altre città italiane , malgrado l ' infuriare delle discordie politiche , hanno saputo in qualche modo difendere . Ricordiamo però che la cultura non si fabbrica , nasce da sé quando è giunto il momento propizio . E il momento stesso è una grazia che bisogna meritare .
Il crematorio di Vienna ( Montale Eugenio , 1970 )
StampaQuotidiana ,
L ' uomo alienato , anzi reificato come si dice oggi , ridotto a cosa e non più individuo , è veramente infelice per la condizione in cui è venuto a trovarsi ? Il problema è certamente mal posto perché dell ' uomo libero , non condizionato che da se stesso , la storia non offre esempi ; ma se vogliamo ammettere ch ' esso esista e sia anzi il problema d ' oggi si deve escludere che psicologi sociologi e ah nettali specialisti dell ' uomo - uomo e dell ' uomo - formica siano i più idonei a risolverlo . Gli artisti invece hanno qualcosa da dire in proposito perché la loro vocazione - e più nell ' ultimo secolo , da quando sono sorti verismo , naturalismo e altre scuole affini - sembra essere quella di denunciare l ' universale infelicità umana . Non sono però concordi nella prognosi e tanto meno nella diagnosi . L ' infelicità dell ' uomo è costitutiva , originaria oppure è l ' effetto dei « sistemi » sociali sinora sperimentati ? Gli artisti così detti engagés propendono per questa seconda ipotesi ma sanno benissimo che l ' utopia della città Felice non fu e mai sarà attuabile . Altri invece accettano l ' infelicità come la sola possibile fonte di ispirazione . L ' arte sarebbe la vita di chi non vive . E difficile immaginare che un uomo felice , un uomo « riuscito » , rinunci alla sua presente felicità per crearsi una soddisfazione post mortem scrivendo opere letterarie di non probabile sopravvivenza . Non mancano , sono anzi numerosi , gli scrittori che pur non essendo impegnati nella contestazione socio - politica sentono il bisogno di giustificare il no da essi opposto alla vita dell ' uomo d ' oggi . Tra questi , e tra i più giovani , particolarmente interessante è Goffredo Parise . Il suo no non è a senso unico : nel suo ultimo libro Il crematorio di Vienna ( Feltrinelli ) l ' accusa non è rivolta alla vita intesa come istituzione , bensì alla civiltà consumistica , che è la sua bestia nera , non certo l ' unica . Lo sguardo di Parise è stato sempre quello di un antropologo che abbia il capolavoro di Darwin come livre de chevet . Non tanto lo interessa l ' uomo come animale privilegiato ( che pensa e modifica a piacer suo o distrugge la sua vita ) quanto l ' uomo animalesco tout court che continua a mostrarsi nell ' attuale uomo civile ed economico . Non so se Parise si faccia illusioni su ciò che potrebbe essere l ' uomo allo stato di natura , il buon selvaggio . In ogni modo è la vita primordiale quella che attrae la sua attenzione ; ed è per questo che in un libro di tinte uniformi , volutamente composto sullo schema di « tema e variazioni » ( una trentina di pezzi numerati senza titoli ) si può trovare ad apertura di pagina una frase come questa : O pesci ! , in amore muto e natante , in seminagione stagionale , la vostra tecnocrazia o sistematica riproduttiva non conosce le belle regole della dialettica : fate e basta . Non conoscete , beati voi , la didattica delle convenzioni ideologiche (...) o pesci , fate , guizzate con l ' occhio non cosciente , privo di quel miraggio , verso non tecnici miraggi : il vermetto , magari traditore , la libellula , il pesce femmina , gli infiniti e gioiosi misteri di quel grande Luna Park subacqueo che è la vita ittica , ottusi ai ragionamenti , alla presenza , alla bella presenza con cappello grigio , guanti grigi , soprabito grigio dei marciatori dall ' universale bella presenza , delle confezioni , dei prodotti di bellezza per uomo , o pesci ! Non dico che questo sia un bellissimo squarcio di prosa ; ma a chi non conoscesse Parise potrebbe servire per comprendere tanti altri motivi di lui . Il tema che prevale nel Crematorio trovava già nel Padrone ( il più fortunato romanzo di Parise ) due personaggi ancora individuabili da un punto di vista che diremmo vagamente naturalistico : il padrone Max , pianta carnivora che risucchia un suo dipendente : il quale , a conti fatti , accetta una situazione a lui non del tutto sfavorevole . Il motivo del consumo , della quasi perfetta simbiosi tra il consumante e il consumatore e il consumato , dava luogo a un grottesco di forte interesse narrativo . Qui invece , nel Crematorio , i personaggi pure restando anonimi ( portano soltanto un nome che è una lettera dell ' alfabeto ) vivono in ambienti ben definiti , hanno caratteri fisici e psicologici accettabili ma perdono alquanto in credibilità . Altro è trovarsi nella condizione di robot , altro sapere di esserlo . Le figure di questo défilé pensano e riflettono sulla loro condizione con una straordinaria consapevolezza , ciò che nella vita quasi mai accade . Nella vita l ' infelicità non è di entrare nel circolo produttore - prodotto ma nell ' uscirne . Non è psicologicamente vero che l ' uomo desideri la libertà : è vero però ch ' egli deve illudersi di desiderarla . Solo in rari esempi la paranoia si affaccia nei personaggi monologanti di Parise . Tale è il caso dell ' uomo che uccide molte persone senza alcun proposito criminale , ma per darsi prova della propria abilità nel tiro a segno . Ma in casi analoghi , e assai meno cruenti , il tema del rapporto tra divoratore e divorato è quasi nascosto e si crea allora una situazione veramente poetica restando nascosta la nuda e cruda motivazione . Tale la storia dell ' innominato signore che vede in bianco e nero la sua casa , la sua famiglia e se stesso , mentre ogni altro « esterno » conserva vividi colori . Si ha qui il tema dell ' usura , ben diverso da quello dell ' uomo strumentalizzato . Là dove , invece , prevale un implacabile j ' accuse , una requisitoria contro la robottizzazione dell ' individuo , l ' ossessiva iterazione del motivo perde in efficacia e lascia alquanto incredulo il lettore - consumatore . Perché alla fin dei conti il paradosso di Parise e di tutti gli anticonsumisti ( anch ' io ho peccato in questo senso in miei vecchi scritti non narrativi ) è ch ' essi stessi sono professionali produttori e avidi consumatori di merce culturale . Si tratta di una contraddizione di fondo presente in tutta la letteratura d ' oggi . Contraddizione più apparente che reale perché non si può uccidere , artisticamente , la vita senza una forte carica di amor vitae . Questa volontà di vivere è sempre stata presente in tutti i libri di Parise e nei suoi reportages giornalistici . Nel suo ultimo libro essa sembra quasi espunta come una imperdonabile debolezza . Ciò non toglie che quand ' essa trapela Parise riacquisti tutta la sua forza .