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> anno_i:[1970 TO 2000} > autore_s:"Romeo Rosario"
Quale politica per la Dc ( Romeo Rosario , 1975 )
StampaQuotidiana ,
Circolano in questi giorni notizie di sondaggi pre - elettorali effettuati per conto della Democrazia cristiana i cui risultati sarebbero forieri di nuove amarezze per il partito guidato da Amintore Fanfani . Le perdite elettorali nelle regionali di primavera sono previste , pare , al 5 per cento : che , unito ai cali già registrati nel referendum , in Sardegna e nel Trentino , basta largamente a suscitare il panico nelle file di un partito da tempo diventato una macchina per la conquista di posti di potere e di sottogoverno . Da ciò la ricerca affannosa di nuove direttive , e di mutamenti negli indirizzi del partito che valgano ad adeguarlo alla « mutata realtà del paese » , e a consentirgli di essere ancora espressione maggioritaria di una società alla quale non sarebbero più adatti i metodi che nel passato hanno assicurato alla Democrazia cristiana tanti successi . Già nell ' adozione di questa terminologia vi sono i segni della debolezza o meglio , dei complessi d ' inferiorità coltivati , nei confronti degli avversari , da un partito che in tal modo viene ad ammettere apertamente di avere per trent ' anni governato il paese con criteri adatti a una società arretrata e civilmente inferiore , la quale soltanto poteva subire i suoi metodi e la sua guida , non più accettabili da un ' Italia ormai entrata nel novero delle moderne società industriali . Ammissioni tanto più gravi in quanto la necessità di analoghe revisioni non viene in alcun modo prevista per i partiti opposti , che pur si richiamano a modelli così antiquati e astratti di sviluppo civile , e che sono in tal modo autorizzati ad ammonire e sdottoreggiare , nonostante le delusioni e gli inganni di cui è cosparsa la loro storia , e che solo la debolezza politica e ideale della Democrazia cristiana può avere consentito di dimenticare . E questa debolezza ha una proiezione quanto mai pericolosa sul terreno pratico , appunto nella forma che assume la ricerca del recupero dei voti perduti o che si teme di perdere a sinistra . Per molti e autorevoli esponenti democristiani i successi elettorali registrati da socialisti e comunisti sono infatti argomento per auspicare un ulteriore spostamento del partito verso sinistra , che consenta di disputare i voti ai partiti marxisti sul terreno stesso della socialità , e di meglio esprimere le aspirazioni dell ' Italia « profondamente mutata » di questi anni . V ' è qui , a mio avviso , germe di un errore di analisi storico - politica atto a tradursi in indirizzi politici forieri di nuovi disastrosi insuccessi . Non è affatto vero , in realtà , che i mutamenti verificatisi in seno alla società italiana negli anni del « miracolo » , e consolidatisi pur nella cattiva amministrazione del decennio successivo , rendano il nostro paese più atto ad accogliere ricette socialistiche , contrarie a una sempre più elevata differenziazione e articolazione delle strutture sociali . Al contrario , una società cresciuta grazie soprattutto all ' iniziativa privata , vera autrice del « miracolo » degli anni cinquanta , è una società che la diffusione del benessere , di modi di vita e di aspirazioni borghesi , predispongono alla adozione di un « modello di sviluppo » occidentale , in cui la creazione di più solide istituzioni sociali si accompagna a un continuo incremento e innalzamento dei livelli di vita individuale . Se , ciò nonostante , si è avuta negli ultimi anni una serie di successi elettorali della sinistra marxista , ciò si deve in primo luogo agli eccezionali vantaggi offerti ai socialisti dalla loro contemporanea presenza al governo e all ' opposizione . Intanto , sulla scia dell ' ascesa socialista si è avuta , assai più importante in termini reali , l ' avanzata comunista ; e al soccorso della sinistra marxista è poi venuta la stessa Democrazia cristiana , con gli errori di una direzione politica che non è riuscita a incanalare le energie espansive della società italiana verso sbocchi adeguati , e che ha finito per essere praticamente ridotta alla paralisi da una politica di resa che l ' ha privata di gran parte dei suoi strumenti di azione . La prospettiva di una concorrenza con i partiti marxisti sul loro terreno promette solo un ulteriore aggravamento di tali errori . Una Democrazia cristiana che arieggi il socialismo non può infatti non essere battuta nel confronto con i socialisti di tradizione più antica ; e l ' esito del raffronto spingerà ancora più verso sinistra gli elettori cattolici esposti a quelle prove . Senza contare il grosso degli elettori moderati , che resteranno ancora più disgustati e sfiduciati e il cui sbandamento si tradurrà , ancora prima che in perdite elettorali , in un ' ulteriore debolezza politica e morale del partito , che avrà poi sanzioni gravissime sul terreno elettorale . A parte le molte riserve da fare sull ' illusione che comunque , dopo la crisi del movimento sociale , a questi elettori non resterebbero alternative a destra , resta il fatto che anche le perdite a sinistra sono destinate ad accrescersi man mano che la Democrazia cristiana fornisce nuove prove della sua debolezza e incertezza , della sua incapacità di essere fedele a se stessa e alla fisionomia con la quale si presenta davanti al paese : perché , se è vero che nulla ha successo come il successo , è anche vero che nulla accresce l ' insuccesso come il cedimento morale e la rassegnazione alla sconfitta . La via da seguire è invece quella opposta che a un partito di governo è segnata anzitutto dalla sua posizione e dalla sua responsabilità : la via , cioè , del ben governare , della formulazione di chiari obiettivi politici , e della raccolta intorno a essi di consensi sufficienti attraverso realizzazioni giustificate e valorizzate dalla forza delle proprie convinzioni . Un partito che si trovi a governare un paese ricco tuttora di enormi energie potenziali come l ' Italia ha compiti e possibilità immense davanti a sé . Se riuscirà a far marciare l ' economia , a difendere gli interessi generali dall ' aggressione dei gruppi particolari , a realizzare giuste riforme secondo una severa scala di priorità , pubblicamente discussa e chiaramente motivata , esso potrà conservare ancora a lungo la sua funzione di guida , che oggi appare compromessa soprattutto dalla ininterrotta serie di debolezze e di cedimenti che ha caratterizzato la sua storia negli ultimi dieci anni .
La Dc e i suoi elettori ( Romeo Rosario , 1975 )
StampaQuotidiana ,
Nella generale confusione che caratterizza , come sempre , il quadro democristiano , le recenti proposte operative dell ' onorevole Fanfani sono valse , quanto meno , a mettere meglio in evidenza i temi e i contrasti di fondo che caratterizzano la vita del partito . Dove le riflessioni suscitate dai recenti dibattiti sul « compromesso storico » e sull ' « anno degasperiano » avevano portato solo una luce ambigua e incompleta , l ' iniziativa del segretario della Democrazia cristiana e le reazioni delle altre componenti politiche sono invece riuscite a mettere sotto gli occhi di tutti i significati e le conseguenze ultime delle scelte che sono davanti al partito e al paese . Da una precisa consapevolezza degli insegnamenti che ne derivano , la chiarezza e la sincerità della lotta politica hanno tutto da guadagnare . Quando , il 5 giugno 1944 , la folla dei romani affluì in piazza San Pietro a testimoniare , dopo dieci mesi di occupazione nazista , la sua gratitudine al Pontefice , sembrò a qualcuno che si rinnovasse ciò che era accaduto quindici secoli prima , con i cittadini di Roma invocanti da San Leone Magno l ' ultima protezione da Attila . E in realtà nel crollo di tutto ciò che restava , come ideologia e struttura politica , dello Stato laico italiano , la Chiesa parve allora , agli occhi di molti , la sola forza ancora in grado di fornire un quadro organizzativo e una guida spirituale al paese , colpito da una delle crisi più profonde della sua storia . La ripresa politica , sotto nuova guida e nuove bandiere , fu più agevole per quei vasti strati popolari che , pur avendo aderito al fascismo in misura assai più larga di quanto la corrente agiografia populista non sia disposta ad ammettere , trovavano adesso nella lotta della Resistenza un nuovo inquadramento e una nuova coscienza di vittoria sugli antichi avversari di classe . Ma il dramma più profondo fu quello della borghesia italiana , che già nel 1922 aveva vissuto in prima persona il crollo dello Stato liberale , e che adesso vedeva travolti , nel 1943-45 , gli ultimi resti dello Stato risorgimentale da essa creato . Furono questi ceti e queste forze a conferire alla Chiesa la funzione di baluardo anticomunista , nel quadro di un ' Italia lacerata da nuove e più violente tensioni sociali , e di un ' Europa sulla quale gravava minacciosa l ' ossessione sanguinaria del Gulag staliniano . Toccò in tal modo alla Democrazia cristiana , sostenuta dalla Chiesa , l ' eredità dei vecchi partiti moderati , che rapidamente la condusse al vertice del sistema politico italiano e che ve l ' ha conservata per un trentennio . Si trattava , però , di un ' investitura che i vasti strati della borghesia italiana avevano conferito in primo luogo alla Chiesa , e solo indirettamente e per suo tramite ai politici del vecchio partito popolare che si erano nuovamente riuniti intorno ad Alcide De Gasperi e ai nuclei cattolici di più recente formazione che a essi si erano aggregati . Sta in ciò la radice dei complessi rapporti fra i quadri del cattolicesimo politico e l ' elettorato democristiano . Anzitutto fin dal referendum istituzionale , il partito è sempre apparso sensibilmente spostato a sinistra rispetto all ' elettorato ; e alcuni degli esponenti più significativi della nuova dirigenza cattolica si sono addirittura staccati dalla Democrazia cristiana e sono confluiti nel partito comunista . Quelli rimasti nelle file della Democrazia cristiana , e variamente qualificati cattolici integralisti , sociali o « di sinistra » , hanno portato nella vita del partito una serie di istanze critiche e di stimoli sociali e religiosi che gli hanno impedito di ripiegare su vecchie posizioni clerico - moderate , hanno costituito una solida garanzia contro le ricorrenti nostalgie di sbandamenti a destra , e hanno insomma conferito al movimento caratteri di modernità e fermenti ideali che sono stati finora un elemento condizionante della sua esistenza . Ma è un fatto di tutta evidenza che non a questo tipo di sollecitazioni la Democrazia cristiana deve il consenso di cui essa ha finora goduto in settori estesissimi della società italiana , ma piuttosto alla sua attitudine a inquadrarne le esigenze di graduale progresso in una struttura democratica individualistica di tipo liberale . Non è stato certo l ' ideale di una democrazia sociale di tipo cristiano - che del resto non è mai riuscita a definirsi con precisione nei confronti di quella socialista , e di cui anzi la più recente cultura cattolica ha finito per negare anche la teorica legittimità - a convogliare sulla Democrazia cristiana i milioni di voti che finora essa ha raccolto nelle consultazioni politiche . Il merito del partito è da vedere nella capacità che esso ha dimostrato di farsi espressione di esigenze che vanno molto al di là di quelle proprie del cattolicesimo militante ; e i suoi titoli maggiori sul piano storico stanno nel contribuito decisivo che esso ha dato alla ricostruzione e al progresso del paese come moderna democrazia industriale , libera da condizionamenti confessionali e orientata su modelli di progresso attinti alla migliore cultura occidentale . Lo stesso sganciamento della Chiesa dall ' impegno anticomunista dell ' immediato dopoguerra , dopo Giovanni XXIII e il concilio , è valso ad agevolare alla Democrazia cristiana la conquista di una sempre più completa autonomia sul piano politico , e dunque a caratterizzarla vieppiù come partito di democrazia senza aggettivi e connotazioni confessionali . Ma ciò che la sinistra democristiana ha sempre messo in discussione in passato , e con maggior vigore nella fase di difficoltà seguita al 12 maggio , è appunto il diritto del partito a restare fedele alla vocazione con la quale ha finora operato sulla scena italiana . Per molti anni queste sollecitazioni hanno avuto solo una funzione di stimolo , benefico entro certi limiti : ma ciò che caratterizza il periodo più recente , a partire dal 1968 , sono appunto le crescenti incertezze sulla capacità del partito cattolico nel suo insieme di restare fedele a quella vocazione e di soddisfare in tal modo le attese del suo elettorato . Le debolezze culturali del movimento cattolico , diviso tra una sinistra idealmente assoggettata all ' egemonia marxista , e uno schieramento moderato legato a una cultura meramente tecnico - pratica e a tradizioni di spregiudicato esercizio del potere , sono all ' origine di questa crisi politica e ideale della Democrazia cristiana , e della insufficienza con cui essa ha assolto il suo ruolo nel quadro dell ' alleanza di centrosinistra . I riflessi che tutto ciò ha avuto a livello dell ' attività di governo sono stati un fattore non secondario della crisi attuale del paese . La rottura dell ' unità politica dei cattolici avrebbe per la stabilità della democrazia italiana conseguenze imprevedibili , che la renderebbero , ai nostri occhi , assai pericolosa per il paese . Ma nel caso che un simile evento , non a caso auspicato da tutti gli avversari del partito cattolico , o anche solo una drastica riduzione dei suffragi elettorali , dovesse aver luogo , è bene che i suoi fautori , e gli uomini della sinistra cattolica in particolare , sappiano che sotto la bandiera del cattolicesimo progressista non resterebbe quel 35 per cento dei voti che l ' on. Amendola ha prospettato in un suo scritto recente ( ma forse è solo questione di una virgola dimenticata ) , ma una frazione assai più ridotta . Quanto sia scarsa l ' attrazione che le tesi politico - sociali dei Donat Cattin , Marcora o De Mita esercitano sull ' elettorato democristiano , nessuno sa meglio degli interessati ; e non a caso le più vive resistenze a questo genere di prospettive sono sempre venute dal gruppo parlamentare democristiano , a più stretto contatto con l ' elettorato , e più sensibile ai suoi umori . Una scelta di tal genere significherebbe , infatti , da parte della Democrazia cristiana , la definitiva rinuncia alla funzione storica di erede del moderatismo liberale che essa ha svolto finora . Se una tale scelta verrà compiuta , prospettive interamente nuove si apriranno alle grandi masse degli elettori borghesi - cioè dello strato più esteso della società italiana - che vedrebbero così tradita la fiducia che da decenni hanno riposto nel partito cattolico ; e compiti di fondamentale importanza si porranno ai partiti democratici laici . Spetterà in primo luogo all ' iniziativa politica di questi partiti assumere o riassumere nella vita del nostro paese le funzioni che il partito dello scudo crociato non potrà o non vorrà più svolgere . Con questo non si propone un ritorno dei partiti di centro alle formule superate del vecchio moderatismo . Tra le istanze conservatrici rappresentate nel partito liberale , i fermenti di riformismo democratico promossi dai repubblicani e le istanze , ineliminabili nella moderna società industriale , di cui è portatrice la socialdemocrazia , i partiti laici , che possono fra l ' altro riferirsi alla tradizione culturale più ricca di cui tuttora disponga il nostro paese , hanno un respiro ideale e programmatico atto a incanalare le forze maturate in un trentennio di crescita economica e civile del nostro paese sulle strade di un ordinato progresso democratico . Spetta alla Democrazia cristiana , sotto la cui guida quella crescita si è realizzata , di assicurare le condizioni necessarie perché gli elettori continuino a guardare a essa anche come garanzia del progresso avvenire .
I figli di ignoti ( Romeo Rosario , 1975 )
StampaQuotidiana ,
A vedere certi libri scolastici e certe trasmissioni televisive sul tipo di quella che G 7 dedicò tempo fa ai fatti di Pontelandolfo nel 1861 , c ' è da chiedersi quale idea si saranno ormai fatta gli italiani della storia del proprio paese . Non parliamo degli studiosi di storia o di coloro che possiedono una cultura storica di un certo livello : ma della grande maggioranza , le cui conoscenze intorno al passato si riassumono in alcune residue nozioni scolastiche e in una serie di informazioni attinte nelle occasioni più disparate che tuttavia sono , per i più , il solo patrimonio di cultura politica con il quale essi affrontano la realtà del proprio paese . Appunto costoro sono stati oggetto , ormai da qualche decennio , di una sistematica aggressione intellettuale , volta a propagandare una visione della storia dell ' Italia moderna , dal Risorgimento alla Resistenza , che chiaramente risponde ai disegni e all ' esigenza di auto - giustificazione della sinistra marxista , all ' offensiva in questo come in tanti altri settori . In questa prospettiva il Risorgimento figura come l ' opera di una minoranza moderata mirante soprattutto a conservare , al di là del preteso inserimento dell ' Italia nel circuito dell ' Europa moderna e della creazione di uno Stato liberale , ingiustificati poteri e privilegi contro la minaccia della sovversione sociale . Mazzini è ricordato essenzialmente per il suo rifiuto d ' identificare la rivoluzione nazionale con la rivoluzione contadina . Garibaldi rimane il solo autentico eroe popolare , destinato però , dallo scarso discernimento politico , a restar vittima dell ' astuta diplomazia dei moderati . Nel Sud , lo Stato liberale ereditò il peggio della monarchia borbonica , la rivolta del brigantaggio fu un equivalente della lotta partigiana e i bersaglieri italiani degni precursori delle SS naziste . Per il resto , l ' Italia unita ha solo da elencare una serie di tradimenti dell ' ideale liberale , di lotte sociali brutalmente represse e di guerre ingiuste e sfortunate , da ultimo culminate nella catastrofe della seconda guerra mondiale . Dalla quale emerse la Resistenza , solo momento investito da una luce senza macchia , che consentì alle masse degli esclusi e alle vittime di tutta la storia precedente di prendere finalmente in mano il proprio destino . La quale Resistenza , poi , viene bensì esaltata come momento unitario e nazionale di lotta contro l ' invasore straniero e contro il fascismo : ma in quanto portatrice di aspirazioni e di valori che solo nella sinistra di classe trovano una legittima espressione . E si vedano i recenti episodi in cui esponenti della Resistenza appartenenti a tendenze diverse ( e magari a quelle che nelle competizioni elettorali raccolgono i consensi della maggioranza degli italiani ) sono stati violentemente zittiti ed esclusi dalle manifestazioni . Obiettivo di questa grande operazione politico - culturale è la graduale separazione degli italiani dalla propria storia , attraverso la recisione di quel vivente legame con l ' opera di ieri che solo può dar senso all ' opera delle generazioni odierne , e indirizzarla a un avvenire che abbia significato . Un paese idealmente separato dal proprio passato è infatti un paese in crisi d ' identità e dunque potenzialmente disponibile , senza valori da cui trarre ispirazione e senza quel sentimento di fiducia in se stesso che nasce dalla coscienza di uno svolgimento coerente in cui il passato si pone come premessa e garanzia del futuro . Certo , non si tratta solo di un ' operazione artificiale e studiata a tavolino . Essa ha trovato rispondenza nella profonda crisi della coscienza nazionale che è sorta dal trauma della seconda guerra mondiale e che ha dato a molti italiani la sensazione di appartenere a un paese irrimediabilmente sbagliato . Per uscire dalla crisi alcune forze politiche e culturali si sono richiamate alla migliore tradizione del paese , da riprendere e portare avanti nella creazione di un ' Italia nuova capace di trovare in se stessa le forze necessarie a superare le deviazioni del passato . Contro questa visione , che salva l ' unità della storia nazionale , la sinistra marxista e una parte della cultura cattolica , ancora vittima dei vecchi rancori antirisorgimentali , hanno invece sviluppato una decisa ipotesi di rottura ; facendo leva su quei soli momenti della storia del nostro paese , dalla resistenza dei ceti contadini al rifiuto del mondo cattolico alle lotte operaie , che in realtà si contrappongono alla storia realmente accaduta come possibilità di una storia alternativa , non realizzata in passato ma realizzabile in avvenire . Visione grossolana e astratta , che recide nessi in realtà ineliminabili tra le diverse componenti dello sviluppo storico del paese , e che oggi non trova riscontro neppure nella storiografia marxista di un certo livello : ma alla quale le forze che credono in un diverso avvenire del paese hanno il dovere di contrapporre la visione , storicamente più fondata e più matura , del graduale sviluppo che , dal rinnovamento settecentesco al miracolo economico , ha condotto il nostro paese a prendere il suo posto tra i grandi membri della società democratica occidentale .
Pietà per i vinti ( Romeo Rosario , 1975 )
StampaQuotidiana ,
Nei commenti dedicati dalla stampa italiana alla tragedia vietnamita non mi pare di aver visto messi in rilievo alcuni punti che a mio avviso meriterebbero di esserlo . Primo . Gli americani hanno condotto nel Vietnam , e imposto ai loro alleati sud - vietnamiti , una guerra « limitata » che , oltre alle numerose restrizioni nell ' impiego della potenza bellica statunitense sul campo , comportava anche l ' esclusione di ogni attacco terrestre al territorio nord - vietnamita . Se si tiene conto inoltre delle drastiche limitazioni osservate nei bombardamenti aerei per ciò che riguarda la scelta degli obiettivi ( nulla di paragonabile , neppure alla lontana , con quelli effettuati durante la seconda guerra mondiale sulla Germania e sul Giappone , nonostante il tonnellaggio sganciato ) e del mancato blocco del porto di Haiphong , ne deriva che il Nord Vietnam ha potuto combattere tutta la sua guerra da basi invulnerabili ai fini della continuazione dello sforzo bellico . Il quale dunque , come ha scritto il vincitore della guerriglia in Malesia , Sir Robert Thompson , per i comunisti vietnamiti è sempre stato una « can win , can ' t lose war » : una guerra , cioè , che essi potevano vincere ma non perdere ; mentre per gli anticomunisti di Saigon le cose stavano in modo esattamente opposto . Anni fa ebbi occasione di chiedere a uno dei massimi artefici della politica americana in Vietnam a quali condizioni si poteva vincere quella guerra . La risposta fu che ciò sarebbe avvenuto il giorno in cui i nord - vietnamiti si fossero decisi ad allevare bambini e a coltivare riso invece che a far la guerra . Si è sempre detto che un ' invasione del Nord Vietnam avrebbe comportato il rischio di un intervento cinese . E ' una considerazione importante , anche per chi ritiene che alla fine il governo di Pechino avrebbe evitato il pericolo mortale di un nuovo scontro diretto con la potenza degli Stati Uniti . Ma a chi invece pensa diversamente resta sempre da superare l ' argomento di cui anni fa si fece sostenitore l ' ammiraglio Sharp , già comandante delle forze americane nel Pacifico : le guerre che si deve temere di vincere non si combattono . Secondo . E ' la decisione che gli americani , da ultimo , hanno preso . Ma l ' hanno presa dopo avere incoraggiato gli avversari del comunismo nel Vietnam a resistere , e a non rassegnarsi al destino che forse vent ' anni fa avrebbero accettato con atavica saggezza . Fonti americane calcolano a circa 150 mila i funzionari del regime di Saigon e i collaboratori degli americani sicuramente esposti a drastiche rappresaglie in caso di sconfitta ; e la cifra ( secondo R . Evans e R . Novak ) sale a un milione se si tiene conto degli ufficiali dell ' esercito e in genere dei dipendenti governativi : quanto dire di tutti coloro che nella lotta si sono impegnati più a fondo , che hanno , cioè , investito la loro vita nella causa per la quale gli americani li avevano esortati a combattere . Di costoro , solo una minuscola frazione è stata tratta in salvo negli ultimi giorni , che in compenso hanno visto partire fino all ' ultimo americano . Terzo . Da ogni parte si lanciano accuse sul regime « marcio e corrotto » di Saigon , e derisioni sulle qualità militari dell ' armata sud - vietnamita . Non ho elementi di controllo : ma se si tien conto della popolazione dei due paesi , i 200.000 morti sud - vietnamiti equivalgono alla perdita , da parte degli Stati Uniti , di 2.500.000 uomini , cinquanta volte superiore a quella effettivamente sostenuta . Quanto alla corruzione , mi chiedo se a questa stregua l ' Italia del 1944 , quella rievocata da Malaparte nella Pelle , avrebbe meritato che gli americani combattessero per essa . Certo , l ' Italia ebbe i partigiani e il movimento di liberazione . Ma il Sud Vietnam ha avuto i suoi vent ' anni di guerra e i suoi 200.000 morti ; e non vorrei che troppo facilmente si desse credito a giudizi diffusi per anni dalla stampa « liberale » americana per coprire la vera natura dell ' atto che in questi giorni è giunto alla sua consumazione . Proprio il rispetto di quei caduti e il dramma che attende le centinaia di migliaia di coloro che più si sono esposti in questi anni ( adesso chi ricorda Huè e le fosse comuni riempite in poche settimane di occupazione nord - vietnamita ? ) esigerebbero , quanto meno , una sospensiva di giudizio . La dottrina Nixon prometteva l ' aiuto americano solo a quei popoli che si fossero mostrati disposti a combattere per meritarlo . In fondo , non c ' è popolo al mondo che negli ultimi vent ' anni si sia battuto per la libertà ( la libertà di vivere a proprio modo , senza subire la violenza di coloro che vogliono rendere felici gli uomini loro malgrado ) quanto i sud - vietnamiti .
Vilipendio del professore ( Romeo Rosario , 1975 )
StampaQuotidiana ,
La politica scolastica dei governi che si sono succeduti dal 1968 in poi sarà registrata fra le pagine più ingloriose della recente storia del nostro paese . Non che negli anni precedenti le cose andassero nel migliore dei modi , ché anzi una certa responsabilità nei guai del periodo successivo va anche attribuita ai ritardi e alle carenze con le quali allora si fronteggiarono i problemi derivanti dall ' espansione scolastica e dal mutare dei tempi : anche se un minimo di giustizia vuole che di quegli anni si ricordino altresì la creazione della media unica , l ' obbligo scolastico portato a 14 anni , il salutare rinnovamento della didattica nelle elementari . Ma ritardi e carenze in materia scolastica sono riferibili alle medesime ragioni che hanno ostacolato il sollecito adeguamento di tanti altri aspetti delle nostre strutture pubbliche alla tumultuosa trasformazione del dopoguerra . Invece , dopo il 1968 si è assistito al fatto davvero senza precedenti della degradazione della scuola a strumento di ordine pubblico , destinato a trattenere e assorbire , costi quel che costi , spinte e minacce d ' ordine politico che il governo non si sente di affrontare sul terreno loro proprio , come metodi e iniziative politiche . E poiché scuola in questo caso vuol dire essenzialmente professori e insegnanti , su di essi si è sistematicamente esercitato il ricatto dei detentori del potere ( e cioè non solo del governo e dei partiti che lo sorreggono ) , i quali hanno scaricato sui docenti il compito impossibile di fronteggiare problemi che la scuola è istituzionalmente impreparata a risolvere , nell ' atto stesso in cui ne minavano l ' autorità morale e disciplinare con una campagna denigratoria spesso riecheggiata in settori e a livelli ai quali non sarebbe mai dovuta pervenire . Vittime maggiori dell ' operazione sono stati i docenti delle scuole medie superiori , dove la contestazione ha assunto le forme più violente e aggressive , e dove nel tempo stesso gli insegnanti potevano contare su risorse e libertà d ' iniziativa assai minori di quelle a disposizione dei colleghi universitari . Si è così assistito allo spettacolo indegno di vecchi servitori dello Stato e uomini di scuola costretti in situazioni impossibili , alla mercè di turbe rotte a tutte le astuzie della disputa politica , spesso manovrate dall ' esterno , e non di rado addestrate alle tecniche della guerriglia urbana . Non è stato difficile , per costoro , costringere anche professori seri e valenti a optare tra cedimenti pagati col sacrificio di tutti i valori della professione e rinunce che spesso coincidono con l ' indigenza e con la fine anticipata del proprio inserimento sociale . Senza contare esiti più dolorosi , di cui taluno è riuscito , anche di recente , ad attraversare la cortina di silenzio che troppo spesso la nostra libera stampa stende su queste cose . Con i risultati , sul livello del processo educativo e sulla salute politica del paese , che sono sotto gli occhi di tutti . « Chi ha permesso che a una società accadesse questo ha colpe che nessun tribunale giudicherebbe con indulgenza » , scrive Vittoria Ronchey in un singolare diario scolastico ( Figlioli miei , marxisti immaginari , Rizzoli , Milano 1975 , pp. 175 ) che esce in questi giorni , e che sotto il velo trasparente dell ' invenzione letteraria rievoca una serie di vicende della cui verità ideale nessuno che abbia in qualche modo partecipato al dramma della nostra scuola negli anni recenti può dubitare . Il libro si affida anche a un ' abile costruzione narrativa , che riesce a creare una sorta di suspense intorno alle esperienze di un ' ignara professoressa di filosofia e storia nei licei , da Bergamo approdata in un istituto romano dove le sue illusioni di progressismo pedagogico vengono infine alla prova della realtà . Quelle illusioni escono per buona parte infrante e calpestate nello scontro con una situazione nella quale protervia di allievi e complicità di colleghi costringono al fine la protagonista ad abbandonare la scuola . Su questo sfondo si dispiega una serie di esempi significativi delle tecniche psicologiche , delle chiusure mentali , delle azioni di concreta ostilità con le quali tanta parte del corpo insegnante è stata forzata a subire un tipo di scuola che ripugna alle sue convinzioni più profonde . Ma soprattutto la vicenda offre all ' autrice l ' occasione di una serie di riflessioni sulla crisi della scuola , di cui qui si vagliano gli aspetti essenziali alla luce , insieme , di un serio impegno culturale e di un ' autentica vocazione educativa . I1 risultato forse più rilevante dell ' analisi è l ' individuazione della corresponsabilità che , nell ' origine della crisi , unisce l ' aggressione politica montata dall ' estremismo di sinistra contro la supposta « cinghia di trasmissione del sistema » , e il permissivismo pedagogico di derivazione americana . Su questo schema di fondo una serie di determinazioni particolari danno materia alle pagine più valide e più impegnative del libro . Sarà dunque da ricordare la segnalazione , di indiscutibile evidenza , della responsabilità che nell ' aggressione contro la scuola spetta a quei docenti estremisti dalle cui classi è quasi sempre partita la prima ondata dell ' attacco ; e , con essa collegata , la precisa accusa rivolta ai docenti comunisti , a parole sempre pronti a distinguersi dai gruppuscoli , ma di fatto impegnati ad assicurarne la impunità anche di fronte agli eccessi meno giustificabili . E , in fatto di docenti , sia consentito , a chi li ha visti all ' opera , di esprimere la propria intera solidarietà con la denuncia dei « vecchi demagoghi imbellettati » , quali sono apparsi agli occhi della scrittrice tanti professori universitari venuti a patti indecorosi con la contestazione anche su questioni inerenti agli studi che dovevano essere la loro ragione di vita . L ' autrice , a suo tempo allieva riconoscente di quei « maestri » , non tace la propria sconfortata delusione : e chi indaga le ragioni della crisi di ideali e di modelli di vita che investe tanta parte della gioventù intellettuale farà bene a non trascurare l ' effetto disastroso che su di essa hanno avuto gli esempi di questo tipo . Con ciò non si vuole certo esonerare dalle sue responsabilità la classe politica , alla quale spettava di impedire che si creassero le situazioni sulle quali fatti come questi si sono determinati : ma i tempi straordinari richiedevano , e tuttora richiedono ai professori , specie universitari , prove che eccedono i limiti dei loro ordinari doveri . E tuttavia , se dovessi indicare dove la punta accuminata di questo libro scava più in fondo , additerei piuttosto la seconda direzione , della pedagogia velleitaria e parolaia , fondata su nozioni di così povero contenuto intellettuale e di tanta impotenza operativa . A essa hanno attinto a piene mani i molti che andavano alla ricerca di alibi ai propri cedimenti . Specialmente il culto dello « spontaneismo pedagogico » , correlato al disinvolto abbandono della tradizione culturale - che poi vuol dire l ' intero nostro patrimonio intellettuale , umanistico e scientifico - come strumento educativo , ha spesso fornito una mano volenterosa ai banditori della crociata contro l ' « integrazione nella società borghese » . Milioni di giovani hanno già fatto le spese di siffatti esperimenti politico - culturali , sul terreno intellettuale e su quello morale . Resta solo da sperare che libri come questo contribuiscano a indurre le forze politiche democratiche a impegnarsi sempre più direttamente in una scuola che appare sempre meno in grado di riscattarsi con forze proprie . E alla speranza vogliamo anche aggiungere l ' augurio che i recenti decreti delegati , miranti a coinvolgere più direttamente la società nella vita della scuola , siano anche il segno che la classe politica ha preso finalmente coscienza della sua responsabilità di assicurare ai nostri figli un ' educazione adeguata ai cittadini di un paese libero e civile .
Le mani sull'università ( Romeo Rosario , 1975 )
StampaQuotidiana ,
Alla fine dello scorso aprile si tenne , a Firenze , un ' assemblea nazionale degli studenti comunisti . Nel corso del dibattito furono pronunciate dure condanne del presalario generalizzato , del «30 garantito » , dell ' « uguaglianza stracciona » sulla base della mezza ignoranza , auspicata e promossa , negli ultimi anni , dai gruppi estremisti , « figli degeneri del sessantotto » . Vennero in primo piano i temi della serietà e del rigore , la lotta contro la dequalificazione dell ' università , il necessario rilancio della ricerca , i valori della competenza e dell ' impegno collettivo e individuale . Si mise in rilievo l ' obiettivo di garantire il diritto allo studio ai meno abbienti , attraverso misure organizzative dirette a sostituire lo scandalo e il parassitismo delle largizioni di presalario . Al sovraffollamento di taluni corsi si propose di rimediare con la programmazione dei vari settori di studio , in vista delle prospettive di occupazione del lavoro intellettuale previste nel quadro della programmazione nazionale . Come non ricordare questi saggi propositi fra i tanti documenti del nuovo volto del comunismo italiano , partito d ' ordine , serio e riformatore ? Dopo il 15 giugno è venuto di rincalzo l ' on. Amendola . A scuola , ha dichiarato , bisogna che « si impari » , e non ci si limiti a distribuire « diplomi facili » ; lo studio è « sforzo e selezione » . Difficile trovare parole più adatte a calmare il trauma provocato anche in certi settori del mondo universitario dai risultati elettorali . Negli stessi giorni , però , in cui apparivano le dichiarazioni dell ' on. Amendola , la federazione sindacale guidata dalla Cgil , insieme con il comitato nazionale universitario e con l ' organizzazione del personale non docente , presentava al governo una piattaforma per la vertenza sull ' università nella quale , fra una serie di altre proposte , sono incluse le richieste seguenti : a ) istituzione del dipartimento , da affidare al governo di organismi misti di docenti , non docenti e studenti ; b ) abolizione della cattedra « come sede di una rigida titolarità disciplinare » ; c ) istituzione del docente unico . Si tratta di un determinato attacco alle elementari garanzie di libertà dell ' insegnamento e della ricerca , sancite nel nostro paese dalla Costituzione , e patrimonio di ogni società libera . Soppressa infatti la « titolarità dell ' insegnamento » , ciascun professore potrà essere costretto a colpi di assemblea ( e l ' esperienza , soprattutto universitaria , insegna che questa espressione può spesso equivalere a colpi non di maggioranza ma di minoranza , quando si tratti di minoranze « attive » ) , a far tacere il proprio insegnamento , e destinato ad altra disciplina , e magari a compiti diversi , di carattere ausiliario o subalterno . Il docente perderà il diritto alla propria funzione , e sarà esposto a tutti i tiranneggiamenti e a tutte le imposizioni di parte senza quelle difese istituzionali che furono gloria dell ' università liberale : sino alla conclusione facilmente prevedibile della resa o dell ' allontanamento . In tal modo la « democratizzazione » diventa un pretesto per l ' imposizione del totalitarismo ideologico nell ' università . Si dirà che la proposta tende solo a eliminare le superstiti baronie dei titolari di cattedra . Ma a parte che di siffatte baronie ben poco rimane dopo i raddoppiamenti , le triplicazioni e magari le decuplicazioni di cattedre degli ultimi anni , a raggiungere questa finalità sarebbe bastata la contemporanea istituzione del docente unico , che sopprime ogni rapporto di subordinazione tra i docenti della stessa disciplina . Ciò non significa , del resto , che questa del docente unico sia una richiesta decentemente sostenibile : quale uguaglianza , infatti , più « stracciona » di quella che si vorrebbe consacrare in tale figura , che non esiste in nessuna università del mondo , e che tende a pareggiare giovani con qualche anno di laurea a maestri riconosciuti del sapere ? E anche possibile che a premere in questa direzione , più ancora della Cgil , sia il Cnu , in cui si raccoglie tanta parte del sottobosco universitario italiano , popolato di personaggi decisi a far carriera con tutti i mezzi , a eccezione del serio controllo delle attitudini e delle competenze . Finora i comunisti han dato prova di grande abilità nel mettere queste pretese del peggiore corporativismo al servizio dei propri fini di potere . Ma occorre che essi mostrino invece di sapere resistere a spinte di questo genere prima che la loro nuova immagine possa essere in qualche modo accettata . Se alle tante parole che abbiamo ascoltate in queste settimane essi faranno seguire fatti concreti , saremo lieti di vederli all ' opera . Le occasioni non mancheranno .
La minaccia alle libertà ( Romeo Rosario , 1975 )
StampaQuotidiana ,
Fin da quando Stalin , nel 1936 , lanciò la politica dei fronti popolari , i comunisti hanno mostrato un ' assoluta spregiudicatezza nella ricerca di nuove alleanze . Al suo ritorno in Italia Togliatti ne diede una prima prova con la sua offerta di collaborazione con la monarchia nel governo del Sud . Manifesti con l ' invito a votare i comunisti per la difesa dell ' iniziativa privata comparvero per la prima volta non già nell ' ultima campagna elettorale ma in quella del 1948 . Più tardi il ventaglio delle offerte si allargò sino a toccare , con l ' esperimento Milazzo in Sicilia , gli stessi missini ; e anche verso le motivazioni dei giovani neofascisti Togliatti mostrò , a un certo momento , la più larga comprensione . C ' è tuttavia una radicale differenza tra la politica delle alleanze praticata dal Pci nel primo dopoguerra e quella degli ultimi anni . Allora , essa si imperniava sull ' alleanza leninista e gramsciana degli operai e dei contadini , nella quale ai contadini del Sud era riservato il compito di rovesciare , con il proprio intervento , l ' incerto equilibrio tra le due componenti , borghese e operaia , dell ' Italia industriale . Adesso , ridotta largamente dallo sviluppo economico la componente contadina della società italiana , la proposta di alleanza si rivolge soprattutto ai ceti medi , cresciuti di numero e d ' importanza negli ultimi decenni . Anche qui Gramsci agisce da supporto ideologico e da garante dell ' alleanza con le sue riflessioni sugli intellettuali e stilla egemonia , come già nella fase precedente si erano invocate le sue tesi sulla questione meridionale e sulla rivoluzione agraria mancata del Risorgimento . Ma all ' alleanza con i ceti medi manca il cemento di quella reale comunanza di obiettivi che , fino a un certo punto almeno , sosteneva il progetto di alleanza rivoluzionaria tra operai e contadini . La conquista della terra era in effetti un obiettivo reale e largamente sentito dalle masse contadine , e poteva occupare un posto di primo piano in un disegno di strategia rivoluzionaria : quanto meno per la prima fase , ché in seguito l ' esperienza mostra quale durissimo prezzo abbiano dovuto pagare i contadini in tutti i regimi che si ispirano al modello sovietico . Invece , tra le richieste di ogni sorta che i comunisti negli ultimi anni hanno dichiarato di far proprie non esiste nessuna reale omogeneità . Non è possibile , infatti , assicurare contemporaneamente salari ( e quindi consumi individuali ) più elevati , e investimenti sociali accresciuti ; maggiori retribuzioni agli occupati e incremento dell ' occupazione ; soddisfazione delle istanze corporative e settoriali e tutela dei ceti produttori ; socialismo e interessi non solo della piccola ma anche della media e persino della grande impresa privata . Questo coacervo di obiettivi , utilissimo a un partito di opposizione per raccogliere voti e consensi , reggerebbe assai poco alla prova quando dovesse misurarsi con la realtà nella concreta azione di governo . E dunque di vitale importanza , per il Pci , che questo confronto non avvenga prima che esso abbia conquistato il controllo di quegli strumenti di potere che gli consentirebbero di fronteggiare senza danni l ' ondata di delusione e le resistenze che inevitabilmente seguirebbero le sue prime prove di governo . Da ciò l ' estrema cautela della sua marcia verso il potere e lo scarso desiderio che i dirigenti comunisti mostrano di trarre vantaggio dalle molte occasioni di accelerarla che a essi si offrono fin da ora . E da ciò anche il dramma di ogni tentativo di conquista democratica del potere da parte del comunismo , condannato , prima o poi , a scontrarsi con le resistenze della maggioranza dell ' elettorato , e ad affrontare perciò la scelta tra potere e democrazia . Ma se questo è l ' interesse del Pci , è evidente l ' opposto interesse che i partiti , la stampa , la cultura democratica hanno di sollecitare questo confronto fra i programmi e le promesse del Pci e la realtà della sua azione sociale e politica . In troppi casi i comunisti si sono potuti atteggiare a restauratori di un ordine e di una buona amministrazione che essi stessi avevano in larga parte contribuito a distruggere , appoggiando le più arrischiate richieste sindacali , le iniziative dei gruppuscoli , le campagne di terrorismo ideologico volto a disorientare e paralizzare governo e opinione pubblica . Occorre che le forze democratiche sviluppino una assidua vigilanza in questa direzione , e impediscano che intimidazioni e sopraffazioni come quelle , per esempio , che hanno portato a limitare così gravemente la libertà di molti dei maggiori organi di stampa italiani possano svilupparsi per anni indisturbate , e sotto lo schermo , per di più , di battaglie per la « libertà » e l ' « obiettività » dell ' informazione . Occorre che la situazione esistente nelle scuole , nell ' università , in larghi settori del mondo del lavoro , venga proposta all ' opinione pubblica e ai cittadini nei suoi termini reali di gravissima minaccia alla vita e alla libertà di tutto il paese . Dire questo non significa invocare lo « scontro frontale » e la « spaccatura verticale » del paese . Significa però invitare il Pci a misurarsi in modo corretto sui problemi essenziali di libertà che tuttora dividono le forze democratiche dal comunismo , in maniera che il confronto suggerito da tante parti non si risolva in una prova di comodo , sui terreni e nei momenti prescelti dal Pci . Significa anche sollecitare in modo concreto lo sviluppo reale e non meramente propagandistico dei fermenti liberali di cui fa mostra il comunismo italiano , e sui quali si è tanto insistito nella grande « operazione sorriso » lanciata dal Pci nelle ultime settimane . Occorre , insomma , che la rinuncia allo « scontro frontale » si accompagni a una ripresa di iniziativa e di combattività delle forze democratiche , se non si vuole che essa si risolva , come ha ammonito anche un uomo di sinistra quale l ' on. La Malfa , nella « resa incondizionata » .
Mezzogiorno chiama Europa ( Romeo Rosario , 1975 )
StampaQuotidiana ,
Quando , nel dicembre 1954 , apparve a Napoli il primo numero di « Nord e Sud » , le posizioni del liberalismo meridionale erano in gran parte crollate , si profilavano grossi successi elettorali delle destre , ed era in pieno svolgimento la grande offensiva gramsciana della cultura comunista , sostenuta dall ' organizzazione di massa del movimento di « Rinascita » . Davanti all ' imponenza di questo schieramento poteva sembrare che la nuova rivista , col suo appello alla tradizione del meridionalismo riformatore contro il meridionalismo rivoluzionario , fosse destinata a esaurirsi in una prova ulteriore di velleitarismo intellettuale . Pure , di lì a qualche anno fu chiaro che quel granello di sabbia aveva contribuito non poco a inceppare il potente meccanismo avversario , a fargli perdere colpi , a spingerlo fuori strada : aprendo così un periodo di egemonia del meridionalismo riformatore che si sarebbe esteso per tutto il successivo quindicennio . A rievocare questa fase della più recente vicenda meridionalistica , a ripensarne i problemi teorici e le giustificazioni ideali , sono dedicate le pagine raccolte nel suo Meridionalismo liberale ( Ricciardi , Milano - Napoli , 1975 , pp. 237 ) da Francesco Compagna , fondatore e direttore di « Nord e Sud » , e promotore di gran parte delle attività politiche e di studio sviluppatesi intorno a essa . Questo meridionalismo liberale rivendica orgogliosamente il suo punto di riferimento fondamentale nel pensiero di Benedetto Croce . Che può apparire un riferimento sorprendente , se si pensa alle molte accuse rivolte al filosofo di non aver sentito e addirittura negato l ' esistenza stessa della « questione meridionale » : ma di cui Compagna mostra la piena legittimità , addittando , nella visione crociana della storia del Regno di Napoli , la matrice ideale alla quale , meglio di ogni altra , possono riallaciarsi coloro che nel Mezzogiorno intendono battersi per una società aperta ai valori di libertà e di modernità dell ' Europa civile . All ' insufficienza e agli abusi della vecchia classe dirigente meridionale , legata alla terra e alle forme più arcaiche di sfruttamento della terra , Croce aveva infatti contrapposto l ' eredità degli « uomini di dottrina e di pensiero » dell ' illuminismo e del liberalismo napoletano , sola tradizione di cui l ' Italia meridionale « possa trarre intero vanto » e a costoro i meridionalisti democratici vollero consapevolmente richiamarsi . Da ciò le polemiche durissime contro gli strascichi del meridionalismo « querulo e querimonioso » alla Scarfoglio , che negli anni cinquanta riaffioravano accanto all ' ondata di risentimenti di tipo borbonico espressi dai successi elettorali del laurismo ; e da ciò anche l ' impegno diretto nella battaglia per l ' Europa , altro polo irrinunciabile se si voleva che davvero la cultura meridionalista facesse da tramite tra la moderna coscienza civile dell ' Europa e l ' arretratezza meridionale . Ma l ' originalità dell ' operazione culturale rievocata da Compagna acquista il suo pieno significato solo se al nome e all ' insegnamento di Croce si accosta l ' altro , così diverso e pur essenziale , di Gaetano Salvemini . Nella fusione di una linea di pensiero De Sanctis - Croce con quella che da Cattaneo conduce a Salvemini , il meridionalismo democratico ha infatti trovato lo strumento che ha consentito di associare alla battaglia per i valori politici e morali della civiltà liberale un puntuale ed esteso impegno di ricerca sul terreno dei problemi concreti , delle indagini sull ' emigrazione e sui nuovi insediamenti industriali , sulle politiche di sviluppo e sui temi della urbanizzazione e della sistemazione del territorio . Lo storicismo idealistico , con la sua tradizione di concretezza e il suo amore per i problemi particolari , ha così potuto fare da supporto a indagini nelle quali le tecniche economiche e sociologiche sono state largamente messe a profitto , senza perciò dar luogo , come è invece accaduto in tanta parte della cultura italiana degli anni sessanta , ad alcun cedimento di sapore scientifico e neopositivistico . Su questa via il meridionalismo democratico ha contribuito con indubbia efficacia a orientare la politica meridionalistica dello Stato repubblicano , incontrandosi con altre esperienze di diversa origine , come quella della Svimez e di Pasquale Saraceno . Al meridionalismo classico dei liberali della prima generazione , i Villari e i Sonnino , i Franchetti e i Fortunato , questo nuovo meridionalismo si riallaccia infatti per l ' impegno riformatore , per la persuasione della fecondità di un ' azione che si avvalga dello Stato moderno realizzato in Italia dal Risorgimento come primo ed essenziale strumento di innovazione nelle regioni meridionali . Nella crisi e nei cedimenti manifestatisi durante gli ultimi anni nella compagine di questo Stato sono anche state coinvolte molte delle prospettive meridionalistiche che a esso erano legate : e non sono rari , oggi , i bilanci totalmente negativi dei risultati dell ' impegno meridionalistico che ebbe inizio nel 1950 . Il meridionalismo democratico può a buon diritto rifiutare una larga parte di queste responsabilità , additando la sua lunga e tenace battaglia contro le deformazioni clientelari del potere nel Mezzogiorno ; e può dire comunque di avere contribuito grandemente a creare un Mezzogiorno che , nonostante tutto , è e rimane « diverso » . E tuttavia , nelle pagine più recenti di questo libro , e specialmente in quelle scritte dopo il 1970 , non è difficile cogliere i segni e l ' ammissione di una crisi . Che non è tanto determinata dallo scontro col meridionalismo frontista e comunista , oggi in ripresa e col quale Compagna , rievocando vent ' anni di civili contrasti con esso , può ancora riconoscere certe matrici e ascendenze comuni ; quanto dalla « rottura della continuità culturale dell ' Italia moderna » che si riscontra nel meridionalismo recentissimo dei contestatori , tutto Vietnam e America Latina , e ignorantissimo al tempo stesso di De Sanctis e di Fortunato . E quella medesima rottura che a Mario Pannunzio suggerì nel 1966 la chiusura del « Mondo » , nella previsione , qui testimoniata , di un nuovo avvento di irrazionalismo , portatore di un ' atmosfera radicalmente antitetica al liberalismo di ragione che era proprio del grande settimanale , così strettamente legato anche alla vicenda del meridionalismo democratico . Sono state vicende intellettuali come queste , insieme con le ultime rischiose esperienze politiche , a ingenerare in molti la sensazione di un crescente isolamento , e ad alimentare le ondate di pessimismo che si avvertono con tanta frequenza . Chi a tutto ciò sente di dover resistere troverà in queste pagine il sostegno di una ricca strumentazione culturale e politica ; e insieme , la rievocazione di quell ' intransigenza liberale che a Pannunzio consentì di lasciare una traccia così profonda nella vita intellettuale di un ' Italia che per molti segni sembrava andasse verso sponde opposte , e che anche alla « purezza e durezza » del suo liberalismo deve di non esserci andata .
La Dc all'opposizione ( Romeo Rosario , 1975 )
StampaQuotidiana ,
Se la logica e la politica andassero sempre d ' accordo , dopo la « svolta » socialista alla Dc non resterebbe , dov ' è rimasta in minoranza , che la scelta fra l ' adesione alle « larghe maggioranze popolari » egemonizzate dai comunisti e il passaggio all ' opposizione . La prima alternativa appare , a prima vista , di gran lunga la più agevole e vantaggiosa . La Dc , da trent ' anni assuefatta al potere , continuerebbe a parteciparvi in misura rilevante ; potrebbe rivendicare qualche titolo di merito come protagonista anch ' essa del « nuovo modo di governare » ; avrebbe l ' occasione di ribadire la sua vocazione di partito « popolare ed interclassista » . Tutto ciò , beninteso , sulla carta . Di fatto , una Dc associata a combinazioni di potere dominate dalle sinistre verrebbe continuamente fatta responsabile dei limiti dell ' azione riformatrice , aggredita da una costante offensiva a « doppio binario » ( nella quale i comunisti saprebbero oscurare persino i vistosi precedenti socialisti ) , coinvolta in una serie di iniziative dirette a colpire soprattutto i ceti sociali che forniscono i maggiori contingenti al suo elettorato . E facile prevedere , in queste condizioni , se non una spaccatura ( non impossibile ) del partito , quanto meno una disgregazione di quell ' elettorato , che in larga misura verrebbe respinto a destra , con ulteriori gravi pericoli per le istituzioni democratiche e un maggiore indebolimento della linea anticomunista , che è davvero efficace solo sul terreno della democrazia . Verrebbe prima o poi , e assai prima che poi , il momento in cui la Dc sarebbe costretta a imboccare la via dell ' opposizione : ma la imboccherebbe in una situazione gravemente deteriorata , dopo la perdita di molte posizioni e di molti consensi , e nel quadro di un rapporto di forze peggiorato fino a diventare insostenibile . Apparentemente più rischiosa , ma di fatto più produttiva , la scelta dell ' opposizione . Non solo essa sarebbe il modo più vero di attuare la « rigenerazione » e « rifondazione » del partito , che è impossibile prendere sul serio finché la si attende da nuove incarnazioni dei Gava e dei Piccoli , dei Rumor e degli Andreotti ; ma consentirebbe alla Dc ( e agli altri partiti democratici ) di mettere effettivamente alla prova le amministrazioni social - comuniste , di proporre alternative ragionevoli alle genericità demagogiche in cui si è paludata finora la sinistra marxista , di riguadagnare , soprattutto , la propria autonomia politica , liberandosi dalle deformazioni che per anni le sono state imposte dall ' alleanza con i socialisti . L ' evidenza di tutto ciò sembra essersi imposta , almeno a livello nazionale , anche ad alcuni esponenti delle sinistre democristiane . Certo , il controllo di altri enti locali verrà utilizzato dai comunisti per la raccolta di nuovi voti e di nuovi consensi . Ma ciò accadrebbe anche se la Dc consentisse a entrare nelle giunte ; mentre non vanno trascurate la fragilità degli schieramenti elettorali messi assieme dal Pci e le difficoltà ch ' esso incontrerà nel tentativo di soddisfare i molteplici e contrastanti interessi che vi sono rappresentati . Su questi dati una opposizione autorevole e ben condotta potrebbe operare con efficacia . Che poi in sede di governo locale la Dc debba non solo contrapporre ma anche confrontare , come adesso si dice , i propri programmi con quelli delle maggioranze di sinistra , è cosa ovvia nella pratica di ogni convivenza democratica : a meno che con il termine confronto non si voglia invece contrabbandare qualcos ' altro , che meglio si designerebbe come accordo e collaborazione . Che è , come si è visto , cosa politicamente non solo diversa ma opposta , nella sua portata e nelle sue conseguenze . Vi è , naturalmente , il rischio che rapporti del genere si trasferiscano dal livello locale a quello nazionale . Checché se ne dica , non è affatto certo che una crisi di governo nella quale la Dc assumesse posizioni analoghe a quelle che ha deciso di tenere nella questione delle giunte debba sboccare nelle elezioni anticipate . Ma anche in questo caso la sola piattaforma elettorale possibile per la Dc sarebbe una netta contrapposizione al comunismo . E se poi l ' alleanza di sinistra dovesse conseguire un nuovo successo , e raccogliere consensi sufficienti a formare un governo senza la Dc , una politica d ' opposizione sarebbe la sola praticabile dal partito cattolico , se non vuole abdicare a se stesso e alla causa della democrazia . Anche in simili , gravissime circostanze , la trasformazione dell ' Italia in un paese socialista resterebbe un ' impresa non facile : e difficilissima da realizzare , come più volte hanno riconosciuto gli stessi dirigenti comunisti , con una maggioranza risicata del 51 o del 55 per cento . Misure come quelle che il Pci dovrebbe promuovere per dare anche solo un principio di soddisfazione alle attese degli strati più decisi ( e tuttora largamente stalinisti ) del movimento operaio basterebbero a provocare una crisi economica di vaste proporzioni , con l ' inevitabile strascico di delusioni e di malcontento . Per fronteggiare difficoltà di questo genere i comunisti dispongono di metodi sperimentati , atti a garantire , la conservazione del potere anche quando il consenso si restringa a frazioni minuscole dell ' elettorato . Ma l ' applicazione di questi metodi sarebbe assai difficile di fronte a un ' opposizione forte di quasi la metà della rappresentanza parlamentare , circondata di una sicura reputazione di attaccamento alla democrazia , e oggetto di larghe simpatie e solidarietà internazionali . In queste condizioni , e sotto lo sguardo di un ' Europa e di un ' America già allarmate dalla formazione di un governo paracomunista a Roma , i metodi polizieschi e i crimini giudiziari che hanno sempre accompagnato la nascita delle dittature comuniste comporterebbero rischi che la stessa Unione Sovietica avrebbe interesse a evitare . Allora un ' opposizione energica potrebbe anche costringere il partito comunista , e sarebbe la prima volta , a lasciare il potere per via democratica . Tutto ciò è ben chiaro ai dirigenti del Pci , ed è la ragione di fondo della loro insistenza sul compromesso storico o comunque su un sistema di alleanze preventive che disarmi l ' opposizione prima ancora che abbia avuto modo di esercitarsi , che è precisamente ciò che le forze democratiche e la Dc in primo luogo , hanno interesse a evitare . Una Dc all ' opposizione potrebbe dunque mirare , per questa via , anche a un consistente recupero elettorale . Che se poi essa riuscisse a conservare il potere a livello nazionale , varrà sempre la massima , sperimentata anche in altri paesi , che un partito di governo può tutelare le proprie fortune elettorali solo governando bene , con autorità e con successo : e ciò è solo possibile quando la sua politica non è sottoposta a ipoteche paralizzanti da parte dell ' opposizione . Rincorrere l ' avversario sul suo terreno serve soltanto ad accreditarsene la propaganda e ad accrescerne il prestigio : con le prevedibili ripercussioni sul piano elettorale . Non vanno neppure trascurate le tensioni alle quali il passaggio della Dc all ' opposizione , anche limitatamente al livello locale , esporrà il Psi . De Martino ha potuto lanciare la sua spregiudicata manovra contro la Dc nella persuasione che questa alla fine si rassegnerà a cedere , e accetterà di costituire , rispetto ai comunisti , l ' altro polo dello schieramento di cui i socialisti si illudono di formare l ' ago della bilancia . Si illudono perché neppure essi sono in grado di fronteggiare adeguatamente i comunisti , pronti a ricattarli a tutti i livelli e con tutti i mezzi , dalle pressioni sindacali alle agitazioni di piazza . Situazioni del genere potrebbero sollecitare radicali ripensamenti da parte di molti socialisti . Ma anche qui , è da augurarsi che essi non giungano troppo tardi : e una politica che metta il Psi davanti all ' amara realtà di una collaborazione sempre più subordinata con un Pci dotato di una schiacciante egemonia sarebbe la più adatta ad affrettarli . Ma la politica , dicevamo , non vive solo di schemi e di argomentazioni logiche . Nella varietà delle situazioni locali , dei rapporti personali , dei condizionamenti di ogni genere , sono possibili deviazioni anche rilevanti dalla linea politica fissata sul piano generale : e la Dc ( ma non solo la Dc ) ne ha già fornito esempi vistosi . E ' anche troppo facile condannare senz ' altro le situazioni di questo genere : anche se non si può escludere che in qualche caso nascano dalla sincera persuasione che la collaborazione e persino la partecipazione a comuni responsabilità col Pci possa essere la soluzione più adatta per bloccare i comunisti sulla via dell ' assoluto controllo del potere . Ma almeno due avvertenze vanno rivolte a chi si accinge a battere questa strada . Distinzioni sottili e accordi sottobanco con i comunisti sono stati praticati per anni dalla Dc : con i risultati che ora si vedono . Oltre tutto , è assai difficile spiegare ai non addetti ai lavori ( ai quali , in definitiva , spetta l ' ultima parola in democrazia ) come la stessa linea politica possa essere attuata sostenendo , per esempio , in sede comunale , proposte e programmi che vengono invece denunciati come rovinosi in sede provinciale e regionale . E poi , una politica di questo tipo , fondata su un rapporto di concordia discorde con gli avversari , da sostenere per anni a distanza ravvicinata , può essere condotta con successo solo da una forza politica compatta ed efficiente , sicura della saldezza e della combattività di tutte le sue componenti . Si dirà che questa altro non è che la linea di « scontro frontale » di fanfaniana memoria . Ma Fanfani muoveva dall ' ipotesi che la Dc dovesse restare partito di governo , e a questo fine aveva sempre guardato al recupero di un piano accettabile di collaborazione con i socialisti . Solo a questa condizione ha potuto contare sino all ' ultimo sulla solidarietà non casuale di Aldo Moro ; e in relazione a essa ha imposto alla sua polemica antisocialista limitazioni che alla Dc sono costate pesantemente sul piano elettorale . Ma , respinta la Dc all ' opposizione , sarebbe assurdo che essa cercasse di recuperare voti imbavagliando se stessa , e condannandosi fin da ora a continuare , nella nuova situazione , sulla sciagurata via del compromesso che ha caratterizzato la sua politica negli ultimi anni . Se non ha saputo far bene il mestiere di partito di governo , cerchi , quanto meno , di esercitare decentemente quello di partito d ' opposizione . Una volta tanto , la fedeltà ai princìpi e l ' interesse di partito coincidono .
Ritorno a scuola ( Romeo Rosario , 1975 )
StampaQuotidiana ,
Da anni ormai si torna a scuola in un clima di tensione che è uno dei segni più amari di questo nostro tempo . Forse , solo a livello delle elementari sopravvive quell ' atmosfera gioiosa che ricordiamo dai nostri anni infantili e che neppure l ' ostentata spregiudicatezza dei soliti antideamicisiani è riuscita a privare della sua carica di speranza e di avvenire . A questo livello , anzi , l ' « ottimismo pedagogico » è riuscito a realizzare effettivi progressi , sostituendo ai metodi inefficienti e tormentosi di un tempo un atteggiamento più positivo e creativo verso la scuola e verso le cose . Ma il quadro cambia di molto se appena si passa alle medie e , soprattutto , alle scuole superiori e all ' università . C ' è , anzitutto , la politica . Entrata nella scuola con la pretesa di introdurre elementi più vasti di democrazia in una struttura rimasta in parte autoritaria , essa è presto degenerata in esercizio puro e semplice di sopraffazione e di violenza ; e la riprova se ne è avuta in episodi efferati , ancora vivi nella memoria di tutti . La scuola è stata anzi il terreno in cui per la prima volta sono state sperimentate quelle tecniche dirette a capovolgere i processi e le formule della democrazia nel loro contrario che dovevano essere poi applicate con tanto successo nelle sfere più diverse della nostra società . Non solo maggioranze inerti e qualunquiste ma anche gruppi attivi , politicamente e intellettualmente consapevoli , sono stati in tal modo emarginati dalla vita della scuola , ridotta a terreno riservato alle propagande più rozze e aggressive . Per amore di quieto vivere e permissivismo suicida autorità politiche e società civile hanno lasciato che tutto ciò accadesse , si sviluppasse , assumesse le dimensioni e le forme ripugnanti degli ultimi anni . I risultati si sono visti , anche sul piano elettorale , con lo sbandamento di una gioventù abbandonata alla prepotenza intellettuale e psicologica di chi si fa forte non certo di cultura e di argomenti ma di ricatti e intimidazioni . E tuttavia sopraffazione e violenza da sole non sarebbero bastate , se non avessero trovato il sostegno di una cultura psico - pedagogica insensata , priva di ogni plausibile fondamento scientifico , e proprio per questo tanto più pretenziosa e irresponsabile . Sulla base di un avallo così precario si è lasciato che nella scuola trionfassero quasi senza contrasto formule sciocche come quella del rifiuto della cultura « borghese » , identificata tutt ' insieme con Aristotele e con i trovatori , con Galilei e con Kant ; e si è lasciato che si scatenasse una campagna indecorosa contro i valori dell ' intelligenza e della cultura nel nome di un egalitarismo offensivo di ogni principio e di ogni seria socialità . Dove ciò che conta non sono certo gli argomenti che si avanzano a sostegno di queste fanciullaggini , di per sé immeritevoli di considerazione , ma l ' effetto politico che ne deriva : perché una società incapace di difendere e trasmettere i valori che stanno alla sua base è una società incapace e anzi indegna di sopravvivere . La formazione dei giovani migliori , più capaci di dedizione a idealità superiori e meglio in grado di far propri i valori su cui si regge la nostra civiltà , viene così soffocata sul nascere , in modo che a essi resti aperta solo la via della resa , e del passaggio all ' avversario . Ogni misura e criterio si è smarrito nella pratica , impunemente affermatasi in molti istituti , della approvazione universale di tutti gli allievi , senza alcun riferimento , anche fuori della scuola dell ' obbligo , al lavoro compiuto e ai risultati ottenuti : che è una maniera abbastanza ovvia di distruggere dalle fondamenta una scuola di cui sarebbe difficile dire , in queste condizioni , quali siano le giustificazioni e gli obiettivi , una volta che essa non riesce più a distinguere fra il possesso e il rifiuto dei propri contenuti culturali . Non è un caso , del resto , che dopo avere protestato per anni contro il basso livello di istruzione della nostra società , adesso che bene o male si è riusciti a mandare a scuola milioni di bambini che prima ne restavano esclusi , si comincia invece a invocare la « descolarizzazione » . Tagliati fuori da ogni canale di normale inserimento nella società e da ogni legame con la cultura , quei giovani sarebbero preda ancora più facile delle organizzazioni politiche di massa , già oggi in agguato per reclutare nuovi aderenti , e per metterli , senza la protezione di alcuna formazione critica , al servizio dei propri obiettivi . Non diverso il significato della insistenza sui contenuti tecnici e pratici dell ' insegnamento , contro i valori teorici ed estetici . Ridotti a strumenti tecnici , gli uomini saranno tanto più facili da asservire al dominio di chi ha già pronti da tempo ( e mummificati ) i valori teorici ed estetici da sostituire agli antichi . Adesso che davanti ai problemi della scuola è fallita ogni autorità politica e intellettuale , e che i ceti dirigenti di ogni sorta hanno dichiarato bancarotta su questo terreno , spetta , come sempre , agli uomini di scuola assumersi il carico maggiore . Essi non hanno pretese né mezzi rivoluzionari , anche se la loro cultura è spesso tanto più seria e aggiornata di quella dei « rinnovatori » . L ' arma più efficace nelle loro mani è appunto questa cultura : da essa sono germinati gli strumenti critici fuori dei quali non c ' è verità ma solo propaganda e aggressione intellettuale ; e da essa soltanto possono trarre alimento le speranze degli esclusi e dei deboli . Certo , gli insegnanti seri si scontreranno spesso con i saccenti pronti a sottolineare che chi viene da una famiglia nella quale si ascolta Mozart parte avvantaggiato , in fatto di educazione musicale , nei confronti di chi si è invece formato in un mondo di povertà e di scarsa cultura : ma la risposta non sta certo nella negazione di Mozart , sta nello sforzo di far sì che la sua opera diventi patrimonio comune . E ci sono poi le nuove responsabilità a cui la società e le forze politiche sono chiamate attraverso le nuove strutture dei decreti delegati . Nelle loro pieghe si insinueranno , e se ne vedono già i segni , i fautori della sopraffazione , della intimidazione ideologica , dell ' unitarismo imposto e di marca chiaramente totalitaria . Ma proprio per questo , e per la gravità generale della situazione del paese , non si può tollerare che essi agiscano ancora incontrastati . Ciò non toglie , naturalmente , che un problema vi sia nei rapporti tra potere e cultura o , come meglio va detto , tra forze politiche e cultura . Non si tratta tanto di esorcizzare la visione servile della cultura come celebrazione del potere , remunerata con feluche accademiche e sinecure : insidia , questa , evidente e facilmente definibile agli occhi di tutti . Il rischio più sottile è invece quello delle nobili giustificazioni spesso invocate a copertura della strumentalizzazione della cultura , in termini di « impegno » , rapporto « organico » , funzione sociale del sapere : che son tutti modi attraverso i quali la cultura rinuncia a discutere le finalità e i compiti ultimi , e delega le funzioni di guida a forze estranee alla vita e ai problemi del mondo intellettuale . E un pericolo , questo , sempre presente , e la storia dei rapporti del Pci con gli intellettuali , che pur vengono spesso , e con tanta leggerezza , citati a modello , ne offre una pesante documentazione . Forze politiche democratiche di tipo moderno non possono imitare le tattiche dei partiti marxisti senza perciò rinnegare la loro ascendenza liberale : ma hanno invece il diritto di chiedere che la cultura partecipi con le sue capacità critiche e i suoi strumenti di conoscenza alla soluzione dei problemi della società in cui vive . Il potere e la responsabilità ultima delle decisioni operative spetta pur sempre alle forze politiche : ma esse deriveranno una più autentica legittimità democratica e una più incisiva efficacia dalla loro capacità di far proprie le esigenze reali della società , quali vengono espresse e criticamente chiarite dall ' opera della cultura . Per parte sua , da un giusto rapporto con la politica la cultura potrà derivare un arricchimento importante dei suoi contenuti specifici , e uno stimolo a guardarsi dalla irresponsabile leggerezza che caratterizza tanta parte degli interventi intellettuali nelle questioni politiche , come testimoniano in maniera clamorosa certe cronache recenti del nostro paese . Tra la contestazione permanente auspicata da certo radicalismo e i vecchi miti dell ' impegno si colloca lo spazio autentico della cultura democratica : caratterizzata nei confronti della politica da una netta distinzione di ruoli , ma tuttavia disponibile per il dialogo con quei settori della classe politica che al rapporto con gli intellettuali mostrano di avere un interesse autentico e non meramente strumentale .