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> anno_i:[1970 TO 2000} > autore_s:"Rossanda Rossana"
Fascismi ( Rossanda Rossana , 1994 )
StampaQuotidiana ,
Norberto Bobbio è tornato nell ' ultimo numero di « l ' Espresso » a ragionare sull ' impossibilità del fascismo . È una esperienza storica conclusa , non si può ripetere . Anche a sospettare che Fini nasconda le più fosche intenzioni , non ci sono le condizioni perché le metta in atto . Qualche tempo fa Leonardo Paggi aggiungeva che è il contesto internazionale a rendere impensabile un fascismo italiano . Sono considerazioni giuste . Meno persuasivo è concluderne , come già aveva fatto Lucio Colletti , e ieri gli si sono affiancati Nilde Jotti e Augusto Barbera , che perciò Alleanza nazionale è una forza democratica , buon materiale di costruzione della seconda Repubblica . Qualche tempo fa anche Eugenio Scalfari , della cui severità verso il Polo della libertà non si può dubitare , ascriveva fra i non molti meriti di Berlusconi l ' avere « sdoganato » Fini . Ed è di pochi giorni fa l ' assoluzione del « New York Times » . Fascismo non è . E allora che cosa è ? Conviene chiederselo , nel momento in cui Alleanza nazionale si delinea come la struttura più consistente del Polo berlusconiano , capace di raddoppiare nel giro di un anno i massimi storici di voto del Msi , penetrando anche nel nord dove questo era stato men che marginale . Non basta dire che Alleanza nazionale è in qualche misura « radicata nel territorio » : fino a sei mesi fa questo pareva un limite , un segno del vecchio modo d ' essere politico , destinato a essere travolto dal messaggio mediatico e del resto perché An ha retto dove insediamenti semisecolari nel territorio sono crollati ? Ammesso che abbia digerito ogni nostalgia e si indirizzi verso spazi diversi dal passato , di che cosa li riempie ? Che cosa vuole ? In che cosa si identificano coloro che la votano ? Si fa presto a dire che se non è il fascismo che abbiamo conosciuto , vuoi dire che è democrazia ; che si fonda sul consenso elettorale e tanto ci garantisce . Anche Hitler s ' era fondato sul consenso elettorale , anche Perón . Non basta : il più proceduralista dei politologi sa che democrazia non è soltanto andare a votare , è una certa idea degli orizzonti e limiti della comunità politica . Qui il profilo del partito di Fini è assai sfuggente . Il suo non è un progetto liberale , il germoglio della famosa destra civilizzata ; non è che , sepolto Mussolini , prenda per riferimento Einaudi o Malagodi o La Malf a , e tanto meno Kelsen ; sarà se mai Cari Schmitt . Non nasconde l ' avversione per il liberismo federalista della Lega : e per questo l ' ha erosa a Brescia . Bossi strilla che Fini è statalista , dunque un residuato della prima Repubblica , che era appunto centralista , burocratica e spartitoria . Ma Bossi confonde : lo statalisimo di Fini non è burocratico e spartitorio , è totalitario . E in questo si separa dal plebiscitarismo di Berlusconi , per il quale lo Stato ha da essere quel minimo che garantisce all ' impresa di far quel che più le serve . Per Fini lo Stato è lo Stato , ordinatore delle gerarchie , garante del grande capitale e delle plebi . Per Berlusconi l ' Italia è un ' azienda , per Fini un destino . L ' ideale dell ' uno è un borghese approssimativo e gaudente , mollemente democratico , senza altri orizzonti che quelli del bilancio , quello dell ' altro è l ' italiano , che finalmente realizza se stesso , si distingue dagli altri , non perdona nulla all ' immigrato , preferisce che non ci sia . È vero che in altri tempi ha esagerato con gli ebrei , sicuro , gli va chiesto perdono , ma fermo restando che sono « altro » . Il suo nazionalismo è prudente , frena Tremaglia , ma chiede alla Slovenia di mettersi in ginocchio per essersi liberata dagli ustascia amici degli italiani . E pesca nelle acque non limpide degli « italiani all ' estero » . Si potrebbe continuare . Sta di fatto che An funge da guardia pretoriana al presidente che l ' ha sdoganata , ma non cela l ' ambizione di mangiarsi Forza Italia dalla testa alla coda , o per fusione o per sottrazione di voti . E già ora influisce sui suoi equilibri interni , mentre Forza Italia non intacca minimamente i suoi . Tra Fini e Berlusconi le parti previste dal signore di Arcore , quale sarebbe stata la corda e quale l ' impiccato , si sono invertite . Il loro vero cemento è l ' avversione per la sinistra - che per Berlusconi rappresenta il classico elemento di disturbo d ' una forza di lavoro ancora vagamente organizzata , di cui vanno ridotte pretese e libertà di manovra , per Fini l ' avversario storico , ideologico , la tentazione mai abbastanza sradicata d ' una società di uguali . Fini sopporta più facilmente la violenza dei naziskin - sono un fenomeno sociale , dice - che un popolo che si faccia con calma soggetto di autodeterminazione . Meglio un pizzico di sovversivismo , sale della società serialiazzata . Sono lineamenti riconoscibili . Dubito che appartengano alla democrazia . Un Terzo Reich non è in vista , ma sta ridisegnandosi nella società un volto che speravamo perduto . Beniamino Placido scriveva qualche tempo fa che i fascismi saranno superati , ma il fascismo risponde a una pulsione alla sopraffazione , da tener d ' occhio perché ha radici nel lato oscuro che sta in tutti . Condivido . Ma c ' è dell ' altro : essendo una pulsione umana , troppo umana , non effimera , cerca e produce ideologie forti . Di quella forza che sarebbe nelle origini , nel sangue , nel sacro , nell ' indeclinabile - e prefigura comunità di eletti , rifiutando la massificazione . Se il fascismo lusinga certe rozzezze è perché la plebe vuol essere guidata e foraggiata come il cavallo dal padrone , ma il signore non ha altre regole che quelle che si impone . E trova iscritte in qualche eternità . È comprensibile che di fronte a una infinita problematicità del senso , affascini il suggerimento che da qualche parte c ' è un segno , per tutti ma visibile soltanto agli eletti , rassicurante e non omologante . Si tratta di discernerlo e seguirlo per coloro che sanno leggere . Non soli ma esoterici . Curioso come questa tentazione sia stata anch ' essa sdoganata dalla postmodernità stanca di responsabilizzazioni totali . Nessun automatismo lega il fascino del segno alla pratica dei fascismi , ma non c ' è fascismo senza il segno - un ordine simbolico signorile , iscritto prima dei tempi . Questo segno affascina . Hermann Hesse non è stato nazista , anzi con il nazismo ha avuto dei guai . Ma è dallo stesso humus germanico che è nato Siddharta , un libro che da anni non esce dalle classifiche , uno dei più letti dalla generazione giovane . Non avrà la stessa fortuna , forse , il suo romanzo più bello , Demian , da poco uscito da Marsilio , storia d ' un contemporaneo figlio di Caino : anche lui porta un segno , ed è tanto più splendente dei figli di Abele . Niente è semplice . L ' anno scorso un liceo francese ha imposto alle studentesse di religione musulmana di venire a scuola senza il velo . Al rifiuto delle famiglie , le ha espulse . Quest ' anno i foulards si sono moltiplicati , forse anche per quella interdizione , e piovono provvedimenti analoghi . L ' anno scorso la reazione di Sos - racisme era stata aspra : vergogna , lo stato calpesta un segno di identità . Quest ' anno , Sos - racisme ha capovolto la linea : è bene che la scuola sia laica , il laicismo implica che non vi si faccia proselitismo per nessuna fede o religione che non sia quella della repubblica , cioè una metodologia di convivenza . Se i musulmani impongono il chador , i cattolici potrebbero reintrodurre il crocefisso , storicamente estromesso . Sono seguite divisioni e inasprimenti delle comunità musulmane : per l ' appunto , se accettassimo l ' ideologia della laicità ci assimileremmo a un ' idea di comunità che non è la nostra . Sos - racisme replica : non fatevi assimilare ma accettate che il paese dove andate difenda spazi per così dire agnostici , se no come si convive ? E chi vuoi convivere , risponde a voce più bassa il fondamentalismo : le ragazze portino d ' ora in poi il chador non come segno di appartenenza , ma come segno di militanza . E le donne in questione ? Le femministe esitano fra la difesa delle differenze e l ' universalismo della libertà femminile di Taslima Nasreen . Le ragazze che vanno a scuola non parlano , o non sono interrogate o non gli è permesso . Il padre e la madre impongono il foulard , che nasconde i capelli , la fronte , la parte inferiore del viso , il collo , la scuola impone di toglierlo . Se tengono il foulard la scuola le esclude . Se lo tolgono , sono escluse dalla famiglia e dalla comunità . Quelle che l ' avevano tolto per propria scelta già da tempo sono oggi incastrate tra fedeltà o tradimento della loro gente e fedeltà o tradimento di una idea di sé che credevano di aver conquistato . Da una trappola all ' altra .
Prodi ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Raramente mi è successo di raccogliere tante lodi e tanti rimproveri come per aver scritto che a me Prodi va bene . Mi si rimprovera di cancellare cuore e ragioni della sinistra appiattendola a un cattolico democratico , mi si elogia perché finalmente avrei smesso di essere una massimalista che insegue il tanto peggio tanto meglio . Mi voglio rovinare : tutte chiacchiere , andiamo al sodo . Che cosa sono oggi le sinistre ? Che cosa vogliono ? Se non riescono a proporre un proprio candidato capace di raccogliere dal 40 al 50 per cento dei voti è perché non hanno una risposta sul dove vorrebbero che andasse il paese . Berlusconi non ha vinto perché era un Grande comunicatore , ma perché comunicava a un ' Italia con il Pci in caduta libera e il Caf in galera che l ' avrebbe portata sulla via liberista . Prodi comunica che si può avere un sano liberismo , ma corretto da misure di solidarietà , perché , differentemente da Berlusconi , non racconta che il processo sarà indolore . Che proporrebbe invece l ' ipotetico candidato delle sinistre ? Fino a dieci anni fa quel che la sinistra voleva era abbastanza chiaro , e per questo , pur non superando mai il 30 per cento , influiva su alleati e avversari , pesava sulla bilancia delle decisioni . Quando il Polo strilla che i comunisti erano e sono dovunque e dovunque vanno sradicati , esprime un abito mentale fascistoide , per cui chiunque fino a ieri era agente di Mosca oggi lo sarebbe di D ' Alema , ma evidenzia una verità : un senso comune di sinistra ha avuto una vera egemonia in questo paese . In che consisteva ? In politica , in un ' idea forte della rappresentanza , nella persuasione che potevano e dovevano avere una voce tutti e sempre , non solo al momento delle elezioni . In tema di società , in un ' idea forte della cittadinanza , per cui ogni italiano aveva diritto a lavorare , a essere istruito e curato , e doveva esserne assicurato nei mezzi per farlo . Nessuna delle due cose era venuta da sé , c ' erano volute la crisi del 1929 e una guerra . Non andava da sé che fossimo un paese di ricche contraddizioni , donne e uomini , deboli e forti , ricchi e poveri , cattolici e laici o altre religioni , Nord e Sud : e che queste differenze si esprimessero anche in conflitti , condotti dalle rappresentanze politiche ma anche da quelle sociali dirette . Né che esse volta a volta trovassero un provvisorio punto di arrivo , o avanzata , o sconfitta , o mediazione in una società articolata che non delegava tutti i poteri a una oligarchia verificata ogni quattro o cinque anni , e in una idea del « pubblico » , statale o comunale o regionale , che fungesse anche come compensatore degli squilibri . Era la democrazia partecipata , il « non americanismo » italiano . Questi princìpi hanno retto l ' Italia dal dopoguerra agli anni ottanta e in essi la sinistra - assai poco « comunista » nel senso filologico della parola - è cresciuta , e ha funzionato anche da frusta dello sviluppo , tanto è vero che siamo nel club riservato dei G-7 . Questi stessi princìpi sono andati in crisi nel corso degli anni ottanta e il 27 marzo scorso si è tentato di abbatterli . Ma quale partecipazione ? Ci vuole un esecutivo forte e un cittadino che vota ogni quattro o cinque anni per dire sì o no e per il resto non disturbi il manovratore . Ma quali diritti sociali o di cittadinanza ? I diritti sono solo politici ; per il resto il diritto dei diritti , il pilastro della società è l ' impresa , e lavoro casa scuola assistenza sono sue variabili dipendenti . Lo Stato , il « pubblico » come luogo di compensazione , garante di una qualche uguaglianza sui beni essenziali , si tolga di mezzo . La sinistra ha subìto questa ondata , non difende l ' ottica di prima e per questo ha perduto , se non voti , la capacità di essere un riferimento anche oltre il proprio ambito . Perciò si divide , non solo tra Pds e Rifondazione e soggetti politici minori , ma anche fra soggetti sociali maggiori , che in qualche modo hanno tentato di declinare in forme diverse quei princìpi e quei bisogni - vale anche per il pensiero delle donne - e per questo non c ' è oggi un candidato delle sinistre . Perché è avvenuto ? È una storia di errori o tradimenti , come mi scrivono alcuni compagni ? È una modernizzazione fatale , come pensano altri ? Io non credo né ai tradimenti né alle fatalità . Credo che ci sia stato un franamento del terreno sul quale la sinistra della mia generazione è cresciuta . Era il terreno dello sviluppo , magari cattivo ma certo , in cui ormai stavamo e nel quale i nostri diritti , politici e sociali , erano in qualche misura garantiti . Mi spiego . Eravamo persuasi che il capitalismo comportava una crescita allargata di beni , dunque di lavoro , dunque di consumi . Ci dividevamo dopo : i comunisti la trovavano brutale , a prezzi sociali troppo elevati , con inuguaglianze feroci ; i riformisti ritenevano di poterle alleviare con forme pubbliche di redistribuzione all ' interno e aiuti al terzo mondo e all ' estero ; i nuovi soggetti degli anni settanta ne contestavano la natura di per sé alienante , consumista , gerarchica , maschilista . Ma sviluppo era e , con morti e feriti , andava unificando il mondo . Oggi non lo è più . Oggi la crescita di produzione e di merci si fa per un mercato alto e ristretto , quindi come non mai competitivo , cui la mondializzazione permette di reclutare manodopera a prezzi stracciati e la tecnologia di risparmiarne una grande quantità . L ' Europa sta diventando un continente senza lavoro . Vorrei sommessamente pregare la sinistra di partire da qui . Non è problema « economico » , di « economicismo » , o come dicono i miei amici ex operaisti di « lavorismo » ; le democrazie moderne fondano la pienezza della cittadinanza non più sulla proprietà ma su un possesso di sé , una non dipendenza , che piaccia o non piaccia nel capitalismo passa per l ' accesso a una remunerazione del lavoro . Il resto è capitale , rendita o dipendenza , come quella della donna che non lavora o dei bambini . E infatti chi non lavora è tendenzialmente un escluso . Vorrei sempre sommessamente aggiungere che l ' Italia è arrivata a questa stretta in una condizione paradossale : negli anni in cui gli altri paesi si omogeneizzavano relativamente nella crescita , noi siamo rimasti con larghe zone deindustrializzate , che si riproducono tuttora in un Nord e Nordest fortemente dinamico e in un Sud immobile , per cui il lavoro cessa di estendersi prima di essere arrivato a riempire il bacino del paese . Ma avevamo una forte sinistra , con una forte combattività , e lo Stato ha funzionato non solo da mediatore dei conflitti ma da compensatore nelle sacche che le tendenze proprie del mercato o dell ' impresa lasciavano fuori . Non è molto intelligente deridere l ' industria di Stato o la pubblica amministrazione come mero clientelismo , senza capire che hanno svolto un ruolo di supplenza a uno sviluppo inuguale e manchevole . Si potrebbe , anzi si dovrebbe analizzarne le conseguenze , ma va capito da dove è venuto il nostro specifico compromesso sociale , e perché a un certo punto è diventato un terreno da un lato di paralisi e dall ' altro di corruzione . Questo modello la destra lo vuole abbattere . Ma non estendendo la crescita , per brutale che sia : non può più , se vuole restare mondialmente competitiva . Punta dunque a una progressiva separazione tra parti trainanti e parti , per così dire , in perdita , lasciate indietro . Le scelte del Polo - per esempio niente tasse , riduzione del peso del lavoro , dei contributi e delle pensioni , l ' estensione della spesa pubblica - sono andate in questa direzione , seguendo il percorso già delineato da Amato - Ciampi . La Lega nord è una formazione spuria ma dentro a un ' ipotesi nordista ; non raccontiamoci che è un interessante invito all ' autogoverno , è la presa d ' atto che l ' unificazione del tessuto nazionale sotto il profilo produttivo non c ' è stata , e il rifiuto di porla come obiettivo . Ma la sinistra come la mette ? Mi pare che neppure ne parli . Ne parlano in Germania , Francia e Gran Bretagna , pure meno squilibrati di noi , ma in Italia è il silenzio . Non parlarne significa stare alla scelta dei G-7 , che è la scelta abbozzata da Amato e Ciampi e portata avanti da Berlusconi . Il Pds non riesce a dirci in che cosa se ne differenzierebbe . Rifondazione dice che si batterà con tutti coloro che questa scelta umilia offende ed esclude . Ma vogliamo dirci per quale crescita o sviluppo , oppure non - crescita siamo ? Come pensiamo di condizionare o modificare il trend attuale ? Alzando dei grandi muri fra l ' Italia e il resto del mondo o facendo uso di strumenti politici radicali per stare nel mondo ma contrastare le tendenze che abbiamo di fronte ? Che cosa pensiamo dell ' attuale conglomerato sociale , come distinguiamo le corporazioni dalle classi , i ceti , i bisogni ? A chi proponiamo di aggregarsi e su quale obiettivo ? Come la mettiamo con l ' Europa ? Come la mettiamo con il debito pubblico in presenza di una rendita diffusa e di una circolazione di capitali del tutto incontrollata ? Non mi si risponda che tutto è chiaro . Non è chiaro nulla , per questo metto ostinatamente al centro questo problema e mi inquieta una sinistra , vecchia o nuova , che non lo veda . Per questo non mi appassionano i calcoli sulle leggi elettorali , non perdo i sensi sui sondaggi e non mi va di arricciare il naso perché Prodi non è un rivoluzionario . Non vedo molti rivoluzionari in giro . Mi basta che non mi rompa le ossa e non neghi che oggi il dilemma centrale , e ormai quasi mortale , che l ' Europa ha davanti è questo . Sta a noi affrontarlo , di tempo se n ' è perduto fin troppo .
Ingrao ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Ingrao ? Un perdente . È la battuta degli ex figiciotti , dei cinquantenni del Pds o Rifondazione , dei democratici convinti che senza Pci l ' Italia sarebbe stata meglio , e di molti , di tutte le età , risentiti di sognare sogni minori . Perdente , dicono soprattutto coloro che gli rimproverano un surplus di politica . Eppure , se non è questa che conta , è difficile immaginare un uomo più « riuscito » , per quanto si possa riuscire nella personale esistenza . Eccolo a ottant ' anni come se ne avesse venti di meno , appena avvertito che il tempo si restringe . Risparmiato da troppe sciagure nel corpo e negli affetti . Povero , ma non ha conosciuto miserie e la sobrietà è la sua misura . Ha una importante compagna di vita , moglie e amica , figlie belle e impegnate , né identiche né lontane , un figlio arrivato tardi , allegro complice in una casa a dominante femminile . Gli Ingrao sono una tribù , con relative radici in un Lazio roccioso come loro . E poi , l ' Ingrao giovane che voleva ? Conoscere il mondo e farsene conoscere , e così è stato . Battersi con e per gli altri , e ha avuto il più grande partito comunista d ' Occidente . Conosce il linguaggio del comizio e quello dei versi , e la musica è il suo giardino . Nessuno nella sinistra è rispettato come lui anche dagli avversari . Che può avere di più un uomo ? Ha perso sul comunismo , borbottano i realisti . Non che sia colpa sua la crisi del marxismo o il crollo dell ' Urss , che sono cosa del secolo , ma il Pci , quello sì era roba sua . Ce l ' hanno con lui coloro per i quali esso non poteva non finire e quelli che pensano che è stato tradito . Il comunismo è uno spettro rimproverante , e il rimprovero si sposta su Ingrao . Può sorriderne , ma sa di essere solo . Per un comunista essere soli non è un incidente esistenziale , è una radicale messa in questione . È vero che in tema di comunismo i conti non tornano , anche se le vittorie e le sconfitte epocali non si misurano sui giornali , e le lacerazioni del mondo possono rimandare a quel che Luporini definiva « il comunismo come orizzonte » . Come il 1789 , forse anche il 1917 ha un destino carsico . Ma ora ? Non basta fare le scelte giuste per vincere ; figurarsi se sono state sbagliate . Al contrario di quel che si dice , la storia si fa con i « se » : prima di compiere quel gesto , un altro era possibile , e se il battito delle ali di una farfalla a Pechino sta a monte del terremoto di San Francisco , un ' azione fatta o non fatta , e tanto più se pubblica , una distrazione , una difficoltà elusa , presenteranno i loro conti . Solo un narcisista se ne assolve , ma il narcisismo è l ' ultimo difetto che a Ingrao si possa imputare . Visto da fuori , vien da chiedersi in che cosa si sia scontrato Pietro Ingrao se non in quello che più era e resta suo . Prima di tutto sulla questione della « rivoluzione italiana » , non la rivoluzione in genere , quella specifica che si riapriva negli anni sessanta . Vige oggi una sorta di progressismo alla rovescia , un hegelismo da bar per cui quel che avviene è il reale e il reale è razionale , e si accompagna a un furioso oscuramento di quel che è stato . Quel che è stato è che il Pci non fu affatto « rivoluzionario » dal dopoguerra a poco fa . Non avrebbe neppure potuto . È tornato a pensarsi come soggetto di un rivoluzionamento sociale , dentro o forse fuori dal patto politico , soltanto nei primi anni sessanta - lo pensò Ingrao , e questo fu l ' ingraismo . Prima di allora l ' ha da venì Baffone degli umili si coniugò non oltre che con la « democrazia avanzata » . Ma quando la guerra fredda cessa di essere la grande discriminante delle coscienze europee , la ricostruzione è compiuta , una generazione è uscita di scena e un ' altra è entrata , in Italia ci sono nuovi proletari e la prima massa studentesca , e il centrismo va in crisi , Ingrao si domanda , e non lui solo , che cosa possiamo diventare . Gliela farei volentieri un ' intervista su che cosa era , vista da oggi , questa « rivoluzione italiana » . Certo più Gramsci che Lenin . Certo si delineò un qualcosa che prima non c ' era , e Amendola , che era un uomo acuto , da allora avversò Ingrao tenacemente . Non so come avrebbe arbitrato Togliatti ; Longo e Berlinguer scelsero Amendola . Non sembra che abbiano veduto molto lontano , quella fu la prima svolta del Pci , il resto venne a seguire . Ma Ingrao era ben fermo a porre le sue domande non a se stesso né ad altri che non fosse il suo partito . E per chiunque sia anche vagamente marxista o non regredisca a una teoria delle élites , il come si esprime il soggetto del movimento storico nella modernità , resta « il » problema . Chi , come me , pensò nel 1969 che la maturazione era tale da non avere più bisogno di una forma - perché la forma è frutto di qualcosa che poi tende a immobilizzare - sbagliava : gli anni settanta e quel che è seguito ci dicono che senza una sua forma , una sua organizzazione , e capace di mutare con il suo soggetto , la contraddizione non si fa soggetto . Si può scegliere di essere invece che di fare , ma non è la stessa cosa . Oggi la società è in sofferenza , ma anche le sue voci più autentiche sono azzittite , quando non integrate ; e atomizzazione e omologazione mettono a rischio fin le identità individuali . Difficile dire quale sarebbe stata per Ingrao una scelta vincente nel breve riemergere della « rivoluzione italiana » : forse la risposta non sarebbe molto dissimile per coloro che la intravidero , molti e divisi , negli anni sessanta , e quando venne in scena nel 1968 . È storia da archiviare o altro ? E se altro , dove si è mancato ? Che cosa occorreva e non ci fu ? Ingrao registrò subito il recedere del Pci . Non so che cosa pensasse del 1976 , ma quando per la prima volta Berlinguer parlò della « produzione come bene in sé » vide l ' inversione di rotta , che sarebbe apparsa enorme con il Lama del 1977 e del 1978 . Ma noi , sinistra extraparlamentare , non dico i gruppi armati , non lo persuademmo - che avevamo a che fare , così drastici e grevi , con un Gramsci messo a giorno ? È vero che eravamo approssimativi , ma chi ti nega in non poca misura ti determina . È stata lunga l ' interruzione del dialogo fra Ingrao e quelli che gli erano rimasti amici anche dopo il 1969 . Lui si rintanava , prima nelle istituzioni , e poi , quando andò a dire al Partito che non ci sarebbe più stato perché occorreva studiare e rimettere a giorno la bussola , gli risposero : giusto , studia e togliti di mezzo . Non so come votasse sulla Nato . Non si agitò sulle leggi speciali . Da fuori chiedevamo , dov ' è Ingrao ? Anche quando scriveva , pareva che lo facesse da lontano . Più agevole capire che cosa sia stato per lui il Partito , strumento e gabbia . Perfino per gli avversari , il fascino di Ingrao sta nell ' aver sempre separato politica da potere . Il Partito era la comunità che o maturava tutta o periva , non lo forzò mai , tanto meno fece uso di una sua autorità - e i suoi , che si sono sentiti abbandonati , glielo rimproverano . Come se quella virtù fosse anche un difetto . Ricordo 1'XI congresso , il primo dissenso esplicito nel Pci : Ingrao se lo assunse da solo , raccomandando agli ingraiani - strano oggetto , compagni che non somigliassero neanche da lontano a una frazione - di starsene buoni . Perdette e perdemmo . Ricordo l ' estate del 1968 , fra il maggio e la Cecoslovacchia , il Partito in sommovimento , alcuni di noi che volevano un affondo e Ingrao , che pur ci aveva sperato , che mi dice : Il Partito non è maturo . È la primavera del 1969 : comunico a Berlinguer che faremo la nostra eretica rivista , gli chiedo : Credi che ci saranno sanzioni ? No , risponde Berlinguer . Sì , risponde Ingrao . E non senza risentimento , perché facevamo di testa nostra , lo lasciavamo . Nella discussione che precede la radiazione del « manifesto » , il suo fu un grande silenzio . Poi restò una voce a parte , il presidente della Camera che andava a Castellanza , il compagno che nel Comitato centrale si differenziava . Nessuno è più amato in un partito comunista di una sinistra che non mette in causa la segreteria . Se ti metti a rischio , mi metti a rischio ; compagno Ingrao , non lo fare , grazie di non farlo . Qual è il momento in cui si può / deve lasciare un ' impresa in cui hai messo la vita , senza essere sconfitti ? Se nel 1969 Ingrao avesse detto : se cacciate quelli del « manifesto » esco con loro , la storia del Pci sarebbe stata diversa ? Se a Firenze non avesse abbracciato Occhetto che gli tendeva una mano ? Pochi giorni prima mi aveva detto : O sto nel Partito o divento un testimone , tu ti contenti della testimonianza . Poi la Bolognina , poi Arco - se Ingrao ... I compagni ne rientrarono furiosi , io lo difesi . Fu un errore , sì , già si era fuori dei tempi massimi . E che aveva a che vedere la Rifondazione di Cossutta con lui ? Gli restò la battaglia sulla guerra del Golfo , l ' ultima . Poi se ne andò , neanche con altri . Da solo . Pensava ancora di coagulare , da fuori , un polo della sinistra non capitalista . E credeva che il « manifesto » potesse esserne il catalizzatore . Ma il « manifesto » non era , non è , fuori della crisi della sinistra , del marxismo , del comunismo , come che si voglia chiamare . Tiene fermo con qualche eroismo un minimo , non poco , non abbastanza . Arrivava Ingrao e non sapeva che dirgli . Quando egli propose almeno un laboratorio di ricerca , il giornale non seppe , non volle , non poté , era altro - ma che contano i conti e le ragioni ? Siamo tutti un po ' poveri . Quell ' uomo fortunato non ha più casa . Perdente , dunque ? Forse sì . Ritirato , giubilato , selvatico nel senso di Leonardo : chi è selvatico si salva ? Ma non è vero , nessuno si salva , non c ' è più un ' altra terra . Ma in quella che c ' è e dove siamo stati sconfitti non ci sono né pace , né ricomposizione , né vero dominio - ci sono le urla e la lacerazione che avevamo a tentoni intravisto nei sessanta , nei settanta . Le avevamo viste con lui e grazie a lui : poi ne traemmo altre conclusioni . Ma chi si aspetta che Ingrao taccia , si sbaglia . È di quelli che preferiscono essere fatti a pezzi che tornare a casa .
Encicliche ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Sarà modesta la sorte ecclesiale dell ' enciclica Evangelium vitae . I teologi o ne tacciono o la giudicano severamente . E gli umili pastori d ' anime sanno bene che per parlare e farsi ascoltare dalle coscienze inquiete della gente dovranno regolarsi come se non ci fosse . Essere papa è una dura prova per un uomo . Isolato , senza più una vera comunicazione , esaltato e sovraccaricato dall ' esser la voce di Cristo in terra , dovrebbe avere grande capacità di ascolto e grande saggezza di parola . Erano le virtù di Giovanni XXIII . Karol Wojtyla non le possiede o le ha perdute , e più le sue forze declinano più smisurata diventa in lui l ' idea , o la tentazione , di avere una funzione secolare immensa , del contare nel mondo in nome di un potere più che umano . È fin inquietante a vedersi , scavato , ammalato , in piedi con fatica , mentre legge con voce tremante un foglietto sorretto da mani tremanti per ribadire l ' interpretazione autentica della profluvie di encicliche , lettere apostoliche , discorsi vari e « statements » con i quali si affanna a statuire , a impedire , a chiudere porte e tirar su paletti davanti a qualcosa che incalza . Stavolta a incalzare sono le nuove minacce della morte alla vita - quella morte che « entra nel mondo a causa dell ' invidia del diavolo e del peccato dei progenitori » . Di quale morte parla ? Non inganniamoci . Non è l ' angoscia che ci ha colti con Hiroshima , quando per la prima volta abbiamo pensato che il pianeta poteva finire . Né il timore per l ' Aids , moderna pestilenza , né per l ' impulso distruttivo che sembra infuriare in violenze cieche e in guerre illeggibili . L ' Evangelium vitae non ha al centro la conservazione della specie alla soglia del terzo millennio né le guerre né le calamità naturali : il Vaticano sa bene che mai gli uomini sono stati in così grande numero , che in meno di un secolo l ' umanità si è quadruplicata e si è raddoppiata la speranza di vita . Sa anche che per la prima volta nella storia da un capo all ' altro del pianeta ci si interroga in qualche modo sui « diritti umani » ai quali fino a ieri l ' altro nessuno o ben pochi facevano caso . Sulle calamità naturali non ha nulla da dire , e quanto alle guerre stavolta appena si attarda a nominarle , essendo state rigettate alla periferia di quell ' Occidente che di questa enciclica è il vero interlocutore . In esso infatti egli vede covare il nemico : la morte per così dire privata , quella che si annida nel più intimo dei rapporti , la famiglia , nel vicino più prossimo da persona a persona . Non tanto la morte di un solo , ma la morte o la non - vita o la , vita - a - certe - condizioni - per Wojtyla sono quasi sinonimi - la vita insomma non come fatalità ma come scelta . Così egli non spende troppe parole sull ' omicidio , antica interdizione , e neppure sulla pena di morte ; e non solo perché la Chiesa non ama intrattenersi troppo sul biblico « Nessuno tocchi Caino » o è avvezza a patteggiare con i poteri costituiti . Stavolta non patteggia , minaccia . Chiama anzi alla disubbidienza civile , cosa rarissima , su quel che più di ogni cosa le preme : la vita degli « innocenti » . Chi sono gli « innocenti » ? Coloro che non sono ancora venuti alla luce , non ancora persone , ma vita nascente , vita possibile , i purissimi non nati e , quasi altrettanto inermi , i sofferenti terminali che vorrebbero morire . Creatura nella quale la volontà non c ' è ancora o non è più in senso pieno ; questo è il « debole » , sul quale preme la minaccia dei più vicini , i genitori , la madre , la famiglia . Per egoismo o per pietà costoro non lo metteranno alla luce o ne accelereranno la morte . Per egoismo o per pietà decideranno quando e come far nascere . Aiutati da inedite possibilità della scienza e della tecnologia . Questa è la nuova morte , il vero nemico . Il come della riproduzione non è problema di poca grandezza : investe al fondo la questione della persona e della libertà . Meritava , se enciclica doveva essere , una vera riflessione su questioni primarie dell ' etica del nostro tempo . Non l ' ha avuto ; l ' Evangelium vitae non ritiene che ci sia dilemma né una inedita problematica della coscienza ; tutto è sempre lo stesso ed è chiaro . Si tratta di ribadire il già noto nelle due occasioni cruciali , che datano quest ' ultima enciclica : la conferenza delle Nazioni Unite sulla popolazione appena avvenuta al Cairo e quella sulla donna che avrà luogo dalla fine di agosto ai primi di settembre a Pechino . Sulla popolazione , il Vaticano aveva incaricato una sua commissione di stendergli un rapporto , e si è trovato di fronte la proposta di dichiarare lecita la contraccezione . È stato un colpo . Wojtyla , Ratzinger e la curia di Roma hanno abbattuto la commissione pontificia e al Cairo i loro incaricati si sono battuti fino all ' ultimo non solo contro l ' aborto ma contro il controllo delle nascite , e hanno incontrato due scacchi . Primo , la defezione dell ' Islam che ha lasciato libera la contraccezione . Secondo , e più preoccupante , l ' alleanza delle donne - si può dire di tutte le donne , del Nord del Sud dell ' Est e dell ' Ovest - per il diritto al controllo delle nascite . Era la prima volta che paesi del Sud del mondo non si limitavano a dire a quelli del Nord « non immischiatevi nelle nostre faccende , cresciamo quanto ci pare » . Le donne hanno detto basta , la vita passa attraverso il nostro corpo e hanno preso il problema dalle mani degli uni e degli altri , ne hanno fatto una questione del loro essere , della loro persona e libertà , e non solo per la gestazione ma per il nutrimento , la crescita , l ' orizzonte di chi viene al mondo . Hanno identificato il proprio problema in una idea forte di sviluppo . Fra qualche mese esse torneranno a Pechino . Non è una lettura maliziosa vedere nell ' Evangelium vitae un sussulto di timore della più autorevole comunità monosessuale , comprensibilmente e miseramente sessuofoba , la Chiesa di Roma , davanti all ' insorgere inaspettato di un soggetto mondiale femminile . La donna , antico tramite del diavolo e oggi tramite della « nuova » morte . Wojtyla non è neppure in grado di parlarne , se non come matrice , grembo , luogo di maturazione dell ' embrione , contenitore di una vita che in lei viene transitoriamente immessa . Si commuove evocando le sole parole che gli vengono nella penna , quella della madre dei Maccabei davanti ai figli spenti : « Non so come siate apparsi nel mio seno , non io vi ho dato lo spirito e la vita , non io ho dato forma alle membra di ognuno di voi . Ma il creatore del mondo , che ha plasmato l ' origine e l ' uomo e ha provveduto alla generazione di tutti » . Come potrebbe lo sgorgare della vita - postilla Giovanni Paolo II - essere lasciato in balia della specie umana ? La vita le è data da Dio attraverso il corpo della donna . È l ' antica tradizione occidentale , sublimata dal principio del maschile - divino . Ogni intervento , ogni assunzione di libertà su questo punto è violazione della legge santa di Dio e il seme di avventure totalitarie . Si comincia col decidere se avere un figlio o no , poi se portare avanti la gravidanza o no , e a quale età , e se nell ' utero proprio o altrui , sole o con un uomo ; domani se ne sceglieranno il sesso , le fattezze , lo si clonerà , o gli si imporrà un Dna con vita a termine . Nella donna che vuol decidere di una maternità c ' è in nuce un Mengele . Qui sta la chiave e la povertà dell ' enciclica . Il problema della riproduzione umana è arrivato a più di una svolta . Una di esse è il problema della libertà e del corpo femminile ; complesso , non semplice . Un altro è quello delle possibilità di intervento indotte dalla scienza , che sono molte e inducono il dilemma del fin dove e del come . Ma l ' Evangelium vitae annulla ogni problema di scelta , azzera ogni dilemmatica morale : non c ' è di che discutere né interrogarsi né decidere . Da una parte ci sono Dio e la Natura , quasi sinonimi , e dall ' altra il demonio . Dio ha parlato una volta per tutte attraverso la Chiesa , che è sovrumana custode della sua parola quindi delle leggi dell ' universo . Non resta che seguirla , il resto è crimine e sacrilegio . La semplificazione culturale è immensa e desolante ; è davvero un toccare il fondo del cattolicesimo , il quale da tempo , del resto , lasciava al luteranesimo la tragedia della persona , l ' etico , lo stesso interrogarsi sul senso della vita nel disegno di Dio , che poi è il fondamento della libertà per un credente . Domani saranno cinquant ' anni precisi da che a Flossenburg veniva impiccato Dietrich Bonhoeffer , che sembra più lontano da Karol Wojtyla del Gran Muftì di Gerusalemme . Egli aveva osato parlare di un mondo adulto , che non ha più bisogno di un signore o giudice o consolatore , « un mondo senza Dio in presenza di Dio » , non parentesi , non breve transito , ma luogo decisivo dove si giocano il senso e la salvezza . L ' Evangelium vitae torna a disegnarci un mondo dove velocemente si passa , segmento insignificante , specie di prova d ' esame in vista della vita vera , che verrà « dopo » . È l ' antica tesi autoritaria , assieme pedagogica e consolatoria , che ha permesso alla Chiesa tutte le repressioni e tutti i compromessi ; oggi la rende muta davanti a ogni domanda sulla concretezza della libertà . E paradossalmente perfino sull ' obbedienza . Wojtyla non sa più parlare neppure nel severo ambito dell ' epistola di san Paolo ai Romani - fra lo sconvolgente commento di Karl Barth , traversato da tutta la modernità , e i testi di Giovanni Paolo II c ' è un abisso . Non è un bene neanche per chi non è cattolico . Dal tema della vita come scelta propria e altrui la Chiesa si ritira , si dimette , lasciando scoperti i credenti . Non a caso le rispondono zelantemente soltanto i politici , i medici e i farmacisti .
Stragi ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Un silenzio di piombo ha accolto l ' inchiesta del giudice Salvini sulle stragi da piazza Fontana in avanti . Lo stesso per il verbale riservatissimo della riunione del governo dopo la strage di Bologna nell ' agosto del 1980 . Scrupolo di accertare questa o quella responsabilità penale ? Certo no , gli scrupoli non sono la specialità dei media e dei leaders . È scelta di tacere su quanto già si supponeva e ora è accertato , l ' ampiezza devastante delle responsabilità dei governi dagli anni sessanta a ieri . Dunque il più estremista dei volantini estremisti degli anni settanta restava al di sotto della verità . Pensarono tutti , pensammo tutti , che nei servizi segreti fossero infiltrati personaggi o lobbies o gruppi che agivano in un loro disegno , ma marginale rispetto alle scelte dell ' esecutivo , una carta matta imprudentemente usata e che finiva con il ricattare i governi , i quali prima tacevano poi periodicamente cercavano di liberarsene . Non era così . I servizi segreti operarono con l ' accordo dei governi e dell ' arma dei carabinieri nell ' uso della manovalanza che già avevano o trovavano nell ' area missina . Quando , negli anni sessanta , in fabbrica si dovettero dismettere le schedature e i movimenti della sinistra avanzarono impetuosamente e si modificarono gli equilibri centristi , i governi , costretti ad « aprirsi » , allargarono d ' accordo con la Nato i compiti delle strutture clandestine destinate a fare fronte non già a del tutto improbabili invasioni sovietiche ma a un mutamento di indirizzi , una vera « alternanza » in Italia . Furono così lasciati fare attentati e stragi , anzi suggeriti e garantiti di copertura , ventisei anni di tritolo e cadaveri , dal 1960 in poi . Per agitare una presunta instabilità e seminare il dubbio e la divisione sul movimento che potentemente avanzava , specie dopo il '68 e il '69 , accusandolo di portare il terrore dentro di sé . Di questa laida operazione i governi erano al corrente , conoscevano la mappa di chi operava e la copersero . Non copersero solo le stragi interne . Il presidente Cossiga ci invia uno stupefacente verbale dal quale si desume che il suo governo aveva motivo di sapere che l ' aereo dell ' Itavia precipitato a Ustica era stato colpito da un missile della Nato che voleva liberarsi del colonnello Gheddafi ma sbagliò obiettivo . È il5 agosto 1980 , a due giorni dalla strage alla stazione di Bologna , ne deduceva trattarsi di una vendetta dei libici . Chi legge il verbale - c ' erano Cossiga , Colombo , Bisaglia , Morlino , gli inevitabili Sisde e Sismi e capi della polizia , ma anche Formica , Andreatta e Giorgio La Malfa - non ne trae alcuna certezza che siano stati i libici , ma che questi signori considerarono l ' ipotesi sufficientemente valida da dover essere nascosta , dati gli interessi libici in Italia oltre che la figura della Nato . E che decisero di discorrerne con i servizi segreti della Libia e di tacerne con gli inquirenti italiani , che per quindici anni si sono dibattuti tra falsi di ogni genere , finendo con l ' inseguire quei Nar che c ' era ragione di ritenere non entrassero nella strage di Bologna affatto . Intanto i presidenti della repubblica ricevevano periodicamente le famiglie assicurando che si sarebbe fatta giustizia . E fino a quando dura questa sanguinosa commedia ? Ancora nel 1992 il governo mente alla camera sulla struttura Gladio , che deve ammettere ma di cui consegna soltanto l ' involucro esterno , 622 nomi di poco conto destinati a nascondere la vera struttura di fiducia , quei « Nuclei di difesa dello Stato » che , per quanto ne sappiamo , scorrazzano anche ora . Non si liquida in un giorno un piccolo esercito protetto dai carabinieri e quei servizi che , infatti , sembra difficile processare anche se colti con le mani nel sacco . I ricatti si sprecano . Dunque non singoli personaggi deviati ma i regolari servizi dello Stato hanno utilizzato esplosivi , sparatorie e missili , con l ' accordo dei governi e della Nato , hanno schedato il mezzo milione di italiani ( e le schede ci sono ancora ) e hanno allenato supercentrali operative , reclutando i tipi più fidati nel Movimento sociale italiano . Dove ogni tanto uno come Vinciguerra si innervosiva di essere usato dai corpi della Repubblica invece che per la rivoluzione fascista , come gli assicurava Rauti che gestiva in buona armonia con Giorgio Almirante , mentore di Gianfranco Fini , le due facce del partito . Il tutto nel quadro di intese interne e internazionali del tutto illegali , del tutto incostituzionali e del tutto accettate . Perché , ebbe a dire Francesco Cossiga , che c ' era di strano ? Noi , l ' Occidente democratico governavamo in Italia un paese di frontiera che doveva tenersi pronto all ' invasione delle armate russe e iugoslave , come è noto impazienti di occupare l ' Europa , mentre voi avevate il partito e le masse pronti a consegnare il paese a Breznev . Noi ci servimmo dei nostri servizi e delle nostre bombe , voi avevate le Brigate rosse e i loro revolver . C ' era una guerra , ora non c ' è più per decesso dell ' Urss e possiamo chiudere la partita . Quelli di noi che gettarono un urlo si sentirono dire anche da Norberto Bobbio che erano gli incerti della situazione geopolitica : ovvio che fossimo in libertà vigilata dal 1945 al 1989 . Sennonché nessun esercito sovietico si preparava a dilagare in Europa , dove Mosca aveva rinunciato anche all ' idea di rivoluzione dopo gli anni venti . Tanto meno dopo Yalta . E infatti la Nato operava in tutta l ' Europa occidentale , ma nessun altro paese ha chiesto o subìto condizioni simili . La Stay behind più « Gladio » è un esempio della creatività italiana , armata dai governi centristi quando temettero che quella grossa socialdemocrazia , popolare e moderatamente avanzata che era il Pci , si conquistasse quell ' alternanza della cui mancanza si dolgono gli stessi che tacciono sui mezzi con cui fu impedita . La storia d ' Italia prende davvero , alla luce dei fatti , una strana fisionomia . Guardo i nomi dei presidenti della Repubblica negli annidi fuoco , Pertini e Cossiga , uomini diametralmente opposti , mi chiedo come venne eletto l ' uno , che cosa sapeva , come venne usato , e come venne eletto l ' altro , quello che sapeva tutto degli apparati e sa dove cercare i documenti quando gli viene in mente di illuminare gli storici . E che cosa sa Scalfaro , del passato e del presente ? Quali dilemmi i migliori di loro hanno avuto ma tengono per sé ? Guardo i nomi dei presidenti del Consiglio , e mi fa impressione che Andreotti sia perseguito per un improbabile bacio a Riina e non per aver inviato a « sfoltire » di nomi i dossiers delle stragi nel 1974 . Penso alla lista dei ministri della Difesa e agli armadi di quelli degli Interni , cui i servizi facevano pervenire rapporti più che espliciti . Penso ai capi della polizia , fedeli servitori dello Stato , come quello che vidi mentire tranquillo sotto giuramento al processo 7 aprile . In nome dell ' anticomunismo in Italia fu ovvio , implicito , consentito fare di tutto , compreso l ' ammazzamento di cittadini che si trovavano per caso in una banca , in una piazza , in un treno o una stazione . In tema di atlantismo , il nostro è un record . Penso anche all ' opposizione , che esce da questo quadro beffata e sciocca . Nel 1964 , quando si preparava il colpo del generale De Lorenzo nel silenzio - assenso del presidente Segni , Pietro Nenni sentì fragore di sciabole e fece marcia indietro invece che chiamare i carabinieri - forse dubitando che sarebbero volati in suo soccorso . Negli anni settanta , preso atto del Cile , Enrico Berlinguer fece sapere allo Stato nel quale desiderava entrare che non avrebbe cercato di modificare nessuno degli equilibri militari , né interni né internazionali . E infatti . Quale fastidio diede ai servizi il Pci ? Nel 1969 cadde col naso in avanti nella tesi della pista rossa , non vide altro che un pericolo a sinistra , ottenendo in tutto e per tutto una coda di paglia grande come una casa per essersi appiattito a quell ' impresentabile stato . Che ne dice oggi Ugo Pecchioli , da una vita nel comitato parlamentare che doveva controllare i servizi ? Di lui devono aver riso molto un bel mucchio di mascalzoni . Per quindici anni comunisti e progressisti hanno chiuso gli occhi su coloro che li stavano facendo fuori , per inseguire l ' eversione di sinistra che la loro debolezza aveva provocato , e ora apriva la propria sanguinosa , perdente guerra privata con gli apparati della polizia e dell ' esercito . Rivedo gli editoriali di « l ' Unità » , e di Valiani e di Scalf ari , che accusavano le Brigate rosse di mettere a repentaglio le istituzioni repubblicane . Intendevano dire che eravamo già così occupati da colonnelli e armigeri fascisti che non bisognava eccitarli oltre ? Che su tutto questo , oggi squadernato , Gianfranco Fini taccia , si capisce : la sua svolta è avvenuta sotto il ritratto di Almirante . E si capisce che dunque ne taccia il Polo . Che tacciano i popolari è meno chiaro : l ' esame di coscienza della Dc , i Bianco , i Martinazzoli e Rosy Bindi lo devono fare . Ma perché la sinistra tace ? Perché dovremmo tacere noi ? Sento persone piene di saggezza ammonirmi : lasciamo perdere , non ci si attarda sulla malattia quando si è guariti , la vita deve continuare ; e che puoi dire ai giovani ? Che i governi della Repubblica avevano qualche intesa con la mafia , e poi hanno anche rubato , e infine che sono stati un po ' assassini ? Meglio guardare avanti . No . Non si guarda avanti se non si vede chiaro ieri , se non si sa dove il marcio è arrivato , se si assolvono uomini , mezzi e fini , se si racconta che di fascisti non ce n ' è stati più dal 1945 e che se avessimo avuto meno comunisti saremmo da un pezzo una splendida democrazia . I miei amici giovanissimi mi guardano e sussurrano : avete lasciato un cumulo di macerie , non seccare con la politica , preferiamo un ' esistenza senza le sue ambizioni ma senza i suoi orrori . Debbo dirgli che in fondo , sì , siamo in un sistema trasparente , il conflitto non è poi grande e avviene ad armi pari , sotto i fari d ' una stampa coraggiosa e veritiera ? Non è vero . Non sono uguali le responsabilità , le colpe , i fini e i mezzi . Ci hanno scassato a colpi di bombe , fucilate , complotti e bugie . Quelli che vengono dopo di noi costruiranno mattone per mattone il proprio destino , ma noi dobbiamo loro la verità .
Mettere al mondo ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Non facciamo confusione : non sono la stessa cosa un ' interruzione di gravidanza e l ' intervento genetico sulla riproduzione della specie . Nel primo caso una donna si chiede se mettere al mondo un figlio o no ; una donna , quella persona / corpo che non regge una maternità , e decide per il no . Nel secondo , il genere umano si trova a decidere il sì o il no di manipolazioni e mutazioni , financo donazioni o differenziazioni perverse , che decidono dell ' umano futuro . E interpellano alle radici culture , etiche , princìpi di identità . E infatti la prima è un ' antica vicenda , la seconda del tutto inedita . Da sempre le donne hanno ricorso a erbe e strumenti e tecniche abortive quando non potevano mettere al mondo e tenere al mondo una creatura . A rischio della vita . Uomini e società lo sanno , non c ' è testo di scienza naturale che non ne parli . Non c ' è stata legislazione demografica che lo abbia impedito . Le grida sull ' aborto che si levano periodicamente sono bugiarde e perverse . Lo scrive Gustavo Zagrebelski : « Un punto che dovrebbe essere pacifico in ogni discussione in buona fede è che tutti i divieti legali , siano essi rimessi nelle mani del giudice penale che condanna , o del medico che rifiuta l ' intervento , o del genitore che nega l ' assenso , o del padre che impone la sua volontà generatrice , si risolvono concretamente non nell ' impedimento dell ' aborto ma nella ricerca dell ' aborto clandestino ... non la difesa della vita del nascituro ma il pericolo della vita della donna e la discriminazione fra donne ricche e povere : due conseguenze entrambe incostituzionali » . Non penso che su questo si debba elucubrare , tanto è tristemente noto e chiaro . Si può chiedersi il perché del periodico risorgere d ' una maledizione su pratiche acquisite dal sapere comune e dalla medicina semplice - penso al trattato « sulle malattie delle donne » di Trotula de Ruggiero - e che fecero riflettere con più problematicità di ora la Chiesa delle origini . È come se qualcosa spingesse uomini o Chiese o Stati a inchiodare il corpo femminile sul margine fra vita e morte nel quale per secoli lo hanno cacciato e il parto ( fino all ' asepsi ) e l ' aborto . Là dovrebbe restare o essere riportata la maledetta sessualità femminile ? Si può anche capire il problema del credente , per il quale sono sacri qualsiasi tempo di vita come qualsiasi distruzione « naturale » perché Dio disegnerebbe il correre dell ' universo , e l ' uomo non avrebbe il diritto di intervenirvi . Ma quale fondamento può avere una etica laica , se non il doppio principio della libertà e delle responsabilità ? In questa ottica appare bizzarro che quel che di più importante si può fare , cioè mettere una creatura al mondo , non sia libero , deciso . Neppure la più folle delle legislazioni , salvo una segreta pratica nazista , osa enunciare l ' obbligo di generare . Ma se scelta è , è scelta in prima istanza e in ultima della donna . Qualsiasi uomo che abbia saputo dalla donna - lui non può saperlo - di averne fecondato un ovulo , sa quel che accadrà in se stesso e in lei : in lui , nulla , in lei , una rivoluzione . Il corpo di lei è investito , rovesciato il ciclo , l ' embrione cresce nei suoi tessuti , partecipa della sua circolazione sanguigna e respiratoria , è difeso dalle sue difese immunitarie , non potrà in nessun caso vivere se se ne separa prima di sei mesi , verrà a maturazione piena a nove e sarà espulso « nel dolore » . Poi la madre lo raccoglierà , pulirà , medicherà , alimenterà , mentre le si rinchiude quel grembo lacerato di cui , fino a meno di quarant ' anni fa , ancora rischiava di morire . Ma dovrà proteggere il piccolo cranio ancora aperto . Il cucciolo umano nasce assai più fragile d ' un gattino , e gli ci vorranno tre anni per cavarsela senza perire . E se la madre non gli sarà stata accanto nel suo pauroso precipitare in un mondo così diverso dall ' alveo materno , l ' angoscia sarà tale da incrinare il suo passaporto per l ' esistenza . La maternità è un evento globale e lungo che investe una esistenza femminile , scompone ogni altro programma di realizzazione , ed esige mediazioni perché uno dei due , madre e figlio / a , non ne esca mutilato . Quale comune misura ha questo con la paternità ? Sul piano fisico nessuna . La paternità è un ' acquisizione mentale , affettiva , non percepita nel corpo . È sulla vita di relazione ? Va da sé che la madre restringa le sue relazioni per privilegiare quelle con la sua creatura , va da sé che l ' uomo sviluppi le sue relazioni , un padre essendo chiamato ad essere più di prima un individuo sociale . La dissimetria è patente , la fisiologia si riproietta e moltiplica in ruoli apparentemente obbligati . Di questo dovremmo pur parlarci , fra uomini e donne . Io ho molti e carissimi amici fra gli uomini , ma non ne fanno parola . Credo neanche fra loro . Forse ogni uomo ha in fondo a sé , oscuramente , la percezione di questo scompenso , che ha battuto fin dalle origini il fantasma della Grande Madre , quella che veniva prima che si riuscisse a legare sessualità e riproduzione , quella ancora presente in Esiodo , la terra generatrice di tutto , anche del cielo . Lui , il maschio , ha potuto accedere alla filiazione , in lei così visibile , soltanto sequestrandone il corpo , e imponendo alla creatura un simbolo di proprietà , il nome . Ma ha dovuto fare della donna un soggetto secondo , meno libero . Si può capire . Credo che dovremmo ascoltare la fragilità del maschio , il sapersi un corpo che non si riproduce , che finisce , che disperde il seme . E nel medesimo tempo sapersi meno esposto , confessa Winnicott : per millenni il parto è stato un rischio di vita . Di fronte all ' invidia - timore che le donne avrebbero del pene , c ' è l ' invidia - timore del maschio per la femminilità sdoppiantesi , sola signora della genealogia . Si può anche capire che quando il sapere medico ci mette nella possibilità di decidere il sì o il no della maternità senza rischiare la vita , il nostro potere appaia enorme , inammissibile . Che altro traspare dalle parole di un uomo , abitualmente problematico e colto come Giuliano Amato ? « Lei » non sa , è egoista , immatura , incapace di veder oltre se stessa . Decido io al posto suo . Diverso il problema di fronte agli interventi genetici che investono la riproduzione della specie . Ma proprio perché essi riguardano l ' intera umanità , divisa in ruoli di inuguale potere prima di tutto fra i sessi , va detto forte che non se ne deciderà senza la determinazione della parola femminile . Io sono grata al centro Virginia Woolf per averlo scritto e proposto alla firma di tutte , al di là di ogni appartenenza . Il « che cosa » poter o dover fare in tema di procreazione esige una decisione d ' urgenza , perché già troppo si è avanzati senza una regola , e dove le regole non ci sono , conta il più forte , in saperi , denari , poteri . Su questo terreno si può giungere a mostruosità , come sappiamo , e anche dove sogni perversi di eugenetica fossero evitati , nessuna mutazione sarà cosa da poco . E non di poca tentazione : se intervenendo sul Dna abbattessimo alcune fatali malattie ? Per salvare e per salvarsi si possono compiere atrocità . Ma anche fosse tutto per il meglio , questo meglio va lungamente meditato e comunemente deciso . E la decisione varrà se ambedue i sessi , al punto in cui sono le riflessioni su di sé e l ' altro , e le identità , e le prospettive , vi si riconosceranno . Questo è l ' ammonimento dell ' appello firmato da migliaia di donne . Altro che domanda « corporativa » ( ammesso che sia pensabile ridurre un sesso anche alla più vasta delle corporazioni ) . Quel che è sicuro è che finora non ambedue i sessi ma solo il genere maschile ha parlato e legiferato . L ' altro , noi , abbiamo taciuto o subìto o privatamente mediato o ci siamo fatte complici : sono complicati , ben poco trasparenti , i rapporti fra uomini e donne . Lo schema maschile ha funzionato da schema unico , oggettivo e neutrale . Ma come potrebbe esserlo ? Anche chi , come me , non rinuncerebbe ai saperi d ' un mondo cui le donne hanno subalternamente partecipato , dubita che sul terreno della sessualità e della procreazione gli uomini possano attingere a pretese di universalismo . Si tratta d ' una frontiera limite , dolente e problematica , dove ogni sesso è forzato a una sua parzialità . Di più , il corpo non si dice in parole , è sentito , ne scriviamo per geroglifici . Sull ' esperienza del corpo siamo rimandati al massimo del « dato » e al massimo dell ' « irripetibile » , a leggi fisse prima e dopo di noi e alla solitudine delle differenze . La comunicazione va costruita . Fra le donne e fra i generi . E questo significa cambiare ordini , simboli , valori , poteri . Agli uomini , signori delle parole , restituirei quella competenza sui sentimenti che , tenendosi per sé i saperi , sembrano averci consegnato rimuovendoli da sé . Non credo alla divisione dell ' intelligere e del sentire , pati , patire . A certi testi femminili restituirei l ' inclinazione opposta , una sapienza come antilogos , che già ci ha funestato negli anni settanta . Come se si potesse pensare , elaborare , riflettere , senza astrarre , e non si potesse astrarre senza ordinare , né ordinare senza coartare . Come se potessimo eludere la sfera dei diritti , dei conflitti , di scarse ma essenziali leggi e del loro mutare nella storia . Ma questa è strada da fare . Se credevamo di aver tempo , perché qualcosa era sicuramente raggiunto e garantito , ci siamo sbagliate .
Tribunali/Confusioni ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Come si fa a rendere non credibile una democrazia ? Si fa come in Italia . E infatti altri paesi esitano a seguirci , pur avendo problemi non così dissimili dai nostri . Non c ' è istituzione che non vacilli alla prima onda matta che le si infranga addosso . Le istituzioni sono destinate a mutare sotto l ' impatto della storia . Tutti i movimenti , quando emergono , nella istituzione incontrano un limite , lo denunciano , tendono a travalicarla . La differenza fra destra e sinistra - una delle differenze - sta nel fatto che i movimenti di sinistra tendono a riappropriarsi di quella partecipazione che la formalità della rappresentanza appiattisce , allargando per così dire il sistema circolatorio e immettendovi sangue fresco ; i movimenti di destra , invece , tendono a restringerla . La tanto esaltata « rivoluzione italiana » del 1993 ha questo segno , anche se nessuno dei molti che sulle prime l ' hanno esaltata lo riconosce . Crollato il Caf , è la destra che conduce la danza , puntando al discredito di ogni forma di partecipazione politica e di separazione dei poteri , in modo da liberare lo spazio al « niente Stato , tutto mercato » . Adesso nel macinatutto sta il referendum . Come si fa a svuotarlo di senso ? Se ne presentano dodici . Ha ragione Stefano Rodotà , quando ricorda ( su « Repubblica » di ieri ) che non dovrebbe esservi istituto più immediato e chiaro di quello che affida ai cittadini di decidere d ' un dilemma di linea o di coscienza civile che il parlamento non è in grado di risolvere , o che è essenziale verificare in un contesto più ampio . E infatti così sono i referendum all ' estero , e così sono stati da noi i grandi referendum su monarchia e repubblica , così è stato per legge Reale , aborto e divorzio , nucleare e tossicodipendenze , e così in qualche misura ancora per la legge elettorale . Anche se , osserva Rodotà , l ' ultimo dei grandi referendum ha , più che « abrogato » , ritagliato una legge su misura dei proponenti , è innegabile che esso rispondeva a una spinta d ' opinione , che la sinistra non aveva né sollecitato né era in grado di guidare . Ma che cosa ha a che vedere con queste scadenze , sia pur di meno in meno solenni , la miscela fra quesiti grandi e minuscoli che si affolleranno domenica in dodici schede ? La maggioranza della gente non lo sa . Non solo per la difficoltà dei quesiti , che in queste ultime settimane ci si è sforzati di dipanare e cui dovrebbe soccorrere la numerazione , una titolazione approssimativa e il diverso colore delle schede , ma per la dimensione così diversa delle questioni . Davvero occorreva ricorrere per tutte a una consultazione così massiccia ? Il dubbio toglie all ' appuntamento dell ' 1 r giugno il connotato di grande scelta popolare , per farne terreno di scorribande e manipolazione degli umori o delle corporazioni . Se si aggiunge che fino all ' ultimo personaggi come Veltroni e Confalonieri fanno sapere che per l ' oggetto maggiore del contendere , la posizione della Fininvest nel sistema televisivo , sarebbe possibile mettersi d ' accordo , e sostanzialmente lo si farà , bisogna dire che si è fatto di tutto per confondere le idee . E infatti il Polo , fallita un ' intesa alle sue condizioni , gioca le carte di una propaganda che più bugiarda non si può : votate No su tutto , anche a costo di scaricare i referendum di Pannella , perché qui si vuol diminuire la vostra scelta televisiva . Non è vero , ma che importa ? Inversamente , dove non ci sono interessi diretti dell ' impresa , come nei referendum sui sindacati , si corre fra due impossibilità : senza la scossa del referendum il sindacato non ha ascoltato la domanda di maggiore democrazia e rappresentatività , ma nel referendum decideranno anche le massaie che , salvo il rispetto , non c ' entrano niente . L ' elettore è confuso e teme di confondersi : quanti decideranno di astenersi su tutto perché non capiscono , quanti per convinzione , quanti su alcuni quesiti , cosa che li obbligherà a far verbalizzare dal presidente di seggio quali schede accetti e quali no , e quanti saranno in imbarazzo in cabina , preoccupati di confondere i foglietti e non scrivere la croce su una scheda sopra l ' altra sulla mensoletta che avranno davanti ? Se la gente volesse pensarci su , mettiamo , tre minuti per scheda , starebbe in cabina un ' ora . Ci vorrebbero un paio di giorni e non uno solo per votare . Penso a me stessa , che voterò Sì ai due quesiti che mirano all ' abolizione della Mammì e No a quello sulla partecipazione dei privati alla Rai , Sì ai due quesiti sindacali sull ' allargamento della rappresentanza , No a quello che vuol trasformare in pubblico la possibilità di non far trattenere le quote sindacali sulla busta paga , e poi No all ' estensione del maggioritario ai grandi comuni e poi ci penserò ... Faccio politica da una vita , ma forse nella fretta mi aiuterò con i numeri e i colori . Sarebbe questo il grande appuntamento popolare ? Tocco con mano che siamo fuori e contro il senso che volemmo dare nel dopoguerrra al referendum . Un ' altra confusione , e più grave , arruffa istituti e spirito pubblico . È la confusione fra politica , giustizia e morale nella quale sguazziamo da alcuni anni e oggi precipita nel caso di Antonio Di Pietro . L ' aver consegnato alla magistratura un contenzioso politico più che maturo , già fradicio , perché non si sapeva o voleva affrontarlo in sede politica , sta diventando un boomerang per la politica . E anche per la magistratura che ha avuto l ' imprudenza di accettare un compito non suo . Non sono una incondizionale del pool di Mani Pulite , e questo mi è costato qualche impopolarità anche fra i miei amici . Non amo ridurre tutto a fattispecie penale , né lasciare ai pubblici ministeri che mi trovino , costi quel che costi , una verità che per colpa o errore o omissione ho permesso si producesse sotto il mio naso . Non apprezzo il carcere preventivo , non apprezzo il patteggiamento . Non apprezzo i magistrati che esternano in tv parole e silenzi . Non apprezzo gli avvisi di garanzia che trapelano dai giornali . Eccetera . Ma è indecente la corrida che oggi è aperta su Antonio di Pietro , un giorno colpevole e indagato e l ' altro no , un giorno nella polvere e l ' altro sugli altari . Per quel che leggo , e magari il giorno dopo viene smentito , è un uomo qualsiasi che ha fatto anche un debito con chi non doveva e lo ha pagato - sono affari suoi . Che ha stretto qualche mano non candida - sono affari suoi . Che ha raccomandato o lasciato raccomandare suo figlio - si può capire . Ma a me , cittadina , di Pietro deve rispondere soltanto di come ha fatto il pubblico ministero , e ha diritto di chiedere sul resto per sé quel rispetto che qualche volta non ha concesso ai suoi imputati . Questo rispetto non glielo ha chiesto nessuno , meno che mai la stampa , per gli imputati : purché acchiappi topi ogni gatto va bene . Nessuno ha obiettato , fuorché la difesa di Cusani , che a Milano si facesse un processo indiretto a tre quarti del ceto politico italiano tramite il modesto yuppie lombardo , ex nuova sinistra ed ex finanziere di corte . Di Pietro inchiodava Craxi ? Era l ' arcangelo Michele , il salvatore degli italiani , il migliore dei ministri possibili dell ' Interno , anzi dei presidenti del Consiglio e , chissà mai , dei capi di Stato . Non è da stupire che a una persona semplice e di cultura politica inesistente sia un po ' girata la testa , e che lasciata la toga si agiti molto e ci informi di tutto quel che gli passa nel cervello : le prime pagine dei giornali , anzi interi giornali , hanno portato alle stelle ogni sua parola . Adesso con lo stesso stile lo si morde : e se anche di Pietro fosse corrotto ? Vedremo , intanto spariamo i titoli . Come è successo ai suoi imputati , la vita privata , la moglie , i debiti , le difficoltà , le amicizie sono nel mirino , insinuazioni e falsi e smentite inclusi . A questo genere di vendetta plebea , consumata da professionisti , interessa che il giudice sia esaltato per poter essere poi abbattuto : e arrivederci alle regole . Che cosa di peggio poteva essere fatto alla magistratura che elevarla a supremo e unico arbitro della vicenda politica degli ultimi dieci anni ? Gettarle addosso il sospetto che sia stata anch ' essa corruttrice o corrotta . Il cerchio è chiuso . Sarò fissata , ma anche qui è una questione di mercato . Mancano grandi regolatori , grandi identità di principi o grandi conflitti , e ogni cosa finisce in tribunale . Mandare tutto in tribunale significa , oltre che attribuire ai magistrati un ruolo di arbitri della politica e della morale , che non è loro , significa dare a tutte le relazioni sociali e personali un valore di scambio . Ogni perdita subita si identifica in un prezzo o una pena , tu mi hai sottratto questo e mi devi rendere altrettanto , o in rimborso o in sofferenza . Questo secondo passaggio , barbaro , non è mai stato in auge come ora . Così il momento della giustizia funge da amministrazione pubblica dell ' etica e l ' etica si identifica in codice penale , ordine e / o vendetta . Se una Corte assolve un imputato perché non ci sono prove che sia stato lui a commettere quel delitto , i familiari della vittima , subito interrogati dai media , dichiarano che è intollerabile , non c ' è giustizia . O il contrario , se l ' imputato è un loro parente . Un piccolino è appena morto di Aids che la famiglia già informa le televisioni a quale ospedale farà causa . La società sparisce sotto i privati sentimenti e risentimenti , e i risentimenti si risarciscono . In quattrini e carcere . Altro ethos pubblico , qualche modesta regola di riferimento , altri binari , ascisse e ordinate del discorso e del giudizio , non ci sono . Sicché nel confuso menar di colpi non c ' è più neanche vera trasgressione . Mao aveva detto : « Grande è il disordine sotto il cielo e questo è bene » . Dubito che avrebbe detto : « Grande è la confusione sotto il cielo , e questo è bene » . Il disordine può essere grande , la confusione è roba piccola .
Sulla Iugoslavia ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Una guerra etnica non ha soluzioni decenti . Finché Serbia e Croazia non si saranno spartita l ' ex Iugoslavia non ci sarà tregua ; ma la spartizione non terminerà mai . Serbi e croati sono gli stessi slavi del Sud , con la stessa lingua originaria , prima divisi fra gli imperi ottomano e asburgico , poi vissuti assieme e incrociati ; e soltanto la religione differenzia gli islamici . Come sempre le radici di una guerra fra etnie sono mitiche , funzionali ad ambizioni e frustrazioni , a scompensi e interessi scaricati su disegni espansivi , simmetrici alle insicurezze . Sia in Serbia sia in Croazia c ' è chi fantastica di spazi vitali che arrivano quasi alle porte della capitale avversaria ; né agli uni né agli altri bastano le frontiere amministrative che avevano nello Stato federale . Così ogni nuovo confine resterà provvisorio ; ogni spartizione comporterà ingiustizie , deportazioni , sradicamenti . La guerra ha fatto delle diversità un abisso incolmabile : gli uccisi , i beni perduti , il trovarsi a sparare sul fratello o il cognato , hanno generato l ' odio dove non era più che diffidenza . Il conflitto riprenderà a ogni occasione , e può incendiare Kossovo e Macedonia . Per questo la comunità internazionale , che non ha prevenuto , non è in grado né di persuadere né di dissuadere . Ha assistito soddisfatta allo smembramento della Iugoslavia e non sa come controllarne le conseguenze . Dopo 1'89 il Vaticano e la Germania hanno incoraggiato la secessione della Croazia per riportarla nell ' area tedesca o austriaca assieme alla Slovenia . Dopo i tentativi di mediazione di Gorbacev , la Russia ha appoggiato la Serbia che rispondeva con le armi in nome di uno Stato federale che aveva contribuito a mandare a picco . Le Nazioni Unite riconoscono la Croazia e mettono l ' embargo alla Serbia , alimentandone il risentimento nazionalista . La miscela bosniaca fra serbi e croati e musulmani diventa esplosiva . Serbia e Croazia mirano ormai a spartirsi la Bosnia , modello di civiltà opposto al loro , puntando ciascuna sui « suoi » bosniaci , indigeni o reclutati tra i feroci ex ustascia ed ex cetnici . Sotto i colpi , la Bosnia da multietnica si va identificando con la causa dei musulmani . E forse non poteva essere diversamente : ma le scelte di Izetbegovic che chiede aiuti in tutte le direzioni per crearsi un esercito , e trova risposte dalla destra americana al mondo arabo e all ' Iran , delineano una Bosnia diversa da quella che era stata . Sarajevo , civiltà plurale , non sarà più come prima : la spaccatura ha vinto con il sangue sulla molteplicità . Si può capire l ' invettiva di Zlatko Dizdarevic : chi ha difeso quel principio ? Non le Nazioni Unite . Il piano Vance - Owen implicava la spartizione etnica , ritagliando una mappa in cui ciascuno vedeva riconosciute le ragioni per separarsi e di cui nessuno si contentava . E infatti tutte le molte tregue sono saltate . Karadzic non ha mai cessato l ' assedio di Sarajevo , l ' ultima tregua è stata violata per disperazione o provocazione dai bosniaci , i serbi hanno rilanciato sulle enclaves che le Nazioni Unite avevano incautamente dichiarato protette . L ' Onu non può proteggere quelle genti senza entrare in guerra con la Serbia , come non può proteggere i serbi della Krajina senza farlo contro la Croazia . Così i venti di guerra soffiano più forte . Chi è stato a Sarajevo o ha visto la presa di Srebreniza e le file dei deportati e ha sentito degli uccisi o violentati , vede oggi una comunità quasi inerme di fronte a un esercito spietato e chiede che siano armati i musulmani : la sequenza dell ' infernale meccanismo è dimenticata . L ' aggressore della Bosnia non sono i serbi ? « Bombardate Pale , e domani Belgrado » . Lo hanno gridato anche molti democratici , molti compagni , lo ha più che sussurrato la Chiesa , quando l ' intervento della Croazia è venuto a interdire ogni semplificazione . Due grossi nazionalismi , alimentati da destra e potenti , sono in una guerra mortale e chiedono al mondo di scegliere fra loro , perché il mondo ne ha sancito la legittimità . Poteva non farlo ? Il diritto di successione unilaterale inerisce all ' autodeterminazione dei popoli . Ma che cos ' è un ' autodeterminazione decente ? Che rispetti i diritti umani e le minoranze ? Una nazione che si definisce per identità di sangue o ceppo , scegliendo da storia e tradizione quel che più conviene al suo mito , e si pretende un solo Stato in una sola terra , che ne fa dei diritti umani ? Non li vede ; o li vede come una minaccia alla sua integrità . Così una guerra etnica non ha regole né limiti . E in uno Stato etnicamente compatto anche in pace chi non appartiene all ' etnia è negato , deportato o obbligato a proditori lealismi ; e chi vi appartiene dovrà declinare ogni libertà sul metro del nazionalismo , che essendo sacrale è assolutista , patriarcale , nemico di ogni mediazione . Galleggiamo dunque fra princìpi e cinismo , Realpolitik e impotenza . Forse è venuto il momento di interrogare l ' equazione etnia - nazione - popolo - Stato , e chiederci perché la Carta della Nazioni Unite , che aveva escluso tassativamente la guerra come mezzo di soluzione dei conflitti è violata da tutte le parti . Dalle grandi potenze , quando sono in causa i loro interessi economici e politici come nel caso dell ' Iraq o della Cecenia , e da comunità che definiamo tribali nei paesi terzi come in Somalia o in Ruanda . L ' Onu non è né garante né pacificatrice . Lo è stata ancor meno da quando è finito con il bipolarismo una reciproca messa in guardia dei campi di influenza . Nel caso iugoslavo non c ' è stata soltanto incapacità . La disgregazione del campo comunista è stata favorita dovunque e in qualsiasi modo accadesse . Né 1'Onu né le élites politico - intellettuali hanno ammonito o preteso alcuna riflessione o intesa . Si poteva essere più miopi ? I Balcani sono una delle piaghe dell ' Europa . Gli imperi asburgico e ottomano avevano diviso gli slavi , modellandone le genti sulle proprie strutture e confessioni . Al di qua della Drina i serbi si erano sanguinosamente battuti contro la Sublime Porta , dall ' altra i croati non si erano battuti contro gli Asburgo : antica querela che la seconda guerra mondiale avrebbe reso più aspra . Caduti i due imperi con la prima guerra mondiale , avveniva il terremoto . Per gli islamici furono deportazioni ed emorragie mai concluse . Ma tutto il mondo slavo , del Sud e del Nord , si trovava a doversi fare nazione e Stato , accelerando i processi che avevano dato luogo agli stati nazionali in Europa , nei quali radici e storia e memoria s ' erano lungamente elaborati in progetti di società « politiche » . Gli slavi del Sud non avevano mai avuto uno Stato . Come costituirsi in nazione senza andare in mille pezzi nelle diversità ereditate ? Dov ' era la base , la ragione di una unità o coesistenza ? Dopo l ' unificazione monarchica dei serbi Karageorgevic , il problema si pone per la prima volta in forme moderne alla resistenza antitedesca e antifascista dei partigiani di Tito . Non si legge la vicenda iugoslava fuori dagli scenari della prima e seconda guerra mondiale , la formazione della Russia dei Soviet , poi la minaccia nazista - in Croazia divenuta realtà statale - e la seconda guerra mondiale . Di qui il ruolo di quella singolare generazione comunista . Alle spalle della resistenza iugoslava stava un ' idea di unificazione , socialista , certo , che avrebbe liberato gli slavi del Sud dalla premodernità , dagli arcaismi dinastici o religiosi o patriarcali , avrebbe dato loro un progetto . Un ' idea forte , che non si consegnava a nessuno degli alleati , con sgomento prima degli inglesi poi dei sovietici . Non difendo tutto quel che fecero uomini come Tito o Djilas , Kardelj o Vlahovic o Dedijer , per parlare solo di quelli che conosco o ho incontrato ; dico che costoro , croati o sloveni o serbi o montenegrini o bosniaci , hanno perseguito un ' idea grande di società avanzata e multinazionale . Definirla , come si legge qua e là , una mera « facciata repressiva » è una sciocchezza . È stata una realtà , ha funzionato e un ' Europa saggia avrebbe dovuto aiutarla a preservarsi . E quando questo modello non riesce ad articolarsi politicamente né a risolvere i problemi posti dall ' originale tentativo fra autogestione e mercato , che le difficoltà si scaricano in un più di autonomia delle repubbliche che ne accentuerà disuguaglianze e contenziosi . E allora riprenderà fiato il nazionalismo . Non perché eredi ma perché liquidatori della Iugoslavia e nemici di Tito , Milosevic e Karadzic vogliono « tutti i serbi in un solo Stato » e Tudjman guarda alla Germania , reprime ogni opposizione e perseguita í serbi della Kraijna . I « comunisti » - penso a un colloquio con Kardelj nel 1964 e con altri a Belgrado nel 1965 - temevano fin da allora lo scenario di oggi . Su tutto questo ha taciuto la sinistra . C ' è un deficit di conoscenza e di analisi , una codardia intellettuale , un ' inclinazione a fuggire dai problemi reali per la via delle buone intenzioni , dai grandi dilemmi della modernità per la strada dei buoni sentimenti . Non abbiamo messo in guardia gli amici iugoslavi dai vaneggiamenti di Dobriga Cosic e dall ' Accademia di Belgrado , che porta responsabilità tremende , e abbiamo lasciato che quelli di Praxis rifluissero ognuno sul nazionalismo suo . Ci andava bene il piano Vance - Owen , purché tutti si calmassero . Ci siamo divisi anche noi fra le ragioni di serbi immaginari , croati immaginari e Sarajevo dissanguata . Poi piangiamo sugli eccessi : sulla gente trascinata fuori dalle case , dalla terra , dalla vita , e senza voce . Quando mai l ' Europa ha dato voce a chi non era uno Stato ? Non dovevano esigere che al tavolo delle trattative non sedessero solo coloro per i quali la guerra è un mito e un affare ? Aiutarli a essere soggetto politico visibile ? Collegare le opposizioni ai nazionalismi ? Al più , gli abbiamo dato rifugio . Saremo sempre una Croce Rossa ridotta a raccogliere vittime ? Quelle morti vengono da una malattia comune .
Hiroshima ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Nei molti bilanci sulle idee del secolo non trovo come crinale lo sganciamento delle atomiche su Ilíroshima e Nagasaki . Non in George Steiner , non in François Furet , non nei molti necrologi del comunismo . Neppure in Il secolo breve di Hobsbawm , che pure le ricorda . Non è una rimozione ? Ricordo l'8 agosto 1945 , duella per me è la data . La notizia arrivò forse il 7 , ma dilagò quel giorno . Era un segno di vittoria ; eppure ci fu una sospensione , un movimento di riduzione , un ritrarsi . Era una bomba speciale , ma quanto speciale ? Non lo sapemmo subito . Che significava esattamente : due città rase al suolo , ma diversamente da Coventry o Dresda o Berlino ? Neanche gli americani sapevano la devastazione che avrebbero causato . Eppure dopo quella guerra , in Italia raddoppiata dalla guerra civile , credevamo di aver veduto tutto ; avevamo una tale nausea di morte che ci sentivamo più convalescenti , più suonati che felici . Contavamo i nostri morti , sapevamo vagamente di quelli altrui . Di morte eravamo come avvelenati . E poi perché quella bomba adesso ? Per noi la guerra era finita il 25 aprile , in Germania il 2 maggio con la bandiera rossa che sventolava sul Reichstag ; le date ufficiali non sono le stesse della memoria collettiva . L ' Asse non esisteva più , il Giappone era parte dell ' Asse , dunque era finito , questione di settimane . Ignoravamo di avergli testé dichiarato la guerra ( io lo apprendo ora , dalla Rai che contemporaneamente mi informa che Tokyo è stata l ' ultima a « difendere l ' onore dell ' Asse » ) e se lo avessimo saputo ci avrebbe fatto ridere . L ' Italia era mezza morta , raccoglievamo i cocci , c ' era tutto da rimettere in piedi , le nostre esistenze incluse . Così la bomba su Hiroshima ci lasciò senza fiato . Ne capimmo lentamente la magnitudine , la catastrofe , non ne capimmo il senso , quel che capimmo a poco a poco ci ammutolì . La guerra finiva , la distruzione no . Nei mesi successivi quel fungo mostruoso continuò a implodere nei corpi , nei luoghi ; la radioattività entrò nel nostro lessico . E di più , quella non immaginata distruzione era stata compiuta dalla nostra parte . Avevamo trovato oscena la parola fascista « coventrizzare » , non sapevamo ancora di Dresda . L ' atomica era impensata . Ma l ' impensabile che si verifica diventa pensato per sempre , possibile e riproducibile . La pace cominciava con una distruzione immane . Era una pace ambigua . Poco dopo ci saremo sentiti in guerra fredda , non ricordo chi per primo la chiamò così . Ma in meno di due anni l ' avevamo in casa . In quella stessa strana estate arrivarono le immagini dei campi di sterminio . Credo che le prime venissero dalla quinta armata di Eisenhower : anch ' esse ci ammutolirono . Avevamo veduto tanti morti , conoscevamo i fronti di guerra , avevamo alle spalle l ' incalcolabile rotta dell ' Armir nel gelo delle pianure russe , avevamo veduto i corpi dei fucilati o impiccati dai tedeschi , tenuti per strada per qualche giorno , le sentinelle di guardia avanti e indietro , perché ne fossimo avvisati . Erano corpi come abbandonati , dislocati in un sonno a occhi aperti , il volto fisso sul cielo o sul selciato . Non avevamo conosciuto quella morte a pacchi , quella gigantesca discarica di cadaveri scarniti , già senza più lineamenti . La prima guerra mondiale era stata una macelleria e noi pensavamo ancora in quei termini , erano anche quelli che ci avevano consegnato libri , gli espressionisti , Otto Dix , poi Picasso con Guernica . Solo Guernica tiene testa a quel che apprendemmo l ' estate del 1945 . Hiroshima e Nagasaki stavano a Coventry come quelle vagonate di cadaveri dei campi alle membra stanche e al volto fisso e riconoscibile dei compagni rimasti agli angoli delle strade . Atomica e campi non si contrapposero , si sommarono . A due mesi dalla pace , eravamo iniziati a una dimensione della guerra che non stava nella nostra mente . Fatico a mettere a punto che cosa fosse per me , prima , il limite della distruzione . Sapevo che la guerra non risparmia . le popolazioni civili , ma per lungo tempo era sembrata una sbavatura , un eccesso . Poi l ' ultima guerra aveva colpito « anche » i civili . La bomba su Hiroshima colpiva « soltanto » loro . Quella su Nagasaki « soltanto » loro . Il Giappone aveva colpe orrende e non le ha mai riconosciute ; tuttavia vedendo le immagini di quei giorni , mi par di capire l ' impossibilità , per quelli che sfuggirono e vagarono in cerca di una città irriconoscibile , di piegare le ginocchia davanti al mondo , come fece Brandt . Non so se ad ammutolirci fosse la quantità delle vittime . Furono forse 130.000 , ma già ne contavamo in guerra decine di milioni . Né il dolore , il dolore altrui è una razionalizzazione . Fu credo l ' impossibilità di raffigurarci quell ' evento . Il volare in polvere in una vampata , il bagliore accecante , poi l ' oscurità e il silenzio che seguirono . Abbiamo nuovamente sentito in questi giorni il racconto dei sopravvissuti , per decenni a parte dagli altri , come infetti . Ascoltiamo ma non sentiamo . Non si può , forse è giusto e vitale non potere . Ci sono zone dove non si va . Anche alcuni di loro dicono : perché parlarne ? Non avverrà più , come dire : è quasi non avvenuto . E ci colpì che la nostra parte avesse usato la bomba . L ' atomica americana doveva venire prima di quella di Hitler . Fu accelerata , ci si misero i migliori . Si doveva ? Non si doveva ? Fin dove si può arrivare nello sterminio per salvarsi dallo sterminio ? Se lo chiesero gli scienziati , ma non ci hanno lasciato molte risposte . Più tardi vedemmo con un sorriso Stranamore , perché era un pericoloso deficiente . Ma la bomba non la costruirono dei deficienti ; non furono dei pazzi a farla sganciare su Hiroshima e Nagasaki . Se fosse stata pronta nell ' inverno del 1944 , sarebbe stata gettata su Berlino ? Nel chiedermelo mi par di avvicinare la dimensione di quell ' orrore . Un orrore da perpetrare lontano , non fra noi , su « altri » . Forse sbaglio . Dovemmo prendere atto che la guerra poteva essere distruzione assoluta . Messa a rischio della vita sulla terra . E che questo diventava uno strumento della politica . Non era stato nel conto prima . Chi è nato dopo l ' ha nel conto . L ' ha trovato nel suo orizzonte . Per questo non ci capiamo : la gente come me è quella del prima e del dopo . Credo che mio padre e mia madre siano morti giovani perché il carico della prima e della seconda guerra mondiale non era umanamente portabile . Credo che per questo oggi la distruzione ci abita con tanta leggerezza e i ragazzini si dilettano al computer in wargames che non somigliano al gioco degli indiani . Non credo che sia un frutto obbligato della tecnica . Questa è la tesi del grande pensiero di destra e nichilista , ripresa da Heidegger , e vedo che torna a rifletterci su « Repubblica » Umberto Galimberti . Credo che la tecnica abbia sempre seguito la decisione o il bisogno di distruggere . Da quando gli uomini hanno scoperto la techne , prima della storia , le armi sono state il prodotto più avanzato e si sono tirate dietro manufatti , merci , tecnologia , scienza . La guerra non è la continuazione della politica , viene prima e ne è un sostituto . In quel concetto ormai informe che chiamiamo « modernità » stava l ' idea che potessimo costituirci in patti vivibili , scommettere sulla libertà come fondatrice di un ethos , di una economia di sé e delle cose . La seconda guerra mondiale nacque da molti interessi , ma anzitutto da una violazione a monte del patto dei moderni - l ' arcaico fantasma di dominio del Terzo Reich come risposta alla crisi e paura di un comunismo possibile . La natura estrema della posta ha spinto a tecniche estreme di distruzione . Gli ebrei non furono mandati ad Auschwitz perché esisteva lo Zyklon B , furono gasati perché erano troppi ad Auschwitz . Il comandante del campo , Hess , ha raccontato come andò . In altre forme la soluzione finale prendeva troppo tempo . In Uomini semplici un giovane storico americano che lavora sugli archivi tedeschi racconta come le prime esecuzioni degli ebrei deportati dai villaggi polacchi fossero compiute non da SS ma da anziani riservisti ognuno dei quali doveva prelevare un ebreo per volta dal camion , spingerlo fino alla fossa e sparargli alla nuca . Ci metteva qualche minuto , lo vedeva in viso e sangue e cervello spappolato gli schizzavano addosso . Bisognò cambiar sistema . Bisogna ammazzare in fretta , senza vedere , gente anonima o resa tale . Tale è sempre il nemico nelle guerre moderne . Ma certo le camere a gas e la bomba sganciata dall ' Enola Gay , era il nome della madre del pilota , furono un gran passo avanti . Dopo , la bomba H avrebbe superato in virtualità tutti e due . Le generazioni dopo la mia hanno visto questo paesaggio quando levavano il capo dalle private faccende . La pace è stata per loro sinonimo di equilibrio del terrore . Quando è finito non è stato per un disarmo bilaterale che della pace poteva essere una prima modesta imitazione , ma per il crollo dell ' Urss , come se la fine del pericolo di guerra fosse legata alla fine del simbolo , suo malgrado , d ' una società altra . Fine per noi si intende : per gli altri le guerre restano , anzi le alimentiamo . Anche l ' immaginario è segnato dal trascolorare dei conflitti in distruzione totale di nemici senza volto , o anche zero nemici ma distruzione come senso ultimo dell ' esperienza . Non vediamo con interesse se non fiction di morte . Le ramificazioni del vivere non esercitano la stessa attrazione , e il « bene » ci imbarazza , ci annoia , sa di perbenismo , è melassa . Uscendo da Usual suspects , come l ' anno scorso da Natural born killer , ma anche dalla più innocente Arma letale mi dico che forse prima del '45 non ci sarebbero state . E non per insufficienza tecnica .
Stranezze italiane ( Rossanda Rossana , 1995 )
StampaQuotidiana ,
Perché Lamberto Dini non dovrebbe mettersi a disposizione di un maggioranza diretta dal Polo ? È vero che in altri paesi sarebbe impensabile - difficile immaginare Chirac , quand ' era premier , disposto a governare con i socialisti o Major per i laburisti di Tony Blair o Kohl per la Spd , e viceversa - ma l ' eccezionalità italiana è dura a morire . E poi Lamberto Dini , entrato in politica come ministro del Bilancio del primo governo di centrodestra , subito dopo ha accettato di presiedere quello di centrosinistra : il trasferimento è già avvenuto una volta , e il percorso inverso non costituisce novità . Eugenio Scalfari , con comprensibile irritazione , evoca la malattia nazionale , il trasformismo . Eppure a pensarci bene in Dini c ' è più coerenza che nelle maggioranze che ora lo sostengono ora lo avversano . Egli esprime linearmente quel che esse hanno in comune : sia il Polo sia l ' Ulivo sono convinti che in tema di scelte politico - economiche la strada è unica e obbligata : smantellamento dell ' intervento statale nella proprietà della produzione e dei servizi , privatizzazione crescente di scuole e sanità , risanamento prioritario del bilancio attraverso tagli della spesa sociale , appoggio all ' impresa attraverso la flessibilizzazione dei salari . E - piaccia o non piaccia sentirlo a D ' Alema - la ricetta raccomandata dal Fini e dall ' Ocde . Da quando anche il Pds si è convertito a questa teoria , i premier si sono presentati essenzialmente come gestori del passaggio dell ' Italia al liberismo . Tale è stato Giuliano Amato , tali i due tecnici per eccellenza forniti dalla Banca d ' Italia , Carlo Azeglio Ciampi e Lamberto Dini . Il quale non ha mai finto di essere altro , e quando , caduto Berlusconi per defezione della Lega , lo schieramento di centro ha avuto un ' esile maggioranza e gli ha offerto la presidenza del Consiglio , accettandola ha dovuto soltanto continuare a mettere in atto se stesso . Il problema dunque non è suo , e forse per questo non ha aperto bocca fino a ieri , lasciando inevaso l ' appello di Salvi e Veltroni : no , non ci possiamo credere , e pensare ai sacrifici che abbiamo fatto , anzi fatto fare , per lui . ( Dunque erano sacrifici ? Interessante ) . E poi di ' almeno che non sei un uomo per tutte le stagioni , un posto per te da noi ci sarà sempre . Ma che deve dire ? Sono gli altri che convergono sulla stagione sua , adottano il suo stesso barometro . Il problema è di Prodi e del Pds . Quando abbiamo scritto , ancora con qualche sorpresa : ma il congresso tematico del Pds non ha nulla da dire sui rapporti di proprietà e di produzione , sullo Stato sociale o sul lavoro , Giuseppe Vacca ha risposto su questo stesso giornale : infatti per noi quel che conta , anzi , quel che conta per l ' Italia , è la questione istituzionale . Cioè la forma dei poteri , unificati o separati , centralizzati o di tipo federale , per realizzare la stessa politica . E va bene . Ci sia permesso però di trovare risibili coloro che a ogni piè sospinto intonano come sola garanzia di limpidezza la solfa della bipolarità fra due schieramenti del tutto distinti e personificati da uomini del tutto diversi . In nome di questa trasparenza è stato votato a furor di popolo il passaggio tramite il sistema maggioritario da una prima repubblica dove tutti i gatti sarebbero bigi di consociativismo , a una seconda dove i gatti sarebbero stati bianchi o neri , in modo che il cittadino avrebbe scelto fra due idee di società , di diritti , di doveri , ogni cinque anni punendo o premiando la linea e gli uomini che avevano governato . Questa sarebbe stata la modernità vera , l ' arrivo dell ' Italia nella democrazia compiuta e la personalizzazione della politica contro la torva burocrazia dei partiti . In capo a tre anni eccoci arrivati a uno strano porto : ci sia una maggioranza o un ' altra l ' uomo sarà sempre lo stesso . Piace a destra , piace al centro , piace a sinistra , Bertinotti escluso . Destra o sinistra hanno votato interiormente per lui anche quando sembravano votare contro : era , e con la finanziaria , ci raccomandiamo rigorosa , sarà un modo affettuoso per dire « Dai vieni con me che ti troverai meglio » . Vale il detto caro a Deng Xiao Ping : che importa se un gatto è bianco o nero ? Se acchiappa i topi è un buon gatto . Per topi , si intende concordemente meno Stato più mercato e la moneta al primo posto ; a questo fine Dini è un ottimo gatto . Stento a capire che cosa significhi un indulto o un ' amnistia per i reati di corruzione e concussione , quando non siano stati prima accertati . Hanno ragione Di Lello e l ' ironico Spazzali ( che « Repubblica » chiama « l ' avvocato di Cusani » ) : come le pene , le amnistie o gli indulti dovrebbero venire dopo , a responsabilità accertata . Se no che cosa si condona o cancella ? Magari una colpa non commessa o cinque non ammesse ? Oppure in Italia non occorre fare processi , bastano clamorosi avvisi di garanzia o un rinvio a giudizio , e caso mai il carcere preventivo - arrivino dove arrivino - a mo ' di ammonimento per tutti e poi si chiude ? Questa è una scelta politica , non giudiziaria . Chi l ' ha fatta ? E perché ? Per accelerare un cambiamento di ceto politico , per togliere il pizzo alle imprese , per far passare il sistema maggioritario , perché il fenomeno è ormai debellato , perché un uso normale della giustizia costa troppo ? Insomma per azione o omissione ? Se fossi un parlamentare , non avrei pace finché quella augusta assemblea non si e mi chiarisse le idee . Se fossi un sociologo , mi chiederei invece perché il sistema della mazzetta continua . Non mi contenta la risposta di Di Lello , ma non solo lui : sono sempre gli stessi , figli , nipoti o bisnipoti riciclati di Craxi . Diamine , neanche il conte Dracula sarebbe riuscito a fabbricare da solo tanti vampiretti . Forse il craxismo è dilagato come Berlusconi ha vinto : rispondeva o corrispondeva a qualcosa per cui non avevamo o abbiamo anticorpi . Come altrove il senso comune è nazionalista , c ' è da noi un senso comune che premia l ' illegalità privata , non politica , non eversiva , non esposta . Quella è la sola trasgressione imperdonabile . Per il resto ci si arrangia . Parli per tutti la straordinaria commedia sull ' evasione , c ' è , non c ' è , se c ' è non ci sono i responsabili perché la grande impresa non evade per definizione , se la piccola impresa evade è per difendersi , se evade il Sud è perché non ha né uno stato né un lavoro . Mariano D ' Antonio e Gesualdo Bufalino lo affermano in nome del sud come se fossero i disoccupati a eludere l ' Iva . Sembra che non esista in Italia un patto elementare di diritti e doveri , rispetto al quale misurare anche l ' iniquità sociale . Siamo furbi e facciamo fessi o ci lasciamo far fessi , tanto tutti lo fanno . Poi di colpo ci indigniamo : cielo , la corruzione . Dovremmo chiederci perché invece di essere una comunità civile e conflittiva , siamo un colabrodo incivile e unanimista . Mi piacerebbe un giornale capace di titolare il 17 agosto : oggi non ho niente da dirvi , salvo quel che è successo in Bosnia , a Belgrado e a Zagabria nelle ultime quarant ' otto ore e quanto serve per capirlo . Non vi riservirò il piccolo Aladdin o la piccola Leyla . Perciò oggi quattro pagine , lire cinquecento . Quando ci sarà qualcosa di consistente da mettervi sotto i denti , su con le pagine e su con il prezzo . Anche molto . Perché no ? Tecnicamente difficile ? Ma non siamo nell ' era della qualità - flessibilità totale ? Sarebbe un dimagrimento salutare , un servizio da rendervi . Direi quasi da offrire a pagamento , per la salute mentale del lettore , e non solo ad agosto . Una testata che vi risparmia una su due delle esternazioni di Bossi e D ' Alema , Pannella e Ripa di Meana , Buttiglione e Fini , Salomone e Di Pietro ; le riassumiamo tutte il martedì e il sabato , non succede niente , come quando si perde una puntata di « Beatiful » . Una testata che non parla di stupri in mancanza d ' altro , non scopre d ' inverno che la famiglia è la cellula intoccabile della società e d ' estate che in famiglia si consumano gli orrori . E non riempie le pagine per dire tutto di seguito che « i giovani » sono svampiti e consumisti , anzi saggi e adulti , anzi paurosi ed egoisti , anzi disponibili e solidali . Cadrebbero i tormentoni stagionali e consueti ( il pieno delle vacanze , il vuoto delle città , la solitudine dei vecchi ) e quelli d ' annata ( nel 1995 : primato dei quarti posteriori femminili ed esordio del pene in copertina ) . Non sapremo nulla del sindaco di Capri , né di quello di Alassio , né se sia colpa del Comune , dello Stato , del turista o della questione meridionale la condizione di questa o quella spiaggia calabrese . Ma perché dovremo saperlo ? Anzi , pagare per saperlo ? Forse ci resterebbe qualche minuto per pensare a quel che abbiamo letto in prima pagina , invece che perderci nelle seconde e terze e quarte e via di seguito , dove non sai più in quale testata sei , tanto tutti parlano delle stesse cose e si vergognano se non lo fanno . Non sono più notizie , è un brusio . Nel quale i giornali rimandano ai giornali , la tv alla tv , come si gonfiava la matassa di zucchero filato attorno al bastoncino che una volta si comprava alle fiere . Poi si dice che gli italiani leggono poco i quotidiani . Ma un quotidiano è una necessità o non è . Ormai neppure ci si avvolge più la verdura .