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> autore_s:"Arbasino Alberto" > anno_i:[1940 TO 1970}
La gita a Chiasso ( Arbasino Alberto , 1963 )
StampaQuotidiana ,
I rapporti fra letteratura e industria sono un argomento di viva e stimolante attualità , se non da quando esiste la letteratura , per lo meno da quando esiste l ' industria . Perciò fa bene Elio Vittorini a lamentare con doloroso sbigottimento l ' arretratezza della letteratura industriale prodotta da tanti suoi amici e colleghi , e i loro impacci , e i loro « squarci pateticamente ( e pittorescamente ) descrittivi che risultano di sostanza naturalistica » : insomma , la loro mancanza di fiato davanti alle novità del secolo . Non per nulla infatti un dibattito come quello in corso dal « Menabò » alle altre riviste che si accodano al pesce - pilota è una esercitazione soltanto precettistica : incapace di produrre opere creative dà origine soprattutto a norme didattiche in favore del « tema unico » , a esortazioni retoriche tipo quelle altre « ai campi ! » , « alla battaglia del grano ! » , « alle colonie ! » , « al posto al sole ! » , « all ' Arcadia ! » , « al sonetto ! » , « all ' ottava ! » , « alla sestina ! » . Diventa così chiaro agli occhi di tutti come il vero problema non sia stato identificato con esattezza . Non sarà cioè quello dei rapporti fra letteratura e industria , vecchia solfa , ma un altro molto più scottante nella nostra cultura attuale : come mai un numeroso gruppo di letterati indecisi si abbandoni quest ' anno e tutti insieme a una tornata accademica esclusivamente teorizzante , e rinunciando alla narrativa e alla saggistica si restringa invece alla pedagogia e all ' ammonimento . Naturalmente non si deploreranno mai abbastanza l ' isolamento e il provincialismo e l ' ignoranza e l ' inciviltà dei vent ' anni fascisti , l ' arresto e lo smarrimento della patria cultura . Ma perché - ci si chiede - oggi noi che non ne abbiamo nessuna colpa dobbiamo ancora star male e soffrir sempre pene gravissime in conseguenza del fatto che un gruppetto di letterati autodidatti negli anni Trenta invece di studiarsi qualche grammatica straniera e di fare qualche gita a Chiasso a comprarsi un po ' di libri importanti ( tradotti e discussi da noi solo adesso , ma già pubblicati e ben noti fin da allora ) abbia buttato via i trent ' anni migliori della vita umana lamentandosi a vuoto e perdendo del tempo a inventare la ruota o a scoprire il piano inclinato mentre altrove già si marciava in treno e in dirigibile , o almeno si lavorava utilmente in vista dei decenni futuri ? Bastava arrivare fino alla stanga della dogana di Ponte Chiasso , due ore di bicicletta da Milano , e pregare un qualche contrabbandiere di fare un salto alla più vicina drogheria Bernasconi e acquistare , insieme a un Toblerone e a un paio di pacchetti di Muratti col filtro , anche i Manoscritti economico filosofici di Marx ( 1844 ) , il Tractatus logico - philosophicus di Wittgenstein ( 1921 ) , Civiltà di massa e cultura di minoranza del Dottor Leavis ( 1930 ) , le Idee per una fenomenologia di Husserl ( 1931 ) , e magari I principii della critica letteraria di I.A. Richards ( 1928 ) , Cultura e ambiente di Leavis e Thompson ( 1933 ) , L ' uomo del risentimento di Max Scheler ( 1933 ) , L ' Africa fantasma di Michel Leiris ( 1934 ) , Linguaggio , verità e logica di A.J. Ayer ( 1936 ) , Axel ' s Castle di Edmund Wilson ( 1931 ) , Enemies of promise di Cyril Connolly ( 1938 ) , La formazione dello spirito scientifico di Gaston Bachelard ( 1938 ) , Sette tipi d ' ambiguità di William Empson ( 1930 ) , Capire la poesia di Cleanth Brooks e R . Penn Warren ( 1938 ) , Mariti e mogli di Ivy Compton - Burnett ( 1931 ) , un po ' di Blanchot e Bataille assortiti , nonché di Henry Green e Anthony Powell , e il meglio di Forster , dai romanzi intorno al1910 ai saggi del 1936 , passando per il Passaggio in India che è del 1924 . Ci si sarebbero risparmiati alcune decine d ' anni di penose indecisioni intorno a illusioni senza avvenire , come primo vantaggio , e soprattutto la scomodità dell ' apprendistato coi capelli bianchi . I dolori della nostra cultura derivano dal fatto che una numerosa « classe unica » di letterati degli anni Trenta non si è ancora messa al passo con le idee dei loro coetanei del resto del mondo , e affronta in ogni nuovo anno scolastico un programma di studi estremamente limitato . Di qui il bizzarro spettacolo di maestri di scuola che fanno ripetere la lezione a tutta la classe insieme , e la classe docilmente impara ogni anno una nuova canzone , la esegue in coro , tutti passandosi la stessa parola d ' ordine nello stesso momento - « cultura di massa » , « Spitzer » , « Wittgenstein » , « fenomenologia » , « alienazione » - succhiandola come una caramella e sputandola fuori di colpo appena ne spunta una nuova : veramente dimenticandosela , come se non fosse mai esistita . Come non dovrebbe capitare nella cultura , che è coesistenza di idee , e invece succede normalmente nella moda , dove per decreto di sarte la gonna è più lunga o la manica è più corta per una stagione sola e mai di più . Perciò l ' immagine che si è venuta formando dei nostri sofisti attuali non può essere che quella di un gruppo di mediocri signori anziani di scarsa cultura e di formazione tardiva , volonterosi e patetici come Jaufré Rudel in vista delle rive del Libano , che vengono avanti passo passo pretendendo dopo tanti faux pas di far scoperte e d ' impartir lezioncine in base alle traduzioni recenti di autori che conoscevamo fin dai tempi quando loro bamboleggiavano ancora con Pian della Tortilla ( mentre noi leggevamo Forster ) o ricadevano nella Antologia di Spoon River ( mentre studiavamo Auden ) . Com ' è goffo vedere per esempio cominciare a spuntare adesso i nomi di Trilling o di Ayer , o affiorare addirittura Bachelard , morto l ' anno scorso a ottant ' anni . Mi fa lo stesso effetto di quando si scoprono Firbank o Rolfe con quarant ' anni di ritardo ( per tacere naturalmente i casi di Forster , della Compton - Burnett e dell ' Ulysses ) ; ma un caso addirittura tipico è quello di Salinger , di cui si scopre con entusiasmo il bel libro di quindici anni fa contemporaneamente al disastro totale in America del suo ultimo che è una sciocchezza . E volendo si potrebbe star già pregustando le prossime scoperte di William Empson e di Ivor Winters , di Klossowski e di Starobinski , dei versi di Thom Gunn e di Yves Bonnefoy ; e magari del Dottor Leavis ( andato in pensione dall ' Università di Cambridge l ' anno scorso per limiti d ' età ) ; e magari di Henri Focillon , di cui si celebra quest ' anno il ventennale della morte . C ' è poi l ' obiezione formale . Da quando in qua si scrive in quel modo ? Si è abituati a leggere , generalmente si capisce quello che scrivono Edmund Wilson o Roland Barthes , Philip Toynbee o Claude Lévi - Strauss ; non vedo allora perché dovrei far degli sforzi per decifrare gli eccessi di auto - indulgenza di alcuni vanesii minori che si abbandonano alla incomunicabilità della « prima stesura » per non far la fatica di chiarire il proprio pensiero neanche a se stessi , senza preoccuparsi se la confusione stilistica è il segno più certo di confusione nella testa , e senza un minimo di riguardo per il lettore , trattato come un cliente costretto ad acquistare la paccottiglia di un negozio sfornito . No . Non ci sto . Come cliente vado a spendere i miei soldi in negozi più in ordine , se non vedo bene e non mi si fa capire l ' articolo che mi si tenta di vendere . Voglio chiarezza , lucidità , ragioni critiche ; pretendo concisione , possibilità di sommari e compendi , dal momento che , lo si sa , non esiste opera di pensiero veramente significativa che non si possa riassumere in poche proposizioni . Altrimenti non compro ( e peggio per i venditori , non per me ) , così come al ristorante non accetto una minestra in mano , la voglio sul piatto , e non faccio entrare in casa chi mi si presenta alla porta in mutande . Del resto si può fare una prova . Dietro le giuste malinconie di Umberto Eco sul « Menabò » stesso per l ' inadeguatezza dei mezzi espressivi a disposizione di molti letterati per affrontare i nuovi aspetti della realtà , basta prelevare qualche campioncino di prosa da queste medesime riviste per analizzare gli strumenti linguistici adoperati nel trattarne . Basta aprire a caso : quante volte la struttura sintattica di base è ancora quella oratoria del Seicento , intorbidita dagli urti e dalle pressioni di sistemi filosofici rivali e incompatibili , mai d ' accordo sull ' uso da fare e sul senso da dare ai termini , tanto più equivoci e indiscriminati in quanto perdono col tempo le virgolette che indicano ammicco . E dovremmo contentarci di intuizioni impressionistiche , motti sibillini , lampeggiamenti baluginanti , vagiti ... Ma soprattutto un narcisismo incredibile molto curioso per due ragioni . Una , che la oscurità risulta grottesca perché non è una scelta deliberata ma un faute de mieux ; e civettare sul « volere e non potere » è per lo meno uggioso e triste . L ' altra che questo narcisismo mostra fini paradossalmente moraleggianti : « le cose per noi non van bene , quindi ( a fin di bene ) rientriamo nelle catacombe dell ' ermetismo » , detto poi da parte di chi dall ' ermetismo non era mai riuscito a venir fuori ... Ma questa attrattiva del linguaggio mandarino , la frequente nostalgia dell ' allusività per iniziati , da clan privilegiato o da élite scostante , mi sembra l ' atteggiamento più reazionario che si possa immaginare oggi , col suo doppio registro : complice - cifrato con gli addetti ai lavori , e altezzoso - paternalistico ( « perché so meglio dite quel che deve andar bene per te ... » ) quando si rivolge alla massa operaia non su un giornale proletario in una colonna e mezzo di limpida prosa comprensibile almeno alla metà dei lettori , ma in formule schifiltose su riviste esoteriche che non costano mai meno di mille lire . Mi pare in sostanza che ornamenti retorici e compiacenze ermetiche finiscano per risultare i perfetti equivalenti degli arazzi e dei trumeaux in mezzo ai quali i « baronetti rossi » tradizionalmente proclamano la loro solidarietà con la classe lavoratrice ( rappresentata poi dal solito benzinaro che viene a far quattro salti in casa ) . Cioè tipicamente la politica di Maria Antonietta , con le sue brioches e tutto . E come si fa allora a non pensare che l ' ideale ultimo sia a questo punto lo stesso : far dei giochini sconsiderati e irresponsabili alle spalle del proletariato , considerandolo di volta in volta banco di prova e massa di manovra , cavia per ricerche sociologiche e spedizioni emozionanti e analisi di mercato , sempre come oggetto comunque , con l ' assoluzione morale della sinistra e prendendo intanto anche un po ' di soldi dagli industriali « buoni » . E cinismo per cinismo è chiaro che questa specie di socialismo per le dame vale né più né meno che il francescanesimo coi venti stipendi . Meglio ancora una coltivazione dell ' orto di Candide , per così poco , o un traino del carretto di Madre Coraggio per sentieri defilati . Lo so bene che il tango moralistico sulla ricchezza oggi è altrettanto frivolo che invocare la miseria di ieri come alibi , quando si parla di affari culturali , e con un bel rictus di nevrastenia in più . Però , oltre i temi che ci vengono suggeriti quest ' anno per le nostre penitenze , vorrei limitarmi a ricordare la fame di Orwell e la malattia di Lawrence , le stanzette di St . Germain des Prés dove gelano come la piccola fiammiferaia i collaboratori di « Les temps modernes » e l ' assegno per le collaborazioni al « New Statesman » non certo più cospicuo della retribuzione del piccolo scrivano fiorentino : miserie certo non meno dolorose di quelle di casa nostra degli anni Trenta , ma anche un certo ritegno nel non dire troppi sì per amore del soldo o per vanità di farsi vedere più à la page degli altri ; una certa ostinazione nel leggere comunque i libri che contano , invece di sedersi lì esclamando « non si può , pazienza » ; e in più una certa precisione nel mettere in chiaro da che parte si sta . Non però scegliendo Cromwell o Robespierre , Lincoln o Licurgo : ma in base alle forze politiche effettivamente esistenti .
StampaQuotidiana ,
Credo che siamo parecchi ( e da qualche tempo siamo anche aumentati ) a dichiarare rifacendo Eckermann che « l ' Ingegnere Carlo Emilio Gadda è tra i nostri Autori quello cui si è sempre rivolto lo sguardo come a una stella polare : i suoi detti sono in perfetta armonia col nostro modo di pensare , e ci scoprono continuamente sempre più alti punti di vista . Perciò ci si studia di penetrare sempre di più nella struttura della sua arte , e il nostro intimo amore e l ' ammirazione per l ' Ingegnere hanno in sé qualche cosa di passionale ... » . Nulla risulta però difficile come tributare un giusto omaggio al suo riserbo e alla sua ritrosia , evitando che qualche connotato di natura pittoresca inquini il rigore della testimonianza . Proprio perché è quasi impossibile restituire l ' affascinante mélange di contraddizioni che è la figura stessa dell ' Ingegnere , un Pietro Micca in abito di Quintino Sella , l ' orgogliosa modestia e l ' ironia dolorosa e la verecondia esplosiva di questo grande scrittore rivoluzionario travestito da professionista borghese conservatore in costante reverenza davanti alle Istituzioni ( dal Castello Sforzesco alla Stazione Nord , dalle Società Anonime alle Banche all ' idioma italo - fiorentino ) nell ' atto stesso in cui mobilita per dilapidarle strepitose risorse etiche e stilistiche , di psicologia e di humour . Traboccano le tentazioni ... Un saggista di scuola francese incline a trattare della letteratura « come di qualcos ' altro » ( vita , sogno , tauromachia ) e dello scrittore « in quanto qualche cosa » ( magari « traître » , o «coupable»...) potrebbe lasciarsi sedurre dall ' ipotesi di un Trattato sull ' Ingegnere « in quanto reduce » : le fissazioni traumatiche sulle sofferenze della guerra e del dopoguerra ; il sentimento di provvisorietà che affligge il ritorno a una vita civile sentita come precaria , estranea , instabile ; i bauli non disfatti ; il rovello per gli anni smarriti in una giovinezza murata e irrecuperabile ... Qualche amico , invece , di fronte all ' originalità quasi raccapricciante delle sue osservazioni , dell ' arrivare comunque alla verità sulle cose , impressionante da parte di qualcuno che vive così palesemente fuori delle cose , è stato afferrato da un dubbio : è vero ? non è vero ? o è possibile che appena voltato l ' angolo , appena al sicuro in casa , l ' Ingegnere nella sua « logicità » sapiente e folle si tolga la maschera con cui si mostra a noi - e che mai toglierà in nostra presenza - e rida divertito delle nostre sciocchezze ? Sarebbe però un torto cedere a una tentazione da Eckermann contemporaneo e descriverlo nell ' atto di emettere giudizi a sorpresa in una serie di quadretti tipo « l ' Ingegnere al ristorante » , « d ' Ingegnere e D ' Annunzio » , « l ' Ingegnere e il twist » , « d ' Ingegnere nella tomba etrusca » . D ' altra parte irripetibilità e pudore cospirano a rendere difficilmente descrivibile l ' esperienza della presenza eccitante e consolatrice dell ' intelletto . Perciò mi è parso più riguardoso interrogarlo con la sua approvazione su un argomento fondamentale : la sua formazione , l ' « iter » spirituale attraverso cui si è venuta componendo una personalità culturale e umana per cui Contini ha parlato di « eminente dignità riflessiva » . « I successivi miei choc di carattere riguardanti la tematica conoscitiva sono stati saltuari e sporadici , non per mia malavoglia o poltroneria , ma perché sono stato boicottato negli anni giovanili » dice l ' Ingegnere ; e accusa il tempo , la stanchezza , la « estrema povertà » : e , prima ancora i genitori che hanno « sabotato » la sua vocazione letteraria , l ' ingegneria « non alta , ma faticosa » ; e la mancanza di libri e di esperienze di viaggio ; la scarsa esperienza della vita , « l ' esperienza non sempre lieta che avevo fatto degli esseri umani » . « Mi sono mancate allora , come a un prigioniero , eccitazioni , fermenti , suggerimenti intellettuali , eccitazioni alla ricerca ... » E negli anni successivi l ' estrema fatica : « costretto agli studi d ' ingegneria , a Milano , non mi hanno lasciato tempo e molte volte neppure la voglia , le possibilità fisiche di ricerche " curiose " » . « Ulteriori gravi traumi sono stati quelli derivanti dalle guerre che la mia generazione ha attraversato : alla prima delle quali ho partecipato con una " passione " positiva , mentre ho subìto come " civile " la seconda con una orrenda e lunga sofferenza , anche fisica . » Formazione perciò lacunosa , « a macchie , a chiazze » . Negli anni dell ' adolescenza sono prevalsi interessi letterari , prevalentemente italiani e latini , con qualche puntata su autori greci ( Omero ) . Poi Dante , Ariosto . « Negli anni ulteriori dopo il liceo ci sono stati momenti di cultura , ricerca , e di " eccitazione " derivanti da indirizzi logico - matematici della eccitazione stessa ( Einstein , la teoria della relatività , più tardi la teoria dei " quanti " , De Broglie ).» « Dopo i contatti letterari di Firenze , tutto il grosso repertorio di idee che si può brevemente designare col nome - se non di psicopatologia - di psicanalisi . » Negli anni Trenta l ' Ingegnere si interessa soprattutto di fenomeni « proibitissimi dal fascismo ... venuti dal di fuori ... " esterofilo " : parola cara al duce , carica di condanna ... » . Studia per esempio ( « per quanto senza possibilità di approfondire ... costretto dal lavoro ... » ) la matematica di Einstein , appunto , e la psicanalisi : « Quando molti ritenevano l ' idea volgare che Freud fosse un pervertito ... e neanche a parlare di Breuer , Charcot ... » . Rivolge cioè la sua attenzione ad alcune fondamentali discipline scientifiche moderne ignorate o trascurate dalla maggior parte dei letterati dell ' epoca , e praticamente mai integrate sul serio alla nostra cultura : ecco un ' altra ragione seria dell ' importanza dell ' Ingegnere per noi . « Avevo già frequentato a Milano come socio di una biblioteca molto bene - e milanesemente - organizzata ( il Circolo Filologico ) i precursori : appunto Charcot , Breuer ... molti altri ... e anche gli psicologi positivisti ; ricordo L ' intelligenza nel regno animale di Tito Vignoli , psicologo lombardo . Si tenga presente che l ' impegno degli studi d ' ingegneria comportava otto ore di attività giornaliera , compreso il disegno ; e a certe esercitazioni , per esempio di mineralogia , occorreva presentarsi alle sette della mattina . Questi milanesi col loro " lavurà " mi hanno dato una bella mazzata sulla testa ... E Roma ? Ne sono amareggiato , stanco ; se potessi me ne andrei subito ; se avessi forza , denaro ... Ah , il romanesimo ... A proposito di psicanalisi devo dire che mi sono avvicinato ad essa negli anni fiorentini dal '26 al '40 quando l ' insieme delle dottrine e delle ricerche di questa grande componente della cultura moderna era visto popolarmente come operazione diabolica e quasi infame , per la crassa opaca ignoranza di molti grossi tromboni della moraloneria e della cultura ufficiale dell 'epoca.» Ma perché è andato a Firenze ? « Manzonianamente ... e anche un po ' come un inglese ( senza quattrini ) del '700 ... Per imparare la lingua e frequentare le biblioteche fiorentine ( e pensare che poi non ne ho avuto quasi mai il tempo ! ) . Il Vieusseux e la Marucelliana hanno sostituito nel mio positivismo illuministico la vecchia organizzatissima biblioteca milanese » . Trovo straordinario andare a Firenze per sciacquar panni lombardi in Arno , e come risultato distruggere il fiorentino con l ' esplosiva operazione linguistica del Pasticciaccio ; ma l ' Ingegnere sorride , non vuol dir niente . Alla psicanalisi mi sono avvicinato e ne ho largamente attinto idee e moventi conoscitivi con una intenzione e in una consapevolezza nettamente scientifico - positivistica , cioè per estrarre da precise conoscenze dottrinali e sperimentali un soprappiù moderno della vecchia etica , della vecchia psicologia , e della cultura che potremmo chiamare parruccona e polverosa di certo tardo illuminismo lombardo . Col comprendere la fenomenologia dell ' inconscio mi è sembrato di fare un passo avanti nella mia struttura di apprenti sorcier . E devo dire che ho incontrato negli studi di filosofia fatti presso l ' Università di Milano ( nel '25 , nel '28 , nel '30 , allora si chiamava ancora Accademia scientifica e letteraria , però conferiva lauree regolari ) un docente di psicologia , Casimiro Doniselli , che mi ha condotto alla possibilità di pensare a una specie di traduzione in termini psicologici di molte posizioni di filosofia teoretica : alcune posizioni teoretiche kantiane potrebbero essere oggi registrate in chiave psicologica , per esempio . » E fra le esercitazioni fatte in questo periodo l ' Ingegnere ne ricorda soprattutto una sull ' apparecchio dell ' udito , in cui la coclea ( che ha la forma della spirale di Cartesio ) funziona come estrattore di logaritmi delle scale sonore . Molto hanno impressionato la mia giovane e ancora inesperta ricerca formativa quei necessariamente limitati avvicinamenti , o approssimazioni , ai maestri della filosofia moderna ... Ho letto Spinoza , Leibniz , Kant ... La lettura dei Nuovi saggi di Leibniz ( tradotti da Cecchi ) e della Teodicea stessa , si può dire che siano stati nettamente formativi per il mio sviluppo e i miei interessi logico - teoretici posteriori ... Ancora oggi sento di dover molto a Leibniz e di riviverne oscuramente i suggerimenti e i pensieri nella ormai declinante vita intellettuale , avviata alla chiusura ... A questo proposito sarebbe mio estremo desiderio di poter lasciare almeno una affrettata e sintetica " operetta " di esegesi da un lato e di " apology " ( nel senso di " giustificazione " ) dei miei momenti di pensiero e degli inevitabili errori ( od eccessi ) a cui la mia affaticata ricerca è andata incontro , come ogni ricerca ... per successivi " tâtonnements " , come ognuno di noi ... forse anche la natura stessa ... si avvicina alle sue " idee " per " tâtonnements " ... e incontrando la dolorosa esperienza di inevitabili "impasses"...» Ma la sezione forse più larga della sua libreria è affollata di volumi di storia . « L ' interesse per gli studi storici può dirsi innato in me ; o se no , ha ricevuto eccitazioni che chiamerò ginnasiali con grande amore e rispetto per gli studi ginnasiali che ho potuto seguire ( Cesare , Tacito , non molto Erodoto ) , i minori latini , più tardi Svetonio ... e perché ho avuto da taluni di questi storici latini ( Tacito , Svetonio ) e dai poeti ... la sensazione che ci sia stato un grande momento della conoscenza umana in cui la storiografia non è stata una menzogna ... senza compromessi , né reticenze ... La stessa sensazione mi è stata data più tardi dagli storici francesi e inglesi ... da Macaulay a Strachey , come specimen ... Lavisse , Michelet , Lefebvre , Bainville ... e da memorialisti altrettanto validi annotatori della realtà e della verità ... Saint - Simon , Retz ... da epistolari , lettere ... mi hanno condotto a interessarmi ai fatti della grande storia francese ... » E il Rinascimento ? « Sì , ho avuto interessi culturali e letterari e di giudizio storiografico ... per gli storici letterati ... la potenza d ' espressione , il senso della verità ... Guicciardini , Machiavelli , Jacopo Nardi ... Però non credo a un Rinascimento politico ... non credo che possa aver dato all ' Italia quello che il valore delle armi e della nobiltà francese ha dato alla Francia ... sempre in esercizio nell ' incontrare la morte ... magari in duello , quando non v ' erano guerre ... Il mio giudizio necessariamente generico per la storia dei Comuni e delle Signorie non ha insomma un carattere idolatra né per gli uni né per le altre , pure ammettendo il carattere di indipendenza eroica del Comune borghese e tessile rispetto all ' ancoraggio dell ' idea imperiale » . E la filologia ? Qui l ' Ingegnere raccomanda di tenere un tono modesto e serio per riguardo agli studiosi specializzati . « ... Uno dei momenti tormentosi della mia modesta e frantumata carriera di scrittore ... Contini per il caso mio molto giustamente parla di " letteratura perduta " , rifacendosi a Proust ... e di un sentimento di frustrazione che starebbe e sta di fatto alla base del mio lavoro e del giudizio che faccio di me stesso ... un fine non raggiunto ... » Ma perché ? Ma come ? L ' Ingegnere scuote la testa , parla di brogliaccio , di macchie d ' inchiostro , di minute confuse e indecifrabili , tossisce , batte le mani sulla tavola , mormora « avevo in mente un programma ... e invece ... solo un avvicinamento a quello che speravo ... tarda riparazione ... citazioni imprecise ... mancato adempimento del compito ... È la questione dell ' espressione ... come un bambino che si preoccupa esclusivamente di far bene il suo compito , mi sono sempre preoccupato di raggiungere non tanto l ' optimum formale " routinier " ( i plurali giusti , le camicie scritte con la "i"...) quanto l ' optimum espressivo ... È chiaro questo , no ? ... È stata infatti usata per me talora come tono d ' accusa o rimprovero la qualifica di espressionista ... Ma io credo che il dovere di un optimum espressionistico incomba a ogni artigiano se non a ogni artista ... al pittore , al sarto , al compositore , e in primis allo scrittore , che maneggia uno strumento assai difficile a possedere e ad usare e cioè l ' idioma ... Ma io ho sentito che in ogni idioma ... lingua o dialetto ... la lingua , che ha dietro di sé una cultura , una scuola , una formazione , un ' accademia , una provenienza da altra lingua madre ... e il dialetto talora con egual provenienza da una lingua madre , come il latino per il dialetto lombardo ... ciò che interessa è la potenza , la tensione espressiva , il voltaggio espressivo ... e indipendentemente dal perbenismo accademizzante a cui si possa essere più o meno vicini ... Non importa se si è prossimi al Rigutini , importa la potenza espressiva ! Quel che accade al dialetto lombardo o alla parlata napoletana rispetto al latino ... e " facite ' a faccia feroce " " è " latino ... da cui entrambi derivano la loro tematica ... gli etimi ... accade anche ad alcune lingue neolatine , le più vive e stupende , il francese e lo spagnolo ... lasciamo il provenzale , che m ' interessa meno ... anche se , vero , per alcuni argomenti , certi discorsi , è ovvio che solo una lingua colta ( il francese , lo spagnolo ) potrà essere usata , anziché un dialetto ... I Nuovi saggi di Leibniz non possono essere scritti in dialetto ... Colloco il dialetto a una stessa possibilità espressiva ... o voltaggio , o altezza ... della lingua , limitatamente agli argomenti di sua pertinenza : il linguaggio di Ruzante o Goldoni non potrebbe essere adatto per un ' opera filosofica ... E mi permetta di chiudere con una piccola chicca ... per usare il suo elegante e italianissimo termine : per dire " vino " , i successivi etimi sono stati nell ' ordine " oinos " , " vinum " , " vino " , " vin " ( milanese ) , " vi " ( bresciano ) ... mentre si dice in bergamasco semplicemente " i " , spaventosa erosione della matrice " vinum " , operata dall ' abominevole dialetto bergamasco , secondo i tromboni moraloni accademici della moralità linguistica ... Senonché nella gloriosa e stupenda lingua del grande La Fontaine e anche di quel Saint - Simon che come dice Sainte - Beuve " écrit à la diable pour l ' éternité " , per dire " agosto " attraverso le successive erosioni di " augustus mensis " si passa da " aoust " a " août " ; e finalmente alla fonazione " u " che come erosione fonetica equivale alla " i " dell ' " abominevole " bergamasco ... » .
StampaQuotidiana ,
Diversi anni fa una poverina , che si firmava « Zagara sicula » , chiese a una rubrica femminile come farsi il suo paltoncino nuovo . « Nessun dubbio , secondo l ' ultimo Harper ' s Bazaar - rispose feroce Irene Brin - : Viola , e con le frange d ' oro ! » . E qualche mese fa , a Ferragosto , il direttore di un rotocalco romano , rimasto in città a lavorare , incontrava in piazza del Popolo un letterato fra i nostri più fini , che gli gridava desolato : « Abbiamo sbagliato ! Sono ' tutti ' in Sardegna ! » . In quel momento , chi aveva lanciato la Costa Smeralda affollata di facoltosi dopolavoristi , stava probabilmente facendo i suoi bagni in un ' isoletta greca solitaria ; mentre le modiste che impongono « allunga ! » o « stringi ! » da una stagione all ' altra , si vestono poi come vogliono , in tutt ' altri modi : un po ' come il pastore maligno che indica il sentiero sbagliato , come la cuoca malvagia che consiglia : « per far bene il sufflé ? dentro la farina di colpo mentre s ' alza ! » . In letteratura si vede lo stesso : mode che si succedono con rapidità sconcertanti , precetti capovolti ogni stagione . E anche qui , da un lato , personaggi definibili ( all ' americana ) « indicatori di strade » , cioè iniziatori di voghe . Dall ' altro , anime candide o snob che li seguono , come una tale signora inglese tanto sfortunata da incontrare in via Cimarosa un gentiluomo palermitano famoso per i suoi brutti scherzi ; e gli ha chiesto dove fosse via Pergolesi . « Dentro questo portone , su quattro rampe , e giù in fondo - le risponde lui - , sembra complicato ma è una scorciatoia » . Lei si fida , e si trova in un appartamento dove lui è già lì pronto e la bastona , per di più svillaneggiandola : « brutta sciocca , e tu vatti a fidare di chi ti dice che per andare da una via all ' altra bisogna salire quattro rampe di scale ! » . Non bisogna dunque dar retta agli agenti provocatori ? Sì , invece , in un ' accademia stagnante come la nostra società letteraria ! Viva , sempre , i sobillatori di coscienze ! Come Pasolini : basta stare attenti a non cadere in tutte le imboscate dove ci trascinano , e ce ne vorrebbero cinquanta come lui , da accompagnare nelle loro avventure ... Una larga sezione della nostra cultura gli ha deferito questo incarico di rischiare , a nome di tutti : perché è vero che - soprattutto letterariamente - chi scandalizza i puri di cuore va sacrificato a nome della collettività ( che è rimasta a casa , a godere e soffrire ) ; però è pur sempre giusto ( « oportet » ) che gli scandali avvengano . E come potremmo non entusiasmarci per l ' efferato virtuosismo di un finto capro espiatorio che detta di anno in anno il « compito a casa » ai suoi adepti - persecutori , li costringe all ' idioma romanesco , li obbliga ai Vangeli , li incatena a Freud oppure agli studi linguistici , se li tira dietro dove vuole , e finisce dopo tutto canonizzato in apoteosi ? Non sempre però si cadrà senza strillare in fondo alla trappola aperta . Ultimamente , per esempio , Pasolini ha dichiarato in un ' intervista al « Giorno » e in una conferenza dell ' ACI di rinnegare certe sue convinzioni di ieri . Ritiene « ancora possibile » il romanzo ; non lo trova più « esaurito come genere » ; soprattutto constatando l ' esistenza di una lingua italiana media « unificata » ( e fino a ieri mancante ) . Una lingua nazionale e non pseudonazionale : basata non più su riferimenti al latino , ma al linguaggio tecnologico dei politici e degli industriali ; e prodotta non più fra Roma e Firenze , ma fra Milano e Torino . Parecchi commentatori si sono già lamentati : che « scoperta » è mai questa ? « Ci troviamo impegolati in un bel pasticcio » , scrive Emanuelli , osservando che sarà giusto abbandonare « l ' italiano borghese e burocratico » . Ma non sarà uno ' stratagemma ' questo « abbandonare anche l ' italiano d ' oggi scoperto poco prima come ' lingua ' nazionale e buttarsi nelle braccia del ' linguaggio ' tecnologico ?...» . Cercando di non franare nell ' autobiografia , come lombardo vorrei osservare qui che non mi sembra d ' essermi mai sentito privo di uno strumento abbastanza moderno e abbastanza duttile per ogni esigenza , che non deve nulla ai dialetti e può fare a meno quando vuole d ' ogni parola straniera . Questa lingua esisteva . E forse si ha torto di prendere per una constatazione di carattere generale , valevole « erga omnes » , quella che probabilmente è una esperienza privata di Pasolini , simile alla « trouvaille » di chi arrivando in Piemonte « scopra » l ' esistenza del barolo e del barbera . Parlando da lettore di Saussure , poi , si potrebbe « lavorare » secondo le leggi della linguistica il concetto di Emanuelli : sostituendo al suo termine di « linguaggio » quello saussuriano di « parola » , per sottolineare il carattere « individuale e momentaneo » della terminologia tecnologica rispetto alla « lingua » che è per definizione un fatto « sociale nella sua essenza e indipendente dall ' individuo » . Come lettore di Carlo Dossi , infine , vorrei suggerire che nelle « Note azzurre » esiste già perfetta e incantevole la lingua « nazionale » secondo « questa nuova angolazione linguistica » vagamente nordista sognata da Pasolini . Manca qualche stilema olivettiano o moroteo , pazienza . Ma è uno strumento affascinante ai fini della narrativa più « moderna » di oggi : quella delle « Note azzurre » stesse . Cioè un romanzo che vede la realtà per elenchi e la cultura per analogie , fa i suoi usi giusti sia dell ' ironia sia dell ' Inghilterra , sia del plurilinguismo , ed è talmente aperto che si può cominciare a leggere in ogni pagina .