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> autore_s:"BOINE GIOVANNI" > anno_i:[1910 TO 1940}
DA 'PLAUSI E BOTTE' ( BOINE GIOVANNI , 1914 )
StampaPeriodica ,
Amalia Guglielminetti , I volti dell ' amore . Treves , 1914 . Sono i volti di cartapecora di un amore blasé fatto fra gente in guanti e colletto spesso imbellettata e bistrata per gli atrii d ' hôtel , in sleeping , a caffè e qua e là nella stazioni climatiche . Novellette ciascuna con un suo caso curioso di gelosia senile , di adulterio compiuto alla svelta , di sentimento molto riflesso , di giochetto acido dove la passione non c ' entra ma il ripicco , il capriccio , o la noia , o la vanità od il calcolo . Arte non ce n ' è : né caratteri né stile ; ci son dei casi indicati rapidamente . I quali non dico non abbiano anche , nel complesso di psicologico verismo che ostentano , la lor verità . Ma senti in fondo a questo sprezzo affettato , a questa elegante aridità di salottaia navigata qualcosa che è non delle novelle ma della novelliera ; l ' ostentazione di sé medesima come femina , l ' esibizionismo . Non ci arrabbiamo mica , né gridiamo allo scandalo . Perché che cosa può importare in fondo ad una donna , dell ' arte e della sua oggettività ? Le donne scrivono ( ed anche molti uomini ) per esibirsi ; come passeggiano per strada o come si scollano a teatro . Il libro prolunga le occhiate , il profumo , il dondolamento dell ' anche , che par via via quand ' è stampato , sentimentalità , spirito , o come qui leggera ironia di blasée , ma mira sempre in conclusione com ' è naturale ed è giusto all ' eccitamento del maschio . - Chiuso uno di questi volumi , questo od un altro , ognuno che veda chiaro dovrebbe concluder fra sé così : " Va bene . E vuol ora , signorina , passar - mi il suo indirizzo ? " . Gli arzigogoli critici , i giudizi , le classificazioni estetiche e storiche son fuor di luogo assolutamente .
DA 'PLAUSI E BOTTE' ( BOINE GIOVANNI , 1914 )
StampaPeriodica ,
Sbarbaro , Pianissimo , ed . Libreria della Voce , 1914 . Quand ' uno vuol dire disperazione disillusa , vuol dire angoscia , dolore , spirituale buio , dice : " pessimismo leopardiano " . Ora io sono arrivato , vivendo , a far dentro di me una tal quale distinzione tra la disperazione , la reale , la corporale angoscia senza più sogno ed il pessimismo parlato , teorico . Del resto è chiaro . Mi son detto : tra il divertimento spiritoso in cui mi titilla nervosa , francese , voltairiana la prosa di Schopenhauer , proprio dove mi dice le cose più amare e più ciniche , cose lucreziane - disperate da " Ecclesiaste " , tra la sua prosa e le sue idee c ' è un salto . Così in Leopardi l ' amaro e lo sconforto sono in tal modo fasciati , intenerati , pitturati di idillica bellezza che in sostanza li ingolli senza accorgetene ; ed è più facile che tu pianga melanconico e dolce che non tu stringa i pugni scuro e corrughi la fronte e le labbra . Cioè , in altri termini , il dolore è qui , nella più parte dei " Canti " un ' imagine , un ricordo più che una ferita aperta . Ora ognun sa che nel ricordo , nella fantasia anche i dolori son dolci . - Direbbe infine un hegeliano che la mediatezza della creazione artistica ha superato qui la immediatezza del dolore bruto . A voler dire le cose proprio come stanno , già lo si sa ch ' io sono un eretico , adde per altro che mica sempre è il realmente artistico che ti solleva e ti libera in Leopardi . Ma viceversa , sebbene spesso si parli della sua greca semplicità , gli è l ' artificio dell ' espressione e l ' antiquato - accademico del fraseggiare che ti raffredda difficile . Perdi il senso d ' un dolore vivo , della ferita sanguinante pel troppo riflesso del dire . Ci son poesie che ti tocca rimasticar due e tre volte prima di averne afferrato il senso letterale minuto : ed anche nella più fusa ed immediata " Il canto alla luna del pastore errante " c ' è per lo meno una strofe quella del vecchierel petrarchesco ch ' io toglierei di peso come inutilmente rettorica . Ma dico in conclusione che nella poesia del Leopardi , questo prepotente bisogno espressivo il quale cercando spesso la più sincera bellezza , inceppa talora , tanto è riflesso , nella letteratura , testimonia di un ' abbondante vitalità , di qualcosa come uno sgorgo di cicatrizzante linfa che è in contrasto coll ' essenziale dolore con l ' aridità disillusa la quale , netta e ragionativa , è affermata qua e là . Perciò il dolore e la disperazione sono nel pensiero del Leopardi preso in astratto , sono più in queste grigie pause di amari filosofemi verseggiati ( e in canti come quelli di Aspasia dove il fantasma quasi scompare e resta il crudo sillogizzare ) che non nel pensiero fatto poesia , divenuto imagine viva . Anche per questi " Canti " che paiono il pessimismo incarnato si direbbe che dove la poesia compare , scompare il dolore ; che il dolore è la china della morte e la poesia il risorgere alla vita ; che la poesia , e anche la leopardiana , è in certo modo sempre canto di gioia : di guarigione , di " risorgimento " , di vittoria sul dolore . Ora ecco qui una poesia , questa dello Sbarbaro , la quale ci appare il meno possibile canto di gioia e di vita , la quale non intoppa mai ricercando la bellezza , nel falso , nell ' abbondevole della rettorica . Poesia della plumbea disperazione , succinto velo , scarna espressione di un irrimediabile sconforto . Leopardi l ' ho ricordato perché leggendo lo Sbarbaro , non so che di Canti vien per echi in mente ; le cose meno lavorate , le " Ricordanze " per es . col loro endecasillabo sordo ed il loro sordo dolore . Questa sordità , questa funebre cenere , questo che di muto e di disadorno è passato dal Leopardi nello Sbarbaro . Ma , sotto , l ' anima è diversa : lo Sbarbaro non piange i sogni svaniti ; - lo svanire dei sogni , la fata morgana , il desiderio insoddisfatto , il farsi forte contro la realtà dura , il gemere per le tristezze di codesta realtà , ed infine il logicizzarla , l ' affermazione quasi filosofica che così è , che purtroppo dev ' esser così , sono i motivi della poesia leopardiana . Qui all ' incontro v ' è uno che dice immediatamente una sua interiore arida solitudine : un terribile buio e vuoto che sente intorno a sé , fra sé e gli altri ; un suo dolore fisso che l ' assorbe , che lo gela , che lo rattrappisce in sé ( occhi di serpe a incantarlo ) quasi come una malia . Qui v ' è uno che finisce , disperato , per compiacersi di questo suo destino ; quasi finisce per volerne l ' esasperazione come chi sepolto in prigione , sdegnoso della vita , batta , a finirla , il capo nel muro . Ora diresti che il canto del Leopardi sia più umanamente vasto , più universale . E qui certo non si logicizza , non si ricerca la ragione e il perché del dolore , né si affermano filosofemi : qui v ' è uno che dice pianamente : io soffro così , il mio dolore è questo . A guardare gli uomini che vivono " provo un disagio simile a chi vede - inseguire farfalle lungo l ' orlo - d ' un precipizio ... " . " Un cieco mi par d ' essere , seduto - sopra la sponda d ' un immenso fiume . - Scorrono sotto l ' acque vorticose " - " io cammino fra gli uomini guardando - curioso di lor ma come estraneo . - Ed alcuno non ho nelle cui mani - metter le mani con fiducia piena " . Una notte il poeta per le vuote vie sente d ' un tratto la sua aridità di macchina senz ' anima ; " A queste vie simmetriche deserte - a queste case mute sono simile - una macchina io stesso che obbedisce , - come il carro e la strada NECESSARIO " . E tutto ciò , sì , non ha riflesse pretese d ' universale , ma certo è ; è spesso vero e così terribilmente , che ciascuno di noi dentro di sé lo confessa vissuto . Ora quando nell ' anima s ' è , come avviene , disseccato il miele della vita , s ' è consumato chissà come , il glutine che ci amalgama alle cose ed agli uomini , allora rimane nel fondo buio , nell ' aridità della interiore solitudine l ' agra feccia del soffrire . Sei allora come una macerata bocca che non abbia gusto più che per l ' aceto ed il tossico . La realtà non è più che d ' aceto e di tossico e per contro alla cecità di coloro che cantano osanna e maciullano bestialmente contenti il loro tozzo di vita , tu stai febbricitante con ciò che soffre , tu infine t ' esalti eroico per la tua stessa morte , tu , come perduto , sei per la ribellione , per ciò che nella disperazione è nudo . E questi versi allora l ' intendi senza commento ; " Mi cresce dentro l ' ansia del morire - senza avere il godibile goduto - senza avere il soffribile sofferto . - La volontà mi prende di gettare - come un ingombro inutile il mio nome . - Con per compagna la Perdizione - a cuor leggero andarmene pel mondo " . Anche questa è di quelle poesie fuor della storia , fuor della tradizione , che a capirla basta il cuore e l ' aver vissuto . Non ci sono ragioni letterarie che la spieghino e nessuna " confessione di un figlio del secolo " me la può dedurre . Rolla imprecava a Voltaire che gli aveva tolta la fede , e De Musset credeva che Waterloo gli avesse strappato le ragioni d ' ogni entusiastica attività . Questi sono gli ironici giochetti della raison raisonnante la quale si para di cause e d ' effetti . Ma io penso , semmai , che ci sono delle cause le quali non mutano , e che ci sono atteggiamenti dell ' anima umana sui quali la storia non può . Sono colpito in questi frammenti dello Sbarbaro dalla secchezza , dalla immediata personalità , dalla scarna semplicità del suo dire : mi par d ' essere innanzi ad una di quelle poesie su cui i letterati non sanno né possono dissertare a lungo , ma di cui si ricordano gli uomini nella vita loro per i millenni .
DA 'PENSIERI E FRAMMENTI' ( BOINE GIOVANNI , 1917 )
StampaPeriodica ,
A tagliare gli ormeggi il vento via ti soffia : Però non si sa dove . Sia per dove sia ! il vento mi strappi via della disperazione ! Però a scrutarmi nell ' oscurità che gemere che smarrimento ! Però a cercarmi nella pietà stringo le mani in contorcimento non so che Iddio scongiuri per esaudimento nella improvvisa ingenuità . Non v ' era luce nell ' opacità ! Curvai le sbarre di questa prigione : verso la liberazione l ' anima ruppe con voracità . Ma porto fu il nulla ! Ormai non ho più nulla da via buttare son nudo fino all ' anima non son che un ' anima tutto son fatto di tristezze amare e di sgomento . Senza meta , e per disperazione reggo contro me in ribellione ma il nulla fa spavento . ( Signore questo rotto corpo , non mi porta ormai non mi conforta pei chiari occhi la sanità del mondo . Qui giaccio qui lento mi disfaccio gemebondo . Oltre del corpo cercai Signore , ansioso le tue porte : sprofondo spento nel disfacimento della morte ) . Con nocche di sangue in cima alla scalea scuoto in angoscia le porte di bronzo : sono un perduto nell ' eternità . Mi abbranco naufrago alla disperazione ; tutto son teso nell ' invocazione ; - di qui qui qui all ' eternità ! - Così lento andando la tristezza m ' è così deserta ! Oh come pesa , oh come chiude questo mantello nero ! Giù tra gli scogli il mare appena fiata , fa gluglù è una bestia che dorme . Finché dal profondo nero orizzonte qua e là veggo le quiete stelle , così lontane e fuor di cruccio ! Proprio ; è un altro mondo ! che subito mi fermo e d ' ogni pena mi stabarro smemorato . A guardarlo questo vago latte delle nebulose che dolcezza ! Così vago che ti stempra , così lieve che non hai più corpo . Qui , a guardare , null ' altro è più che il pacifico stupore . Perché , che cosa dire ? Sono segni senza paragone ; sono al cuore segni d ' un profondo senza nome . Non c ' è che sprofondare .