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VALERIA DOVE VAI? ( Bianciardi Luciano , 1962 )
StampaQuotidiana ,
Disse bene Fellini , giovedì sera , nell ' intervista a tiro incrociato : Zampanò è lui , ma anche Gelsomina è lui , e persino il pesciaccio brutto che alla fine della dolce vita i bagordanti trovano sulla battigia . Del pesciaccio , mentre parlava , aveva anche l ' occhio , ottuso all ' apparenza , in realtà sornione e maligno : una via di mezzo fra il diavolo e il gran inquisitore . Il sacro mostro , lo chiamarono infatti giovedì sera . « Può darsi che io sia decadente , ma allora , non è forse decadente tutta la società che mi esprime ? » Così siamo sistemati , noialtri . Lui è a posto ; come a posto è Marcello Mastroianni , che continuava a somigliare al barone Fefé Cefalù , coi capelli lunghi , untuosi , e le palpebre di piombo . C ' era Daniela Rocca e per un momento rifece la parte della baronessa dall ' animo obeso . A posto anche lei . Ma Valeria Ciangottini ? Nel film , come ricordate , l ' avevano messa a combattere il demonio , a fare l ' angioletto , come quelli - lo diceva il personaggio Marcello - che si vedono nelle vetrate delle chiese , dalle parti sue . In realtà , la Valeria era una ragazzina umbra e parlava come tale , con la cadenza morbida che si sente nella alta val di Tevere . Giovedì sera , invece ... Sedici anni e mezzo , disse , e intenzionata a « fare del cinema » . La voce era una caricatura di birignao , con le vocali sbattute contro il velo pendulo e un sospetto di adenoidi . Studia lingue al liceo internazionale , e i genitori ci tengono , che impari e faccia la brava scolara . Lei li accontenta , poverini , ma continua ad « amare » il cinema . A sedici anni e mezzo già parla così . Datele tempo , e fra dieci anni dirà di peggio . Dirà che vuole impegnarsi di più , poter scegliere e vivere personaggi che ha dentro di sé . Dirà di aver studiato « con furore » e di aver letto molto . Lamenterà il numero troppo scarso dei film « impegnati » che si fanno in Italia . Dirà che il suo vero personaggio è un personaggio attivo « inserito » nel mondo moderno , elle abbia « in sé » la rivolta ma non in senso « gratuito » . Avrà ogni anno offerte assai « interessanti » . Concluderà : « Ho sempre pensato di non sapermi spiegare , anche se a volte son io che non voglio farmi capire » . E naturalmente troverà subito un regista disposto a elevare a canone poetico queste dichiarazioni di ineffabilità . E faranno un film apposta per mostrarci il dramma d ' una giovane donna che ha tante cose da dire ma non le dice . E ci saranno critici pronti a garantirci la profondità del sottaciuto . Ne parlerà la stampa specializzata , specialmente in Francia . E Federico Fellini , che l ' ha tirata giù dalle vetrate della cattedrale starà a guardarla con l ' occhio del pesciaccio , ripetendoci , intanto , che se è decadente lui , la colpa è di noialtri . Ma tu , Valeria , dove vai ? Vuoi proprio finire in bocca al Leviatano ?
CANTA NATALINO ( Bianciardi Luciano , 1962 )
StampaQuotidiana ,
Erano troppo distratti dal bailamme sanremese , coi suoi quarantacinque canterini , così nessuno ha parlato del ritorno ( in Alta fedeltà ) del nostro Natalino . Al secolo Codognotto Natale , classe 1913 , genovese . Me lo fece scoprire , nell ' autunno del quaranta , Carlo Del Canto , studente di veterinaria e , se non ricordo male , figlio di un grosso vinaio di Ponsacco . Faceva avanspettacolo in un cinema di corso Italia a Pisa , in coppia con una bella ragazza , chiamata Maria Jotti . L ' orchestrina la dirigeva un giovanotto lungo e magrissimo , coi baffi neri , di nome Gorni Kramer . « Dev ' essere malato » , mi sussurrava Carlo Del Canto . A quei tempi la magrezza non era mai segno di buona forma fisica , al contrario : infatti era cominciato il razionamento . Con cinque lire ogni settimana si andava a vedere film e avanspetaccolo . Ricordo che c ' erano due comici di stile quasi identico , due piccoletti agili e un poco astratti : sì chiamavano Fredo Pistoni e Renato Rascel . Hanno resistito tutti e due , con diversa fortuna : il primo lo rivediamo ogni tanto allo Smeraldo , il secondo al Lirico . Io ero per Fredo Pistoni . Senza preoccuparsi molto della guerra , i giovani di allora stavan dietro alle canzonette , proprio come i giovani d ' oggi . Tramontava una scuola canora , ne sorgeva un ' altra . Alberto Rabagliati era una stella di prima grandezza , da Teatro Verdi ; alla radio si andava imponendo un ragazzo torinese , Ernesto Bonino , amatissimo dalle giovani italiane ( quelle in camicetta bianca e gonna nera , voglio dire , quelle che avevano fatto la pubertà proprio mentre riappariva l ' impero sui colli fatali ) ; i ben pensanti preferivano il cesellatore ferrarese Oscar Carboni , i cuori solitari andavano in estasi per il baritono Giovanni Vallarino , che a dir la verità , valeva per lo meno quanto Bing Crosby . Noialtri della gioventù bruciata , tutti per Natalino Otto : siamo stati noi a scoprirlo e a lanciarlo . Già suonatore di batteria nelle orchestrino di bordo , piccolo e composto , Natalino aveva il ritmo dentro : non nei piedi , ma nella testa . Senza muovere un dito né un capello , con appena un aggrottare di sopracciglia nei passaggi più ardui , Natalino era capace di fratturare i tempi di una canzone e di ricomporteli secondo un suo estro rigoroso . Sembrava sempre svagato , distratto , e invece era preciso come un metronomo . Lo sentivi partire in un « glissando » da prima tromba , ma potevi star certo che alla fine del suo assolo sarebbe sbarcato esattissimo sulla nota giusta del ritornello . L ' altra sera rifece Polvere di stelle , identica come nell ' autunno del quaranta , quando la sala sembrava venir giù dagli applausi . E anche l ' altra sera ti veniva voglia di battergli le mani o almeno di dirgli : si faccia rivedere , signor Codognotto , perché è sempre il più bravo .
UN AMICO AUTOREVOLE ( Bianciardi Luciano , 1954 )
StampaPeriodica ,
Eravamo tutti contenti ed orgogliosi , quando Mino fu chiamato a Milano : ed in verità fa sempre piacere che per un lavoro importante , com ' era quello , avessero scelto proprio uno di noi , della provincia , la provincia che tante energie ha dato alla città , alla nazione , senza nulla ricevere o chiedere in cambio . Così , appunto , diceva Mino , ogni volta che la discussione ( e capitava spesso ) cadeva su questo punto . Poi ci dispiacque , perché il vuoto era incolmabile . Ora chi avrebbe ricevuto gli intellettuali , quelli di Firenze o di Roma , quando venivano per una conferenza , per esempio ? Chi ci avrebbe organizzato , in poche parole , la vita culturale ? Mino era stato un personaggio , in città , fin dagli anni del ginnasio ; al liceo addirittura riuscì a fondare una rivista , con un bel nome etrusco sulla copertina , che faceva un bell ' effetto . Una volta , ricordo , non avevo i soldi per comprare il numero due , della rivista . Andai alla redazione , che era in casa di un certo Bianchi , chiesi se me la prestavano , ma loro dissero che non avevano tempo da perdere con i ragazzi ( avevano tutti tre o quattro anni più di me ) e che me ne andassi . Mino , invece , il giorno dopo mi fermò e mi disse : « Scusa , per ieri sera , sai , e passa da me , verso le quattro . Vedremo se si può fare qualcosa » . Così tutti gli volevano bene , anche perché era serio , opportuno , attento a quel che diceva ; mai apriva bocca a caso . Il sindaco lo stimava , e si faceva scrivere da lui i manifesti di maggior impegno , quelli per la festa degli alberi , per esempio . Il federale anche , sebbene non fosse ignoto a nessuno l ' antifascismo dottrinario di Mino . « È un bravo ragazzo » , diceva il federale , « e poi , culturalmente , è un valore . Bisogna lasciarli un po ' stare questi intellettuali . » Così era ovvio che , morendo il vecchio prete bibliotecario , il posto , una volta laureato , toccava a lui ; ed anche qui Mino si distinse , le riviste specializzate gli chiedevano la collaborazione , ai congressi non mancava mai e prendeva ogni volta la parola , preciso , puntuale , breve . Ed intanto preparava il saggio . E poi partì per Milano . Ed era naturale : gente come lui non può restare qui , e poi lassù si sarebbe fatto una posizione , certamente . « Faglielo vedere , tu » , gli dicemmo alla stazione , « che gente nasce in provincia . » Ogni tanto vedo Mino , ed ormai son passati cinque o sei anni da quando se ne andò . Ogni volta lo trovo più pingue , stempiato , ma in fondo è sempre lo stesso . Lo incontro , di solito , negli atri degli alberghi dove si tengono conferenze culturali , dibattiti , convegni , premi letterari . Mi riconosce subito , e mi viene incontro , sorridente , con la mano tesa : « Ciao , caro » , mi dice sempre , « come va ? Cosa fai di bello ? E laggiù da voi cosa fate ? » . Io gli spiego tutto per filo e per segno , e lui mi sta ad ascoltare , assentendo col capo . E quando mi lascia mi stringe ancora la mano : « Ciao , caro , scusami ma ho da fare . Ci vediamo dopo . E scrivimi qualche volta » . Io gli scrivo , infatti , lunghe lettere dove gli racconto quel che succede in provincia , e gli chiedo consigli , per una iniziativa , o gli propongo di venire a fare qualche conferenza , su Graham Greene , per esempio , o su Moravia . E lui risponde sempre . Scusandosi perché è tanto occupato , ha da fare . Prepara il saggio . Di lui sento parlar bene da tutti : « È un giovane critico su cui possiamo contare . Prenderà il posto di Pancrazi » . L ' ho ritrovato quest ' estate in un albergo balneare , dove assegnavano un premio : era nella giuria . Mi venne incontro lui , anche questa volta , sorridente e con la mano tesa : « Ciao , caro , come va ? Tua moglie ? Avete bambini ? E cosa fate , laggiù da voi ? » . Io gli rispondevo puntualmente : sto bene , anche lei sta bene , sì ne abbiamo uno di cinque anni . E laggiù , si sa , la solita vita , la provincia ; almeno fosse tornato lui , qualche volta , a farci una bella conferenza su Moravia o su Graham Greene . « Eh , caro , cosa vuoi farci , gli impegni , il lavoro . Anzi , scusami , ho da fare , ci vediamo dopo » . Rimasi lì tre giorni , e lo vedevo sempre affaccendato per l ' atrio dell ' albergo , guardandosi attorno , sorridente . Prima di partire mi chiamò : era con Diego V . « Permetti , Diego » disse , « ti presento questo giovane , un bravo giovane , un certo ... » e dopo una breve pausa disse il mio nome . Mi fece anche un sacco di elogi , ed io un po ' , per la verità , mi vergognavo e tenevo gli occhi bassi . « È un bravo giovane , che vive in provincia , ha fatto molto bene , laggiù . » E continuava gli elogi . « Eh , caro Diego , noi spesso abbiamo il torto di ignorarlo , un grosso torto , ma in provincia si fanno tante cose belle , veramente » .
LE PENNE DELLA EDISON ( Bianciardi Luciano , 1955 )
StampaPeriodica ,
È in distribuzione , in questi giorni , il numero speciale , natalizio , di Colloqui . E il numero 8 : sin dallo scorso aprile la rivista è giunta nelle case milanesi gratuitamente , una bella rivista , con molte fotografie e scritti interessanti . Piacciono soprattutto , al pubblico , gli articoli dedicati alla vita cittadina , alla Milano di un tempo , agli spettacoli lirici e di prosa . Spesso il pubblico si chiede anche chi invia gratuitamente il fascicolo ogni mese , ma non ha mai trovato una risposta definitiva ; non riesce nemmeno a spiegarsi chi possa avere dato nomi e indirizzi alla direzione . Il valore di mercato dell ' omaggio ( trentaquattro pagine a colori ) non dovrebbe essere di molto inferiore alle cinquanta lire : il suo pubblico comprende almeno duecento o forse trecentomila persone , praticamente tutte le famiglie che usufruiscono dei servizi di luce e gas della Edison . Gli indirizzi , evidentemente , son quelli delle bollette mensili , ed il presunto omaggio ha in realtà un costo invisibile , ma nascosto proprio dentro le sibilline colonne della bolletta . In realtà anche il lettore attento stenta a comprendere la provenienza di Colloqui . Il nome della Edison , con l ' avvertenza che la rivista non è in vendita , compare solo , in minuti caratteri , in fondo al sommario , in seconda di copertina . Al massimo può accadere di imbattersi ( e nel numero 2 ) in una lettera del direttore ad Antonietta , figlia di alluvionati calabresi , una lettera che ricorda le scoperte che la bambina ha fatto « allora » : « la minestra di riso , le magliette di lana azzurra , le docce ( che emozione la prima volta ! ) , i libri delle favole , il cinematografo » . Dove , quando , perché queste scoperte ? Una minuta didascalia , in fondo alla pagina , avverte : « La società Edison ha ospitato , nella sua colonia di Suna , 200 bambini provenienti dalle zone alluvionate della Calabria » . Una caratteristica importante della rivista , dunque , è l ' abilità con cui i finanziatori evitano di mostrarsi allo scoperto , quasi per invitare il lettore a far da sé la sua scoperta , a poco a poco . Anche le connessioni dirette con la precedente attività della Edison , son molto larghe ed approssimative . Un articolo sull ' ufficio reti della Edison ( è nel numero 6 ) , oltre a non citare mai la società , è condotto col tono della cronaca di varietà , vivace , con qualche civetteria letteraria . Ogni numero contiene del resto uno scritto sull ' elettricità o sul gas , e la pagina dell ' arredamento insiste spesso sui criteri e sui mezzi migliori di illuminare la casa : luci indirette , paralumi a parabola e tubi catodici . Ma tutto a piccole dosi e non più di quanto all ' argomento dedichino i normali settimanali illustrati , dei quali Colloqui segue quasi costantemente la falsariga . E la ragione è chiara : il direttore , Enzo Biagi , è anche caporedattore di Epoca e della maggior rivista segue costantemente schemi e criteri . La caratterizzazione specifica è data , semmai , da un più accentuato tono cittadino , non manca mai ( anzi , è quasi sempre quello d ' apertura ) l ' articolo sulla vita di Milano , sulla storia della città , sugli spettacoli alla Scala o negli altri teatri . Ogni numero contiene una novella , di solito ben illustrata . I nomi che ricorrono son piuttosto grossi , sicuri : Corrado Alvaro , Achille Campanile , Alba De Cespedes , e , fra i giovani , Michele Prisco , Vittorio Pozzo e Bruno Roghi hanno lo sport , Domenico Meccoli il cinema , Eligio Possenti il teatro . Gli articoli di cronaca portano firme come quelle di Titta Rosa , Orio Vergani , Giovanni Comisso , Filippo Sacchi , Giorgio Vecchietti , Enrico Emanuelli e , naturalmente , Indro Montanelli . Nell ' ultima pagina c ' è una rubrica fissa , infortunistica . Si intitola Le avventure di Elettrino , un pupazzetto costantemente alle prese con cavi e apparecchi elettrici . Per mezzo di sei o sette vignette con didascalia ritmata si spiega all ' utente , poniamo , che è pericoloso cacciar le dita in una presa di corrente , o addormentarsi con il gas aperto . In questi ultimi tempi i giornali della sera son stati pieni di notizie su gente intossicata dal gas , e la causa , che tutti ammettevano , era una sola : il cattivo stato delle tubazioni , ormai vecchie di decenni . Vero è che quei giornali evitavano di nominare la società che distribuisce il gas ; ma l ' opinione pubblica è , a dir poco , risentita contro la Edison , la quale deve in qualche modo far fronte alle pretese sempre più decise del pubblico . Ma ci son forse altre ragioni , meno contingenti , non dissimili da quelle che hanno indotto molti industriali del nord a farsi mecenati di cultura , a comperare giornali in pura perdita , a elargire premi agli artisti . È insieme un abbozzo di politica culturale , di tipo chiaramente riformistico , e un « magnificent hobby » : i nuovi principi che non possono più comprarsi un blasone , comprano una squadra di calcio , o un mazzetto di intellettuali , per farsene una corte . Da qui il tono generale della rivista . Il lettore non è mai infastidito da problemi veri : anche quando si parla di scienza , il piano è quello della divulgazione piacevole e brillante ; i consigli sulla casa e sull ' allevamento dei bambini hanno un sottinteso fondo ottimistico ; i cenni a esperimenti , scoperte , innovazioni straniere , son sempre scelti dall ' industria e dalla scienza americana . L ' America , anche qui , è il paese di Dio . Quanto all ' altra parte del mondo , non se ne parla mai . La rivistina avrà senza dubbio uno sviluppo , uscirà dalla genericità di oggi , prenderà posizione , abbiamo sempre visto questo cammino , nei vari « digest » ( la formula fondamentale è quella ) ; ma non è facile dire , per ora , quale sarà il suo effetto sugli utenti .
LETTERA DA MILANO ( Bianciardi Luciano , 1955 )
StampaPeriodica ,
Carissimi , dovevo proprio raccontarvi una volta o l ' altra , quel che ho visto e quel che ho capito , in questi primi sei mesi milanesi , soprattutto sentivo e sento il bisogno di esporvi , di questo bilancio , la parte negativa , la più grossa , di dirvi insomma quel che non ho capito , o addirittura non visto . Voi sapete bene che cosa ero e che cosa facevo , prima di venire quassù . Sono nato e sono vissuto in provincia , per trent ' anni , e proprio nel momento in cui un uomo sui trent ' anni si trova di fronte alla solita inevitabile crisi ( di crescenza , speriamo ) ho fatto il salto , sono venuto a lavorare quassù . Posso dire di conoscere e di aver capito la mia provincia , la Maremma . Si è già detto che la provincia , come campo d ' indagine , offre notevoli vantaggi rispetto alla città : è un campo d ' osservazione assai più semplice e ristretto . Le sue linee strutturali sono in genere nette e schematiche , mentre nella città esse sono , innanzi tutto , più numerose , e poi intrecciate , accavallate , coincidenti a volte . Anche per un uomo sostanzialmente comune , quale io sono , non è stato difficile , nella provincia in cui sono nato e cresciuto , capire abbastanza chiaramente , pur senza la scelta d ' un partito politico , come stanno le cose , in Italia , chi ha ragione e chi ha torto . Nel caso mio hanno ragione i badilanti , e hanno ragione i minatori , hanno torto i latifondisti , e ha torto la Montecatini . Basta muoversi appena un poco , vedere come questa gente vive ( e muore ) e la scelta viene da sé . Sui libri si troverà , semmai , la conferma di quel che si è visto e di quel che si è deciso , e si stabilirà , da allora in avanti , di servirsi dei libri per aiutare chi ha ragione ad averla nei fatti , oltre che nei diritti . Non c ' è dubbio . Perciò , quando mi proposero di venire quassù , io mi chiesi se era giusto lasciare i badilanti e i minatori , della cui vicinanza sentivo molto il bisogno e il significato . Non solo , pensai anche che la lotta , quassù , si poteva condurre con mezzi migliori , più affinati , e a contatto diretto con il nemico . Mi pareva anzi che quassù il nemico dovesse presentarsi più scoperto e visibile . A Niccioleta la Montecatini non ha altra faccia se non quella delle guardie giurate , povera gente che cerca di campare , o quella del direttore , un ragazzo della mia età , che potrebbe aver fatto con me il liceo , o giocato a pallone . A Milano invece la Montecatini è una realtà tangibile , ovvia , cioè si incontra per strada , la Montecatini è quei due palazzoni di marmo , vetro e alluminio , dieci , dodici piani , all ' angolo fra via Turati e via della Moscova . A Milano la Montecatini ha il cervello , quindi dobbiamo anche noi spostare il nostro cervello quassù , e cercare di migliorarlo , di farlo funzionare nella maniera e nella direzione giusta . Così ragionavo , e per questo mi decisi . Mi avevano detto che avrei trovato una città dura , chiusa , serrata . Milano è forse l ' unica città d ' Italia in cui i portoni sulle strade si chiudono contemporaneamente e inderogabilmente alle dieci di sera . E si chiudono sul serio , di dentro e di fuori , sì che senza chiave non solo non si entra , ma nemmeno si esce di casa . Milano è la città d ' Italia in cui forse è più difficile che sorgano rapporti umani costanti e profondi : provate a viverci qualche tempo ( diciamo come me , sei mesi ) e vedrete quante poche volte una famiglia di conoscenti vi inviterà a cena , o a prendere il caffè . Anche visivamente : Milano è una sorta di labirinto di griglie scure , fra le quali scorrono lunghe , eguali , monotone le strade . Le strade che quassù , a differenza di tutte quelle d ' Italia , non sono luoghi , ma strumenti , rotaie su cui si viaggia a velocità notevole , è vero , ma uniforme . Ed è questa la ragione per cui il traffico , molto più denso rispetto a quello romano , finisce col non avvertirsi , e col dare la sensazione della solitudine e del silenzio . Ma questo è colore . Altre cose , e più importanti , si vedono assai presto . L ' assenza , palese , degli operai . Gli operai non ci sono , almeno in quella Milano che è compresa nel raggio del movimento mio e dei miei colleghi , non entrano mai nel nostro rapporto di lavoro . Gli ultimi operai che ho visto , nel giugno scorso , erano quelli di Sesto . E inatti sono a Sesto , a Monza , alla Bovisa , a Niguarda , non qui . Qui ci sono i ragionieri . Guardate bene , non è il solito termine folcloristico di comodo . Voglio dire proprio i ragionieri , quelli col diploma : come si spiegherebbe , altrimenti , proprio a Milano , una istituzione come l ' Università Bocconi ? Provatevi a pensarla a Roma : a Roma , semmai , sarebbe pensabile un ' ipotetica università per soli funzionari ministeriali . E sono questi , i ragionieri , che fanno il tono umano della città , quelli che incontrate in tram , per strada , la mattina alle nove , che camminano allineati e coperti , con la loro divisa , il completo grigio , la camicia bianca , la cravatta azzurra . Sono quelli che , borsa di pelle sotto il braccio , la mattina , accanto a voi nel bar , si « tirano su » col bicchierino di grappa , la faccia scavata sotto le occhiaie da un solco diritto che raggiunge gli angoli della bocca ( è la « faccia milanese » , dicono ) . Ma nessuno di loro , fra l ' altro , è milanese . Anche nel parlare voi lo avvertite , in quell ' anonimo birignao assai diverso dall ' asciutto e saporito dialetto che raramente , e con gioia , accade di sentire . Non sono milanesi . Direi che almeno due terzi di questo milione e mezzo di milanesi non sono nati qua , sono venuti dalla provincia , vicina e lontana ( i « napoletani a Milano » sono ormai un luogo comune ) e sono venuti perché a Milano « gh ' è el pan , gh ' è la grana » , i soldi , l ' industria . Loro l ' industria non la vedranno mai , faranno parte della Milano interna ( ripeto , l ' unica che io e i miei amici possiamo toccare con mano , ogni giorno ) , della Milano che non produce nulla , ma vende e baratta . Questi milanesi di accatto , che sono la maggioranza , sono venuti a costituire la burocrazia del commercio , una burocrazia assai poco nota e visibile , ma molto peggiore di quella ministeriale , romana , perché più di questa superciliosa e arrogante : non solo , ma anche superba del suo mito . Quando a Roma la gente , di tipi simili , dice « fanatico » , inavvertitamente mette in chiaro il fondo mentale monologico , religioso , che sostiene il loro costume . Come non ho visto gli operai ( e i preti . Questo anche , già detto fra parentesi , vorrei che gli amici milanesi mi chiarissero : perché a Milano non si vede mai un prete in giro ? Che il rito ambrosiano sia qualcosa di più di una particolare liturgia ? ) , come , dicevo , non ho visto gli operai , così non ho ancora visto gli intellettuali . Li ho visti , s ' intende , e li vedo ogni mattina , come singoli , ma mai come gruppo . Non riescono a formarlo , e ad influire come tale sulla vita cittadina . L ' unico gruppo in qualche modo compatto è quello che forma la desolata « scapigliatura » di via Brera . Gli altri fanno i funzionari d ' industria , chiaramente . Basta vedere come funziona una casa editrice : c ' è una redazione di funzionari , che organizza : alla produzione lavorano gli altri , quelli di via Brera , che leggono , recensiscono , traducono , reclutati volta a volta , come braccianti per le « faccende » stagionali . Vi ho detto che persino quel che mi pareva chiaro , la posizione del nemico nei palazzoni di dieci piani , fra via Turati e via della Moscova , a Milano non mi è parso più tanto chiaro . Perché qui le acque si mischiano e si confondono . L ' intellettuale diventa un pezzo dell ' apparato burocratico commerciale , diventa un ragioniere . Fate il conto di quanti scrittori , giornalisti , pittori , fotografi , lavorano per la pubblicità di qualcosa . Quella pubblicità , guardate bene , che insegna che si ha successo nella vita , e negli affari , usando quel lucido da scarpe e quel rasoio elettrico , comparendo bene , presentandosi bene . Appunto perché questa non è la Milano che produce , ma quella che vende e baratta , e in questa società si vende e si baratta proprio presentandosi col volto ben rasato , le scarpe lucide ecc. Per questo una delle preoccupazioni maggiori degli intellettuali , di questi intellettuali , è proprio quella di ben comparire , di non fare brutte figure . Per questo non si sbilanciano , non danno giudizi definitivi , non si aprono , non dicono sciocchezze ( come tutti amiamo fare , perché è la maniera , o almeno una maniera , per dire anche qualche cosa seria ) . Per questo , qui fra noi , è così frequente la figura dell ' autorevole . E ci sono anche altre cose , peggiori e più tristi , di cui ora non voglio parlare , e di queste cose tristi c ' è persino la teorizzazione . La lotta per la vita , dicono , il rapporto delle forze , resistenza come una grande scacchiera su cui tutti ci muoviamo , e su cui è necessario « mangiare il pezzo » che sta sulla casella che piace a noi . Non li credo in malafede , tutt ' altro . E nemmeno li credo fatui e privi di problemi . Anzi ! In questi sei mesi la parola problema è quella che più di tutte ho sentita dire . Mi è capitato , dopo ore di discussione collettiva , di sentire un collega intervenire osservando : « lo penso che il problema sia un altro » . Esiste insomma persino il problema del problema . Cioè esiste , soprattutto , una notevole confusione . E questo è male , perché , al l ' opposto , chi dirige la burocrazia commerciale milanese , chi dirige ragionieri e funzionari ( anche gli intellettuali , perciò ) sa invece assai bene quello che vuole ; non solo , ma va a nozze quando vede la confusione che c ' è dall ' altra parte . ... E questo è male . È male perché , se le cose continuano così , là dalle mie parti i badilanti continueranno a vivere di pane e cipolla , i minatori a morire di silicosi odi grisou . Ora , mi pare chiaro che non può continuare a essere questa la nostra funzione . In termini politici ( e scusate se li adopero male , ma questo non è il mio linguaggio ) si direbbe : il capitale milanese agisce in senso riformistico e provoca il distacco , non di rado l ' ostilità aperta fra la piccola borghesia e la classe operaia . Compito degli intellettuali moderni , e veri , dovrebbe essere quello di tentare la composizione di queste forze ingiustamente divise . Insomma i ragionieri non dovrebbero più pensare che i tranvieri o gli operai di Sesto hanno torto , quando scioperano . Non dovrebbero più rispondere « mica male » quando chiedete loro come va la vita . E toccherebbe a noi far capire a questa gente che ha torto , e che han ragione gli altri e che la vita va proprio male . Ma se noi continuiamo a vivere nel centro , se continuiamo a vivere accanto ai ragionieri , come i ragionieri , mentre gli operai sono alla Bovisa , o a Niguarda , come potremo fare il nostro lavoro ? lo vorrei proprio che voi , amici romani , mi spiegaste , più semplicemente che potete , come si deve fare . Vorrei che me lo spiegassero gli amici milanesi , soprattutto . E che non mi rispondessero , per carità , cominciando a dire che « il problema è un altro » . No , il problema è proprio questo . Ogni volta che torno a Niccioleta mi convinco che è proprio così .
IL MONOPOLIO DOLCE ( Bianciardi Luciano , 1955 )
StampaPeriodica ,
Il panettone cominciò a diffondersi fuori di Milano dopo il 1930 , e un ' accorta campagna pubblicitaria lo lanciò appunto in quegli anni , che erano anni di autarchia , come « il dolce degli italiani » , uno slogan nazionalistico a cui si affiancava l ' altro , misticheggiante , del bianco natale , col presepe e le pecorelle . Motta riuscì a far questo . Riuscì a far credere agli italiani che il panettone fosse il loro dolce ( tanto vero che potevano concederselo solo una volta l ' anno , a quel prezzo ) e riuscì anche a convincerli che esso faceva parte di una tradizione , che di fatto non esisteva . E il panettone , un dolce inventato nel 1919 e lanciato negli anni trenta , invase il mercato bruciando letteralmente altri dolci , che avevano davvero una loro tradizione : si pensi al panforte senese o alla cassata siciliana . Quanto a Milano , Motta si trovava veramente di fronte a un dolce tradizionale : si parla , quanto alle origini del panettone , di tempi distanti almeno cinque secoli . Solo che il panettone di un tempo aveva forma , aspetto e struttura assai umili e popolari : rotondo , ma basso e poco sfocato , pareva né più né meno , una pagnotta casalinga . Angelo Motta era venuto a Milano negli anni precedenti la Prima guerra mondiale , come garzone di fornaio ; nel dopoguerra si era già fatto un forno proprio ; tutti i forni di allora , sotto le feste di Natale , facevano il panettone , e di solito lo regalavano ai clienti più affezionati . Motta fiutò le possibilità commerciali di questo dolce , e lo rifece di sana pianta . Ne cambiò la forma : fece cuocere la pasta tenendola stretta in una specie di canestro di carta spessa , in modo che , lievitando si sviluppasse in altezza e prendesse quell ' aspetto lussuoso e troneggiante , che ha ancora oggi . Lo arricchì di uvetta e di frammenti di candito : la trovata ebbe successo e Motta cominciò ad aprire un negozio più grande , poi ad acquistarne un altro , poi un altro ancora . La guerra , anzi , il dopoguerra , gli aveva portato fortuna , grazie anche alla sua innegabile abilità di orientarsi nella confusione del mercato nero . Intorno al '30 era in grado di affrontare il mercato nazionale . Aveva industrializzato il panettone , fino ad allora prodotto solo artigianalmente . Molto più recente è la scoperta , da parte di Motta , di un ' altra « tradizione » italiana : quella della colomba pasquale , un prodotto assai simile al panettone ( si tratta in entrambi i casi di pasta lievitata ) . Recentissimi , postbellici , sono invece i gelati da passeggio e le « caramelle col buco » , di cui Motta ha l ' esclusiva per tutta l ' Europa ; non è stato possibile inserire gli uni e le altre in una qualche « tradizione italiana » e oltretutto non sarebbe nemmeno stato troppo utile ; in tempo di inondante americanismo , conveniva meglio di parlare di ice cream e di life savers . Motta , come si è detto , ha in mano il complesso più grande , ma non ancora il monopolio : solo a Milano esistono 95 imprese a carattere industriale , con oltre 6000 dipendenti , e alcune di esse hanno un peso non trascurabile : si pensi a Besana , a Frontini , a Zaini , alla Ligure Lombarda , alla Dulciora e soprattutto ad Alemagna . Alemagna , da buon secondo , ha sempre adottato la strategia di seguire pedissequamente Motta in ogni innovazione : dopo Motta , e sul suo esempio , ha lanciato successivamente il panettone , la colomba , il gelato da passeggio , e la caramella , questa volta senza buco , ma pur sempre di importazione americana : si chiama charms . Alemagna ha in Milano cinque negozi , ma cerca di rifarsi nella qualità e nella mole . Attualmente , per ampliare il suo negozio in Galleria , ha comprato il Vittorio Emanuele , il vecchio bar degli sportivi milanesi , pagando , a quanto si dice , 250 milioni solo per la licenza di esercizio . Gli arredamenti di Alemagna passano , per il pubblico medio milanese , per i più fastosi ed eleganti , non senza qualche pretesa culturale . Per fare un esempio : ora che a Milano è aperta una mostra dell ' arte etrusca , Alemagna ha esposto , nelle sue vetrine di via Manzoni , certe torte glassate con la riproduzione dell ' Apollo di Vejo e di dipinti tarquinesi . Fece un certo rumore a Milano , l ' accesa polemica , con conseguenze giuridiche tuttora in corso , fra Motta e Alemagna a proposito del premio Oren . Fu sotto Natale : la Oren , che è una fantomatica associazione parigina o americana , scrisse prima a Motta e poi ad Alemagna offrendo un premio mondiale per la migliore industria dolciaria . Il premio consisteva nell ' attestato di questa superiorità assoluta : Motta , a quanto pare , fiutò il « bidone » e non abboccò ; Alemagna invece accettò il titolo mondiale e ne fece ampio uso per il lancio natalizio . Motta allora denunciò sulla stampa il fatto e citò la ditta rivale per concorrenza sleale . Ma a ben guardare , se c ' è una lotta dei due grandi contro la produzione minore , e specialmente contro quella artigianale , che lentamente è costretta a vedere ed a partire , tranne che su questo piano minore e con un certo piglio sportivo , sul piano del negozio più bello e del titolo mondiale ( che servono soprattutto alla propaganda ) , Motta e Alemagna finiscono in realtà per agire , se non in perfetto accordo , almeno su linee parallele : non esistono per il momento possibilità di creare il monopolio assoluto , quindi è meglio coesistere e tirare a campare . Basta guardare i prezzi dei prodotti . È difficile calcolare quali siano i profitti del maggiore complesso di produzione dolciaria milanese . Le denunce di Motta sono cresciute in questa misura , negli ultimi anni : 22,23 milioni nel 1949; 30,13 nel '51; 52,62 nel '52; 63 nel '53 . L ' ultima denuncia recava per Motta 112 milioni di lire . Ma tutti sanno che cos ' è in italiano la denuncia dei redditi : nel 1952 Motta destinava al fondo ammortamenti d ' azienda 704 milioni . Una cifra palesemente sproporzionata e contestata dal fisco . Ma anche allora Motta se la cavò , girando 65,4 milioni sotto la voce « fondo di riserva straordinaria » . L ' anno successivo , con 63 milioni di utili denunciati e distribuiti , Motta destinava al fondo ammortamenti 407,2 milioni , girandone poi alla riserva straordinaria 65,7 . Sempre nel '53 , ha investito 640 milioni nell ' impianto di nuovi macchinari , seguendo in questo caso la redditizia tecnica degli auto - finanziamenti . Non molto diverso è il comportamento delle altre grandi aziende . È chiaro che la politica commerciale dei dolciari milanesi mira a realizzare i maggiori utili col minore sforzo . Non impressionino gli 80mila quintali di paste lievitate prodotte da Motta nel 1953 . Nei grossi capannoni di viale Corsica 21 Motta ha gli impianti più moderni e più potenti d ' Europa . Può produrre nelle 24 ore 1.200 quintali di panettone , il che significa che la produzione annua potrebbe essere più che quadruplicata rispetto alla media attuale , se si utilizzassero in pieno tutti gli impianti . In realtà , la produzione piena si ha soltanto per due mesi all ' anno , a Natale e a Pasqua , quando Motta assume dai 1.800 ai 2.000 lavoratori stagionali . Il panettone potrebbe entrare sul mercato a prezzo fortemente inferiore se con la utilizzazione integrale degli impianti si arrivasse a una produzione di massa , e se si riducessero insieme le notevoli spese della confezione . In questo modo cesserebbe la triste condizione degli « stagionali » e il panettone , non più dolce « tradizionalmente natalizio » potrebbe comparire sulle nostre mense almeno una volta al mese . Si pensi per esempio , che il consumo annuo di dolciumi ( genere voluttuario e perciò soggetto a tasse assai gravose ) è in Italia , di chilogrammi 2,7 a persona , quantità irrisoria rispetto ai 28 chilogrammi degli inglesi e ai 35 degli statunitensi . Come si è detto , esistono a Milano 95 imprese dolciarie a carattere industriale , con più di 6000 operai impiegati , oltre ad aziende minori , a carattere artigianale e familiare ; un quinto , insomma , dell ' intera attrezzatura nazionale . I complessi maggiori sono , evidentemente , quelli di Motta e di Alemagna . Il primo impiega mille operai fissi , con regolare contratto , 350-400 assunti con contratto a termine , rinnovabile di tre mesi in tre mesi , e circa 2.000 stagionali , assunti per quaranta giorni a Natale o a Pasqua : in maggioranza si tratta di donne , che provengono da tutte le categorie , ma soprattutto casalinghe . Alemagna impiega 500 operai fissi , 300 con contratto a termine e 1500 stagionali . Le altre imprese hanno maestranze molto inferiori : sui 450 alla Dulciora , sui 200 alla Zaini e alla Ligure Lombarda , poco più di cento alla Befana e alla Frontini . Sulla divisione fra gli operai fissi , quelli a termine e gli stagionali , fa leva soprattutto il padronato : i lavoratori che hanno un vero e proprio contratto di lavoro formano appena un quarto dell ' intera maestranza , e sono perciò un gruppo relativamente privilegiato , rispetto agli altri . Quelli con contratto a termine lavorano sotto la continua e pressante minaccia di non vederselo rinnovare , e nella vana speranza di essere assunti come stabili ; gli altri , gli « stagionali » sono una sottocategoria raccogliticcia , una specie di bracciantato industriale reclutato per le « faccende » natalizie e pasquali . La vita sindacale è sporadica e incerta : lo stabilimento di Motta solo da un anno ha una Commissione Interna , composta di due operai aderenti alla CGIL , tre alla CISL e due eletti su una lista « indipendente » , cioè padronale . Solo dal 1954 c ' è qualche segno di ripresa dopo il famoso sciopero di 75 giorni nell ' estate del '48 . Gli operai erano entrati in agitazione per protestare contro la minaccia di duecento licenziamenti : ebbero la peggio e Motta , per rappresaglia , finì con licenziarne ben 850 . Fu un fatto enorme , che impressionò anche il padronato del settore : dopo di allora per sei mesi non ci fu più un licenziamento nella categoria degli alimentaristi . Del resto Motta ( o forse per lui il consigliere delegato , dr. Ferrante ) si è sempre distinto per la particolare durezza della sua politica aziendale , mentre Alemagna preferisce ricorrere ai metodi paternalistici . Sotto le feste del Natale scorso , mentre la categoria era impegnata nel rinnovo del contratto nazionale di lavoro , gli operai entrarono in agitazione per ottenere un miglioramento salariale . Alemagna ha acconsentito , concedendo spontaneamente aumenti orari dalle 5 alle 25 lire , sia ai lavoratori fissi , che a gran parte di quelli a termine ; ma intanto faceva diffondere la voce che non avrebbe gradito una interruzione del lavoro proprio in quel periodo di punta . Motta , dal canto suo , fece soltanto promesse . I suoi metodi sono improntati alla più rigorosa sorveglianza , alla persecuzione e alla rappresaglia , specialmente a danno degli aderenti alla CGIL , i quali vengono spesso esclusi da eventuali aumenti e migliorie e isolati dagli altri operai , mentre rapide carriere sono aperte ai membri della Commissione Interna eletti nelle liste della cast , o in quelle padronali . Un notevole numero di lavoratori sono impiegati nel settore vendite di Motta e Alemagna , il primo ne ha alle sue dipendenze circa un migliaio inquadrati in un complicato sistema di qualifiche : barista , gelatiere , banconiere , cantiniere , caffettiere , spillatore , ecc. un complesso di quaranta voci che corrispondono ad altrettante gradazioni di stipendio : dalle 17.498 lire mensili dell ' apprendista inferiore ai sedici anni , alle 66.631 del direttore di categoria A . Nel settore vendite la pressione del padronato è ancora più accentuata . Essa si fa forte proprio di questo sminuzzamento della categoria in gruppi minimi che è facile dividere e contrapporre . Il direttore di un bar ha alle proprie dipendenze non più di 20 o 30 persone , delle quali sa tutto e sulle quali può esercitare una vigilanza continua e diretta . Il personale di una bar è composto quasi completamente da ragazze che provengono in generale dalla piccola borghesia o da famiglie operaie esposte quindi , in una città come Milano , alle facili sollecitazioni dei miti dell ' esistenza in una società « moderna » . Gelosie , rivalità , piccoli ricatti , soprusi ; difficile che in un ambiente simile nasca la solidarietà , e di conseguenza il personale è nettamente scoperto , sprovveduto , esposto alle pressioni padronali . Assai scarsa la partecipazione alla vita sindacale : qualche iscritto alla CGIL , le altre organizzazioni sono del tutto assenti . Tanto Motta che Alemagna sono stati denunciati dal Sindacato di categoria per non aver applicato la legge n . 90 del 30/4/1954 , la quale estende ai dipendenti dei pubblici esercizi il godimento delle festività infrasettimanali . La denuncia ha avuto i suoi effetti e le due grandi ditte stanno pagando sia le spettanze arretrate , che la multa per inadempienza . Le punizioni al personale variano dalla multa alla sospensione , fino al licenziamento in tronco . Per fare un esempio : una commessa colpevole di aver mangiato « due tartine gelatinate » ha avuto tre giorni di sospensione . Un fattorino che si è mangiato due marrons glacées è stato licenziato in tronco . Sostengono alcuni che il Duomo di Milano fu costruito con la prospettiva che dovesse servire , un giorno , a far da sfondo al panettone , sui cartelloni pubblicitari , c in qualche misura questo è vero . La produzione dolciaria milanese , che non impegna più di seimila lavoratori , può forse sembrare poca cosa , confrontata coi massicci complessi industriali lombardi . Pure essa è un simbolo compendioso della situazione milanese : è un monopolio giovane in formazione .
StampaQuotidiana ,
« Tu sai che sono sotto minaccia di un gravissimo danno ? Il 1° novembre debbo presentarmi al distretto militare . Pensi tu alla terribilità del mio caso ? Diciotto mesi di caserma ? I1 suicidio sicuro . » Con quest ' animo Gabriele D ' Annunzio partiva soldato a ventisei anni . Classe 1863 , ma iscritto a un ' università del regno ( che non frequentò mai ) , gli spettava il rinvio , ma ora , come succede spesso in questi casi , d ' improvviso , con terrore , vedeva dinanzi a sé un anno ( e non diciotto mesi ) di vita militare . Scelse la cavalleria , e lo destinarono al l4° , che alla fine del 1889 stava accantonato a Roma , nella caserma del Macao . Ma in caserma non stette molto , perché quasi subito lo mandarono all ' ospedale per una crisi di nevrastenia . A ventisei anni era uno scrittore già celebre , aveva appena pubblicato Il piacere , apparteneva alla cerchia della « Cronaca bizantina » , e così gli ufficiali medici non digiuni di lettere ebbero per lui più di una premura : licenze , permessi serali , l ' uso di una camera tutta per sé . Dimesso , raggiunse il 14° quando già il reggimento era tornato alla sua sede , Faenza , ma anche lì fu l ' ospedale , stavolta per le febbri malariche . Sugli esami per la nomina a sottotenente i biografi sono vaghi e contraddittori ; sappiamo che ebbe diciassette ventesimi in composizione italiana , e che il colonnello , bontà sua , lo incoraggiò a continuare per quella strada . Non sappiamo invece se e come superò le altre prove . Una cosa è però certa , che non fece mai il servizio di prima nomina , e che nell ' ottobre del 1890 era in congedo illimitato . La divisa dell ' ufficiale la indossò venticinque anni più tardi , rientrando in trionfo dal nono glorioso « esilio » parigino . L ' orazione di Quarto , le accoglienze entusiastiche delle folle italiane , gli attacchi a Giolitti , che voleva la neutralità , Gabriele D ' Annunzio s ' era subito fatto portavoce di quella agguerrita e vociona minoranza che - così parve a molti - in quel maggio 1915 prevalse , dalla piazza , sulla volontà generale del Paese . Ora il dado era tratto , ed egli indossava la divisa dei lancieri di Novara . Una disposizione speciale superava l ' ostacolo della scarsa statura ( 1,64 comprese le scarpe ) insufficiente per la « cavalleria pesante » . Cappotto d ' ordinanza , berretto d ' ordinanza , gambali d ' ordinanza , il tenente Gabriele D ' Annunzio , di anni cinquantadue , credeva sinceramente d ' essere un soldato qualunque . Una sera di fine maggio , congedandosi dagli amici dopo una cena , concludeva : « Ecco l ' alba , compagni , ecco la diana , e fra poco sarà l ' aurora . Abbracciamoci e prendiamo commiato » . Così partì . Ma non fu un soldato qualunque , e non poteva esserlo . Si sistemò a Venezia , sul Canal Grande , nella « casetta rossa » , proprietà d ' un suddito tedesco , il conte Hohenlohe , dove conduceva la sua solita splendida vita , dispendiosissima . Non gli sarebbero bastate 7000 lire al mese , gli scriveva Albertini , esortandolo a scrivere di più per il Corriere , « Dove si trovano settemila lire al mese quando produci poco o nulla ? Canta ! Produci ! Lavora ! » . E lui di rimando : « Sì , dopo la cantata , tenderò il cappello , come i canterini girovaghi , e pioveranno le palanche » . In attesa delle palanche sognava l ' azione . Il 20luglio , anniversario di Lissa , una squadra navale italiana avrebbe dovuto incrociare a dimostrazione nelle acque di Pola , e il tenente dei lancieri chiese d ' essere della partita . Ma al comando non gli diedero molto ascolto , fecero un mucchio di difficoltà , e lui non partì . Infuriato scrisse a Calandra in persona : « Stamani , poiché m ' hanno impedito di andare a svegliare la triste Trieste con l ' avvertimento e col grido italiano , stamani io ho perduto alcuni minuti di vita sublime » . Si mossero subito le alte sfere , intervenne addirittura il generale Cadorna , e da quel momento Gabriele fu libero di far la guerra dove e come volesse : sulla terra , sul mare ma soprattutto nel cielo . Se in quella guerra non fu il solo privilegiato , fu certamente lui il maggiore , il primo . Diede anzi l ' esempio più cospicuo di quell ' arditismo che gli alti comandi favorirono , convinti che fosse una trovata tattica . La Prima guerra mondiale ha avuto ben pochi comandanti di grande immaginazione strategica . Sul fronte italiano ( come su quello francese dopo la Marna , del resto ) tutto si ridusse alla « guerra di logoramento » , una continua macina di vite umane , dall ' una all ' altra parte , fino a che non soccombesse per estinzione la meno forte , la meno numerosa . Per rimediare , sprovvisti com ' erano di un vero « pensiero » strategico , i generali ricorsero alla tattica dei « colpi di mano » . Così in Italia nacquero i reparti degli arditi : truppe sceltissime , libere da ogni altro servizio e dai gravosi turni di trincea , con vestiario , armamento , paga e altri vantaggi eccezionali , giungevano in linea solo quando ce n ' era bisogno , compivano la rapida missione e tornavano nelle retrovie . Tutti bei giovani spavaldi , questi professionisti del « colpo di mano » tenevano , in servizio e fuori , un contegno che possiamo definire dilettantesco , artistico . Spregiavano la disciplina , sbeffeggiavano sia i poveri fantaccini che i pezzi grossi , i papaveri della burocrazia , prima militare e poi politica . Obbedivano soltanto al superiore diretto . Si sentivano parte di un ' aristocrazia , e non soltanto militare . Finita la guerra diventeranno quasi tutti fascisti , ma del fascismo saranno l ' ala più turbolenta , più riottosa , più anarcoide . Il fascismo non vedrà l ' ora di sbarazzarsene , in qualunque modo , anche comprandone l ' inazione . D ' Annunzio era dei loro , il più grosso . Dopo tanto indugiare , ecco improvviso il battesimo del fuoco , il 7 di agosto , su un biposto pilotato dall ' eroico Giuseppe Miraglia . Cominciavano appena allora a usare gli aerei per il bombardamento tattico , e infatti fu poco l ' esplosivo buttato sull ' arsenale , ma molte le bandierine tricolori , e i messaggi . Due idrovolanti austriaci si levarono per intercettarli , ma tutto andò liscio , anzi Gabriele , inebriato da quel suo primo volo , annotava sul diario di bordo due versi della Vispa Teresa : « Vivendo , volando , che male ti fo ? » . E invece sognava la morte , purché fosse una morte ilare , bella e giovane , come un amplesso definitivo . Non a caso scritti , imprese guerresche e amori si accavallano e si intricano più che mai in questi anni di guerra . D ' un suo convegno amoroso parla così : « Ha ventisette anni , è nel culmine della giovinezza , quando la prima fame è sazia e cominciano gli indugi sul sapore . Ha ventisette anni , e non s ' avvede che questa assodata giovinezza è ingiustizia e ingiuria a me . Per avere ventisette anni darei il libro di Alcyone . E insiste , col tono dello scialacquatore un po ' trattenuto : « Che darei per avere ventisette anni ! Anche Laus vitae anche Alcyone anche Forse che sì forse che no » . Come se lo tormentasse il presagio di una morte vecchia e turpe . « Oggi a cavallo , avevo non so che senso giovanile del mio corpo . Ma là , nella fotografia di ieri , nella istantanea spietata , sono già vecchio . » Ecco perché la morte eroica dei suoi amici , dei suoi compagni d ' ardimento - Giuseppe Miraglia , Gino Allegri , Giovanni Randaccio - non è soltanto un grosso dolore , ma anche un ' occasione per contemplare la propria morte , idealizzandola : « Così la morte non era più di un passaggio fra due luci , ma era la congiunzione chiara di due luci . Tale fu poi per me da quel punto » . Dopo di lui la retorica della morte , la retorica del teschio e delle tibie incrociate , ha funestato l ' Italia . Ma la retorica è venuta dopo . Quando cantava , dei compagni di Buccali , « siamo trenta d ' una sorte , e trentuno con la morte , eia , l ' ultima , alalà ! » , Gabriele era sincero . In guerra rischiò seriamente la vita ; e forse il destino suo fu tragico proprio perché la morte gli toccò vecchia e turpe e dorata , nel mausoleo di Gardone . Persino la sua maggior ferita in guerra fu per un banale incidente di volo . Il 16 gennaio l ' aereo pilotato dal tenente di vascello Bologna dovette per il maltempo tornare indietro , e scendere sul mare di Grado , ma per un errore di visuale ( l ' acqua sotto il sole fece specchio ) ammarò troppo bruscamente , e Gabriele andò a sbattere la testa contro la mitragliatrice di prua . Il sangue fu poco , ma la lesione interna gravissima . Quando finalmente il poeta , tutto preso com ' era da un giro di conferenze e di serate benefiche in Lombardia , lasciò che i maggiori oculisti italiani lo visitassero , si vide che s ' era staccata la retina dell ' occhio destro , e che l ' occhio s ' era perduto . Indispensabile che per parecchie settimane restasse a riposo completo , a letto , nella camera buia . Al buio , appunto , scrisse il Notturno . Gli era giunta intanto la prima medaglia d ' argento e a settembre poteva riprendere a volare . « Ora io sarei contento » , scriveva all ' Albertini , « che questa mia rientrata in servizio attivo fosse annunziata ; per varie ragioni , tra le quali questo nuovo titolo alla mia promozione - della m ' infischio , come sai . Ma i miei amici zelanti si meravigliano , poiché Guglielmo Marroni da tenente è passato maggiore senza mai essere stato al fuoco . » Gli amici zelanti ci entrano poco , e non era vero che lui se ne infischiasse . Al contrario , non l ' abbandonò mai questa ambizione un po ' puerile e patetica di avere , come si diceva ambiguamente nel gergo degli ufficiali di carriera , « un bel petto » . Al fido Tom Antongini scriveva , per esempio : « Ora il ministro della Guerra è Lyautey , che mi conosce bene . Forse è più facile parlare di quella famosa Croce » . E ancora , sempre all ' Antongini : « A proposito , m ' era stata annunziata la medaglia d ' oro « serba » - che tanti hanno avuto - e l ' ordine di Leopoldo « belga » . Ne sai nulla ? » . Ora , il re dei belgi aveva altre gatte da pelare . Il re dei serbi era in fuga sopra un carro tirato da buoi , fra colonne di dispersi e fuggiaschi , e cercava di raggiungere la costa adriatica , dove si sarebbe imbarcato su una nave da guerra italiana . Ma la Croix de Guerre l ' ebbe , ed anche la britannica Military Cross . In quanto all ' Italia , gli diedero tutto quel che consentiva il regolamento , e quando occorse modificarono il regolamento per dargli di più : cinque medaglie d ' argento , una d ' oro , tre promozioni per merito di guerra ( fino a tenente colonnello ) , la Croce dell ' Ordine militare di Savoia . Davvero un « bel petto » . Persino una medaglia di bronzo . « Il bronzino di Buccari » , diceva Gabriele stizzito . Quei tre motoscafi siluranti , ciascuno con un equipaggio di dieci uomini , fecero nella notte fra il 10 e l ' 1 l febbraio 1918 un ' arditissima incursione nella rada istriana di Buccari , al comando del capitano di fregata Costanzo Ciano . I risultati pratici furono scarsi : un piroscafo austriaco affondato . Ma oltre ai siluri , in quella rada lanciarono anche tre bottiglie sigillate e ornate di nastri tricolori , con dentro un messaggio , che si chiudeva così : « Un buon compagno - il nemico capitale , fra tutti lo inimicissimo , quello di Pole e Cattaro - è venuto a beffarsi della taglia » . Questo il punto : sul fronte italiano ormai l ' Austria stava combattendo due guerre , una contro l ' Italia , l ' altra contro D ' Annunzio . La taglia sulla sua testa c ' era veramente , sin dal 1915 . E se sfogliamo i giornali umoristici austriaci di allora , si vedono subito i due bersagli fondamentali : l ' italiano bassotto , baffuto , nero , con il cappello da brigante calabrese , e D ' Annunzio , in abiti femminili , fra nubi di profumi e di cipria . Ecco la controprova di quanto fosse efficace , ben articolata , puntuta , la propaganda di Gabriele . Vien voglia di chiedersi perché i tecnici della persuasione , tanto numerosi e rumorosi ai giorni nostri , non abbiano mai pensato di studiare in questo senso la sua vita e la sua opera . Un volo e una canzone , una visita alle prime linee e un articolo sul Corriere , tutto quel che D ' Annunzio fece in guerra fu anche propaganda di prim ' ordine . E la propaganda , come ben sappiamo , illumina non soltanto la cosa che si lancia , ma anche la persona che provvede al lancio . Non a caso i pubblicitari « firmano » . D ' Annunzio firmava , sempre , tutti i manifesti buttati sul nemico . Ecco un suo arrivo al fronte . « Truppe non logore , sfinite : per rifarle ci vuol ben altro che il teatro del soldato ... Arriva D ' Annunzio a gran corsa . È sempre come una ventata di aria fresca . " Sapete " ; dice , " bisogna smetterla con l ' hip , hip , hurrah . Roba da barbari . Siamo o non siamo latini e omerici ? Dunque eia , eia , alalà ! Attenti : eia , eia , eia !..." E tutti in coro a rispondere : alalà ! » Ora , noi possiamo anche dubitare che dopo un turno di trincea sul Carso , il fante - un contadino della bassa Italia - potesse sentirsi « omerico » e « rifarsi » con un alalà . Ma chi lo comandava , il tenentino che aveva lasciato gli studi l ' anno prima e che sognava ( tutto in un sogno solo ) la grandezza d ' Italia , la vittoria e i favori delle belle donne , quel tenentino sicuramente tornava in linea convinto di dover « gittare il cuore nella trincea nemica » e andare a riprenderselo . Del resto D ' Annunzio era ben consapevole di quest ' azione propagandistica . Prima della nona battaglia dell ' Isonzo , ecco il suo solito arrivo « a corsa » con l ' alalà , come lo racconta lui in privato , scrivendone all ' Antongini : « Parto domani per la fronte , dove faccio l ' ufficio di mascotte per le " spallate " » . Memento audere semper , non piegare d ' un ' ugna , l ' orbo veggente , sufficit animus : l ' imaginifico era diventato un eccezionale trovatore di « slogans » . E si legga questa sua disposizione di volo , prima d ' un attacco su Pola : « Quando tutte le bombe siano andate a segno , ciascun equipaggio si leverà in piedi , compreso il pilota di destra , e lancerà il grido attraverso i fuochi di sbarramento : alalà » . Eppure D ' Annunzio è anche l ' autore di un memoriale sull ' impiego strategico dell ' aviazione da bombardamento che i comandi lessero con molta attenzione . È uno scritto tecnicamente assai buono , con non poche idee che precorrono i tempi : l ' uso degli aerei siluranti , per esempio , il valore psicologico delle incursioni a lunga distanza , l ' impiego massiccio dei bombardieri , contro l ' opinione corrente di allora , che voleva limitare gli aerei a compiti di osservazione di intercettamento . E il volo su Vienna fu impresa unica nella Prima guerra mondiale . E il merito fu interamente suo , perché D ' Annunzio ci pensava sin dallo scoppio delle ostilità . Era un ' impresa assai difficile , sempre sconsigliata e talvolta osteggiata dai comandi . I Caproni disponibili allora , da 300 hp , non avevano autonomia neanche per il solo volo di andata . Quelli da 450 hp , costruiti più tardi , potevan bastare a patto che si aggiungessero dei serbatoi supplementari , ma questo imponeva di ridurre al minimo il carico utile . Al campo di San Pelagio lavorarono febbrilmente per settimane . Prima di accettare l ' impresa , i comandi vollero fare un volo di prova di mille chilometri sulla Valle Padana . E siccome D ' Annunzio non era pilota , si dovette trasformare un monoposto ( quello di Natale Palli ) incastrando un seggiolino in un incavo ricavato fra le lamiere del serbatoio supplementare . L ' ordine di operazione era rigoroso : non lanciare bombe , ma limitarsi a un ' azione dimostrativa , non lasciarsi impegnare dagli aerei da caccia austriaci , troppo più veloci , essere pronti ad azionare un dispositivo per la distruzione dell ' apparecchio , scendere a 700 metri sulla capitale nemica per il lancio utile dei manifestini . Decollarono la mattina del 9 agosto , una squadriglia di undici apparecchi in formazione serrata . Tre dovettero subito ridiscendere per un guasto . Il pilota Sarti fu costretto ad atterrare in territorio nemico . In sette dunque raggiunsero Vienna a far sentire « il rombo della giovane ala italiana » che « non somiglia a quello del bronzo funebre nel cielo mattutino » . Tornarono , e già quando furono sul cielo di Venezia l ' Italia seppe dell ' impresa e impazzì . Qualcuno propose di incoronare di lauro il Comandante , in Campidoglio . La guerra di D ' Annunzio fu dunque questa : il coraggio sposato alla retorica , l ' intelligenza alla consapevole volontà di propaganda , e poi l ' ambizione , il vagheggiamento estetico della bella morte , la poesia che si trasforma in vita vissuta , il poeta che passa la mano al Comandante . Non fu la guerra degli altri , dei poeti , degli scrittori , degli intellettuali suoi contemporanei . Costoro partirono tutti per il fronte . Molti ci andarono volontari , ciascuno spinto da un motivo che non era sempre identico a quelli altrui . Nella guerra , fra costoro , ci fu chi vide la lotta dei popoli contro gli imperi , e ci fu chi vide la conclusione del Risorgimento , e chi seppe impararvi la nuda lezione della fratellanza fra gli uomini . Se noi oggi vogliamo capire che cosa fu la Grande guerra leggiamo le pagine di Emilio Lussu , di Giuseppe Ungaretti , di Carlo Emilio Gadda , di Renato Serra , di Carlo Salsa , di Ardengo Soffici . Li leggiamo proprio perché loro fecero la guerra da soldati , in mezzo ai soldati . D ' Annunzio fece la sua splendida guerra con uno stretto manipolo di giovani che gli somigliavano , o che si sforzavano di somigliargli . La visse e la sentì come il supremo fastigio di una vita eroica . Non ebbe la corona in Campidoglio , ma entrò , vivo , in un mausoleo , il Vittoriale . Ma intanto era venuta la pace . Una pace gallica , inghilese , stelligera , per dirla con le sue parole , non certo una pace italiana , che facesse per esempio dell ' amarissimo Adriatico un golfo italiano . Un suo scritto che chiedeva appunto per l ' Italia tutta la costa dalmata fino a Valona non fu accettato dal Corriere . Era la fine del 1918 e in tutta l ' Europa , già stremata dalla guerra , la spagnola mieteva altre vittime , più numerose ancora . Prese la spagnola anche D ' Annunzio : chiuso nella « casetta rossa » meditava l ' impresa di Fiume .
METANOPOLI LA CITTÀ PER I TECNICI ( Bianciardi Luciano , 1957 )
StampaPeriodica ,
La periferia di corso Lodi si perde a poco a poco in un disordine di sterrati , depositi di rottami , piccole fabbriche di vernici , concerie , e intanto si profila , sotto la foschia del primo mattino , la campagna lombarda , intirizzita dal gelo : i campi bianchi di brina , i pioppi scheletrici , un fosso d ' acqua sporca e turbinosa , che fuma all ' aria tesa e frizzante . Quel fossaccio che poi , mi dicono , è uno dei canali di scolo delle fogne milanesi , fiancheggia la via Emilia per tutto il nostro viaggio . Il comune di San Donato , il primo fuori di Milano sulla strada di Lodi , non ha l ' aria di un vero e proprio villaggio . S ' incontrano all ' improvviso poche case raccolte attorno a una vecchia chiesa : casette vecchie e povere , uno o due piani al massimo . Una serve da municipio , a un pianterreno c ' è un negozietto che vende un po ' di tutto , dagli alimentari agli utensili domestici . Il nome sulla porta è vecchio e sbiadito . « Posteria » . Si stenta a credere che questo comune di San Donato milanese conti quasi cinquemila abitanti ; ci si chiede dove siano , dove abitino . Eppure è così . San Donato milanese è un grosso comune ; non solo , è un comune in continua crescita . Ecco come si è sviluppata la popolazione in soli cinque anni : 1951 : 2663; 1952 : 2762; 1953 : 2920; 1954 : 3255; 1955 : 3983;1956 : 4954 . Non solo ; si afferma che entro tre anni la popolazione sarà ancora moltiplicata , con l ' insediamento di 10-12 mila nuovi abitanti . Secondo previsioni attendibili , in breve tempo tutta la zona raggiungerà complessivamente i quarantamila abitanti . Qualche frazione vicina ( che un tempo era soltanto un piccolo nucleo di casupole e di cascine ) è repentinamente cresciuta , come gonfiata da un ' improvvisa idropisia edilizia : ecco la Certosa , per esempio , così simile ad una periferia di provincia , con le case che vengono su a fungaia , alte e basse , coi colori degli intonachi balordi e contraddittori , e con la solita proliferazione di baracche e di abitazioni fortunose . Ma San Donato , voglio dire il centro amministrativo , pare rimasto tale e quale . Dov ' è dunque la novità ? Non è difficile rendersene conto : basta fare due e trecento metri , ed ecco Metanopoli , che compare in mezzo alla campagna , improvvisa , come dipinta su di un fondale da un urbanista megalomane . Proprio sulla strada , sulla via Emilia , una serie di box dove sostano macchine ed autocarri carichi di bombole vuote : è , come avverte un gran cartello , la stazione di rifornimento del metano . Poi , poco più avanti , si spalanca un piazzale immenso , tutto lastricato a cubetti di porfido , che disegnano per terra , a perdita d ' occhio , una interminabile serie di volute . Il piazzale è chiuso , giù in fondo , dal basso e lunghissimo edificio che ospita la stazione di servizio per gli autocarri : aria , acqua , garage e riparazioni . E una stazione di sosta per automezzi , un ' enorme stazione , all ' uscita di Milano , dove comincia la via Emilia e dove comincerà la « Strada del sole » . Proprio lì davanti un cartello avvisa che siamo al capolinea milanese della famosa autostrada , che per ora , tuttavia , è solo un cartello , un progetto , un esiguo recinto di filo spinato , con dentro uno sterro sconvolto dai bulldozer . Sul ciglio della strada un cartello dice : « Motel : albergo ristorante Metanopoli » . C ' è tutto : mensa , alloggio , bagno , piscina , lustrascarpe . Motel è voce americana e diffusa in Italia dal film Niagara e dal diario statunitense di Simone de Beauvoir . Sta a indicare l ' albergo di transito sulle grandi strade continentali , formato da una o due stanzette , con annesso il garage per l ' auto e per la roulotte . A rigore questo dunque non è un motel , ma un normale albergo di transito , di ambiziosa fattura , con un atrio lustro e comodo , e dappertutto legno , nichel e materie plastiche . Dovrebbe essere una costruzione « moderna » ; in realtà , essa si limita ad esibire uno stile tra « tirolo » e « far - west » , del tutto incomprensibile nel paesaggio lombardo . Al ristorante si mangia abbastanza bene anche con cinquecento lire . La città è dietro il piazzale : si apre un vialone larghissimo , spalancato al vento tagliente di gennaio , coi pali della luce , che , dai due lati , incombono arditamente verso il centro . Da una parte un lunghissimo muro , dall ' altra tante costruzioni tutte uguali . Il vialone porta il nome di Alcide De Gasperi , le strade minori , fra una fila di edifici e l ' altra , s ' intitolano a Galilei , a Fermi , ai nomi di altri scienziati poco noti ai profani . Ci vuol poco a capire che da questa parte c ' è la zona operante della città . Dalle finestre infatti s ' intravedono strumenti di laboratorio , macchine , tubi . Qui la SNAM ha i suoi centri di studio , alcuni collegati con il Politecnico di Milano . Non zona industriale , dunque , ma centro di ricerca : è probabilmente una città di tecnici , non di operai , e l ' aspetto borghese della zona residenziale ce lo conferma . Percorrendo il vialone Alcide De Gasperi , si trova , in fondo , piazza Santa Barbara , protettrice , come è noto , di minatori , artiglieri , e di tutti coloro che abbiano a che fare con roba esplosiva ; anche quelli del metano , dunque . Un ' altra piazza immensa , interrotta però , questa , da brevi strisce di aiole verdi , molto curate . Ogni pochi metri ecco spuntare da terra un tubo ricurvo , dipinto in giallo ; serve , mi spiegano , per l ' irrigazione delle aiole . La piazza è dominata dalla più straordinaria chiesa che mi sia mai accaduto di vedere . È un edificio monumentale e insieme semplicissimo : una specie di capannone col timpano altissimo e acuto , come per suggerire una elevazione che di fatto non c ' è . Ai quattro lati sorgono altrettante gugliette appuntite , color verde tenero . I colori sono la cosa meno prevedibile di questo duomo di Metanopoli . Pare come se sulla facciata bianca fossero stati applicati dei pannelli rettangolari , quale verde tenero , come le guglie , quale rosa pallido , quale cinerino . Le strade dietro la chiesa , nella zona residenziale , son tutte alberate e divise da aiole verdi . Gli alberi sovente sono dei pioppi : il pioppo è la pianta tipica della pianura padana , di cui rompe la piattezza con la sua acuta spinta al cielo . Ma qui sono pioppi di trapianto in attesa che rinsaldino le radici li hanno legati con quattro filo di ferro , presto arrugginiti all ' aria umida della zona . Le case son tutte belle e tutte uguali , con pochi segni palesi di vita interna . In mezzo alle case , quasi in fondo a via Soresina , la lunga e bassa costruzione che ospita i negozi , alcuni ancora interminati e vuoti . La città di Metanopoli è dunque di Fondazione recentissima , anzi , non è ancora terminata : via Enrico Fermi esiste , per esempio , soltanto di nome , e proprio all ' ingresso della città , quasi stilla strada , sorge lo scheletro di un altissimo edificio poligonale , con le strutture portanti di ferro , rosso di minio fresco , ed i piani di cemento e mattoni forati . il primo dei grattacieli di Metanopoli ; di un secondo si inizierà presto la costruzione . La città è stata fondata dalla SNAM , che è poi una filiazione dell ' ENI sorta per lo sfruttamento del metano . Qui , come si è detto , non vi sono stabilimenti di produzione o di trasformazione , ma soltanto un centro studi . Tanto vero che la SNAM non paga al comune di San Donato l ' Icap , l ' imposta che grava sulle attività industriali , commerciali , professionali e artigiane . Ha preferito edificare la sua città a San Donato per due ragioni : per tenersi vicinissima a Milano , ma fuori dei confini comunali , e pagare così minori imposte , e poi per tenersi al capolinea di due grandi vie di comunicazione , l ' Emilia e la futura strada del sole . Del comune di San Donato la SNAM , cioè l ' ENI , possiede mille pertiche , cioè 654.000 metri quadrati , pari a circa un terzo della superficie totale del comune stesso . Il terreno , in conseguenza di questo acquisto massiccio e dell ' incremento edilizio , è salito enormemente di prezzo . Quasi dieci volte e più : dalle sei - settecento lire al metro quadrato del 1950 siamo ora sulle cinquemila , con punte sulle ottomila lire al metro quadrato . La popolazione di Metanopoli non è mai indigena : la SNAM ha reclutato altrove i suoi dipendenti , che son divenuti suoi abitanti . Dal Veneto , dalla Toscana , dal Lazio , dal Napoletano , dalle Puglie : dalle regioni insomma che tradizionalmente danno la maggior quota di migrazione verso Milano . Gli abitanti vecchi , quelli di San Donato e delle frazioni vicine , li chiamano tutti « terroni » ed hanno ribattezzato , per conto loro , la città nuova col nome di Metanopoli . Ma rapporti , fra gli uni e gli altri , fra i vecchi ed i nuovi , fra i metanopolitani ed i sandonatesi , se ne stabiliscono di rado , i sandonatesi erano in origine salariati , operai della campagna ; qualcuno addirittura giornaliero . Poi hanno cominciato a cambiar mestiere , ed oggi più della metà sono operai ; ma lavorano a Milano . A Metanopoli nessuno di loro è entrato come dipendente stabile e come abitatore delle nuove case . La vita di Metanopoli è chiusa , pertanto , anche fisicamente , all ' ambiente esterno , alla campagna lombarda . Gli abitanti di San Donato , abitano accanto alla città del metano , ma non hanno ancora il gas in casa , nonostante lo chiedano da tre anni . Non ancora , prima e oltre il metano , troppe altre cose che servono a dar la base del vivere civile : basti pensare alle tristissime condizioni igieniche delle vecchie cascine sandonatesi , non è sovrapponendo un ' isola di razionalità ( astratta razionalità ) urbanistica che si fa progredire la civiltà nella campagna milanese .
D'ANNUNZIO II. Si murò vivo in un monumento ( Bianciardi Luciano , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Inutile negarlo : al Vittoriale tu arrivi prevenuto . Troppi gli amici che ti hanno messo sull ' avviso : vedrai la retorica , la bolsaggine , il cattivo gusto ! Vedrai i soldi sperperati ! Pensa , monumento nazionale sin dal 1925 , con dentro lui , vivo . S ' era lasciato seppellire da Mussolini e senza nemmeno soffrirne troppo . Infatti , pensi tu quando la macchina si arresta sullo spiazzale e guardi l ' ingresso . « Io ho quel che ho donato » , leggi per prima cosa . Esatto , pensi : di questa roba egli fece dono agli italiani , ma ci rimase dentro , e gli italiani gli pagarono tutto quanto , la terra , gli immobili , le aggiunte successive , che non finivano mai . Con quest ' animo paghi le duecento lire del biglietto e prendi su per il viale selciato a « cubi porfirici » , come diceva lui . Ed ecco la retorica , pensi , quando la guida ti spiega come quel gran pennone con in vetta una vittoria alata e dorata riproduca la forma di un pilone di ponte sul Piave . Vero , constati , ma lì per lì non te n ' eri accorto , perché stavi guardando altro . La vegetazione , per esempio , che qui è ricca , varia , d ' un verde sempre intenso ma sfumato dal cipresso all ' ulivo al nespolo all ' edera al magnolio . Il terreno digrada verso il lago , che in un mattino piovigginoso , come oggi , è d ' un chiaro quasi bianco . Certo , se volgi gli occhi attorno vedi archetti , colonne , pennoni , capitelli , un sarcofago grigio e massiccio , un obice da centocinque , fontanine , oblò , vetri colorati , nicchie . Vedi un mucchio di roba , che però non rompe la bellezza del panorama e anzi ne è soggiogata , ingentilita . Insomma , su tutto l ' hanno vinta i cipressi svettanti , o il grande pino contorto e antichissimo che sta nel « cortile dalmata » . Lì accanto c ' è il pennone massimo , che ha per base due mole da frantoio , e per ornamento otto mascheroni slavonici , di pietra . Lo sguardo rimane incerto fra pino e pennone , e alla fine tu pensi che va be ' , non è mica poi tanto brutto . Non è mica tutta retorica , pensi adesso ; insomma , ci si potrebbe anche campare , forse bene . La villa di Cargnacco , che D ' Annunzio comprò nel 1921 , era questa fetta centrale , ora coperta da una quarantina di stemmi in pietra , di tutte le grandezze e con tutti i motivi : ci sono cani , draghi , palle , teste , alberi , gladii , fiori , aquile e putti . Quando lui fece l ' acquisto era una villa campagnola , d ' una certa eleganza solenne e discreta e ci abitava un critico d ' arte tedesco , Heinrich Tode , genero di Wagner . Solo questa fetta : nelle fotografie di allora ha un aspetto a metà fra la fattoria e la pieve , tanto vero che il Comandante la battezzò , scherzando , « la calonica » , e subito si accinse a cambiarla . Adesso gli edifici formano un quadrato di vuoti e pieni , attorno al cortile dalmata : muri , finestre , portici , altane . Ecco lì la FIAT tipo 4 della marcia da Ronchi , scura , con la leva del freno sul predellino , e i fanali ad acetilene . Non è eroica . E lassù , in una sala rotonda dove si tengono anche le commemorazioni , appeso col fil di ferro al soffitto , l ' aereo del volo su Vienna : è uno SVA di compensato e seta , con il leone di San Marco in rosso e oro ( « iterum rudit leo » dice il motto ) e sulla coda le sette stelle dell ' Orsa in campo azzurro : sette come furon sette gli aerei che , degli undici partiti , giunsero sulla capitale austriaca . Nemmeno questo è eroico , ormai : sembra un gran farfallone infilzato a mezz ' aria , fragile e rinsecchito , come polveroso . Non sono eroici nemmeno i giardini privati , nonostante i macigni alpestri , ciascuno con scritto in rosso il monte d ' origine : Veliki , Sabotino , Podgora , Carso e così via , e frammezzo una mitragliatrice ( raffreddamento ad acqua , pensi ) , proiettili , elmetti , e un san Francesco stilizzato che apre le braccia verso la finestra della Zambracca , la stanza dove morì di emorragia cerebrale il Comandante . Non sono eroici perché anche qui la vegetazione domina su tutto : nel boschetto dei magnolii incontri un fossatello , e per superarlo c ' è una lastra di marmo , scritta : « Strepitu sine ullo » , dice da una parte , e dall ' altra : « Sordida pellit » . Spiega la guida che gli indesiderati , i malevoli , dovevano restare di qua , nel sordidume , mentre i fedeli , senza far chiasso , giungevano sino all ' arengo , cioè ad una serie di belle panche in pietra scolpita , con alle spalle , fra magnolii folti , ventisette colonne . Il Comandante riceveva qui reduci , compagni d ' arme , belle donne , Mussolini , Cicerin , Umberto di Savoia , e intratteneva tutti con le sue alate concioni , con le sue squisite arguzie . Racconta Dario Niccodemi d ' essere rimasto quattordici ore , fra arengo , cortiletto degli schiavoni , portico del parente ( il parente sarebbe Michelangelo ) , affascinato e divertito , da non accorgersi che il tempo passava . Ora comincio a non dubitare che ci saremmo divertiti anche noi , tanto doveva essere ricca e variata e bislacca la conversazione d ' un uomo che poteva appigliarsi a tanti particolari in mostra , a tante minutaglie eterogenee e stravaganti . Infatti nel cortile e nel portico non c ' è palmo di muro che non rechi infisso un medaglione o una testa , o un paio di corna bovine , una clessidra , una campana , un lampione , una testina , una maiolica , un ' epigrafe , un ' anfora , un motto , un cartiglio . Ciriaco Marini , oggi guardiano ma allora muratore al Vittoriale , mi precisa che il Comandante , in compagnia del suo fido architetto Maroni , presiedeva ad ogni cosa : diceva lui voglio qui questo , lì quello , così va bene e così no . Era attivissimo , esigente , preciso , piccolo , asciutto , gran camminatore , generoso , cordiale , aristocratico e perciò populista . Giù verso l ' Acqua Pazza , per esempio , un giorno stavano sistemando una piaggia a gradini . Arrivò in visita il Comandante , sempre in compagnia del Maroni , e con le sue gambette di vecchio non ce la faceva a superare lo sbalzo del terreno . Si rivolse all ' operaio Betta : « Dammi la mano » , comandò con quella voce acuta ( « Pareva una cornetta » , spiega il guardiano ) . Ma il Bella non voleva , si scherniva : aveva la mano sporca di terra . « Dammi la mano » , strillò D ' Annunzio . E poi , a monito : « Ricordati , la mano di un operaio giammai sarà sporca » . I guardiani d ' oggi ( portano una divisa , ma in estate , con le insegne del principato di Montenevoso ) ricordano parecchie cose e sanno dirti a memoria il nome di tutto . Perché qui tutto ha un nome : viale d ' Aligi , Acqua Pazza e Acqua Saggia , cortiletto degli schiavoni , portico del parente , fontana del delfino , Pilo del « dare in brocca » , edicola di San Rocco , colonna dei giuramenti , cortile dalmata , torre del belvedere . È una toponomastica che basterebbe per un quartiere cittadino , e invece si riferisce a poche spanne di terra . E continua e si infittisce e si accavalla e prolifera dentro casa . Qui il pubblico non può entrare , e si capisce perché : più di tre persone alla volta non ci si muoverebbero , e io che sono grosso ho sempre paura di rompere qualcosa . Immagina ora d ' essere ospite del Comandante . Arrivi alla porta , e un ' epigrafe ti ammonisce : « Clausura finché s ' apra , silentium fin che parli » . Aprono la porta , e vedi due leoni d ' oro , sette scalini rossi , un andito scuro di noce vecchio , una colonna e due busti . Ti fanno accomodare nell ' oratorio dalmata , che è proprio un oratorio coi suoi scanni e i cuscini rossi , i turiboli , gli ostensori , le croci , i reliquarii , le statue dei santi , e appesa al soffitto l ' elica dell ' aereo di De Pinedo . E non sai cosa guardare . E se ti ammettono alle altre stanze , cresce questa sensazione , questo principio di capogiro e di soffocazione asmatica . Perché ogni stanza è tappezzata , ovattata , imbottita , straripante di oggetti : su un tavolo foderato di rosso , dinanzi a un tabernacolo d ' oro , il volante spezzato del pilota inglese Seagraves . Per terra cuscini e una pelle di leopardo , e accanto , dal pavimento a l soffitto , una piramide di statue : si comincia con due gatti di porcellana , e si sale , traverso Budda e Visnù e Krishna e non sai più che altro , fino alla Madonna col Bambino , di legno colorato . È la scala delle religioni , ti spiegano , e la scritta precisa : « Tutti gli idoli adombrano un dio vivo , tutte le fedi attestan l ' uomo eterno , tutti i martiri annunziano un sorriso » . Nella stanza del mappamondo , insieme ai tavoli e alle statue e ai libri , trovi un organo , il globo enorme che dà nome all ' ambiente e una mitragliatrice Schwartzlose , preda bellica . Le luci sono tutte smorzate , rosate , rossastre , giallicce , verdine , bluastre . La sala del lebbroso , la più famosa , contiene , accanto a un letto - culla - bara coperto di seta nera con scritte latine in oro , una statua di giovinetto nudo in legno chiaro . Tu muovi con crescente cautela e non senti il rumore dei tuoi passi , per i continui tappeti che si susseguono sovrapposti agli orli . Saranno più di mille . E ogni stanza ha il suo nome d ' invenzione . Nella stanza della Zambracca ( in veneto significa , se non sbaglio , « cameraccia » ) c ' è un fornitissimo armadio di medicinali ( ultimamente il poeta aveva gran paura delle malattie ) e il guardaroba , dove stupisce il gran numero delle cravatte a farfallino . Un appunto del poeta ti dice che anche ai « servizi » doveva toccare il nome , in latino : bibliothecula stercoraria , balneolum vetusculum , cellula vinaria et dearia . La stanza della Cheli prende nome da una tartaruga enorme che sta sul tavolo da pranzo . Quest ' animale morì per una indigestione di tuberose , ma il poeta la volle ancora : il guscio è il suo , dorato , la testa e le zampe le rifece in bronzo , pure dorato , lo scultore Bronzi . Ora , si pensi che D ' Annunzio fece mangiare a questo tavolo Umberto di Savoia e Mussolini , con a capo tavola la tartaruga Cheli . Se riesci a dominare il senso di vertigine che a questo punto t ' ha preso , non eviti un dubbio : faceva sempre sul serio , il Poeta ? Perché di solito , lui così parco , mangiava giù , solo , nella Zambracca , e a tavola con la tartaruga ci andava solo in compagnia di ospiti illustri . Ancora : entri nel bagno , a fatica rintracci vasca , bidet e lavabo , di maiolica blu , annullati dal carico di anfore , uccelli , piatti , mattonelle , teste , frutti finti , ampolline , teche e fotografie ( più di duemila pezzi , avverte serissima la guida ) . Guardi sul tavolino , e in bella mostra vedi e conti almeno dieci spazzole pei capelli . E tutti sanno che D ' Annunzio era calvo . Qualcuno mi dice : possibile dormire avendo ai piedi del letto un calco in gesso del Prigione di Michelangelo ? Giusto : ma non si dimentichi che questa enorme statua porta alla vita un pezzo di damasco dorato che gli fa da gonnella . È questo un modo serio di trattare un artista venerato e per giunta « parente » ? Né si scordi , per esempio , che lo scrittoio del monco , con quella rossa mano mozza sopra l ' architrave , serviva a raccogliere la posta inevasa , le lettere dinanzi alle quali Gabriele sentiva cader giù la mano , lettere di seccatori , postulanti , creditori . E oltre tutto in queste stanze D ' Annunzio non lavorava : e chi ci riuscirebbe ? Al piano di sopra c ' è l ' Officina , cioè lo studio . Se da questa stanza leviamo la copia d ' una Vittoria , qualche calco , qualche fotografia , potrebbe sembrare lo studio di uno scrittore qualunque . È di legno chiaro ; la luce basta per leggere , lo scrittoio è piccolo ( non si lavora bene sui tavoli grandi ) , i libri sono ben disposti , a portata di mano ; rigorosamente allineati , accanto ai numerosi dizionari ( l ' imaginifico non tirava mai a indovinare , quanto alle parole ) ecco i volumi d ' una storia economica della Toscana : quando morì , mi spiegano , stava lavorando a una vita di Santa Caterina , e voleva documentarsi a dovere . E in tutta la casa non trovi un libro inutile : i trentamila volumi formano una biblioteca strumentale , e non ripetono affatto le stramberie degli altri oggetti ; non vedi nemmeno un incunabolo , né un ' edizione pregiata . È la biblioteca d ' uno studioso , non d ' un bibliofilo estetizzante . Insomma al tavolo di lavoro D ' Annunzio diventava serio . Qualcuno dei guardiani ricorda che era capace di restarsene a sedere per dodici , quattordici ore di fila . Preoccupati , essi ogni tanto spiavano questo faticatore della penna , e allora vedevano sulla testa calva una vena gonfiarsi e tendersi come una corda , per lo sforzo . Lavorava sodo , dimentico di tanta paccottiglia che gl ' ingombrava le stanze di sotto . Certo , non era più lui : passata la sessantina , aveva dato il meglio di sé , e adesso gli restavano i progetti di altre quaranta opere che non scrisse mai , ma che promise al suo editore . Esaurita la vena dello scrittore , conclusa la vita eroica di Buccari , di Vienna , di Fiume , adesso la sua avventura diventava di estetica quotidiana . « Tutto qui è dunque una forma della mia mente , un aspetto della mia anima , una prova del mio fervore . » Era sincero . Ma doveva fare i conti con un doppio rischio . Ecco il primo . Girando per queste sale io mi chiedevo quale poté essere il gusto di D ' Annunzio verso le arti figurative . E constatavo che in casa non esiste un quadro né una statua di pregio . I calchi michelangioleschi , così bianchi , enormi , e gessosi , sono orrendi . I quattro o cinque quadri del Previati che oggi , ben illuminati , stanno nella camera di Schifamondo , par che non gli piacessero , e infatti li aveva relegati in una specie di magazzino . Il gusto delle maioliche orientali dunque ? Non lo apparenta forse a certi decadenti inglesi , a Whistler , a Rossetti , a Howell , fanatici del blue china ? E i disegni del De Carolis ( fece tutti i suoi frontespizi ) non saranno forse l ' equivalente delle illustrazioni che tracciò Aubrey Beardsley per le opere di Oscar Wilde ? Nemmeno questo convince . E forse la risposta giusta è che D ' Annunzio non ebbe mai un preciso gusto figurativo ; che questi oggetti servivano , come suol dirsi , a creare l ' atmosfera , a sollecitare la fantasia ; che ebbero un valore più tattile , più vellicatorio che visivo . Secondo rischio . In un certo senso , il Vittoriale è davvero degli Italiani : esso infatti ospita tutto quel che gli italiani regalarono a D ' Annunzio . Una pera di vetro , una pina secca , un satiro in stile Novecento , un palloncino di carta , una pietra consacrata , una camicia sporca di sangue : non sempre fu lui a mettersi in casa questa roba . E poté accadere che non sapesse sbarazzarsi d ' un dono , far piazza pulita degli oggetti inutili , o di quelli brutti . Poté accadere , all ' inverso , che donasse ad un visitatore oggetti di pregio autentico . Lui stesso dovette accorgersi di questo progressivo soffocamento quando decise di « schifare il mondo » ( e cioè quel mondo , quelle pere di vetro , quelle zucche luminescenti , quei pugnali ) e trasferirsi a vivere lì accanto , in due sole stanze , brutte quanto si vuole anche esse , ma perlomeno non più attuffate da tanta paccottiglia . Schifamondo , disse lui : una camera da letto scura , arredata nello stile che fu degli anni Trenta , con più i calchi giganteschi , a capo del letto un occhio d ' oro , con l ' insegna « per non dormire » . Le luci piovono dal soffitto smorzate e opalescenti ; l ' effetto complessivo è funereo , ma d ' una certa solennità . D ' Annunzio su quel letto non riposò mai , se non dopo morto . Lì lo vide per l ' ultima volta Mussolini , poi lo esposero alla folla sotto il portico del cortile dalmata , e infine lo sotterrarono ( no , non in piedi , mi dice l ' ex muratore Ciriaco Marini , che era presente ; no , disteso come un cristiano qualunque ) . Adesso il corpo di Gabriele è in una nicchia abbastanza semplice dell ' Esedra : il nome , un pugnale , la corona dell ' Accademia d ' Italia , la terra di Pescara , l ' acqua del Piave . Sta lì di fronte alla casa . Ma c ' è chi non vorrebbe lasciarcelo . Nel 1940 cominciarono i lavori per l ' erezione del Mausoleo , che è più grande di tutti gli altri edifici messi insieme . Sta in cima al poggio che guarda la prua della nave « Puglia » ( sempre lì in attesa di salpare , ma non si muove mai , purtroppo ) . È a pianta circolare , con balze successive ornate da pochi stenti ulivi che non vogliono attecchire . Bianche scalinate portano da una balza all ' altra , e sul cerchio più alto si levano dieci arche spigolose , e un ' undicesima sta al centro , in mezzo a una specie di vasca , più alta di tutte . Lì vorrebbero mettere D ' Annunzio , circondato da dieci eroi fiumani ( sette già ci sono ) . L ' architetto Maroni , che qui e altrove fece cose non indegne , stavolta si lasciò prendere la mano dal gusto littorio dell ' ossario imponente e falso . Il mausoleo è brutto . È una cattiveria contro la dolcezza del paesaggio . Per fortuna non è stato mai finito , e speriamo che non sia mai . Dopo tutto un mausoleo per D ' Annunzio non serve . Esiste già . È quello , il Vittoriale . Teniamolo così : un monumento patetico , che costruì per se medesimo un uomo vecchio . Entriamoci a guardarlo con la pietà che dobbiamo a un nostro nonno . Era un nonno strambo , ma a suo modo geniale .
D'ANNUNZIO III. Le donne che non amò ( Bianciardi Luciano , 1963 )
StampaQuotidiana ,
« La cosa che donna M . temeva è ormai una certezza . Bisognerà trovare un mezzo per rimediare prontamente ... La madre finora non sa nulla : dubita soltanto . Il caso è stranissimo . Io prima avrei giurato che non poteva essere . Tu che pensi ? Che mi consigli ? » Così scriveva Gabriele al padre nel maggio del 1883 . È la tipica lettera del giovanotto meridionale salito in città a fare fortuna che ha « commenato ' o gliommere » , cioè ha combinato il pasticcio e ora non sa più a che santo votarsi : sbalordito , teme le ire del padre suo , della madre di lei , teme le chiacchiere di amici e conoscenti , ma al tempo stesso , sotto sotto , si compiace della sua grossa avventura . Donna M . , e cioè Maria Hardouin duchessina di Galles , era incinta . La nobiltà romana , da lei impersonata , gli aveva ceduto a tal punto . Una nobiltà di mezza tacca , certo : il padre di lei , Jules Hardouin , era sottufficiale degli ussari . Accantonato col suo plotone al pian terreno di palazzo Altemps , aveva sedotto la vedova del duca di Gallese , l ' aveva sposata e papa Pio IX gli concesse allora la nomina a sottotenente . Non solo : la duchessa sedotta e impalmata ottenne dal pontefice anche il passaggio del titolo nobiliare al suo aitante ex sergentone . E ora quel titolo , grazie a una seconda seduzione , veniva a ornare la nomea del giovanissimo Gabriele . Quel bel ragazzino biondo , ricciuto , piccoletto , capellutissimo , dagli occhi azzurri , era evidentemente destinato a far carriera . Gli amici romani del Fanfulla , della Cronaca bizantina , e infine della Tribuna , ne erano anch ' essi , a modo loro , sedotti , e se lo coccolavano , se lo portavano dietro a mangiar pane e ricotta , a pellegrinare sull ' Appia antica , a recitare a gran voce un ' ode carducciana . « In lui era tanto spontaneo il senso della barbarie e tanto curiosamente commisto a una nativa gentilezza di donna , che lo avresti detto una di quelle querce educate al tempo del barocchismo e potate in guisa da dar sembianza d ' una qualche cosa poco selvatica . » Sono parole di Eduardo Scarfoglio , che di lì a poco doveva scoprire , con appassionata disillusione , quanto poco barbara fosse la sua giovane amica quercia pescarese . Gabriele , che sino ad allora girava con la chioma irsuta , senza cravatta , con indosso una stenta giacchetta , si trasformò rapidamente in un damerino , accolto in tutti i salotti e in non poche alcove . La prova eccola lì , donna Maria incinta , il matrimonio irrevocabile , i parenti di lei sdegnati ma pur sempre costretti ad accettare gli sponsali , e a trovare per Gabriele un posto degno e sicuro : cinquecento lire alla Tribuna , per redigere la cronaca mondana . Ora Gabriele lanciava una firma che avrà fortuna , Duca Minimo , prendeva lezioni di cavallo e di scherma , che gli saranno assai utili in un paio di duelli , cominciava a far debiti , entrava nel suo turbinoso giro di avventure galanti . « La giovinezza mia barbara e forte in braccio de le femmine si uccide » . Olga Ossani era una cronista mondana , e si firmava Febea : più anziana di Gabriele , precocemente canuta , spregiudicata , avviò lei questo amorazzo redazionale , e guidava il suo giovane amico , padre da poche settimane , nell ' « alta selva » di Villa Medici , e gli insegnava certi suoi strani riti paleocristiani . Nel Piacere la Ossani si chiamerà Elena Muti , e il suo amore con Gabriele durerà esattamente quanto l ' amore di Elena per Andrea Sperelli . Ma il libro fu dedicato alla moglie : è già cominciata una specie di staffetta , per cui sul frontespizio del libro figura il nome della donna abbandonata , mentre il nuovo amore ne costituisce la materia . Eduardo Scarfoglio è ormai un ex amico e diventa critico mordace : « Risaotto al pomidauro » , scrive sul Corriere di Roma , all ' uscita dell ' Isaotta Guttadauro , e i due scendono sul terreno , spada alla mano . Proprio Scarfoglio gli aveva fatto da padrino nel primo duello , con un certo Magnico : ferito di fendente alla testa , il medico lo curò con una soluzione di cloruro di ferro , che bastò a fermare il sangue , ma anche gli bruciò il bulbo dei capelli , avviando già da allora la rapida calvizie del poeta . Il nuovo amico adesso è Adolfo De Bosis , che organizza una crociera argonautica . Sopra un panfilo a vela , la « Lady Giare » , innalzando la bandiera di Shelley , bianca e azzurra con tre conchiglie , salparono da Ortona , decisi a far cabotaggio lungo la adriatica , fino a Venezia , a Trieste , a Fiume , e poi giù giù verso Spalato , Zara e Gattaro ( luoghi che entrano adesso nella poetica dannunziana ) . Portavano con sé tappeti persiani e vasellame d ' argento , e a ogni porto scendevano a terra per prepararsi il tè . « Mo arriveno li ggiochi » , dicevano i pescatori abruzzesi e marchigiani al veder stendere quei tappeti , convinti che fosse una compagnia di saltimbanchi . Avevano scelto la ciurma con un criterio estetico , e cioè s ' erano presi due marinai dal nome sonante . Ippolito Santillozzo e Valente Veniero . Purtroppo l ' uno non aveva mai navigato a vela , l ' altro era un mezzo deficiente , e fu così che la « Lady Giare » dopo Rimini perse la rotta , e il vento la portava al largo . Li salvò , per loro buona sorte , una nave da guerra che incrociava da quelle parti , e li rimorchiò a Venezia . Gabriele ebbe lì la notizia della nascita del terzo figlio ( che battezzò Veniero ) , ma non si mosse . Aveva mandato via anche Barbara Leoni e adesso pensava solo a discutere di problemi navali con certi ufficiali della « Barbarigo » . Degli amori con Barbara Leoni dava un resoconto quasi cronistico nel Trionfo della Morte che uscì nel 1887 , quando già era cominciata una storia d ' amore nuova , con la nobildonna napoletana Maria Gravina Cruyllas . A lei è dedicato L ' innocente , che pure ha per protagonista , ancora , Barbara , anzi contiene , ricopiati pari pari , interi brani di lettere a lei . A questo punto tu cominci a pensare che a Gabriele importasse più la letteratura che le donne . « Se veramente pel mio letto passassero tutte le donne che don Giovanni sognava » , scriveva a Barbara addolorata e offesa , « tu dovresti esserne quasi lieta alla fine : perché tutte certamente , certamente , mi lascerebbero il rimpianto e il desiderio furioso di te » . Certi biografi affermano che la Barbara Leoni fu il più grande amore del poeta . Altri danno il primo posto alla Eleonora Duse . Ma chi segua questa catena di storie che si accavallano e si confondono e sfumano l ' una nell ' altra senza visibili differenze , è indotto a concludere che grandi amori nella vita di D ' Annunzio non ce ne furono , e che egli anzi soffrì d ' una innata incapacità di affetti profondi . E che non ebbe neanche una profonda sensualità . Infatti una sensualità autentica presuppone sempre una radice interiore di impegno morale , che D ' Annunzio non ebbe mai . Nei rapporti con le donne , e così con gli animali e con gli oggetti , D ' Annunzio portò una sensibilità acuta , anche esasperata , ma sempre epidermica . Vagheggiò il piacere come esperienza tattile , olfattiva , visiva , non di più . Fu tutto pelle , tutto vellicamento , e portò al parossismo quest ' arte . Ha scritto il Croce che egli fu « dilettante di sensazioni » . Non sta a noi dire qui se è veramente così . Ecco come racconta il ritorno da una cavalcata peri poggi intorno a Settignano : « Balzavamo di sella , su lo spiazzo , palpando il collo della bestia generosa col guanto inzuppato . I garzoni accorrevano ... Il palafreniere curvo su la lettiera asciutta , con una manciata di paglia per ogni mano , e quello che tuffava la spugna nella secchia tenendo la coda o il piede , ognuno accompagnava la bisogna con un certo soffiare ch ' era come un suono lieve di persuasione e di blandimento ... Di posta in posta , palpavo con la mano senza guanto la spalla le reni l ' anca per sentirle asciutte ; e più d ' una volta eccitavo lo zelo con l ' esempio , in gara di prontezza , ché tu sai quanto mi piaccia fra i destri essere più destro » . Come si vede , il lavoro degli uomini è guardato solo in quanto occasione che mette in rilievo un bel gesto , un bel contrasto visivo o sonoro , e gli animali si riducono a sensazione tattile , assaporata sottilmente ( prima col guanto e poi senza ) . Anche il figlio neonato , la prima volta che lo vede , gli suscita sensazioni di questo tipo : « È una cosa molle , rosea , calda , palpitante , che a volte si muove tutta e ha degli annaspamenti di ragno , delle grazie di scimmia giovane , degli accenti talora bestiali , talora sovrumani » . E quando una sua nuova amante , la Alessandra di Rudinì , la « Nike » ammalata , dovette subire tre operazioni , lui volle essere presente , e così racconta : « Non so quale ebrezza di volontà m ' infiammi e moltiplichi le mie forze ... Per la terza volta ho tenuto nelle mie mani le mani della vittima mentre la sua anima si profondava nel buio , sotto la maschera del cloroformio ; e m ' è parso di assistere a tre agonie e ho udito salire da ciascuna parole inaudite , parole che non possono essere dette se non alla soglia della morte ... » . Anche un corpo sofferente e dilaniato diventava ragione di godimento epidermico . Era veramente un dilettante di sensazioni , che nulla si negava pur di accrescere questo suo estetico diletto . La casa della Capponcina , con ventun servitori , otto cavalli e trentanove cani , stracolma di oggetti , di mobili antichi , di stalli da oratorio , di cuscini , di tappeti , turiboli , ferri battuti , damaschi ( una prefigurazione del Vittoriale ) , sta a provare quel furibondo bisogno del superfluo , necessario a lui quanto l ' aria che respirava . Già allora correvano sul suo conto le voci più strane , e lui non faceva nulla per smentirle , anzi non di rado le metteva in circolazione , un po ' per burla , un po ' sul serio . Ad ognuna delle sue numerose cadute da cavallo , qualche giornale stampava che D ' Annunzio era morto . Alla villa di Settignano , diceva la gente , D ' Annunzio beve filtri d ' amore nel cranio d ' una vergine . E indossa pantofole di pelle umana . E sostiene il suo declinante vigore mangiando carne di neonato . Cavalca nudo sulla spiaggia di Bocca d ' Arno , in compagnia di una Diana caucasica , matta della più nera mattezza slava . La slava matta , un amore brevissimo , era Natalia Golubev , alta , bionda , formosa . E se , come abbiamo visto , tornando da una cavalcata sostava ad ammirare il bel gesto d ' un palafreniere , finita la suggestione estetizzante , il prossimo gli diventava all ' improvviso odioso , meschino , vile e repellente . Un giorno in pretura per una causa da lui stesso promossa , lo ricorda così : « Cara contessa , sono rimasto fino a mezzogiorno e mezzo nell ' orrendo fetore del prossimo . E debbo tornare in pretura alle tre ! Mi compianga » . Era la causa contro un contadino di Settignano , certo Volpi ; colpevole di aver ucciso con un colpo di vanga un cane del D ' Annunzio , che faceva strage di galline nei pollai dei dintorni . Il poeta ne parla con accenti quasi ebbri : « Io sono stato accolto con pazza gioia dai miei cani innumerevoli , che sono il terrore del vicinato . Nella mia assenza hanno trucidato una cinquantina fra polli e anatre ! Ieri li ho condotti a gran galoppo su per la spiaggia , tra le grida dei bagnanti e dei pescatori » . Per i danni ai pollai offriva , magnanimo , cinque lire in cambio d ' ogni capo azzannato . Ora , si è parlato di bontà del D ' Annunzio verso gli umili : qualche suo vecchio servitore che ho conosciuto al Vittoriale mi ha detto dei suoi modi cortesi e signorili , della sua generosità . È vero : è anche vero che D ' Annunzio ebbe a volte certe impennate da populista . Ma amore per gli umili non ne ebbe mai , e la sostanza della sua generosità la ritroviamo in un ricordo di lui ragazzo al Cicognini , quando ebbe il permesso dal rettore di recarsi in libera uscita a Firenze e ne profittò per visitare un bordello . Ci andò in carrozza e scese all ' imbocco di via dell ' Amorino . « Balzai giù dal legno ; accomiatai il cocchiere ; gli fui prodigo . Già incominciavo a esercitare la prodigalità come un mezzo di allontanamento , come un modo di recidere i vincoli e di confermare le distanze . » Così il danaro che dava . Quello che ricevette gli parve , sempre , un debito del mondo intero verso di lui . Per esempio , sappiamo tutti quanto siano sempre stati , e sempre siano , vaghi e precari i rapporti fra editore e scrittore . Raramente rimangono sul puro piano commerciale ( io scrivo , tu stampi , questo il contratto , tanto la percentuale , punto e basta ) . Tendono invece ad assomigliare ai rapporti fra società sportiva e centravanti , fra impresario dell ' opera e primadonna : ripicche , gelosie , scenate , sberleffi , improvvisi ritorni d ' amore . Ma Gabriele , in questo , ha superato ogni esempio , anche futuro , anche ipotetico . La sua corrispondenza con Treves meriterebbe un articolo apposta . Aveva ventidue anni , era uno sconosciuto , e già gli scriveva così : « Per le poesie chiedo 4000 lire ; concessione , per cinque anni . Questo a lei non converrà , certamente ; quindi sarà inutile ragionare » . E il Treves , di rimando : « Vedo che con lei i rapporti sarebbero molto difficili , avendo acquisito idee erronee sul movimento letterario in Italia . Le rimando quindi le sue novelle » . Invece trovarono il modo di mettersi d ' accordo , e le lettere si susseguirono fitte fino all ' « esilio » in Francia . Inevitabile che il Treves non gli volesse mai bene davvero , anche se ne subì il fascino e la seduzione . D ' Annunzio , se escludiamo , forse , Ciccillo Michetti , non ebbe mai un amico vero . Lamentava la litigiosità altrui , ma era pronto a far causa contro Eduardo Scarpetta , che gli andava parodiando sulle scene La figlia di Jorio . Accettava danaro dagli strozzini , e poi imprecava quando gli strozzini facevano il mestier loro , e cioè lo strozzavano . Non seppe mai farsi una donna , allo stesso modo in cui non seppe mai farsi una casa , e vagò invece da un quartiere all ' altro di Roma , e poi da Roma a Francavilla , a Napoli , a Venezia , a Settignano , a Bocca d ' Arno , a Ostia , a Romena , ad Arcachon . Dilettante anche come padrone di casa , diventava professionista solo al tavolo di lavoro : allora dimenticava le donne , i cavalli , i cani , i begli oggetti , gli amici , persino i pasti . Imponeva a se medesimo una disciplina di ferro . E sapeva farsi pagare , sempre , da tutti , e bene . Eppure il professionista non bastò mai a pagare i capricci del dilettante . Nel 1910 la situazione era diventata insostenibile , ed egli tentò le più strambe vie d ' uscita . Pensò addirittura di impiantare un ' industria profumiera , e di mettere in commercio un ' essenza di sua invenzione , che battezzò « acqua nunzia » : cercava nelle farmacie e dagli erboristi ambra , belzuino , rose , gelsomini , zagare . Fu un fallimento . Poi saltò fuori un emigrato abruzzese , diventato milionario in Argentina , certo Giovanni del Guzzo . Aveva il rimedio : si fece dare dal poeta diciassette manoscritti , un ' automobile usata marca « Florentia » , e la promessa di scrivere un ' ode per il centenario della indipendenza argentina , e di tenere un ciclo di conferenze nei maggiori teatri di quel Paese . In cambio assicurava a D ' Annunzio un guadagno di almeno 300mila lire , che sarebbe servito a colmare i debiti . Per sé avrebbe trattenuto il venti per cento . Questo Del Guzzo pensò anche di comperare la Capponcina e di trasformarla in museo , con biglietto d ' ingresso di lire due . Il poeta parve acconsentire , e così firmarono un « patto d ' alleanza » con tutte le clausole in bell ' italiano e in bella scrittura . Ma prima d ' imbarcarsi per l ' Argentina il poeta dichiarò che gli era indispensabile recarsi a Parigi per farsi curare i denti da uno specialista . Arrivò in Francia il 28 marzo 1910 , e ci rimase cinque anni . Intanto alla Capponcina mettevano all ' asta tutto , esclusi i muri : statue di santi , stalli d ' oratorio , coperte di damasco , un cavallo , torciere in ferro battuto , materassi di lana , orologi , uno iatagan arabo , colonne di marmo , tele , terrecotte , libri antichi e calamai . L ' asta durò otto giorni e diede un ricavato di centotrentamila lire .