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> autore_s:"Bianciardi Luciano" > categoria_s:"StampaQuotidiana"
VALERIA DOVE VAI? ( Bianciardi Luciano , 1962 )
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Disse bene Fellini , giovedì sera , nell ' intervista a tiro incrociato : Zampanò è lui , ma anche Gelsomina è lui , e persino il pesciaccio brutto che alla fine della dolce vita i bagordanti trovano sulla battigia . Del pesciaccio , mentre parlava , aveva anche l ' occhio , ottuso all ' apparenza , in realtà sornione e maligno : una via di mezzo fra il diavolo e il gran inquisitore . Il sacro mostro , lo chiamarono infatti giovedì sera . « Può darsi che io sia decadente , ma allora , non è forse decadente tutta la società che mi esprime ? » Così siamo sistemati , noialtri . Lui è a posto ; come a posto è Marcello Mastroianni , che continuava a somigliare al barone Fefé Cefalù , coi capelli lunghi , untuosi , e le palpebre di piombo . C ' era Daniela Rocca e per un momento rifece la parte della baronessa dall ' animo obeso . A posto anche lei . Ma Valeria Ciangottini ? Nel film , come ricordate , l ' avevano messa a combattere il demonio , a fare l ' angioletto , come quelli - lo diceva il personaggio Marcello - che si vedono nelle vetrate delle chiese , dalle parti sue . In realtà , la Valeria era una ragazzina umbra e parlava come tale , con la cadenza morbida che si sente nella alta val di Tevere . Giovedì sera , invece ... Sedici anni e mezzo , disse , e intenzionata a « fare del cinema » . La voce era una caricatura di birignao , con le vocali sbattute contro il velo pendulo e un sospetto di adenoidi . Studia lingue al liceo internazionale , e i genitori ci tengono , che impari e faccia la brava scolara . Lei li accontenta , poverini , ma continua ad « amare » il cinema . A sedici anni e mezzo già parla così . Datele tempo , e fra dieci anni dirà di peggio . Dirà che vuole impegnarsi di più , poter scegliere e vivere personaggi che ha dentro di sé . Dirà di aver studiato « con furore » e di aver letto molto . Lamenterà il numero troppo scarso dei film « impegnati » che si fanno in Italia . Dirà che il suo vero personaggio è un personaggio attivo « inserito » nel mondo moderno , elle abbia « in sé » la rivolta ma non in senso « gratuito » . Avrà ogni anno offerte assai « interessanti » . Concluderà : « Ho sempre pensato di non sapermi spiegare , anche se a volte son io che non voglio farmi capire » . E naturalmente troverà subito un regista disposto a elevare a canone poetico queste dichiarazioni di ineffabilità . E faranno un film apposta per mostrarci il dramma d ' una giovane donna che ha tante cose da dire ma non le dice . E ci saranno critici pronti a garantirci la profondità del sottaciuto . Ne parlerà la stampa specializzata , specialmente in Francia . E Federico Fellini , che l ' ha tirata giù dalle vetrate della cattedrale starà a guardarla con l ' occhio del pesciaccio , ripetendoci , intanto , che se è decadente lui , la colpa è di noialtri . Ma tu , Valeria , dove vai ? Vuoi proprio finire in bocca al Leviatano ?
CANTA NATALINO ( Bianciardi Luciano , 1962 )
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Erano troppo distratti dal bailamme sanremese , coi suoi quarantacinque canterini , così nessuno ha parlato del ritorno ( in Alta fedeltà ) del nostro Natalino . Al secolo Codognotto Natale , classe 1913 , genovese . Me lo fece scoprire , nell ' autunno del quaranta , Carlo Del Canto , studente di veterinaria e , se non ricordo male , figlio di un grosso vinaio di Ponsacco . Faceva avanspettacolo in un cinema di corso Italia a Pisa , in coppia con una bella ragazza , chiamata Maria Jotti . L ' orchestrina la dirigeva un giovanotto lungo e magrissimo , coi baffi neri , di nome Gorni Kramer . « Dev ' essere malato » , mi sussurrava Carlo Del Canto . A quei tempi la magrezza non era mai segno di buona forma fisica , al contrario : infatti era cominciato il razionamento . Con cinque lire ogni settimana si andava a vedere film e avanspetaccolo . Ricordo che c ' erano due comici di stile quasi identico , due piccoletti agili e un poco astratti : sì chiamavano Fredo Pistoni e Renato Rascel . Hanno resistito tutti e due , con diversa fortuna : il primo lo rivediamo ogni tanto allo Smeraldo , il secondo al Lirico . Io ero per Fredo Pistoni . Senza preoccuparsi molto della guerra , i giovani di allora stavan dietro alle canzonette , proprio come i giovani d ' oggi . Tramontava una scuola canora , ne sorgeva un ' altra . Alberto Rabagliati era una stella di prima grandezza , da Teatro Verdi ; alla radio si andava imponendo un ragazzo torinese , Ernesto Bonino , amatissimo dalle giovani italiane ( quelle in camicetta bianca e gonna nera , voglio dire , quelle che avevano fatto la pubertà proprio mentre riappariva l ' impero sui colli fatali ) ; i ben pensanti preferivano il cesellatore ferrarese Oscar Carboni , i cuori solitari andavano in estasi per il baritono Giovanni Vallarino , che a dir la verità , valeva per lo meno quanto Bing Crosby . Noialtri della gioventù bruciata , tutti per Natalino Otto : siamo stati noi a scoprirlo e a lanciarlo . Già suonatore di batteria nelle orchestrino di bordo , piccolo e composto , Natalino aveva il ritmo dentro : non nei piedi , ma nella testa . Senza muovere un dito né un capello , con appena un aggrottare di sopracciglia nei passaggi più ardui , Natalino era capace di fratturare i tempi di una canzone e di ricomporteli secondo un suo estro rigoroso . Sembrava sempre svagato , distratto , e invece era preciso come un metronomo . Lo sentivi partire in un « glissando » da prima tromba , ma potevi star certo che alla fine del suo assolo sarebbe sbarcato esattissimo sulla nota giusta del ritornello . L ' altra sera rifece Polvere di stelle , identica come nell ' autunno del quaranta , quando la sala sembrava venir giù dagli applausi . E anche l ' altra sera ti veniva voglia di battergli le mani o almeno di dirgli : si faccia rivedere , signor Codognotto , perché è sempre il più bravo .
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« Tu sai che sono sotto minaccia di un gravissimo danno ? Il 1° novembre debbo presentarmi al distretto militare . Pensi tu alla terribilità del mio caso ? Diciotto mesi di caserma ? I1 suicidio sicuro . » Con quest ' animo Gabriele D ' Annunzio partiva soldato a ventisei anni . Classe 1863 , ma iscritto a un ' università del regno ( che non frequentò mai ) , gli spettava il rinvio , ma ora , come succede spesso in questi casi , d ' improvviso , con terrore , vedeva dinanzi a sé un anno ( e non diciotto mesi ) di vita militare . Scelse la cavalleria , e lo destinarono al l4° , che alla fine del 1889 stava accantonato a Roma , nella caserma del Macao . Ma in caserma non stette molto , perché quasi subito lo mandarono all ' ospedale per una crisi di nevrastenia . A ventisei anni era uno scrittore già celebre , aveva appena pubblicato Il piacere , apparteneva alla cerchia della « Cronaca bizantina » , e così gli ufficiali medici non digiuni di lettere ebbero per lui più di una premura : licenze , permessi serali , l ' uso di una camera tutta per sé . Dimesso , raggiunse il 14° quando già il reggimento era tornato alla sua sede , Faenza , ma anche lì fu l ' ospedale , stavolta per le febbri malariche . Sugli esami per la nomina a sottotenente i biografi sono vaghi e contraddittori ; sappiamo che ebbe diciassette ventesimi in composizione italiana , e che il colonnello , bontà sua , lo incoraggiò a continuare per quella strada . Non sappiamo invece se e come superò le altre prove . Una cosa è però certa , che non fece mai il servizio di prima nomina , e che nell ' ottobre del 1890 era in congedo illimitato . La divisa dell ' ufficiale la indossò venticinque anni più tardi , rientrando in trionfo dal nono glorioso « esilio » parigino . L ' orazione di Quarto , le accoglienze entusiastiche delle folle italiane , gli attacchi a Giolitti , che voleva la neutralità , Gabriele D ' Annunzio s ' era subito fatto portavoce di quella agguerrita e vociona minoranza che - così parve a molti - in quel maggio 1915 prevalse , dalla piazza , sulla volontà generale del Paese . Ora il dado era tratto , ed egli indossava la divisa dei lancieri di Novara . Una disposizione speciale superava l ' ostacolo della scarsa statura ( 1,64 comprese le scarpe ) insufficiente per la « cavalleria pesante » . Cappotto d ' ordinanza , berretto d ' ordinanza , gambali d ' ordinanza , il tenente Gabriele D ' Annunzio , di anni cinquantadue , credeva sinceramente d ' essere un soldato qualunque . Una sera di fine maggio , congedandosi dagli amici dopo una cena , concludeva : « Ecco l ' alba , compagni , ecco la diana , e fra poco sarà l ' aurora . Abbracciamoci e prendiamo commiato » . Così partì . Ma non fu un soldato qualunque , e non poteva esserlo . Si sistemò a Venezia , sul Canal Grande , nella « casetta rossa » , proprietà d ' un suddito tedesco , il conte Hohenlohe , dove conduceva la sua solita splendida vita , dispendiosissima . Non gli sarebbero bastate 7000 lire al mese , gli scriveva Albertini , esortandolo a scrivere di più per il Corriere , « Dove si trovano settemila lire al mese quando produci poco o nulla ? Canta ! Produci ! Lavora ! » . E lui di rimando : « Sì , dopo la cantata , tenderò il cappello , come i canterini girovaghi , e pioveranno le palanche » . In attesa delle palanche sognava l ' azione . Il 20luglio , anniversario di Lissa , una squadra navale italiana avrebbe dovuto incrociare a dimostrazione nelle acque di Pola , e il tenente dei lancieri chiese d ' essere della partita . Ma al comando non gli diedero molto ascolto , fecero un mucchio di difficoltà , e lui non partì . Infuriato scrisse a Calandra in persona : « Stamani , poiché m ' hanno impedito di andare a svegliare la triste Trieste con l ' avvertimento e col grido italiano , stamani io ho perduto alcuni minuti di vita sublime » . Si mossero subito le alte sfere , intervenne addirittura il generale Cadorna , e da quel momento Gabriele fu libero di far la guerra dove e come volesse : sulla terra , sul mare ma soprattutto nel cielo . Se in quella guerra non fu il solo privilegiato , fu certamente lui il maggiore , il primo . Diede anzi l ' esempio più cospicuo di quell ' arditismo che gli alti comandi favorirono , convinti che fosse una trovata tattica . La Prima guerra mondiale ha avuto ben pochi comandanti di grande immaginazione strategica . Sul fronte italiano ( come su quello francese dopo la Marna , del resto ) tutto si ridusse alla « guerra di logoramento » , una continua macina di vite umane , dall ' una all ' altra parte , fino a che non soccombesse per estinzione la meno forte , la meno numerosa . Per rimediare , sprovvisti com ' erano di un vero « pensiero » strategico , i generali ricorsero alla tattica dei « colpi di mano » . Così in Italia nacquero i reparti degli arditi : truppe sceltissime , libere da ogni altro servizio e dai gravosi turni di trincea , con vestiario , armamento , paga e altri vantaggi eccezionali , giungevano in linea solo quando ce n ' era bisogno , compivano la rapida missione e tornavano nelle retrovie . Tutti bei giovani spavaldi , questi professionisti del « colpo di mano » tenevano , in servizio e fuori , un contegno che possiamo definire dilettantesco , artistico . Spregiavano la disciplina , sbeffeggiavano sia i poveri fantaccini che i pezzi grossi , i papaveri della burocrazia , prima militare e poi politica . Obbedivano soltanto al superiore diretto . Si sentivano parte di un ' aristocrazia , e non soltanto militare . Finita la guerra diventeranno quasi tutti fascisti , ma del fascismo saranno l ' ala più turbolenta , più riottosa , più anarcoide . Il fascismo non vedrà l ' ora di sbarazzarsene , in qualunque modo , anche comprandone l ' inazione . D ' Annunzio era dei loro , il più grosso . Dopo tanto indugiare , ecco improvviso il battesimo del fuoco , il 7 di agosto , su un biposto pilotato dall ' eroico Giuseppe Miraglia . Cominciavano appena allora a usare gli aerei per il bombardamento tattico , e infatti fu poco l ' esplosivo buttato sull ' arsenale , ma molte le bandierine tricolori , e i messaggi . Due idrovolanti austriaci si levarono per intercettarli , ma tutto andò liscio , anzi Gabriele , inebriato da quel suo primo volo , annotava sul diario di bordo due versi della Vispa Teresa : « Vivendo , volando , che male ti fo ? » . E invece sognava la morte , purché fosse una morte ilare , bella e giovane , come un amplesso definitivo . Non a caso scritti , imprese guerresche e amori si accavallano e si intricano più che mai in questi anni di guerra . D ' un suo convegno amoroso parla così : « Ha ventisette anni , è nel culmine della giovinezza , quando la prima fame è sazia e cominciano gli indugi sul sapore . Ha ventisette anni , e non s ' avvede che questa assodata giovinezza è ingiustizia e ingiuria a me . Per avere ventisette anni darei il libro di Alcyone . E insiste , col tono dello scialacquatore un po ' trattenuto : « Che darei per avere ventisette anni ! Anche Laus vitae anche Alcyone anche Forse che sì forse che no » . Come se lo tormentasse il presagio di una morte vecchia e turpe . « Oggi a cavallo , avevo non so che senso giovanile del mio corpo . Ma là , nella fotografia di ieri , nella istantanea spietata , sono già vecchio . » Ecco perché la morte eroica dei suoi amici , dei suoi compagni d ' ardimento - Giuseppe Miraglia , Gino Allegri , Giovanni Randaccio - non è soltanto un grosso dolore , ma anche un ' occasione per contemplare la propria morte , idealizzandola : « Così la morte non era più di un passaggio fra due luci , ma era la congiunzione chiara di due luci . Tale fu poi per me da quel punto » . Dopo di lui la retorica della morte , la retorica del teschio e delle tibie incrociate , ha funestato l ' Italia . Ma la retorica è venuta dopo . Quando cantava , dei compagni di Buccali , « siamo trenta d ' una sorte , e trentuno con la morte , eia , l ' ultima , alalà ! » , Gabriele era sincero . In guerra rischiò seriamente la vita ; e forse il destino suo fu tragico proprio perché la morte gli toccò vecchia e turpe e dorata , nel mausoleo di Gardone . Persino la sua maggior ferita in guerra fu per un banale incidente di volo . Il 16 gennaio l ' aereo pilotato dal tenente di vascello Bologna dovette per il maltempo tornare indietro , e scendere sul mare di Grado , ma per un errore di visuale ( l ' acqua sotto il sole fece specchio ) ammarò troppo bruscamente , e Gabriele andò a sbattere la testa contro la mitragliatrice di prua . Il sangue fu poco , ma la lesione interna gravissima . Quando finalmente il poeta , tutto preso com ' era da un giro di conferenze e di serate benefiche in Lombardia , lasciò che i maggiori oculisti italiani lo visitassero , si vide che s ' era staccata la retina dell ' occhio destro , e che l ' occhio s ' era perduto . Indispensabile che per parecchie settimane restasse a riposo completo , a letto , nella camera buia . Al buio , appunto , scrisse il Notturno . Gli era giunta intanto la prima medaglia d ' argento e a settembre poteva riprendere a volare . « Ora io sarei contento » , scriveva all ' Albertini , « che questa mia rientrata in servizio attivo fosse annunziata ; per varie ragioni , tra le quali questo nuovo titolo alla mia promozione - della m ' infischio , come sai . Ma i miei amici zelanti si meravigliano , poiché Guglielmo Marroni da tenente è passato maggiore senza mai essere stato al fuoco . » Gli amici zelanti ci entrano poco , e non era vero che lui se ne infischiasse . Al contrario , non l ' abbandonò mai questa ambizione un po ' puerile e patetica di avere , come si diceva ambiguamente nel gergo degli ufficiali di carriera , « un bel petto » . Al fido Tom Antongini scriveva , per esempio : « Ora il ministro della Guerra è Lyautey , che mi conosce bene . Forse è più facile parlare di quella famosa Croce » . E ancora , sempre all ' Antongini : « A proposito , m ' era stata annunziata la medaglia d ' oro « serba » - che tanti hanno avuto - e l ' ordine di Leopoldo « belga » . Ne sai nulla ? » . Ora , il re dei belgi aveva altre gatte da pelare . Il re dei serbi era in fuga sopra un carro tirato da buoi , fra colonne di dispersi e fuggiaschi , e cercava di raggiungere la costa adriatica , dove si sarebbe imbarcato su una nave da guerra italiana . Ma la Croix de Guerre l ' ebbe , ed anche la britannica Military Cross . In quanto all ' Italia , gli diedero tutto quel che consentiva il regolamento , e quando occorse modificarono il regolamento per dargli di più : cinque medaglie d ' argento , una d ' oro , tre promozioni per merito di guerra ( fino a tenente colonnello ) , la Croce dell ' Ordine militare di Savoia . Davvero un « bel petto » . Persino una medaglia di bronzo . « Il bronzino di Buccari » , diceva Gabriele stizzito . Quei tre motoscafi siluranti , ciascuno con un equipaggio di dieci uomini , fecero nella notte fra il 10 e l ' 1 l febbraio 1918 un ' arditissima incursione nella rada istriana di Buccari , al comando del capitano di fregata Costanzo Ciano . I risultati pratici furono scarsi : un piroscafo austriaco affondato . Ma oltre ai siluri , in quella rada lanciarono anche tre bottiglie sigillate e ornate di nastri tricolori , con dentro un messaggio , che si chiudeva così : « Un buon compagno - il nemico capitale , fra tutti lo inimicissimo , quello di Pole e Cattaro - è venuto a beffarsi della taglia » . Questo il punto : sul fronte italiano ormai l ' Austria stava combattendo due guerre , una contro l ' Italia , l ' altra contro D ' Annunzio . La taglia sulla sua testa c ' era veramente , sin dal 1915 . E se sfogliamo i giornali umoristici austriaci di allora , si vedono subito i due bersagli fondamentali : l ' italiano bassotto , baffuto , nero , con il cappello da brigante calabrese , e D ' Annunzio , in abiti femminili , fra nubi di profumi e di cipria . Ecco la controprova di quanto fosse efficace , ben articolata , puntuta , la propaganda di Gabriele . Vien voglia di chiedersi perché i tecnici della persuasione , tanto numerosi e rumorosi ai giorni nostri , non abbiano mai pensato di studiare in questo senso la sua vita e la sua opera . Un volo e una canzone , una visita alle prime linee e un articolo sul Corriere , tutto quel che D ' Annunzio fece in guerra fu anche propaganda di prim ' ordine . E la propaganda , come ben sappiamo , illumina non soltanto la cosa che si lancia , ma anche la persona che provvede al lancio . Non a caso i pubblicitari « firmano » . D ' Annunzio firmava , sempre , tutti i manifesti buttati sul nemico . Ecco un suo arrivo al fronte . « Truppe non logore , sfinite : per rifarle ci vuol ben altro che il teatro del soldato ... Arriva D ' Annunzio a gran corsa . È sempre come una ventata di aria fresca . " Sapete " ; dice , " bisogna smetterla con l ' hip , hip , hurrah . Roba da barbari . Siamo o non siamo latini e omerici ? Dunque eia , eia , alalà ! Attenti : eia , eia , eia !..." E tutti in coro a rispondere : alalà ! » Ora , noi possiamo anche dubitare che dopo un turno di trincea sul Carso , il fante - un contadino della bassa Italia - potesse sentirsi « omerico » e « rifarsi » con un alalà . Ma chi lo comandava , il tenentino che aveva lasciato gli studi l ' anno prima e che sognava ( tutto in un sogno solo ) la grandezza d ' Italia , la vittoria e i favori delle belle donne , quel tenentino sicuramente tornava in linea convinto di dover « gittare il cuore nella trincea nemica » e andare a riprenderselo . Del resto D ' Annunzio era ben consapevole di quest ' azione propagandistica . Prima della nona battaglia dell ' Isonzo , ecco il suo solito arrivo « a corsa » con l ' alalà , come lo racconta lui in privato , scrivendone all ' Antongini : « Parto domani per la fronte , dove faccio l ' ufficio di mascotte per le " spallate " » . Memento audere semper , non piegare d ' un ' ugna , l ' orbo veggente , sufficit animus : l ' imaginifico era diventato un eccezionale trovatore di « slogans » . E si legga questa sua disposizione di volo , prima d ' un attacco su Pola : « Quando tutte le bombe siano andate a segno , ciascun equipaggio si leverà in piedi , compreso il pilota di destra , e lancerà il grido attraverso i fuochi di sbarramento : alalà » . Eppure D ' Annunzio è anche l ' autore di un memoriale sull ' impiego strategico dell ' aviazione da bombardamento che i comandi lessero con molta attenzione . È uno scritto tecnicamente assai buono , con non poche idee che precorrono i tempi : l ' uso degli aerei siluranti , per esempio , il valore psicologico delle incursioni a lunga distanza , l ' impiego massiccio dei bombardieri , contro l ' opinione corrente di allora , che voleva limitare gli aerei a compiti di osservazione di intercettamento . E il volo su Vienna fu impresa unica nella Prima guerra mondiale . E il merito fu interamente suo , perché D ' Annunzio ci pensava sin dallo scoppio delle ostilità . Era un ' impresa assai difficile , sempre sconsigliata e talvolta osteggiata dai comandi . I Caproni disponibili allora , da 300 hp , non avevano autonomia neanche per il solo volo di andata . Quelli da 450 hp , costruiti più tardi , potevan bastare a patto che si aggiungessero dei serbatoi supplementari , ma questo imponeva di ridurre al minimo il carico utile . Al campo di San Pelagio lavorarono febbrilmente per settimane . Prima di accettare l ' impresa , i comandi vollero fare un volo di prova di mille chilometri sulla Valle Padana . E siccome D ' Annunzio non era pilota , si dovette trasformare un monoposto ( quello di Natale Palli ) incastrando un seggiolino in un incavo ricavato fra le lamiere del serbatoio supplementare . L ' ordine di operazione era rigoroso : non lanciare bombe , ma limitarsi a un ' azione dimostrativa , non lasciarsi impegnare dagli aerei da caccia austriaci , troppo più veloci , essere pronti ad azionare un dispositivo per la distruzione dell ' apparecchio , scendere a 700 metri sulla capitale nemica per il lancio utile dei manifestini . Decollarono la mattina del 9 agosto , una squadriglia di undici apparecchi in formazione serrata . Tre dovettero subito ridiscendere per un guasto . Il pilota Sarti fu costretto ad atterrare in territorio nemico . In sette dunque raggiunsero Vienna a far sentire « il rombo della giovane ala italiana » che « non somiglia a quello del bronzo funebre nel cielo mattutino » . Tornarono , e già quando furono sul cielo di Venezia l ' Italia seppe dell ' impresa e impazzì . Qualcuno propose di incoronare di lauro il Comandante , in Campidoglio . La guerra di D ' Annunzio fu dunque questa : il coraggio sposato alla retorica , l ' intelligenza alla consapevole volontà di propaganda , e poi l ' ambizione , il vagheggiamento estetico della bella morte , la poesia che si trasforma in vita vissuta , il poeta che passa la mano al Comandante . Non fu la guerra degli altri , dei poeti , degli scrittori , degli intellettuali suoi contemporanei . Costoro partirono tutti per il fronte . Molti ci andarono volontari , ciascuno spinto da un motivo che non era sempre identico a quelli altrui . Nella guerra , fra costoro , ci fu chi vide la lotta dei popoli contro gli imperi , e ci fu chi vide la conclusione del Risorgimento , e chi seppe impararvi la nuda lezione della fratellanza fra gli uomini . Se noi oggi vogliamo capire che cosa fu la Grande guerra leggiamo le pagine di Emilio Lussu , di Giuseppe Ungaretti , di Carlo Emilio Gadda , di Renato Serra , di Carlo Salsa , di Ardengo Soffici . Li leggiamo proprio perché loro fecero la guerra da soldati , in mezzo ai soldati . D ' Annunzio fece la sua splendida guerra con uno stretto manipolo di giovani che gli somigliavano , o che si sforzavano di somigliargli . La visse e la sentì come il supremo fastigio di una vita eroica . Non ebbe la corona in Campidoglio , ma entrò , vivo , in un mausoleo , il Vittoriale . Ma intanto era venuta la pace . Una pace gallica , inghilese , stelligera , per dirla con le sue parole , non certo una pace italiana , che facesse per esempio dell ' amarissimo Adriatico un golfo italiano . Un suo scritto che chiedeva appunto per l ' Italia tutta la costa dalmata fino a Valona non fu accettato dal Corriere . Era la fine del 1918 e in tutta l ' Europa , già stremata dalla guerra , la spagnola mieteva altre vittime , più numerose ancora . Prese la spagnola anche D ' Annunzio : chiuso nella « casetta rossa » meditava l ' impresa di Fiume .
D'ANNUNZIO II. Si murò vivo in un monumento ( Bianciardi Luciano , 1963 )
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Inutile negarlo : al Vittoriale tu arrivi prevenuto . Troppi gli amici che ti hanno messo sull ' avviso : vedrai la retorica , la bolsaggine , il cattivo gusto ! Vedrai i soldi sperperati ! Pensa , monumento nazionale sin dal 1925 , con dentro lui , vivo . S ' era lasciato seppellire da Mussolini e senza nemmeno soffrirne troppo . Infatti , pensi tu quando la macchina si arresta sullo spiazzale e guardi l ' ingresso . « Io ho quel che ho donato » , leggi per prima cosa . Esatto , pensi : di questa roba egli fece dono agli italiani , ma ci rimase dentro , e gli italiani gli pagarono tutto quanto , la terra , gli immobili , le aggiunte successive , che non finivano mai . Con quest ' animo paghi le duecento lire del biglietto e prendi su per il viale selciato a « cubi porfirici » , come diceva lui . Ed ecco la retorica , pensi , quando la guida ti spiega come quel gran pennone con in vetta una vittoria alata e dorata riproduca la forma di un pilone di ponte sul Piave . Vero , constati , ma lì per lì non te n ' eri accorto , perché stavi guardando altro . La vegetazione , per esempio , che qui è ricca , varia , d ' un verde sempre intenso ma sfumato dal cipresso all ' ulivo al nespolo all ' edera al magnolio . Il terreno digrada verso il lago , che in un mattino piovigginoso , come oggi , è d ' un chiaro quasi bianco . Certo , se volgi gli occhi attorno vedi archetti , colonne , pennoni , capitelli , un sarcofago grigio e massiccio , un obice da centocinque , fontanine , oblò , vetri colorati , nicchie . Vedi un mucchio di roba , che però non rompe la bellezza del panorama e anzi ne è soggiogata , ingentilita . Insomma , su tutto l ' hanno vinta i cipressi svettanti , o il grande pino contorto e antichissimo che sta nel « cortile dalmata » . Lì accanto c ' è il pennone massimo , che ha per base due mole da frantoio , e per ornamento otto mascheroni slavonici , di pietra . Lo sguardo rimane incerto fra pino e pennone , e alla fine tu pensi che va be ' , non è mica poi tanto brutto . Non è mica tutta retorica , pensi adesso ; insomma , ci si potrebbe anche campare , forse bene . La villa di Cargnacco , che D ' Annunzio comprò nel 1921 , era questa fetta centrale , ora coperta da una quarantina di stemmi in pietra , di tutte le grandezze e con tutti i motivi : ci sono cani , draghi , palle , teste , alberi , gladii , fiori , aquile e putti . Quando lui fece l ' acquisto era una villa campagnola , d ' una certa eleganza solenne e discreta e ci abitava un critico d ' arte tedesco , Heinrich Tode , genero di Wagner . Solo questa fetta : nelle fotografie di allora ha un aspetto a metà fra la fattoria e la pieve , tanto vero che il Comandante la battezzò , scherzando , « la calonica » , e subito si accinse a cambiarla . Adesso gli edifici formano un quadrato di vuoti e pieni , attorno al cortile dalmata : muri , finestre , portici , altane . Ecco lì la FIAT tipo 4 della marcia da Ronchi , scura , con la leva del freno sul predellino , e i fanali ad acetilene . Non è eroica . E lassù , in una sala rotonda dove si tengono anche le commemorazioni , appeso col fil di ferro al soffitto , l ' aereo del volo su Vienna : è uno SVA di compensato e seta , con il leone di San Marco in rosso e oro ( « iterum rudit leo » dice il motto ) e sulla coda le sette stelle dell ' Orsa in campo azzurro : sette come furon sette gli aerei che , degli undici partiti , giunsero sulla capitale austriaca . Nemmeno questo è eroico , ormai : sembra un gran farfallone infilzato a mezz ' aria , fragile e rinsecchito , come polveroso . Non sono eroici nemmeno i giardini privati , nonostante i macigni alpestri , ciascuno con scritto in rosso il monte d ' origine : Veliki , Sabotino , Podgora , Carso e così via , e frammezzo una mitragliatrice ( raffreddamento ad acqua , pensi ) , proiettili , elmetti , e un san Francesco stilizzato che apre le braccia verso la finestra della Zambracca , la stanza dove morì di emorragia cerebrale il Comandante . Non sono eroici perché anche qui la vegetazione domina su tutto : nel boschetto dei magnolii incontri un fossatello , e per superarlo c ' è una lastra di marmo , scritta : « Strepitu sine ullo » , dice da una parte , e dall ' altra : « Sordida pellit » . Spiega la guida che gli indesiderati , i malevoli , dovevano restare di qua , nel sordidume , mentre i fedeli , senza far chiasso , giungevano sino all ' arengo , cioè ad una serie di belle panche in pietra scolpita , con alle spalle , fra magnolii folti , ventisette colonne . Il Comandante riceveva qui reduci , compagni d ' arme , belle donne , Mussolini , Cicerin , Umberto di Savoia , e intratteneva tutti con le sue alate concioni , con le sue squisite arguzie . Racconta Dario Niccodemi d ' essere rimasto quattordici ore , fra arengo , cortiletto degli schiavoni , portico del parente ( il parente sarebbe Michelangelo ) , affascinato e divertito , da non accorgersi che il tempo passava . Ora comincio a non dubitare che ci saremmo divertiti anche noi , tanto doveva essere ricca e variata e bislacca la conversazione d ' un uomo che poteva appigliarsi a tanti particolari in mostra , a tante minutaglie eterogenee e stravaganti . Infatti nel cortile e nel portico non c ' è palmo di muro che non rechi infisso un medaglione o una testa , o un paio di corna bovine , una clessidra , una campana , un lampione , una testina , una maiolica , un ' epigrafe , un ' anfora , un motto , un cartiglio . Ciriaco Marini , oggi guardiano ma allora muratore al Vittoriale , mi precisa che il Comandante , in compagnia del suo fido architetto Maroni , presiedeva ad ogni cosa : diceva lui voglio qui questo , lì quello , così va bene e così no . Era attivissimo , esigente , preciso , piccolo , asciutto , gran camminatore , generoso , cordiale , aristocratico e perciò populista . Giù verso l ' Acqua Pazza , per esempio , un giorno stavano sistemando una piaggia a gradini . Arrivò in visita il Comandante , sempre in compagnia del Maroni , e con le sue gambette di vecchio non ce la faceva a superare lo sbalzo del terreno . Si rivolse all ' operaio Betta : « Dammi la mano » , comandò con quella voce acuta ( « Pareva una cornetta » , spiega il guardiano ) . Ma il Bella non voleva , si scherniva : aveva la mano sporca di terra . « Dammi la mano » , strillò D ' Annunzio . E poi , a monito : « Ricordati , la mano di un operaio giammai sarà sporca » . I guardiani d ' oggi ( portano una divisa , ma in estate , con le insegne del principato di Montenevoso ) ricordano parecchie cose e sanno dirti a memoria il nome di tutto . Perché qui tutto ha un nome : viale d ' Aligi , Acqua Pazza e Acqua Saggia , cortiletto degli schiavoni , portico del parente , fontana del delfino , Pilo del « dare in brocca » , edicola di San Rocco , colonna dei giuramenti , cortile dalmata , torre del belvedere . È una toponomastica che basterebbe per un quartiere cittadino , e invece si riferisce a poche spanne di terra . E continua e si infittisce e si accavalla e prolifera dentro casa . Qui il pubblico non può entrare , e si capisce perché : più di tre persone alla volta non ci si muoverebbero , e io che sono grosso ho sempre paura di rompere qualcosa . Immagina ora d ' essere ospite del Comandante . Arrivi alla porta , e un ' epigrafe ti ammonisce : « Clausura finché s ' apra , silentium fin che parli » . Aprono la porta , e vedi due leoni d ' oro , sette scalini rossi , un andito scuro di noce vecchio , una colonna e due busti . Ti fanno accomodare nell ' oratorio dalmata , che è proprio un oratorio coi suoi scanni e i cuscini rossi , i turiboli , gli ostensori , le croci , i reliquarii , le statue dei santi , e appesa al soffitto l ' elica dell ' aereo di De Pinedo . E non sai cosa guardare . E se ti ammettono alle altre stanze , cresce questa sensazione , questo principio di capogiro e di soffocazione asmatica . Perché ogni stanza è tappezzata , ovattata , imbottita , straripante di oggetti : su un tavolo foderato di rosso , dinanzi a un tabernacolo d ' oro , il volante spezzato del pilota inglese Seagraves . Per terra cuscini e una pelle di leopardo , e accanto , dal pavimento a l soffitto , una piramide di statue : si comincia con due gatti di porcellana , e si sale , traverso Budda e Visnù e Krishna e non sai più che altro , fino alla Madonna col Bambino , di legno colorato . È la scala delle religioni , ti spiegano , e la scritta precisa : « Tutti gli idoli adombrano un dio vivo , tutte le fedi attestan l ' uomo eterno , tutti i martiri annunziano un sorriso » . Nella stanza del mappamondo , insieme ai tavoli e alle statue e ai libri , trovi un organo , il globo enorme che dà nome all ' ambiente e una mitragliatrice Schwartzlose , preda bellica . Le luci sono tutte smorzate , rosate , rossastre , giallicce , verdine , bluastre . La sala del lebbroso , la più famosa , contiene , accanto a un letto - culla - bara coperto di seta nera con scritte latine in oro , una statua di giovinetto nudo in legno chiaro . Tu muovi con crescente cautela e non senti il rumore dei tuoi passi , per i continui tappeti che si susseguono sovrapposti agli orli . Saranno più di mille . E ogni stanza ha il suo nome d ' invenzione . Nella stanza della Zambracca ( in veneto significa , se non sbaglio , « cameraccia » ) c ' è un fornitissimo armadio di medicinali ( ultimamente il poeta aveva gran paura delle malattie ) e il guardaroba , dove stupisce il gran numero delle cravatte a farfallino . Un appunto del poeta ti dice che anche ai « servizi » doveva toccare il nome , in latino : bibliothecula stercoraria , balneolum vetusculum , cellula vinaria et dearia . La stanza della Cheli prende nome da una tartaruga enorme che sta sul tavolo da pranzo . Quest ' animale morì per una indigestione di tuberose , ma il poeta la volle ancora : il guscio è il suo , dorato , la testa e le zampe le rifece in bronzo , pure dorato , lo scultore Bronzi . Ora , si pensi che D ' Annunzio fece mangiare a questo tavolo Umberto di Savoia e Mussolini , con a capo tavola la tartaruga Cheli . Se riesci a dominare il senso di vertigine che a questo punto t ' ha preso , non eviti un dubbio : faceva sempre sul serio , il Poeta ? Perché di solito , lui così parco , mangiava giù , solo , nella Zambracca , e a tavola con la tartaruga ci andava solo in compagnia di ospiti illustri . Ancora : entri nel bagno , a fatica rintracci vasca , bidet e lavabo , di maiolica blu , annullati dal carico di anfore , uccelli , piatti , mattonelle , teste , frutti finti , ampolline , teche e fotografie ( più di duemila pezzi , avverte serissima la guida ) . Guardi sul tavolino , e in bella mostra vedi e conti almeno dieci spazzole pei capelli . E tutti sanno che D ' Annunzio era calvo . Qualcuno mi dice : possibile dormire avendo ai piedi del letto un calco in gesso del Prigione di Michelangelo ? Giusto : ma non si dimentichi che questa enorme statua porta alla vita un pezzo di damasco dorato che gli fa da gonnella . È questo un modo serio di trattare un artista venerato e per giunta « parente » ? Né si scordi , per esempio , che lo scrittoio del monco , con quella rossa mano mozza sopra l ' architrave , serviva a raccogliere la posta inevasa , le lettere dinanzi alle quali Gabriele sentiva cader giù la mano , lettere di seccatori , postulanti , creditori . E oltre tutto in queste stanze D ' Annunzio non lavorava : e chi ci riuscirebbe ? Al piano di sopra c ' è l ' Officina , cioè lo studio . Se da questa stanza leviamo la copia d ' una Vittoria , qualche calco , qualche fotografia , potrebbe sembrare lo studio di uno scrittore qualunque . È di legno chiaro ; la luce basta per leggere , lo scrittoio è piccolo ( non si lavora bene sui tavoli grandi ) , i libri sono ben disposti , a portata di mano ; rigorosamente allineati , accanto ai numerosi dizionari ( l ' imaginifico non tirava mai a indovinare , quanto alle parole ) ecco i volumi d ' una storia economica della Toscana : quando morì , mi spiegano , stava lavorando a una vita di Santa Caterina , e voleva documentarsi a dovere . E in tutta la casa non trovi un libro inutile : i trentamila volumi formano una biblioteca strumentale , e non ripetono affatto le stramberie degli altri oggetti ; non vedi nemmeno un incunabolo , né un ' edizione pregiata . È la biblioteca d ' uno studioso , non d ' un bibliofilo estetizzante . Insomma al tavolo di lavoro D ' Annunzio diventava serio . Qualcuno dei guardiani ricorda che era capace di restarsene a sedere per dodici , quattordici ore di fila . Preoccupati , essi ogni tanto spiavano questo faticatore della penna , e allora vedevano sulla testa calva una vena gonfiarsi e tendersi come una corda , per lo sforzo . Lavorava sodo , dimentico di tanta paccottiglia che gl ' ingombrava le stanze di sotto . Certo , non era più lui : passata la sessantina , aveva dato il meglio di sé , e adesso gli restavano i progetti di altre quaranta opere che non scrisse mai , ma che promise al suo editore . Esaurita la vena dello scrittore , conclusa la vita eroica di Buccari , di Vienna , di Fiume , adesso la sua avventura diventava di estetica quotidiana . « Tutto qui è dunque una forma della mia mente , un aspetto della mia anima , una prova del mio fervore . » Era sincero . Ma doveva fare i conti con un doppio rischio . Ecco il primo . Girando per queste sale io mi chiedevo quale poté essere il gusto di D ' Annunzio verso le arti figurative . E constatavo che in casa non esiste un quadro né una statua di pregio . I calchi michelangioleschi , così bianchi , enormi , e gessosi , sono orrendi . I quattro o cinque quadri del Previati che oggi , ben illuminati , stanno nella camera di Schifamondo , par che non gli piacessero , e infatti li aveva relegati in una specie di magazzino . Il gusto delle maioliche orientali dunque ? Non lo apparenta forse a certi decadenti inglesi , a Whistler , a Rossetti , a Howell , fanatici del blue china ? E i disegni del De Carolis ( fece tutti i suoi frontespizi ) non saranno forse l ' equivalente delle illustrazioni che tracciò Aubrey Beardsley per le opere di Oscar Wilde ? Nemmeno questo convince . E forse la risposta giusta è che D ' Annunzio non ebbe mai un preciso gusto figurativo ; che questi oggetti servivano , come suol dirsi , a creare l ' atmosfera , a sollecitare la fantasia ; che ebbero un valore più tattile , più vellicatorio che visivo . Secondo rischio . In un certo senso , il Vittoriale è davvero degli Italiani : esso infatti ospita tutto quel che gli italiani regalarono a D ' Annunzio . Una pera di vetro , una pina secca , un satiro in stile Novecento , un palloncino di carta , una pietra consacrata , una camicia sporca di sangue : non sempre fu lui a mettersi in casa questa roba . E poté accadere che non sapesse sbarazzarsi d ' un dono , far piazza pulita degli oggetti inutili , o di quelli brutti . Poté accadere , all ' inverso , che donasse ad un visitatore oggetti di pregio autentico . Lui stesso dovette accorgersi di questo progressivo soffocamento quando decise di « schifare il mondo » ( e cioè quel mondo , quelle pere di vetro , quelle zucche luminescenti , quei pugnali ) e trasferirsi a vivere lì accanto , in due sole stanze , brutte quanto si vuole anche esse , ma perlomeno non più attuffate da tanta paccottiglia . Schifamondo , disse lui : una camera da letto scura , arredata nello stile che fu degli anni Trenta , con più i calchi giganteschi , a capo del letto un occhio d ' oro , con l ' insegna « per non dormire » . Le luci piovono dal soffitto smorzate e opalescenti ; l ' effetto complessivo è funereo , ma d ' una certa solennità . D ' Annunzio su quel letto non riposò mai , se non dopo morto . Lì lo vide per l ' ultima volta Mussolini , poi lo esposero alla folla sotto il portico del cortile dalmata , e infine lo sotterrarono ( no , non in piedi , mi dice l ' ex muratore Ciriaco Marini , che era presente ; no , disteso come un cristiano qualunque ) . Adesso il corpo di Gabriele è in una nicchia abbastanza semplice dell ' Esedra : il nome , un pugnale , la corona dell ' Accademia d ' Italia , la terra di Pescara , l ' acqua del Piave . Sta lì di fronte alla casa . Ma c ' è chi non vorrebbe lasciarcelo . Nel 1940 cominciarono i lavori per l ' erezione del Mausoleo , che è più grande di tutti gli altri edifici messi insieme . Sta in cima al poggio che guarda la prua della nave « Puglia » ( sempre lì in attesa di salpare , ma non si muove mai , purtroppo ) . È a pianta circolare , con balze successive ornate da pochi stenti ulivi che non vogliono attecchire . Bianche scalinate portano da una balza all ' altra , e sul cerchio più alto si levano dieci arche spigolose , e un ' undicesima sta al centro , in mezzo a una specie di vasca , più alta di tutte . Lì vorrebbero mettere D ' Annunzio , circondato da dieci eroi fiumani ( sette già ci sono ) . L ' architetto Maroni , che qui e altrove fece cose non indegne , stavolta si lasciò prendere la mano dal gusto littorio dell ' ossario imponente e falso . Il mausoleo è brutto . È una cattiveria contro la dolcezza del paesaggio . Per fortuna non è stato mai finito , e speriamo che non sia mai . Dopo tutto un mausoleo per D ' Annunzio non serve . Esiste già . È quello , il Vittoriale . Teniamolo così : un monumento patetico , che costruì per se medesimo un uomo vecchio . Entriamoci a guardarlo con la pietà che dobbiamo a un nostro nonno . Era un nonno strambo , ma a suo modo geniale .
D'ANNUNZIO III. Le donne che non amò ( Bianciardi Luciano , 1963 )
StampaQuotidiana ,
« La cosa che donna M . temeva è ormai una certezza . Bisognerà trovare un mezzo per rimediare prontamente ... La madre finora non sa nulla : dubita soltanto . Il caso è stranissimo . Io prima avrei giurato che non poteva essere . Tu che pensi ? Che mi consigli ? » Così scriveva Gabriele al padre nel maggio del 1883 . È la tipica lettera del giovanotto meridionale salito in città a fare fortuna che ha « commenato ' o gliommere » , cioè ha combinato il pasticcio e ora non sa più a che santo votarsi : sbalordito , teme le ire del padre suo , della madre di lei , teme le chiacchiere di amici e conoscenti , ma al tempo stesso , sotto sotto , si compiace della sua grossa avventura . Donna M . , e cioè Maria Hardouin duchessina di Galles , era incinta . La nobiltà romana , da lei impersonata , gli aveva ceduto a tal punto . Una nobiltà di mezza tacca , certo : il padre di lei , Jules Hardouin , era sottufficiale degli ussari . Accantonato col suo plotone al pian terreno di palazzo Altemps , aveva sedotto la vedova del duca di Gallese , l ' aveva sposata e papa Pio IX gli concesse allora la nomina a sottotenente . Non solo : la duchessa sedotta e impalmata ottenne dal pontefice anche il passaggio del titolo nobiliare al suo aitante ex sergentone . E ora quel titolo , grazie a una seconda seduzione , veniva a ornare la nomea del giovanissimo Gabriele . Quel bel ragazzino biondo , ricciuto , piccoletto , capellutissimo , dagli occhi azzurri , era evidentemente destinato a far carriera . Gli amici romani del Fanfulla , della Cronaca bizantina , e infine della Tribuna , ne erano anch ' essi , a modo loro , sedotti , e se lo coccolavano , se lo portavano dietro a mangiar pane e ricotta , a pellegrinare sull ' Appia antica , a recitare a gran voce un ' ode carducciana . « In lui era tanto spontaneo il senso della barbarie e tanto curiosamente commisto a una nativa gentilezza di donna , che lo avresti detto una di quelle querce educate al tempo del barocchismo e potate in guisa da dar sembianza d ' una qualche cosa poco selvatica . » Sono parole di Eduardo Scarfoglio , che di lì a poco doveva scoprire , con appassionata disillusione , quanto poco barbara fosse la sua giovane amica quercia pescarese . Gabriele , che sino ad allora girava con la chioma irsuta , senza cravatta , con indosso una stenta giacchetta , si trasformò rapidamente in un damerino , accolto in tutti i salotti e in non poche alcove . La prova eccola lì , donna Maria incinta , il matrimonio irrevocabile , i parenti di lei sdegnati ma pur sempre costretti ad accettare gli sponsali , e a trovare per Gabriele un posto degno e sicuro : cinquecento lire alla Tribuna , per redigere la cronaca mondana . Ora Gabriele lanciava una firma che avrà fortuna , Duca Minimo , prendeva lezioni di cavallo e di scherma , che gli saranno assai utili in un paio di duelli , cominciava a far debiti , entrava nel suo turbinoso giro di avventure galanti . « La giovinezza mia barbara e forte in braccio de le femmine si uccide » . Olga Ossani era una cronista mondana , e si firmava Febea : più anziana di Gabriele , precocemente canuta , spregiudicata , avviò lei questo amorazzo redazionale , e guidava il suo giovane amico , padre da poche settimane , nell ' « alta selva » di Villa Medici , e gli insegnava certi suoi strani riti paleocristiani . Nel Piacere la Ossani si chiamerà Elena Muti , e il suo amore con Gabriele durerà esattamente quanto l ' amore di Elena per Andrea Sperelli . Ma il libro fu dedicato alla moglie : è già cominciata una specie di staffetta , per cui sul frontespizio del libro figura il nome della donna abbandonata , mentre il nuovo amore ne costituisce la materia . Eduardo Scarfoglio è ormai un ex amico e diventa critico mordace : « Risaotto al pomidauro » , scrive sul Corriere di Roma , all ' uscita dell ' Isaotta Guttadauro , e i due scendono sul terreno , spada alla mano . Proprio Scarfoglio gli aveva fatto da padrino nel primo duello , con un certo Magnico : ferito di fendente alla testa , il medico lo curò con una soluzione di cloruro di ferro , che bastò a fermare il sangue , ma anche gli bruciò il bulbo dei capelli , avviando già da allora la rapida calvizie del poeta . Il nuovo amico adesso è Adolfo De Bosis , che organizza una crociera argonautica . Sopra un panfilo a vela , la « Lady Giare » , innalzando la bandiera di Shelley , bianca e azzurra con tre conchiglie , salparono da Ortona , decisi a far cabotaggio lungo la adriatica , fino a Venezia , a Trieste , a Fiume , e poi giù giù verso Spalato , Zara e Gattaro ( luoghi che entrano adesso nella poetica dannunziana ) . Portavano con sé tappeti persiani e vasellame d ' argento , e a ogni porto scendevano a terra per prepararsi il tè . « Mo arriveno li ggiochi » , dicevano i pescatori abruzzesi e marchigiani al veder stendere quei tappeti , convinti che fosse una compagnia di saltimbanchi . Avevano scelto la ciurma con un criterio estetico , e cioè s ' erano presi due marinai dal nome sonante . Ippolito Santillozzo e Valente Veniero . Purtroppo l ' uno non aveva mai navigato a vela , l ' altro era un mezzo deficiente , e fu così che la « Lady Giare » dopo Rimini perse la rotta , e il vento la portava al largo . Li salvò , per loro buona sorte , una nave da guerra che incrociava da quelle parti , e li rimorchiò a Venezia . Gabriele ebbe lì la notizia della nascita del terzo figlio ( che battezzò Veniero ) , ma non si mosse . Aveva mandato via anche Barbara Leoni e adesso pensava solo a discutere di problemi navali con certi ufficiali della « Barbarigo » . Degli amori con Barbara Leoni dava un resoconto quasi cronistico nel Trionfo della Morte che uscì nel 1887 , quando già era cominciata una storia d ' amore nuova , con la nobildonna napoletana Maria Gravina Cruyllas . A lei è dedicato L ' innocente , che pure ha per protagonista , ancora , Barbara , anzi contiene , ricopiati pari pari , interi brani di lettere a lei . A questo punto tu cominci a pensare che a Gabriele importasse più la letteratura che le donne . « Se veramente pel mio letto passassero tutte le donne che don Giovanni sognava » , scriveva a Barbara addolorata e offesa , « tu dovresti esserne quasi lieta alla fine : perché tutte certamente , certamente , mi lascerebbero il rimpianto e il desiderio furioso di te » . Certi biografi affermano che la Barbara Leoni fu il più grande amore del poeta . Altri danno il primo posto alla Eleonora Duse . Ma chi segua questa catena di storie che si accavallano e si confondono e sfumano l ' una nell ' altra senza visibili differenze , è indotto a concludere che grandi amori nella vita di D ' Annunzio non ce ne furono , e che egli anzi soffrì d ' una innata incapacità di affetti profondi . E che non ebbe neanche una profonda sensualità . Infatti una sensualità autentica presuppone sempre una radice interiore di impegno morale , che D ' Annunzio non ebbe mai . Nei rapporti con le donne , e così con gli animali e con gli oggetti , D ' Annunzio portò una sensibilità acuta , anche esasperata , ma sempre epidermica . Vagheggiò il piacere come esperienza tattile , olfattiva , visiva , non di più . Fu tutto pelle , tutto vellicamento , e portò al parossismo quest ' arte . Ha scritto il Croce che egli fu « dilettante di sensazioni » . Non sta a noi dire qui se è veramente così . Ecco come racconta il ritorno da una cavalcata peri poggi intorno a Settignano : « Balzavamo di sella , su lo spiazzo , palpando il collo della bestia generosa col guanto inzuppato . I garzoni accorrevano ... Il palafreniere curvo su la lettiera asciutta , con una manciata di paglia per ogni mano , e quello che tuffava la spugna nella secchia tenendo la coda o il piede , ognuno accompagnava la bisogna con un certo soffiare ch ' era come un suono lieve di persuasione e di blandimento ... Di posta in posta , palpavo con la mano senza guanto la spalla le reni l ' anca per sentirle asciutte ; e più d ' una volta eccitavo lo zelo con l ' esempio , in gara di prontezza , ché tu sai quanto mi piaccia fra i destri essere più destro » . Come si vede , il lavoro degli uomini è guardato solo in quanto occasione che mette in rilievo un bel gesto , un bel contrasto visivo o sonoro , e gli animali si riducono a sensazione tattile , assaporata sottilmente ( prima col guanto e poi senza ) . Anche il figlio neonato , la prima volta che lo vede , gli suscita sensazioni di questo tipo : « È una cosa molle , rosea , calda , palpitante , che a volte si muove tutta e ha degli annaspamenti di ragno , delle grazie di scimmia giovane , degli accenti talora bestiali , talora sovrumani » . E quando una sua nuova amante , la Alessandra di Rudinì , la « Nike » ammalata , dovette subire tre operazioni , lui volle essere presente , e così racconta : « Non so quale ebrezza di volontà m ' infiammi e moltiplichi le mie forze ... Per la terza volta ho tenuto nelle mie mani le mani della vittima mentre la sua anima si profondava nel buio , sotto la maschera del cloroformio ; e m ' è parso di assistere a tre agonie e ho udito salire da ciascuna parole inaudite , parole che non possono essere dette se non alla soglia della morte ... » . Anche un corpo sofferente e dilaniato diventava ragione di godimento epidermico . Era veramente un dilettante di sensazioni , che nulla si negava pur di accrescere questo suo estetico diletto . La casa della Capponcina , con ventun servitori , otto cavalli e trentanove cani , stracolma di oggetti , di mobili antichi , di stalli da oratorio , di cuscini , di tappeti , turiboli , ferri battuti , damaschi ( una prefigurazione del Vittoriale ) , sta a provare quel furibondo bisogno del superfluo , necessario a lui quanto l ' aria che respirava . Già allora correvano sul suo conto le voci più strane , e lui non faceva nulla per smentirle , anzi non di rado le metteva in circolazione , un po ' per burla , un po ' sul serio . Ad ognuna delle sue numerose cadute da cavallo , qualche giornale stampava che D ' Annunzio era morto . Alla villa di Settignano , diceva la gente , D ' Annunzio beve filtri d ' amore nel cranio d ' una vergine . E indossa pantofole di pelle umana . E sostiene il suo declinante vigore mangiando carne di neonato . Cavalca nudo sulla spiaggia di Bocca d ' Arno , in compagnia di una Diana caucasica , matta della più nera mattezza slava . La slava matta , un amore brevissimo , era Natalia Golubev , alta , bionda , formosa . E se , come abbiamo visto , tornando da una cavalcata sostava ad ammirare il bel gesto d ' un palafreniere , finita la suggestione estetizzante , il prossimo gli diventava all ' improvviso odioso , meschino , vile e repellente . Un giorno in pretura per una causa da lui stesso promossa , lo ricorda così : « Cara contessa , sono rimasto fino a mezzogiorno e mezzo nell ' orrendo fetore del prossimo . E debbo tornare in pretura alle tre ! Mi compianga » . Era la causa contro un contadino di Settignano , certo Volpi ; colpevole di aver ucciso con un colpo di vanga un cane del D ' Annunzio , che faceva strage di galline nei pollai dei dintorni . Il poeta ne parla con accenti quasi ebbri : « Io sono stato accolto con pazza gioia dai miei cani innumerevoli , che sono il terrore del vicinato . Nella mia assenza hanno trucidato una cinquantina fra polli e anatre ! Ieri li ho condotti a gran galoppo su per la spiaggia , tra le grida dei bagnanti e dei pescatori » . Per i danni ai pollai offriva , magnanimo , cinque lire in cambio d ' ogni capo azzannato . Ora , si è parlato di bontà del D ' Annunzio verso gli umili : qualche suo vecchio servitore che ho conosciuto al Vittoriale mi ha detto dei suoi modi cortesi e signorili , della sua generosità . È vero : è anche vero che D ' Annunzio ebbe a volte certe impennate da populista . Ma amore per gli umili non ne ebbe mai , e la sostanza della sua generosità la ritroviamo in un ricordo di lui ragazzo al Cicognini , quando ebbe il permesso dal rettore di recarsi in libera uscita a Firenze e ne profittò per visitare un bordello . Ci andò in carrozza e scese all ' imbocco di via dell ' Amorino . « Balzai giù dal legno ; accomiatai il cocchiere ; gli fui prodigo . Già incominciavo a esercitare la prodigalità come un mezzo di allontanamento , come un modo di recidere i vincoli e di confermare le distanze . » Così il danaro che dava . Quello che ricevette gli parve , sempre , un debito del mondo intero verso di lui . Per esempio , sappiamo tutti quanto siano sempre stati , e sempre siano , vaghi e precari i rapporti fra editore e scrittore . Raramente rimangono sul puro piano commerciale ( io scrivo , tu stampi , questo il contratto , tanto la percentuale , punto e basta ) . Tendono invece ad assomigliare ai rapporti fra società sportiva e centravanti , fra impresario dell ' opera e primadonna : ripicche , gelosie , scenate , sberleffi , improvvisi ritorni d ' amore . Ma Gabriele , in questo , ha superato ogni esempio , anche futuro , anche ipotetico . La sua corrispondenza con Treves meriterebbe un articolo apposta . Aveva ventidue anni , era uno sconosciuto , e già gli scriveva così : « Per le poesie chiedo 4000 lire ; concessione , per cinque anni . Questo a lei non converrà , certamente ; quindi sarà inutile ragionare » . E il Treves , di rimando : « Vedo che con lei i rapporti sarebbero molto difficili , avendo acquisito idee erronee sul movimento letterario in Italia . Le rimando quindi le sue novelle » . Invece trovarono il modo di mettersi d ' accordo , e le lettere si susseguirono fitte fino all ' « esilio » in Francia . Inevitabile che il Treves non gli volesse mai bene davvero , anche se ne subì il fascino e la seduzione . D ' Annunzio , se escludiamo , forse , Ciccillo Michetti , non ebbe mai un amico vero . Lamentava la litigiosità altrui , ma era pronto a far causa contro Eduardo Scarpetta , che gli andava parodiando sulle scene La figlia di Jorio . Accettava danaro dagli strozzini , e poi imprecava quando gli strozzini facevano il mestier loro , e cioè lo strozzavano . Non seppe mai farsi una donna , allo stesso modo in cui non seppe mai farsi una casa , e vagò invece da un quartiere all ' altro di Roma , e poi da Roma a Francavilla , a Napoli , a Venezia , a Settignano , a Bocca d ' Arno , a Ostia , a Romena , ad Arcachon . Dilettante anche come padrone di casa , diventava professionista solo al tavolo di lavoro : allora dimenticava le donne , i cavalli , i cani , i begli oggetti , gli amici , persino i pasti . Imponeva a se medesimo una disciplina di ferro . E sapeva farsi pagare , sempre , da tutti , e bene . Eppure il professionista non bastò mai a pagare i capricci del dilettante . Nel 1910 la situazione era diventata insostenibile , ed egli tentò le più strambe vie d ' uscita . Pensò addirittura di impiantare un ' industria profumiera , e di mettere in commercio un ' essenza di sua invenzione , che battezzò « acqua nunzia » : cercava nelle farmacie e dagli erboristi ambra , belzuino , rose , gelsomini , zagare . Fu un fallimento . Poi saltò fuori un emigrato abruzzese , diventato milionario in Argentina , certo Giovanni del Guzzo . Aveva il rimedio : si fece dare dal poeta diciassette manoscritti , un ' automobile usata marca « Florentia » , e la promessa di scrivere un ' ode per il centenario della indipendenza argentina , e di tenere un ciclo di conferenze nei maggiori teatri di quel Paese . In cambio assicurava a D ' Annunzio un guadagno di almeno 300mila lire , che sarebbe servito a colmare i debiti . Per sé avrebbe trattenuto il venti per cento . Questo Del Guzzo pensò anche di comperare la Capponcina e di trasformarla in museo , con biglietto d ' ingresso di lire due . Il poeta parve acconsentire , e così firmarono un « patto d ' alleanza » con tutte le clausole in bell ' italiano e in bella scrittura . Ma prima d ' imbarcarsi per l ' Argentina il poeta dichiarò che gli era indispensabile recarsi a Parigi per farsi curare i denti da uno specialista . Arrivò in Francia il 28 marzo 1910 , e ci rimase cinque anni . Intanto alla Capponcina mettevano all ' asta tutto , esclusi i muri : statue di santi , stalli d ' oratorio , coperte di damasco , un cavallo , torciere in ferro battuto , materassi di lana , orologi , uno iatagan arabo , colonne di marmo , tele , terrecotte , libri antichi e calamai . L ' asta durò otto giorni e diede un ricavato di centotrentamila lire .
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Sembrerà un paradosso , ma se confrontiamo il nostro dopoguerra con quello dei nostri padri , dobbiamo concludere che la loro condizione fu assai più difficile . Dopo la sconfitta , noi ci trovammo vaccinati a vita contro il fascismo , e uniti almeno in questo : nella volontà di ricostruire il Paese ( poi , naturalmente , cominciavano le divisioni , sul modo di ricostruire ) . I nostri padri , vincitori , assistevano inconsapevoli alla fine del Risorgimento , e furono divisi su tutto , persino sul significato da attribuire alla sanguinosissima vittoria . Cominciava l ' inflazione ; l ' industria era in crisi , stentando a convertirsi alla produzione di pace ; i milioni di smobilitati aspettavano inquieti un lavoro ; i contadini s ' agitavano per la mancata promessa della terra ; gli operai stavano a guardare , trepidi , gli sviluppi della Rivoluzione d ' ottobre ; una classe dirigente invecchiata e stanca non riusciva a far fronte ai problemi , antichi e nuovi ; si riaccendeva la polemica fra interventisti e neutralisti , e i secondi , strano a dirsi , ci mettevano uno zelo stizzoso che purtroppo era loro mancato quando la guerra scoppiò . I nostri plenipotenziari alla Conferenza di Parigi sostenevano la causa italiana in maniera assurda , appellandosi ora al rispetto dei trattati , ora al principio della nazionalità , ora al « sacro egoismo » delle frontiere ( per ragioni di difesa , naturalmente ) . Trovavano in Lord Balfour un amico , ma che non bastava a vincere l ' astratto rigore dell ' uomo nuovo , Wilson . Per loro disgrazia , dovevano prestare orecchio a troppe voci : le minoranze italiane si agitavano a Spalato e a Fiume ; i generali della Terza Armata parlavano di colpi di mano in Dalmazia , e addirittura di costituire una Repubblica delle Tre Venezie , col duca d ' Aosta presidente . D ' Annunzio in Campidoglio sventolava la bandiera di Giovanni Randaccio , agitava la spada di Nino Bixio . Nitti gli vietava i comizi , ma lui poteva sempre stampare e diffondere il suo discorso : « Se seguissi il mio istinto , io stasera , con le latte di benzina che avanzarono alla beffa di Buccari , andrei a bruciare il Palazzo Braschi , infischiandomi della bella scalinata di Pio vi » . Alle trame dei politici contrapponeva l ' azione diretta , eroica ( « ardisco , non ordisco » era il suo motto di quei giorni ) ; progettava un grande raid aviatorio , da Roma a Tokio , inveiva contro la nuova nazione jugoslava ( « gli schiavi del sud » ) , tendeva l ' orecchio alle voci che gli giungevano dal mare amarissimo , da Zara , da Spalato , soprattutto da Fiume . Per la verità , quella città non figurava fra le promesse del Patto di Londra , un accordo superato dal nuovo principio wilsoniano , il diritto delle nazioni a decidere la propria sorte . Però Fiume aveva più volte , durante e dopo la guerra , manifestato la volontà di annettersi all ' Italia . Per adesso la occupava un corpo interalleato , e viveva giorni di grande irrequietezza . Uno scontro , con morti fra fiumani , soldati italiani e truppe francesi di colore , provocò un ' inchiesta , che decise l ' allontanamento sia degli italiani che dei francesi . Fu allora che sette giovani ufficiali dei granatieri giurarono di ritornare , e offersero il giuramento a D ' Annunzio , che era tornato alla « casetta rossa » sul Canal Grande . AI poeta , che aveva la febbre , piacque tuttavia quel numero fatidico , sette , e scelse per l ' azione una data a lui propizia , l ' undici . «11 dado è tratto » , scrisse allora a Mussolini . « Parto ora . Domattina prenderò Fiume con le armi . Il Dio d ' Italia ci assista . Mi levo dal letto febbricitante . Ma non è possibile differire . » Fu così che partirono da Ronchi trecento granatieri del maggiore Reina , con quaranta autocarri e sette autoblindo , prelevate di forza dal deposito di Palmanova . Al confine provvisorio il generale Pittaluga non osò sparare contro la medaglia d ' oro che il poeta gli offriva come bersaglio ( in realtà era già d ' accordo ) e gli autocarri passarono . Quei trecento uomini crebbero rapidamente di numero : erano già pronti gruppi di volontari ( il più grosso era la legione fiumana di Host Venturi ) , e vari reparti , di fanteria , di bersaglieri , artiglieri e marinai , disertarono per unirsi all ' impresa e raggiungere Fiume . In breve tempo D ' Annunzio ebbe ai suoi ordini l ' equivalente di sei o sette battaglioni , circa duemilacinquecento uomini . Entrarono tutti in Fiume senza sparare un colpo ; le truppe d ' occupazione furono consegnate nelle caserme , e le bandiere ammainate ( con l ' onore delle armi ) lasciando a svettare solo quella italiana . La risposta del governo fu pronta e decisa , ma soltanto nelle intenzioni di Nitti . Badoglio , nominato commissario straordinario per le Venezie , cominciò subito una sua politica personale piuttosto ambigua . Il cordone steso attorno alla città non sempre resse , nell ' uno e nell ' altro verso . I legionari fiumani a più riprese lo ruppero , in improvvisi e fruttuosi colpi di mano sui depositi e sui parcheggi dell ' esercito regio . Una volta giunsero addirittura a sequestrare un generale . All ' inverso , poterono entrare a Fiume rifornimenti , armi , nuovi gruppi di volontari e di disertori , e via via , in successione sempre più rapida , uomini politici delle più varie tendenze , emissari del governo , messi personali di Badoglio , grosse personalità della cultura , pestatori assortiti . Il Comandante ( ormai lo chiamavano tutti così ) , otteneva dal Consiglio Nazionale Fiumano i pieni poteri , s ' installava a palazzo , attorniato da gente la più diversa . Bisogna chiarirlo subito : il fascismo , più tardi , con non comune abilità , si « annesse » l ' impresa fiumana , ma la verità è che a Fiume i fascisti ( anzi i « mussoliniani » ) furono in minoranza . Nei sedici mesi dell ' occupazione dannunziana , a Fiume troviamo nazionalisti come Giuriati e Rocco , repubblicani come Marinetti e Ferruccio Vecchi , sindacalisti rivoluzionari come Alceste De Ambris , anarchici come Errico Malatesta , letterati puri come Giovanni Comisso e Henry Furst , matti di genio come Guido Keller . Ci troviamo , naturalmente , una discreta manica di avventurieri , di disoccupati , di poveri diavoli . Fra gli ufficiali superiori , ce n ' era uno che si dichiarava figlio naturale del re Umberto I ; ad ogni nuovo conoscente regalava una moneta dicendo : « Prendi , è il ritratto di mio fratello » . Il Comandante lanciava messaggi alati , teneva concioni e colloqui con la folla , guidava marce di armati coi moschetti adorni di fiori di ciliegio . Aveva un « segretario d ' azione » , Guido Keller , che abitava in compagnia di un ' aquila , regalo di certi alpini , come se fosse una donna , anzi sua moglie . Appollaiata sulla spalliera della sua poltrona , in veranda , lasciava che gli beccasse la lunga chioma . D ' Annunzio , per scherzo , gliela fece rapire , e lui si ritenne offeso a tal punto che mandò i padrini , e poi , per vendetta , voleva rapire a sua volta la donna del poeta , che a quel tempo era la pianista Baccara . A sera , in compagnia dei suoi amici Comisso e Furst , discuteva i progetti più straordinari : fondare un movimento « yoga » , cioè un ' unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione ; creare una società dove fossero aboliti il danaro e le prigioni , e l ' amore fosse libero , le città abbellite , i gradi dell ' esercito elettivi , e mai superiori al suo ( capitano ) , il governo affidato a un principe eroico e geniale . Valorosissimo pilota , pensò addirittura di raggiungere in volo Mosca , e poi dalla Russia spingere orde barbariche sull ' Europa , per distruggere la civiltà meccanica e far rinascere la vita dello spirito . Sarà lui , il 4 novembre del 1920 , a volare su Roma , dove si stava inumando la salma del Milite Ignoto , per lanciare su Montecitorio un vaso da notte pieno di rape , con questo messaggio : « Guido Keller , ala : azione nello splendore , dona al Parlamento e al governo che si reggono da tempo con la menzogna e con la paura la tangibilità allegorica del loro valore » . Durante il volo di ritorno scorse la Repubblica di San Marino , e decise di atterrarvi . Finì incolume , sopra un albero , e i reggenti lo accolsero con grandi feste ; anzi , lo nominarono ambasciatore a vita di Fiume presso il loro antico staterello . Tornato a Fiume , donò al Comandante un ornitorinco impagliato , e col nome di questo animale fu ribattezzata l ' osteria prediletta . D ' Annunzio era lì quasi tutte le sere , e offriva agli amici « sangue di Morlacco » , cioè bicchierini di maraschino . A molti perciò quest ' impresa di Fiume parve un glorioso carnevale . Certo , purché si rammenti che in città l ' entusiasmo era autentico , genialoide , festaiolo . Un altro tratto , questo , che distingue il fiumanesimo dal fascismo , che fu all ' opposto sempre lugubre , ottuso . E c ' è di più . Quando il blocco si fece più aspro , i legionari , un po ' per bisogno e un po ' per spirito di avventura , si diedero alla pirateria . Nacquero gli « uscocchi » ( così si chiamavano gli antichi corsari dalmati che taglieggiavano la navigazione adriatica ) ; uscivano nottetempo coi Mas dalla rada di Fiume , abbordavano le navi da carico sulla loro rotta , e le costringevano a dirigere su Fiume . A capo degli « uscocchi » D ' Annunzio mise il « capitan magro » , cioè il capitano Mario Magri ( morirà trucidato dai tedeschi alle Fosse Ardeatine ) . Il primo colpo di mano fu contro il piroscafo « Persia » , che faceva rotta verso l ' Estremo Oriente , portando - così almeno si credette allora - rifornimenti all ' armata controrivoluzionaria del generale Kolciak . Impossibile dire se fra gli scopi dell ' impresa ci fu anche quello di aiutare i bolscevichi ; ma è certo che il ratto del « Persia » fu voluto da Giuseppe Giulietti , capo della Federazione dei Lavoratori del Mare ; ed è altrettanto certo che nel 1921 il ministro degli Esteri sovietico Georgi Cicerin andò a trovare D ' Annunzio a Gardone cd ebbe con lui un lungo colloquio . Non sapremo mai , ovviamente , quel che dissero . Dell ' incontro resta solo qualche fotografia . Su di una D ' Annunzio , imitando l ' italiano del suo ospite fulvo e barbuto , aveva scritto : « Tu criedi di friegarmi » . Comunque sia , nell ' azione di D ' Annunzio c ' è una componente populista di sinistra , che si andò accentuando col passare dei mesi . Fra le varie influenze che egli subì durante l ' occupazione di Fiume , quelle di Alceste De Ambris e di Giuseppe Giulietti andarono sempre di più crescendo , con ira e dissenso della fazione nazionalista . Ai primi dell ' anno nuovo il contrasto era acuto , fra nazionalisti ed estremisti . Un contrasto non di metodo , ma di fondo : i primi vedevano nell ' occupazione di Fiume soltanto un mezzo per forzare la mano al governo e insieme dargli buon gioco verso gli alleati , mettendolo di fronte al fatto compiuto . I secondi volevano la marcia su Roma , e cioè un moto di liberazione popolare che , partendo da Fiume e dalla Dalmazia , accendesse prima le Venezie e la Romagna , e poi tutta l ' Italia , già scossa da una vasta ondata di scioperi , per creare infine un ordine nuovo , repubblicano . Ecco perché , motivi di concorrenza e d ' invidia personale a parte , Mussolini allora sconsigliò a D ' Annunzio la marcia su Roma . Così la scissione fu inevitabile . Il maggiore Reina , fra i primi , come abbiamo visto , ad entrare in Fiume , tornandosene fra le file dell ' esercito regio , rimproverava al Comandante di avere come programma « un colpo di Stato militarista - anarchico » e lo ammoniva che questo programma « non noi , ma i Malatesta l ' avrebbero compiuto » . Partì il maggiore Reina , partì il generale Ceccherini , partì il capitano Vadalà coi suoi carabinieri . In città intanto era scoppiata un ' epidemia , e i viveri tornarono a scarseggiare . Badoglio era stato promosso Capo di Stato Maggiore ( parve a molti che fosse un modo per allontanarlo dalle Venezie ) e al posto suo misero l ' intransigente generale Caviglia , che aveva sicuro il senso della disciplina e faceva rispettare il blocco . L ' ammiraglio Millo , che occupava Zara , a poco a poco si staccò da D ' Annunzio . Il Comandante cominciava a sentire sempre più netto l ' isolamento . « Fiumani , perché queste grida ? perché questo furore ? perché questa angoscia ? - La voce di Fiume s ' è mutata . Non la riconosco più . La voce di Fiume s ' è fatta aspra come s ' è intorbidita la sua acqua . L ' acqua di Fiume era limpida e salutare : ci rinfrescava la gola e l ' anima . Un giorno scoprimmo che s ' era infettata . » Né era capace di impegnarsi fino in fondo con l ' ala estremista ormai dominante . Lo Statuto della Reggenza , o Carta del Carnaro , se anche è dannunziano nella forma , fu concepito soprattutto da Alceste De Ambris , e suonava ormai anacronistico se messo al confronto con le reali posizioni di forza a Fiume . Proprio a questo punto Mussolini gli consigliava la marcia su Roma . Perché ? Voleva vederlo naufragare . E quando 1'11 novembre , a Rapallo gli alleati si accordarono sul confine giuliano , su Zara all ' Italia e la Dalmazia alla Jugoslavia , e sullo status di città libera per Fiume , in attesa del plebiscito , Mussolini approvò , diede ragione a Giolitti , si scaricò di ogni responsabilità fiumana , si preparava la strada del tacito appoggio governativo , e già intravedeva la sua marcia su Roma . Per D ' Annunzio era la fine . Sarebbe fin troppo facile ironizzare sull ' unica cannonata dell ' « Andrea Doria » che bastò a indurre il Comandante alla resa . In realtà D ' Annunzio s ' era già arreso , vinto proprio dal voltafaccia dei nazionalisti e di Mussolini , oltre che , beninteso , dalla sua scarsa chiarezza d ' intenti politici . Ventitré anni prima il « deputato della bellezza » , eletto coi voti conservatori nel collegio di Ortona a Mare , aveva rotto coi suoi per andare « verso la vita » , per passare cioè all ' estrema sinistra . Non fu soltanto un gesto estetizzante . Pochi giorni dopo la clamorosa scenata egli precisava : « E voi credete che io sia socialista ? Io sono sempre lo stesso ... Sono e rimango individualista ad oltranza ... Ma da noi non c ' è più altra politica che quella del distruggere . Tutto ciò che attualmente esiste è nulla : è il marciume , la morte che si oppone alla vita . Bisogna dapprima tutto distruggere » . E il suo interventismo , nel maggio del 1915 , fu di questo tipo : mosso da un impulso di azione distruttiva , contro una dirigenza politica che gli appariva marcia , cancerosa . Come ben dice Nino Valeri , a Fiume aveva nuovamente « captato gli spazi e le menti di una tendenza sovvertitrice » , elementi variatissimi : l ' azione dei marittimi e di capitan Giulietti , quella dei sindacalisti , dei soreliani , degli anarchici , dei futuristi , dei mussoliniani . Mussolini , di lui infinitamente più abile in politica , fiutò il vento buono , smise d ' essere mussoliniano e diventò fascista . Tese la mano alla monarchia ; col discorso del fascismo « tendenzialmente » repubblicano , diede il suo avallo all ' operato di Giolitti , fece persino buon viso al Vaticano . In questo modo diventava l ' uomo dei banchieri e dei bottegai , degli industriali e degli agrari ; fu il salvatore della vittoria mutilata . Dell ' impresa di Fiume prese gli spogli , il ciarpame retorico , i « me ne frego » . Ma ci aggiunse il manganello e l ' olio di ricino , che non sono invenzioni di D ' Annunzio . Non pochi legionari fiumani ci caddero , e nel '22 furono convinti che quella marcia su Roma fosse la continuazione dell ' impresa di Fiume . Eppure D ' Annunzio aveva ancora qualche carta in mano . Nell ' agosto del 1922 si andava preparando un incontro segreto fra D ' Annunzio , Mussolini e Nitti ( il vituperato « Cagoia » ) in vista d ' un governo di pacificazione nazionale . Ciascuno dei tre andava disponendo le sue pedine : Nitti intendeva imbrigliare il sovversivismo degli altri due nell ' alveo parlamentare e governativo . D ' Annunzio , se da un lato riceveva a Gardone il socialista D ' Aragona e il ministro sovietico Cicerin , dall ' altro preparava con una rappresentanza dei combattenti la grandiosa cerimonia del 4 novembre . Mussolini fece il gioco più abile : trattava con Giolitti e con Facta e coi fascisti rivoluzionari . Prometteva l ' ordine ai primi e agli altri la rivoluzione . L ' incontro era fissato per il 15 . Nitti aveva già pronta l ' auto e il salvacondotto personale di Mussolini , contro una possibile imboscata delle squadracce . Il giorno 14 D ' Annunzio cadeva da una finestra della villa , a Gardone . Rimase a lungo fra la vita e la morte . Nessuno - men che mai il poeta - ha mai spiegato come andarono le cose .
Parliamo di Milano - I ( Bianciardi Luciano , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Stagioni Dice Marcello Marchesi che a Milano ci si accorge della primavera quando la pubblicità t ' avverte che è tempo di cambiar l ' olio al motore . È vero , anche perché a Milano la primavera non esiste più . Le stagioni si sono ridotte a tre , e cioè l ' estate , l ' inverno e la Fiera . Matricaria È in via Santa Sofia , quasi all ' angolo con corso Italia . Il cancello sembra chiuso , invece basta spingere e sei in un giardino . Davanti pare la facciata di una chiesa , apri e ti trovi invece in un secondo cortile . Bussi alla porticina , dopo un po ' viene fuori una monaca , tu le porgi la bottiglia e chiedi : « Potrei avere , sorella , un litro d ' acqua matricaria ? » . La monaca ti guarda , ti prega d ' attendere e sparisce . Sei in una sala esagonale , dai muri spessi . C ' è ancora la ruota di ottone della clausura . Torna la monaca con la bottiglia piena , tu paghi tre e cinquanta . Quella spiega che l ' acqua matricaria fa bene ai nervi e concilia il sonno . Ha un odore forte , tra la menta e la canfora , ma è fatta solo di erbe . La fanno le suore della Visitazione , poca , per sé e per qualche cliente . Mi ci ha portato Jole Giannini , che di quest ' acqua miracolosa ha avuto notizia , per caso , da uno degli arcieri ( un club di tiratori con l ' arco ) che periodicamente si trovano nella bottega del signor Ronchi « antiquario di vini » . Fanigottone Mi accompagna a casa in macchina un amico milanese , e passiamo pei viali del parco . Ci sono le solite donnette , ma alcune , anziché tenere le lor poste , hanno fatto capannello e stanno lì a chiacchierare . L ' amico me le indica con una smorfia di disapprovazione , e mi fa : « Hanno mica voglia di lavorare quelle » . Dessert Il più bel dessert prepasquale l ' ha offerto l ' altra sera agli amici Piero Gadda Conti : una gallina di gelato , sontuosa , capolavoro d ' una pasticceria di corso Vittorio Emanuele . Paglia , uovo , corpo e cresta , tutto alla fragola . Qualche esteta , fra gli invitati , da quanto era bella non la voleva nemmeno mangiare . Ma poi l ' hanno avuta vinta i bambini . Il boccone del prete è toccato a Camilla Cederna . Mi giura che era squisito , meglio che se fosse stato d ' una gallina vera . S ' è fermato a Eboli Alla libreria di Aldovrandi c ' è Calvino che firma le copie dello Scrutatore . All ' altra libreria di via Manzoni , il baffuto Venturini vende Gattopardini economici col ritmo d ' un distributore automatico , centocinquanta copie al giorno . In quei cento metri di marciapiede , ogni sera fra le sette e le otto , la Milano che vive di carta stampata si scambia battute , giochi di parole , epigrammi . Per esempio , dicono i colleghi dell ' Unità che da loro , oggi come oggi , la situazione non è facile , anzi è complessa e « d ' alicata » . E aggiungono che la recente presa di posizione di Krusciov sull ' arte moderna consente , almeno , di rispolverare un vecchio antislogan : « Non comprate quadri astratti . Fateveli da voi » . Escono i redattori di Feltrinelli , e ti comunicano che Nanni Balestrini è « il poeta neo - dada - umpa » . Contro Carlo Levi , che di recente ha tirato le orecchie ai giovani intellettuali troppo inclini a parlare di alienazione , ecco l ' epigramma : « Soffice Leviatano / Io so perché sei tristo : / Come un mito pagano / Non hai più funzionato , / dopo Cristo » .
Parliamo di Milano - II ( Bianciardi Luciano , 1963 )
StampaQuotidiana ,
La bella Gigogin Fra i camioncini della campagna elettorale , brutti , col podio , l ' altoparlante e i manifesti , i più fragorosi suonano l ' Inno di Roma ; i monarchici la marcia reale ; i liberali la Bella Gigogin . Questa mi pare un ' appropriazione indebita , perché la bella Gigogin venne alla finestra nel 1859 , e diventò subito l ' inno dei volontari lombardi , che la portarono con sé in Sicilia e su fino a Napoli . Era cioè l ' inno della gioventù di parte radicale e garibaldina . E non discende forse il Partito liberale dall ' opposto filone , moderato e cavourriano ? Alienatiello Il professor Alessandro Cutolo va a donare l ' uovo pasquale al nipotino . Lo trova in cucina , che fa merenda . Mentre beve la sua tazza di cioccolata , giocherella coi biscottini , li dispone in tondo sul tavolo , a raggiera . « Ma tu che cosa stai facendo ? » , gli chiede . « Sto facendo l ' ora dei pavesini , nonno » . E allora il professore , in un impeto di affettuosa stizza , abbraccia il nipotino , esclamando « Alienatiello mio ! » . Verdi vuole tutto A ogni prima verdiana della Scala scende da Parigi Manlio Cancogni e sale da Grosseto Carlo Cassola . Poi si va tutti a cena insieme ed è vietato parlare d ' altro : chi li frena in tal momento ? Da altri segni appar chiaro la perenne popolarità di Verdi . Basti pensare che « Selezione » , un ' editrice che tira decine di migliaia di copie , mette ora sul mercato , accanto ai libri , un microsolco con Traviata , Ballo in maschera eAida . E giovedì sera c ' era pieno alla Piccola Scala , eppure non davano alcuno spettacolo : era filologia musicale , conce chiarì Gian Andrea Gavazzeni . Presentavano il nastro delle prove del Ballo in maschera , diretto da Toscanini con l ' orchestra della NBC . Musica , interruzioni , daccapo , commenti , impennate del maestro , si sentiva tutto . « Andiamo , signori , non battete la fiacca , Verdi vuole tutto , non gli basta la metà . E quelle note piccole , suonatele , sono importanti . In italiano si chiamano abbellimenti . Rendere la musica more beautiful , capite , signori ? » È una registrazione del 1954 , quando Toscanini aveva 87 anni , eppure canta , si adira , si diverte , rievoca un aneddoto curioso : « Ho suonato anch ' io in orchestra , signori , e con Verdi . Dirigeva lui 1'Otello . Più forte , più forte , il secondo violoncello , disse a me e allora , signori , non badate al " piano " di Verdi . Daccapo , suonatemelo tutto questo brano , perché mi piace , mi piace da morire » . Neologismi Le ultime novità della lingua neoitaliana si trovano specialmente al padiglione delle macchine per ufficio . Ci incontri il Francopost , lo Sportellkass , l ' Univac , la Fotolux e il Rotaprint . C ' è anche la macchina spezzatrice . In un altro padiglione impari invece che « il polietilene viene estruso » : participio passato del verbo estrudere , che , prima del 12 aprile 1963 , non esisteva . Si sono dimenticati della balia L ' altra sera discutevamo di bambini : un medico , un pedagogista , un architetto e uno psicologo . Fecero anche vedere un documentario sul gioco , piuttosto bello . E si sentirono i pareri più diversi . Per esempio che il gioco della « campana » ( chiamato anche del « mondo » o del « paradiso » ) ha origini antichissime , rituali e magiche . Che bisogna spostare i giochi infantili sulle terrazze , essendo le strade impraticabili , anzi micidiali . Che il sessanta per cento dei bambini milanesi avrebbero bisogno di ginnastica correttiva , tanto diffuse sono le malformazioni delle scapole e della spina dorsale . Che son da abbandonare i giocattoli di serie . La soluzione sta nell ' autobus scolastico , diceva l ' uno : scuole e campi di gioco in periferia , con mezzi di trasporto veloci e comodi . La città , diceva l ' altro , non è in sé un male , anzi ha molti aspetti educativi e stimolanti : basta rifarla con spazi verdi più estesi . Bisogna moltiplicare , interveniva un terzo , i campi di gioco rionali . L ' unica proposta che nessuno fece fu di ritornare a un ' antica usanza , di mandare cioè i bambini piccoli a balia . Certo , potremmo inventare un sistema di baliatico moderno , magari collettivo , razionale ed economico . Perché la constatazione è triste : il bambino milanese impara verso i cinque anni che le uova le fanno le galline e il latte le mucche .
Parliamo di Milano - III ( Bianciardi Luciano , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Giovani « indaffarati » tra gondole e stalattiti Il locale è al primo casello dell ' autostrada per Genova . Entrando vedi un bar comunissimo , la televisione accesa , un carabiniere che sta a guardare , due cani che si rincorrono , una cameriera alla macchina degli espressi . Ma il bello comincia dentro : sono cinque o sei stanze una dietro l ' altra , arredate in uno stile che varia dal neoveneziano al cavernicolo . Qui oblò , gondole , remi , lampioncini fiochi , là stalattiti di cartapesta che pendono dal soffitto . Per sedere , divanetti a due posti di quelli col bracciolo tondo di legno lucido , come usavano nel '35 . Qualche coppia balla , senza spostarsi oltre il raggio di un metro , la musica è centralizzata , un nastro continuo che gli altoparlanti fanno echeggiare sommessa dovunque . Le altre coppie stanno sedute sui divanetti , e si baciano senza sosta . Quasi tutti giovani . I ragazzi sono impegnatissimi , seri , tenaci , aggrondati : paiono apprendisti meccanici alle prese col « pezzo » : c ' è chi svita e chi trapana , chi fresa e chi smussa . Entrano due coppie sui quaranta , e si siedono sbagliate , qua gli uomini , di fronte le donne . Chiedono da bere e invece della cameriera arriva trafelata la padrona . « Va mica bene così » dice , e li fa spostare . Coppie han da essere . Le targhe da gioco A notte alta in via Manzoni due tipi si spostano pendolarmente da un lato all ' altro della strada , e ogni volta consultano con attenzione la targa delle auto in sosta . Potrebbero essere due poliziotti o due esperti di statistica in missione notturna . Invece sono due colleghi : chiuso l ' ultimo bar , continuano la partita per strada , e hanno appunto inventato il « poker di targhe » . Al primo toccano le auto di destra , al secondo quelle di sinistra , e coi numeri formano tutte le combinazioni del poker vero : coppia di sei , full di nove , poker di quattro , scala . Con le targhe milanesi , a sei numeri , si può fare anche pokerissimo e superpoker . Non esiste ancora un regolamento preciso , specialmente circa il valore da attribuire agli zeri . Il gioco si è già diffuso in molti ambienti , e alcuni appassionati seguono con ansia gli sviluppi della motorizzazione ; a chi toccherà , per la prima volta nella storia milanese , la ventura di fare superpoker di sette ? Ma non attacca In un grande magazzino c ' è una ragazza in grembiule turchino che « dimostra » i vantaggi di una nuova padella , detta « inadherent » . I cibi in cottura non attaccano mai sul fondo , e senza bisogno di olio , burro o grassi . Così si risparmia e si mantiene la linea . La dimostratrice rompe un uovo , lo sbatte , ne versa un po ' nella padella posata sul gas , lascia cuocere , poi col mestolino stacca la frittata , sottile come un ' ostia . Ne ha già fatto un bel mucchietto . Una donna che sta a guardare curiosa , azzarda un dito sulle frittatine , domanda se davvero non c ' è olio . Non c ' è . Nemmeno sale ? No . « Allora non le mangio . » E se ne va .
Parliamo di Milano - IV ( Bianciardi Luciano , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Weekend sulle ali Venerdì scorso s ' è inaugurato un servizio aereo diretto fra Milano e Taormina , studiato apposta per chi voglia trascorrere la fine della settimana ( corta ) a Taormina . In meno di due ore si passa dalle brume lombarde al mare cupo di Sicilia , alle nevi dell ' Etna , al vortice della roulette . Si rincasa la domenica a sera , riposati , abbronzati , e a tasche vuote . Passatempo Passatempo del lunedì : coi nomi dei giocatori scesi in campo la domenica scorsa , serie A e B , formare una squadra tutta di scrittori , viventi e no , purché famosi . Ecco la formazione più robusta : Negri , Grossi , Manzoni , De Marchi , Baldini , Sereni , De Robertis , Di Giacomo , Petroni , Micheli , Campana . « Cecilio » Rivera Gianni Rivera è forse il più grande calciatore europeo , oggi . Ma fuori dal campo ridiventa un giovanotto cortesissimo , prudente e neutrale . Quando parla fa venire in mente la versione maschile d ' un personaggio moraviano . Esempio : « Come le è parsa l ' Inghilterra ? » « Ho visto molto poco . Eravamo in ritiro » . « Sa che lei gioca benissimo ? » « Be ; faccio del mio meglio . » « Dove andrà in vacanza ? » « Non ho ancora deciso . » « Preferisce il mare o la montagna ? » « Un po ' il mare , un po ' la montagna . » « Allora grazie , signor Rivera , e buongiorno . » «Speriamo.» Gettone per Ungaretti In un bar di via Fontana , c ' è un juke - box che periodicamente smette con le canzoni e offre soltanto poesie . Dice il proprietario che l ' iniziativa è sua , perché gli piacciono i versi . Ma anche i clienti , giovani , non disdegnano di tanto in tanto sentire Ungaretti anziché Celentano . Intanto un editore milanese prepara una gigantesca Storia della letteratura italiana ( testi e commento critico ) in circa quaranta microsolchi a 33 giri .