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> autore_s:"CROCE BENEDETTO" > anno_i:[1880 TO 1910}
STILE, RITMO, RIMA E ALTRE COSE ( CROCE BENEDETTO , 1904 )
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Tra le difficoltà della critica letteraria ( e , converrebbe dire , di ogni discorso ) è che non si può nella pratica di essa non introdurre , insieme coi concetti scientificamente rigorosi , altri che non sono tali e che , interpretati poi con rigidezza , danno origine a pedanterie ed errori , talvolta assai gravi . Sono espedienti , senza dubbio , alquanto pericolosi , ma dei quali non si può far di meno ; onde non rimane altro partito che aver fiducia nel lettore intelligente . Come si fa a scrivere di critica senza parlare , per es . , talvolta o spesso , di metro , stile , ritmo , rima , metafore , figure , realismo , simbolo , romanzo , tragedia , lirismo , drammatismo , musicalità , pittoresco , scultorio , e via discorrendo ? E , tuttavia , nessuno di questi termini risponde a un concetto scientifico esatto . Il proposito di tenersene libero e immune sarebbe non meno ingenuo della pretesa di liberarsi del linguaggio , ossia di saltare sulla propria ombra . Ciò che importa è che quei concetti empirici non vengano scambiati per teorie scientifiche ; che di quei vocaboli s ' intenda il limite , ossia l ' ufficio loro , che è di vocaboli e non già di pensieri ; che se ne faccia uso pratico e non si pretenda , col possederli , possedere insieme una dottrina filosofica . Questo e non altro è il significato della polemica che vado conducendo da un pezzo contro di essi : contro di essi , non in quanto vocaboli ( ché anzi intendo riserbarmi pienissimo il diritto di servirmene anch ' io , quando mi accomodano ) , ma in quanto vocaboli gonfiati a teorie . Nella Miscellanea di studî critici in onore di Arturo Graf si legge un lavoro del Vossler : Stil , Rhythmus und Reim in ihrer Wechselwirkung bei Petrarca und Leopardi , che è tutto riempito , e come travagliato , dalla coscienza circa il valore limitato delle distinzioni , che pure l ' autore foggia e adopera . Il Vossler , analizzando alcuni sonetti del Petrarca e alcune canzoni del Leopardi , e facendo osservazioni circa le attitudini poetiche di vari popoli e le forme poetiche proprie di determinati tempi e di determinati temperamenti di poeti , distingue , per comodo d ' indagine , una versificazione stilistica e una versificazione acustica . Posti i quattro accenti , ritmico , tonico , sintattico e stilistico , egli chiama ritmo rigorosamente stilistico quello in cui tutti i quattro accenti vanno d ' accordo ; ritmo acustico , quello in cui l ' accento stilistico diverge ; e , principali casi intermedi tra questi estremi , quello in cui coincidono tre accenti ma non il tonico , e l ' altro in cui l ' accento sintattico si allontana dal ritmico . Analogamente , la rima si può distinguere in rima stilistica , quando cadono sopra di essa così l ' arsi ritmica come quella stilistica ; e in rima acustica , nel caso opposto ( nell ' enjambement ) . Vi sono tipi di poesie in prevalenza acustiche , e altre in prevalenza stilistiche ; e tipi misti , nei quali la rima è acustica e il ritmo stilistico , o la rima stilistica e il ritmo acustico . Ma il Vossler non solamente sa e dichiara a più riprese che codeste distinzioni non sono giudizi estetici , potendo essere bellissima così una poesia di tipo stilistico come una di tipo acustico , e bellissimi ( egli dice ) versi , in cui il ritmo sia sacrificato allo stile , e all ' inverso ; ma sa anche , e dichiara , che la sua distinzione fondamentale è affatto arbitraria . Non esiste dualismo tra acustico e psichico o stilistico : ogni espressione stilistica è insieme acustica , e all ' inverso : la distinzione , proposta da lui , è semplice espediente verbale ( Nothbehelf ) . Egli si rifiuta perciò di moltiplicare i tipi dei sonetti , temendo di foggiare un troppo pesante schematismo e cadere in pedanterie ; e pedanteria chiama , infine , la sua stessa partizione di rima e ritmo in stilistici e acustici , mettendo in guardia contro la pretesa di staccare suono e significato in poesia , come , in genere , contro ogni divisione meccanica di ciò che è organico . " Pure non si dimentichi ( egli aggiunge ) che il modo corrente di considerare la metrica divisa dallo stile è pedanteria egualmente grande ; e ci si perdonerà se abbiamo tentato di scacciare il diavolo con Belzebù " ( pp . 480-1 ) . Pedanteria l ' una e pedanteria l ' altra ; ma non pedanteria né l ' una né l ' altra , quando così le distinzioni del Vossler come quelle della metrica usuale si adoperino senza attribuire loro quel valore di verità , al quale non pretendono . Il punto è sempre questo : se la letteratura è fatto estetico , essa non può essere indagata in quanto letteratura se non in modo conforme alla sua natura , cioè esteticamente ( critica estetica o storia artistica , da una parte ; ed estetica o filosofia dell ' arte , dall ' altra ) . Ogni altra indagine che si proponga di cogliere in qualsiasi modo la letteratura in quanto letteratura e insieme di evitare lo studio estetico non ha speranza di buona riuscita . Sarà un espediente ( un Nothbehelf , come ben lo denomina il Vossler ) ; ma adoperare un espediente non significa compiere un ' indagine scientifica . Perché mai il Vossler vuole che non s ' insista troppo su quelle sue partizioni , e che esse non siano usate rigidamente ? La verità è rigorosa , e non le si fa torto con l ' osservarla rigidamente . Ma egli ha coscienza che quelle partizioni non sono scientifiche , e che trattarle come tali sarebbe abusarne . La Metrica , se non vuoi essere cosa assurda , non ha se non due vie dinanzi : o rassegnarsi a essere semplicemente Metrica , cioè schematismo mnemonico ; o trasformarsi in Estetica , cioè annullarsi in quanto Metrica . II Ma io ho , da qualche tempo , come un conto aperto col mio valoroso amico Vossler , e voglio liquidarlo ora che me ne fornisce egli medesimo i fondi . Anni addietro , discussi con lui intorno a certe teorie del Gröber sulla sintassi e la stilistica , negando a quelle teorie carattere di scienza e di criterio valutativo . Sembrava che si trattasse di una questione del tutto finita ; ma , di recente , a proposito di alcuni lavori del Lisio e del Trabalza , il Vossler è tornato a sostenere , almeno in parte , quelle teorie e a muovermi alcune obiezioni . Egli dice che il Gröber non vuole fare punto critica estetica , sì bene un pretto studio grammaticale . Il che io avevo compreso da un pezzo ; ma la mia obiezione era che la grammatica non possa dar luogo a concetti rigorosi , speculativamente validi : proprio come di sopra abbiamo conchiuso circa la Metrica . Prendo un esempio che il Vossler reca . Lo svolgimento storico delle lingue romanze ( egli dice ) condusse a porre il verbo innanzi all ' oggetto ; ma restano sparse sopravvivenze della collocazione latina nel francese in frasi come sans coup ferir , e , se nell ' italiano moderno non si conosce nessuna di queste sopravvivenze , nell ' antico se ne ha qualche esempio . Quando perciò Dante dice : " E par che sia una cosa venuta Di cielo in terra a miracol mostrare " , fa una inversione affettiva , che reca insieme un leggiero profumo di cosciente arcaismo . E di rimando io osservo : - Perché inversione affettiva ? non è affettivo lo stile di Dante , anche quando non adopera siffatta inversione ? e , se l ' affettività non è qualificata necessariamente dall ' inversione , se affettività e inversione non sono il medesimo , che cosa è allora l ' inversione ? come si stabilisce ? rispetto a che cosa è inversione ? - Fino a quando non si risponde a codeste obiezioni scettiche ( e rispondervi mi sembra difficile ) , una scienza grammaticale e non estetica della forma letteraria rimane priva di fondamento . Ed ecco un altro esempio , fornito dallo stesso Vossler . Il modo congiuntivo delle parole flessibili serve sempre e unicamente in tutte le lingue romanze a esprimere una cosa non , come si credeva prima , in quanto irreale o in quanto ipotetica , ma in quanto pensata . Onde il Gröber dice : " Der Konjunktiv ist der Modus des Gedachten " . Scrive il Pellico nel principio de Le mie prigioni : " Il custode ... si fece da me rimettere con gentile invito ... orologio , danaro e ogni altra cosa ch ' io avessi in tasca " . Il custode , dunque , da spia e aguzzino ch ' egli è per natura , non si contenta del contenuto reale della tasca del Pellico ; desidera non quello che c ' è , ma quello che , secondo la sua sospettosa immaginazione , ci può essere . Ora non c ' è congiuntivo che non sia adoperato così ; quantunque il Grbber si guardi bene dal sostenere l ' inverso , ossia che , per esprimere una cosa in quanto pensata , sia indispensabile il congiuntivo . - E io osservo : - Ottimamente ; ma che cosa è il modo ? e che cosa è il congiuntivo ? Avendo il congiuntivo in comune con altre espressioni l ' espressione del pensato , definirlo come il modo del pensato non è sufficiente . Quando , dunque , mi si sarà data la definizione generale dei modi , nonché quella particolare del congiuntivo , ne riparleremo . Ma nessuno me le darà , perché quelle definizioni contrasterebbero con la natura delle sempre varie e individue espressioni linguistiche . Quale scarso valore abbia lo schematismo delle parti del discorso , ho detto altra volta e non occorre che mi ripeta . III Al Gröber spetta il merito di aver sentito l ' insufficienza scientifica della Grammatica usuale ; ma egli tenta , a parer mio , l ' impossibile , quando vuole correggerla col determinare le funzioni delle forme espressive , laddove converrebbe abbandonarla senz ' altro ( abbandonarla , dico , come scienza e ricerca rigorosa ) . Emanuele Kant nel saggio sulla Falsa sottigliezza delle quattro figure del sillogismo , a proposito di certe correzioni che il Crusius aveva cercato d ' introdurre in quella teoria , esclama : " Peccato che uno spirito superiore si dia tanta pena per migliorare una cosa inutile . La cosa utile sarebbe non già di migliorarla , ma di abolirla " ( Man kann nur was Nützliches thun , wenn man sie vernichtigt ) . Il quale detto si applica esattamente al caso presente . E voglio spiegare anche , in ultimo , perché io me la sia presa proprio col Gröber . Non certo pel gusto di punzecchiare e tormentare un dotto uomo , che altamente stimo , ma per atto di omaggio . Il Gröber riduce la Grammatica a cosa tanto lieve , tanto sottile , tanto evanescente , che ormai è facile soffiarvi sopra e dissiparla . Il perfezionamento di certe cose è la loro morte . La vecchia Grammatica normativa era un muro bronzeo , e per abbatterla sarebbe bisognato il martello ; ma il Gröber e il Vossler l ' hanno ora affinata in modo che è diventata un sottilissimo tramezzo di vetro , anzi di carta velina . Sottile , sottilissimo ; ma sempre impedimento alla visione scientifica precisa , con l ' annesso pericolo che il tramezzo venga rinsaldato e rifatto muro possente . Mandando in frantumi quel vetro , o , se piace meglio , con un lieve colpo di mano lacerando quella carta velina , non credo di avere compiuto una grande fatica , ma nemmeno di aver fatto cosa inutile . Bergamo , Istituto italiano d ' arti grafiche , 1903 , pp . 453-481 . Il Vossler parla ( p . 457 n . ) del compenso che per la perdita del valore acustico si ha nel guadagno di un valore stilistico , e all ' inverso . In realtà , in quei casi non vi ha perdita o guadagno , non vi ha sacrificio di una parte a un ' altra : un ' espressione bella , che appartenga al tipo detto acustico , non contiene una fiacchezza stilistica , compensata dal piacere acustico , ma ciò che si dice acustico è , a guardar bene , il particolare contenuto psichico di essa e lo stile che gli è proprio . I due casi d ' imperfezione estetica che il Vossler considera , nel primo dei quali il contenuto sarebbe guastato dalla rima e dal ritmo , e nell ' altro il ritmo e la rima sarebbero guastati dal contenuto , formano un caso solo , e contenuto e forma ( rima , ritmo , ecc . ) si guastano sempre vicendevolmente . Difetto di contenuto è difetto di forma , difetto di forma è difetto di contenuto . In una recensione nell ' " Archiv f . d . Studium d . neu . Sprach . u . Lit . " ( vol . 112 , pp . 230-234 ) del libro di L.E. KASTNER , A history of french versification ( Oxford , 1903 ) , il Vossler prende apertamente partito per una riforma estetica della Metrica . Egli mostra il difetto delle solite trattazioni , con l ' esempio non solo del libro del Kastner , ma anche di quello sul medesimo argomento del Tobler , e delle monografie del Biadene e di altri , e sostiene che non si possano scindere in modo netto verso e prosa , che lo studio dei versi si debba fare guardando al fine artistico e non mercé regole estrinseche , e che perciò la loro storia non sia da considerare quasi ramo indipendente del sapere , ma da unire alla storia della poesia . Assurdo è il procedere dei trattatisti della metrica storica , che prendono un verso francese antico , per es . il decasillabo , e di questo una determinata varietà , per es . , quello con cesura epica dopo la sesta , e costruiscono su tali basi un più antico tipo volgare - latino con cesura e terminazione proparossitona , ricongiungendo a questo modo il verso francese al saturnio latino . Come se la metrica storica sia in grado di stabilire una continuità di schemi metrici , indipendente dalla continuità della storia letteraria ; come se si possano , così semplicemente , restituire i termini medi , andati perduti nella storia dello spirito ; come se , guardando solo le lettere , sia dato trovare una connessione tra alòpex e " volpe " ! Conseguenza del modo di vedere del Vossler è ( come si è detto di sopra ) l ' annullamento della Metrica , risoluta , in quanto teoria , nell ' Estetica , e , in quanto storia e critica , nella Storia e Critica letteraria . - Per mia parte , non vedo difficoltà a lasciare vivere una Metrica , a un dipresso del vecchio stampo , come produzione schematica o naturalistica . " Zeitschr . für roman . Philol . " , vol . XXVII , 1903 , pp . 352-364 . Anche il SAVI LOPEZ , Un nuovo libro di sintassi storica e psicologica ( in " Nuovo ateneo siciliano di Catania " , I , 1904 , pp . 2-5 ) , mi spiega qualcosa di simile ; e soggiunge : " Sono concetti elementari ; ma si direbbe che in Italia abbiano ancor bisogno di chi ne bandisca la verità e l ' efficacia " . Con licenza del Savi Lopez , credo che la cosa stia proprio all ' inverso : cioè , che i concetti elementari , dei quali conviene che si " bandisca " ancora la verità , non siano quelli ricordati da lui , ma questi che io sostengo . La verità dei quali par che sia da " bandire " non solo in Italia . Il Vossler domanda : - Se l ' uso linguistico , come vuole il Croce , è un ente immaginario , in qual modo è possibile l ' apprendimento di una lingua , che cangia sempre rapidamente da individuo a individuo ? - L ' obiezione si risolve col riflettere che noi non apprendiamo la lingua che parliamo , ma apprendiamo a crearla ; forniamo , sì , la memoria di prodotti linguistici ( del nostro ambiente storico - linguistico ) , ma ciò serve come base e presupposto della nuova produzione e creazione . Così la lingua cangia da individuo a individuo e da una proposizione all ' altra dello stesso individuo , sebbene a chi guarda di fuori e all ' ingrosso sembri qualcosa di costante : come costante ci appare per lunghi tratti di tempo il nostro corpo , che pure cangia a ogni attimo . Ho accolto nel volume questo scritto e i due che lo precedono , perché giovano a risolvere difficoltà che a volte si riaffacciano . Ma essi non serbano più valore alcuno nei rapporti del Vossler , i cui concetti sulla lingua e lo stile hanno preso forma nuova e ben più matura nel volume : Positivismo e idealismo nella scienza del linguaggio ( trad . ital . , Bari , Laterza , 1908 ) ; intorno al quale , si vedano Conversazioni critiche , I , 87-105 .
'QUESTA TAVOLA ROTONDA È QUADRATA' ( CROCE BENEDETTO , 1905 )
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Lo Steinthal , nella polemica contro il Becker , per rendere chiara la differenza tra Logica e Grammatica si vale di quest ' esempio : " Qualcuno si avvicina a una tavola rotonda e dice : Questa tavola rotonda è quadrata . Il grammatico tace , perfettamente soddisfatto ; ma il logico grida : Assurdità ! " ' . Che il logico debba dare in quel grido è altrettanto evidente quanto ragionevole . Il concetto geometrico di figura rotonda è nettamente distinto da quello di figura quadrata : che l ' uno sia l ' altro è in geometria , o in una certa parte almeno della geometria2 , impensabile . Quelle affermazioni contradittorie eccitano la mente come se volessero apprenderle qualcosa , e la deludono ; donde l ' impeto d ' insofferenza contro l ' assurdo che si vorrebbe imporle . Anche evidente sembra che la Grammatica , dinanzi a una proposizione di quella sorta , si debba mostrare soddisfatta . Le sue regole vi sono perfettamente osservate : il femminile " tavola " è trattato come femminile ; l ' aggettivo " rotonda " è accordato col sostantivo in genere , numero e caso ; il verbo è in terza persona singolare e si accorda col soggetto , come col soggetto si accorda l ' attributo ; e così via . Senonché lo Steinthal ha dimenticato di proporsi una terza domanda : " Che cosa direbbe dinanzi a quella proposizione l ' estetico ? " . O , piuttosto , non si pone questa domanda a causa degli insufficienti concetti di teoria estetica che portava nelle sue indagini , pur tanto pregevoli , dei rapporti tra linguaggio e pensiero . Proponendocela , noi diciamo che l ' estetico , a differenza dal grammatico e in pieno accordo col logico , dichiarerà anche lui assurda quella proposizione . Non che l ' uomo estetico in quanto tale si dia pensiero dei concetti geometrici e della loro esattezza e verità ; ma , entrati che si sia nella sfera di quei concetti , l ' Estetica , come la Logica , esige che se ne segua l ' interna necessità . Il politeismo sarà , come concezione filosofica , erroneo ; ma niente vieta che s ' immagini una società di esseri potentissimi , che vivano in un certo luogo inattingibile , e variamente intervengano nelle cose umane , come gli dèi d ' Omero nelle contese degli eroi , o come gli abitanti di Marte , in un recente romanzo fantastico , scendono sulla terra . Onde il politeismo , fin tanto che non gli si attribuisca valore logico e filosofico , serba valore estetico . Ma io non posso immaginare qualcosa di rotondo che sia quadrato . Quelle parole sono , anche pel mio spirito estetico , vuote : non sono parole ma suoni , che sembrano promettermi qualcosa e non attengono la promessa : eccitano il pensiero ( e la fantasia che si lega al pensiero ) e lo deludono . - Se voglio dare concretezza d ' immagine a quella proposizione , debbo considerarla , per es . , come costruita intenzionalmente a rappresentare un ' incoerenza mentale ; cioè immaginare l ' atto arbitrario di chi combini voci prive di senso : il che facciamo per l ' appunto in questo momento col valercene al modo dello Steinthal come esempio , e per questo ci è possibile tenervi sopra fissa la mente e discorrerne . Ma , quando non se ne cangia il primo significato e valore , la proposizione : " Questa tavola rotonda è quadrata " , come è impensabile così non è immaginabile , come è illogica così è inestetica ; e anzi , in questo caso , è inestetica , perché illogica . Ciò importa che quella proposizione è falsa senza remissione : falsa nella sfera della coscienza estetica , falsa nella sfera della coscienza logica . E , poiché altra forma di conoscenza non v ' ha fuori dell ' intuitiva e della concettuale , quella proposizione è respinta fuori della cerchia dello spirito teoretico . Pure , la Grammatica , secondo lo Steinthal , si è dichiarata e persiste a dichiararsi soddisfatta . Come dunque l ' inimmaginabile e l ' impensabile può essere grammaticalmente razionale ? È , la Grammatica , forma speciale di conoscenza ? Vi è forse , accanto alla verità della poesia e della filosofia , la verità grammaticale , cioè una visione grammaticale delle cose ? Se una verità delle cose secondo Grammatica si confuta col suo stesso enunciato , cioè con un sorriso , viene di conseguenza che le regole , della cui applicazione gode il grammatico , non sono leggi di verità , e , dunque , che la Grammatica non ha valore teoretico e scientifico . Il dilemma è : - o porre quella tale verità secondo Grammatica o negare valore di scienza alla Grammatica ; - e dal canto nostro già sappiamo , per esservi giunti per altra via , quel che sia da pensare della Grammatica , complesso di astrazioni e di arbitri di uso affatto pratico . Ma , poiché taluni non riescono a persuadersi di codesta mancanza di verità scientifica nella Grammatica , è bene invitarli a meditare sull ' esempio arrecato e esortarli a risolvere i seguenti problemi : - Come mai quel che è assurdo logicamente ed esteticamente , può essere grammaticalmente soddisfacente ? Come mai sarebbe scienza quella che farebbe la teoria di prodotti del genere di " Una tavola rotonda è quadrata " , ossia di voci vuote di senso ? Appunto se fosse scienza , la Grammatica sarebbe la scienza della " tavola rotonda che è quadrata " , l ' Estetica di una poesia , che avrebbe per tipo i versi famosi , grammaticalmente e metricamente impeccabili : C ' era una volta un ricco pover ' uomo , che cavalcava un nero caval bianco ; salìa scendendo il campanil del Duomo poggiandosi sul destro lato manco ... L ' Etica teorizza le azioni degli eroi e dei santi , l ' Estetica , i poemi e le sculture dei Danti e dei Michelangeli , la Logica , i sistemi filosofici dei Platoni e dei Kant : la Grammatica come scienza teorizzerebbe , invece , la " tavola rotonda - quadrata " e il " ricco pover ' uomo " . Ma la Grammatica non è nata e non vive per essere scienza e filosofia e critica , né a tal fine dirige i suoi sforzi . Al qual proposito conviene tornare in parte sull ' affermazione dello Steinthal , perché , a dir vero , dinanzi a un detto del tipo : " Questa tavola rotonda è quadrata " , il grammatico che sia veramente consapevole del proprio ufficio , il grammatico che non varchi i limiti della propria competenza , non si dichiara soddisfatto , come crede lo Steinthal , e neppure insoddisfatto . Egli sa che suo ufficio non è di pronunziare giudizio alcuno , ma di porre certe regole , che hanno una determinata utilità . Dinanzi a una pagina qualsiasi , che venga sottoposta al suo giudizio , non si domanda dunque se sia approvabile o no , secondo che le regole grammaticali vi siano sta - te o no applicate ; ma dichiara la propria incompetenza , scrivendo nel margine di quelle pagine : Videat logicus , videat aestheticus . Se facesse altrimenti , si cangerebbe in critico grammaticale dell ' arte o della scienza , in pedante degno di quella irrisione onde è stato tante volte colpito . Questo passaggio dalla Grammatica alla pedanteria è , in verità , accaduto e accade spesso ; ma , tuttavia , non v ' ha ragione alcuna intrinseca per la quale un grammatico debba essere di necessità pedante , non essendovi ragione intrinseca che lo spinga a confondere il campo pratico con quello filosofico , e a convertirsi da costruttore di tipi astratti in giudice di realtà concreta e viva . H . STEINTHAL , Grammatik , Logik und Psychologie , ihre Principien und ihr Verhältniss zu einander ( Berlino , Dümmler , 1855 ) , p . 220 . Sotto un certo aspetto , il geometra non rifugge da quelle unioni di contrari , e , come diceva lo Hegel criticando il principio del terzo escluso : " Per quanto a siffatto principio ripugni un circolo poligonale o un arco di cerchio rettilineo , i geometri non si fanno scrupolo di considerare e trattare un circolo come un poligono di lati rettilinei " (Encykl., § 119 Anm . ) . Ma tali considerazioni , come le disquisizioni dello Stuart Mill e di altri sulla possibilità di un mondo dove si abbiano circoli rettangoli e via discorrendo , non hanno che vedere con la questione presente .
LE LEGGI FONETICHE ( CROCE BENEDETTO , 1903 )
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Le leggi fonetiche sono legittime e utili , e sono anche un grave errore di teoria del linguaggio , secondo che in uno o in altro modo vengano intese . Legittime e utili , quando servono solamente a presentare in compendio e per approssimazione certe diversità che si notano nei linguaggi da un tempo a un altro o da un popolo a un altro . La loro utilità è in tal caso quella medesima della Grammatica ; e anzi , esse nell ' intrinseco non sono altro che Grammatica . Né a rigore è dato neppure distinguere Grammatica storica e Grammatica dell ' uso vivo , perché anche l ' " uso vivo " che cos ' altro è se non un momento storico ? Neppure si può porre divario nell ' intrinseco tra Grammatica storica e Grammatica normativa , perché la forma di norma o comando , che sia data all ' enunciazione di una regolarità , non ne cangia la natura teoretica . Quando invece , dimenticandosi la loro origine arbitraria e di comodo , quelle leggi vengono ipostatate e considerate come leggi reali del parlare , si entra nell ' errore . L ' uomo , nel parlare , non ubbidisce alle leggi fonetiche , ma alla legge dello spirito estetico , che gli fa trovare volta per volta l ' espressione adatta di quel che gli si agita nell ' animo : espressione sempre nuova , perché il sentimento da esprimere è sempre nuovo . Considerare le leggi fonetiche come leggi reali significa compiere l ' indebito passaggio dai concetti empirici ai filosofici , che è proprio dell ' empirismo e materialismo . L ' esattezza di quanto si è ora osservato trova conferma in ogni punto di uno studio di Eduardo Wechssler , che vorrebbe essere favorevole alla realtà e verità delle leggi fonetiche . Il Wechssler comincia dal ricordare un ' osservazione dello Schuchardt : che " la tesi dell ' assolutezza delle leggi fonetiche e quella della classificabilità dei dialetti , sono strettamente congiunte tra loro " . In effetto , senza questo primo . arbitrio grammaticale onde gli svariatissimi prodotti linguistici di un paese e di un ' epoca o serie di epoche vengono trattati come entità costanti e distinguibili per segni certi da altre entità siffatte , mancherebbe la materia per qualsiasi legge fonetica . Ma non basta : il Wechssler è costretto anche ad ammettere l ' esistenza delle parole isolate . Certamente , egli si rende conto di tutte le obiezioni dei linguisti in proposito , ma finisce con l ' acconciarsi alla conclusione " che ciò che noi parliamo sono , sì , proposizioni o espressioni ( Äusserungen ) , ma ciò con cui parliamo , ossia il materiale linguistico , sono parole " ( p . 369 ) . L ' arbitrio è qui nell ' immaginare che l ' uomo adoperi come mezzi le parole isolate : arbitrio subito svelato quando si consideri che la coscienza della parola isolata proviene dalla Grammatica empirica . Per l ' uomo primitivo , o pregrammaticale che si dica , ossia nella spontaneità del parlare , la proposizione è un continuum , e non sussistono parole staccate , quasi pietre con cui si costruisca un edifizio : vi sono nient ' altro che impressioni o commozioni , sintetizzate e oggettivate in una formola o proposizione . Nell ' analfabeta può mancare , o essere debolissima , la coscienza delle parole staccate , e nondimeno il parlare raggiungere un alto grado di perfezione . Né basta ancora : il Wechssler deve compiere un terzo arbitrio e parlare dell ' esistenza del suono singolo ( Einzellaut ) . Anche qui egli si rende conto dell ' impossibilità di distinguere tra loro i suoni che passano l ' uno nell ' altro per infinite gradazioni ; ma pur si appiglia al mezzo termine , che sia lecito stabilire gruppi o categorie di suoni affini e considerarli come suoni singoli ( pp . 369-374 ) . Il procedere affatto arbitrario è designato in questa sua arbitrarietà con chiarezza tale che parole non vi appulcro . E anzi il Sievers , al quale il Wechssler si appoggia , dice nella sua Phonetik proprio così : " Dies Verfahren ist an sich willkürlich , sondern praktisch berechtigt " . Che poi gli uomini , nel parlare e ascoltare apprendano codeste categorie arbitrarie , o codeste medie di suoni singoli , e non invece ciascun suono nella sua particolare sfumatura , mi sembra asserzione gratuita e anche contradittoria . Movendo da questi supposti ( pratici e non scientifici ) , si possono ben notare mutamenti di suoni , cioè il triplice fenomeno della sostituzione dei suoni ( Lautersatz ) , della sparizione ( Lautschwund ) e dell ' accrescimento ( Lautzuwachs ) ; e si può ben chiamarli " leggi fonetiche " . Si compie per tal modo una finzione concettuale , la cui validità è dentro i limiti della finzione , ma che , trasportata in scienza pura o filosofia , perde ogni valore , o , se ci si ostina a serbarglielo , si converte in errore . Lasciamo da parte le cause dei mutamenti ( delle quali il Wechssler enumera dodici ) ; e prendiamo un esempio di codesti mutamenti , già formolato dall ' Ascoli e dal Nigra : le variazioni cui andò soggetta la lingua romana nel passare sulla bocca dei celti pel fatto che questi erano abituati a pronunziare una diversa lingua . Trattando come qualcosa di fisso la lingua romana e le abitudini di pronunzia dei celti , si possono stabilire le leggi fonetiche di questi mutamenti . Ma non bisogna dimenticare che queste leggi non son altro che il compendio dei fatti osservati , e che la realtà spetta a questi fatti , non al compendio che li impoverisce e falsifica . Un qualcosa , comune più o meno ai celti e più o meno assente nei romani , c ' era di certo ; ma circoscriverlo e determinarlo in astratto non si può se non per atto di arbitrio . In concreto , quel qualcosa è determinabile , ma solo come individualità , per diretta e individua percezione . Se il Wechssler non si forma un concetto giusto delle leggi fonetiche , la ragione è da cercare nel concetto poco esatto che egli ha del linguaggio . Si veda la dottrina sulla origine o natura del linguaggio , esposta nel primo capitolo del suo lavoro , e che consiste nel riattaccare il linguaggio ai movimenti riflessi ( Reflexbewegungen ) . Vi sarebbero , secondo lui , cinque classi di movimenti espressivi umani : 1 ) quelli originarî dell ' eccitamento interno , come l ' impallidire e l ' arrossire , poco suscettibili di essere sottomessi alla volontà ; 2 ) il gioco della fisionomia , anche difficile a dominare ; 3 ) i cenni o gesti , più dominabili , tanto che si discorre di un linguaggio di gesti ; 4 ) il linguaggio in senso proprio , in cui prevalgono i movimenti volontarî ; e 5 ) i movimenti espressivi secondarî , come quegli ottici , che danno origine alle varie scritture . In una convivenza umana si vedono e si odono spesso ripetuti un determinato gesto ( per es . , scuotere il capo in segno di contrarietà ) o un determinato grido ( per es . , di orrore ) ; e si forma la facile osservazione , che il medesimo segno accompagna sempre un medesimo stato di coscienza . E alcuni , i meglio dotati , compiono il breve passo che resta ancora da compiere , e riproducono quel gesto o quel suono come movimento volontario ; ed ecco nascere il linguaggio ( p . 353 ) . - Con questa teoria , si torna al concetto ( che pareva morto e sotterrato ) del linguaggio convenzione o associazione di due rappresentazioni volontariamente messe in rapporto . Più importante della debole dottrina del linguaggio e delle leggi fonetiche è la parte storica che il Wechssler aggiunge alla sua trattazione e che si aggira segnatamente su tre punti : sul concetto delle leggi fonetiche , su quello del linguaggio come organismo , e sulla divisione della storia del linguaggio in due periodi , il periodo di formazione e il periodo di svolgimento . Potrà sembrare strano che il concetto di leggi fonetiche risalga ( come dimostra il Wechssler ) proprio a Guglielmo di Humboldt , il quale lo accenna per la prima volta in una lettera al Bopp del 1826 . Ma lo Humboldt non portò mai a compiuta chiarezza le sue geniali idee di filosofia linguistica ; donde le frequenti contradizioni che in lui si notano . Dopo avere avuta molta fortuna in principio , le leggi fonetiche cominciarono a suscitare dubbi nel campo stesso dei glottologi e filologi , e furono assai discusse segnatamente negli anni tra il 1876 e il 1885 . Da quel tempo , sebbene si seguiti a farne uso pratico ( attenuandone spesso il nome pomposo nell ' altro di " regole " o di " mutamenti fonetici " ) , sono in teoria molto scosse . Sfavorevole , tra gli altri , si dimostra ad esse un linguista dell ' acume di Hugo Schuchardt . L ' errore del linguaggio come organismo culmina nello Schleicher , il quale , sedotto dal metaforico vocabolo " organismo " che lo Humboldt adoperava in significato idealistico , pretese trattare la Linguistica come scienza naturale , cioè cadde nell ' accennato errore materialistico . Allo Schleicher risalgono anche i tentativi di una " fisiologia del linguaggio " . " La storia della dottrina dell ' organismo in Linguistica ( dice il Wechssler ) si può considerare in sostanza come la storia di una metafora presa alla lettera ed elevata a teoria " . Del terzo errore , cioè di quello onde la storia del linguaggio viene divisa in due periodi , non rimasero immuni del tutto né lo Humboldt né lo Steinthal ; ma se ne sono avveduti e lo hanno accusato di recente lo Scherer e il Paul . Contro le leggi fonetiche , contro il principio di pigrizia degli organi e di comodità quale spiegazione dei mutamenti fonetici , contro le pretese dei linguisti di farla da fisiologi ( ossia di compilare i risultati del sapere altrui invece di dare quelli del campo loro proprio di studi ) è rivolto un breve scritto del prof . Scerbo . Gli odierni trattati di Linguistica cominciano sovente col descrivere l ' apparato della gola e della bocca , cioè con un capitolo tolto alla Fisiologia . Nell ' Università di Pisa , è stato fondato un gabinetto fisioglottologico ; nel Collegio di Francia , un laboratorio di fonetica sperimentale . Opponendosi alle confusioni e stravaganze di cui codeste nuove istituzioni danno prova , lo Scerbo sostiene che il linguaggio ha leggi spirituali e non fonetiche ; che non domina in esso la pigrizia o la comodità , ma , tutt ' al più , l ' economia , forma spirituale anch ' essa ; che nessun concetto utile al linguista è stato finora fornito dalla Fisiologia . Il linguaggio ( egli dice ripetutamente ) è opera dello spirito : l ' intelligenza , la volontà , la memoria , l ' attenzione , la fantasia spiegano , esse solamente , il suo prodursi . Ma le varie attività spirituali che lo Scerbo chiama a raccolta entrano poi davvero tutte , e alla pari , nella produzione del linguaggio ? Egli non dà sufficiente rilievo all ' intuizione ( o fantasia ) come atto spirituale primitivo , dal quale soltanto si origina il linguaggio e che , anzi , è il linguaggio stesso . L ' intelletto ( inteso come intelletto logico ) non ha nel linguaggio parte primaria ; la memoria non è una speciale categoria o attività dello spirito ; la volontà può entrare nel linguaggio solamente nel fatto esterno della comunicazione agli altri , ma non è essenziale , costitutiva e peculiare della formazione linguistica . E se lo Scerbo , come ne siamo sicuri , affinerà in questa parte i suoi pensieri , non scriverà più come ha scritto in principio , che " la parola qual puro segno convenzionale ( se non nell ' origine , certo in progresso di tempo , allorché le primitive accezioni , massime degli elementi formali del linguaggio , si sono oscurate o dimenticate ) non ha verun intimo e necessario rapporto con l ' idea " . In verità , la parola non è mai segno convenzionale , e , se tale non era in principio , tale non può divenire nel séguito , perché le attività spirituali non cangiano natura ; e ha sempre rapporto strettissimo con l ' idea in quanto è rappresentazione , benché non ne abbia alcuno con l ' idea in quanto concetto . Poniamo ( tanto per intenderci ) che un uomo primitivo o selvaggio esprima l ' apparire di un cane con la proposizione : " Ecco un baubau " . Questa proposizione non ha verun rapporto col concetto ( con la verità scientifica ) del cane ; ma ne ha uno diretto con le impressioni che l ' apparire del cane desta nell ' uomo primitivo . Un uomo moderno dirà invece : " Ecco un cane " . Neanche questo detto ha alcun rapporto col concetto astratto del cane , ma anch ' esso ha rapporto con le impressioni che il fatto desta nell ' uomo moderno ; il quale , diverso dal selvaggio , fornito di un ricco patrimonio di rappresentazioni e idee , all ' apparizione del cane prova impressioni diverse da quelle provate dall ' uomo primitivo : donde le parole : " Ecco un cane " , e non le altre : " Ecco un baubau " . Se l ' uomo dell ' ipotesi fosse un naturalista , vivente tutto nella sua scienza , le impressioni suscitate in lui dalla vista del cane potrebbero dare luogo addirittura a un detto come : " Ecco un canis familiaris " . E queste parole sarebbero tanto poco convenzionali , quanto poco convenzionali e affatto spontanee erano le ipotetiche parole del selvaggio . Ciò che diciamo qui in modo quasi popolare è semplice conseguenza dell ' importante principio onde è stata abolita la distinzione di periodo originario e periodo posteriore del linguaggio . Il periodo originario di creazione non è stato mai , perché è stato , è e sarà sempre ; il periodo di puro svolgimento senza creazione non c ' è , e non è stato né sarà mai . La creazione primitiva ( Urschöpfung ) e il parlare quotidiano sono una sola e medesima cosa . Sempre che si parla , si crea il linguaggio ; e , come lo creò l ' immaginario uomo primitivo che aprì la bocca la prima volta a parlare , così lo creiamo noi , in ogni istante della vita , ripetendo all ' infinito il gran miracolo , che è poi il miracolo stesso della realtà . Gibt es Lautgesetze ? ( Halle , 1900 : nelle Forsch . z . roman . Philol . , Festgabe f . H . Suchier , pp . 349-538 ) . F . SCERBO , Spiritualità del linguaggio ( Firenze , Tip . della " Rassegna nazionale " , 1902 ) .
ESTETICA E PSICOLOGIA DEL LINGUAGGIO ( CROCE BENEDETTO , 1907 )
StampaPeriodica ,
Il mio trattato di Estetica ha richiamato , pei rapporti che stabilisce tra Filosofia dell ' arte e Filosofia del linguaggio , l ' attenzione degli studiosi del linguaggio . Ciò mi fa piacere , perché contribuirà a trasportare i problemi estetici in ambienti di cultura e di scienza , togliendoli dalle mani degli sfaccendati sin oficio ni beneficio ( assai simili a quegli hombres honrados , che Sancho trovò nell ' isola di Barataria ) , i quali , a tempo perso , si mettono a cercare " che cosa è il Bello " . Ed essendo il mio libro uscito quasi contemporaneamente alla vasta opera del Wundt sul linguaggio non è maraviglia che sia accaduto come un urto tra l ' indirizzo del Wundt , e quello , assai diverso , che io cerco di promuovere . Anche ciò non mi dispiace : l ' urto , ossia il confronto , metterà in mostra le virtù e le deficienze dell ' uno e dell ' altro indirizzo . Una manifestazione di questo contrasto è nell ' esame che il dr . O . Dittrich ( autore di un ' opera : Grundzüge der Sprachpsychologie , e di uno scritto : Die Grenzen der Sprachwissenschaft ) ha rivolto testé al mio libro , ai due volumetti del Vossler e all ' opera del Wundt , nella " Zeitschrift für romanische Philologie " . Il Dittrich , seguace del Wundt , riconosce che la mia trattazione è " logisch straffe und lückenlose " ( p . 472 ) , o , come dice anche , che ha una " innere logische Geschlossenheit " ( p . 476 ) ; e mi risparmia ( e di ciò gli sono grato ) quelle critiche di particolari , che spesso si fondano su fraintendimenti . Ma egli afferma che le mie tesi riposano sopra una " psicologia da lungo tempo superata " , e sopra " una teoria del valore affatto inadoprabile " ( p . 473 ) ; e , per queste due ragioni , stima di gran lunga preferibile l ' indirizzo del Wundt . Non che il Dittrich non nutra qualche speranza di portare a un certo componimento le mie teorie con la " Psicologia moderna " ( p . 476 ) . Il punto di unione a lui sembra che ci sia : è il mio concetto dell ' espressione , che egli mette in rapporto col concetto wundtiano dell ' appercezione . Per il Wundt , l ' appercezione è appunto " quella forma di sintesi creatrice nella quale , con l ' attenzione come sintomo soggettivo , viene in atto la chiarezza e distinzione oggettiva di singoli elementi e gruppi di elementi di un ' unità totale associativa che riempie il momento della coscienza " . Senonché questo concetto del Wundt è meramente psicologico ; e se il Croce ( dice il Dittrich ) accetta l ' identificazione di esso col suo concetto dell ' espressione , entra sì , in rapporto col " sistema della Psicologia moderna " , ma è un uomo perduto ; o , meglio , salvato , ma la cui teoria estetica e linguistica è totalmente fallita . Infatti ( come il Dittrich prova ) , dato il carattere psicologico dell ' appercezione del Wundt , non si può più sostenere , come io sostengo , che il valore estetico sia il fatto stesso della sintesi , ma così per i fatti estetici come per quelli logici e morali bisogna porre valori transubiettivi , in conformità della moderna teoria dei valori . " Il valore , come si attua o si deve attuare nell ' oggetto che si valuta esteticamente , logicamente o eticamente , e la legge del valore , giacciono di là della psiche dell ' individuo valutatore ; e valore e legge del valore hanno da fare con questa psiche solamente in quanto debbono venire riconosciuti da essa in forma di sentimento di valore , al fine di esistere per essa . Per tal modo l ' estetico deve stabilire le leggi transubiettive della intuizione pregevole ( wertvolle ) , il logico quelle del concetto pregevole ( partendo per ciò dal giudizio pregevole ) , e l ' etico quelle del volere pregevole " ( p . 479 ) . Determinato così il rapporto tra Psicologia ed Estetica , e fermato il principio della transubiettività dei valori , è chiaro che cade l ' identificazione da me affermata di Estetica e Filosofia del linguaggio . L ' importanza delle mie teorie dunque ( per quel che pare al Dittrich ) sta nell ' accentuare la parte della psichicità e spiritualità nel linguaggio ; il che , per altro , aveva già fatto il Wundt medesimo con la sua teoria del linguaggio come funzione psicofisica ( p . 486 ) . Per ogni altro rispetto , quel tanto che c ' è di buono nella mia Estetica , pubblicata nel 1902 , si trova già nell ' Estetica di Jonas Kohn , pubblicata nel 1901 . Mi libero subito da quest ' ultima osservazione col controsservare , non già , come potrei , che la parte teorica della mia Estetica fu pubblicata nel 1900 e perciò un anno innanzi il libro del Kohn ( non mi è gradevole portare la questione su questo terreno ) ; ma che le parti , in cui il Kohn e io siamo d ' accordo , non sono altro che alcune tesi kantiane , la cui data è il 1790 . Quanto al resto , il Dittrich ragiona benissimo : se io ammettessi l ' identificazione della mia sintesi espressiva con l ' appercezione del Wundt , ne verrebbero tutte le conseguenze che egli trae , e io sarei un uomo esteticamente e linguisticamente perduto . Ma proprio quella identificazione io non ammetto , perché la mia sintesi espressiva ha valore gnoseologico e non psicologico . Se le si vuole trovare precedenti , bisogna pensare non all ' appercezione wundtiana , ma alla kantiana attività sintetica dello spirito : concetto , com ' è noto , niente affatto psicologico , e che valse a stabilire la profonda distinzione tra Filosofia dello spirito e Psicologia . La mia psicologia è poco moderna ? Non direi , perché , per essere antiquata o moderna , dovrebbe essere , anzitutto , psicologia . Il Dittrich , se non se n ' era avveduto prima , intenderà da quello che dico ora che io non mi aggiro nel campo della Psicologia , ma in quello della Gnoseologia e della Filosofia dello spirito ; e perciò gli annunzi delle " novità " psicologiche non possono recarmi nessuna sorpresa piacevole o spiacevole , e anzi mi lasciano indifferente . Vediamo , invece , se sia poco moderna la mia teoria del valore , la quale è antidualistica , fondata sul concetto che la realtà e il valore sono il medesimo . Ho esposto con le parole stesse del Dittrich la teoria che egli le contrappone come modernissima , e che consiste nel porre i valori come transubiettivi . I valori starebbero fuori dello spirito press ' a poco ( ho scritto una volta in un momento di buon umore ) come lo stellone caudato , che accompagna i re magi nel presepe . Questa " modernissima " teoria è dunque la dottrina herbartiana , o addirittura quella scolastica . Sono sicuro che il Dittrich , se continuerà a meditarvi intorno , si avvedrà della stranezza di codesto intrudere nello spirito dell ' uomo valori transubiettivi e trascendenti ; e , per fargli animo , gli confesserò che anch ' io , da giovane , seguivo siffatto modo di vedere , ma dovetti poi abbandonarlo , perché una più attenta e prolungata meditazione me ne dimostrò le contradizioni e l ' impossibilità . Concludo . A intendere la natura del linguaggio e dell ' arte occorre filosofia e non già psicologia ; e il Wundt è psicologo . Per liberare dalle difficoltà preliminari la tesi dell ' identità del linguaggio con l ' arte bisogna concepire dialetticamente il problema del bello e del brutto , del valore e del disvalore ; e il Wundt è intellettualista , non dialettico . Per fare che codesti studî progrediscano è necessario risalire alla migliore tradizione del pensiero tedesco ; e il Wundt , per l ' origine e pel metodo del suo lavoro , più che a quello si congiunge al pensiero empirico inglese e americano . Non è stato per l ' appunto il prof . Wundt , che è passato sopra con iscarsa reverenza alle teorie linguistiche del geniale Guglielmo di Humboldt , imitando i diportamenti dell ' americano Whitney ? E non sono stato io ( in questo più tedesco di lui , ma tedesco del buon vecchio tempo ) a prendere le parti dello Humboldt contro l ' americanizzante professore tedesco ? Riuniti ora nel volume citato : Idealismo e positivismo nella scienza del linguaggio ( Bari , Laterza , 1908 ) . Vol . XXX , 1906 , fasc . 4 , pp . 472-487 . - il VOSSLER ha risposto , per la parte che lo concerne , nell ' " Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen " , CXVIII , pp . 253-257 .
LA LINGUA UNIVERSALE ( CROCE BENEDETTO , 1905 )
StampaPeriodica ,
L ' idea di una lingua universale è la sublimazione del falso concetto che si è avuto per il passato e si ha ancora d ' ordinario circa il linguaggio . Questo falso concetto consiste nel credere che il linguaggio sia un congegno che l ' uomo si è foggiato per comunicare ai suoi simili il proprio pensiero . Secondo siffatto modo di vedere , il pensiero starebbe dapprima , nella mente dell ' uomo , senza linguaggio : il linguaggio gli si aggiungerebbe poi , per atto pratico , in vista dell ' utile e del comodo . E poiché i congegni nascono rozzi e si perfezionano via via nel corso dei secoli , non è maraviglia che , assimilato a essi , il parlare effettivo degli uomini , cioè il linguaggio quale si è storicamente formato , appaia quasi un lavorare con istrumenti vecchi o addirittura barbarici , riadattati alla meglio ma sempre pesanti e incomodi , e sorga il desiderio di sostituire a quei vecchi strumenti o di possedere accanto a quelli uno strumento nuovo , costruito di sana pianta . Pel quale si farà tesoro , sì , delle esperienze secolari , ma ci si atterrà a criterî razionali che permettano di raggiungere più facilmente e meglio il fine della comunicazione . I fucili a ripetizione hanno sostituito quelli a pietra ; i treni - lampo le vecchie diligenze : perché mai il linguaggio ultimo - modello non sostituirebbe il rappezzato neolatino , il frondoso tedesco e l ' ibrido inglese ? Il falso concetto del linguaggio è evidente in tutti i vagheggiatori e promotori di una lingua universale : dal Cartesio e dal Leibniz , giù giù fino al dottor Zamenhof , inventore dell ' Esperanto , e ai signori Couturat e Léau , membri della " Delegazione per l ' adottamento di una lingua internazionale ausiliare " e autori della Histoire de la langue universelle . A Cartesio ( com ' è noto ) pareva cosa agevole foggiare una lingua universale , nella quale si avesse un modo solo di declinare , di coniugare e di costruire le parole , e non fossero verbi difettivi o irregolari , " qui sont toutes choses venues de la corruption de l ' usage " . Il dottor Zamenhof , fin dal tempo che seguiva gli studi letterarî nel ginnasio di Varsavia , si persuase che " la complexité des grammaires naturelles était une richesse vaine et encombrante , et se mit à élaborer une grammaire simplifiée " . I signori Couturat e Léau accettano in proposito la conclusione a cui pervenne già nel 1855 il Renouvier : che una lingua internazionale debba essere " empirique par son vocabulaire et philosophique ( c ' est - à - dire , rationnelle ) par sa grammaire " . Ed ecco che cosa essi pensano dei linguaggi esistenti : " toute langue littéraire est , plus ou moins , artificielle " . E della poesia : " qu ' y a - t - il de plus artificiel , en tout cas , que la poésie ? et dans quel pays est - il naturel de parler en vers ? " . Dinanzi a codeste affermazioni si rimane sbalorditi . Che Cartesio e Leibniz non avessero ancora inteso la natura del linguaggio , si spiega per le condizioni del pensiero ai tempi loro . Ma , sulla fine del secolo decimonono o sui principi del ventesimo , udire ripetere ancora che le lingue sono irrazionali , che contengono elementi inutili , che possono venir semplificate per mezzo della logica , che la poesia è un fatto artificiale , è cosa non sopportabile . I moderni dissertatori intorno al linguaggio universale , che si valgono di concetti come quelli dei quali si è dato saggio , dovrebbero , a mio parere , non già essere ammessi alla discussione , ma rimandati puramente e semplicemente a studiare che cosa il linguaggio sia . È chiaro che sulla Filosofia del linguaggio non debbono aver mai meditato sul serio . L ' hanno creduta facile , di quelle cognizioni che si posseggono come per buon senso naturale ; ed è invece difficile e di faticoso acquisto . I promotori della lingua universale dichiarano di avere ormai affatto abbandonato l ' antica pretesa di una lingua filosofica , rispondente ai concetti esattamente determinati delle cose : quella lingua filosofica della quale Cartesio diceva per l ' appunto : " l ' invention de cette langue dépend de la vraye philosophie " . E non hanno difficoltà a riconoscere che , non essendo ancora la scienza bella e fatta , e mutando anzi di continuo , una lingua di tal sorta è impossibile . Ma con ciò non si è superato l ' errore , il quale non nasceva già dal presupposto della scienza perfetta : la lingua desiderata sarebbe stata certamente tanto più perfetta quanto più perfetta la scienza che le servisse di base , ma avrebbe , anche nell ' ipotesi di una scienza imperfetta , rappresentato pur sempre un progresso grande rispetto al linguaggio volgare , perché la scienza degli scienziati , imperfetta che sia , vale sempre meglio delle credenze del volgo . L ' errore , invece , in quella idea di una lingua filosofica era né più né meno il medesimo in cui s ' incorre ora con l ' idea della lingua universale ; vale a dire , concepire il linguaggio come qualcosa d ' estrinseco e di fissabile . Questo errore non è stato punto superato . Supposti due individui i quali abbiano gli stessissimi pensieri intorno a un oggetto , non per ciò essi potranno mai parlare una lingua comune a entrambi , identica in entrambi . Ciascuno dei due parlerà a modo suo , cioè in modo corrispondente al proprio animo e alla propria fantasia ; ciascuno con certe immagini , certi suoni , certi giri di periodi , certi gesti e certe enfasi , che non possono essere identici alle immagini , ai suoni , ai periodi , ai gesti e alle enfasi , con cui si esprime l ' altro . Il linguaggio , insomma , cioè il parlare , è nella sua realtà spontaneo , individuale , variabile ; e il linguaggio , che si domandava , quel linguaggio comune , sarebbe dovuto essere artificiale , universale e fisso , negando così la natura universale del linguaggio , contradicendo con l ' aggettivo il sostantivo . E ( si noti bene ) la diversità del parlare secondo gl ' individui e le . situazioni psicologiche in cui ciascuno di essi si trova , non esclude il reciproco intendersi ; perché intendere vuol dire appunto adeguarsi alla psicologia altrui movendo dalla propria e a questa tornando . Se gli uomini potessero parlare tutti allo stesso modo , sarebbero tutti identici ; con che non s ' intenderebbero già meglio , ma si scioglierebbero tutti insieme nell ' indistinto , e il mondo non esisterebbe . Per le ragioni che ho esposte o ricordate , l ' idea di una lingua universale resterà sempre un ' utopia della specie più stolta , perché utopia del contradittorio . Essa non cesserà di esercitare un certo fascino su qualche spirito irriflessivo ; così come vi sarà sempre taluno che si domanderà perché mai , consistendo la musica in combinazioni di note , e la pittura in combinazioni di colori , e la poesia in combinazioni di parole , non si possono ottenere nuove e meravigliose musiche , pitture , poesie mercé macchine combinatorie , facendo a meno di quella rara e costosa materia prima , che si chiama la genialità dell ' artista . E come vi sarà sempre qualche fanciullo che si domanderà perché mai i popoli facciano le guerre distruggendo pazzamente vite umane e ricchezze con tanta fatica prodotte , laddove potrebbero decidere le loro contese con duelli singolari , al modo di quello degli Orazi e dei Curiazi e degli altri , che non poterono avere effetto , tra Pietro d ' Aragona e Carlo d ' Angiò , tra Francesco I e Carlo V . Ma , ai giorni nostri , sembra che la ricerca del linguaggio universale abbia mutato carattere . Una lingua universale , o , come volentieri la chiamano , una " lingua internazionale sussidiaria " , viene richiesta da politici e commercianti , da scienziati ( di quelli che girano per tutti i congressi ) , da logici matematici ( inventori di specifici pel retto e comodo pensare ) , e da altri di simigliante genìa ; e la richiesta è confortata dall ' osservazione di certi fatti che già esistono e che si approssimano a quel che si desidera : quali sarebbero le lingue franche o i sabir della costa mediterranea e di altri paesi , la fortuna e la diffusione prima del Volapük e ora dell ' Esperanto , la crescente quantità di parole comuni che si osserva nei linguaggi della civiltà europea , le terminologie e notazioni scientifiche internazionali ; e altrettali . Perché mai un autorevole consesso , come l ' Accademia delle accademie ( bel nome , che par modellato su quello del Cantico dei cantici ) , o altro che sia , composto di delegati dei varî Stati , non potrebbe fissare un complesso di segni fonici , scelti con pratico buon senso , e agevolare con tale deliberato la comunicazione dei pensieri tra persone di diverso linguaggio ? Qual ' è l ' impossibilità intrinseca di questo desiderio ? Non si vede . Senza dubbio , l ' enunciato desiderio non ha alcuna impossibilità intrinseca , e anzi si è già in parte effettuato e si potrà effettuare in séguito anche più largamente . Ma , in ogni caso , quel che si ottiene a questo modo ( ecco il punto importante ) o non è lingua o non è universale . Mettere in corrispondenza certi suoni , arbitrariamente foggiati , con certe idee ed espressioni non è propriamente parlare , ma formare una convenzione . Si può convenire , per es . , che quel che gl ' italiani chiamano " pane " , e i francesi " pain " , e i tedeschi " brot " , e gl ' inglesi " bread " , sia indicato col suono " puk " ; quel che si dice " voglio , je veux , ich will , I will " , sia indicato col suono " ro " ; onde " ro puk " si tradurrà nelle rispettive lingue : " io voglio un pezzo di pane " . Ma con questa convenzione non si è data vita a nessun linguaggio : il linguaggio è l ' uomo che parla , nell ' atto che parla . La convenzione può avere pretese di universalità ed essere universalmente imposta o universalmente accettata ; ma l ' aggettivo " universale " cerca qui invano il sostantivo " linguaggio " . Perché questo sostantivo sia al suo posto , perché si abbia linguaggio , è necessario che i vari individui , che compongono l ' ipotetica società aderente alla convenzione , prendano a parlare , dicendo : " ro puk " , per dire che vogliono il pane . Ma , non appena quella convenzione si traduce in linguaggio , ecco che cessa di esser convenzione , diventa un semplice dato naturale , un ' impressione , un fatto psichico , che lo spirito di ciascun parlante risente ed elabora a suo modo : un dato , il quale è entrato con altri nella psiche del parlante , che lo trasforma in linguaggio vivo , facendone la sintesi estetica insieme con le altre impressioni , che parimente sono entrate in lui . La convenzione cessa per tal modo di essere convenzione , perché si è individualizzata . In ciascun individuo , e in ciascun atto del parlare , quei suoni " ro puk " acquistano un particolare significato o , ch ' è lo stesso , una particolare sfumatura di significato . Prima si aveva l ' universale , ma non la lingua ; ora si ha bensì la lingua , ma non più l ' universale . Questa obiezione , che la parola convenuta perda la sua fissità , quando entra nell ' uso vivo del parlare ; che quel solido , per così dire , caduto nel flusso di un liquido , si liquefaccia anch ' esso ; - è stata mossa ai sostenitori della lingua universale o è stata in qualche modo adombrata , quando si è notato che la lingua universale sarà variamente pronunciata dai vari individui , e che sarà alterata dai vari popoli secondo le tendenze e i precedenti di ciascuno e secondo tutte le circostanze e vicende storiche . I difensori della lingua universale , non avvertendo forse la gravità dell ' obiezione , hanno risposto : che , ammesso pure che la pronunzia sia causa di alterazioni , la lingua universale resterà sempre utile per le comunicazioni scritte ; che le alterazioni temute non avranno luogo , com ' è provato da esperienze fatte col Volapüik e con l ' Esperanto ; che la lingua artificiale non sarà sottomessa agli stessi motivi di alterazione , operanti nelle lingue storiche , perché dovrà servire solo per certi determinati scambi e sarà frenata da una tradizione e da una letteratura di modelli classici ; che le mutazioni , riconosciute opportune , potranno essere introdotte , cautamente , dall ' autorità medesima , costitutrice di quel linguaggio ; e così via . Ma sono tutte risposte le quali , come si vede , non giungono a eliminare l ' obiezione in quel che ha di sostanziale . Il vero è che nessuna parola è qualcosa di fissabile astrattamente , ma ciascuna attinge significato dalla connessione in cui si trova , e da cui non è separabile se non per violenta mutilazione . E quel che accade per le parole delle così dette lingue naturali , accade del pari per quelle che hanno , sì , il loro motivo extralinguistico in una convenzione , ma il cui motivo linguistico è , come per tutte le altre , nella spontaneità e naturalità del parlare , ritraente le svariate e mutabili impressioni dell ' animo umano . Non si tratta , dunque , di quelle sole alterazioni che s ' introdurrebbero saltuariamente e accidentalmente nel corso degli anni o dei secoli ; ma di quelle , continue , che s ' introducono a ogni attimo . La mutabilità incoercibile del linguaggio , e della convenzione divenuta che sia anch ' essa linguaggio , non esclude , certamente , che la convenzione , tradotta in linguaggio , possa avere qualche utilità . Per certi fini pratici , quel che importa è non la fissità rigorosa , ma quella approssimativa , nella quale si trascurano le sfumature e si considera un ' espressione all ' ingrosso . Epperò l ' Esperanto , e altre convenzioni dello stesso genere , potranno avere la loro utilità , piccola o grande che sia , per certi tempi e per certi luoghi . Ridotta la cosa in questi confini , essa è d ' interesse e di competenza dei pratici , alle cure dei quali bisogna commetterla e lasciarla . Ma , sotto l ' aspetto scientifico , conviene insistere nell ' affermazione che la così detta lingua universale si risolve in un processo diviso in due stadî , il primo dei quali ( convenzione ) è universale ma non è lingua , il secondo ( parlare effettivo ) è lingua ma non più universale . Perché , al filosofo importa che l ' umile questione pratica di un possibile espediente atto ad agevolare certi generi di scambî spirituali non faccia sorgere , o non rafforzi , idee false ( e già troppe ne vanno in giro ) intorno alla natura del linguaggio . Paris , Hachette , 1903 , 8° gr . , pp . xxx-576 . Op . cit . , p . 305 . Op . cit . , p . 514 . Op . cit . , p . 566 . Op . cit . , pp . 113-115 , 548 . Purtroppo il gran Leibniz , in conseguenza dei suoi errati concetti circa il linguaggio , fu uno di questi " taluni " e sognò di poter comporre con metodo infallibile e quasi dimostrativo poemi e canti " très beaux " ; al modo stesso che un predecessore di lui , il padre Kircher , nella Musurgia , pretendeva insegnare l ' arte di comporre arie senza sapere di musica . Si veda La logique de Leibniz , d ' après des documents inédits , par L . COUTURAT ( Paris , Alcan , 1901 ) , p . 63 . Op . cit . , pp . 559 e 565 . Cfr . la rivista " Leonardo " , fasc . di novembre 1904 , p . 37 . Op . cit . , pp . 559-569 .
LA LINGUA UNICA PRIMITIVA ( CROCE BENEDETTO , 1905 )
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Il Trombetti pubblica i principali risultati del lavoro al quale attende da molti anni , diretto a dimostrare l ' unità d ' origine del linguaggio . Ma poiché , sia per il premio reale dei Lincei conferito nel passato anno all ' autore , e per il gran discorrere che ne seguì nei giornali , e per la cattedra speciale per lui istituita , sia per altre cause che indicheremo , si è fatta molta confusione intorno alla natura , al significato e all ' importanza del problema che il Trombetti si è proposto , a noi sembra opportuno ( prescindendo qui dal valore maggiore o minore delle sue dimostrazioni ) di determinare e circoscrivere il valore del problema stesso . E diciamo subito che si tratta di un problema di nessuna importanza filosofica . Pel filosofo , domandare se il linguaggio abbia avuto una o più origini , se bisogni tenere per la monogenesi o per la poligenesi , non ha significato . Il filosofo sa che le diversità dei linguaggi sono infinite , perché infinite sono le individuazioni dello spirito . Né ammette che si possa discutere dell ' origine storica del linguaggio , perché il linguaggio non è fatto storico , particolare e contingente , ma categoria . Ciò si è voluto esprimere nella moderna linguistica e filosofia del linguaggio col profondo detto , che il problema dell ' origine del linguaggio si risolve in quello della sua eterna natura . Il problema del Trombetti è nient ' altro che una ricerca di preistoria . Supponiamo che egli sia riuscito a provare il suo assunto dell ' origine di tutti i linguaggi esistenti da un ceppo comune ; che cosa avrebbe provato ? Questo : che le società ora sparse sulla terra , delle quali la lacunosa e assai recente tradizione storica non ci mostra le connessioni , dovettero in un certo tempo ( = tante migliaia d ' anni addietro ) formare un ' unica società . E prima di quel tempo ? E prima di prima ? L ' ulteriore domanda non appartiene al tema del Trombetti . Se la potenza romana avesse potuto assorbire o distruggere tutte le altre società esistenti , la civiltà presente , e con essa i suoi linguaggi , non avrebbero altra origine che Roma . Immaginiamo un antichissimo gruppo umano , il quale , sostituendosi a esseri inferiori o assorbendoli , si sia poi diramato per tutta la terra , nell ' Eurasia , nell ' Africa , nell ' Oceania , nelle Americhe ; e avremo la costruzione preistorica , giustificata o no che sia , rispondente all ' ipotesi del Trombetti . L ' ipotesi non ha nulla d ' impossibile ; ma , ammessa come vera , non tocca nessuno dei grandi problemi che interessano lo spirito umano . Anzi , dirò di più : a considerarla nei suoi limiti di ricerca preistorica , essa ha ben modesto interesse , perché modesto è in genere l ' interesse della preistoria , di questa scienza analfabeta ( come il Mommsen scherzosamente la chiamava ) , la quale indaga le zone grige , l ' indistinto , il rudimentale , il povero , laddove la storia ci pone di fronte ai grandi fatti dello svolgimento umano . Credo tutt ' altro che trascurabili le ricerche sulla vascolaria primitiva ; ma mi permetto di reputare alquanto più interessante lo studio di un vaso attico , di un piatto di mastro Giorgio o di una porcellana cinese . Se l ' interessamento comune sembra testimoniare del contrario e si accende vivacissimo innanzi a ogni rivelazione che concerna il " primitivo " , ciò accade , a mio parere , perché nel pensiero comune si suole scambiare l ' angusta ricerca preistorica con la ricerca filosofica e si aspetta dalla prima la risposta ai problemi della seconda . Per non dire che talvolta , come in questo caso , operano in quell ' interessamento motivi religiosi , sonnecchianti in fondo agli animi di tutti e anche di molti professionali dell ' irreligione . La monogenesi fa pensare , confusamente , a padre Adamo ; e , si ha voglia a essere miscredenti , certe cose fanno piacere . Di qui gran parte della curiosità che ha destata , e della popolarità che si è acquistata fin dal primo annunzio , la così detta scoperta del Trombetti . Il quale , purtroppo , non si è saputo guardare esso stesso dall ' esagerare il valore della sua ricerca e dall ' intorbidarne l ' indole . Il Trombetti crede , per esempio , che , dimostrata la monogenesi del linguaggio , sarà possibile studiare ben altrimenti " quali relazioni intercedano fra il segno e la cosa significata " ( p . VI , e cfr . pp . 41-3 ) ; si dice " conscio della straordinaria importanza , che ha l ' affermazione contenuta nel titolo del suo libro " ( p . VI ) ; asserisce che " solo con l ' unità di origine del linguaggio sia possibile la Glottologia generale comparativa , disciplina la quale può gettare viva luce sulle questioni che più agitano lo spirito umano " ( p . 53 ) . A questo modo egli mostra di possedere concetti poco esatti sul rapporto della Glottologia con la Filosofia del linguaggio , e manchevole intelligenza di quel che egli chiama segno e che divide dalla cosa significata . " La Glottologia ( dice altrove , p . VIII ) , avendo per oggetto il linguaggio , è il miglior legame tra le due grandi divisioni in cui sta ancora ripartito il sapere " . Né ha concetti esatti su quel che sia scienza : " Scienza vera , per quel che riguarda il rigore delle dimostrazioni , ammessi certi postulati , è soltanto la Matematica : le altre scienze devono tendere ad una rappresentazione matematica o simbolica delle cose , dalla quale però sono ancora ben lontane " ( p . 10 ) . Che più ? Egli immagina perfino che la monogenesi del linguaggio , con la conseguente monogenesi degli uomini , sia atta a recare consolazione morale . " La scienza e l ' arte , quando non siano accompagnate ad un ideale di bontà , sono , per lo meno , cose imperfette . Perciò richiamo l ' attenzione su certe deduzioni morali , che vengono spontanee dall ' esame dei fatti ; ma , soprattutto , sulla conclusione generale , che può ricavarsi in favore dell ' unità della specie umana , e , per conseguenza , anche in favore della fratellanza reale degli uomini . Tutti i buoni debbono augurarsi che non abbiano a trionfare le teorie , messe fuori in forma dogmatica , sulla pluralità delle specie umane , e che , piuttosto , anche per opera della scienza , venga confermato il concetto sublime della fratellanza degli uomini , frutto della intuizione e del sentimento , religioso o altro " ( p . VIII ) . L ' introduzione del libro si chiude con le parole : " Tutti gli uomini appartengono a una sola specie e sono realmente fratelli " ( p . 58 ) . Come se gli uomini non siano fratelli pel fatto stesso che sono uomini , cioè esseri pensanti ; o come se l ' asserita preistoria unitaria dei linguaggi storici abbia virtù d ' ingenerare un sentimento nuovo e più efficace di fratellanza , impedendo qualche guerra o addolcendo qualche spietata concorrenza commerciale . Della identità e dei nessi stabiliti dal Trombetti tra le lingue dell ' Eurasia , dell ' Africa e dell ' Oceania , e da lui presupposti anche per le lingue d ' America , discuteranno i competenti . Odo insistentemente susurrare da filologi e glottologi che nel giudizio circa questa parte del suo lavoro si è molto esagerato , e che le affermazioni del Trombetti vanno soggette a continue riserve . Ma l ' esagerazione , che si potrà dimostrare per questo rispetto , sarà sempre minore di quella che si è fatta col falsare , come abbiamo veduto , il significato stesso della ricerca . Con che non si vuole essere severi verso il Trombetti , il quale in gran parte , piuttosto che autore , è stato vittima delle esagerazioni ; né si vuole negargli il merito che gli spetta per avere consacrato tutto l ' ardore della sua laboriosa giovinezza a una ricerca , la quale , se ha natura diversa e importanza assai minore di quel che egli ha creduto , è pur sempre ricerca da non trascurare . ALFREDO TROMBETTI ( prof . ordin . nell ' Università di Bologna ) , L ' unità d ' origine del linguaggio ( Bologna , Beltrami , 1905 ) . Mi viene a mano un articolo del prof . A . MOCHI , intorno al libro del T . ( " Giornale d ' Italia " , del 20 agosto 1905 ) , che mostra aperta la confusione da me lamentata dell ' ipotesi del T . coi concetti di umanità , origine dell ' umanità , fratellanza umana , ecc . : " Agli argomenti favorevoli alla dottrina dell ' originaria fratellanza di tutti gli uomini ( dice il M . ) se ne aggiunge oggi uno capitale : la primitiva unità del linguaggio . La vecchia ed ardente questione , che tenne diviso per secoli il campo scientifico , si chiude finalmente per merito d ' un glottologo . È perciò che l ' opera di lui assume una grande importanza anche all ' infuori delle discipline linguistiche e richiama l ' attenzione di ogni cultore della storia umana ; anzi , per dir meglio , di tutti gli uomini che si sono posti un giorno la tormentosa domanda : donde veniamo ? " . E si veda anche , nello stesso " Giornale " , num . del 22 agosto , la lettera di " un Cattolico " .
L''IDIOMA GENTILE' ( CROCE BENEDETTO , 1907 )
StampaPeriodica ,
Il libro di Edmondo de Amicis è l ' ultima manifestazione letteraria di un problema che ha molto occupato le menti degli italiani attraverso i secoli : il problema della lingua . Se i soli eruditi ricordano i periodi più remoti di quella grande controversia ( dal De vulgari eloquentia alle polemiche cinquecentesche , e giù giù ai libri del Cesarotti e del Napione dell ' ultimo Settecento , e a quelli del Monti e del Perticari e di tanti altri dei primi dell ' Ottocento ) , tutti hanno fresca la memoria della più recente guerra provocata dalla lettera del Manzoni al Di Broglio , e variamente combattuta tra manzoniani , antimanzoniani e moderati . Quelle dispute , considerate sotto l ' aspetto rigorosamente teorico e scientifico , non mancano di pregio e d ' importanza . Entrano in gruppo con altre dispute letterarie ( sul poema epico , sulla tragedia , sulla tragicommedia , sul melodramma , sulla commedia in prosa , sulle varie forme dello stile , sull ' imitazione , e via dicendo ) , che nei tempi moderni l ' Italia , prima di ogni altra nazione , formolò e agitò , e che dall ' Italia passarono agli altri paesi neolatini e germanici . Senza codeste dispute sulle regole e sui generi della poesia e della letteratura , non si sarebbe svolta la teoria filosofica della poesia e dell ' arte che si disse poi Estetica ; e senza le dispute intorno alla lingua non sarebbe sorta quella che si disse più particolarmente Filosofia del linguaggio . Nello sforzo per dominare col pensiero la massa dei fatti e penetrarne la natura , la mente umana non può non urtare e.impigliarsi dapprima nelle comuni e volgari classificazioni , e provarsi a sistemarle e a renderle razionali , proponendosi problemi insolubili ; fintanto che non si accorge come , per intendere davvero la verità dei fatti che indaga , convenga abbandonare del tutto quelle categorie empiriche , e collocarsi in un punto di vista affatto diverso . Sarebbe perciò da intelletti superficiali considerare con dispregio quegli sforzi del passato , i quali , per falliti che siano , rappresentano uno stadio di progresso , un errore in cui giovò essersi dibattuti per qualche tempo , perché ebbe efficacia esemplare , e a suo modo contribuì all ' avvenimento della verità . Dalla contradizione nasce la soluzione ; dalla indifferente quiete non nasce nulla . E opportunamente gl ' indagatori della storia delle idee vanno rivolgendo la loro attenzione alle dottrine letterarie e grammaticali italiane dei secoli passati , le quali a noi sembrano , come sono in effetto , pedantesche , ma che , pur con la loro pedanteria , si dimostrano feconde . Quei pedanti furono , se non i nostri padri , certamente i nostri antenati spirituali . Riconosciuto tutto ciò , non è men vero che così le dispute sulla lingua come quelle sulle regole letterarie , hanno perduto da lungo tempo ogni valore positivo . Il sistema delle regole letterarie venne rotto e spazzato via dal moto intellettuale del romanticismo , che abbozzò la nuova idea della poesia e dell ' arte ; e il suo proprio romanticismo ebbe anche la teoria del linguaggio col Vico , con lo Hamann , con lo Herder , con lo Humboldt , pensatori dopo i quali non sarebbe stato più lecito ragionare intorno a quella materia coi vecchi criterî . Sotto questo aspetto , la posizione manzoniana del problema linguistico non può non apparire anacronistica e retriva , perché il Manzoni non si liberò mai , nelle sue teorie sul linguaggio , da certe idee da intellettualista ed enciclopedista del secolo decimottavo : come si può desumere in ispecie dai frammenti , pubblicati alcuni anni orsono , del suo libro sulla lingua , che meriterebbero di essere studiati con cura . Qual ' era la fallacia del vecchio concetto del linguaggio , quale il contrasto tra esso e il concetto nuovo , formolato o almeno adombrato nei filosofi dei quali abbiamo fatto cenno ? - Si potrebbe delineare questo contrasto brevemente così : il vecchio concetto considerava il linguaggio come segno ; il nuovo lo considera come rappresentazione . Secondo la prima concezione , la lingua è quasi una raccolta di utensili che ciascuno adopera a volta a volta per comunicare agli altri il proprio pensiero ; secondo la concezione nuova , la lingua non è già mezzo per comunicare le idee o le rappresentazioni , ma è l ' idea o la rappresentazione stessa , qualcosa che non si può concepire mai distinto o staccato dal moto del pensiero . Secondo la prima , bisogna mettersi alla ricerca della lingua ottima , concordare segni ben definiti , di significato preciso e non equivoco , costanti per tutti gl ' individui della comunione linguistica ; secondo l ' altra , siffatta ricerca è vana , perché ciascun individuo si crea , volta per volta , la sua propria lingua , e quella che io parlo e scrivo oggi non è quella di ieri , e quella che conviene a me , non conviene ad altri . Secondo la prima , è possibile giudicare un parlante o uno scrivente in modo oggettivo , confrontando il suo parlare e scrivere col modello linguistico , e determinando con questo confronto se egli adoperi lingua buona o cattiva ; secondo l ' altra , questo giudizio è impossibile , perché il preteso modello linguistico è un ' astrazione , e ogni prodotto linguistico ha la propria legge e il proprio modello in sé stesso . Tra le due concezioni chiunque abbia qualche coscienza del modo moderno d ' intendere l ' arte , non esiterà nel prendere partito . Ed è appena necessario soggiungere che , accettando che alcuni , troppo facili a confondersi e a spaurirsi , temono : quasi che si venga ad abolire in forza di essa ogni distinzione tra scriver bene e scriver male , parlar bene e parlar male . Il parlare bene o male si giudica non con la misura estrinseca della lingua oggettiva , ma con quella intrinseca e affatto intuitiva del gusto . Così si è fatto e si farà sempre : da che il mondo è mondo , vi sono stati scrittori buoni , scrittori cattivi e scrittori mediocri , e sempre vi saranno : la concezione individualistica o estetica del linguaggio non cancella la loro differenza , che è affatto intuitiva . Scriver bene è nient ' altro che una forma d ' intensità spirituale ; scriver male è debolezza spirituale . Le questioni intorno alla lingua si convertono nelle altre intorno alla vivezza e coerenza estetica della rappresentazione , guardata nella sua individualità . Perciò la teoria moderna accetta autori e modi di scrivere che i vecchi grammatici e critici consideravano ibridi , rozzi , scorretti , o che accettavano collocandoli nella comoda quanto irrazionale categoria delle eccezioni . Sotto il dominio del vecchio concetto del linguaggio è ancora il De Amicis . Tutto il suo libro è informato al pensiero che la lingua si studî o , com ' egli dice , che non basti " amare " la lingua del proprio paese , ma convenga " studiarla " . E già lo stesso amore per la lingua nazionale è in lui non bene ragionato e alquanto rettoricamente declamato , affermando egli che si ami dagli italiani la lingua italiana e per le memorie gloriose che reca con sé e perché essa è bellissima , ricchissima , potentissima , e altre cose siffatte . E non è vero : io sfido a trovare un uomo che ami la lingua , cioè che faccia all ' amore con un ' astrazione . Ciò che si ama è la parola nella sua concretezza , la poesia , la pagina eloquente . Dante , Ariosto , Machiavelli ; e perciò quest ' amore supera i limiti della regione e della nazione , e , secondo la varia cultura di cui si dispone , abbraccia Orazio o Sofocle , Goethe o Shelley , la lingua latina , la greca , la tedesca o l ' inglese . Ma non insisterò su questo punto , perché mi preme insistere sull ' altro : sulla raccomandazione di studiare la lingua . Che cosa significa studiare la lingua ? L ' uomo intelligente studia quanto aiuta il suo svolgimento mentale e morale , ma non ciò che gli è inutile a questo fine . Il De Amicis consiglia d ' imparare i nomi di tutte le cose che accade ogni giorno di vedere o adoperare , e di mandarli a mente ; di meditare i prontuarî , dove sono registrati i vocaboli degli oggetti di uso domestico ; di fare la nomenclatura della roba che si porta addosso , per passare via via a quella degli oggetti che si maneggiano , ai mobili della propria camera , alla mensa , allo scrittorio , agli arredi e utensili di tutta la casa , alle varie parti della casa stessa ; di leggere e spogliare il vocabolario . E rafforza i suoi consigli col mostrare quanto sia vasta l ' ignoranza che ordinariamente si trova anche nelle persone colte intorno alla terminologia esatta delle più modeste occupazioni della vita : per es . , del riempire e vuotare un fiasco di vino . Ma ha egli pensato che cosa importi questo consiglio ? Ecco un giovane nel tempo in cui il suo cuore si gonfia di passioni gagliarde e la sua mente si viene travagliando sui problemi più alti della vita e della realtà ; un giovane , che sarà poeta , filosofo , uomo d ' azione . E a questo giovane , che ha tanta materia di lavoro nel suo spirito ( e che per ciò stesso , si noti bene , ha tutto il linguaggio che gli occorre , tutto il linguaggio che è correlativo a quel lavoro , non essendo concepibile pensiero senza linguaggio ) , a questo poeta , filosofo o uomo pratico in germe e in formazione , si vuole imporre , o almeno consigliare , di baloccarsi a imparare le cento denominazioni delle cento parti di un vestito , e le dugento della stanza da studio , o le trenta e quaranta delle svariate e minute operazioni che si compiono per riempire e vuotare un fiasco di vino ? Che cosa interessa a quell ' uomo , che forse infilerà distrattamente il suo soprabito , e tracannerà il suo vino , e maneggerà quasi macchinalmente gli oggetti del suo scrittorio , soffermarsi col pensiero nella contemplazione e nell ' analisi di quelle piccinerie ? Se alcuno gliene dice i vocaboli , li ascolterà con fastidio , e li dimenticherà poco dopo . E se non prova fastidio , se si lascia sedurre dal giochetto , cattivo segno : segno di spirito non serio , non concentrato , non fervido , ma frivolo o passivo . Leggere il vocabolario , è " passatempo piacevole " ( ripete ancora una volta il De Amicis ) . Sarà ; ma è anche perditempo . C ' è di meglio da fare che leggere vocabolarî e imparare a mente nomenclature . C ' è da studiare e leggere il mondo ; verba sequentur , e non potranno non seguire . Il sarto o chi parli del mestiere del sarto , la massaia o chi descriva un cervello di massaia , un servitore che spazzi la casa o chi descriva un servitore in quell ' operazione , si rappresenteranno insieme le parole rispondenti alle cose che concernono quei vari personaggi : le parole dei vestiti , dei fiaschi di vino , delle parti e dei mobili della stanza . Ma è un ' idea curiosa voler mutare codesti apprendimenti incidentali e relativi alle condizioni e riflessioni di questo o quell ' individuo in un obbligo di cultura : quasi al modo stesso che si consiglia lo studio della poesia e della storia , delle matematiche e della filosofia , per ottenere uno svolgimento mentale completo . Il De Amicis espone , non senza esagerazioni , i molti impacci in cui si càpita quando non si conoscono le parole italiane o toscane degli oggetti di uso domestico : viaggiando , cangiando paese , c ' è rischio di non essere intesi e di non intendere . Ma queste difficoltà sono pur delle tante nelle quali c ' imbattiamo nella vita ; e l ' ovviarvi non è ufficio di educatore . Altrimenti converrebbe spendere qualche semestre di lezioni per insegnare alla gioventù il gergo dei cuochi e le corrispondenti voci ( posto che vi siano ) italiane o toscane , affinché non accada ciò che accade spesso a me ( e certamente a molti altri uomini letterati ) , che quando siedo a una tavola di trattoria e do i miei ordini al cameriere sulla carta , non so precisamente che cosa sarà per essere la pietanza di cui ho indicato il titolo , avendo un ' idea molto approssimativa di quel che quel titolo significa . Ma è preferibile , di certo , provar di tanto in tanto qualche delusione gastronomica all ' improba fatica di studiare le creazioni linguistiche dei cuochi . Un uomo di buon senso , come il De Amicis , non avrebbe sprecato il fiato in queste raccomandazioni , ora superflue ora puerili , circa lo studio della lingua , se non fosse stato , come dicevo , dominato inconsapevolmente dalla vecchia e falsa idea che il parlare e scrivere bene abbia per condizione il possesso completo del cosiddetto arsenale dei cosiddetti utensili linguistici : cioè , se non avesse creduto che la lingua sia un utensile . " Ogni vocabolo che s ' impara ( egli dichiara espressamente ) è come uno di quegli utensili da nulla , dei quali non s ' ha bisogno quasi mai , ma che , una o due volte in molt ' anni , son necessarî , e , se non si ritrovano , non si sa che pesci pigliare " . " Quel che più preme , per riuscire nell ' uno o nell ' altro modo , nell ' una o nell ' altra delle due forme di stile a scrivere bene , è che tu possegga da padrone la lingua " . Le tracce di questo falso concetto si osservano quasi in ogni parte del suo libro . Così egli biasima il pudore fuori di luogo , che ci trattiene dall ' adoperare vocaboli bellissimi , efficacissimi e toscanissimi , come " striminzire " , " spiaccicare " , " baluginare " , " stintignare " : la paura del ridicolo che ci fa codardi nell ' uso della " buona lingua " . Ma non si accorge che ciò che egli chiama falso pudore e codardia può pur essere , a volte , un sano senso estetico , che ci vieta di usare vocaboli i quali non sarebbero coerenti con la nostra personalità , con la nostra psicologia , con la fisionomia generale del nostro parlare . Se un determinato vocabolo suona spiccatamente toscano o fiorentino , io , napoletano , non posso , senza sconcezza , incastrarlo in una mia prosa spontaneamente concepita , dalla quale la mia napoletanità è tanto ineliminabile quanto la patavinità dalla prosa di Livio o l ' ibericità da quella di Seneca . Se mi ostino a incastrarvelo , la più manzoniana delle teorie sulla lingua non mi salverà dal senso che provo in me ( e che gli altri proveranno di me ) di essere caduto in un peccato d ' affettazione . Per questa ragione , nelle scuole , poniamo , del Napoletano sorge spontaneo e irrefrenabile tra gli alunni un coro di canzonature , quando un loro compagno si mette a toscaneggiare : il vocabolo " toscaneggiare " è per sé stesso canzonatorio . Santa canzonatura , che a me non è stata risparmiata e che io ricordo di avere a mia volta spietatamente e beneficamente esercitata sopra i miei compagni . Come questo sentimento di ripugnanza è inesattamente interpretato e biasimato dal De Amicis , così egli non si rende esatto conto del valore estetico che hanno talvolta quelle che a lui sembrano inesattezze e povertà di lingua e che sono invece indeterminazioni di pensiero , che debbono restare così : di pensieri , cioè , la cui determinazione estetica è per l ' appunto quella indeterminazione . Allo stesso modo un pittore accademico trova mal disegnate o non disegnate le figure di un quadro , la cui bellezza sta proprio in quel certo che di vago e vaporoso , che a lui sembra difetto : in quell ' abbozzato , che è un finito , e che diventerebbe una sconciatura , se fosse disegnato minutamente in conformità dei canoni accademici . La lingua approssimativa può essere , senza dubbio , grave errore d ' arte , ma può essere , anche , forza d ' arte : secondo i casi . Per mio conto , credo che a volte parli benissimo anche chi presenti con frequenza i varî aspetti delle sue percezioni confusi nel vago vocabolo di " cose " : il " signor Coso " , del bozzetto satirico del De Amicis . A molti , in certe situazioni , accade appunto di vedere indistintamente o di non vedere certi oggetti , ai quali lo spirito non s ' interessa , tutto ripiegato com ' è su sé stesso ; e l ' espressione di questo disinteresse tradirebbe sé stessa , se si effondesse altrimenti che con abbondanza dell ' indeterminato " cosa " . Perfino il " signor La Nuance " , dell ' altro bozzetto satirico del De Amicis , non ha tutti i torti nel sostenere che ogni frase francese ha una nuance , che non si trova nella corrispondente italiana . Anzi , questa è appunto la rigorosa verità . E se colui aveva appreso a far l ' amore in francese , quale meraviglia che trovasse poi nell ' " au revoir " una dolcezza , che non trovava nell ' " a rivederci " italiano ? Ed è serio obbiettargli che l ' " au revoir " è tanto poco dolce , che è pieno di r ? O vogliamo credere ancora all ' onomatopea e all ' armonia imitativa , quali le concepivano i retori ? Certamente , il De Amicis conosce criterî più retti di quelli che si desumono dai luoghi citati e da altri , che potrei citare . Egli è scrittore innamorato della sincerità e semplicità : è manzoniano , non solamente nelle idee intorno alla lingua , ma anche in talune di quelle verità , che gl ' italiani moderni debbono ad Alessandro Manzoni ; e nel suo libro si troveranno sagge avvertenze sull ' affettazione , sui pericoli dello studiare la lingua , sul modo di comporre e di correggere le proprie scritture . Vi si troveranno , perfino , teorie che sono l ' effettiva negazione di quelle da noi contrastate , come : " Ecco il più utile dei precetti : pensare , prima di mettersi a scrivere " . Questi criterî , operando da freno , hanno evitato che il libro somministrasse da cima a fondo una dottrina falsa . Chi legge i capitoli e i bozzetti , di cui esso si compone , incontra molte cose alle quali è portato a dare pieno assenso ; e altre , che non gli paiono accettabili , vede nel corso stesso del libro opportunamente temperate . Senonché questi medesimi criterî retti , entrando in dissidio col criterio generale che è errato , hanno impedito che l ' Idioma gentile riuscisse quel che si dice un bel libro . Gli scritti del Manzoni intorno alla lingua sono maraviglie di ragionamento e di prosa : si può rifiutare la dottrina , si ammira lo scrittore , che sapeva bene quel che voleva . Ma nel libro del De Amicis si sente il vuoto . " Non scrivo un trattato ( dichiara l ' autore ) : non scenderò a disquisizioni grammaticali minute , né salirò a questioni alte di filologia ... Tratterò la materia semplicemente e praticamente ... " E sia pure . Ma , se non quella di un trattato , il libro dovrebbe avere un ' altra qualsiasi connessione di idee ; e non l ' ha . L ' autore non ha saputo essere profondo , ma non ha voluto essere pedante . E non vi sono se non gli scrittori profondi , o i pedanti logici e in buona fede , che riescano attraenti . Il " limbo dei bambini " credo che non sia divertente neppure pei bambini . Io auguro che quest ' ultima manifestazione della questione della lingua , che ci è data dal libro del De Amicis , sia anche definitivamente l ' ultima , e che il vecchio e vuoto dibattito muoia con l ' Idioma gentile . Morrebbe così tra le mani di uno dei nostri più amati e amabili scrittori . Il De Amicis nella prefazione alla nuova edizione dell ' Idioma gentile polemizza , senza far nomi , coi suoi critici ; e principalmente contro l ' autore del presente scritto ( pubblicato la prima volta nel " Giornale d ' Italia " del 7 luglio 1905 ) . Prendo occasione da questa polemica per aggiungere un ' avvertenza , che dimenticai nell ' esame del libro . L ' Idioma gentile , oltre a fondarsi sopra un concetto errato del linguaggio , è uno schietto prodotto della fissazione linguaiola , triste eredità della decadenza italiana , e della decadenza di quella regione che fu il cuore dell ' Italia poetica e artistica , la Toscana . La fissazione linguaiola pone un interesse esageratissimo , tutto il più fervido interesse della propria anima , nel dissertare e sottilizzare sulle denominazioni delle più piccole cose e più materiali ; e fa che uno si reputi letterariamente disonorato se , per es . , non riesca a sapere esattamente come si dica in Toscana , o nei circoli autorizzati dei ben parlanti , la " granata " , e come questa si denomini variamente secondo che sia fatta di " scopa " o di " saggina " o di " crine di cavallo " , e a dare in ismanie se oda un napoletano chiamare tutte queste sorte di granate , indistintamente , " scope " . Par che caschi il mondo ! In compenso , poi , l ' indifferenza è somma per quel che riguarda le distinzioni dei fatti psicologici e morali , dei concetti filosofici e simili . Si tratta , dunque , non tanto di raffinamento estetico , quanto , oso dire , di restringimento mentale . Sulla natura e la genesi di questa fissazione ci sarebbe ancora non poco da notare ; ma i lettori non avranno forse bisogno delle mie osservazioni e dei miei ragionamenti per avvertire quel che v ' ha di comico nelle fatiche e ambasce dei linguai . All ' effetto del chiarimento ha provveduto lo stesso De Amicis col promuovere l ' interminabile dibattito , che si è svolto tra l ' ottobre e il novembre del 1906 nelle colonne del " Giornale d ' Italia " , sull ' alta , grave e profonda questione della migliore parola che serva a esprimere il " rumore del pan fresco " . A una conclusione , veramente , questa volta non si è giunti ; e come si potrebbe concludere in questioni così alte , così gravi e così profonde ? Ma non voglio scherzare : la verità è che io , nel leggere quelle proposte e risposte e controrisposte , mi vergognavo non poco . Tanta mollezza e oziosità mentale c ' è dunque ancora in Italia ? .
PER UNA POLEMICA SULLA LINGUA ( CROCE BENEDETTO , 1906 )
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Nel libro del De Amicis sono affermazioni e sottintesi che , a mio parere , si fondano sopra un vecchio e falso concetto del linguaggio . E poiché quel libro , pel nome del suo autore , era destinato a molta divulgazione , volli mettere in guardia i lettori , contrapponendo il modo in cui si produce l ' arte dagli artisti e si giudica dagli uomini di gusto alle viete concezioni dei linguai , che in quel libro ricomparivano non certo con coerenza sistematica e intolleranza pedantesca , ma in forma temperata e perciò più insinuante . Sono lieto che il Gargàno ( al quale nessuno vorrà negare gusto di poesia e finezza di giudizio ) si sia manifestato d ' accordo con me e abbia inteso perfettamente che la mia protesta era mossa in nome dell ' arte contro coloro che esibiscono parole e frasi come merciaiuoli ambulanti i nastri e le matassine . Nondimeno ad alcuno è sembrato che gli scolaretti negligenti d ' Italia dovessero promuovere una dimostrazione di gratitudine verso di me ; ad altri , che volessi rendere superflue le cattedre d ' italiano , col relativo personale insegnante ; altri ancora ha gridato all ' anarchia ; finanche il mio venerato amico prof . D ' Ancona mi ha fatto un mezzo rabuffo : " La lingua non è una metafisicheria campata in aria , ad apprender la quale e ad usarla bastino dei concetti astratti ... Chi non la vuole studiare , non la studî ; ma non ambisca al vanto di scrittore , ecc . ecc . " . - " Pace , o esacerbati spiriti fraterni ! " . Se volete proporre , come si dice , uno " stringimento di freni " e rendere la scuola più rigorosa e laboriosa , accoglietemi , vi prego , tra i vostri gregarî . Io non ho pensato niente di ciò che mi attribuite . La scuola , si sa , non può procedere se non con le leggi stesse dello svolgimento dello spirito umano ; e la teoria da me sostenuta sarebbe falsa , se non avesse rispondenza in quel che ogni bravo insegnante fa da sé , senz ' aspettare la mia parola , per naturale dirittura di mente . Ogni bravo insegnante non insegna la lingua , ma fa leggere e gustare gli scrittori ; comunica , dunque , non la lingua astratta , ma la lingua incarnata . Non corregge sopra un modello arbitrario e meccanicamente gli scritti dei suoi alunni , ma , mettendosi nello spirito di ciascuno , mostra a ciascuno quel che veramente intendeva dire e non ha detto . Non uccide l ' individualità degli scolari , ma fa sì che ciascuno ritrovi veramente sé stesso . - Mi è stato domandato : deve o no un insegnante correggere una parola dialettale che sia nello scritto di un suo alunno , e sostituirvi la parola esatta italiana ? e , se sì , ciò non contrasta con la vostra teoria ? - Che cosa debba correggere , l ' insegnante intelligente deve saperlo lui , caso per caso : " vocabolo dialettale " è determinazione troppo vaga perché vi si possa fondare sopra una legge : sì , no , secondo i casi . Ecco perché quell ' eventuale " correzione " addotta in esempio non sta contro la tesi che io sostengo . Quanto agli insegnanti pedanti per fanatismo o per comodo ( essere pedanti è talvolta comodo , perché risparmia fatiche d ' indagini ) , quelli , senza dubbio , le stanno contro , come la mia tesi sta contro di loro . Ma non sarà poi da dolersi , se taluno di quegli insegnanti verrà scosso nel suo fanatismo e nella sua pigrizia e costretto a un esame di coscienza e , per avventura , a cangiare strada . Pure ( s ' incalza , ed è questa l ' obiezione che sembra assai grave ) , nelle scuole non si può far di meno di vocabolari , di frasarî , di nomenclature ; bisogna che l ' alunno si fornisca di una certa provvista di ricordi linguistici , che comporrà il fondo della sua cultura letteraria . - E qui io non so che cosa mi dire , perché ogni qual volta ( e sono già parecchie ) ho criticato l ' assurdità teorica della Rettorica , della Grammatica , delle Istituzioni letterarie e di altrettali formazioni didascaliche , non ho lasciato mai di avvertire che , nel rispetto pratico , quelle costruzioni hanno la loro buona ragione e la loro utilità ; che non se ne può far di meno come validi sussidî . alla memoria ; e che giovano , non solamente nella scuola , ma anche fuori di essa , nella vita . In quali proporzioni e modi bisogni usarne nella scuola è un altro problema , che solamente l ' insegnante intelligente può risolvere e , sempre , caso per caso . Ma ciò che è sussidio alla memoria dà la parte , per così dire , materiale ed estrinseca dell ' insegnamento ; e invece il nostro discorso si aggirava intorno all ' insegnamento vero e proprio . Se si esce dalla questione , si potrà sostenere perfino ( e non si sosterrà poi il falso ) che per l ' insegnamento dell ' italiano sia necessario che gli alunni non giungano a scuola con lo stomaco vuoto . Il male è che , laddove nessuno ( salvo forse qualche lombrosiano ) pretende giudicare una pagina secondo che lo scrittore l ' abbia scritta o no a stomaco digiuno , moltissimi invece , per confusione mentale , si fanno a cangiare i sussidî meccanici dell ' apprendimento in criterî di produzione e in giudizî sull ' arte . E questo è il nodo , molto semplice ma molto stretto , della questione . Nel " Marzocco " del 23 e del 30 luglio 1905 . " Rass . bibliogr . d . lett . ital . " , XIII , p . 268 .
LE CATTEDRE DI STILISTICA ( CROCE BENEDETTO , 1903 )
StampaPeriodica ,
In un opuscolo testé pubblicato il Trabalza espone quale a suo modo di vedere dovrebbe essere l ' ufficio dell ' insegnamento di Stilistica , che negli ultimi anni si è venuto istituendo presso le Facoltà di lettere di parecchie Università italiane . Quando udii per la prima volta quel nome imposto alle nuove cattedre , il mio pensiero corse ai lavori di simile titolo che escono dalle scuole di Germania e che hanno intento meramente filologico ; e mi parve strano che si volesse così presto dar forma di speciale insegnamento a ricerche ancora alquanto vaghe e di valore dubbio . Ma poi , raccolte informazioni , seppi che si trattava nient ' altro che d ' insegnamento destinato ad ammaestrare nell ' arte dello scrivere . E ciò riceve conferma dallo scritto del Trabalza . Il quale crede che il programma di quell ' insegnamento dovrebbe , oltre gli esercizî di composizione , contenere altre due parti : l ' una , teorica , di principî generali della forma letteraria , con la critica delle teorie rettoriche che ancora infestano i manuali e i cervelli ; e l ' altra , di lettura e comento delle opere letterarie . " Così ( egli dice ) , mentre l ' insegnamento della Stilistica continuerebbe con nuove applicazioni e più minute e profonde analisi l ' istituzione letteraria della scuola media , verrebbe a connettersi , per un lato , a quello dell ' Estetica , per un altro a quello della Storia letteraria , appendice o complemento di essi " . E , come esempio , offre il sommario di un corso da lui disegnato . Si Pergama dextra defendi possent ... , - ho pensato nel leggere le motivazioni e il programma ; e a lettura finita non sono rimasto persuaso circa la legittimità delle cattedre nuovamente istituite . Qualche insegnante universitario che ho interrogato sulle ragioni che avevano indotto a proporre quella istituzione , mi ha detto che essa rispondeva a un bisogno ormai generalmente avvertito , di rimediare cioè all ' impreparazione letteraria che si nota nella maggior parte dei giovani che il Liceo manda all ' Università . Perfino i laureandi presentano tesi con errori di grammatica , e talora di ortografia . - Se è così , il rimedio mi sembra peggiore del male . Il Liceo non prepara i giovani come dovrebbe ? E si corregga e migliori il Liceo ; ma non si ricorra al poco legittimo espediente di rimediare alle deficienze del Liceo nell ' Università , con l ' effetto di snaturare questa e col rischio di mettersi sopra una cattiva china . Dopo la scuola di grammatichetta e composizione , converrebbe istituire nell ' Università una scuola di cultura generale , ossia più o meno un Liceo completo ; e poi ( perché no ? ) un piccolo Ginnasio , o anche una quinta classe elementare , o addirittura una scoletta serale complementare . Ragioni in apparenza almeno più sode si recano da altri . Si è abusato dell ' indirizzo storico e filologico : è tempo ( si dice ) di promuovere più che non si sia fatto finora la cultura estetica . Non basta che i giovani conoscano la biografia dello scrittore o le fonti di un ' opera letteraria : occorre che sappiano gustare questa sotto il rispetto artistico . Non basta che lavorino su tali e tali opere letterarie particolari ; occorre che essi sappiano che cosa è letteratura , che cosa è stile e che cosa è forma in generale . Non basta che i giovani scrivano senza spropositi : è necessario che scrivano bene , con eleganza e sapore letterario . E a queste esigenze viene incontro , in qualche modo , l ' insegnamento della Stilistica . Senonché tutto ciò di cui ora si fa richiesta dovrebbe essere già nell ' Università . Intendere esteticamente gli scrittori ? Ma ogni professore di letteratura consapevole del suo ufficio deve farli intendere a quel modo , e non restringersi alla mera erudizione : altrimenti , viene meno al proprio dovere . Dar concetti esatti circa la letteratura e l ' arte ? Ma questo è oggetto dell ' Estetica , parte della filosofia che non dovrebbe essere trascurata dal professore di filosofia teoretica ; il quale , poi , non può trattare di psicologia e di logica , né della natura del linguaggio , senza trattare insieme della natura dell ' arte . Esprimere con semplicità ed eleganza , ossia con proprietà , il pensiero ? Ma ogni professore , nell ' insegnare la sua scienza , deve insieme insegnare a esprimersi intorno a essa con quella proprietà , con quell ' eleganza , che non è lenocinio , ma parte e compimento del vero . " Deve , dovrebbe ... Questo è il punto ( ribattono i sostenitori delle nuove cattedre ) . Il vostro è un ragionare in astratto . Voi avete in mente un ideale di Università dal quale la realtà è ben lontana . Nella realtà , i professori di letteratura sono di solito meri ricercatori ed eruditi ; i professori di filosofia non toccano mai del problema estetico , linguistico , letterario , come se non esistesse ; i professori in genere parlano e scrivono come Dio vuole , e comunicano la loro scienza in forma affatto rozza e approssimativa . Poiché questo stato di cose non si può cangiare d ' un tratto , e non c ' è neppure speranza che muti presto , bisogna aiutarsi con gli espedienti . Ed ecco la necessità di una cattedra , che serva da supplemento a tutte le altre da voi ricordate : la cattedra di Stilistica " . Come si vede , è il medesimo argomento ricavato dall ' asserita impreparazione degli scolari del Liceo ; solamente qui esso è invertito , e l ' impreparazione è affermata come condizione di fatto non più degli studenti ma dei professori stessi di Università . Credo che la descrizione degli studî letterari nelle Università sia alquanto esagerata nel colore . Ma , ammettendola come vera , anche qui bisogna guardare che il rimedio non riesca peggiore del male . Infatti , la considerazione estetica delle opere letterarie non può essere separata dalla considerazione storica , che ne forma la base . Le teorie sulla letteratura diventano false o inintelligibili , quando vengono distaccate dall ' Estetica , nella quale trovano la loro ragione e il pieno loro significato . E quanto allo studio dell ' espressione e all ' esercizio dello scrivere bene , come mai può svolgersi sanamente , disgiunto dallo studio delle materie da esprimere ? Non c ' è pericolo che , a questo modo , si ricaschi nella vecchia malattia italiana della rettorica ? Il Trabalza avverte in un certo punto ( p . 21 n ) : " La ricerca del decoro della forma potrebbe essere egualmente dannosa , perché fare dello stile non è dare a un dato contenuto la forma che gli conviene " . Proprio così ; e io soggiungo che da alcune nostre Università , nelle quali hanno efficacia insegnanti che curano assai la forma , vengono fuori scrittori ora tronfi e leziosi , ora sforzatamente spiritosetti e arguti , ripetitori ed esageratori dei maestri , dai quali hanno preso la maniera . La sciatteria è un male ; ma male non minore è l ' affettazione letteraria . E , considerato il temperamento italiano , il secondo , forse , è da temere più del primo . Queste sono le obiezioni che , sotto l ' aspetto pedagogico , si possono muovere alle cattedre di Stilistica . Desta , a ogni modo , maraviglia che una riforma com ' è quella effettuata con l ' istituzione delle cattedre anzidette e che implica , come ho mostrato , problemi di non poca importanza , sia stata introdotta alla chetichella , senza la larga e viva discussione , che avrebbe dovuto precederla . L ' opuscolo del Trabalza è il primo , a mia notizia , che affronti di proposito l ' argomento e porga insieme raccolti gli elementi necessarî per discuterlo . C . TRABALZA , La stilistica e l ' insegnamento di essa nell ' Università ( Roma , Società Dante Alighieri , 1903 ) .
Saggistica ,
I . L ' INTUIZIONE E L ' ESPRESSIONE . La conoscenza ha due forme : è o conoscenza intuitiva o conoscenza logica ; conoscenza per la fantasia o conoscenza per l ’ intelletto ; conoscenza dell ’ individuale o conoscenza dell ' universale ; delle cose singole ovvero delle loro relazioni ; è , insomma , o produttrice d ’ immagini o produttrice di concetti . Continuamente si fa appello , nella vita ordinaria , alla conoscenza intuitiva . Si dice che di certe verità non si possono dare definizioni ; che non si dimostrano per sillogismi ; che conviene apprenderle intuitivamente . Il politico rimprovera l ' astratto ragionatore , che non ha l ’ intuizione viva delle condizioni di fatto ; il pedagogista batte sulla necessità di svolgere anzitutto nell ' educando la facoltà intuitiva ; il critico si tiene a onore di mettere da parte , innanzi a un ' opera artistica , le teorie e le astrazioni e di giudicarla intuendola direttamente ; l ' uomo pratico , infine , professa di vivere d ’ intuizioni più che di ragionamenti . Ma a questo ampio riconoscimento che la conoscenza intuitiva riceve nella vita ordinaria , non fa riscontro un pari e adeguato riconoscimento nel campo della teoria e della filosofia . Della conoscenza intellettiva c ’ è una scienza antichissima e ammessa indiscussamente da tutti , la Logica ; ma una scienza della conoscenza intuitiva è appena ammessa , e timidamente , da pochi . La conoscenza logica si è fatta la parte del leone ; e , quando addirittura non divora la sua compagna , le concede appena un umile posticino di ancella o di portinaia . Che cosa è mai la conoscenza intuitiva senza il lume della intellettiva ? È un servitore senza padrone ; e , se al padrone occorre il servitore , è ben più necessario il primo al secondo , per campare la vita . L ’ intuizione è cieca ; l ’ intelletto le presta gli occhi . Ora , il primo punto che bisogna fissare bene in mente è che la conoscenza intuitiva non ha bisogno di padroni ; non ha necessità di appoggiarsi ad alcuno ; non deve chiedere in prestito gli occhi altrui perché ne ha in fronte di suoi propri , validissimi . E se è indubitabile che in molte intuizioni si possono trovare mescolati concetti , in altre non è traccia di simile miscuglio ; il che prova che esso non è necessario . L ’ impressione di un chiaro di luna , ritratta da un pittore ; il contorno di un paese , delineato da un cartografo ; un motivo musicale , tenero o energico ; le parole di una lirica sospirosa , o quelle con le quali chiediamo , comandiamo e ci lamentiamo nella vita ordinaria , possono ben essere tutti fatti intuitivi senza ombra di riferimenti intellettuali . Ma , checché si pensi di questi esempi , e posto anche si voglia e debba sostenere che la maggior parte delle intuizioni dell ' uomo civile siano impregnate di concetti , v ’ è ben altro , e di più importante e conclusivo , da osservare . I concetti che si trovano misti e fusi nelle intuizioni , in quanto vi sono davvero misti e fusi , non sono più concetti , avendo perduto ogni indipendenza e autonomia . Furono già concetti , ma sono diventati , ora , semplici elementi d ’ intuizione . Le massime filosofiche , messe in bocca a un personaggio di tragedia o di commedia , hanno colà ufficio , non più di concetti , ma di caratteristiche di quei personaggi ; allo stesso modo che il rosso in una figura dipinta non sta come il concetto del color rosso dei fisici , ma come elemento caratterizzante di quella figura . Il tutto determina la qualità delle parti . Un ' opera d ' arte può essere piena di concetti filosofici , può averne , anzi , in maggior copia , e anche più profondi , di una dissertazione filosofica , la quale potrà essere , a sua volta , ricca e riboccante di descrizioni e intuizioni . Ma nonostante tutti quei concetti , il risultato dell ' opera d ' arte è un ’ intuizione ; e , nonostante tutte quelle intuizioni , il risultato della dissertazione filosofica è un concetto . I Promessi sposi contengono copiose osservazioni e distinzioni di etica ; ma non per questo vengono a perdere , nel loro insieme , il carattere di semplice racconto o d ’ intuizione . Parimente , gli aneddoti e le effusioni satiriche , che possono trovarsi nei libri di un filosofo come lo Schopenhauer , non tolgono a quei libri il carattere di trattazioni intellettive . Nel risultato , nell ' effetto diverso a cui ciascuna mira e che determina e asservisce tutte le singole parti , non già in queste singole parti staccate e considerate astrattamente per sé , sta la differenza tra un ' opera di scienza e un ' opera d ' arte , cioè tra un atto intellettivo e un atto intuitivo . Senonché , per avere un ’ idea vera ed esatta dell ’ intuizione non basta riconoscerla come indipendente dal concetto . Tra coloro che così la riconoscono , o che almeno non la fanno esplicitamente dipendente dall ’ intellezione , appare un altro errore , il quale offusca e confonde l ’ indole propria di essa . Per intuizione s ’ intende frequentemente la percezione , ossia la conoscenza della realtà accaduta , l ' apprensione di qualcosa come reale . Di certo , la percezione è intuizione : le percezioni della stanza nella quale scrivo , del calamaio e della carta che ho innanzi , della penna di cui mi servo , degli oggetti che tocco e adopero come strumenti della mia persona , la quale , se scrive , dunque esiste ; sono tutte intuizioni . Ma è parimente intuizione l ’ immagine , che ora mi passa pel capo , di un me che scrive in un ' altra stanza , in un ' altra città , con carta , penna e calamaio diversi . Il che vuol dire che la distinzione tra realtà e non realtà è estranea all ’ indole propria dell ’ intuizione , e secondaria . Supponendo uno spirito umano che intuisca per la prima volta , sembra ch ' egli non possa intuire se non realtà effettiva ed abbia perciò soltanto intuizioni del reale . Ma poiché la coscienza della realtà si fonda sulla distinzione tra immagini reali e immagini irreali , e tale distinzione nel primo momento non ha luogo , quelle , in verità , non saranno intuizioni né del reale né dell ’ irreale , non percezioni ma pure intuizioni . Dove tutto è reale , niente è reale . Una certa idea , assai vaga e ben da lontano approssimativa , di questo stato ingenuo può darci il fanciullo , con la sua difficoltà a discernere il reale dal finto , la storia dalla favola , che per lui fanno tutt ' uno . L ’ intuizione è l ' unità indifferenziata della percezione del reale e della semplice immagine del possibile . Nell ’ intuizione noi non ci contrapponiamo come esseri empirici alla realtà esterna , ma oggettiviamo senz ' altro le nostre impressioni , quali che siano . Sembrerebbe perciò che si appressino di più al vero coloro i quali considerano l ’ intuizione come la sensazione formata e ordinata semplicemente secondo le categorie dello spazio e del tempo . Spazio e tempo ( essi dicono ) sono le forme dell ' intuizione ; intuire è porre nello spazio e nella serie temporale . L ' attività intuitiva consisterebbe quindi in questa duplice concorrente funzione della spazialità e della temporalità . Senonché , è da ripetere per queste due categorie ciò che si è detto delle distinzioni intellettuali , che pur si trovano fuse nell ’ intuizione . Noi abbiamo intuizioni senza spazio e senza tempo : una tinta di cielo e una tinta di sentimento , un “ ahi ! ” di dolore e uno slancio di volontà oggettivati nella coscienza , sono intuizioni che possediamo , e dove nulla è formato nello spazio e nel tempo . E in alcune intuizioni si può ritrovare la spazialità e non la temporalità , in altre questa e non quella ; ma , anche dove si ritrovano tutte e due , l ' appercepirle è una riflessione posteriore : esse possono fondersi nell ’ intuizione allo stesso modo che tutti gli altri elementi di questa : vi staranno cioè materialiter e non formaliter , come ingredienti e non come ordinamento . Chi , senza un atto di riflessione che interrompa per un momento la contemplazione , s ' accorge dello spazio innanzi a un ritratto o magari a un paesaggio ? Chi , senza un simile atto riflessivo e interruttivo , s ' accorge della serie temporale innanzi a un racconto o a un pezzo musicale ? Ciò che s ’ intuisce , in un ' opera d ' arte , non è spazio o tempo , ma carattere o fisionomia individuale . Del resto , parecchi tentativi che si notano nella filosofia moderna , accennano a conformarsi alla veduta qui esposta . Spazio e tempo , anziché forme semplicissime e primitive , si vengono dimostrando costruzioni intellettuali molto complicate . E , d ' altro canto , anche in alcuni di coloro che non rifiutano del tutto allo spazio e al tempo la qualità di formanti o di categorie e funzioni , si nota lo sforzo di unificarli e intenderli in modo diverso dal concetto che si ha ordinariamente di esse categorie . Vi è chi riduce l ' intuizione all ' unica categoria della spazialità , sostenendo che anche il tempo non s ’ intuisca se non spazialmente . Altri abbandonano come filosoficamente non necessarie le tre dimensioni dello spazio , e concepiscono la funzione della spazialità come vuota di ogni particolare determinazione spaziale . E che cosa sarebbe mai siffatta funzione spaziale , semplice ordinamento che ordinerebbe perfino il tempo ? Non è essa forse un residuo di critiche e di negazioni , dal quale si ricava soltanto l ' esigenza di porre un ' attività genericamente intuitiva ? E non è , quest ' ultima , veramente determinata , allorché le si attribuisce un ' unica categoria o funzione , non spazialeggiante né temporalizzante ma caratterizzante ? o meglio , allorché viene concepita essa stessa come categoria o funzione , che dà la conoscenza delle cose nella loro fisionomia individuale ? Liberata , in tal modo , la conoscenza intuitiva da qualsiasi soggezione intellettualistica e da ogni aggiunta posteriore ed estranea , noi dobbiamo chiarirla e determinarne i confini da un altro lato e contro una diversa invasione e confusione . Dall ' altro lato , di qua dal limite inferiore , è la sensazione , è la materia informe che lo spirito non può mai afferrare in sé stessa , in quanto mera materia , e che possiede soltanto con la forma e nella forma , ma di cui postula il concetto come , appunto , di un limite . La materia , nella sua astrazione , è meccanismo , è passività , è ciò che lo spirito umano subisce , ma non produce . Senza di essa non è possibile alcuna conoscenza e attività umana ; ma la mera materia ci dà l ' animalità , ciò che nell ' uomo è di brutale e d ’ impulsivo , non il dominio spirituale , quello in cui consiste l ' umanità . Quante volte ci travagliamo nello sforzo d ’ intuire chiaramente ciò che si agita in noi ! Intravediamo qualcosa , ma non l ' abbiamo innanzi allo spirito oggettivato e formato . In quei momenti meglio ci accorgiamo della profonda differenza tra materia e forma ; le quali sono non già due atti nostri , di cui l ' uno stia di fronte all ' altro , ma l ' uno è un di fuori che ci assalta e ci trasporta , l ' altro è un di dentro che tende ad abbracciare quel di fuori e a farlo suo . La materia , investita e trionfata dalla forma , dà luogo alla forma concreta . la materia , è il contenuto quel che differenzia una nostra intuizione da un ' altra : la forma è costante , l ' attività spirituale ; la materia è mutevole , e senza di essa l ' attività spirituale non uscirebbe dalla sua astrattezza per diventare attività concreta e reale , questo o quel contenuto spirituale , questa o quella intuizione determinata . È curioso e caratteristico della condizione dei nostri tempi che proprio questa forma , proprio l ' attività dello spirito , proprio ciò ch ’ è noi stessi , venga facilmente ignorato o negato . E vi ha chi confonde l ' attività spirituale dell ' uomo con la metaforica e mitologica attività della cosiddetta natura , ch ’ è meccanismo , e che non somiglia all ' attività umana , se non quando , come nelle favole esopiche , s ' immagini che “ arbores loquantur non tantum ferae ” : e vi ha chi asserisce di non aver mai osservato in sé tale “ miracolosa ” attività ; quasi che tra il sudare e il pensare , il sentir freddo e l ' energia della volontà non sia alcun divario o si tratti soltanto di differenza quantitativa . Altri , certo meno irrazionalmente , vuole invece che attività e meccanismo , specificamente distinti , si unifichino entrambi in un concetto più alto ; ma , lasciando per ora di esaminare se tale unificazione suprema sia possibile e in qual senso , e ammettendo che la ricerca sia da tentare , è chiaro che unificare due concetti in un terzo significa anzitutto porre una differenza tra i due primi ; e qui la differenza c ’ importa e ad essa diamo rilievo . L ’ intuizione è stata scambiata talvolta con la sensazione bruta . Ma poiché questo scambio urta troppo perfino il comune buon senso , più di frequente si è cercato di attenuarlo o larvarlo mercé una fraseologia che pare voglia nello stesso tempo confondere e distinguere . Così è stato asserito che l ’ intuizione sia sensazione , ma non già semplice sensazione , sì bene associazione di sensazioni ; dove l ' equivoco nasce appunto dalla parola “ associazione ” . La quale , o s ’ intende come memoria , associazione mnemonica , ricordo cosciente ; e in tal caso appare inconcepibile la pretesa di congiungere nella memoria elementi che non sono intuiti , distinti , posseduti in qualche modo dallo spirito e prodotti dalla coscienza : o s ’ intende come associazione di elementi incoscienti ; e , in questo secondo caso , non si esce dalla sensazione e dalla naturalità . Che se poi , come taluni associazionisti fanno , si parla di un ' associazione che non sia né memoria né flusso di sensazioni , ma associazione produttiva ( formativa , costruttiva , distinguente ) , in questo caso si concede la cosa e si nega solo la parola . Infatti , l ' associazione produttiva non è più associazione nel significato dei sensualisti , ma sintesi , cioè attività spirituale . Si chiami pure associazione la sintesi : ma con quel concetto di produttività è posta la distinzione tra passività e attività , tra sensazione e intuizione . Altri psicologi sono disposti a distinguere dalla sensazione qualcosa che non è più tale , ma non è ancora il concetto intellettivo : la rappresentazione o immagine . Quale differenza corre tra la loro rappresentazione o immagine , e la nostra conoscenza intuitiva ? Grandissima e nessuna : anche “ rappresentazione ” è parola molto equivoca . Se essa s ’ intende come qualcosa di ritagliato e risaltante sul fondo psichico delle sensazioni , la rappresentazione è l ’ intuizione . Se , invece , viene concepita come sensazione complessa , si ritorna alla sensazione bruta , che non cangia qualità perché ricca o povera , effettuantesi in un organismo rudimentale o in un organismo sviluppato e pieno di tracce di sensazioni passate . Né all ' equivoco si rimedia col definire la rappresentazione prodotto psichico di secondo grado , rispetto alla sensazione che sarebbe di primo . Che cosa significa , qui , secondo grado ? Differenza qualitativa , formale ? E , in questo caso , rappresentazione è elaborazione della sensazione , e perciò intuizione . Ovvero maggiore complessità e complicazione , differenza quantitativa e materiale ? In quest ' altro caso , invece , l ' intuizione sarebbe di nuovo confusa con la sensazione bruta . Eppure vi è un modo sicuro di distinguere l ’ intuizione vera , la vera rappresentazione , da ciò che le è inferiore : quell ' atto spirituale dal fatto meccanico , passivo , naturale . Ogni vera intuizione o rappresentazione è , insieme , espressione . Ciò che non si oggettiva in una espressione non è intuizione o rappresentazione , ma sensazione e naturalità . Lo spirito non intuisce se non facendo , formando , esprimendo . Chi separa intuizione da espressione , non riesce mai più a congiungerle . L ' attività intuitiva tanto intuisce quanto esprime . Se questa proposizione suona paradossale , una delle cause di ciò è senza dubbio nell ' abito di dare alla parola “ espressione ” un significato troppo ristretto , assegnandola alle sole espressioni che si dicono verbali ; laddove esistono anche espressioni non verbali , come quelle di linee , colori , toni : tutte quante da includere nel concetto di espressione , che abbraccia perciò ogni sorta di manifestazioni dell ' uomo , oratore , musico , pittore o altro che sia . E , pittorica o verbale o musicale o come altro si descriva o denomini , l ' espressione , in una di queste manifestazioni , non può mancare all ’ intuizione , dalla quale è propriamente inscindibile . Come possiamo intuire davvero una figura geometrica , se non ne abbiamo così netta l ’ immagine da essere in grado di tracciarla immediatamente sulla carta o sulla lavagna ? Come possiamo intuire davvero il contorno d ' una regione , per esempio , dell ’ isola di Sicilia , se non siamo in grado di disegnarlo così come esso è in tutti i suoi meandri ? A ognuno è dato sperimentare la luce che gli si fa internamente quando riesce , e solo in quel punto che riesce , a formolare a sé stesso le sue impressioni e i suoi sentimenti . Sentimenti e impressioni passano allora , per virtù della parola , dall ' oscura regione della psiche alla chiarezza dello spirito contemplatore . È impossibile , in questo processo conoscitivo , distinguere l ’ intuizione dall ' espressione . L ' una viene fuori con l ' altra , nell ' attimo stesso dell ' altra , perché non sono due ma uno . Ma la cagione principale che fa sembrare paradossale la tesi da noi affermata , è l ’ illusione o pregiudizio che s ’ intuisca della realtà più di quanto effettivamente se ne intuisce . Si ode spesso taluni asserire di avere in mente molti e importanti pensieri , ma di non riuscire a esprimerli . In verità , se li avessero davvero , li avrebbero coniati in tante belle parole sonanti , e perciò espressi . Se , nell ' atto di esprimerli , quei pensieri sembrano dileguarsi o si riducono scarsi e poveri , gli è che o non esistevano o erano soltanto scarsi e poveri . Parimente si crede che noi tutti , uomini ordinari , intuiamo e immaginiamo paesi , figure , scene , come i pittori , e corpi , come gli scultori ; salvo che pittori e scultori sanno dipingere e scolpire quelle immagini , e noi le portiamo dentro il nostro animo inespresse . Una Madonna di Raffaello , si erede , avrebbe potuto immaginarla chiunque ; ma Raffaello è stato Raffaello per l ' abilità meccanica di averla fissata sulla tela . Niente di più falso . Il mondo che intuiamo ordinariamente è poca cosa , e si traduce in piccole espressioni , le quali si fanno via via maggiori e più ampie solo con la crescente concentrazione spirituale in alcuni particolari momenti . Sono le parole interne che diciamo a noi stessi , i giudizi che esprimiamo tacitamente : “ ecco un uomo , ecco un cavallo , questo pesa , questo è aspro , questo mi piace , ecc . ecc . ” , ed è un barbaglio di luce e di colori , che pittoricamente non potrebbe avere altra sincera e propria espressione se non in un guazzabuglio , e dal quale appena si sollevano pochi tratti distintivi particolari . Ciò , e non altro , possediamo nella nostra vita ordinaria , ed è base della nostra azione ordinaria . È l ’ indice di un libro ; sono , come è stato detto , le etichette che abbiamo apposte alle cose e ci tengono luogo di queste : indice ed etichette ( espressioni anch ' esse ) , sufficienti ai piccoli bisogni e alle piccole azioni . Ma , di tanto in tanto , dall ’ indice passiamo al libro , dall ' etichetta alla cosa , o dalle piccole intuizioni alle più grandi e alle grandissime ed eccelse . E il passaggio è talvolta tutt ' altro che agevole . È stato osservato da coloro che hanno meglio indagato la psicologia degli artisti che , quando dal vedere con rapido sguardo una persona ci si dispone a intuirla davvero , per farle , per esempio , il ritratto , quella visione ordinaria , che sembrava così vivace e netta , si rivela come poco meno che nulla : ci si accorge di possedere , tutt ' al più , qualche tratto superficiale , non bastevole neppure per un pupazzetto ; la persona da ritrarre si pone innanzi all ' artista come un mondo da scoprire . E Michelangelo sentenziava che “ Si dipinge col cervello , non con le mani ” ; e Leonardo scandalizzava il priore del convento delle Grazie con lo stare giorni interi avanti al Cenacolo senza mettervi pennello , e diceva che “ gl ’ ingegni elevati talor che manco lavorano più adoprano , cercando con la mente l ’ invenzione ” . Il . pittore è pittore perché vede ciò che altri sente solo , o intravede , ma non vede . Un sorriso crediamo di vederlo , ma in realtà ne abbiamo solo qualche vago accenno , non scorgiamo tutti i tratti caratteristici da cui risulta , come , dopo averci lavorato intorno , li scorge il pittore , che perciò può fermarlo compiutamente sulla tela . Anche del nostro più intimo amico , di colui che ci sta accanto tutti i giorni e tutte le ore , non possediamo intuitivamente se non qualche tratto appena della fisionomia , che ce lo fa distinguere dagli altri . Meno facile è l ’ illusione per le espressioni musicali ; perché a ognuno parrebbe strano il dire che a un motivo , il quale è già nell ' animo di chi non è compositore , il compositore aggiunga o appiccichi le note ; quasi che l ' intuizione del Beethoven non fosse , per esempio , la sua Nona sinfonia e la sua Nona sinfonia la sua intuizione . Ora , come colui che si fa illusioni sulla quantità delle proprie ricchezze materiali è smentito dall ' aritmetica , la quale gli dice esattamente a quanto esse ammontano ; così chi s ’ illude sulla ricchezza dei propri pensieri e delle proprie immagini è ricondotto alla realtà , allorché è costretto ad attraversare il ponte dell ' asino dell ' espressione . Numerate , diciamo al primo : parlate , eccovi una matita e disegnate , esprimetevi , diremo all ' altro . Ognuno di noi , insomma , è un po ’ pittore , scultore , musicista , poeta , prosatore ; ma quanto poco , rispetto a coloro che son chiamati così appunto pel grado elevato in cui hanno le comunissime disposizioni ed energie della natura umana ; e quanto poco un pittore possiede delle intuizioni di un poeta , o di quelle anche di un altro pittore ! Pure , quel poco è tutto il nostro patrimonio attuale d ’ intuizioni o rappresentazioni . Fuori di esse , sono soltanto impressioni , sensazioni , sentimenti , impulsi , emozioni , o come altro si chiami ciò che è ancora di qua dello spirito , non assimilato dall ' uomo , postulato per comodo di esposizione , ma effettivamente inesistente , se l ' esistere è anche esso un atto dello spirito . Alle varianti verbali accennate in principio , con le quali così designa la conoscenza intuitiva , possiamo , dunque , aggiungere ancora quest ' altra : la conoscenza intuitiva è la conoscenza espressiva . Indipendente e autonoma rispetto all ’ intellezione ; indifferente alle discriminazioni posteriori di realtà e irrealtà e alle formazioni e appercezioni , anche posteriori , di spazio e tempo ; - l ’ intuizione o rappresentazione si distingue da ciò che si sente e subisce , dall ' onda o flusso sensitivo , dalla materia psichica , come forma ; e questa forma , questa presa di possesso , è l ' espressione . Intuire è esprimere ; e nient ' altro ( niente di più , ma niente di meno ) che esprimere . II . L ' INTUIZIONE E L ' ARTE Prima di procedere oltre , ci sembra opportuno trarre alcune conseguenze da ciò che si è stabilito e soggiungere qualche schiarimento . Noi abbiamo francamente identificato la conoscenza intuitiva o espressiva col fatto estetico o artistico , prendendo le opere d ' arte come esempi di conoscenze intuitive e attribuendo a queste i caratteri di quelle . Ma la nostra identificazione ha contro di sé una concezione , largamente accolta anche da filosofi , la quale considera l ' arte come intuizione di qualità tutta propria . Ammettiamo ( si dice ) che l ' arte sia intuizione ; ma intuizione non è sempre arte : l ’ intuizione artistica è una specie particolare , che si distingue per un di più dall ’ intuizione in genere . In che poi si distingua , in che consista questo di più , niuno ha saputo mai assegnare . Si è pensato talvolta che l ' arte sia , non la semplice intuizione , ma quasi l ’ intuizione di un ’ intuizione ; allo stesso modo che il concetto scientifico sarebbe , non il concetto volgare , ma il concetto di un concetto . L ' uomo , insomma , si eleverebbe all ' arte con l ' oggettivare , non le sensazioni , come accade nell ’ intuizione comune , ma l ’ intuizione stessa . Senonché questo processo di elevazione a seconda potenza non ha luogo ; e il paragone col concetto volgare e con lo scientifico non dice ciò che gli si vorrebbe far dire , per la buona ragione che non è vero che il concetto scientifico sia concetto di un concetto . Quel paragone , se mai , dice proprio il contrario . Il concetto volgare , se concetto è e non semplice rappresentazione , è concetto perfetto , quantunque povero e limitato . La scienza sostituisce alle rappresentazioni i concetti , ai concetti poveri e limitati aggiunge e sovrappone altri più larghi e comprensivi , scoprendo sempre nuove relazioni ; ma il metodo di essa non differisce da quello con cui si forma il più piccolo universale nel cervello del più umile degli uomini . Ciò elle comunemente si chiama , per antonomasia , l ' arte , coglie intuizioni più vaste e complesse di quelle che si sogliono comunemente avere , ma intuisce sempre sensazioni e impressioni : è espressione d ’ impressioni , non espressione dell ' espressione . Per la stessa ragione non si può ammettere che l ’ intuizione , che si dice di solito artistica , si diversifichi da quella comune come intuizione intensiva . Sarebbe tale , se lavorasse diversamente in pari materia . Ma poiché l ' attività artistica spazia in campi più larghi e tuttavia con metodo non diverso da quello dell ’ intuizione comune , la differenza tra l ' una e l ' altra non è intensiva ma estensiva . L ’ intuizione di un semplicissimo canto popolare d ' amore , che dica lo stesso , o poco più , di una dichiarazione di amore quale esce a ogni momento dalle labbra di migliaia di uomini ordinari , può essere intensivamente perfetta nella sua povera semplicità , benché , estensivamente , tanto più ristretta della complessa intuizione di un canto amoroso di Giacomo Leopardi . Tutta la differenza , dunque , è quantitativa , e , come tale , indifferente alla filosofia , scientia qualitatum . A esprimere pienamente certi complessi stati d ' animo vi è chi ha maggiore attitudine e più frequente disposizione , che non altri ; e costoro si chiamano , nel linguaggio corrente , artisti : alcune espressioni , assai complicate e difficili , sono raggiunte più di rado , e queste si chiamano opere d ' arte . I limiti delle espressioni - intuizioni , che si dicono arte , verso quelle che volgarmente si dicono non - arte , sono empirici : è impossibile definirli . Un epigramma appartiene all ' arte : perché no una semplice parola ? Una novella appartiene all ' arte : perché no una nota di cronaca giornalistica ? Un paesaggio appartiene all ' arte : perché no uno schizzo topografico ? Il maestro di filosofia della commedia di Molière aveva ragione : “ sempre che si parla , si fa della prosa ” . Ma vi saranno in perpetuo scolari , i quali , come il borghese signor Jourdain , si maraviglieranno d ' aver fatto prosa per quarant ' anni senza saperlo , e stenteranno a persuadersi elle , quando chiamano il servitore Giovanni perché porti loro le pantofole , anche questa sia , nientemeno , “ prosa ” . Noi dobbiamo tener fermo alla nostra identificazione , perché l ' avere staccato l ' arte dalla comune vita spirituale , l ' averne fatto non si sa qual circolo aristocratico o quale esercizio singolare , è stata fra le principali cagioni che hanno impedito all ’ Estetica , scienza dell ' arte , di attingere la vera natura , le vere radici di questa nell ' animo umano . Come nessuno si maraviglia allorché apprende dalla fisiologia che ogni cellula è organismo e ogni organismo è cellula o sintesi di cellule ; né alcuno si maraviglia di trovare in un ' alta montagna gli stessi elementi chimici costituenti un piccolo sasso o frammento ; come non e ’ è una fisiologia degli animali piccini e un ' altra dei grossi , o una chimica dei sassi e un ' altra delle montagne ; così non e ’ è una scienza dell ’ intuizione piccola e un ' altra della grande , una dell ’ intuizione comune e un ' altra dell ' artistica , ma una sola Estetica , scienza della cognizione intuitiva o espressiva , ch ’ è il fatto estetico o artistico . E questa Estetica è il vero analogo della Logica , la quale abbraccia , come cose della medesima natura , la formazione del più piccolo e ordinario concetto e la costruzione del più complicato sistema scientifico e filosofico . Anche niente più che una differenza quantitativa possiamo ammettere nel determinare il significato della parola genio , o genio artistico , distinto dal non genio , dall ' uomo comune . Si dice che i grandi artisti rivelino noi a noi stessi . Ma come ciò sarebbe possibile se non ci fosse identità di natura tra la nostra fantasia e la loro , e se la differenza non fosse di semplice quantità ? Meglio che : poëta nascitur , andrebbe detto : homo nascitur poëta ; poeti piccoli gli uni , poeti grandi gli altri . L ' aver fatto di questa differenza quantitativa una differenza qualitativa ha dato origine al culto e alla superstizione del genio , dimenticandosi che la genialità non è qualcosa di disceso dal cielo , ma è l ' umanità stessa . L ' uomo di genio , che si atteggi o venga rappresentato come lontano da questa , trova la sua punizione nel diventare , o nell ' apparire , alquanto ridicolo . Tale il genio del periodo romantico , tale il superuomo dei tempi nostri . Ma ( è bene qui notare ) dall ' elevazione disopra all ' umanità fanno poi precipitare il genio artistico disotto a essa coloro che ne pongono come qualità essenziale l ’ incoscienza . La genialità intuitiva o artistica , come ogni forma d ' attività umana , è sempre cosciente ; altrimenti , sarebbe cieco meccanismo . Ciò che al genio artistico può mancare , è soltanto la coscienza riflessa , la coscienza sovraggiunta dello storico o del critico , che gli è inessenziale . Una delle questioni più dibattute in Estetica è la relazione tra materia e forma , o , come si dice di solito , tra contenuto e forma . Consiste il fatto estetico nel solo contenuto o nella sola forma , o nell ' uno e nell ' altra insieme ? Questione che ha avuto vari significati , che menzioneremo ciascuno a suo luogo ; ma sempre che le parole sono state prese nel significato da noi fermato di sopra , sempre che per materia si è intesa l ' emozionalità non elaborata esteticamente o le impressioni , e per forma l ' elaborazione ossia l ' attività spirituale dell ' espressione , il nostro pensiero non può essere dubbio . Dobbiamo , cioè , respingere così la tesi che fa consistere l ' atto estetico nel solo contenuto ( ossia nelle semplici impressioni ) , come l ' altra che lo fa consistere nell ' aggiunzione della forma al contenuto , ossia nelle impressioni più le espressioni . Nell ' atto estetico , l ' attività espressiva non si aggiunge al fatto delle impressioni , ma queste vengono da essa elaborate e formate . Ricompaiono , per così dire , nell ' espressione come acqua che sia messa in un filtro e riappaia la stessa e insieme diversa dall ' altro lato di questo . L ' atto estetico è , perciò , forma , e niente altro che forma . Da ciò si ricava , non elle il contenuto sia alcunché di superfluo ( ché anzi è il punto di partenza necessario del fatto espressivo ) ; ma che dalle qualità del contenuto a quelle della forma non c ’ è passaggio . Si è pensato talvolta che il contenuto , per essere estetico , ossia trasformabile in forma , dovesse avere alcune qualità determinate o determinabili . Ma , se ciò fosse , la forma sarebbe una cosa medesima con la materia , l ' espressione con l ' impressione . Il contenuto è , sì , il trasformabile in forma , ma fino a tanto che non si sia trasformato , non ha qualità determinabili ; di esso noi non sappiamo nulla . Diventa contenuto estetico non prima , ma solo quando si è effettivamente trasformato . Il contenuto estetico è stato anche definito come l ' interessante : il che non è falso , ma vuoto . Interessante , infatti , che cosa ? L ' attività espressiva ? E , certo , se questa non se ne interessasse , non l ' eleverebbe a forma . Il suo interessarsene è appunto l ' elevarlo a forma . Ma la parola “ interessante ” è stata anche adoperata con altra non illegittima intenzione , che spiegheremo più oltre . È polisensa , come la precedente , la proposizione che l ' arte sia imitazione della natura . Con queste parole ora si sono affermate o almeno adombrate verità , ora sostenuti errori ; e , più spesso , non si è pensato nulla di preciso . Uno dei significati scientificamente legittimi si ha , allorché “ imitazione ” viene intesa come rappresentazione o intuizione della natura , forma di conoscenza . E quando si è voluto designare ciò , e mettere insieme in maggior luce il carattere spirituale del procedimento , risulta legittima anche l ' altra proposizione : che l ' arte è idealizzamento o imitazione idealizzatrice della natura . Ma se per imitazione della natura s ’ intende che l ' arte dia riproduzioni meccaniche , costituenti duplicati più o meno perfetti di oggetti naturali , innanzi alle quali si rinnovi quello stesso tumulto d ’ impressioni che producono gli oggetti naturali , la proposizione è evidentemente erronea . Le statue di cera dipinta , che simulano esseri vivi e innanzi a cui arretriamo sbalorditi nei musei di tale roba , non ci danno intuizioni estetiche . L ’ illusione e l ' allucinazione non hanno che vedere col calmo dominio dell ’ intuizione artistica . Se un artista dipinge lo spettacolo di un museo di statue di cera , se un attore sulla scena ritrae burlescamente l ' uomo - statua , abbiano di nuovo il lavoro spirituale e l ’ intuizione artistica . Perfino la fotografia , se ha alcunché di artistico , lo ha in quanto trasmette , almeno in parte , l ’ intuizione del fotografo , il suo punto di vista , l ' atteggiamento e la situazione ch ' egli s ’ è industriato di cogliere . E se la fotografia non è del tutto arte , ciò accade appunto perché l ' elemento naturale resta più o meno ineliminabile e insubordinato : e , infatti , innanzi a quale fotografia , anche delle meglio riuscite , proviamo soddisfazione piena ? a quale un artista non farebbe una o molte variazioni e ritocchi , non toglierebbe o aggiungerebbe ? Dal non aver esattamente riconosciuto il carattere teoretico della semplice intuizione , distinta così dalla conoscenza intellettiva come dalla percezione ; dal credere che solo l ’ intellettiva , o , tutt ' al più , anche la percezione sia conoscenza ; è sorta l ' affermazione , tante volte ripetuta , che l ' arte non sia conoscenza , che essa non dia verità , che appartenga non al mondo teoretico ma al sentimentale , e simili . Abbiamo visto che l ’ intuizione è conoscenza , libera da concetti e più semplice che non sia la cosiddetta percezione del reale ; e perciò l ' arte è conoscenza , è forma , non appartiene al sentimento e alla materia psichica . Se si è insistito tante volte e da tanti estetici a mettere in rilievo che l ' arte è apparenza ( Schein ) , ciò è stato appunto perché si sentiva la necessità di distinguerla dal più complicato atto percettivo , affermandone la pura intuitività . E se si è insistito sull ' essere l ' arte sentimento , ciò è stato pel medesimo motivo : escluso , infatti , il concetto come contenuto dell ' arte ed esclusa la realtà storica in quanto tale , altro contenuto non resta che la realtà appresa meramente nella sua ingenuità e immediatezza , nello slancio vitale , come sentimento , ossia , di nuovo , l ’ intuizione pura . Anche dal non aver bene stabilito , o dall ' aver perduto di vista , il carattere distintivo dell ' espressione dal . ’ impressione , della forma dalla materia , ha preso origine la teoria dei sensi estetici . Questa teoria si riduce all ' errore ora indicato , di voler cercare cioè un passaggio dalle qualità del contenuto a quelle della forma . Domandare , infatti , quali siano i sensi estetici , importa domandare quali impressioni sensibili possano entrare nelle espressioni estetiche , e quali debbano entrarvi di necessità . Al che dobbiamo subito rispondere : che tutte le impressioni possono entrare nelle espressioni o formazioni estetiche ; ma che nessuna deve entrarvi di necessità . Dante eleva a forma non solo il “ dolce color d ' orïental zaffiro ” ( impressioni visive ) , ma impressioni tattili o termiche come “ l ' aër grasso ” e i “ freschi ruscelletti ” che “ asciugano vieppiù ” la gola all ' assetato . Ed è una curiosa illusione credere che una pittura dia impressioni semplicemente visive . Il vellutato di una guancia , il calore di un corpo giovanile , la dolcezza e la freschezza di un frutto , il tagliente di una lama affilata , e via dicendo , non sono impressioni che abbiamo anche da una pittura ? e son forse visive ? Che cosa sarebbe una pittura per un ipotetico uomo , il quale , privo di tutti o di molti dei sensi , acquistasse d ' un tratto l ' organo solo della vista ? Il quadro , che abbiamo innanzi e che crediamo di vedere solamente con . gli occhi , non apparirebbe , agli occhi di lui , se non come qualcosa di poco più dell ' imbrattata tavolozza di un pittore . Alcuni , che tengono fermo al carattere estetico di particolari gruppi d ’ impressioni ( per esempio , delle visive e delle auditive ) e ne escludono altri , concedono poi elle , se nel fatto estetico le impressioni visive e auditive entrano come dirette , quelle percepite dagli altri sensi vi entrino anche , ma solamente come associate . Anche questa distinzione è del tutto arbitraria . L ' espressione estetica è sintesi , nella quale è impossibile distinguere il diretto e l . ’ indiretto . Tutte le impressioni sono in essa parificate , in quanto vengono estetizzate . Chi riceve in sé l ’ immagine di un quadro o di una poesia , non ha innanzi questa immagine come una serie d ’ impressioni , alcune delle quali abbiano una prerogativa o una precedenza sulle altre . E di ciò che accade prima , di averla ricevuta , non si sa nulla ; come , d ' altro canto , le distinzioni , che si fanno dipoi , riflettendo . non riguardano più in nessun modo l ' arte in quanto tale . La dottrina dei sensi estetici è stata presentata anche in altro modo : come il tentativo di stabilire quali organi fisiologici siano necessari pel fatto estetico . L ' organo o l ' apparato fisiologico non è altro che un complesso di cellule , così e così aggruppate e così e così disposte ; cioè un fatto o un concetto meramente fisico e naturale . Ma l ' espressione non conosce fatti fisiologici ; essa ha il suo punto di partenza nelle impressioni , e la via fisiologica per la quale queste sono pervenute nello spirito , le è affatto indifferente . Una via o un ' altra fa lo stesso : basta che siano impressioni . Certo , la mancanza di alcuni organi , ossia di alcuni complessi di cellule , impedisce il prodursi di alcune impressioni ( salvoché , per una sorta di compensazione organica , non si ottengano per altra via ) . Il cieco nato non può intuire ed esprimere la luce . Ma le impressioni non sono condizionate soltanto dall ' organo , sì bene anche dagli stimoli che operano sull ' organo . Chi non abbia avuto mai l ’ impressione del mare , non saprà mai esprimerlo ; e chi non abbia avuto l ’ impressione della vita del gran mondo o della lotta politica , non esprimerà mai né l ' una cosa né l ' altra .. Ciò non stabilisce una dipendenza della funzione espressiva dallo stimolo o dall ' organo ; ma è la ripetizione di quanto già sappiamo : l ' espressione presuppone l ’ impressione , e particolari espressioni , particolari impressioni . Del resto , ogni impressione esclude le altre nel momento in cui essa domina ; e così ogni espressione . Un altro corollario della concezione dell ' espressione come attività , è l ’ indivisibilità dell ' opera d ' arte . Ogni espressione è un ' unica espressione . L ' attività estetica è fusione delle impressioni in un tutto organico . Ed è quel che si è voluto sempre notare quando si è detto che l ' opera d ' arte deve avere unità , o , ch ’ è lo stesso , unità nella varietà . L ' espressione è sintesi del vario , o molteplice , nell ' uno . Parrebbe opporsi a quest ' affermazione il fatto che noi dividiamo l ' opera artistica nelle sue parti : un poema in scene , episodi , similitudini , sentenze , o un quadro nelle singole figure e oggetti , sfondo , primo piano , e così via . Ma cotesta divisione annulla l ' opera , come il dividere l ' organismo in cuore , cervello , nervi , muscoli e via continuando , muta il vivente in cadavere . vero che vi sono organismi in cui la divisione dà luogo a più esseri viventi ; ma in tal caso , e trasportando l ' analogia al fatto estetico , è da concludere per una molteplicità di germi di vita e per una rapida rielaborazione delle singole parti in nuove espressioni uniche . Si osserverà che l ' espressione sorge talora su altre espressioni : vi sono espressioni semplici e ve ne sono composte . Qualche differenza bisogna pur riconoscere tra l ' eureka , con cui Archimede esprimeva tutto il suo giubilo per la fatta scoperta , e l ' atto espressivo ( anzi i cinque atti ) di una tragedia regolare . Ma no : l ' espressione sorge sempre direttamente sulle impressioni . Chi concepisce una tragedia mette in un gran crogiuolo una grande quantità , per così dire , d ’ impressioni : le espressioni stesse , altra volta concepite , vengono rifuse insieme con le nuove in un ' unica massa ; allo stesso modo che in una fornace di fusione si possono gittare informi pezzi di bronzo e statuette elettissime . Perché si abbia la nuova statua , le statuette elettissime debbono fondersi al modo stesso dei pezzi informi . Le vecchie espressioni debbono ridiscendere a impressioni , per potere essere sintetizzate con le altre in una nuova unica espressione . Elaborando le impressioni , l ' uomo si libera da esse . Oggettivandole , le distacca da sé e si fa loro superiore . La funzione liberatrice e purificatrice dell ' arte è un altro aspetto e un ' altra formola del suo carattere di attività . L ' attività è liberatrice appunto perché scaccia la passività . Da ciò si scorge anche perché agli artisti si soglia a volta a volta attribuire la massima sensibilità o passionalità , e la massima insensibilità o l ' olimpica serenità . Entrambe le qualifiche si conciliano , perché non cadono sullo stesso oggetto . La sensibilità o passionalità si riferisce alla ricca materia che l ' artista accoglie nel suo animo ; l ’ insensibilità o serenità , alla forma con cui egli assoggetta e domina il tumulto sensazionale e passionale . III . L ' ARTE E LA FILOSOFIA . Le due forme di conoscenza , l ' estetica e l ’ intellettiva o concettuale , sono bensì diverse , ma non stanno tra loro disgiunte e disparate , come due forze di cui ciascuna tiri per il suo verso . Se abbiamo dimostrato che la forma estetica è affatto indipendente dall ’ intellettiva e si regge da sé senz ' alcun appoggio estraneo , non abbiamo detto che l ’ intellettiva possa stare senza l ' estetica . Questa reciproca non sarebbe vera . Che cosa è la conoscenza per concetti ? È conoscenza di relazioni di cose , e le cose sono intuizioni . Senza le intuizioni non sono possibili i concetti , come senza la materia delle impressioni non è possibile l ’ intuizione stessa . Le intuizioni sono : questo fiume , questo lago , questo rigagnolo , questa pioggia , questo bicchier d ' acqua ; il concetto è : l ' acqua , non questa o quella apparizione e caso particolare , ma l ' acqua in genere , in qualunque tempo e luogo si realizzi ; materia d ’ intuizioni infinite , ma di un concetto solo e costante . Senonché il concetto , l ' universale , se per un verso non è più intuizione , per un altro è , e non può non essere , intuizione . Anche l ' uomo che pensa , in quanto pensa , ha impressioni ed affetti : le sue impressioni e i suoi affetti non saranno quelli dell ' uomo non filosofo , non l ' amore o l ' odio per certi oggetti e individui , ma lo sforzo stesso del pensiero , col dolore e la gioia , l ' amore e l ' odio , che a esso sono congiunti ; il quale sforzo , per diventare oggettivo innanzi allo spirito , non può non prendere forma intuitiva . Parlare non è pensare logicamente , ma pensare logicamente è , insieme , parlare . Che il pensiero non possa stare senza il parlare , è verità generalmente riconosciuta . Le negazioni di questa tesi si fondano tutte su equivoci ed errori . Un primo equivoco è di coloro che osservano che si può pensare del pari con figure geometriche , cifre algebriche , segni ideografici , senza alcuna parola , neanche pronunciata tacitamente e quasi insensibilmente dentro di sé ; che vi son lingue in cui la parola , il segno fonico , non esprime nulla se non si guardi anche al segno scritto ; e via discorrendo . Ma , quando si è detto “ parlare ” , si è voluto adoperare da noi una sineddoche e intendere genericamente “ espressione ” , la quale , come abbiamo notato , non è la sola espressione cosiddetta verbale . Sarà o no vero elle alcuni concetti possano pensarsi senza manifestazioni foniche ; ma gli esempi stessi recati in contrario provano che quei concetti non stanno mai senza espressioni . Altri adducono che gli animali , o certi animali , pensano e ragionano senza parlare . Ora , se pensino e come e che cosa pensino gli animali , se essi siano uomini rudimentali e quasi selvaggi resistenti all ’ incivilimento , piuttosto che macchine fisiologiche come volevano i vecchi spiritualisti , tutto ciò , a questo punto , può non riguardarci . Allorché il filosofo parla della natura animale , brutale , impulsiva , istintiva , e simili , non si fonda su congetture di questa fatta , concernenti cani o gatti , leoni o formiche , ma sull ' osservazione di quel che di animalesco e di brutale è nell ' uomo : del limite o della base animalesca che avvertiamo in noi stessi . Che se poi i singoli animali , cani o gatti , leoni o formiche , abbiano alcunché dell ' attività dell ' uomo , tanto meglio , o tanto peggio , per essi : ciò vorrà dire che anche per essi si dovrà discorrere , non di “ natura ” in senso totale , ma di una base animalesca , più ampia e greve forse di quella dell ' uomo . E , supposto pure che gli animali pensino e formino concetti , che cosa giustificherebbe , in linea di congettura , l ' ammettere che facciano ciò senza espressioni corrispondenti ? L ' analogia con l ' uomo , la conoscenza dello spirito , la psicologia umana , che serve di strumento a tutte le congetture di psicologia animale , costringerebbe invece a supporre che , se in qualche modo pensano , parlino anche in qualche modo . Dalla psicologia umana , anzi letteraria , è tolta l ' altra obiezione , che il concetto può esistere senza la parola , tanto vero che ognuno di noi ammette e conosce libri pensati bene e scritti male : un pensiero cioè , che resta pensiero di là dall ' espressione o nonostante l ' espressione manchevole . Ma , quando discorriamo di libri pensati bene e scritti male , non possiamo intendere altro se non che in quei libri sono parti , pagine , periodi o proposizioni , pensati bene e scritti bene , e altri , fors ' anche i meno importanti , pensati male e scritti male , non pensati davvero e quindi non espressi davvero . La Scienza nuova del Vico , dov ’ è scritta veramente male , è pensata anche male . Che se dai grossi volumi passiamo a una breve proposizione , l ' erroneità o l ’ inesattezza di quel detto salta agli occhi . Come una proposizione potrebb ' essere pensata chiaramente e scritta confusamente ? Ciò che soltanto si può ammettere è , che talora noi abbiamo pensieri ( concetti ) in una forma intuitiva , la quale è un ' espressione abbreviata o meglio peculiare , bastevole a noi , ma non sufficiente a comunicarli con facilità a un ' altra persona determinata o a più altre persone determinate . Onde inesattamente si dice che abbiamo il pensiero e non l ' espressione ; quando propriamente si dovrebbe dire , che abbiamo , sì , l ' espressione , ma un ' espressione che non è ancora facilmente comunicabile . Il che è , per altro , un fatto assai mutevole e relativo : vi ha sempre chi coglie a volo il nostro pensiero , e lo preferisce in quella forma abbreviata , e s ’ infastidirebbe dell ' altra più sviluppata gradita ad altri . In altri termini , il pensiero , logicamente e astrattamente considerato , sarà a un dipresso il medesimo ; ma esteticamente si tratta di due intuizioni o espressioni diverse , in ciascuna delle quali entrano elementi psichici diversi . Lo stesso argomento vale a distruggere , o a interpretare rettamente , la distinzione affatto empirica tra linguaggio interno e linguaggio esterno . Le manifestazioni più alte , le cime da lontano risplendenti della conoscenza intuitiva e della conoscenza intellettuale si dicono , come già sappiamo , Arte e Scienza . Arte e Scienza sono , dunque , distinte e insieme congiunte : coincidono per un lato , ch ’ è il lato estetico . Ogni opera di scienza è insieme opera d ' arte . Il lato estetico potrà restare poco avvertito , quando la nostra mente sia tutta presa dallo sforzo d ’ intendere il pensiero dello scienziato e di esaminarne la verità . Ma non resta più inavvertito quando dall ' attività dell ’ intendere passiamo a quella del contemplare , e vediamo quel pensiero o svolgercisi dinanzi limpido , netto , ben contornato , senza parole superflue , senza parole inadeguate , con ritmo e intonazione appropriati ; ovvero confuso , rotto , impacciato , saltellante . E grandi pensatori sono ammirati talvolta grandi scrittori ; laddove altri pensatori , anch ' essi grandi , restano scrittori più o meno frammentari , se pure i loro frammenti valgano opere armoniche , coerenti e perfette . Ai pensatori e agli scienziati si perdona l ' essere scrittori mediocri : i frammenti , le fulgurazioni ci consolano dell ’ intero , perché è ben più facile dal frammento geniale cavare la composizione ben ordinata , dalla scintilla sprigionare la fiamma , che non raggiungere la scoperta geniale . Ma come perdonare ai puri artisti di esser dicitori mediocri ? « Mediocribus esse poëtis non dii , non homines , non concessere columnae » . Al poeta , al pittore , cui manchi la forma , manca ogni cosa , perché manca sé stesso . La materia poetica corre negli animi di tutti : solo l ' espressione , cioè la forma , fa il poeta . E qui si trova la verità della tesi che nega all ' arte qualsiasi contenuto , intendendosi per contenuto appunto il concetto intellettuale . In questo senso , posto “ contenuto ” eguale a “ concetto ” , è esattissimo non solo che l ' arte non consiste nel contenuto , ma elle essa non ha contenuto . Anche la distinzione tra poesia e prosa non può inverarsi se non in questa tra arte e scienza . Fin dall ' antichità fu visto che quella distinzione non poteva fondarsi sopra elementi esteriori , quali il ritmo e il metro , la forma sciolta e la legata ; e ch ' era invece tutta interna . La poesia è il linguaggio del sentimento : la prosa , dell ’ intelletto ; ma poiché l ’ intelletto , nella sua concretezza e realtà , è anche sentimento , ogni prosa ha un lato di poesia . Il rapporto tra conoscenza intuitiva o espressione , e conoscenza intellettuale o concetto , tra arte e scienza , tra poesia e prosa , non si può significare altrimenti se non dicendo ch ’ è quello di un doppio grado . Il primo grado è l ' espressione , il secondo il concetto : l ' uno può stare senza l ' altro , ma il secondo non può stare senza il primo . Vi è poesia senza prosa , ma non prosa senza poesia . L ' espressione è , infatti , la prima affermazione dell ' attività umana . La poesia è la “ lingua materna del genere umano ” ; i primi uomini “ furono da natura sublimi poeti ” . Il che viene riconosciuto anche in altro modo da quanti notano che il passaggio da psiche a spirito , da sensibilità animale ad attività umana , si compie per mezzo del linguaggio ( e dovrebbero dire dell ' intuizione o espressione in genere ) . Soltanto ci pare poco esatto dire , come si usa , che il linguaggio o l ' espressione sia l ' anello intermedio tra la naturalità e l ' umanità , quasi un misto dell ' una e dell ' altra . Dove appare l ' umanità , l ' altra è già sparita ; l ' uomo che si esprime esce , sì , immediatamente , dallo stato naturale , ma ne esce ; non vi sta mezzo dentro e mezzo fuori , come indicherebbe l ’ immagine dell ' anello intermedio . Oltre queste due forme , lo spirito conoscitivo non ne ha altre . Intuizione e concetto lo esauriscono completamente . Nel passare dall ' una all ' altro e nel ripassare dal secondo alla prima , s ' aggira tutta la vita teoretica dell ' uomo . Inesattamente è annoverata come terza forma teoretica la storicità . Questa non è forma , ma contenuto : come forma , non è altro che intuizione o fatto estetico . La storia non ricerca leggi né foggia concetti ; non induce né deduce ; è diretta ad narrandum , non ad demonstrandum ; non costruisce universali e astrazioni , ma pone intuizioni . Il questo qui , l ’ individuum omnimode determinatum , è il dominio di essa , com ’ è il dominio dell ' arte . La storia si riduce perciò sotto il concetto generale dell ' arte . Contro questa tesi , riuscendo impossibile escogitare una terza forma conoscitiva , si sono mosse obiezioni , le quali menerebbero ad aggregare la storia alla conoscenza intellettiva o scientifica . Obiezioni animate , per una parte , dal preconcetto che alla storia si tolga qualcosa del suo valore e della sua dignità col negarle carattere di scienza ( naturale ) ; e , per l ' altra , da una falsa idea dell ' arte , concepita non come forma teoretica essenziale , ma come un divertimento , una superfluità , una frivolezza . Senza riaprire un lungo e dibattuto processo , che per nostro conto stimiamo chiuso , accenneremo qui soltanto a un sofisma , che ha avuto fortuna e ancora si ripete , diretto a provare l ’ indole logica e scientifica della storia . Il sofisma consiste nel concedere che la conoscenza storica abbia per oggetto l ’ individuale , ma non la rappresentazione ( si soggiunge ) , sì bene il concetto dell ’ individuale ; donde si conclude che la storia sia anch ' essa conoscenza logica o scientifica . La storia , insomma , elaborerebbe il concetto di un personaggio , di Carlo Magno o di Napoleone , di un ' epoca , del Rinascimento o della Riforma , di un avvenimento , della Rivoluzione francese o della Unificazione d ’ Italia , allo stesso modo che la Geometria elabora i concetti delle forme spaziali o l ’ Estetica quello dell ' espressione . Ma di tutto ciò non e ’ è nulla : la storia non può se non presentare Napoleone e Carlo Magno , il Rinascimento e la Riforma , la Rivoluzione Francese e l ’ Unificazione italiana , fatti individuali , nella loro fisionomia individuale , cioè proprio nel senso in cui i logici dicono che dell ’ individuale non si dà concetto ma solo rappresentazione . Il cosiddetto concetto dell ’ individuale è sempre concetto universale o generale ; ricco di note , ricchissimo se si vuole , ma , per ricco che sia , incapace di attingere quell ’ individualità che la conoscenza storica , in quanto conoscenza estetica , sola attinge . Per intendere in qual modo nell ’ àmbito dell ' arte in genere la conoscenza storica si distingua da quella artistica in senso stretto , bisogna ricordare ciò che si è osservato circa il carattere ideale dell ’ intuizione o prima percezione , in cui tutto è reale e perciò niente è reale . In uno stadio ulteriore , lo spirito forma i concetti d ' esterno e d ’ interno , di accaduto e di desiderato , di oggetto e di soggetto e simili , ossia distingue l ’ intuizione storica dalla non storica , la reale dalla irreale , la fantastica reale dalla fantastica pura . Anche i fatti interni , ciò che si desidera e si fantastica , i castelli in aria e i paesi di cuccagna , hanno la loro realtà ; anche la psiche ha la sua storia . Nella biografia di un individuo entrano come fatti reali anche le sue illusioni . Ma la storia di una psiche individuale è storia , perché vi opera sempre la distinzione tra reale e irreale , anche quando il reale siano le illusioni stesse . Senonché , nella storia , codesti concetti distintivi non stanno come i concetti nella scienza , ma piuttosto come quelli che abbiamo visto sciogliersi e fondersi nelle intuizioni estetiche , benché , nel nuovo caso , abbiano un rilievo affatto proprio . La storia non costruisce i concetti del reale e dell ’ irreale , ma li adopera ; la storia , insomma , non è la teoria della storia . Per riconoscere se un fatto della nostra vita fu reale o immaginario , non soccorre la mera analisi concettuale : bisogna riprodurre innanzi alla niente nel riodo più completo le intuizioni , quali erano nel momento in cui si produssero . La storicità si distingue in concreto dalla pura fantasia come un ’ intuizione qualsiasi da un ' altra intuizione qualsiasi : nella memoria . Dove questa non giunge , dove le sfumature delle intuizioni reali e delle irreali sono così lievi e sfuggenti che le une si confondono con le altre , o bisogna rinunziare , almeno provvisoriamente , a sapere ciò che in realtà accadde ( rinunzia che facciamo spesso ) , o conviene ricorrere alla congettura , alla verisimiglianza , alla probabilità . Il principio di verisimiglianza e di probabilità domina , infatti , tutta la critica storica . L ' esame delle fonti e delle autorità è diretto a stabilire le testimonianze più credibili . E quali sono le testimonianze più credibili se non quelle appunto dei migliori osservatori , ossia dei migliori ricordatori , e che ( ciò s ’ intende ) non abbiano avuto animo e interesse a falsificare la verità delle cose ? Onde accade che lo scettico intellettualista ha buon gioco quando si fa a negare la certezza di qualunque storia ; ché la certezza della storia è diversa da quella della scienza . È la certezza del ricordo e dell ' autorità , non dell ' analisi e della dimostrazione . Chi parla d ’ induzione , di dimostrazione storica e simili , fa uso metaforico di queste parole , le quali nella storia assumono senso affatto diverso da quello che hanno nelle scienze . La convinzione dello storico è la convinzione indimostrabile del giurato , che ha ascoltato i testimoni , seguito attentamente il processo , e pregato il cielo d ’ ispirarlo . Sbaglia , senza dubbio , alle volte ; ma gli sbagli rappresentano una trascurabile minoranza di fronte ai casi in cui si coglie il vero . E perciò il buon senso ha ragione contro gl ’ intellettualisti nel credere alla storia , la quale non è già “ favola convenuta ” , ma ciò che l ’ individuo e l ' umanità ricordano del loro passato . Ricordo dove oscuro , dove chiarissimo ; ricordo che con industri sforzi si procura di allargare e rendere esatto il meglio possibile ; ma tale che non se ne può far di meno e che , preso nel tutt ’ insieme , è ricco di verità . Solo per gusto di paradossi si potrà dubitare che sia mai esistita una Grecia e una Roma , un Alessandro e un Cesare , un ’ Europa feudale e una serie di rivoluzioni che l ' abbatterono ; che il l ° novembre l5l7 si videro affisse le tesi di Lutero alla porta della chiesa di Vittemberga , o che il l4 luglio l789 fu presa dal popolo di Parigi la Bastiglia . “ Che ragione rendi tu di tutto questo ? ” , domanda ironicamente il sofista . L ' umanità risponde : “ Io ricordo ” . Il mondo dell ' accaduto , del concreto , dello storico , è ciò che si chiama il mondo della realtà e della natura , comprendente così la realtà che si dice fisica come quella che si dice spirituale ed umana . Tutto questo mondo è intuizione ; intuizione storica , se lo presenta qual esso è realisticamente ; intuizione fantastica o artistica in senso stretto , se lo presenta sotto l ' aspetto del possibile , ossia dell ’ immaginabile . La scienza , la vera scienza , che non è intuizione ma concetto , non individualità ma universalità , non può essere se non scienza dello spirito , ossia di ciò che la realtà ha di universale : Filosofia . Se , fuori di questa , si parla di scienze naturali , bisogna notare che codeste sono scienze improprie , cioè complessi di conoscenze , arbitrariamente astratte e fissate . Le cosiddette scienze naturali , infatti , riconoscono esse medesime di essere sempre circondate da limiti : limiti i quali non sono poi altro che dati storici e intuitivi . Esse calcolano , misurano , pongono eguaglianze , stabiliscono regolarità , foggiano classi e tipi , formolano leggi , mostrano a loro modo come un fatto nasca da altri fatti ; ma tutti i loro progressi urtano sempre in fatti che sono appresi intuitivamente e storicamente . Perfino la geometria afferma ora di riposare tutta su ipotesi , non essendo lo spazio tridimensionale o euclideo se non uno degli spazi possibili , che si studia di preferenza perché riesce più comodo . Ciò che di vero è nelle scienze naturali , è o filosofia o fatto storico ; ciò che vi è di propriamente naturalistico , è astrazione e arbitrio . Allorché le discipline naturali vogliono costituirsi in scienze perfette , debbono saltare fuori dalla loro cerchia e passare alla filosofia : il che fanno quando pongono i concetti , tutt ' altro che naturalistici , di atomo inesteso , di etere o vibrante , di forza vitale , di spazio non intuibile , e simili : veri e propri conati filosofici , quando non siano parole vuote di senso . I concetti naturalistici sono , senza dubbio , molto utili ; ma non si può da essi cavare quel sistema , ch ’ è solo dello spirito . Questi dati storici e intuitivi , ineliminabili dalle discipline naturali , spiegano , inoltre , non solo come , col progresso del sapere , discenda via via al grado di credenze mitologiche e illusioni fantastiche ciò che un tempo era considerato verità , ma anche come tra i naturalisti si trovino di quelli che chiamano fatti mitici , espedienti verbali , convenzioni tutto ciò che nelle loro discipline è come il fondamento di ogni ragionamento . E i naturalisti e matematici che , impreparati , si affacciano allo studio delle energie dello spirito , facilmente vi trasportano siffatte abitudini mentali , e parlano , in filosofia , di convenzioni che sono così o così , “ come l ' uom se l ' arreca ” : convenzioni la verità e la moralità , convenzione suprema lo Spirito stesso ! Eppure , perché si abbiano convenzioni , è necessario che esista qualcosa su cui non si conviene , ma che sia l ' agente stesso della convenzione : l ' attività spirituale dell ' uomo . La limitatezza delle scienze naturali postula l ’ illimitatezza della filosofia . Resta fermo per queste spiegazioni che due sono le forme pure o fondamentali della conoscenza : l ’ intuizione e il concetto ; l ' Arte , e la Scienza o Filosofia ; risolvendo in esse la Storia , la quale è come la risultante della intuizione messa a contatto col concetto , cioè dell ' arte che , nel ricevere in sé le distinzioni filosofiche , resta tuttavia concretezza e individualità . Tutte le altre ( scienze naturali e matematiche ) sono forme impure : miste di elementi estranei e d ' origine pratica . L ’ intuizione ci dà il mondo , il fenomeno ; il concetto ci dà il noumeno , lo Spirito . IV . ISTORISMO E INTELLETTUALISMO NELL ’ ESTETICA . Questi rapporti nettamente stabiliti tra la conoscenza intuitiva o estetica e le altre forme fondamentali o derivate di conoscenza ci mettono in grado di scorgere dove sia l ' errore di una serie di teorie che si sono presentate o si sogliono presentare come teorie di Estetica . Dalla confutazione tra le esigenze dell ' arte in genere e quelle particolari della storia è nata la teoria ( che ora ha perduto terreno , ma ch ’ è stata dominante nel passato ) del verisimile come oggetto dell ' arte . Senza dubbio , come accade di solito nell ' uso di proposizioni erronee , l ’ intenzione che portava a parlare di verisimile era spesse volte molto più sana che non appaia dalla definizione che si dava della parola . Per verisimiglianza si voleva intendere , in fondo , la coerenza artistica della rappresentazione , cioè la pienezza e l ' efficacia , l ' effettiva presenza di questa . Chi si faccia a tradurre “ verisimile ” con “ coerente ” troverà spesso un senso assai giusto nelle discussioni , negli esempi e nei giudizi dei critici presso i quali quella parola ricorre . Un personaggio inverisimile , un finale inverisimile di commedia sono , in realtà , personaggi mal disegnati , finali appiccicati , fatti artisticamente immotivati : anche le fate e i folletti ( si è detto con ragione ) debbono avere verisimiglianza , cioè essere fate e folletti per davvero , intuizioni artistiche coerenti . Invece di “ verisimile ” è stato usato talora il vocabolo “ possibile ” , il quale , come abbiamo notato di passaggio , è sinonimo di intuibile o immaginabile : tutto ciò che s ’ immagina davvero , ossia coerentemente , è possibile . Ma altra volta , e da non pochi critici e trattatisti , per verisimile si è inteso il carattere di credibilità storica , cioè quella verità storica che non è dimostrabile ma congetturabile , non vera ma verisimile ; e si è voluto imporre il medesimo carattere all ' arte . Chi non ricorda nella storia della letteratura la gran parte che hanno avuto le censure del verisimile , per esempio della Gerusalemme , condotte in base alla storia delle Crociate , o dei poemi omerici , in base al costume verisimile degl ’ imperatori e dei re ? Altra volta ancora si è richiesta dall ' arte la riproduzione della realtà naturale ossia storicamente esistente ; ed è questo un altro dei significati erronei che assume la dottrina dell ' imitazione della natura . Il verismo e il naturalismo hanno dato poi l ' esempio di una confusione del fatto estetico perfino coi procedimenti delle scienze naturali , col vagheggiare non sappiamo quale dramma o romanzo che sarebbe dovuto essere , non solo di osservazione , ma , nientemeno , sperimentale . Molto più frequenti le confusioni tra il procedere dell ' arte e quello delle scienze filosofiche . Così si è considerato come proprio dell ' arte esporre concetti , unire un intelligibile a un sensibile , rappresentare le idee o gli universali ; e si è scambiata per tal modo l ' arte con la scienza , ossia l ' attività artistica in genere col caso particolare in cui diventa estetico - logica . Al medesimo errore si riduce la teoria dell ' arte come propugnatrice di tesi , consistente cioè in una rappresentazione individuale che esemplifichi leggi scientifiche . L ' esempio , in quanto è esempio , sta per la cosa esemplificata ; ed appartiene dunque ai modi di trattazione scientifica , siano pure di carattere popolare o divulgativo . Si dica lo stesso della teoria estetica del tipico , quando per tipo s ’ intende appunto , come si suole , l ' astrazione o il concetto , e si afferma che l ' arte deve far risplendere nell ’ individuo la specie . Che se poi per tipico s ’ intende l ’ individuale , anche qui si fa una semplice variazione di parole . Tipeggiare importerà , in questo caso , caratterizzare , ossia determinare e rappresentare l ’ individuale . Don Chisciotte è un tipo ; ma di che è tipo se non di tutti i Don Chisciotte ? tipo , per così dire , di sé medesimo ? Di concetti astratti , come della perdita del senso del reale , o dell ' amore della gloria , no , di certo : sotto cotesti concetti si possono pensare infiniti personaggi , che non sono Don Chisciotte . In altri termini , nell ' espressione di un poeta ( per esempio , in un personaggio poetico ) noi troviamo le nostre medesime impressioni pienamente determinate e inverate ; e diciamo tipica quell ' espressione , che potremmo dire semplicemente estetica . Così anche si è parlato di universali poetici o artistici : con le quali parole talvolta si ripeteva la richiesta del tipico in arte , ma tal ' altra s ’ intendeva dare risalto al carattere spirituale e ideale dell ' opera artistica , che gli imitazionisti , realisti e veristi ignoravano o negavano . Continuando a correggere questi errori o a schiarire gli equivoci , noteremo che altresì è stato considerato essenza dell ' arte il simbolo . Ma se il simbolo è concepito come inseparabile dall ’ intuizione artistica , è sinonimo dell ’ intuizione stessa , che ha sempre carattere ideale ; non v ’ è nell ' arte un doppio fondo , ma un fondo solo , e tutto in essa è simbolico perché tutto è ideale . Che se poi il simbolo è concepito separabile , se da un lato si può esprimere il simbolo e dall ' altro la cosa simboleggiata , si ricade nell ' errore intellettualistico : quel preteso simbolo è l ' esposizione di un concetto astratto , è un ' allegoria , è scienza , o arte che scimmiotta la scienza . Ma bisogna essere giusti anche verso l ' allegorico e notare che in certi casi esso riesce cosa affatto innocua . Posta la Gerusalemme liberata , se n ’ è poi escogitata l ' allegoria ; posto l ' Adone del Marino , il poeta della lascivia insinuò poi ch ' esso fosse vòlto a mostrare come “ smoderato piacer termina in doglia ” ; posta una statua di bella donna , lo scultore può appiccarvi un cartello per dire che la sua statua rappresenta la Clemenza o la Bontà . Quest ' allegoria , che giunge post festum , a opera compiuta , non altera l ' opera d ' arte . E che cosa è allora ? un ' espressione aggiunta estrinsecamente a un ' altra espressione . Al poema della Gerusalemme si aggiunge una paginetta di prosa , che esprime un altro pensiero del poeta ; all ' Adone , un verso o una strofe , che esprime ciò che il poeta vorrebbe dare a intendere a una parte del suo pubblico ; alla statua , nient ' altro che una parola : “ clemenza ” o “ bontà ” . Ma il trionfo più cospicuo dell ' errore intellettualistico è nella dottrina dei generi artistici e letterari , che ancora corre nei trattati e perturba i critici e gli storici dell ' arte . Vediamone la genesi . Lo spirito umano può passare dall ' estetico al logico , appunto perché quello è un primo grado rispetto a questo ; distruggere le espressioni , ossia il pensamento dell ’ individuale , col pensamento dell ' universale ; sciogliere i fatti espressivi in rapporti logici . Che questa operazione si concreti a sua volta in un ' espressione , abbiamo già mostrato ; ma ciò non vuol dire che le prime espressioni non siano state distrutte : esse hanno ceduto il luogo alle nuove espressioni estetico - logiche . Quando si è sul secondo gradino , il primo è abbandonato . Chi entri in una galleria di quadri , o chi prenda a leggere una serie di poemi , può , dopo aver guardato e letto , procedere oltre a indagare la natura e le relazioni delle cose in essi espresse . Così quei quadri e quei componimenti , di cui ciascuno è un individuo logicamente ineffabile , gli si vanno risolvendo in universali ed astrazioni , come costumi , paesaggi , ritratti , vita domestica , battaglie , animali , fiori , frutti , marine , campagne , laghi , deserti , fatti tragici , comici , pietosi , crudeli , lirici , epici , drammatici , cavallereschi , idillici , e simili ; spesso anche in categorie meramente quantitative , come quadretto , quadro , statuina , gruppo , madrigale , canzone , sonetto , collana di sonetti , poesia , poema , novella , romanzo , e simili . Quando noi pensiamo il concetto vita domestica , o cavalleria , o idillio , o crudeltà , o uno qualsiasi dei ricordati concetti quantitativi , il fatto espressivo individuale , dal quale si erano prese le mosse , è stato abbandonato . Da uomini estetici ci siamo mutati in uomini logici ; da contemplatori di espressioni , in raziocinatori . E a tal procedere , di certo , non e ’ è nulla da obiettare . Come altrimenti nascerebbe la scienza , la quale , se ha per presupposto le espressioni estetiche , ha per proprio fine l ' andar oltre di quelle ? La forma logica o scientifica , in quanto tale , esclude la forma estetica . Chi si fa a pensare scientificamente , ha già cessato di contemplare esteticamente ; benché il suo pensamento prenda di necessità a sua volta ( come si è detto e sarebbe superfluo ripetere ) forma estetica . L ' errore comincia quando dal concetto si vuol dedurre l ' espressione e nel fatto sostituente ritrovare le leggi del fatto sostituito ; quando non si vede il distacco tra il secondo gradino e il primo , e di conseguenza , stando sul secondo , si asserisce di stare sul primo . Questo errore prende il nome di teoria dei generi artistici e letterari . Qual ’ è la forma estetica della vita domestica , della cavalleria , dell ’ idillio , della crudeltà , e così via ? come debbono essere rappresentati questi contenuti ? Tale , denudato e ridotto alla più semplice formola , è il problema assurdo , che la dottrina dei generi artistici e letterari si propone , e in ciò consiste qualsiasi richiesta di leggi o regole di generi . Vita domestica , cavalleria , idillio , crudeltà e simili non sono impressioni , ma concetti ; non contenuti , ma forme logico - estetiche . La forma non si può esprimere , perché è già essa stessa espressione . O che cosa sono le parole “ crudeltà ” , “ idillio ” , cavalleria ” , “ vita domestica ” e via enumerando , se non le espressioni di quei concetti ? Anche le più raffinate di tali distinzioni , anche quelle che hanno aspetto più filosofico , non reggono alla critica ; come quando si distinguono le opere d ' arte in genere soggettivo e genere oggettivo , in lirica ed epica , in opere di sentimento e opere di figurazione ; essendo impossibile staccare , in analisi estetica , il lato soggettivo dall ' oggettivo , il lirico dall ' epico , l ’ immagine del sentimento da quella delle cose . Dalla dottrina dei generi artistici e letterari derivano quelle fogge erronee di giudizio e di critica , mercé le quali innanzi a un ' opera d ' arte , invece di determinare se sia espressiva e che cosa esprima , se parli o balbetti o taccia addirittura , si domanda : È essa conforme alle leggi del poema epico o a quelle della tragedia ? alle leggi della pittura storica o a quelle del paesaggio ? Gli artisti , per altro , quantunque a parole o con finte ubbidienze abbiano mostrato di accettarle , in realtà hanno fatto sempre le fiche a coteste leggi dei generi . Ogni vera opera d ' arte ha violato un genere stabilito , venendo così a scompigliare le idee dei critici , i quali sono stati costretti ad allargare il genere , senza poter impedire per altro che anche il genere così allargato non sembri poi troppo stretto a causa del sorgere di nuove opere d ' arte , seguite , com ’ è naturale , da nuovi scandali , nuovi scompigli , e nuovi allargamenti . Dalla medesima teoria vengono i pregiudizi poi quali un tempo ( ma è veramente un passato ? ) si lamentava che l ’ Italia non avesse la tragedia ( finché non sorse chi le dette quel serto , che unico mancava al crine glorioso di lei ) , né la Francia il poema epico ( fino alla Henriade , che acquetò le bramose canne dei critici ) . E connessi con tali pregiudizi sono gli elogi agl ’ inventori dei nuovi generi ; tanto che parve gran cosa che si fosse inventato nel seicento il poema eroicomico , e si contese sull ' onore dell ’ invenzione , quasi si trattasse della scoperta dell ' America , quantunque le opere decorate con quel nome ( la Secchia rapita , lo Scherno degli Dei ) fossero opere nate morte , perché i loro autori ( piccolo inconveniente ) non avevano nulla di proprio e di nuovo da dire . I mediocri si stillavano il cervello a inventare artificialmente nuovi generi : all ' egloga pastorale fu aggiunta l ' egloga piscatoria e poi , perfino , l ' egloga militare : l ' Aminta fu bagnato e divenne l ' Alceo , dramma marinaresco . Affascinati , infine , da questa idea dei generi , si sono visti storici della letteratura e dell ' arte pretendere di fare la storia non delle singole ed effettive opere letterarie e artistiche , ma di quelle vuote fantasime che sono i loro generi , e ritrarre , invece dell ' evoluzione dello spirito artistico , l ' evoluzione dei generi . La condanna filosofica dei generi artistici e letterari è la dimostrazione e formolazione rigorosa di ciò che l ' attività artistica ha sempre operato e il buon gusto sempre riconosciuto . Che cosa farci se il buon gusto e il fatto reale , messi in formole , assumono , a volte , l ' aspetto di paradossi ? Chi poi discorre di tragedie , commedie , drammi , romanzi , quadri di genere , quadri di battaglie , paesaggi , marine , poemi , poemetti , liriche e così via , tanto per farsi intendere accennando alla buona e approssimativamente ad alcuni gruppi di opere sui quali vuole , per una ragione o per un ' altra , richiamare l ' attenzione , certo non dice nulla di scientificamente erroneo , perché egli adopera vocaboli e frasi , non stabilisce definizioni e leggi . L ' errore si ha solamente quando al vocabolo si dia peso di distinzione scientifica ; quando , insomma , si vada ingenuamente a cadere nei tranelli che quella fraseologia suole tendere . Ci si conceda un paragone . In una biblioteca occorre pure ordinare in qualche modo i volumi ; il che si faceva in passato , per lo più , mediante una grossolana classificazione per materie ( in cui non mancavano le categorie delle miscellanee e degli extravaganti ) , e ora , di solito , per serie di editori o per formati . Chi potrebbe negare l ' utilità e la necessità di cotesti aggruppamenti ? Ma che cosa si direbbe se alcuno si mettesse a indagare sul serio le leggi letterarie delle miscellanee o degli extravaganti , della collezione aldina o della bodoniana , del pluteo A o del pluteo B , cioè di quegli aggruppamenti affatto arbitrari e rispondenti a un semplice bisogno pratico di comodo ? Eppure , chi si desse a questa impresa risibile , farebbe né più né meno di quel che fanno con ogni serietà gl ’ indagatori delle leggi estetiche , che dovrebbero governare , a detta loro , i generi artistici e letterari . V . ERRORI ANALOGHI NELLA ISTORICA E NELLA LOGICA . Per meglio ribadire le critiche ora svolte , sarà opportuno gettare un rapido sguardo sugli errori inversi e analoghi , nascenti dall ’ ignoranza circa l ’ indole propria dell ' arte e circa la situazione di essa rispetto alla storia e alla scienza ; i quali errori hanno danneggiato così la teoria della storia come quella della scienza , così la Istorica ( o Storiologia ) come la Logica . L ’ intellettualismo storico ha aperto la strada alle tante ricerche che si sono fatte , specie da due secoli in qua , e che si vanno ritentando tuttogiorno di una filosofia della storia , di una storia ideale , di una sociologia , di una psicologia storica , o come altro variamente si atteggi e intitoli una scienza che si prefigga di estrarre leggi e concetti universali dalla storia . Di quale sorta debbono essere queste leggi e questi universali ? Leggi storiche e concetti storici ? In tal caso , basta un ' elementare critica della conoscenza a mostrare l ' assurdo della richiesta . Una legge storica , un concetto storico ( quando tali parole non siano semplici metafore e usi linguistici ) sono vere contradizioni in termini : l ' aggettivo ripugna al sostantivo non meno che nelle espressioni “ quantità qualitativa ” o “ monismo pluralistico ” . La storia importa concretezza e individualità ; la legge e il concetto , astrattezza e universalità . Che se poi si abbandoni la pretesa di cavare dalla storia leggi e concetti storici e si voglia invece restringere la richiesta a leggi e concetti senz ' alcun aggettivo , non si dice , di certo , cosa vuota , ma la scienza che si otterrà sarà , non una filosofia della storia , sì bene , secondo i casi , o la filosofia nella sua unità e nelle sue varie specificazioni ( Etica , Logica , ecc . ) , o la scienza empirica nelle sue infinite divisioni e suddivisioni . Infatti , o si ricercano quei concetti filosofici , che , come si è accennato , sono nel fondo di ogni costruzione storica e differenziano la percezione dall ’ intuizione , l ’ intuizione storica dall ’ intuizione pura , la storia dall ' arte ; o si raccolgono le intuizioni storiche formate e si riducono a tipi e classi , ch ’ è per l ' appunto il metodo delle scienze naturali . Dell ’ involucro fallace , della veste disadatta di una Filosofia della storia si sono coperti talvolta grandi pensatori , i quali , nonostante quell ' involucro , hanno ritrovato verità filosofiche di somma importanza ; sicché , caduto poi l ' involucro , la verità è restata . E il carico da farsi ai sociologi moderni non è tanto dell ’ illusione in cui si avvolgono asserendo un ' impossibile scienza filosofica della sociologia , quanto dell ’ infecondità che accompagna quasi costantemente questa loro illusione . Poco male che l ’ Estetica venga chiamata “ Estetica sociologica ” , o la Logica , “ Logica sociologica ” . Il male grave è che quell ’ Estetica è un vecchiume sensualistico , e che quella Logica è verbale e incoerente . Ma due effetti buoni si sono avuti , rispetto alla storia , dal movimento filosofico a cui abbiamo accennato . Si è acuito , anzitutto , il bisogno di costruire una teoria della storiografia , ossia d ' intendere la natura e i limiti della storia : teoria che , in conformità dell ' analisi fatta di sopra , non può trovare soddisfacimento se non in una scienza generale della intuizione , in un ’ Estetica , dalla quale si stacchi , per l ’ interposta funzione degli universali , quasi capitolo speciale , l ’ Istorica . Inoltre , sotto l ’ involucro falso e presuntuoso di una Filosofia della storia , si sono affermate spesso verità particolari intorno a particolari avvenimenti storici , e formolati canoni e ammonimenti , empirici senza dubbio , ma non inutili ai ricercatori e ai critici . Questa utilità non pare possa negarsi neppure alla più recente delle filosofie della storia , al cosiddetto materialismo storico , il quale ha gettato luce assai viva su molti aspetti della vita sociale prima poco osservati o malamente compresi . Un ' invasione della storicità nella scienza o filosofia è il principio di autorità , l ' ipse dixit , che ha infierito nelle scuole , e che sostituisce alla introspezione e analisi filosofica quella testimonianza , quel documento , quell ' affermazione autorevole , di cui certo non può fare di meno la storia . Ma i più gravi turbamenti ed errori cagionati dal confuso concetto del fatto estetico li ha sofferti la scienza del pensiero e della conoscenza intellettiva , la Logica . E come poteva accadere altrimenti , se l ' attività logica viene dopo quella estetica e l ’ implica in sé ? Un ’ Estetica inesatta doveva tirarsi dietro di necessità una Logica inesatta . Chi apra i trattati di Logica , dall ' Organo aristotelico fino ai moderni , deve convenire che in essi tutti si trova un guazzabuglio di fatti verbali e di fatti di pensiero , di forme grammaticali e di forme concettuali , di Estetica e di Logica . Non che siano mancati tentativi per trarsi fuori dall ' espressione verbale e cogliere il pensiero nella sua genuina natura . La stessa Logica aristotelica non diventò mera sillogistica e verbalismo senza qualche titubanza e oscillazione ; nel medio evo , le dispute dei nominalisti , realisti e concettualisti toccarono di frequente il problema propriamente logico ; le scienze naturali moderne col Galilei e col Bacone misero in onore l ’ induzione ; il Vico combatté contro la logica formalistica e matematica in favore dei metodi inventivi ; il Kant richiamò l ' attenzione sulla sintesi a priori ; l ' idealismo assoluto svalutò la Logica aristotelica ; gli herbartiani , ligi a questa , dettero , per altro , rilievo a quei giudizi che dissero narrativi e che hanno carattere del tutto diverso dagli altri giudizi logici ; i linguisti , infine , batterono sull ’ irrazionalità della parola rispetto al concetto . Ma un movimento di riforma consapevole , sicuro , radicale , non può trovare base e punto di partenza se non nella scienza estetica . In una Logica , convenientemente riformata su tale base , converrà anzitutto stabilire questa verità e trarne tutte le conseguenze : il fatto logico , il solo fatto logico , è il concetto , l ' universale , lo spirito che forma , e in quanto forma , l ' universale . E se per induzione s ’ intende , come si è intesa talvolta , la formazione degli universali , e per deduzione lo svolgimento verbale di essi , è chiaro che la Logica vera non può essere se non Logica induttiva . Ma , poiché più frequentemente con la parola “ deduzione ” Si sono avuti di mira i procedimenti propri della matematica , e con la parola “ induzione ” quelli delle scienze naturali , sarà opportuno evitare l ' una e l ' altra denominazione , e dire che la Logica vera è Logica del concetto , il quale , adoperando un metodo che è insieme induzione e deduzione , non adopera né l ' una né l ' altra come distinte , e cioè adopera il metodo che gli è intrinseco ( lo speculativo o dialettico ) . Il concetto , l ' universale è in sé , astrattamente considerato , inesprimibile . Nessuna parola gli è propria . Ciò è tanto vero , che il concetto logico resta sempre il medesimo , nonostante il variare delle forme verbali . Rispetto al concetto , l ' espressione è semplice segno o indizio : non può mancare , un ' espressione dev ' esserci ; ma quale debba essere , questa o quella , è determinato dalle condizioni storiche e psicologiche dell ' individuo che parla : la qualità dell ' espressione non si deduce dalla qualità del concetto . Non vi è un senso vero ( logico ) delle parole : chi forma un concetto , conferisce egli , volta per volta , il senso vero alle parole . Ciò posto , le sole proposizioni davvero logiche ( cioè , estetico - logiche ) , i soli giudizi rigorosamente logici , non possono essere se non quelli che hanno per contenuto proprio ed esclusivo la determinazione di un concetto . Queste proposizioni o giudizi sono le definizioni . La scienza stessa non è se non complesso di definizioni , unificate in una definizione suprema : sistema di concetti , o sommo concetto . Bisogna escludere quindi ( almeno preliminarmente ) dalla Logica tutte quelle proposizioni che non affermano universali . I giudizi narrativi e quelli chiamati non enunciativi da Aristotele , quali le espressioni dei desideri , non sono giudizi propriamente logici , ma o proposizioni puramente estetiche o proposizioni storiche . “ Pietro passeggia ; Oggi piove ; Ho sonno ; Voglio leggere ” : queste e le infinite proposizioni di questo genere non sono se non o un semplice chiudere in parole l ’ impressione del fatto di Pietro che passeggia , della pioggia che cade , del mio organismo che inchina al sonno , e della mia volontà che si dirige alla lettura ; o un ' affermazione esistenziale circa quei fatti . Espressioni del reale o dell ' irreale , fantastico - storiche o fantastico - pure ; non già definizioni di universali . E che cosa deve farsi di tutta quella parte del pensiero umano , che si dice sillogistica , e che consta di giudizi e ragionamenti che s ' aggirano intorno a concetti ? Che cosa è la sillogistica ? È da considerare dall ' alto e sprezzantemente , quasi roba inutile , come si è fatto tante volte , nella reazione degli umanisti contro la scolastica , nell ’ idealismo assoluto , nell ' entusiastica ammirazione dei tempi nostri pei metodi di osservazione e di sperimento delle scienze naturali ? La sillogistica , il ragionare in forma , non è scoperta di verità : è arte di esporre , discettare , disputare con sé stesso e con altri . Movendo da concetti già trovati , da fatti già osservati , e facendo appello alla costanza del vero o del pensiero ( tale è il significato del principio d ' identità e di contradizione ) , essa trae da quei dati le conseguenze , ossia ripresenta il già trovato . Perciò , se sotto l ' aspetto inventivo è un idem per idem , pedagogicamente ed espositivamente è efficacissima . Ridurre le affermazioni allo schematismo sillogistico è un modo di controllare il proprio pensiero e di criticare il pensiero altrui . È facile ridere dei sillogizzanti , ma , se la sillogistica è nata e si mantiene , deve avere le sue buone ragioni . La satira di essa non può colpire se non gli abusi , com ’ è il pretendere di risolvere sillogisticamente questioni che sono di fatto , di osservazione e intuizione o dimenticare per l ' esteriorità sillogistica la profonda meditazione e la spregiudicata investigazione dei problemi . E se al fine di ricordare facilmente , di maneggiare prontamente i dati del proprio pensiero , può soccorrere talvolta la cosidetta Logica matematica , ben venga anche questa forma speciale di sillogistica , augurata , fra i tanti , dal Leibniz e ritentata da parecchi ai giorni nostri . Ma , appunto perché la sillogistica è arte di esporre e di discettare , la teoria di essa non può avere il primo posto in una Logica filosofica , usurpando quello che spetta alla dottrina del concetto , ch ’ è la dottrina centrale e dominante , cui tutto ciò che vi ha di logico nella sillogistica si riduce senza residuo ( rapporti di concetti , subordinazione , coordinazione , identificazione , e via dicendo ) . Né bisogna mai dimenticare che concetto , e giudizio ( logico ) e sillogismo , non stanno sulla stessa linea . Solo il primo è il vero atto logico : il secondo e il terzo sono le forme con cui il primo si manifesta ; le quali , in quanto forme , non possono esaminarsi se non esteticamente ( grammaticalmente ) , e , in quanto hanno contenuto logico , se non trascurando le forme stesse e passando alla dottrina del concetto . Si riconferma con ciò la verità dell ' osservazione comune : che chi ragiona male , parla o scrive anche male : che l ' esatta analisi logica è fondamento dell ' esprimersi bene . Verità , ch ’ è una tautologia : ragionare bene , infatti , è esprimersi bene , perché l ' espressione è il possesso intuitivo del proprio pensiero logico . Lo stesso principio di contradizione non è altro , in fondo , che il principio estetico della coerenza . Si dirà che , movendo da concetti erronei , si può parlare e scrivere benissimo , come si può ragionare benissimo ; che investigatori poco acuti possono essere scrittori limpidissimi , perché lo scrivere bene dipende dall ' avere un ’ intuizione chiara del proprio pensiero , anche se erroneo : non dalla verità scientifica del pensiero , ma dalla sua verità estetica , ed è anzi questa verità stessa . Un filosofo può fantasticare , come lo Schopenhauer , che l ' arte sia rappresentazione delle idee platoniche , dottrina scientificamente errata ; e svolgere questa scienza errata in una prosa eccellente ed esteticamente verissima . Ma a siffatta obiezione abbiamo già risposto quando abbiamo osservato che , nel punto preciso in cui un parlante o uno scrivente enuncia un concetto mal pensato , è anche cattivo parlante e cattivo scrivente ; per quanto possa poi rifarsi nelle tante altre parti del suo pensiero , le quali constano di proposizioni vere , non connesse con l ' errore precedente , e quindi di espressioni limpide , che seguono a espressioni torbide . Tutte le ricerche sulle forme dei giudizi e dei sillogismi sulle loro conversioni e i loro vari rapporti , che ingombrano ancora i trattati di Logica , sono , dunque , destinate ad assottigliarsi , a trasformarsi , a ridursi ad altro . La dottrina del concetto e dell ' organismo dei concetti , definizione , del sistema , della filosofia e delle varie scienze , e simili , ne occuperà il campo ; e costituirà , da sola , la vera e propria Logica . I primi ch ' ebbero qualche sentore del rapporto intimo che corre tra Estetica e Logica , e che concepirono l ’ Estetica come una Logica della cognizione sensibile , si compiacquero singolarmente nell ' applicare le categorie logiche alla nuova scienza , parlando di concetti estetici , giudizi estetici , sillogismi estetici , e così via . Noi , meno superstiziosi verso la saldezza della Logica tradizionale o delle scuole , e più scaltriti sull ’ indole dell ’ Estetica , raccomandiamo , non l ' applicazione della Logica all ’ Estetica , ma la liberazione della Logica dalle forme estetiche , le quali , seguendo distinzioni affatto arbitrarie e grossolane , hanno dato luogo alle inesistenti forme e categorie logiche . La Logica , così riformata , sarà sempre Logica formale , studierà la vera forma o attività del pensiero , il concetto , prescindendo dai singoli e particolari concetti . Quella antica malamente si chiama formale , e meglio si direbbe verbale o formalistica . La Logica formale scaccerà la formalistica . E a questo fine non sarà necessario ricorrere , come altri ha fatto , a una Logica reale o materiale , che non è più scienza del pensiero , ma pensiero in atto : non Logica soltanto , ma il complesso e l ' unità della Filosofia , in cui la Logica anche è inclusa . La scienza del pensiero ( Logica ) è quella del concetto , come la scienza della fantasia ( Estetica ) è quella dell ' espressione . Nell ' eseguire esattamente , e in ogni particolare , la distinzione tra i due domini è riposta la salute dell ' una e dell ' altra scienza . VI . L ' ATTIVITÀ TEORETICA E L ' ATTIVITÀ PRATICA . Forma intuitiva e forma intellettiva esauriscono , come abbiamo detto , tutto il dominio teoretico dello spirito . Ma non si può conoscerle a pieno , né criticare un ' altra serie di dottrine estetiche erronee , se prima non si stabiliscono chiaramente le relazioni dello spirito teoretico con lo spirito pratico . La forma o attività pratica è la volontà . Questa parola non è qui presa da noi nel senso di qualche sistema filosofico , in cui la volontà è il fondamento dell ' universo , il principio delle cose , la realtà vera ; e neanche nel senso ampio di altri sistemi , i quali intendono per volontà l ' energia dello spirito , lo spirito o l ' attività in genere , facendo di ogni atto dello spirito umano un atto di volontà . Né quel senso metafisico né quest ' uso metaforico è il nostro . La volontà è per noi , come nella comune accezione , l ' attività dello spirito diversa dalla mera teoria o contemplazione delle cose , e produttrice non di conoscenze ma di azioni . L ' azione in tanto è davvero azione in quanto è volontaria . Non occorrerebbe poi neppure ricordare che nella volontà del fare è incluso , in senso scientifico , anche ciò che volgarmente si chiama non - fare : la volontà del resistere , del ripugnare , la volontà prometeica , che è anch ' essa azione . Con la forma teoretica l ' uomo comprende le cose , con la pratica le viene mutando ; con l ' una si appropria l ' universo , con l ' altra lo crea . Ma la prima forma è base della seconda ; e si ripete tra le due , più in grande , il rapporto di doppio grado , che abbiamo già ritrovato tra l ' attività estetica e la logica . Un conoscere , indipendente dal volere , è ( almeno in certo senso ) pensabile ; una volontà , indipendente dal conoscere , è impensabile . La volontà cieca non è volontà ; la volontà vera è occhiuta . Come si può volere se non si hanno innanzi intuizioni storiche di oggetti ( percezioni ) e conoscenze di rapporti ( logici ) , che illuminino sulla qualità di quegli oggetti ? Come si può volere davvero , se non conosciamo il mondo che ci circonda , e il modo di cangiar le cose operando su di esse ? È stato obiettato che gli uomini d ' azione , gli uomini pratici in senso eminente , sono i meno disposti al contemplare e teorizzare : la loro energia non si attarda in contemplazioni , si precipita subito in volontà ; e che , per converso , i contemplatori e i filosofi sono di frequente uomini pratici ben mediocri , di debole volontà , negletti perciò e messi da banda nelle lotte della vita . È facile scorgere che queste distinzioni sono meramente empiriche e quantitative . Certo , l ' uomo pratico , per operare , non ha bisogno di un elaborato sistema filosofico ; ma , nelle sfere in cui egli opera , muove da intuizioni e concetti che ha chiarissimi . Fino le più ordinarie azioni non potrebbero , altrimenti , esser volute ; non sarebbe possibile neppur cibarsi volontariamente , se non si avesse conoscenza del cibo e del legame di causa ed effetto tra certi movimenti e certi appagamenti ; e , salendo via via alle forme più complesse d ' azione , per esempio , all ' azione politica , come si potrebbe volere alcunché di politicamente adatto , senza conoscere le condizioni reali della società , cioè i mezzi ed espedienti da adoperare ? Quando l ' uomo pratico si accorge di essere all ' oscuro circa uno o più di questi punti , o quando è preso dal dubbio , l ' azione o non comincia o s ' arresta ; il momento teoretico che , nel rapido succedersi delle azioni umane , viene appena avvertito ed è presto dimenticato , appare allora importante e occupa più a lungo la coscienza . E , se quello si prolunga ancora , l ' uomo pratico può diventare Amleto , diviso tra il desiderio dell ' azione e la poca chiarezza teoretica circa le situazioni e i mezzi ; e se egli , prendendo gusto al contemplare e al meditare , lascia agli altri , in misura più o meno larga , il volere e l ' operare , si forma in lui la calma disposizione dell ' artista e dello scienziato e filosofo , talvolta uomini pratici inetti o addirittura dannosi . Tutte coteste sono ovvie osservazioni , di cui non si può sconoscere la giustezza ; ma , ripetiamo , si fondano sopra distinzioni quantitative e non distruggono , anzi confermano il fatto , che un ' azione , per piccola che sia , non può essere azione davvero , cioè azione voluta , se non preceduta dall ' attività conoscitiva . Alcuni psicologi fanno , per altro , precedere l ' azione pratica da una classe tutta speciale di giudizi , ch ' essi chiamano giudizi pratici o di valore . Per risolversi a un ' azione ( dicono ) , è necessario aver giudicato e pronunziato : “ quest ' azione è utile , quest ' azione è buona ” . La quale teoria sembra a prima vista che abbia dalla sua il testimonio della coscienza . Ma chi meglio osservi e più sottilmente analizzi si accorge che quei giudizi , anziché precedere , seguono l ' affermarsi della volontà ; e non sono se non l ' espressione della già accaduta volizione . Un ' azione utile o buona è un ' azione voluta : dall ' esame obiettivo delle cose sarà sempre impossibile distillare una goccia sola di utilità o di bontà . Noi non vogliamo le cose , perché le conosciamo utili o buone ; ma le conosciamo utili e buone , perché le vogliamo . Anche qui la rapidità con la quale si seguono i fatti di coscienza è causa d ’ illusione . L ' azione pratica è preceduta da conoscenza , ma non da conoscenze pratiche , o meglio , del pratico : per aver queste , è necessario che si abbia prima l ' azione pratica . Tra i due momenti o gradi , teoretico e pratico , non s ' interpone dunque il terzo momento , affatto immaginario , dei giudizi pratici o di valore . D ' altra parte , e in generale , non esistono scienze normative , regolative o imperative , che scoprano e indichino valori all ' attività pratica ; anzi , non ne esistono per nessuna qualsiasi attività , presupponendo ogni scienza che sia già realizzata e svolta quell ' attività , che essa poi assume a oggetto . Stabilite queste distinzioni , dobbiamo condannare come erronea ogni teoria che aggreghi l ' attività estetica a quella pratica , o le leggi della seconda introduca nella prima . Che la scienza sia teoria e l ' arte sia pratica , è stato affermato molte volte . E quelli che così affermano e il fatto estetico considerano come fatto pratico , nol fanno a capriccio o perché brancolino nel . vuoto , ma perché hanno l ' occhio a qualcosa ch ’ è veramente pratico . Senonché il pratico a cui essi mirano non è l ' estetico né dentro l ' estetico , ma è fuori e accanto a esso ; e , quantunque frequentemente vi si trovi congiunto , non vi si congiunge necessariamente , ossia per identità di natura . Il fatto estetico si esaurisce tutto nell ' elaborazione espressiva delle impressioni . Quando abbiamo conquistato la parola interna , concepito netta e viva una figura o una statua , trovato un motivo musicale , l ' espressione è nata ed è completa : non ha bisogno d ' altro . Che noi poi apriamo e vogliamo aprir la bocca per parlare o la gola per cantare , e cioè diciamo a voce alta e a gola spiegata quanto abbiamo già sommessamente detto e cantato a noi stessi ; o stendiamo e vogliamo stender le mani a toccare i tasti del pianoforte o a prendere i pennelli e lo scalpello , eseguendo , per così dire , in grande quei movimenti che già abbiamo eseguito in piccolo e rapidamente , e traducendoli in una materia dove ne restino tracce più o meno durature ; è questo un fatto sopraggiunto , che obbedisce a tutt ' altre leggi che non il primo , e del quale , per ora , non dobbiamo tener conto ; benché fin da ora riconosciamo che esso è produzione di cose e fatto pratico o di volontà . Si suoi distinguere l ' opera d ' arte interna dall ' opera d ' arte esterna : la terminologia ci pare infelice , perché l ' opera d ' arte ( l ' opera estetica ) è sempre interna ; e quella che si chiama esterna non è più opera d ' arte . Altri distingue tra fatto estetico e fatto artistico , intendendo pel secondo lo stadio esterno e pratico , che può seguire ( come segue infatti di solito ) al primo . Ma si tratta , in tal caso , di semplice uso linguistico , lecito senza dubbio , sebbene forse non opportuno . Per le stesse ragioni è assurda la ricerca del fin e dell ' arte , quando s ’ intenda dell ' arte in quanto tale . E poiché porre un fine vale scegliere , una variante dello stesso errore è la pretesa che il contenuto dell ' arte debba essere scelto . Una scelta tra sensazioni o impressioni suppone che queste siano già espressioni : altrimenti , come scegliere nel continuo e nell ' indistinto ? Scegliere è volere : voler questo e non voler quello ; e questo e quello debbono stare innanzi , espressi . Il pratico segue e non precede il teoretico ; l ' espressione è libera ispirazione . L ' artista vero , infatti , si trova gravido del suo tema e non sa come ; sente avvicinarsi il parto , ma non può volerlo o non volerlo . Se egli volesse operare a controsenso della sua ispirazione , se volesse sceglierla arbitrariamente , se , nato Anacreonte , volesse cantare di Atride e di Alcide , la cetra l ' avvertirebbe dello sbaglio , risonando , nonostante i suoi sforzi in contrario , sol di Venere e d ' Amore . Perciò il tema o il contenuto non può essere colpito praticamente e moralmente da aggettivi di lode o di biasimo . Quando i critici d ' arte notano che un tema è male scelto , si tratta , nei casi in cui quell ' osservazione ha fondamento giusto , di un biasimo non veramente alla scelta del tema , ma al modo col quale l ' artista l ’ ha trattato , all ' espressione non riuscita per le contradizioni che contiene . E quando gli stessi critici innanzi a opere che giudicano sotto l ' aspetto artistico perfette protestano contro il tema o contenuto di esse come cosa indegna dell ' arte e biasimevole ; posto che quelle opere siano poi davvero perfette , non resta se non consigliare ai critici di lasciare in pace gli artisti , i quali s ' ispirano dì necessità a ciò che ha mosso il loro animo , e provvedere invece , se mai , a promuovere mutamenti nella natura circostante o nella società , perché quegli stati d ' animo e quelle impressioni non abbiano a prodursi di nuovo . Se le brutture spariranno dal Inondo , se si stabilirà la virtù e felicità universale , gli artisti , chi sa ? , non saranno più rappresentatori di sentimenti malvagi o pessimistici , ma calmi , innocenti e giulivi , arcadi di un ' Arcadia reale . Ma , fintanto che brutture e turpitudini sono in natura e s ' impongono all ' artista , non si può impedire che sorga anche l ' espressione correlativa ; e , quando è sorta , factum infectum fieri nequit . Si potrà provvedere a non lasciar divulgare questa o quella opera d ' arte , presso questa o quella persona , in questa o quella condizione ; ma tutto ciò non riguarda l ' arte e appartiene ad altro discorso , come si vedrà più oltre . A noi non spetta qui passare a rassegna i danni che la critica della “ scelta ” reca alla produzione artistica , coi pregiudizi che produce o mantiene negli artisti stessi , e coi contrasti , a cui dà luogo , tra spinte artistiche e imposizioni critiche . Vero è che talora sembra che essa faccia anche qualche bene , aiutando gli artisti a scoprire sé medesimi , ossia le proprie impressioni e la propria ispirazione , e ad acquistare coscienza dell ' ufficio che viene loro come affidato dal momento storico in cui vivono e dal loro individuale temperamento . In questi casi , pur credendo di generare , la critica della scelta non fa se non riconoscere e aiutare le espressioni già in via di formazione . S ' illude d ' essere madre , dove , tutto al più , è soltanto levatrice . L ' impossibilità della scelta del contenuto compie il teorema dell ’ indipendenza dell ' arte ; ed è anche il solo significato legittimo del motto : l ' arte per l ' arte . L ' arte è indipendente così dalla scienza come dall ' utile e dalla morale . Né si nutra timore che con ciò si riesca a giustificare l ' arte frivola o fredda , perché ciò che è davvero frivolo o freddo è tale solo in quanto non è stato innalzato a espressione ; o , in altri termini , la frivolezza e la freddezza nascono sempre dalla forma dell ' elaborazione estetica , dal mancato possesso di un contenuto e non dalle qualità materiali del contenuto stesso . Anche la vulgata sentenza : lo stile è l ' uomo , non si può esaminare e criticare in modo compiuto se non partendo dalla distinzione fra il teoretico e il pratico e dal carattere teoretico dell ' attività estetica . L ' uomo non è semplice conoscere e contemplare : l ' uomo è volontà , la quale comprende in sé il momento conoscitivo . Onde quella sentenza o è del tutto vuota , come nei casi in cui s ’ intende che lo stile sia l ' uomo in quanto stile , cioè l ' uomo , si , ma solo in quanto attività espressiva ; ovvero è erronea , sempreché da ciò che l ' uomo ha visto ed espresso si pretenda dedurre ciò che l ' uomo ha fatto o voluto , affermandosi , insomma , che tra un conoscere e un volere ci sia legame di logica conseguenza . Da codesta erronea identificazione sono sorte molte leggende nelle biografie degli artisti , sembrando impossibile che chi espresse sentimenti generosi non fosse poi , nella vita pratica , uomo nobile e generoso ; o che chi fece dare molte pugnalate nei suoi drammi non ne avesse somministrato almeno qualcuna egli stesso nella vita reale . E invano gli artisti protestano col “ lasciva est nobis pagina , vita proba ” . Ne ricavano , di giunta , la taccia di bugiardi o d ' ipocriti . Oh , ben più caute donnicciuole di Verona , che almeno appoggiavate la vostra credenza , che Dante fosse sceso realmente all ’ Inferno , sul suo viso affumicato ! La vostra , se non altro , era una congettura storica . E , finalmente , la sincerità imposta come obbligo all ' artista ( questa legge etica , si dice , ch ’ è insieme legge estetica ) riposa sopra un altro doppio senso . Giacché , o per sincerità s ' intende il dovere morale di non ingannare il prossimo ; e , in tal caso , è cosa estranea all ' artista . Il quale , infatti , non inganna nessuno , perché dà forma a ciò ch ’ è già nel suo animo , e ingannerebbe solo se tradisse il suo dovere d ' artista , venendo meno all ' intrinseca necessità del compito suo . Se nel suo animo è l ' inganno e la menzogna , la forma ch ' egli dà a quei fatti , appunto perché estetica , non può essere , essa , inganno o menzogna . L ' artista purifica perfino l ' altro sé stesso , ciarlatano , menzognero , malvagio , col rappresentarlo artisticamente . Ovvero per sincerità s ' intende la pienezza e verità dell ' espressione ; ed è chiaro che questo secondo senso non ha nessun rapporto col concetto etico . La legge , che si dice insieme etica ed estetica , si scopre , in questo caso , nient ' altro che un vocabolo usato insieme e dall ’ Etica e dall ’ Estetica . VII . ANALOGIA FRA IL TEORETICO E IL PRATICO . Il doppio grado , estetico e logico , dell ' attività teoretica ha un importante riscontro , finora non messo in luce come si doveva , nell ' attività pratica . Anche l ' attività pratica si partisce in un primo e secondo grado , questo implicante quello . Il primo grado pratico è l ' attività meramente utile o economica ; il secondo , l ' attività morale . L ’ Economia è come l ’ Estetica della vita pratica ; la Morale , come la Logica . Se ciò non è stato visto chiaramente dai filosofi , se al concetto dell ' attività economica non è stato assegnato il posto conveniente nel sistema dello spirito e lo si è lasciato errare , spesso incerto e poco elaborato , nei prologhi dei trattati di Economia politica , questo si deve , tra l ' altro , al fatto che l ' utile o economico è stato scambiato ora col concetto del tecnico , ora con quello dell ' egoistico . La tecnici t à non è , di certo , una speciale attività dello spirito . Tecnica è conoscenza ; o , per meglio dire , è la conoscenza stessa in genere che prende quel nome in quanto serve di base , come abbiamo visto , all ' azione pratica . Una conoscenza , che non è seguita , o si presume che non possa essere facilmente seguita da un ' azione pratica , si chiama “ pura ” : la stessa conoscenza , se è seguita effettivamente da quella , si chiama “ applicata ” : se si presume che possa esser facilmente seguita da una particolare azione , “ applicabile ” o « tecnica » . Questa parola indica , dunque , una situazione in cui una conoscenza si trova o può facilmente trovarsi , non già una forma speciale di conoscenza . Ciò è tanto vero che riuscirebbe affatto impossibile determinare se un certo ordine di conoscenze sia , intrinsecamente , puro o applicabile . Ogni conoscenza , per astratta e filosofica che si voglia dirla , può esser guida di atti pratici : un errore teoretico nei principi ultimi della morale può riflettersi , e si riflette sempre in qualche modo , nella vita pratica . Solo a un dipresso , e in sede non scientifica , è dato considerare alcune verità come “ pure ” e altre come “ applicabili ” . Le stesse conoscenze , quando si chiamano tecniche , possono chiamarsi anche u t i l i . Ma la parola “ utile ” , conformemente alla critica dei giudizi di valore fatta di sopra , è da ritenere qui come di uso linguistico o metaforico . Allorché si dice che l ' acqua è utile per spegnere il fuoco , si usa in modo non scientifico la parola “ utile ” . L ' acqua gettata sul fuoco è causa che questo si spenga : ecco la conoscenza , che serve di fondamento all ' azione , poniamo , dei pompieri . Tra l ' azione utile di chi spegne l ' incendio , e quella conoscenza , e ’ è legame non di natura , ma di semplice successione . La tecnica degli effetti dell ' acqua è l ' attività teoretica che precede ; utile è veramente solo l ' azione di chi spegne il fuoco . Alcuni economisti identificano l ' utilità , cioè l ' azione o volontà meramente economica , con ciò ch ’ è giovevole all ’ individuo in quanto individuo , senza , riguardo , anzi in piena opposizione alla legge morale : con l ' egoistico . L ' egoistico è l ’ immorale , e l ’ Economia sarebbe , in tal caso , una scienza assai bizzarra : sorgerebbe , non accanto ma di fronte all ’ Etica , come il diavolo di fronte a Dio , o , almeno , come l ' advocatus diaboli nei processi di santificazione . Un concetto siffatto è del tutto inammessibile : la scienza dell ’ immoralità è implicita in quella della moralità , come la scienza del falso è implicita nella Logica , scienza del vero , e una scienza dell ' espressione sbagliata , nell ’ Estetica , scienza dell ' espressione riuscita . Se , dunque , l ’ Economia fosse la trattazione scientifica dell ' egoismo , essa sarebbe un capitolo dell ’ Etica , anzi l ’ Etica stessa ; perché ogni determinazione di quel che è morale importa , insieme , una negazione del suo contrario . D ' altra parte , la coscienza ci dice che condursi economicamente non è condursi egoisticamente ; che anche l ' uomo moralmente più scrupoloso deve condursi utilmente ( economicamente ) , se non vuol operare a caso e , per conseguenza , in modo poco morale . Come , dunque , se utilità fosse egoismo , l ' altruista avrebbe il dovere di condursi da egoista ? La difficoltà si risolve , se non c ’ inganniamo , in modo perfettamente analogo a quello nel quale si risolve il problema delle relazioni tra l ' espressione e il concetto , tra Estetica e Logica . Volere economicamente è volere un fine ; volere moralmente è volere il fine razionale . Ma appunto chi vuole e opera moralmente non può non volere e operare utilmente ( economicamente ) . Come potrebbe volere il fine razionale , se non lo volesse insieme come fine suo particolare ? La reciproca non è vera ; come non è vero in scienza estetica che il fatto espressivo debba essere di necessità congiunto col fatto logico . Si può volere economicamente , senza volere moralmente ; ed è possibile condursi con perfetta coerenza economica seguendo un fine obbiettivamente irrazionale ( immorale ) , o , piuttosto , che tale sarà giudicato in un grado superiore della coscienza . Esempio di carattere economico disgiunto da quello morale è l ' uomo del Machiavelli , Cesare Borgia , o il Jago dello Shakespeare . Chi può non ammirare la forza della loro volontà , benché l ' attività loro sia soltanto economica e si esplichi in opposizione a ciò che noi giudichiamo morale ? Chi può non ammirare il ser Ciappelletto del Boccaccio , il quale , fin sul letto di morte , persegue e mette in atto il suo ideale di completo briccone , facendo esclamare ai piccioletti e timidi ladruncoli che assistono alla sua confessione canzonatoria : “ Che uomo è costui il quale né vecchiezza , né infermità , né paura di morte alla quale si vede vicino , né ancora di Dio , innanzi al giudizio del quale di qui a piccola ora si aspetta di dover essere , dalla sua malvagità lo hanno potuto rimuovere , né far che così egli non voglia morire come egli è vissuto ? ” . L ' uomo morale congiunge alla pertinacia e impavidità di un Cesare Borgia , di un Jago , o di un ser Ciappelletto , la buona volontà del santo o dell ' eroe . O , meglio , la buona volontà non sarebbe volontà e , per conseguenza , neanche buona , se , oltre il lato che la rende buona , non avesse quello che la fa volontà . Così un pensiero logico che non riesca a esprimersi non è pensiero , ma , tutt ' al più , presentimento confuso di un pensiero di là da venire . Non è esatto , dunque , concepire l ' uomo amorale come insieme antieconomico , o far della morale un elemento di coerenza negli atti della vita e perciò di economicità . Niente ci vieta di supporre ( ipotesi che si verifica almeno in certi periodi e momenti , se non per vite intere ; e in senso eminente se non in senso totale e assoluto ) un uomo affatto privo di coscienza morale . In un uomo così conformato , quella che per noi è immoralità , per lui non è tale , perché non sentita come tale . E non può nascere in lui la coscienza della contradizione tra ciò che si vuole come fine razionale e ciò cui si corre dietro egoisticamente : contradizione , ch ’ è antieconomicità . Il procedere immorale diventa insieme antieconomico solo nell ' uomo fornito di coscienza morale . Infatti , il rimorso morale , che è l ' indice di questa , è , insieme , rimorso economico : dolore , cioè , di non aver saputo volere completamente e raggiungere quell ' ideale morale che si era voluto in un primo momento , innanzi di lasciarsi sviare dalle passioni . “ Video meliora proboque , deteriora sequor ” . Il video e il probo sono qui un volo iniziale e tosto contradetto e soverchiato . In luogo del rimorso morale si deve ammettere nell ' uomo privo di senso morale , un rimorso meramente economico : come sarebbe quello di un ladro o di un assassino , il quale , già sul punto dI rubare o assassinare , se ne astenga , non per una conversione del suo essere , ma per impressionabilità e smarrimento , o anche per momentaneo risveglio di coscienza morale . Tornato in sé , quel ladro o quell ' assassino avrà vergogna e rimorso della sua incoerenza : rimorso non di aver fatto il male , ma di non averlo fatto ; rimorso , dunque , economico e non morale , essendo quest ' ultimo escluso per ipotesi . Che poi , ordinariamente , per esser viva la coscienza morale nel comune degli uomini e l ' assenza totale di essa una rara e forse inesistente mostruosità , la moralità coincida con l ' economicità nella pratica della vita , può ben concedersi . E non si tema che l ' analogia da noi affermata introduca da capo in etica la categoria del moralmente indifferente , di ciò ch ’ è bensì azione o volizione , ma non è né morale né immorale : quella categoria , insomma , del lecito e del permissivo , ch ’ è stata sempre causa o specchio di corruttela etica , come si vide nella morale gesuitica , dove essa dominava . Resta ben saldo che azioni moralmente indifferenti non esistono , perché l ' attività morale pervade e deve pervadere ogni più piccolo movimento volitivo dell ' uomo . Ma ciò , anziché scuotere il parallelo istituito , lo conferma . Vi sono forse intuizioni che l ' intelletto e la scienza non pervadano e analizzino , sciogliendole in concetti universali o mutandole in affermazioni storiche ? Abbiamo già visto che la vera scienza , la filosofia , non conosce limiti estrinseci innanzi ai quali debba arrestarsi , come invece accade alle cosiddette scienze naturali . Scienza e morale dominano interamente l ' una le rappresentazioni estetiche , l ' altra le volizioni economiche dell ' uomo ; benché poi l ' una e l ' altra non possano in concreto apparir mai se non in forma estetica l ' una , economica l ' altra . Questa identità e differenza insieme dell ' utile e del morale , dell ' economico e dell ' etico , spiega la fortuna che ha avuto , e ha ancora , la teoria utilitaria dell ’ Etica . Infatti , è facile ritrovare e porre in mostra in qualsiasi azione morale un lato utilitario ; com ’ è facile mostrare in ogni proposizione logica un lato estetico . La critica dell ' utilitarismo etico non può muovere dal negare questa verità , affannandosi a cercare esempi inesistenti e assurdi di azioni morali inutili ; ma deve anzi ammettere il lato utilitario e spiegarlo come la forma concreta della moralità , la quale consiste in ciò ch ’ è d entro questa forma : un di dentro , che gli utilitaristi non scorgono . Non è questo il luogo dove si possano svolgere con la debita ampiezza tali idee ; ma l ’ Etica e l ’ Economica ( come abbiamo detto della Logica e dell ’ Estetica ) non potranno non avvantaggiarsi entrambe di una più esatta determinazione dei rapporti che intercedono tra loro . Al concetto attivistico dell ' utile si va ora lentamente sollevando la scienza economica col tentar di superare la fase matematicistica , nella quale ancora si trova impigliata : fase ch ’ è stata progressiva , a sua volta , per superare lo storicismo , ossia la confusione del teorico con lo storico , e per distruggere una serie di distinzioni arbitrarie e di false teorie economiche . Con quel concetto sarà agevole , da una parte , accogliere e inverare le teorie semifilosofiche della cosiddetta Economia pura , e , dall ' altra , introducendo successive complicazioni e aggiunte , e facendo passaggio dal metodo filosofico all ' empirico o naturalistico , discendere alle teorie particolari del ] ’ Economia politica o nazionale delle scuole . Come l ' intuizione estetica conosce il fenomeno o la natura , e il concetto filosofico , il noumeno o lo spirito , così l ' attività economica vuole il fenomeno o la natura , e quella morale il noumeno o lo spirito . Lo spirito che vuole sé stesso , il vero sé stesso , l ' universale ch ’ è nello spirito empirico e finito : ecco la formola , che forse meno impropriamente definisce il concetto della moralità . Questa volizione del vero sé stesso è l ' assoluta l i b e r t à . VIII . ESCLUSIONE DI ALTRE FORME SPIRITUALI . In questo schizzo sommario che abbiamo dato dell ' intera Filosofia dello spirito nei suoi momenti fondamentali , lo spirito è concepito , dunque , come percorrente quattro momenti o gradi , disposti in modo che l ' attività teoretica stia alla pratica come il primo grado teoretico sta al secondo teoretico e il primo pratico al secondo pratico . I quattro momenti s ' implicano regressivamente per la loro concretezza : il concetto non può stare senza l ' espressione , l ' utile senza l ' una e l ' altro , e la moralità senza i tre gradi che precedono . Se soltanto il fatto estetico è , in certo senso , indipendente , e gli altri sono più o meno dipendenti , il meno spetta al pensiero logico e il più alla volontà morale . L ' intenzione morale opera su date basi teoretiche , dalle quali non può prescindere , salvo che non si voglia ammettere quell ' assurdo pratico , ch ' è la gesuitica direzione d ’ intenzione , in cui si finge a sé stesso di non sapere ciò che si sa troppo bene . Se l ' attività umana assume quattro forme , quattro sono anche le forme del genio o della genialità . Veramente , geni dell ' arte , della scienza , della volontà morale o eroi , sono stati sempre riconosciuti . Ma il genio della pura economicità ha suscitato ripugnanza ; e non senza qualche ragione si è foggiata una categoria di cattivi geni o i geni del male . Il genio pratico , meramente economico , che non si dirige a un fine razionale , non può non destare un ' ammirazione mista di spavento . Disputare poi se la parola « genio » si debba dare solo ai creatori di espressioni estetiche , o anche ai ricercatori della scienza e agli uomini dell ' azione , sarebbe far questione di parole . E osservare , d ' altra parte , che il “ genio ” , di qualunque specie sia , è sempre un concetto quantitativo e una distinzione empirica , sarebbe ripetere ciò che si è già spiegato a proposito della genialità artistica . Una quinta forma di attività dello spirito non esiste . Sarebbe agevole andare mostrando come tutte le altre forme o non abbiano carattere di attività o siano varianti verbali delle attività già esaminate o fatti complessi e derivati , nei quali le varie attività si mescolano e si riempiono di contenuti particolari e contingenti . Per esempio , il fatto giuridico , considerato in quel che si suole chiamare diritto oggettivo , deriva dalla attività economica e dalla logica insieme : il diritto è una regola , una formola ( orale o scritta , qui importa poco ) , in cui è fissato un rapporto economico voluto da un individuo o da una collettività e che per questo lato economico si unisce e si distingue insieme dall ' attività morale . Un altro esempio : la sociologia viene talvolta concepita ( ed è uno dei tanti significati che prende ai tempi nostri questa parola ) come lo studio di un elemento originario , che si dice socialità . Ma che cosa distingue la socialità , ossia i rapporti che si sviluppano in un ' accolta di uomini e non già in una di esseri subumani , se non appunto le varie attività spirituali che sono nei primi e che si suppone non siano , o siano solo in grado rudimentale , nei secondi ? La socialità , dunque , nonché concetto originario , semplice , irriducibile , è concetto molto complesso e complicato . Prova ne sia l ' impossibilità , generalmente riconosciuta , di enunciare una sola legge propriamente sociologica . Quelle che impropriamente si chiamano con tal nome , si svelano o empiriche osservazioni storiche o leggi spirituali ( ossia giudizi nei quali si traducono i concetti delle attività spirituali ) ; quando non si disperdano addirittura in vaghe e vuote generalità , come la cosiddetta legge dell ' evoluzione . E talvolta per “ socialità ” non s ' intende altro che “ regola sociale ” , e quindi “ Diritto ” ; nella quale accezione la sociologia si confonde con la scienza e teoria del diritto . Diritto , socialità e simili concetti sono , insomma , da trattare in modo analogo a quello onde abbiamo considerato e risoluto la storicità e la tecnica . Può parere che altro giudizio convenga fare dell ' attività religiosa . Ma la religione è , in verità , conoscenza , e non si distingue dalle altre forme e sottoforme di questa , perché , a volta a volta , è espressione di aspirazioni e d ' ideali pratici ( ideali religiosi ) o racconto storico ( leggenda ) o scienza per concetti ( dommatica ) . Perciò può alla pari sostenersi , e che la religione venga distrutta dal progresso della conoscenza umana , e che essa persista sempre in questa . Religione era tutto il patrimonio di conoscenze dei popoli primitivi : il nostro patrimonio di conoscenze è la nostra religione . Il contenuto si è mutato , migliorato , affinato , e muterà e migliorerà e si affinerà ancora in futuro ; ma la forma è sempre la medesima . Coloro che accanto alla attività teoretica del ] ' uomo , alla sua arte , alla sua critica , alla sua filosofia , vogliono serbare una religione , non sappiamo poi a quale uso se ne varrebbero . È impossibile conservare una conoscenza imperfetta e inferiore , quale è la religiosa , accanto a ciò che l ’ ha superata e inverata . Il cattolicismo , sempre coerente , non tollera una scienza , una storia , un ' etica in contradizione con le sue concezioni e dottrine ; meno coerenti , i razionalisti si dispongono a fare un po ’ di largo nelle loro anime a una religione , ch ’ è in contradizione con tutto il loro mondo teoretico . Queste smancerie e tenerezze religiose dei razionalisti ai nostri tempi derivano , in ultima analisi , dal culto superstizioso , che si è prodigato alle scienze naturali . Le quali , come sappiamo , e come oramai esse medesime confessano per bocca dei loro maggiori cultori , sono tutte circondate da limiti . Identificata a torto la Scienza con le cosiddette scienze naturali , era da prevedere che si sarebbe dovuto chiedere il complemento alla religione : quel complemento di cui lo spirito dell ' uomo non può far di meno . Al materialismo , al positivismo , al naturalismo noi siamo , dunque , debitori di questa malsana , e spesso non ingenua , rifioritura di esaltazione religiosa , che è roba da ospedale quando non è roba da politici . La filosofia toglie ogni ragion d ' essere alla religione , perché le si sostituisce . Quale scienza dello spirito , essa guarda alla religione come a un fenomeno , a un fatto storico e transitorio , a uno stato psichico superabile . E se divide il regno della conoscenza con le discipline naturali , con la storia e con l ' arte , lasciando alle prime il contare e misurare e classificare , alla seconda il rappresentare l ' individuale accaduto e alla terza quello possibile ; non ha nulla da spartire con la religione . Per la stessa ragione , in quanto scienza dello spirito , la filosofia non può essere filosofia del dato intuitivo ; epperò , come si è veduto , né filosofia della storia né filosofia della natura , non potendosi concepire scienza filosofica di ciò che non è forma e universale , ma materia e particolare . Il che torna ad affermare l ' impossibilità della Metafisica . Alla filosofia della storia è succeduta la metodologia o logica della storia ; a quella della natura , una gnoseologia dei concetti che si adoperano nelle scienze naturali . Quel che la filosofia può studiare della storia è il modo come essa si costruisce ( intuizione , percezione , documento , probabilità , ecc . ) ; quel che può studiare delle scienze naturali sono le forme di concetti che le costituiscono ( spazio , tempo , moto , numero , tipi , classi , ecc . ) . La filosofia , che si atteggia come metafisica nel senso sopraindicato , pretenderebbe , invece , muovere concorrenza alla storia e alle scienze naturali , le sole legittime e capaci nel loro campo ; e concorrenza che non potrebbe non riuscire , nel fatto , cosa da guastamestieri . In questo significato noi ci dichiariamo antimetafisici , pur dichiarandoci ultrametafisici , allorché si voglia con quella parola rivendicare e affermare l ' ufficio della filosofia come autocoscienza dello spirito , distinto dall ' ufficio meramente empirico e classificatorio delle scienze naturali . La Metafisica , per sostenersi accanto alle scienze dello spirito , ha dovuto postulare una specifica attività dello spirito della quale essa sarebbe l ' opera perpetua . Chiamata , nell ' antichità , fantasia mentale o superiore , e nei tempi moderni , più spesso , intelletto intuitivo o intuizione intellettuale , quest ' attività riunirebbe in forma tutta propria il carattere della fantasia e quello dell ’ intelletto ; darebbe il modo di passare per deduzione o per dialettica dall ’ infinito al finito , dalla forma alla materia , dal concetto all ' intuizione , dalla scienza alla storia , operando con un metodo che compenetrerebbe universale e particolare , astratto e concreto , intuizione e intelletto . Facoltà veramente mirabile e che non sappiamo se poi sarebbe gran vantaggio o gran danno possedere ; ma di cui chi , come noi , non la possiede , non ha modo di assodare l ' esistenza . L ’ intuizione intellettuale è stata talvolta considerata come la vera attività estetica ; tal ' altra le è stata collocata accanto , o sotto , o sopra , una facoltà estetica non meno mirabile , affatto diversa dalla semplice intuizione , e della quale si sono celebrate le glorie , attribuendole la produzione dell ' arte , o almeno alcuni gruppi , arbitrariamente messi insieme , di produzione artistica . Arte , religione e filosofia sono sembrate a volte una sola , a volte tre distinte facoltà dello spirito , restando ora questa ora quella di esse superiore nella dignità assegnata a ciascuna . È impossibile enumerare tutti i vari atteggiamenti , che ha assunto e che può assumere questa concezione , che diremo mistica , dell ’ Estetica . Con essa siamo nei domini , non più della scienza della fantasia , ma della fantasia stessa , che crea il suo mondo con gli elementi mutevoli delle impressioni e del sentimento . Basti accennare che quella facoltà misteriosa è stata concepita ora come pratica , ora come media fra la teoretica e la pratica , talvolta ancora come forma teoretica concorrente con la religione e con la filosofia . Da quest ' ultima concezione è stata talvolta dedotta l ' immortalità dell ' arte , come appartenente insieme con le due sorelle alla sfera dello spirito assoluto . Tal ' altra , invece , considerando che la religione è mortale e si dissolve nella filosofia , è stata annunziata la mortalità , anzi la morte già accaduta , o almeno l ' agonia , dell ' arte . Questione che per noi non ha significato ; giacché , posto che la forma dell ' arte è un grado necessario dello spirito , domandare se l ' arte sia eliminabile sarebbe né più né meno come domandare se sia eliminabile la sensazione o l ' intelligenza . Ma la Metafisica nel senso predetto , trasportandoci in un mondo arbitrario , è incriticabile nei suoi particolari , come non si critica la botanica del giardino di Alcina o la cinetica del viaggio di Astolfo . La critica si fa soltanto , ricusando di entrare nel gioco ; rigettando , cioè , la possibilità stessa della Metafisica , sempre nel significato sopradetto . Non , dunque , intuizione intellettuale nella filosofia , né il surrogato o l ' analogo di essa nell ' arte , l ' intuizione intellettuale estetica . Oltre i quattro gradi dello spirito che la coscienza ci rivela , non esiste ( sia lecito insistere ) un quinto grado , una quinta e suprema facoltà teoretica o teoretico - pratica , fantastico - intellettuale o intellettuale - fantastica , o come altro si tenti di concepirla . IX . INDIVISIBILITÀ DELL ' ESPRESSIONE IN MODI O GRADI E CRITICA DELLA RETTORICA . Si sogliono dare lunghi cataloghi dei caratteri dell ' arte ; ma a noi , giunti a questo punto della trattazione , dopo avere considerato l ' arte come attività spirituale , come attività teoretica e come speciale attività teoretica ( intuitiva ) , è dato agevolmente scorgere che quelle numerose e svariate determinazioni di caratteri , tutte le volte che accennano a qualcosa di reale , non fanno altro che ripresentare ciò che abbiamo già conosciuto come genere , specie e individualità della forma estetica . Alla determinazione generica si riducono , come si è osservato , i caratteri , o , meglio , le varianti verbali dell ' unità , dell ' unità nella varietà , della semplicità , dell ' originalità , e via dicendo ; alla specifica , la verità , la schiettezza , e simili ; alla individuale , la vita , la vivacità , l ' animazione , la concretezza , l ’ individualità , la caratteristicità . Le parole possono cangiare ancora , ma non apporteranno scientificamente nulla di nuovo . L ' analisi dell ' espressione in quanto tale è esaurita coi caratteri esposti di sopra . Si potrebbe invece domandare a questo punto se vi siano modi o gradi dell ' espressione ; se , distinti nell ' attività dello spirito due gradi , ciascuno dei quali suddiviso in altri due , uno di questi , l ' intuitivo - espressivo , non si suddivida a sua volta in due o più modi intuitivi , in un primo , secondo o terzo grado di espressione . Ma questa ulteriore divisione è impossibile ; una classificazione delle intuizioni - espressioni è bensì lecita , ma non è filosofica ; i singoli fatti espressivi sono altrettanti individui , l ' uno non ragguagliabile con l ' altro se non nella comune qualità di espressione . Per adoperare il linguaggio delle scuole , l ' espressione è una specie , che non può fungere a sua volta da genere . Variano le impressioni ossia i contenuti ; ogni contenuto è diverso da ogni altro , perché niente si ripete nella vita ; e al variare continuo dei contenuti corrisponde la varietà irriducibile delle forme espressive , sintesi estetiche delle impressioni . Corollario di ciò è l ' impossibilità delle traduzioni , in quanto abbiano la pretesa di compiere il travasamento di un ' espressione in un ' altra , come di un liquido da un vaso in un altro di diversa forma . Si può elaborare logicamente ciò che prima era stato elaborato in forma estetica , ma non ridurre ciò che ha avuto già la sua forma estetica ad altra forma anche estetica . Ogni traduzione , infatti , o sminuisce e guasta , ovvero crea una nuova espressione , rimettendo la prima nel crogiuolo e mescolandola con le impressioni personali di colui che si chiama traduttore . Nel primo caso l ' espressione resta sempre una , quella dell ' originale , essendo l ' altra più o meno deficiente , cioè non propriamente espressione : nell ' altro , saranno , sì , due , ma di due contenuti diversi . “ Brutte fedeli o belle infedeli ” ; questo detto proverbiale coglie bene il dilemma , che ogni traduttore si trova innanzi . Le traduzioni inestetiche , come quelle letterali o parafrastiche , sono poi da considerare semplici comenti degli originali . L ' indebita divisione delle espressioni in vari gradi è nota in letteratura col nome di dottrina dell ' ornato o delle categorie rettoriche . Ma anche negli altri gruppi di arte simili tentativi di distinzione non mancano : basta ricordare le forme realistica e simbolica , di cui così di frequente si parla in pittura e scultura . E realistico e simbolico , oggettivo e soggettivo , classico e romantico , semplice e ornato , proprio e metaforico , e le quattordici forme delle metafore , e le figure di parola e di sentenza , e il pleonasmo , e l ' ellissi , e l ' inversione , la ripetizione e i sinonimi e gli omonimi , queste e tutte le altre determinazioni di modi e gradi dell ' espressione scoprono la loro nullità filosofica quando cercano di svolgersi in definizioni precise , perché allora o annaspano nel vuoto o cadono nell ' assurdo . Esempio tipico , la comunissima definizione della metafora , come di un ' altra parola messa in luogo della parola propria . E perché darsi quest ' incomodo , perché sostituire alla parola propria la impropria e prendere la via più lunga e peggiore , quando è nota la più corta e migliore ? Forse perché , come si suo ] dire volgarmente , la parola propria , in certi casi , non è tanto espressiva quanto la pretesa parola impropria o metafora ? Ma , se così è , la metafora è appunto , in quel caso , la parola « propria » ; e quella che si suol chiamare “ propria ” , se fosse adoperata in quel caso , sarebbe poco espressiva e perciò improprissima . Simili osservazioni di elementare buon senso si possono ripetere a proposito delle altre categorie e di quella stessa , generale , dell ' ornato , e qui , per es . , domandare come un ornamento si congiunga con l ' espressione . Esternamente ? e rimane sempre diviso dall ' espressione . Internamente ? e in questo secondo caso o non serve all ' espressione e la guasta , o ne fa parte , e non è ornamento ma elemento costitutivo dell ' espressione , indivisibile e indistinguibile nell ' unità di essa . Quanto male abbiano prodotto le distinzioni rettoriche non occorre dire : contro la rettorica si è già abbastanza declamato , quantunque , pure ribellandosi contro le conseguenze , se ne conservino in pari tempo preziosamente ( forse per dare saggio di filosofica coerenza ) i principi . In letteratura le categorie rettoriche hanno contribuito , se non a far prevalere , almeno a giustificare teoricamente quel particolare modo di scriver male , ch ' è lo scriver bene o secondo rettorica . I vocaboli , che abbiamo menzionati , non uscirebbero dalle scuole , nelle quali ciascuno di noi li ha appresi ( salvo poi a non trovare il modo di valersene nelle discussioni strettamente estetiche , o a ricordarli solo scherzosamente e con una tinta comica ) , se talvolta non fossero adoperati in uno dei seguenti tre significati : l ° come varianti verbali del concetto estetico ; 2° come indicazioni dell ' antiestetico ; o infine ( ch ’ è l ' uso più importante ) 3° in servigio non più dell ' arte e dell ' estetica , ma della scienza e della logica . l ) Le espressioni , considerate direttamente o positivamente , non si dividono in classi ; ma vi sono , per altro , espressioni riuscite e altre restate a mezzo o sbagliate , le perfette e le imperfette , le valide e le deficienti . I vocaboli ricordati , e gli altri della stessa sorta , possono dunque indicare , talvolta , l ' espressione riuscita e le varie conformazioni di quelle sbagliate ; benché sogliono fare ciò nel modo più incostante e capriccioso , tanto che il medesimo vocabolo serve ora a designare il perfetto , ora a condannare l ’ imperfetto . Per esempio , ci sarà chi , innanzi a due quadri , l ' uno privo d ’ ispirazione , nel quale l ' autore ha inintelligentemente copiato oggetti naturali , e l ' altro , bene ispirato ma che non trova riscontro ovvio in oggetti esistenti , chiamerà il primo realistico e il secondo simbolico . Per contrario , altri innanzi a un quadro fortemente sentito , raffigurante una scena della vita ordinaria , pronunzierà la parola realistico , e innanzi a un altro quadro che freddamente allegorizzi , quella di simbolico . C evidente che nel primo caso “ simbolico ” significa artistico , e “ realistico ” antiartistico ; laddove , nel secondo caso , “ realistico ” è sinonimo di artistico e “ simbolico ” di antiartistico . Quale meraviglia se alcuni sostengano poi calorosamente che la vera forma artistica è la simbolica , e che la realistica è antiartistica ; e altri che artistica è la realistica , e antiartistica la simbolica ? e come non dare ragione e agli uni e agli altri , una volta che ciascuno adopera quelle parole in significati tanto diversi ? Le grandi dispute intorno al classicismo e al romanticismo si aggiravano di frequente sopra equivoci di questo genere . Il primo veniva inteso talora come l ' artisticamente perfetto , il secondo come il disarmonico e imperfetto ; ma , altra volta , “ classico ” valeva freddo e artificioso , e “ romantico ” , schietto , caloroso , efficace , veramente espressivo . Così si poteva sempre con ragione parteggiare per il classico contro il romantico o per il romantico contro il classico . Accade il medesimo per la parola stile . Talora si asserisce che ogni scrittore deve avere stile ; e , in questo caso , stile è sinonimo di forma o espressione . Tal ' altra si qualifica priva di stile la forma di un codice di leggi o di un libro di matematica ; e qui si ricade nell ' errore di porre due modi diversi di espressioni , e un ' espressione ornata e un ' altra nuda , perché , se stile è forma , si deve ammettere , parlando con rigore , che codice e trattato di matematica abbiano anch ' essi il loro stile . Altra volta ancora si ode dai critici biasimare chi “ mette troppo stile ” , chi “ fa dello stile ” ; e qui è chiaro che stile significa , non la forma né un modo di questa , ma l ' espressione impropria e pretensiosa , una specie di antiartistico . 2 ) Il secondo uso non del tutto vuoto di queste distinzioni e vocaboli s ' incontra allorché , per esempio , nell ' esame di una composizione letteraria , si ode notare : In questo punto è un pleonasmo , in quest ' altro un ' ellissi , in quest ' altro una metafora , in quest ' altro ancora un sinonimo o un equivoco . E s ' intende dire : Qui è un errore consistente nell ' aver messo un numero di parole maggiore del necessario ( pleonasmo ) ; qui invece , l ' errore nasce dall ' averne messe troppo poche ( ellissi ) ; qui , da una parola impropria ( metafora ) ; qui , da due parole , che sembrano dire cose diverse , laddove dicono lo stesso ( sinonimo ) ; qui , per contrario , da un ' unica parola che sembra dire lo stesso , laddove dice due cose diverse ( equivoco ) . Per altro , siffatto uso peggiorativo e patologico dei vocaboli della rettorica è più raro del precedente . 3 ) Finalmente , quando la terminologia rettorica non ha nessun significato estetico , simile o analogo a quelli passati in rassegna , e pur si avverte che non è vuota e che accenna a qualcosa che merita di essere tenuto in conto , vuol dire che è adoperata a servigio della logica e della scienza . Posto che un concetto nell ' uso scientifico di uno scrittore sia designato con un determinato vocabolo , è naturale che altri vocaboli che quello scrittore trova adoperati , o incidentalmente adopera egli stesso per significare il medesimo concetto , diventino , rispetto al vocabolo da lui fissato come esatto , metafora , sineddoche , sinonimo , forma ellittica e simili . Anche noi , nel corso di questa trattazione , ci siamo valsi più volte ( e intendiamo valerci ancora ) di cotesto modo di dire per chiarire il senso delle parole che veniamo adoperando o che troviamo adoperate . Ma questo procedimento , che ritiene il suo valore nelle disquisizioni critiche della scienza e della filosofia , non ne possiede alcuno nella critica letteraria e d ' arte . Per la scienza , vi sono parole proprie e metafore : uno stesso concetto si può formare psicologicamente tra varie circostanze e perciò esprimere con varia intuizione ; e nel costituirsi della terminologia scientifica di uno scrittore , fissato uno di questi modi come il retto , gli altri appaiono tutti impropri o tropici . Ma nel fatto estetico non si hanno se non parole proprie ; e una stessa intuizione non si può esprimere se non in un sol modo , appunto perché è intuizione e non concetto . Alcuni , concedendo l ' insussistenza estetica delle categorie rettoriche , soggiungono una riserva circa l ' utilità di esse e i servigi che renderebbero , specie nelle scuole di letteratura . Confessiamo di non intendere come l ' errore e la confusione possano educare la mente alla distinzione logica o servire all ' apprendimento di quei principi di scienza che da essi vengono turbati e oscurati . Ma forse si vorrà dire che quelle distinzioni , in quanto classi empiriche , possono agevolare l ' apprendimento e giovare alla memoria , in modo conforme a quanto si è ammesso di sopra circa i generi letterari e artistici : su di che , nessuna obiezione . Per un altro fine le categorie rettoriche debbono , di certo , seguitare a comparire nelle scuole : per esservi criticate . Non è lecito dimenticare senz ' altro gli errori del passato ; né le verità si riesce a tenere in vita in altro modo che col farle battagliare contro gli errori . Se non si dà notizia delle categorie rettoriche accompagnandola con la critica relativa , c ’ è rischio che rinascano ; e si può dire che già vadano rinascendo presso alcuni filologi come freschissime scoperte psicologiche . Parrebbe che , a questo modo , si volesse negare ogni legame di somiglianza delle espressioni o delle opere d ' arte tra loro . Le somiglianze esistono , e in forza di esse le opere d ' arte possono essere disposte in questo o quel gruppo . Ma sono somiglianze quali si avvertono tra gl ' individui , e che non è dato mai fissare con determinazioni concettuali : somiglianze , cioè , alle quali mal si applicano l ' identificazione , la subordinazione , la coordinazione e le altre relazioni dei concetti , e che consistono semplicemente in ciò che si chiama aria di famiglia , derivante dalle condizioni storiche tra cui nascono le varie opere , o dalle parentele d ' anima degli artisti . E in siffatte somiglianze si fonda la possibilità relativa delle traduzioni ; non in quanto riproduzioni ( che sarebbe vano tentare ) delle medesime espressioni originali , ma in quanto produzioni di espressioni somiglianti e più o meno prossime a quelle . La traduzione , che si dice buona , è un ' approssimazione , che ha valore originale d ' opera d ' arte e può stare da sé . X . I SENTIMENTI ESTETICI E LA DISTINZIONE DEL BELLO E DEL BRUTTO . Passando a studiare concetti più complessi , nei quali l ' attività estetica deve essere considerata nella sua congiunzione con altri ordini di attività , e a indicare il modo dell ' unione o complicazione , ci viene innanzi , in primo luogo , il concetto di sentimento , e di quei sentimenti che si dicono estetici . La parola “ sentimento ” è una delle più riccamente polisense della terminologia filosofica ; e già abbiamo avuto occasione d ' incontrarla una volta tra quelle che si adoperano a designare lo spirito nella sua passività , la materia o contenuto dell ' arte , e perciò quale sinonimo d ' impressioni ; e un ' altra volta ( e il significato era allora affatto diverso ) , a designare il carattere alogico e astorico del fatto estetico , cioè l ' intuizione pura , forma di verità che non definisce nessun concetto né afferma nessuna realtà . Ma qui essa non ci riguarda in nessuno di cotesti due significati , né negli altri che pure le sono stati conferiti per designare altre forme conoscitive dello spirito , si bene in quello soltanto onde il sentimento è inteso come una speciale attività , di natura non conoscitiva , avente i suoi poli , positivo e negativo , nel piacere e nel dolore . Attività , cotesta , che ha messo sempre in grandi impacci i filosofi i quali si sono provati perciò o a negarla in quanto attività o ad attribuirla alla natura , escludendola dallo spirito . Ma entrambe queste soluzioni sono irte di difficoltà , e tali che a chi le esamini con cura si dimostrano alla fine inaccettabili . Perché che cosa potrebbe mai essere un ' attività non spirituale , un ' attività della natura , quando noi non abbiamo altra conoscenza dell ' attività se non come spiritualità , e della spiritualità se non come attività , e natura è in questo caso , per definizione , il meramente passivo , inerte , meccanico , materiale ? D ' altra parte , la negazione del carattere di attività al sentimento viene energicamente smentita proprio da quei poli del piacere e del dolore , che appaiono in esso e mostrano l ' attività nella sua concretezza e , diremmo , nel suo fremito . Questa conclusione critica dovrebbe mettere nel maggiore imbarazzo proprio noi , che , nello schizzo dato di sopra del sistema dello spirito , non avremmo lasciato alcun posto per la nuova attività , di cui saremmo ora costretti a riconoscere l ' esistenza . Senonché l ' attività del sentimento , se è attività , non è per altro nuova ; e già ha avuto il posto che le toccava nel sistema da noi abbozzato , sebbene con altro nome , è cioè come attività economica . L ' attività , che si dice del sentimento , non è altra che quella più elementare e fondamentale attività pratica , che abbiamo distinta dalla forma etica e fatta consistere nell ' appetizione e volizione di un fine qualsiasi individuale , scevra di ogni determinazione morale . Se il sentimento è stato alle volte considerato come attività organica o naturale , ciò è accaduto appunto perché esso non coincide né con l ' attività logica né con quella estetica né con quella etica ; e , guardato dal punto di vista di quelle tre ( che erano le sole che si ammettessero ) , appariva fuori dello spirito vero e proprio , dello spirito nella sua aristocrazia , e quasi determinazione della natura o della psiche in quanto natura . E risulta anche da ciò la verità di un ' altra tesi , più volte sostenuta , che l ' attività estetica , al pari di quelle etica e intellettuale , non sia sentimento : tesi inoppugnabile , posto che il sentimento sia stato già , implicitamente e inconsapevolmente , inteso come volizione economica . La concezione , che in questo caso vien rifiutata , è nota col nome di edonismo , consistente nel ridurre tutte le varie forme dello spirito a una sola , che perde così anche il suo proprio carattere distintivo e diventa alcunché di torbido , misterioso , somigliante veramente alle “ tenebre in cui tutte le vacche sono nere ” . Compiuta questa riduzione e mutilazione , gli edonisti , com ’ è naturale , non riescono a vedere altro , in qualsiasi attività , se non piacere e dolore ; e tra il piacere dell ' arte e quello della facile digestione , tra il piacere di una buona azione e quello del respirare l ' aria fresca a pieni polmoni , non trovano nessuna differenza sostanziale . Ma se l ' attività del sentimento , nel significato ora definito , non deve essere sostituita a tutte le altre forme dell ' attività spirituale , non è detto che non possa accompagnarle . Le accompagna , anzi , di necessità , perché esse sono tutte in relazione stretta e tra loro e con l ' elementare forma volitiva ; onde ciascuna di esse ha concomitanti le volizioni individuali e i piaceri e dolori volitivi , che si dicono del sentimento . Soltanto non bisogna confondere ciò che è concomitante e ciò che è principale o dominante , e disconoscere questo per quello . La scoperta di una verità o l ' adempimento di un dovere morale produce in noi una gioia , che fa vibrare tutto il nostro essere , il quale , col raggiungere il risultato di quelle forme d ' attività spirituale , raggiunge insieme ciò a cui praticamente in quel moto tendeva come a suo fine . Tuttavia , la soddisfazione economica o edonistica , la soddisfazione etica , la soddisfazione estetica , la soddisfazione intellettuale restano sempre , pur in quella loro unione , tra loro distinte . Per tal modo si chiarisce nel tempo stesso la questione più volte proposta ( e che è sembrata non a torto di vita o di morte per la scienza estetica ) : se il sentimento e il piacere preceda o segua , sia causa o effetto del fatto estetico . Questione che bisogna ampliare in quella del rapporto tra le varie forme spirituali , e risolvere nel senso che non possa parlarsi di causa cd effetto , e di un prima e un poi cronologici , nell ' unità dello spirito . E cadono , stabilita l ' esposta relazione , le indagini che si sogliono istituire sul carattere dei sentimenti estetici , morali , intellettuali , o anche ( come si è detto talvolta ) economici . In quest ' ultimo caso , è chiaro che si tratta addirittura non di due termini ma di uno ; e la ricerca sul sentimento economico non può essere se non quella stessa riguardante l ' attività economica . Ma anche negli altri casi la ricerca non può volgere mai sul sostantivo , sì bene sull ' aggettivo : l ' esteticità , la moralità , la logicità spiegheranno il vario colorarsi dei sentimenti in estetici , morali e intellettuali , laddove il sentimento per sé considerato non spiegherà mai quelle rifrazioni e colorazioni . Un ' ulteriore conseguenza è , che non fa più d ' uopo serbare le ben note distinzioni tra sentimenti di valore e sentimenti meramente edonistici e privi di valore , tra sentimenti disinteressati e interessati , oggettivi e non oggettivi o soggettivi , di approvazione e di mero diletto ( Gefallen e Vergnügen dei tedeschi ) . Quelle distinzioni s ' industriavano a salvare le tre forme spirituali che venivano riconosciute come la triade del Vero , Buono e Bello , contro la confusione con la quarta forma , ancora disconosciuta , e perciò insidiosa nella sua indeterminatezza e madre di scandali . Per noi , esse hanno esaurito ormai il loro compito , perché siamo in grado di raggiungere ben più direttamente la distinzione , con l ' accogliere , cioè , anche i sentimenti interessati , soggettivi , di mero diletto , tra le rispettabili forme dello spirito ; e dove prima si concepiva ( e noi stessi un tempo concepivamo ) antinomia tra valore e sentimento come tra spiritualità e naturalità , non vediamo ormai altro che differenze tra valore e valore . Come si è già detto , il sentimento o attività economica si presenta diviso in due poli , positivo e negativo , piacere e dolore , che possiamo ora tradurre in utile e disutile ( o nocivo ) . Bipartizione già accennata di sopra a prova del carattere attivistico del sentimento e che si ritrova infatti in tutte le forme dell ' attività . Se ognuna di queste è valore , ognuna ha , di fronte a sé , l ' antivalore o disvalore . E perché si abbia disvalore non basta che vi sia semplice assenza di valore , ma occorre che attività e passività siano in lotta tra loro senza che l ' una vinca l ' altra ; donde la contradizione e il disvalore dell ' attività impacciata , contrastata , interrotta . Il valore è l ' attività che si spiega liberamente : il disvalore è il suo contrario . Senza entrare qui nel problema del rapporto tra valore e disvalore , ossia nel problema dei contrari ( se , cioè , siano da pensare dualisticamente come due entità o due ordini di entità nemiche , come Ormuzd e Arimane , gli angeli e i diavoli , ovvero come un ' unità , che è insieme contrarietà ) , ci contenteremo di questa definizione dei due termini , come bastevole al nostro scopo presente , che è di venire chiarendo l ' attività estetica , e , in questo punto particolare , uno dei concetti più oscuri e dibattuti dell ’ Estetica : il concetto del Bello . I valori e disvalori estetici , intellettuali , economici ed etici , hanno varie denominazioni nel linguaggio comune , bello , vero , buono , utile , conveniente , giusto , esatto , e così via , che designano il libero spiegarsi dell ' attività spirituale , l ' azione , la ricerca scientifica , la produzione artistica ben riuscite ; e brutto , falso , cattivo , inutile , sconveniente , ingiusto , inesatto , designanti l ' attività impacciata , il prodotto mal riuscito . Nell ' uso linguistico , queste denominazioni si trasportano continuamente da un ordine di fatti all ' altro . Bello , per esempio , si trova detto non solo di una espressione riuscita , ma anche di una verità scientifica e di un ' azione utilmente compiuta e di un ' azione morale ; onde si parla poi di un bello intellettuale , di un bello d ' azione , di un bello morale . A correre dietro a questi usi svariatissimi si entra in un labirinto verbalistico , impervio e inestricabile , nel quale non pochi filosofi ed estetici si sono cacciati e smarriti . Epperò ci è parso conveniente di scansare finora studiosamente l ' uso della parola “ bello ” a designare l ' espressione nel suo valore positivo . Ma , dopo tutte le spiegazioni che abbiamo fornite , essendo ormai dissipato ogni pericolo di fraintendimenti , e non potendosi , d ' altro canto , sconoscere che la tendenza prevalente così nel linguaggio comune come in quello filosofico è di restringere il significato del vocabolo “ bello ” per l ' appunto al valore estetico , ci sembra lecito e opportuno definire la bellezza espressione riuscita , o meglio , espressione senz ' altro , perché l ' espressione , quando non è riuscita , non è espressione . Conseguentemente , il brutto è l ' espressione sbagliata . E per le opere d ' arte non riuscite vale il paradosso : che il bello ci presenta unicità di bellezza e il brutto molteplicità . Onde , di solito , innanzi alle opere estetiche più o meno sbagliate si ode discorrere di pregi , ossia delle loro parti belle , come non accade invece innanzi a quelle perfette . In queste , infatti , riesce impossibile enumerare i pregi o designare le parti belle , perché , essendo fusione completa , hanno un unico pregio : la vita circola in tutto l ' organismo e non è ritirata in alcuna delle singole parti . I pregi delle opere sbagliate possono essere di vario grado , anche grandissimi . E laddove il bello non presenta gradi non essendo concepibile un più bello , cioè un espressivo più espressivo , un adeguato più adeguato , li presenta invece il brutto , e tali che vanno dal lievemente brutto ( o quasi bello ) al grandemente brutto . Ma se il brutto fosse completo , vale a dire privo di qualsiasi elemento di bellezza , esso , per ciò stesso , cesserebbe di essere brutto , perché verrebbe , in quel caso , a mancare la contradizione in cui è la sua ragion d ' essere . Il disvalore diventerebbe il non - valore , l ' attività cederebbe il luogo alla passività , con la quale essa non è in guerra se non quando questa sia effettivamente guerreggiata . E poiché la coscienza distintiva del bello e del brutto si fonda sui contrasti e sulle contradizioni in cui si avvolge l ' attività estetica , è evidente che questa coscienza si attenua fino a dileguarsi del tutto via via che si discenda dai casi più complessi ai più semplici e ai semplicissimi di espressione . Da ciò l ' illusione che si diano espressioni né belle né brutte , considerandosi come tali quelle che si ottengono senza sensibile sforzo e si presentano come naturali . A queste ormai facilissime definizioni si riduce tutto il mistero del bello e del brutto . Che se qualcuno obietti che esistono espressioni estetiche perfette , innanzi alle quali non si prova piacere , e altre , fors ' anche sbagliate , che ci procurano piacere vivissimo , bisogna raccomandargli di far bene attenzione , nel fatto estetico , a quello solo ch ’ è veramente piacere estetico . Questo viene talvolta rafforzato , o piuttosto complicato , da piaceri provenienti da fatti estranei , i quali solo casualmente vi si trovano congiunti . Un esempio di piacere puramente estetico offre il poeta o qualsiasi altro artista nel momento in cui vede ( intuisce ) per la prima volta la sua opera ; quando , cioè , le sue impressioni pigliano corpo e il volto gli s ' irraggia della divina gioia del creatore . Un piacere misto prova invece chi si è recato a teatro , dopo una giornata di lavoro , per assistere a una commedia ; quando , cioè , il piacere del riposo , dello svago , o quello del ridere sconficcando un chiodo dalla bara preparata , si accompagna agli istanti di vero piacere estetico per l ' arte del commediografo e degli attori . Lo stesso si dica dell ' artista , il quale , finito il suo lavoro , lo contempli con compiacenza , provando , oltre il diletto estetico , quello ben diverso che sorge dal pensiero dell ' amor proprio soddisfatto , o magari del lucro economico che dalla sua opera sia per venirgli . E gli esempi si potrebbero moltiplicare . Nell ' estetica moderna è stata foggiata una categoria di sentimenti estetici apparenti , derivanti non dalla forma ossia dalle opere d ' arte in quanto tali , ma dal contenuto delle opere d ' arte . Le rappresentazioni artistiche ( si è osservato ) destano piacere e dolore nelle loro infinite gradazioni e varietà : si palpita , si gioisce , si teme , si piange , si ride , si vuole coi personaggi di un dramma o di un romanzo , con le figure di un quadro e con le melodie di una musica . Cotesti sentimenti , per altro , non sono quelli che desterebbe il fatto reale fuori dell ' arte , o meglio , identici nella qualità , quantitativamente sono una attenuazione dei reali : il piacere e il dolore estetici e apparenti si manifestano leggieri , poco profondi , mobili . Di questi sentimenti apparenti non è il caso di discorrere qui di proposito , per la buona ragione che ne abbiamo già ampiamente discorso , e anzi non abbiamo finora discorso d ' altro che di essi . Sentimenti che diventano apparenti o parventi , che cos ' altro sono mai se non sentimenti oggettivati , intuiti , espressi ? Ed è naturale che non ci diano travaglio e agitazione passionale come quelli della vita reale , perché quelli erano materia e questi sono forma e attività , quelli veri e propri sentimenti , questi intuizioni ed espressioni . La formola dei sentimenti apparenti non è altro , dunque , per noi , che una tautologia , sulla quale potremmo dare senza scrupolo un frego di penna . XI . CRITICA DELL ' EDONISMO ESTETICO . Come siamo avversari dell ' edonismo in genere , ossia della teoria la quale , fondandosi sul piacere e dolore che è intrinseco all ' attività utilitaria o economica e perciò inseparabile da ogni altra forma di attività , confonde contenente e contenuto e non riconosce altro processo che quello edonistico ; così ci opponiamo all ' edonismo particolare estetico , il quale considera , se non tutte le altre attività , almeno quella estetica come semplice vicenda di sentimento e confonde il piacevole dell ' espressione , ch ’ è il bello , col piacevole senz ' altro , col piacevole d ' ogni altra sorta . La concezione edonistica dell ' arte si presenta in parecchie forme , delle quali una delle più antiche considera il bello come il piacevole della vista e dell ' udito , ossia dei cosiddetti sensi superiori . All ’ inizio dell ' analisi dei fatti estetici era , in verità , difficile sfuggire alla fallace credenza elle un quadro o una musica siano impressioni della vista o dell ' udito , e interpretare rettamente l ' ovvia osservazione che il cieco non gode la pittura e il sordo non gode la musica . Mostrare , come abbiamo mostrato , che il produrre estetico non dipende dalla natura delle impressioni , ma che tutte le impressioni dei sensi possono essere elevate a espressione e nessuna vi ha singolare diritto per la sua qualità o per la classe a cui appartiene , è una concezione che si presenta solo dopo che sono state tentate tutte le altre costruzioni dottrinali possibili in questa materia . Chi immagina che il fatto estetico sia qualcosa di piacevole per gli occhi o per l ' udito , non ha poi nessuna linea di difesa contro colui che , logicamente proseguendo , identifica il bello col piacevole in genere , e include nell ’ Estetica la culinaria , o ( come qualche positivista ha fatto ) il “ bello viscerale ” . Un ' altra forma dell ' edonismo estetico è la teoria del gioco . Il concetto del gioco ha aiutato talvolta a riconoscere il carattere attivistico del fatto espressivo : l ' uomo ( è stato detto ) non è veramente uomo se non quando comincia a giocare ( cioè quando si sottrae alla causalità naturale e meccanica , producendo spiritualmente ) ; e il primo suo gioco è l ' arte . Ma poiché la parola “ gioco ” significa anche quel piacere che nasce dalla provocata scarica dell ' energia esuberante dell ' organismo ( ossia da un bisogno pratico ) , la conseguenza di questa teoria è stata , che si è denominato fatto estetico qualunque gioco , o si è denominato gioco l ' arte in quanto può entrare a parte di un gioco , come accade di altre cose , e perfino della scienza . Sola la moralità non può essere dominata mai ( per la contradizione che nol consente ) dall ' intenzione di giocare ; e domina invece e regola essa l ' atto medesimo del gioco . Vi è stato perfino chi ha tentato di dedurre il piacere dell ' arte dalla risonanza di quello degli organi sessuali . Ed estetici modernissimi pongono volentieri la genesi de ] . fatto estetico nell ' attrattiva del vincere e del trionfare , o , come altri aggiunge , nel bisogno del maschio che intende a conquistare la femmina . Teoria che si condisce con molta erudizione di aneddoti , Dio sa quanto sicuri ! , sui costumi dei popoli selvaggi ; ma che in verità non avrebbe bisogno di tanto sussidio , giacché di poeti che si adornino delle proprie poesie come galli che ergano la cresta o tacchini che facciano la rota , se ne incontra ben di frequente nella vita ordinaria . Solamente , chi fa di queste cose , e in quanto le fa , non è poeta , sì bene un povero diavolo , anzi un povero diavolo di gallo o di tacchino ; e la brama della vittoria e la trionfale conquista della femmina non hanno che vedere col fatto dell ' arte . Tanto varrebbe considerare la poesia come nient ' altro che un prodotto economico , perché vi sono stati un tempo poeti aulici e stipendiati , e ve ne sono tuttavia che aiutano , se non proprio campano la vita , con la vendita dei loro versi . La quale deduzione e definizione non ha mancato di trarre qualche troppo zelante neofito del materialismo storico . Un ' altra scuola , meno grossolana , considera l ’ Estetica come la scienza del simpatico , di ciò con cui noi simpatizziamo , che ci attira , ci letifica , ci desta piacere e ammirazione . Ma il simpatico è nient ' altro che l ' immagine o rappresentazione di ciò che piace . E , come tale , è fatto complesso , risultante da un elemento costante , che è quello estetico della rappresentazione , e da uno variabile ch ’ è il piacevole nelle sue infinite apparizioni , nascente da tutte le varie classi di valori . Nel linguaggio volgare si prova talora come una ripugnanza a chiamare “ bella ” l ' espressione , che non sia espressione del simpatico . Di qui i continui contrasti tra il discorrere dell ' estetico o del critico d ' arte e quello della persona volgare , la quale non riesce a persuadersi che l ’ immagine del dolore e della turpitudine possa essere bella , o , almeno , che sia bella con lo stesso diritto di quella del piacevole e del buono . Il contrasto si potrebbe risolvere distinguendo due scienze diverse , una dell ' espressione e l ' altra del simpatico , se quest ' ultimo potesse formare oggetto d ' una scienza speciale ; se cioè non fosse , come si è mostrato , un concetto complesso , quando addirittura non sia equivoco . Se in esso si dà prevalenza al fatto espressivo , si entra nella Estetica come scienza dell ' espressione ; se al contenuto piacevole , si ricade nello studio di fatti essenzialmente edonistici ( utilitari ) , per complicati che possano presentarsi . Nell ’ Estetica del simpatico è da cercare anche l ' origine precipua della dottrina che concepisce il rapporto tra contenuto e forma come la somma di due valori . L ' arte , in tutte le dottrine or ora accennate , è considerata colpe cosa meramente edonistica . Ma l ' edonismo estetico non può rimanere saldo se non a condizione che si congiunga con un edonismo filosofico generale , il quale non riconosca alcun ' altra forma di valore . Non appena quel concetto edonistico dell ' arte viene accolto da filosofi che ammettono uno o più valori spirituali , di verità o di moralità , non può non sorgere la questione : Che cosa deve farsi dell ' arte ? a qual uso valersene ? è da lasciare libero corso ai diletti che essa procura ? o bisogna restringerli ? e in quali confini ? La questione del fine dell ' arte , che nell ' Estetica dell ' espressione è inconcepibile , nell ’ Estetica del simpatico trova il suo indubbio significato e domanda una soluzione . Tale soluzione , com ’ è chiaro , non può avere se non due forme : una di carattere negativo , l ' altra di carattere restrittivo . La prima , che diremo rigoristica o ascetica , e che appare parecchie volte , sebbene non di frequente , nella storia delle idee , stima l ' arte un ' ebrezza dei sensi , epperò non solo inutile ma nociva : bisogna , dunque , secondo quella teoria , liberarne con ogni sforzo e industria l ' animo umano , che essa perturba . L ' altra soluzione , che chiameremo pedagogica o utilitario - moralistica , ammette l ' arte , ma solo in quanto concorre al fine della moralità ; in quanto aiuta con un piacere innocente l ' opera di chi indirizza al vero e al buono ; in quanto sparge di soave liquore gli orli del vaso del sapere e del dovere . È bene osservare che sarebbe erroneo distinguere questa seconda concezione in intellettualistica e utilitario - moralistica , secondo che all ' arte s ' assegni il fine di condurre al vero o al bene pratico . Il compito , che le viene imposto , dell ' istruire , appunto perché è un fine che si cerca e raccomanda , è , non più mero fatto teoretico , ma fatto teoretico diventato già materia d ' azione pratica ; non intellettualismo , dunque , ma sempre pedagogismo e praticismo . Né più esatto sarebbe sottodistinguere la concezione pedagogica dell ' arte in utilitaria pura e in utilitario - moralistica , giacché coloro che ammettono solo l ' utile individuale ( il libito dell ' individuo ) , appunto perché edonisti assoluti , non hanno alcun motivo a cercare un ' ulteriore giustificazione dell ' arte . Ma enunciare queste teorie , nel punto al quale siamo giunti , vale confutarle . Piuttosto giova avvertire che nella teoria pedagogica dell ' arte si ritrova un ' altra ancora delle cause , per le quali è stata erroneamente posta l ' esigenza che il contenuto dell ' arte debba essere ( in vista di determinati effetti pratici ) scelto . Contro l ’ Estetica edonistica e contro quella pedagogica , si è spesso levata la tesi , riecheggiata volentieri dagli artisti , che l ' arte consista nella bellezza pura : “ Nella pura bellezza il ciel ripose Ogni nostra letizia , e il Verso è tutto ” ( D ' Annunzio ) . Se si vuol intendere con ciò che l ' arte non è da scambiare con la mera dilettazione sensuale ( col praticismo utilitario ) o con l ' esercizio della moralità , si conceda , in questo caso , anche alla nostra di fregiarsi del titolo di Estetica della bellezza pura . Ma se per quest ' ultima s ' intende invece ( come spesso si è fatto ) qualcosa di mistico e di trascendente , ignoto al nostro povero mondo umano ; o qualcosa che sia spirituale e beatificante , ma non già espressivo ; dobbiamo rispondere che , plaudendo al concetto di una bellezza , pura di tutto ciò che non sia la forma spirituale dell ' espressione , non sapremmo concepire una bellezza superiore a questa e , meno ancora , tale che sia depurata perfino della espressione , ossia scevra di sé medesima . XII . L ' ESTETICA DEL SIMPATICO E I CONCETTI PSEUDOESTETICI . La dottrina del simpatico ( animata e secondata dalla capricciosa Estetica metafisica e mistica , e da quel cieco tradizionalismo onde si suppone un legame logico tra cose che per caso si trovino trattate insieme dagli stessi autori e negli stessi libri ) , ha introdotti e resi domestici nei sistemi di Estetica una serie di concetti , dei quali basta dare un rapido cenno per giustificare il risoluto discacciamento che ne facciamo dal nostro . Il catalogo di essi è lungo , anzi interminabile : tragico , comico , sublime , patetico , commovente , triste , ridicolo , malinconico , tragicomico , umoristico , maestoso , dignitoso , serio , grave , imponente , nobile , decoroso , grazioso , attraente , stuzzicante , civettuolo , idillico , elegiaco , allegro , violento , ingenuo , crudele , turpe , orrido , disgustoso , spaventoso , nauseante ; e chi più ne ha , più ne metta . Poiché quella dottrina assumeva a oggetto suo proprio il simpatico , era naturale che non potesse trascurare nessuna delle varietà del simpatico , nessuno dei miscugli e delle gradazioni per le quali da esso nella sua più alta e intensa manifestazione si giunge via via fino al suo contrario , all ' antipatico e ripugnante . E poiché il contenuto simpatico era considerato come il bello e l ' antipatico come il brutto , le varietà ( tragico , comico , sublime , patetico , ecc . ) formavano per quella concezione dell ’ Estetica le gradazioni e le sfumature intercedenti tra il bello e il brutto . Enumerate e definite alla meglio le principali di coteste varietà , l ’ Estetica del simpatico si proponeva il problema circa il posto da concedere al brutto nell ' arte : problema privo di significato per noi che non conosciamo altro brutto che l ' antiestetico o l ’ inespressivo , il quale non può essere mai parte del fatto estetico , essendone invece il contrario e l ' antitesi . Ma , nella dottrina che qui esaminiamo , la posizione e discussione di quel problema importava né più né meno che la necessità di conciliare in qualche modo la falsa e monca idea dell ' arte da cui si prendevano le mosse dell ' arte ristretta alla rappresentazione del piacevole con l ' arte effettiva , che spazia in campi ben più larghi . Da ciò l ' artifizioso tentativo di stabilire quali casi di brutto ( antipatico ) possano ammettersi nella rappresentazione artistica , e per quali ragioni e in quali modi . La risposta suonava : che il brutto è ammessibile solo quando è superabile , dovendo un brutto insuperabile , come il disgustoso o nauseante , essere escluso senz ' altro ; e che il brutto , ammesso nell ' arte , ha per ufficio di contribuire a rafforzare l ' effetto del bello ( simpatico ) , producendo una serie di contrasti da cui il piacevole esca più efficace e letificante . È , infatti , comune osservazione che il piacere si sente con tanto maggiore vivezza quanto più è preceduto da astinenza e tormento . Il brutto nell ' arte veniva a questo modo considerato come addetto ai servigi del bello , stimolante e condimento del piacere estetico . Col cadere dell ’ Estetica del simpatico cade anche cotesta artificiosa dottrina di raffinamento edonistico , che è nota con la formola pomposa di dottrina del superamento del brutto ; e in pari tempo l ' enumerazione e la definizione dei concetti accennati di sopra si dimostrano estranee all ’ Estetica . La quale non conosce né il simpatico né l ' antipatico né le loro varietà , ma solamente la spirituale attività della rappresentazione . Senonché il grande posto che , come abbiamo detto , quei concetti hanno occupato finora nelle trattazioni estetiche , rende opportuno qualche maggiore chiarimento intorno all ' indole loro . Quale sarà la loro sorte ? Esclusi dall ’ Estetica , in quale altra parte della filosofia verranno accolti ? In verità , in nessuna parte , perché quei concetti sono privi di valore filosofico . Essi non sono altro che una serie di classi , da potersi plasmare nel modo più vario e moltiplicare a libito , nelle quali si cerca di ripartire le infinite complicazioni e sfumature dei valori e disvalori della vita . Di coceste classi alcune hanno significato prevalentemente positivo , come il bello , il sublime , il maestoso , il solenne , il serio , il grave , il nobile , l ' elevato ; altre , significato prevalentemente negativo , come il brutto , il doloroso , l ' orrido , lo spaventoso , il tremendo , il mostruoso , l ' insulso , lo stravagante ; in altre , infine , prevale l ' aspetto del miscuglio , come è il caso del comico , del tenero , del malinconico , dell ' umoristico , del tragicomico . Complicazioni infinite , perché infinite sono le individuazioni ; onde non è possibile costruirne i concetti se non nel modo approssimativo che è proprio delle scienze naturali , paghe di schematizzare alla meglio quel reale che né si esaurisce per enumerazione né ad esse è dato comprendere e superare speculativamente . E poiché la disciplina naturalistica che assume di costruire tipi e schemi sulla vita spirituale dell ' uomo , è la Psicologia ( della quale , infatti , si va sempre meglio accentuando ai giorni nostri il carattere meramente empirico e descrittivo ) , quei concetti non sono di pertinenza né dell ’ Estetica né in genere della filosofia , ma debbono essere rimandati , per l ' appunto , alla Psicologia . Come di tutte le altre costruzioni psicologiche , così di quei concetti non sono possibili , dunque , definizioni rigorose ; e non è lecito , per conseguenza , dedurli l ' uno dall ' altro e connetterli in sistema , come pur tante volte è stato tentato con grande spreco di tempo e senza risultati utili . E nemmeno si può pretendere di ottenere , in cambio di quelle filosofiche riconosciute impossibili , definizioni empiriche che siano universalmente adoprabili come calzanti e vere . Le definizioni empiriche non sono mai uniche ma sempre innumerevoli , variando secondo i casi e gl ' intenti pei quali si foggiano : che se una sola ce ne fosse e questa avesse valore di verità , la definizione , com ’ è chiaro , non sarebbe empirica , ma rigorosa e filosofica . Ed effettivamente ogniqualvolta è stato adoperato alcuno dei termini che abbiamo ricordati ( o che della medesima serie si potrebbero ricordare ) se n ’ è data insieme , espressa o sottintesa , una nuova definizione . Ciascuna di quelle definizioni differiva dall ' altra per un qualcosa , per un particolare , sia pure minimo , e pei tacito riferimento a uno o altro fatto individuale al quale si guardava di preferenza , elevandolo a tipo generale . Perciò accade che nessuna di esse contenti mai chi l ' ascolta , e neppure colui stesso che la foggia ; il quale , subito dopo , messo a fronte di un nuovo caso , la riconosce più o meno insufficiente e disadatta , e da ritoccare . Bisogna , dunque , lasciare liberi i parlanti e gli scriventi di definire volta per volta il sublime o il comico , il . tragico o l ' umoristico , secondo loro piaccia e sembri comodo per il fine che si propongono . E se s ' insiste per ottenere una definizione empirica di validità universale , non e ’ è da somministrare se non questa : - Sublime ( o comico , tragico , umoristico , ecc . ) è tutto ciò che è stato , o sarà , chiamato così da coloro che hanno adoperato , o adopereranno , queste parole . Che cosa è il sublime ? L ' affermarsi improvviso di una forza morale ultrapossente : eccone una definizione . Ma altrettanto buona è l ' altra , la quale riconosce il sublime anche dove la forza che si afferma è una volontà ultrapossente bensì , ma immorale e distruttiva . E l ' una e l ' altra rimarranno poi nel vago e non acquisteranno determinatezza nessuna se non saranno riferite a un caso concreto , a un esempio , che faccia intendere che cosa si chiami qui “ ultrapossente ” , e che cosa “ improvviso ” : concetti quantitativi , anzi falsamente quantitativi , pei quali manca ogni misura , e che sono , in fondo , metafore , frasi enfatiche o logiche tautologie . E l ' umoristico sarà il riso tra le lagrime , il riso amaro , lo sbalzo brusco dal comico al tragico e dal tragico al comico , il comico romantico , il sublime a rovescio , la guerra indetta a ogni tentativo d ' insincerità , la compassione che si vergogna di piangere , il ridere non del fatto ma dell ' ideale stesso , o come altro piaccia meglio , secondo che con queste formole si tenti di cogliere la fisionomia di questo o quel poeta , di questa o quella poesia , che è , nella sua singolarità , la definizione di sé medesima , la sola adeguata , benché circoscritta e momentanea . Il comico è stato definito come il dispiacere destato dalla percezione di una stortura e seguito subito da un maggior piacere derivante dal rilasciarsi delle nostre forze psichiche , che erano tese nell ' aspettazione di qualcosa che si prevedeva importante . Nell ' ascoltare un racconto , per esempio , che ci descriva il proposito magnifico ed eroico di una determinata persona , noi anticipiamo con la fantasia l ' avvento di un ' azione magnifica ed eroica e ci prepariamo ad accoglierla , tendendo le nostre forze psichiche . Senonché , d ' un tratto , in cambio dell ' azione magnifica ed eroica elle le premesse e il tono del racconto ci preannunziavano , con una voltata improvvisa , sopravviene un ' azione piccola , meschina , stolta , impari all ' attesa . Ci siamo ingannati , e il riconoscimento dell ' inganno porta seco un attimo di dispiacere . Ma quest ' attimo è come soverchiato da quello che immediatamente segue , in cui possiamo fare getto dell ' attenzione preparata , liberarci della provvista di forza psichica accumulata e ormai superflua , sentirci leggieri e sani : che è il piacere del comico , col suo equivalente fisiologico , il riso . Se il fatto spiacevole sopraggiunto ci ferisse vivamente nei nostri interessi , il piacere non sorgerebbe , il riso sarebbe subito soffocato , la forza psichica sarebbe tesa e sovrattesa da altre percezioni più gravi . Se invece tali percezioni più gravi non sopravvengono , se tutto il danno consiste in un piccolo inganno della nostra preveggenza , a questo ben lieve dispiacere fa ampio compenso il succeduto sentimento della nostra ricchezza psichica . Questa , compendiata in poche parole , è una delle più accurate definizioni moderne del comico , che vanta di raccogliere in sé , giustificati o corretti e inveterati , i molteplici tentativi succeduti in proposito dall ' antichità ellenica in poi : da quello di Platone nel Filebo , e dall ' altro più esplicito di Aristotele , considerante il comico come un brutto senza dolore , via via alla teoria dell ’ Hobbes , che lo riponeva nel sentimento della superiorità individuale , o a quella kantiana del rilasciarsi di una tensione , o alle altre proposte da altri , del contrasto tra grande e piccolo , infinito e finito , e via dicendo . Ma , se ben si osservi , la recata analisi e definizione , tanto elaborata e rigorosa in apparenza , enuncia caratteri che sono propri non solo del comico , ma di ogni processo spirituale ; com ’ è il seguirsi di momenti dolorosi e momenti piacevoli e la soddisfazione nascente dalla coscienza della forza e del suo libero spiegarsi . Il differenziamento è dato qui da determinazioni quantitative , di cui non si potrebbero assegnare i limiti , e che restano perciò vaghe parole , attingenti qualche significato dal riferimento a questo o quel fatto comico singolo e dalle disposizioni d ' animo di chi le pronuncia . Se quella definizione viene presa troppo sul serio , anche di essa accade ciò che Giampaolo Richter ebbe a dire in genere di tutte le definizioni del comico : che il loro solo merito è di riuscire esse stesse comiche e di produrre nella realtà il fatto che indarno tentano di fissare logicamente , dando così a conoscerlo in qualche modo con la presenza stessa . E chi determinerà mai logicamente la linea divisoria tra il comico e il non comico , tra il riso e il sorriso , tra il sorriso e la gravità , e taglierà con tagli netti quel sempre vario continuo in cui si spazia la vita ? I fatti , classificati alla meglio negli indicati concetti psicologici , non hanno con l ' arte altra relazione fuori di quella , generica , che tutti essi , in quanto compongono la materia della vita , possono fornire materia di rappresentazione artistica ; e l ' altra , accidentale , che nei processi descritti entrano talvolta anche fatti estetici , come è il caso dell ' impressione di sublime che può suscitare l ' opera di un artista titano , di un Dante o di uno Shakespeare , e di quella comica del conato di un imbrattatele o di un imbrattacarte . Ma anche in questo caso il processo è estrinseco al fatto estetico , al quale non si lega effettivamente se noni il sentimento del valore e disvalore estetico , del bello e del brutto . Il Farinata dantesco esteticamente è bello e nient ' altro che bello : che poi la forza di volontà di quel personaggio appaia sublime , o che sublime appaia per la somma genialità sua l ' espressione che gli dà Dante in comparazione di quella di altro meno energico poeta , sono cose che escono fuori affatto dalla considerazione estetica . La quale ultima ( ripetiamo ancora qui ) guarda soltanto all ' adeguatezza dell ' espressione , ossia alla bellezza . XIII . IL “ BELLO FISICO ” DI NATURA E DI ARTE . L ' attività estetica , distinta dalla pratica , è nel suo esplicarsi accompagnata sempre dall ' altra ; donde il suo lato utilitario o edonistico e il . piacere e dolore , che sono come la risonanza pratica del valore e disvalore estetici , del bello e del brutto . Ma questo lato pratico dell ' attività estetica ha a sua volta un accompagnamento fisico , o psicofisico , che consiste in suoni , toni , movimenti , combinazioni di linee e colori , e via discorrendo . Lo ha realmente , o pare che lo abbia per effetto della costruzione che ne facciamo nella scienza fisica , e dei procedimenti comodi e arbitrari , che già più volte abbiamo messi in rilievo come propri delle scienze empiriche e astratte ? La nostra risposta non può esser dubbia , e cioè deve affermare la seconda delle due ipotesi . Tuttavia , gioverà a questo punto lasciarla come in sospeso , non essendo per ora necessario spingere più oltre tale indagine . Basti la sola avvertenza a impedire , intanto , che il nostro parlare , per ragione di semplicità e di adesione al linguaggio comune , dell ' elemento fisico come di alcunché di oggettivo e di esistente , induca ad affrettare conclusioni circa i concetti e la relazione di spirito e natura . Importa , invece , notare che , come l ' esistenza del lato edonistico in ogni attività spirituale ha dato luogo alla confusione tra l ' attività estetica e l ' utile o il piacevole , così l ' esistenza o meglio la possibilità della costruzione di questo lato fisico , ha ingenerato la confusione tra l ' espressione estetica e l ' espressione in senso naturalistico ; tra un fatto spirituale , cioè , e uno meccanico e passivo ( per non dire tra una realtà concreta e un ' astrazione o finzione ) . Nel linguaggio comune si chiamano espressioni tanto le parole del poeta , le note del musicista , le figure del pittore , quanto il rossore che suole accompagnare il sentimento di vergogna , il pallore che è prodotto spesso dalla paura , il digrignare dei denti proprio della collera violenta , il brillare degli occhi e certi movimenti dei muscoli della bocca che manifestano l ' allegrezza . E si dice ancora che un certo grado di calore è espressione della febbre , che la depressione del barometro è espressione della pioggia ; e , magari , che l ' altezza del cambio esprime il discredito della carta - moneta di uno Stato , o il malcontento sociale l ' avvicinarsi di una rivoluzione . Quali risultati scientifici si possono mai raggiungere lasciandosi traviare dall ' uso linguistico e mettendo tutte in un sol fascio cose cotanto disparate , si può bene immaginare . Ma , in verità , tra un uomo in preda all ' ira con tutte le manifestazioni naturali di questa , e un altro uomo che la esprima esteticamente ; tra l ' aspetto , i gridi e i contorcimenti di chi è straziato dal dolore per la perdita di una persona cara , e le parole o il canto con cui lo stesso individuo ritrae , in un altro momento , il suo strazio ; tra la smorfia della commozione e il gesto dell ' attore ; è un abisso . Non appartiene all ’ Estetica il libro del Darwin sull ' espressione dei sentimenti nell ' uomo e negli animali , perché non v ' ha nulla di comune tra la scienza dell ' espressione spirituale e una Semiotica , medica , metereologica , politica , fisiognomica o chiromantica che sia . All ' espressione in senso naturalistico manca , semplicemente , l ' espressione in senso spirituale , ossia il carattere stesso dell ' attività e della spiritualità , e quindi la bipartizione nei poli del bello e del brutto . Essa non è altro che un rapporto , fissato dall ' intelletto astratto , di causa ed effetto . Il processo completo della produzione estetica può essere simboleggiato in quattro stadi , che sono : a , impressioni ; b , espressione o sintesi spirituale estetica ; c , accompagnamento edonistico o piacere del bello ( piacere estetico ) ; d , traduzione del fatto estetico in fenomeni fisici ( suoni , toni , movimenti , combinazioni di linee e colori , ecc . ) . Ognun vede che il punto essenziale , il solo che sia propriamente estetico e davvero reale , è quel b , che manca alla mera manifestazione o costruzione naturalistica , detta anch ' essa , per metafora , espressione . Percorsi quei quattro stadi , il processo espressivo è esaurito ; salvo a ricominciare con nuove impressioni , nuova sintesi estetica , e accompagnamenti relativi . Le espressioni o rappresentazioni si seguono l ' una l ' altra , l ' una scaccia l ' altra . Certamente , quel passare , quell ' esser discacciato , non è un perire , non è un ' eliminazione totale : niente di ciò che nasce muore , di quella morte completa che sarebbe identica al non esser mai nato : se tutto trapassa , nulla può morire . Anche le rappresentazioni che sono state dimenticate persistono in qualche modo nel nostro spirito ; senza di che non si spiegherebbero le abitudini e le capacità acquisite . Anzi , in questo apparente dimenticare è la forza della vita : si dimentica ciò che è stato risoluto e che la vita ha almeno provvisoriamente superato . Ma altre rappresentazioni sono ancora elementi efficaci nei processi attuali del nostro spirito ; e a noi preme non dimenticarle o essere in grado di richiamarle secondo che il bisogno richieda . E la volontà è costantemente vigile in quest ' opera di conservazione , che mira a conservare ( si può dire ) la maggiore e fondamentale di tutte le nostre ricchezze . Senonché , la sua vigilanza non è sempre sufficiente : la memoria , come si dice , ci abbandona o più o meno c ' inganna . E appunto perciò lo spirito umano escogita espedienti , che soccorrano alla debolezza della memoria e siano i suoi aiuti . In qual modo sia dato ottenere codesti aiuti , s ' intravvede dal già detto . Le espressioni o rappresentazioni sono , insieme , fatti pratici , i quali si chiamano anche “ fisici ” , in quanto la fisica ha per compito di classificarli e ridurli a tipi . Ora è chiaro che , se si riesce a rendere in qualche modo permanenti quei fatti pratici o fisici , sarà sempre possibile ( restando pari tutte le altre condizioni ) , col percepirli , riprodurre in sé la già prodotta espressione o intuizione . E se si chiama oggetto o stimolo fisico quello in cui gli atti pratici concomitanti , o ( per parlare in termini fisici ) i movimenti , sono stati isolati e resi in qualche modo permanenti ; designando poi quell ' oggetto o stimolo con la lettera e , il processo della riproduzione sarà rappresentato dalla serie seguente : e , stimolo fisico ; d - b , percezione di fatti fisici ( suoni , toni , mimica , combinazione di linee e colori , ecc . ) , che è insieme la sintesi estetica , già prodotta ; c , accompagnamento edonistico , che anche si riproduce . E che cosa altro sono se non stimoli fisici della riproduzione ( lo stadio e ) quelle combinazioni di parole che si dicono poesie , prose , poemi , novelle , romanzi , tragedie o commedie , e quelle di toni che si dicono opere , sinfonie , sonate , e quelle combinazioni di linee e colori che si dicono quadri , statue , architetture ? L ' energia spirituale della memoria , col sussidio di quei provvidi fatti fisici , rende possibile la conservazione e la riproduzione delle intuizioni che l ' uomo viene producendo . S ' infiacchisca l ' organismo fisiologico e , con esso , la memoria ; si distruggano i monumenti dell ' arte ; ed ecco tutta la ricchezza estetica , frutto delle fatiche di molte generazioni , assottigliarsi e dileguare rapidamente . I monumenti dell ' arte , gli stimoli della riproduzione estetica , si chiamano cose belle o bello fisico . Unioni di parole , che offrono un paradosso verbale , perché il bello non è fatto fisico , e non appartiene alle cose , ma all ' attività dell ' uomo , all ' energia spirituale . Ma è chiaro ormai attraverso quali passaggi e quali associazioni le cose e i fatti fisici , meri aiuti alla riproduzione del bello , finiscano con l ' esser denominati , ellitticamente , cose belle e bello fisico . E di questa ellissi , ora che l ' abbiamo sciolta e schiarita , ci varremo anche noi senza scrupoli . L ' intervento del “ bello fisico ” serve a spiegare un altro significato delle parole “ contenuto ” e “ forma ” nell ' uso degli estetici . Alcuni , infatti , chiamano “ contenuto ” l ' espressione o fatto interno . ( che per noi già è forma ) , e “ forma ” , invece , il marmo , i colori , le voci , i suoni ( per noi , non più forma ) , e considerano in questo modo il fatto fisico come la forma , che può aggiungersi o no al contenuto . E serve anche a spiegare un altro aspetto di quel che si dice “ brutto ” estetico . Chi non ha nulla di proprio da esprimere può tentare di coprire il vuoto interno col profluvio delle parole , col verso sonante , con la polifonia assordante , col dipingere che abbarbaglia lo sguardo , o col mettere insieme grandi macchine architettoniche , che colpiscano e stordiscano , benché , in fondo , non significhino nulla . Il brutto è , dunque , l ' arbitrario , il ciarlatanesco ; e , in realtà senza l ' intervento dell ' arbitrio pratico nel processo teoretico potrebbe aversi assenza del bello , ma non mai presenza di qualcosa di effettivo che meriti l ' aggettivo “ brutto ” . Il bello fisico si suoi distinguere in bello naturale e bello artificiale : con che giungiamo innanzi a uno dei fatti che hanno dato maggiore travaglio ai pensatori , al bello di natura . Queste parole spesso designano semplicemente fatti di piacevole pratico . Chi chiama bella una campagna , in cui l ' occhio si riposa sul verde e il corpo si muove alacre e dove il tepido raggio del sole avvolge e carezza le membra , non accenna a nulla di estetico . Ma è pure indubitabile che , altre volte , l ' aggettivo “ bello ” , applicato a oggetti e scene esistenti in natura , ha significato prettamente estetico . È stato osservato che , per aver godimento estetico dagli oggetti naturali , conviene astrarre dalla loro estrinseca e storica realtà , e separare dall ' esistenza la semplice apparenza o parvenza ; che guardando noi un paesaggio col passar la testa fra le gambe , in modo da toglierci dalla relazione consueta con esso , il paesaggio ci appare come uno spettacolo fantastico ; che la natura è bella solo per chi la contempli con occhio d ' artista ; che zoologi e botanici non conoscono animali e fiori belli ; che il bello naturale si scopre ( ed esempi di scoperte sono i “ punti di vista ” , additati da artisti e da uomini dì fantasia e di gusto , e a cui si recano poi in pellegrinaggio viaggiatori ed escursionisti più o meno esteti , onde ha luogo in tali casi come una suggestione collettiva ) ; che , senza il concorso della fantasia , nessuna parte della natura è bella , e che , per tale concorso , secondo le varie disposizioni d ' animo , uno stesso oggetto o fatto naturale è ora espressivo ora insignificante , ora di una determinata espressione ora di un ' altra , lieto o triste , sublime o ridicolo , dolce o beffardo ; che , infine , non esiste alcuna bellezza naturale alla quale un artista non farebbe qualche correzione . Tutte osservazioni giustissime , e che confermano pienamente che il bello naturale è semplice stimolo della riproduzione estetica , il quale presuppone l ' avvenuta produzione . Senza le precedenti intuizioni estetiche della fantasia , la natura non può risvegliarne alcuna . L ' uomo innanzi alla bellezza naturale è proprio il mitico Narciso al fonte . E il bello di natura è “ raro , scarso e fuggitivo ” , diceva il Leopardi ; imperfetto , equivoco , variabile . Ciascuno riferisce il fatto naturale all ' espressione che gli sta in mente . Un artista è come rapito innanzi a un ridente paesaggio , e un altro innanzi a una bottega di cenciaiuolo ; uno innanzi a un volto grazioso di giovinetta , e un altro innanzi al lurido ceffo di un vecchio mascalzone . Il primo dirà , forse , che la bottega del cenciaiuolo e il ceffo del mascalzone sono disgustosi ; il secondo , che la campagna ridente e il volto della giovinetta sono insipidi . E potranno litigare all ' infinito ; e non si metteranno d ' accordo se non quando siano forniti di quella dose di conoscenze estetiche , la quale li abiliti a riconoscere che hanno entrambi ragione . Il bello artificiale , foggiato dall ' uomo , è aiuto ben più duttile ed efficace . Accanto a queste due classi , si parla anche , talvolta , nei trattati , di un bello misto . Misto di che ? appunto di naturale e artificiale . Chi estrinseca e fissa , opera con dati naturali , ch ' egli non crea , ma combina e trasforma . In questo senso , ogni prodotto artificiale è misto di natura e di artificio ; e non ci sarebbe luogo a parlare del bello misto come di una speciale categoria . Ma accade che in alcuni casi si possano adoperare , in assai maggiore quantità che non in altri , combinazioni già date in natura ; come allorché si forma un bel giardino , e si riesce a includere in quella formazione gruppi di alberi o laghetti , che già si trovino sul posto . Altre volte , l ' estrinsecazione è limitata dall ' impossibilità di produrre artificialmente alcuni effetti . Infatti , possiamo mescolare le materie coloranti , ma non foggiare una voce potente o un viso e una persona che siano acconci al tale o tal altro personaggio di un dramma ; e dobbiamo , perciò , ricercarli tra le cose naturalmente esistenti , e adoperarli quando li troviamo . Allorché , dunque , si adoperano in gran numero combinazioni già esistenti in natura , e tali che , se non esistessero , non sapremmo produrre artificialmente , si dice che il fatto risultante è un bello misto . Dal bello artificiale bisogna distinguere quegl ' istrumenti di riproduzione chiamati scritture , quali gli alfabeti , le note musicali , i geroglifici , e tutti gli pseudolinguaggi , da quello dei fiori e delle bandiere fino al linguaggio ( molto in voga nella società galante del settecento ) dei nèi . Le scritture sono , non già fatti fisici , che direttamente destino impressioni rispondenti alle espressioni estetiche , ma semplici indicazioni di ciò che si deve fare per produrre quei fatti fisici . Una serie di segni grafici serve a ricordarci i movimenti che dobbiamo far eseguire al nostro apparato vocale , per emettere certi determinati suoni . Che poi l ' esercizio ci permetta di sentire le parole senza aprir bocca e ( cosa molto più difficile ) di sentire i toni scorrendo con l ' occhio sul . pentagramma ; tutto ciò non muta nulla all ' indole delle scritture , che sono cosa assai diversa dal bello fisico diretto . Il libro che contiene la Divina Commedia , o la partitura che contiene il Don Giovanni , nessuno li dice belli al modo che per più immediata metafora si chiama il pezzo di marmo contenente il Mosè di Michelangelo e il pezzo di legno colorato contenente la Trasfigurazione . Gli uni e gli altri sono atti a riprodurre le impressioni del bello ; ma i primi per un giro ben più lungo , e molto indiretto . Un ' altra partizione , che si trova ancora nei trattati , è quella del bello in libero e non libero . Per bellezze non libere si sono intesi quegli oggetti , che debbono servire a un doppio scopo , extraestetico ed estetico ( stimolante di intuizioni ) ; e , sembrando che il primo scopo ponga limiti e impacci al secondo , l ' oggetto bello risultante è stato considerato come bellezza “ non libera ” . Come esempi si adducono specialmente le opere architettoniche ; anzi appunto per ciò l ' architettura è stata da molti esclusa dal novero delle cosiddette arti belle . Un tempio deve essere anzitutto un edificio a uso di culto ; una casa deve possedere tutte le stanze che occorrono pel comodo della vita , e disposte al fine di quel comodo ; una fortezza dev ' essere una costruzione resistente agli attacchi di dati eserciti e alle offese di dati strumenti bellici . L ' architetto ( si conclude ) si aggira in un campo ristretto : può abbellire in qualche modo il tempio , la casa , la fortezza ; ma è legato dalla destinazione di quegli edifizi , e non può della sua visione di bellezza manifestare se non quella parte che non danneggi gli scopi extraestetici , ma fondamentali , di essi . Altri esempi si tolgono da quella che si chiama l ' arte applicata all ' industria . Si possono fare piatti , bicchieri , coltelli , fucili , pettini belli , ma la bellezza ( si dice ) non deve spingersi tant ' oltre , che nel piatto non si possa mangiare , nel bicchiere non si possa bere , col coltello non si possa tagliare , né col fucile sparare , né col pettine ravviarsi i capelli . Lo stesso si dica dell ' arte tipografica : un libro deve essere bello , ma non fino al punto che sia impossibile o difficile leggerlo . A tutto ciò è da osservare , in primo luogo , che il fine estrinseco , appunto perché tale , non è di necessità limite e impaccio all ' altro fine di stimolo della riproduzione estetica . È , dunque , affatto erronea la tesi che l ' architettura , per esempio , sia di sua natura arte non libera e imperfetta , dovendo ubbidire anche ad altri e pratici intenti : tesi , del resto , che le belle opere architettoniche hanno cura di smentire con la semplice loro presenza . In secondo luogo , non solo i due fini non stanno di necessità in contradizione , ma , si deve aggiungere , l ' artista ha sempre modo d ' impedire che la contradizione si formi . E come ? Facendo entrare come materia nella sua intuizione ed estrinsecazione estetica la destinazione per l ' appunto dell ' oggetto che serve a uno scopo pratico . Egli non avrà bisogno di aggiungere nulla all ' oggetto per renderlo strumento d ' intuizioni estetiche : sarà tale , se perfettamente adatto al suo scopo pratico . Case rustiche e palagi , chiese e caserme , spade e aratri , sono belli , non in quanto abbelliti e adorni , ma in quanto esprimenti il loro fine . Una veste non è bella se non perché è proprio quella che conviene a una data persona in date condizioni . Non era bello il brando cinto al guerriero Rinaldo dall ' amorosa Armida : “ guernito sì che inutile ornamento Sembra , non militar fero istrumento ” . O , anzi , era bello , se si vuole , ma agli occhi e alla fantasia della maga , la quale vagheggiava a quel modo infemminito il suo amante . L ' attività estetica può andare sempre d ' accordo con quella pratica , perché l ' espressione è verità . Che poi la contemplazione estetica impacci talora l ' uso pratico , non può negarsi ; giacché è un fatto di comune esperienza che certi oggetti nuovi sembrano tanto adatti al loro scopo , e perciò tanto belli , che si prova talvolta come uno scrupolo a maltrattarli , passando dalla contemplazione all ' uso , ch ’ è consumo . Per questo motivo re Federico Guglielmo di Prussia provava ripugnanza a mandare al fango e al fuoco i suoi magnifici granatieri , così adatti alla guerra , e che resero tanto buon servigio al meno esteta suo figliuolo , il gran Federico . Ci si perdoni se siamo entrati in ispiegazioni circa queste cose ovvie e queste inezie ; ma sono inezie che troviamo assai dilatate nei libri degli estetici , e cose ovvie che presso di essi si sono molto imbrogliate . Alla teoria da noi proposta del bello fisico come semplice aiuto per la riproduzione del bello interno , ossia delle espressioni , potrebbe obiettarsi : che l ' artista crea le sue espressioni dipingendo o scolpendo , scrivendo o componendo ; e che perciò il bello fisico , anziché seguire , precede talvolta il bello estetico . Sarebbe questo un modo assai superficiale d ' intendere il procedere dell ' artista , il quale , in realtà , non dà mai pennellata senza prima averla vista con la fantasia ; e , se non l ' ha vista ancora , la darà non per estrinsecare la sua espressione ( che in quel momento non esiste ) , ma quasi a prova e per avere un semplice punto di appoggio all ' ulteriore meditazione e concentrazione interna . Il punto fisico di appoggio non è il bello fisico , strumento di riproduzione , ma un mezzo che si potrebbe dire pedagogico , pari al ritrarsi in solitudine o ai tanti altri espedienti , spesso assai bizzarri , che adoperano artisti e scienziati e che variano secondo le varie idiosincrasie . Il vecchio estetico Baumgarten consigliava ai poeti , come mezzi per promuovere l ' ispirazione , di andare a cavallo , bere moderatamente vino , e , se per altro ( ammoniva ) fossero casti , guardare belle donne . XIV . ERRORI NASCENTI DALLA CONFUSIONE TRA FISICA ED ESTETICA . Dal non aver inteso il rapporto puramente estrinseco che corre tra la visione artistica e il fatto fisico , ossia l ' istrumento che serve di aiuto a riprodurla , è nata una serie di fallaci dottrine , che importa menzionare , accennandone la critica , la quale discende da ciò che si è già detto . In tale mancata intelligenza trova sostegno quella forma di associazionismo , che identifica l ' atto estetico con l ' associazione di due immagini . Per quale via si è potuto venire a siffatto errore , contro cui si ribella la nostra coscienza estetica , ch ’ è coscienza di unità perfetta e non mai di dualità ? Appunto perché si sono considerati separatamente il fatto fisico e quello estetico , quasi due immagini distinte , che entrino nello spirito l ' una tirata dall ' altra , l ' una prima e l ' altra dopo . Un quadro si è scisso nell ' immagine del quadro e nell ' immagine del significato del quadro ; una poesia , nell ' immagine delle parole e in quella del significato delle parole . Ma questo dualismo d ' immagini è inesistente : il fatto fisico non entra nello spirito come immagine , ma fa riprodurre l ' immagine ( l ' unica immagine , ch ' è il fatto estetico ) , in quanto stimola ciecamente l ' organismo psichico e produce l ' impressione rispondente alla già prodotta espressione estetica . Sono altamente istruttivi gli sforzi degli associazionisti ( gli odierni spadroneggiatori nel campo dell ’ Estetica ) per uscire d ' imbarazzo e riafferrare in qualche modo l ' unità , che l ' introdotto principio associazionistico ha distrutto . Alcuni sostengono che l ' immagine richiamata sia inconscia : altri , lasciando stare l ’ inconscio , pretendono invece che sia vaga , vaporosa , confusa , e riducono così la forza del fatto estetico alla debolezza della memoria cattiva . Ma il dilemma è inesorabile : o conservare l ' associazione , abbandonando l ' unità ; o conservare l ' unità , abbandonando l ' associazione . Una terza via di uscita non esiste . Dal non aver bene analizzato il cosiddetto bello naturale e riconosciutolo semplice incidente della riproduzione estetica , e dall ' averlo , invece , considerato come qualcosa di dato in natura , è provenuta tutta quella parte che nelle trattazioni di Estetica prende il titolo di Bello nella natura o di Fisica estetica , suddivisa , magari , in Mineralogia , Botanica e Zoologia estetiche . Non vogliamo negare che siffatte trattazioni contengano spesso osservazioni giuste e fini , e siano qualche volta esse stesse lavori d ' arte , in quanto rappresentano bellamente le fantasie e fantasticherie , ossia le impressioni dei loro autori . Ma dobbiamo affermare che è scientificamente fallace proporsi le domande se il cane sia bello e se l ' ornitorinco sia brutto , se il giglio sia bello e il carciofo sia brutto . Anzi , qui , l ' errore è doppio . La Fisica estetica , per un lato , ricade nell ' equivoco della teoria dei generi artistici e letterari , di voler determinare esteticamente le astrazioni del nostro intelletto ; e dall ' altro , sconosce , come dicevamo , la vera formazione del cosiddetto bello naturale : formazione per la quale resta esclusa persino la domanda , se un dato animale individuo , un dato fiore , un dato uomo sia bello o brutto . Ciò che non è prodotto dallo spirito estetico o non ci riconduce a questo , non è né bello né brutto . Il processo estetico sorge dalle connessioni ideali in cui gli oggetti naturali vengono collocati . Il doppio errore può essere esemplificato dalla questione , sulla quale si sono scritti interi volumi , della Bellezza del corpo umano . Qui fa d ' uopo , anzitutto , spingere i discettatori dell ' argomento dall ' astratto verso il concreto , domandando : Che cosa s ' intende per corpo umano , quello del maschio , quello della femmina o quello dell ' androgine ? Poniamo che si risponda con lo scindere la ricerca nelle due distinte , circa la bellezza virile e circa la muliebre ( è vero che vi sono scrittori che discutono sul serio se sia più bello l ' uomo o la donna ) ; e continuiamo : Bellezza maschile o bellezza femminile ; ma di quale razza d ' uomini ? la bianca , la gialla , la negra , e quante altre sono e comunque si ripartiscano le razze ? Poniamo che si circoscriva alla bianca , e incalziamo : Di quale sottospecie della razza bianca ? E allorché li avremo ristretti via via a un cantuccio del mondo bianco , come a dire alla bellezza italiana , anzi toscana , anzi senese , anzi di Porta Camollia , seguiteremo : Sta bene ; ma del corpo umano in quale età ? e in quale condizione e atteggiamento ? del neonato , del bambino , del fanciullo , dell ' adolescente , dell ' uomo a mezzo del cammino , e via enumerando , e dell ' uomo che sta in calma o dell ' uomo che lavora o di quello ch ’ è occupato come la vacca di Paolo Potter o il Ganimede di Rembrandt ? Giunti così , mediante riduzioni successive , all ' individuo omnimode determinatum , o , meglio , al “ questo qui ” , che s ' indica col dito , sarà facile mostrare l ' altro errore , ricordando quello che abbiamo detto del fatto naturale , il quale , secondo il punto di vista , secondo ciò che s ' agita nella psiche dell ' artista , è ora bello ora brutto . Se perfino il Golfo di Napoli ha i suoi detrattori , e artisti che lo dichiarano inespressivo , preferendogli i “ tetri abeti ” , le “ nebbie e i perpetui aquiloni ” dei mari settentrionali ; figurarsi se è possibile che codesta relatività non abbia luogo pel corpo umano , fonte delle più svariate suggestioni . Connessa con la Fisica estetica è la questione della bellezza delle figure geometriche . Ma se per figure geometriche s ' intendono i concetti della geometria ( il concetto del triangolo , del quadrato , del cono ) , questi non sono né belli né brutti , appunto perché concetti . Se , invece , per tali figure s ' intendono corpi che hanno determinate forme geometriche , esse saranno belle o brutte , come ogni fatto naturale , secondo le connessioni ideali in cui vengono poste . Si è detto da taluni che sono belle quelle figure geometriche le quali tendono all ' alto , dandoci l ' immagine della fermezza e della forza . E che ciò possa accadere , non si nega . Ma non si deve negare neppure , che anche quelle le quali ci danno l ' impressione del malfermo e dello schiacciato , possono avere il loro bello , quando stanno per l ' appunto a rappresentare il malfermo e lo schiacciato ; e che , in questi ultimi casi , la fermezza della linea retta e la leggerezza del cono o del triangolo equilatero sembreranno , invece , elementi di bruttezza . Certo , siffatte questioni sul bello di natura e sulla bellezza della geometria , come le altre analoghe sul bello storico e sul bello umano , appaiono meno assurde nella Estetica del simpatico , la quale , con le parole “ bellezza estetica ” intende , in fondo , la rappresentazione del piacevole . Ma non è meno erronea , anche nell ' àmbito di quella dottrina e poste quelle premesse , la pretensione di determinare scientificamente quali siano i contenuti simpatici e quali quelli irrimediabilmente antipatici . Per tale questione non si può se non ripetere , con lunghissima infinita coda , il “ Sunt quos ” della prima ode del primo libro di Orazio , e l ' “ Havvi chi ” dell ' epistola leopardiana a Carlo Pepoli . A ciascuno il suo bello ( = simpatico ) , come a ciascuno la sua bella . La Filografia non è scienza . Nel produrre l ’ istrumento artificiale , o bello fisico , l ' artista ha talora innanzi fatti naturalmente esistenti , che sono , come si chiamano , i suoi modelli : corpi , stoffe , fiori , e così via . Si percorrano gli schizzi , gli studi e gli appunti degli artisti : Leonardo , quando lavorava al Cenacolo , annotava nel suo taccuino : “ Giovannina , viso fantastico , sta a S . Caterina , all ' Ospedale ; Cristofano di Castiglione sta alla pietà , ha bona testa ; Cristo , Giovan Conte , quello del Cardinale del Mortaro ” . E così via . Sorge da ciò l ' illusione che l ' artista imiti la natura ; laddove sarebbe forse più esatto dire , che la natura imiti l ' artista e gli sia obbediente . In questa illusione ha trovato talvolta terreno e alimento la teoria dell ' arte imitatrice della natura ; e anche la variante di essa , meglio sostenibile , che fa dell ' arte l ’ idealizzatrice della natura . Questa ultima teoria presenta il processo disordinatamente , anzi all ’ inverso dell ' ordine reale ; perché l ' artista non muove dalla realtà estrinseca per modificarla avvicinandola all ' ideale , ma dall ' impressione della natura esterna va alla espressione , e cioè al suo ideale , e da questa passa al fatto naturale , che riduce strumento di riproduzione del fatto ideale . Anche conseguenza di uno scambio tra atto estetico e fatto fisico è la dottrina delle forme elementari del bello . Se l ' espressione , se il bello è indivisibile , il fatto fisico , invece , nel quale esso si estrinseca , può ben essere diviso e suddiviso : per esempio , una superficie dipinta in linee e colori , gruppi e curve di linee , specie di colori , e via dicendo ; una poesia , in strofe , versi , piedi , sillabe ; una prosa , in capitoli , paragrafi , capiversi , periodi , frasi , parole , e così via . Le parti , che si ottengono a questo modo , non sono atti estetici , ma fatti fisici più . piccoli , arbitrariamente tagliati . Procedendo per questa via , e persistendo nella confusione , si finirebbe col concludere che le vere forme elementari del bello sono gli atomi . Contro gli atomi si potrebbe far valere la legge estetica , più volte promulgata , che il bello deve avere grandezza : una certa grandezza , che non sia né l ' impercettibilità del troppo piccolo né l ’ inafferrabilità del troppo grande . Ma una grandezza che si determini , non secondo misure , ma secondo la percettibilità , accenna a ben altro che non a un concetto matematico . E , infatti , ciò che si dice impercettibile e inafferrabile non produce impressione , perché non è fatto reale , ma concetto : il requisito della grandezza del bello si riduce in tal modo a quello della presenza effettiva del fatto fisico , che serve alla riproduzione del bello . Continuando nella ricerca delle leggi fisiche o delle condizioni obiettive del bello , è stato domandato a quali fatti fisici risponde il bello , a quali il brutto , ossia a quali unioni di toni , di colori , di grandezze , matematicamente determinabili . Il che sarebbe come se , in Economia politica , si ricercassero le leggi degli scambi nella natura fisica degli oggetti che si scambiano . Della vanità del tentativo avrebbe dovuto dare presto qualche sospetto la sua costante infecondità . Ai nostri tempi in ispecie , si è molte volte asserita la necessità di una Estetica induttiva , di un ' Estetica dal basso , che proceda come scienza naturale e non affretti le sue conclusioni . Induttiva ? Ma l ’ Estetica è stata sempre induttiva e deduttiva insieme , come ogni scienza filosofica ; l ' induzione e la deduzione non possono separarsi , né , separate , valgono a qualificare una scienza vera e propria . Senonché la parola « induzione » non era pronunziata a caso : si voleva con essa significare che il fatto estetico non è altro , in fondo , che un fatto fisico , da studiare applicandogli i concetti e i metodi propri delle scienze fisiche e naturali . Con tale presupposto e con tale fiducia l ’ Estetica induttiva o Estetica dal basso ( quanta superbia in questa modestia ! ) si è messa all ' opera . E ha coscienziosamente cominciato dal fare raccolta di oggetti belli , per esempio , di una grande quantità di buste per lettere di varia forma e dimensione ; ed è venuta investigando quali di queste diano l ’ impressione del bello e quali del brutto . Com ' era da aspettare , gli estetici induttivi si sono trovati subito nell ' imbarazzo : lo stesso oggetto , che sembrava brutto per un verso , sembrava poi bello per un altro . Una busta gialla , grossolana , bruttissima per chi debba chiudervi una letterina d ' amore , è poi sommamente adatta a contenere una citazione in carta bollata per mano d ' usciere ; la quale starebbe molto male ( o per lo meno , parrebbe una ironia ) in una busta quadrata di carta inglese . Queste considerazioni di semplice buon senso sarebbero dovute bastare a persuadere gli estetici dell ' induzione , che il bello non ha esistenza fisica ; e a far loro smettere la vana e ridicola ricerca . Ma no : essi sono ricorsi a un espediente , che non sappiamo quanto appartenga alla severità delle scienze naturali . Hanno mandato in giro le loro buste e aperto un referendum , cercando di stabilire in che consista il bello e il brutto , a voti di maggioranza . Non ci dilungheremo ancora in quest ' argomento , perché ci parrebbe di mutarci , da espositori della scienza estetica e dei suoi problemi , in narratori di aneddoti comici . In linea di fatto sta , che tutta l ’ Estetica induttiva , non ha finora scoperto una legge sola . Chi dispera dei medici , è disposto ad abbandonarsi ai ciarlatani . E così è accaduto ai credenti nelle leggi naturalistiche del bello . Gli artisti adoperano talvolta canoni empirici , come quello delle proporzioni del corpo umano o quello della sezione aurea , cioè di una linea divisa in due parti in modo che la minore stia alla maggiore come la maggiore alla linea intera ( bc : ac = ac : ab ) . Questi canoni diventano facilmente le loro superstizioni , attribuendo essi all ' osservanza di regole siffatte la buona riuscita delle opere loro . Così Michelangelo lasciava in eredità al discepolo Marco del Pino da Siena il precetto : “ ch ' egli dovesse sempre fare una figura piramidale , serpentinata , moltiplicata per una , due e tre ” ; precetto che non aiutò , per altro , Marco da Siena a uscire da quella mediocrità , che noi possiamo osservare ancora nelle tante pitture di lui esistenti qui in Napoli . E dal detto di Michelangelo altri trasse appicco a teorizzare la linea ondulante e la serpeggiante , come le vere linee della bellezza . Su queste leggi della bellezza , sulla sezione aurea e sulla linea ondulante e serpeggiante , si sono composti interi volumi , che bisogna considerare , a nostro parere , quasi l ' astrologia della Estetica . XV . L ' ATTIVITÀ DELL ' ESTRINSECAZIONE . LA TECNICA E LA TEORIA DELLE ARTI . Il fatto della produzione del bello fisico importa , come si è già avvertito , la vigile volontà che si sforza a non lasciare andar perdute certe visioni , intuizioni o rappresentazioni . Volontà che può svolgersi rapidissimamente e come istintivamente , e può anche aver bisogno di lunghe e laboriose deliberazioni . A ogni modo , solo così , cioè per effetto della produzione che ha luogo di aiuti alla memoria ossia di oggetti fisici , l ' attività pratica entra in relazione con quella estetica , non più come semplice concomitante di essa , ma come momento da essa realmente distinto . Noi non possiamo volere o non volere la nostra visione estetica : possiamo , bensì , volerla o no estrinsecare , o , meglio , serbare e comunicare o no agli altri l ' estrinsecazione prodotta . Questo fatto volontario dell ' estrinsecazione è preceduto da un complesso di svariate conoscenze , le quali , come tutte le conoscenze allorché precedono un ' attività pratica , sappiamo che prendono il nome di tecniche . E allo stesso modo metaforico ed ellittico onde si parla di un bello fisico , si discorre di una tecnica artistica , cioè ( per denominarla più precisamente ) di conoscenze a servigio dell ' attività pratica rivolta a produrre stimoli di riproduzione estetica . In luogo di una dicitura così lunga ci varremo anche qui della terminologia comune , sul significato della quale oramai siamo intesi . La possibilità di queste conoscenze tecniche in servigio della riproduzione artistica è ciò che ha traviato le menti a immaginare una tecnica estetica dell ' espressione interna , vale a dire una dottrina dei mezzi dell ' espressione interna , cosa affatto inconcepibile . E di questa inconcepibilità ben sappiamo la ragione : l ' espressione , considerata in sé stessa , è attività teoretica elementare ; e , in quanto tale , precede la pratica e le conoscenze intellettive che rischiarano la pratica , ed è indipendente così dall ' una come dalle altre . Concorre per sua parte a determinare la pratica , ma non ne viene determinata . L ' espressione non ha mezzi , perché non ha fine ; intuisce qualcosa , ma non vuole , e perciò non si può analizzare nei componenti astratti della volizione , il mezzo e il fine . E se si dice talora che uno scrittore ha inventato una nuova tecnica del romanzo o del dramma , o un pittore una nuova tecnica del distribuire la luce , la parola è usata a casaccio , perché la pretesa nuova tecnica è proprio quel nuovo romanzo , quel nuovo quadro , e nient ' altro . La distribuzione della luce appartiene alla visione stessa del quadro ; così come la tecnica di un drammaturgo è la stessa concezione drammatica di lui . Altre volte , con la parola “ tecnica ” Si sogliono designare alcuni pregi o difetti di un ' opera sbagliata ; e si dice , come per eufemismo , che la concezione è sbagliata ma la tecnica è buona , o che la concezione è buona , ma la tecnica è sbagliata . Quando , invece , si parla dei modi di dipingere a olio o d ' incidere ad acquaforte o di scolpire l ' alabastro , allora sì che la parola “ tecnica ” è propria ; senonché , in tal caso , l ' aggettivo “ artistico ” è usato metaforicamente . E se una tecnica drammatica , in senso estetico , è impossibile , non è impossibile una tecnica teatrale , ossia dei processi d ' estrinsecazione di alcune particolari opere estetiche . Allorché , per esempio , in Italia , nella seconda metà del secolo decimosesto , s ' introdussero le donne sulle scene , sostituendole agli uomini truccati da donne , questo fu un ritrovato , vero e proprio , di tecnica teatrale ; e tale fu anche per l ' appunto , nel secolo seguente , quel perfezionamento che alle macchine per il rapido cambiamento delle scene seppero dare gl ' impresari dei teatri di Venezia . La raccolta di conoscenze tecniche in servigio degli artisti che intendono a estrinsecare le loro espressioni , può dividersi in gruppi , i quali prendono il titolo di teorie delle arti . Nasce così una teoria dell ' Architettura , contenente leggi di meccanica , ragguagli sul peso o sulla resistenza dei materiali di costruzione e di rivestimento , sul modo di mescolare la calce e lo stucco ; una teoria della Scultura , contenente avvertenze sui modi di scolpire le varie pietre , di ottenere una buona fusione del bronzo , di lavorarlo col cesello , di copiare esattamente il modello di creta e di gesso , di tenere umida la creta ; una teoria della Pittura , sulla varia tecnica della tempera , della pittura a olio , dell ' acquarello , del pastello , sulle proporzioni del corpo umano , sulle regole della prospettiva ; una teoria dell ' Oratoria , con precetti sulle guise del porgere , sui metodi per esercitare e rinforzare la voce , sugli atteggiamenti mimici e sui gesti ; una teoria della Musica , sulle combinazioni e fusioni di toni e di suoni , e via seguitando : raccolte di precetti , che abbondano in tutte le letterature . E , poiché non è possibile dire esattamente che cosa sia utile e che cosa inutile a sapere , libri di questo genere tendono molto spesso a diventare enciclopedie o cataloghi di desiderati . Vitruvio , nel De architectura , richiede per l ' architetto la conoscenza delle lettere , del disegno , della geometria , dell ' aritmetica , dell ' ottica , della storia , della filosofia naturale e morale , della giurisprudenza , della medicina , dell ' astrologia , della musica , e così via . Tutto è buono da sapere : impara l ' arte e mettila da parte . Come dovrebbe esser chiaro , siffatte raccolte empiriche non sono riducibili a scienza . Composte di nozioni attinte appunto a varie scienze e discipline , i loro principi filosofici e scientifici si trovano in quelle . Proporsi di elaborare una teoria scientifica delle singole arti sarebbe volere ridurre all ' uno e omogeneo ciò ch ’ è , per destinazione , molteplice ed eterogeneo : voler distruggere come raccolta ciò ch ’ è stato messo assieme pel fine appunto di ottenere una raccolta . Nel tentar di dare forma rigorosamente scientifica ai manuali per l ' architetto o pel pittore o pel musicista , è chiaro che non resterebbero nelle nostre mani se non i principi generali della Meccanica , dell ' Ottica o dell ' Acustica . E se si viene estraendo da essi e isolando ciò che vi può essere sparso di osservazioni propriamente artistiche per costruirlo in sistema di scienza , si lascia il terreno della singola arte e si passa all ’ Estetica , ch ' è sempre Estetica generale o , per dir meglio , non si può dividere in generale e speciale . Quest ' ultimo caso ( proporsi , cioè , di dare una tecnica e riuscire a un ’ Estetica ) è accaduto di solito , allorché a elaborare simili teoriche e manuali tecnici si sono messi uomini forniti di forte senso scientifico e di naturale disposizione filosofica . Ma la confusione tra la Fisica e l ' Estetica ha raggiunto il più alto segno , quando si sono immaginate teorie estetiche delle singole arti , procurando di rispondere alle domande : quali sono i limiti di ciascun ' arte ? che cosa si può rappresentare coi colori e che cosa coi suoni ? che cosa con le semplici linee monocrome e che cosa con tocchi di colori svariati ? che cosa coi toni e che cosa coi metri e ritmi ? quali sono i limiti tra le arti figurative e le uditive , tra la pittura e la scultura , tra la poesia e la musica ? Il che , tradotto in termini scientifici , val quando domandare : quale è il legame tra l ' Acustica e l ' espressione estetica ? quale tra questa e l ' Ottica ? e simili . Ora , se dal fatto fisico a quello estetico non vi è passaggio , come potrebbe poi esservene dal fatto estetico a gruppi particolari di fatti fisici , quali i fenomeni dell ' Ottica o dell ' Acustica ? Le cosiddette arti non hanno limiti estetici , giacché , per averli , dovrebbero avere anche esistenza estetica nella loro particolarità ; e noi abbiamo mostrato la genesi affatto empirica di quelle partizioni . Per conseguenza , è assurdo ogni tentativo di classificazione estetica delle arti . Se non hanno limiti , esse non sono determinabili esattamente , né quindi filosoficamente distinguibili . Tutti i volumi di classificazioni e sistemi delle arti si potrebbero ( e sia detto col massimo rispetto verso gli scrittori che vi hanno versato sopra i loro sudori ) bruciare senza danno alcuno . L ' impossibilità di siffatte sistemazioni ha come una riprova negli strani modi ai quali si è ricorso per eseguirle . Prima e più comune partizione è quella in arti dell ' udito , della vista e della fantasia ; quasi che occhi , orecchi e fantasia stiano sulla stessa linea e possano dedursi da una medesima variabile logica , fondamento della divisione . Altri hanno proposto l ' ordinamento in arti dello spazio e arti del tempo , arti del riposo e arti del movimento ; come se i concetti di spazio , tempo , riposo e movimento determinino speciali conformazioni estetiche e abbiano alcunché di comune con l ' arte in quanto tale . Altri , infine , si sono baloccati a dividerle in classiche e romantiche , dando valore di concetti scientifici a semplici denominazioni di fatti storici , o cadendo in quelle partizioni rettoriche delle forme espressive già di sopra criticate ; o ancora in arti che si vedono da un sol lato , come la pittura , e che si vedono da tutti i lati , come la scultura ; e simili stravaganze , che non stanno né in cielo né in terra . La teoria dei limiti delle arti fu , forse , al tempo in cui venne proposta , una benefica reazione critica contro coloro che stimavano possibile il travasamento di un ' espressione in un ' altra ( per esempio , dell ' Iliade o del Paradiso perduto in una serie di dipinti ) , e anzi giudicavano di maggiore o minor valore una poesia , secondo che potesse o no da un pittore essere tradotta in quadri . Ma , se la reazione era ragionevole e riportò facile vittoria , ciò non vuol dire che le ragioni adoperate e i sistemi all ' uopo congegnati fossero buoni . Con la teoria delle arti e dei loro limiti cade ancora l ' altra , che ne è un corollario : quella della riunione delle arti . Poste singole arti , distinte e limitate , nascevano le domande : qual ’ è la più possente ? e , col riunirne parecchie , non si otterranno effetti più possenti ? Di ciò non sappiamo nulla : sappiamo , caso per caso , che alcune intuizioni artistiche hanno bisogno , per la riproduzione , di alcuni mezzi fisici , e altre intuizioni artistiche , di altri mezzi . Vi sono drammi il cui effetto si ottiene dalla semplice lettura ; altri , ai quali occorrono la declamazione e l ' apparato scenico : intuizioni artistiche che , per estrinsecarsi pienamente , richiedono parole , canto , strumenti musicali , colori , plastica , architetture , attori ; e altre , che sono belle e compiute in un sottile contorno fatto con la penna o con pochi tratti di matita . Ma che la declamazione e l ' apparato scenico , o tutte insieme le altre cose che abbiamo ora menzionate , siano più possenti della semplice lettura o del semplice contorno a penna e a matita , è falso ; perché ciascuno di quei fatti o gruppi di fatti ha , per così dire , diverso fine , e la potenza dei mezzi è incomparabile quando i fini sono diversi . È da notare che , solo tenendo ferma la netta e rigorosa distinzione tra l ' attività estetica vera e propria , e quella pratica dell ' estrinsecazione , è dato risolvere le avviluppate e confuse questioni circa i rapporti dell ' arte con l ' utilità e con la moralità . Che l ' arte come arte sia indipendente e dall ' utilità e dalla moralità , ossia da ogni valore pratico , abbiamo dimostrato di sopra . Senza tale indipendenza non sarebbe possibile parlare di un valore intrinseco dell ' arte , e neppure quindi concepire una scienza estetica , la quale ha per sua necessaria condizione l ' autonomia dell ' atto estetico . Ma sarebbe erroneo pretendere che l ' affermata indipendenza dell ' arte , ch ' è indipendenza della visione o intuizione o espressione interna dell ' artista , debba essere estesa senz ' altro all ' attività pratica dell ' estrinsecazione e della comunicazione , la quale può seguire o no al fatto estetico . Intesa l ' arte come estrinsecazione dell ' arte , l ' utilità e la moralità vi entrano di pieno diritto ; col diritto , cioè , che si ha nelle cose di casa propria . Infatti , delle tante espressioni e intuizioni che formiamo nel nostro spirito , non tutte estrinsechiamo e fissiamo ; non ogni nostro pensiero o immagine traduciamo a voce alta o mettiamo per iscritto o stampiamo o disegniamo o coloriamo o esponiamo al pubblico . Tra la folla delle intuizioni , formate o almeno abbozzate interiormente , noi scegliamo ; e la scelta è guidata da criteri di economica disposizione della vita e di morale indirizzo di essa . Perciò , fissata un ' intuizione , resta sempre da ponderare ancora se convenga comunicarla ad altri , e a chi , e quando , e come : ponderazioni che ricadono tutte egualmente sotto il criterio utilitario e sotto quello etico . Si trovano così in qualche modo giustificati i concetti della scelta , dell ' interessante , della moralità , del fine educativo , della popolarità , e simili , i quali , imposti all ' arte come arte , non possono giustificarsi in niun modo , e perciò sono stati da noi , in pura Estetica , respinti . L ' errore ha sempre qualche motivo di vero ; e chi formolava quelle proposizioni estetiche erronee volgeva , in realtà , l ' occhio ai fatti pratici , che si collegano esternamente al fatto estetico e appartengono alla vita economica e morale . Che poi si sia partigiani della maggiore libertà anche nella divulgazione dei mezzi della riproduzione estetica , sta bene : siamo anche noi di questo avviso e lasciamo le leghe pei provvedimenti legislativi e pei processi da promuovere contro l ' arte immorale agli ipocriti , agli ingenui e ai perdigiorno . Ma affermare quella libertà e fissarne i limiti , siano pure latissimi , è sempre ufficio della morale . E sarebbe , a ogni modo , fuori di luogo invocare quell ' altissimo principio , quel fundamentum Aesthetices , ch ’ è l ’ indipendenza dell ' arte , per dedurne l ' incolpabilità dell ' artista che nell ' estrinsecare le sue fantasie calcoli da immorale speculatore sui gusti malsani dei lettori , o la licenza da concedere ai girovaghi che vendono per le piazze figurine oscene . Quest ' ultimo caso è di competenza della polizia , come il primo è da trarsi innanzi al tribunale della coscienza morale . Il giudizio estetico sull ' opera d ' arte non ha che vedere con quello sulla moralità dell ' artista , in quanto uomo pratico , né coi provvedimenti da prendere perché le cose dell ' arte non siano distratte a fini malvagi , alieni dalla natura di essa , ch ’ è pura contemplazione teoretica . XVI . IL GUSTO E LA RIPRODUZIONE DELL ' ARTE . Compiuto l ' intero processo estetico ed estrinsecativo , prodotta un ' espressione bella , e fissatala in un determinato materiale fisico , che cosa significa giudicarla ? Riprodurla in sé , rispondono quasi a una voce i critici d ' arte , ed egregiamente . Procuriamo d ' intendere bene questo fatto e , a tal inténto , rappresentiamolo come in uno schema . L ' individuo A cerca l ' espressione di un ' impressione che sente o presente , ma che non ha ancora espressa . Eccolo a tentare varie parole e frasi , che gli diano l ' espressione cercata , quell ' espressione che dev ' esserci , ma ch ' egli non possiede . Prova la combinazione m , e la rigetta come impropria , inespressiva , manchevole , brutta : prova la combinazione n , e col medesimo risultato . Non vede punto o non vede chiaro . L ' espressione gli sfugge ancora . Dopo altre vane prove , nelle quali ora s ' accosta , ora si discosta dal segno cui tende , d ' un tratto forma ( par quasi che gli si formi da sé spontaneamente ) l ' espressione cercata , e lux facta est . Egli gode per un istante il piacere estetico o del bello . Il brutto , col dispiacere correlativo , era l ' attività estetica che non riusciva a vincere l ' ostacolo : il bello è l ' attività espressiva , che ora si dispiega trionfante . Abbiamo tolto l ' esemplificazione dal dominio della parola , come più accessibile e prossimo ; giacché , se non tutti disegniamo o dipingiamo , tutti parliamo . Se ora un altro individuo , che diremo B , dovrà giudicare quell ' espressione , e determinare se sia bella o brutta , egli non potrà se non mettersi nel punto di vista di A , e rifarne , con l ' aiuto del segno fisico da lui prodotto , il processo . Se A ha visto chiaro , B ( essendosi messo nel punto di vista di lui ) vedrà anch ' esso chiaro , e sentirà quell ' espressione come bella . Se A non ha visto chiaro , non vedrà chiaro neanche B , e la sentirà , d ' accordo con lui , più o meno brutta . Si potrà osservare che noi non abbiamo preso in considerazione due altri casi : che A abbia visto chiaro e B veda buio ; o che A abbia visto buio e B veda chiaro . Questi due casi sono , parlando con rigore , impossibili . L ' attività espressiva , appunto perché attività , non è capriccio , ma necessità spirituale ; e non può risolvere un medesimo problema estetico se non in un sol modo , che sia buono . Si obbietterà contro questa nostra recisa affermazione che opere le quali sembrano belle agli artisti , vengono poi riconosciute brutte dai critici ; e che altre opere , di cui quelli erano scontenti e che giudicavano imperfette o sbagliate , vengono riconosciute , invece , da questi e belle e perfette . Ma , in tali casi , una delle due parti ha torto : o i critici o gli artisti , e talvolta i critici e talvolta gli artisti . Infatti , il produttore dell ' espressione non sempre si rende conto esatto di ciò che accade nel suo animo . La fretta , la vanità , l ' irriflessione , i pregiudizi teorici ci fanno dire , e quasi talora anche credere , che siano belle opere nostre , che , se ci ripiegassimo davvero su noi stessi , vedremmo , quali sono in realtà , brutte . Il povero artista si comporta talora come il povero Don Quijote , quando , raccomodato alla meglio l ' elmo con la celata di cartapesta , che gli si era svelato alla prima prova di fiacchissima resistenza , si guardò bene dal provarlo di nuovo con un ben assestato colpo di spada , e lo dichiarò e ritenne senz ' altro ( dice il suo autore ) “ por celada finisima de encaxe ” . In altri casi , le cagioni medesime , o le opposte ma analoghe , turbano la coscienza dell ' artista , e gli fanno giudicare male ciò che ha prodotto bene , o tentar di disfare e rifare in peggio ciò che , nell ' artistica spontaneità , egli ha ben fatto . Esempio : Tasso e il suo passaggio dalla Gerusalemme liberata alla Gerusalemme conquistata . Parimente , la fretta , la pigrizia , l ' irriflessione , i pregiudizi teorici , le personali simpatie o animosità e altri motivi di tal sorta inducono talora i critici ad asserire brutto ciò ch ’ è bello e bello ciò ch ’ è brutto ; e ch ' essi sentirebbero , qual è effettivamente , se eliminassero quei motivi perturbatori e non lasciassero ai posteri , giudici più diligenti e spassionati , l ' ufficio di conferire la palma o compiere la giustizia da essi negata . Dal precedente teorema si ricava che l ' attività giudicatrice , che critica e riconosce il bello , s ' identifica con quella che lo produce . La differenza consiste soltanto nella diversità delle circostanze , perché l ' una volta si tratta di produzione e l ' altra di riproduzione estetica . L ' attività che giudica si dice gusto ; l ' attività produttrice genio : genio e gusto sono , dunque , sostanzialmente identici . Questa identità viene intravveduta allorché si osserva comunemente che il critico deve avere alcunché della genialità dell ' artista , e che l ' artista deve essere fornito di gusto ; ovvero che vi ha un gusto attivo ( produttore ) e uno passivo ( riproduttore ) . Ma in altre anche comuni osservazioni essa viene negata , quando , per esempio , si parla di un gusto senza genio , o di un genio senza gusto . Osservazioni , queste ultime , vuote di senso , se non alludessero a differenze quantitative o psicologiche , chiamandosi geni senza gusto coloro che producono opere d ' arte indovinate nelle parti culminanti e trascurate e difettose in quelle secondarie , e uomini di gusto senza genio coloro che , mentre sanno raggiungere alcuni pregi isolati o secondari , non hanno la forza necessaria per una vasta sintesi artistica . Interpretazioni analoghe si possono trovare agevolmente di altre proposizioni simili . Ma porre differenza sostanziale tra genio e gusto , tra produzione e riproduzione artistica , renderebbe inconcepibili la comunicazione e il giudizio . Come si potrebbe giudicare da noi ciò che ci restasse estraneo ? Come ciò ch ’ è prodotto di una determinata attività si potrebbe giudicare con una attività diversa ? Il critico sarà un piccolo genio , l ' artista un genio grande ; l ' uno avrà forze per dieci , l ' altro per cento ; il primo , per levarsi a una certa altezza , avrà bisogno dell ' appoggio dell ' altro : ma la natura di entrambi dev ' essere la medesima . Per giudicare Dante ci dobbiamo levare all ' altezza di lui : empiricamente , s ' intende bene , noi non siamo Dante , né Dante è noi ; ma , in quel momento della contemplazione , e del giudizio , il nostro spirito è tutt ' uno con quello del poeta , e in quel momento noi e lui siamo una cosa sola . Soltanto in questa identità è la possibilità che le nostre piccole anime risuonino con le grandi , e s ' aggrandiscano con esse nella universalità dello spirito . Osserviamo per incidente che ciò che sì è detto del giudizio estetico vale per ogni altra attività e per ogni altro giudizio ; e che allo stesso modo si fa la critica scientifica , economica , etica . Per fermarci al caso di quest ' ultima , solo se ci rimettiamo idealmente nelle condizioni medesime in cui si trovò chi prese una data risoluzione , possiamo giudicare se questa fu morale o immorale . Altrimenti , un ' azione ci resterebbe incomprensibile e quindi ingiudicabile . Un omicida può essere un furfante o un eroe : il che , se riesce , in certi limiti , indifferente alla difesa sociale , la quale condanna alla stessa pena l ' uno e l ' altro , non è indifferente a chi voglia distinguere e giudicare secondo morale , e non può quindi esimersi dal rifare la psicologia individuale dell ' omicida per determinare la vera figura , non più soltanto giuridica , dell ' azione di lui . Anche nell ’ Etica si è parlato qualche volta di un gusto o di un tatto morale , che risponderebbe a ciò che di solito si chiama coscienza morale , cioè all ' attività stessa della buona volontà . La spiegazione , esposta di sopra , del giudizio o riproduzione estetica dà insieme ragione e torto agli assolutisti e ai relativisti : a coloro che propugnano l ' assolutezza del gusto , e a coloro che la negano . Gli assolutisti , in quanto affermano potersi giudicar del bello , hanno ragione ; ma la dottrina che pongono a base della loro affermazione , è insostenibile , perché essi concepiscono il bello , ossia il valore estetico , come qualcosa che sia posto fuori dell ' attività estetica , come un concetto o un modello che l ' artista attui nella sua opera e di cui il critico si valga poi per giudicare l ' opera stessa . Concetti e modelli , che in arte non esistono , come bene si è riconosciuto sin da quando si è cominciato a dire che ogni opera d ' arte è giudicabile solo in sé stessa e ha in sé il suo modello : con che si è negata l ' esistenza dei modelli oggettivi di bellezza , siano essi concetti intellettuali o idee sospese nel cielo metafisico . In questa negazione gli avversari , i relativisti , hanno molta ragione , e col farla valere sono stati autori di un progresso nella teoria della critica . Senonché , la ragionevolezza iniziale della tesi si converte poi , anche presso di essi , in una teoria falsa . Ripetendo l ' antico adagio , che dei gusti non si disputa , credono che l ' espressione estetica sia della stessa qualità del piacevole e dello spiacevole , che ciascuno sente a suo modo e sui quali non si disputa . Ma piacevole e spiacevole sono , come sappiamo , fatti utilitari e pratici ; onde i relativisti vengono in ultima analisi a negare la natura del fatto estetico e a confondere da capo l ' espressione con l ' impressione , il teoretico col pratico . La soluzione giusta consiste nel rigettare così il relativismo o psicologismo , come il falso assolutismo ; e nel riconoscere che il criterio del gusto è assoluto , ma di una assolutezza diversa da quella dell ' intelletto , che si svolge nel raziocinio ; è assoluto dell ' assolutezza intuitiva della fantasia . P da giudicare perciò bello qualsiasi atto di attività espressiva che sia davvero tale , e brutto qualunque fatto , in cui entrino in lotta insoluta attività espressiva e passività . Tra assolutisti e relativisti assoluti è una terza classe , che potrebbe chiamarsi dei relativisti relativi . Costoro affermano l ' assolutezza dei valori in altri campi ( in quelli , per esempio , della Logica o dell ’ Etica ) , ma la negano nel campo estetico . Che si disputi di scienza o di morale , sembra loro naturale e giustificato , perché la scienza riposa sull ' universale , comune a tutti gli uomini , e la morale sul dovere , anch ' esso legge della natura umana ; ma come disputare dell ' arte , che riposa sulla fantasia ? Senonché non solo l ' attività fantastica è universale e appartiene alla natura umana , al pari del concetto logico e del dovere pratico ; ma contro la riferita tesi intermedia è da muovere un ' obiezione preliminare . Negando l ' assolutezza della fantasia , si verrebbe a negare anche quella della verità intellettuale o concettuale , e implicitamente , della morale . La morale non ha forse per presupposto le distinzioni logiche ? e come altrimenti queste sono conosciute se non in espressioni e parole , ossia in forma fantastica ? Tolta l ' assolutezza della fantasia , la vita dello spirito vacillerebbe nella base . L ' individuo non intenderebbe più l ' altro individuo , anzi neppure il sé stesso di un momento prima , il quale , considerato nel momento dopo , è già un altro individuo . Pure , la varietà dei giudizi è un fatto indubitabile . Gli uomini sono discordi in valutazioni logiche , etiche , economiche ; e discordi altresì , o ancora di più , in quelle estetiche . Se alcune cagioni che abbiamo ricordate ( fretta , pregiudizi , passioni e simili ) possono attenuare l ' importanza di cotesta discordia , non perciò l ' annullano . Nel parlare degli stimoli della riproduzione , abbiamo soggiunto una cautela , dicendo che la riproduzione ha luogo , se tutte le altre condizioni restano pari . Restano forse pari ? L ' ipotesi risponde alla realtà ? Sembra di no . Riprodurre più volte un ' impressione mediante uno stimolo fisico adatto , importa che questo non si sia alterato , e che l ' organismo si trovi nelle medesime condizioni psicologiche , in cui era quando ebbe l ' impressione che si vuol riprodurre . Ora è un fatto che lo stimolo fisico si altera continuamente , e così anche le condizioni psicologiche . Le pitture a olio anneriscono , quelle a fresco diventano sbiadite , le statue perdono nasi e mani e gambe , le architetture rovinano totalmente o parzialmente , dell ' esecuzione di una musica si smarrisce la tradizione , il testo di una poesia è corrotto da cattivi copisti o da cattive stampe . Questi sono esempi ovvi di mutazioni , che accadono ogni giorno negli oggetti o stimoli fisici . Circa le condizioni psicologiche , non ci fermeremo sul caso del diventar sordi o ciechi , cioè della perdita d ' interi ordini d ' impressioni psichiche : caso particolare e di secondaria importanza di fronte a quello fondamentale , quotidiano , immancabile , del mutarsi perpetuo della società intorno a noi e delle condizioni interne della nostra vita individuale . Le manifestazioni foniche , ossia le parole e i versi della Commedia dantesca debbono produrre in un cittadino italiano , che pratichi la politica della terza Roma , impressione ben diversa da quella che provava un ben informato e affiatato coetaneo del poeta . La Madonna di Cimabue è sempre in Santa Maria Novella ; ma parla essa al visitatore odierno come ai fiorentini del Dugento ? e , se anche il tempo non l ' avesse annerita , l ' impressione che ora produce non deve supporsi del tutto diversa da quella di un tempo ? Perfino nel caso di un medesimo individuo poeta , una poesia , composta da lui in gioventù , gli farà forse la stessa impressione di una volta , quando egli la rilegga in età senile , con disposizioni affatto mutate ? Vero è che alcuni estetici hanno tentato una distinzione tra stimoli e stimoli , tra segni naturali e convenzionali , i primi dei quali avrebbero un effetto costante e per tutti , e i secondi solo per circoli ristretti . Segni naturali sarebbero , a loro avviso , quelli della pittura ; convenzionali , le parole della poesia . Ma la differenza tra gli uni e gli altri è , tutt ' al più , solo di grado . Molte volte è stato affermato che la pittura è un linguaggio che s ' intende da chiunque , diversamente da ciò che accade per la poesia . In questo , per l ' appunto , Leonardo poneva una delle prerogative della sua arte , che “ non ha bisogno d ' interpreti di diverse lingue come hanno le lettere ” , e soddisfa agli uomini e agli animali , raccontando l ' aneddoto di quel ritratto di un padre di famiglia , “ cui facean carezze li piccioli figliuoli , che ancora erano nelle fasce , e similmente il cane e gatta della medesima casa ” . Ma altri aneddoti , come quelli dei selvaggi che toglievano in iscambio la figura di un soldato per quella di una barca , o un ritratto di uomo a cavallo consideravano come fornito di una sola gamba , scoterebbero la fede nei lattanti , nei cani e nei gatti , intelligenti di pittura . Per fortuna , non occorrono ardue ricerche per avvedersi che i quadri , e le poesie , e qualsiasi opera d ' arte , non producono effetto se non su animi preparati . Segni naturali non esistono , perché tutti sono a un modo stesso convenzionali , o , per parlare con la dovuta esattezza , storicamente condizionati . Ciò posto , come ottenere che l ' espressione venga riprodotta per mezzo dell ' oggetto fisico ? che si abbia il medesimo effetto , quando le condizioni non sono più le medesime ? E non parrebbe necessario , piuttosto , concludere che le espressioni , nonostante gl ' istrumenti fisici foggiati all ' uopo , sono irriproducibili ; e che ciò che si chiama riproduzione consiste realmente in espressioni sempre nuove ? E tale infatti sarebbe la conclusione , se le varietà delle condizioni fisiche e psichiche fossero intrinsecamente insuperabili . Ma , poiché l ' insuperabilità non ha nessun carattere di necessità , bisogna invece concludere : che la riproduzione ha luogo sempre che possiamo e vogliamo rimetterci nelle condizioni tra le quali fu prodotto lo stimolo ( bello fisico ) . In queste condizioni non solo ci possiamo rimettere per astratta possibilità , ma ci rimettiamo di fatto , continuamente . La vita individuale , ch ’ è comunione con noi stessi ( col nostro passato ) , e la vita sociale , ch ’ è comunione coi nostri simili , non sarebbero possibili altrimenti . Per ciò che riguarda l ' oggetto fisico , i paleografi e filologi , restitutori dei testi nella loro fisionomia originale , i restauratori di quadri e di statue , e altrettali industri lavoratori , si sforzano appunto di conservare o ridare all ' oggetto fisico tutta l ' energia primitiva . Certamente , sono sforzi che non sempre riescono , o non riescono sempre completamente , anzi non mai o quasi è dato ottenere una restaurazione perfetta nei minimi particolari . Ma l ' insuperabile è qui meramente accidentale , e non può farci disconoscere i risultati favorevoli che pur si raggiungono . A reintegrare in noi le condizioni psicologiche che si sono mutate attraverso la storia , lavora da sua parte l ' interpretazione storica , la quale ravviva il morto , compie il frammentario , ci dà modo di vedere un ' opera d ' arte ( un oggetto fisico ) quale la vedeva l ' autore nell ' atto della produzione . Condizione di cotesto lavorio storico è la tradizione , mercé la quale è possibile raccogliere gli sparsi raggi e farli convergere a un fuoco . Noi , con la memoria , circondiamo lo stimolo fisico dei fatti tra i quali esso nacque ; e così rendiamo possibile che rioperi su noi come operava su chi lo produsse . Dove la tradizione è spezzata , l ' interpretazione si arresta ; i prodotti del passato restano allora , per noi , muti . Così ci sono inattingibili le espressioni contenute nelle iscrizioni etrusche o in quelle messapiche ; così per alcuni prodotti dell ' arte dei selvaggi si ode ancora discutere dagli etnografi , nientemeno , se siano pitture o scritture ; così gli archeologi e i preistorici non riescono sempre a stabilire con certezza se le figurazioni , che si vedono sulla vascolaria di una data regione , o su altri istrumenti d ' uso , siano di argomento religioso o profano . Ma l ' arresto dell ’ interpretazione , come quello della restituzione , non è mai un limite definitivamente insuperabile ; e le scoperte , che accadono ogni giorno , e ch ’ è lecito sperare sempre maggiori , di nuove fonti storiche e di nuovi modi di adoperare meglio le antiche , riattaccano per l ' appunto le tradizioni spezzate . Né si vuol negare che l ' erronea interpretazione storica produca talora , per così dire , palinsesti , dandoci nuove espressioni sulle antiche , fantasie artistiche invece di riproduzioni storiche . Il cosiddetto “ fascino del passato ” dipende in parte da queste espressioni nostre , che tessiamo sulle storiche . Così nelle opere della plastica ellenica si è scorta la calma e la serena intuizione della vita di quei popoli , che pur sentirono tanto pungente il dolore universale ; così nelle figure dei santi bizantini si è ravvisato perfino il “ terrore dell ' anno Mille ” , quel terrore ch ’ è un equivoco storico o una leggenda artificiale , foggiata da tardi eruditi . Ma la critica storica tende appunto a circoscrivere le fantasticherie e a stabilire con esattezza il punto di vista dal quale bisogna guardare . Per il processo sopradescritto noi viviamo in comunicazione con gli altri uomini , del presente e del passato ; e non perché si dia talvolta , e anche sovente , l ' incompreso o il malcompreso , si deve concludere che , quando crediamo di fare un dialogo , facciamo sempre un monologo ; anzi che non possiamo nemmeno ripetere il monologo , fatto altra volta in noi medesimi . XVII . LA STORIA DELLA LETTERATURA E DELL ' ARTE . Questa breve esposizione del metodo onde si ottiene la reintegrazione delle condizioni originarie in cui fu prodotta l ' opera d ' arte , e per conseguenza la possibilità della riproduzione e del giudizio , mostra a quale importante ufficio adempiano le ricerche storiche concernenti le opere artistiche e letterarie ; che è ciò che si chiama , di solito , il metodo o la critica storica nella letteratura e nell ' arte . Senza la tradizione e la critica storica , il godimento di tutte o quasi tutte le opere d ' arte sarebbe irremissibilmente perduto : noi saremmo poco più che animali , immersi nel solo presente o in un passato ben vicino . È da fatui spregiare e deridere chi ricostituisce un testo autentico , spiega il senso di parole e costumanze obliate , investiga le condizioni tra le quali visse un artista , e compie tutti quei lavori che ravvivano le fattezze e il colorito originario delle opere d ' arte . Talvolta , il giudizio spregiativo o negativo concerne la presunta o provata inutilità di molte ricerche pel fine della retta intelligenza delle opere artistiche . Ma , in primo luogo , è da osservare che le ricerche storiche non adempiono al solo fine di aiutare a riprodurre e giudicare le opere artistiche : la biografia di uno scrittore o di un artista , per esempio , e la ricerca dei costumi di un ' epoca , hanno anche fine e interesse propri , cioè estranei alla storia dell ' arte ma non ad altre forme di storiografia . Che se si vuole intendere di quelle indagini che sembra non presentino interesse di sorta , è da osservare ancora che il ricercatore storico deve spesso adattarsi all ' ufficio , poco glorioso ma utile , di catalogatore di fatti ; i quali restano per allora informi , incoerenti e insignificanti , ma sono riserva e miniera per lo storico futuro e per chiunque altro possa averne d ' uopo per alcun fine . In una biblioteca si collocano sul palchetto , e si notano nelle schede , anche libri che nessuno richiede in lettura , ma che , una volta o l ' altra , possono essere richiesti . Certo , come un bibliotecario intelligente dà la preferenza all ' acquisto e alla catalogazione di quei libri che si prevede possano servire di più e meglio , così anche i ricercatori intelligenti hanno il fiuto di ciò che serve , o potrà più facilmente servire , tra il materiale di fatti in cui vanno frugando ; laddove altri , meno intelligenti , meno ben dotati , più frettolosamente produttivi , accumulano inutile ciarpame , rifiuti e spazzature , e si perdono in sottigliezze e discussioni pettegole . Ma ciò appartiene all ' economia della ricerca , e non ci riguarda . Riguarda , tutt ' al più , il maestro che dà i temi , l ' editore che paga la stampa , e il critico che è chiamato a lodare e biasimare gli operai della ricerca . È evidente , d ' altra parte , che le ricerche storiche , rivolte a illuminare un ' opera d ' arte , non bastano da sole a farla rinascere nel nostro spirito e a metterci in grado di giudicarla ; ma presuppongono il gusto , cioè la fantasia sveglia ed esercitata . La maggiore erudizione storica può accompagnarsi a un gusto rozzo o altrimenti deficiente , a una fantasia poco agile , a un cuore , come si dice comunemente , arido e freddo , negato all ' arte . Qual è il male minore : una grande erudizione con gusto deficiente , o un gusto naturale accompagnato da molta ignoranza ? La questione è stata mossa molte volte , e , forse , converrebbe negarla , perché tra due mali non si può dire quale sia il minore , e anzi non s ' intende che cosa ciò significhi . Il semplice erudito non riesce mai a mettersi in comunicazione diretta con gli spiriti magni , e s ' aggira di continuo pei cortili , le scale e le anticamere dei loro palagi ; ma l ' ignorante ben dotato o passa indifferente innanzi a capolavori per lui inaccessibili o , invece d ' intendere le opere d ' arte quali sono effettivamente , ne inventa , egli , altre , con l ' immaginazione . Senonché la laboriosità del primo può almeno illuminare gli altri ; ma la genialità del secondo resta , nei rapporti della scienza , del tutto sterile . Come , dunque , in un certo rispetto , cioè in quello scientifico , non preferire l ' erudito coscienzioso al critico geniale inconcludente , che non è poi geniale davvero , se si rassegna , e in quanto si rassegna , a vagare lungi dalla verità ? Da quei lavori storici , che si servono delle opere d ' arte ma per intenti estranei ( biografia , storia civile , religiosa , politica , ecc . ) , e anche dall ' erudizione storica diretta a preparare la sintesi estetica della riproduzione , bisogna distinguere accuratamente la storia dell ' arte e della letteratura . La differenza dei primi da questa è palmare . La storia artistica e letteraria ha per oggetto principale le opere d ' arte stesse ; quegli altri lavori chiamano e interrogano le opere d ' arte , ma solo come testimoni e documenti da cui ricavare la verità di fatti non estetici . Meno profonda può sembrare la seconda differenza a cui abbiamo accennato . Pure , è grandissima . L ' erudizione , indirizzata a rischiarare l ' intelligenza delle opere d ' arte , mira semplicemente a far sorgere un certo fatto interno , una riproduzione estetica . La storia artistica e letteraria non nasce , invece , se non dopo che tale riproduzione sia stata ottenuta ; e importa , dunque , un lavoro ulteriore . Oggetto di essa , come di qualsiasi storia , è dire precisamente quali fatti siano accaduti nella realtà , e cioè quali fatti artistici e letterari . Chi , dopo avere raccolta l ' erudizione storica necessaria , riproduce in sé e gusta un ' opera d ' arte , può restare semplice uomo di gusto , o esprimere , tutt ' al più , il proprio sentimento con un ' esclamazione ammirativa o dispregiativa . Ciò non basta perché si diventi storico della letteratura e dell ' arte : alla semplice riproduzione deve seguire una nuova operazione mentale la quale è , a sua volta , un ' espressione , l ' espressione della riproduzione , la descrizione , esposizione o rappresentazione storica . Tra l ' uomo di gusto e lo storico c ' è , dunque , questa differenza : che il primo riproduce semplicemente , nel suo spirito , l ' opera d ' arte ; il secondo , dopo averla riprodotta , la rappresenta storicamente , ossia applicando quelle categorie per le quali , come sappiamo , la storia si differenzia dalla pura arte . La storia artistica e letteraria è , perciò , un ' opera d ' arte storica , sorta sopra una o più opere d ' arte . La denominazione “ critico artistico ” o “ critico letterario ” Si adopera in vario senso : talora riferendola all ' erudito , che lavora in servigio della letteratura ; tal ' altra , allo storico che espone nella loro realtà le opere artistiche del passato ; più spesso , a entrambi . Qualche volta , per critico s ' intende più strettamente colui che giudica e descrive le opere della letteratura contemporanea ; e per istorico , chi tratta di quelle meno recenti . Usi linguistici e distinzioni empiriche e trascurabili , perché la vera differenza è tra erudito , uomo di gusto e storico d ' arte : i quali termini designano come tre stadi successivi di lavoro , ciascuno indipendente relativamente , ossia rispetto al seguente , ma non rispetto al precedente . Si può essere , come abbiamo visto , semplici eruditi , poco capaci di sentire le opere d ' arte ; si può essere magari uomini eruditi e di gusto , capaci di sentirle e incapaci di ripensarle componendo una pagina di storia artistica e letteraria ; ma lo storico vero e compiuto , pur contenendo in sé come precedenti necessari l ' erudito e l ' uomo di gusto , deve aggiungere alle qualità di costoro la virtù della comprensione e rappresentazione storica . La metodica della storia artistica e letteraria presenta problemi e difficoltà , alcune comuni a ogni metodica storica , altre a essa peculiari , perché derivanti dal concetto stesso dell ' arte . La storia si suole distinguere in storia dell ' uomo , storia della natura e storia mista di entrambe le precedenti . Senza qui esaminare la solidità di questa distinzione , è chiaro che la storia artistica e letteraria rientra , a ogni modo , nella prima , concernendo un ' attività spirituale , ossia propria dell ' uomo . E poiché quest ' attività è il suo subietto , si scorge da ciò come sia assurdo proporsi il problema storico dell ' origine dell ' arte : formola , per altro , con la quale ( è bene notare ) si sono intese , a volta a volta , cose molto diverse . Origine molto spesso ha significato natura o qualità del fatto artistico ; nel qual caso si aveva di mira un vero problema scientifico o filosofico , il problema appunto che la nostra trattazione ha procurato , a suo modo , di risolvere . Altra volta , per origine si è intesa la genesi ideale , la ricerca della ragion dell ' arte , la deduzione dell ' atto artistico da un sommo principio che contiene in sé lo spirito e la natura : problema filosofico anche questo , e compimento del precedente , anzi coincidente con esso , sebbene sia stato talvolta stranamente interpretato e risoluto da alcune arbitrarie e semifantastiche metafisiche . Ma , quando poi si è voluto cercare proprio in qual modo l ' arte si sia storicamente formata , si è caduti nell ' assurdo al quale abbiamo accennato . Se l ' espressione è forma della coscienza , come cercare l ' origine storica di ciò che non è prodotto della natura , e che della storia umana è presupposto ? come assegnare la genesi storica di quella che è una categoria , in forza della quale si comprende ogni genesi e fatto storico ? L ' assurdo è nato dal paragone con le istituzioni umane , che si sono formate , infatti , nel corso della storia e nel corso di questa sono sparite o possono sparire . Tra l ' atto estetico e un ’ istituzione umana , come il matrimonio monogamico o il feudo corre ( per usare un paragone facilmente apprensibile ) la differenza che è tra i corpi semplici e i composti in chimica , dei primi dei quali non si può dare la formola di formazione , altrimenti non sarebbero semplici , e , quando di alcuno si giunge a trovarla , esso cessa di essere semplice e passa tra i composti . Il problema dell ' origine dell ' arte , storicamente inteso , è giustificato solo quando si proponga di cercare , non già la formazione della categoria artistica , ma dove e quando l ' arte sia per la prima volta apparsa ( apparsa , cioè , in modo rilevante ) , in quale punto o regione del globo , in quale punto o epoca della sua storia ; quando , cioè , s ’ indaghi , non l ' origine dell ' arte , ma la storia più antica o primitiva di questa . Problema ch ’ è tutt ' uno con quello dell ' apparizione della civiltà umana sulla terra . A risolverlo mancano certamente i dati , ma non l ' astratta possibilità , come , d ' altra parte , abbondano i tentativi di soluzione e le ipotesi . Ogni configurazione di storia umana ha a suo criterio costruito il concetto del progresso . Ma per progresso non è da intendere la fantastica legge del progresso , la quale , con forza irresistibile , menerebbe le generazioni umane a non si sa quali destini definitivi , secondo un piano provvidenziale , che noi potremmo indovinare e intendere poi nella sua logica . Una supposta legge di questo genere è la negazione della storia stessa , di quella contingenza , o , per dir meglio , di quella libertà che distingue il processo storico da un qualsiasi processo meccanico . Per la medesima ragione , il progresso non ha che vedere con la cosiddetta legge di evoluzione ; la quale , se significa che la realtà si evolve ( e solo in quanto si evolve o diviene è realtà ) , non può chiamarsi legge ; e , se si dà come legge , fa tutt ' uno con la legge del progresso , nel significato fallace or ora esposto . Il progresso , di cui qui parliamo , non è altro se non il concetto stesso dell ' attività umana , la quale , lavorando sulla materia fornitale dalla natura , ne vince gli ostacoli e la sottomette ai suoi scopi . Da siffatto concetto del progresso , ossia dell ' attività umana riferita a una particolare materia , muove lo storico dell ' umanità . Chiunque non sia semplice raccoglitore di fatti slegati , mero ricercatore o incoerente cronista , non può mettere insieme la più piccola narrazione di fatti umani se non possiede un suo criterio determinato , un proprio convincimento circa il concetto dei fatti di cui assume di narrare la storia . Dall ' ammasso confuso e discordante dei fatti bruti non si sale all ' opera d ' arte storica se non mercé questa appercezione , che rende possibile ritagliare in quella mole rude e indigesta una rappresentazione pensata . Lo storico di un ' azione pratica deve sapere che cosa è economia e che cosa è morale ; lo storico delle matematiche , che cosa sono le matematiche ; quello della botanica , che cosa è botanica ; quello della filosofia , che cosa è filosofia . O , se queste cose non le sa davvero , deve almeno illudersi di saperle ; altrimenti non potrà neppure illudersi di raccontare una storia . Non possiamo estenderci nel dimostrare la necessità e l ' indefettibilità di questo criterio soggettivo ( che si concilia con la massima oggettività e imparzialità e scrupolosità nella riferenza dei dati di fatto , e anzi ne è elemento costitutivo ) in ogni narrazione delle opere e vicende umane . Basta leggere qualsiasi libro di storia per scoprire subito il pensiero dell ' autore , se questi è tale che sia degno del nome di storico e conosca l ' arte sua . Vi sono storici liberali e storici reazionari , razionalisti e cattolici , per ciò che riguarda la storia politica o sociale ; storici metafisici , empiristi , scettici , idealisti , spiritualisti , per ciò che riguarda la storia della filosofia : storici puramente storici non ve ne sono e non ve ne possono essere . Erano forse privi di concetti politici e morali Tucidide e Polibio , Livio e Tacito , il Machiavelli e il Guicciardini , il Giannone e il Voltaire , e , nel secolo nostro , il Guizot o il Thiers , il Macaulay o il Balbo , il Ranke o il Mommsen ? E , nella storia della filosofia , dallo Hegel , che pel primo la sollevò a grande altezza , al Ritter , allo Zeller , al Cousin , al Lewes , al nostro Spaventa , quale di costoro non ha avuto il suo concetto di progresso e il suo criterio di giudizio ? Nella stessa storiografia dell ' Estetica , si ha forse una sola opera di qualche valore che non sia condotta secondo questo o quello indirizzo storico , hegeliano o herbartiano , sensualistico , eclettico , e via dicendo ? Per isfuggire all ' ineluttabile necessità del prendere partito lo storico dovrebbe diventare un eunuco , politico o scientifico ; e scrivere storie non è mestiere da eunuchi . Costoro saranno buoni , tutt ' al più , a mettere insieme quei grossi volumi di non inutile erudizione , elumbis atque fracta , che si dice , non senza ragione , fratesca . Se dunque un concetto di progresso , un punto di vista , un criterio è inevitabile , il meglio che si possa fare non è tentare di fuggirlo , ma procurarselo buono . Al qual fine ciascuno tende come sa e può , quando viene formando laboriosamente e seriamente i propri convincimenti . Non si dia credito agli storici , che professano di voler interrogare i fatti senza mettervi dentro niente di proprio . È quella , tutt ' al più , una loro ingenuità e illusione : il qualcosa di proprio , se sono storici per davvero , ve lo metteranno sempre , anche senz ' accorgersene ; o crederanno di averlo evitato solo perché vi avranno accennato per sottintesi , ch ' è poi il modo più insinuante , penetrativo ed efficace . Del criterio di progresso la storia artistica e letteraria , come ogni altra storia , non può far di meno . Che cosa sia davvero una determinata opera d ' arte , non possiamo esporre se non movendo da un concetto dell ' arte per fissare il problema artistico che l ' autore di essa si propose , e determinare se ne ha raggiunta la soluzione o di quanto e in qual modo n ’ è rimasto lungi . Ma importa notare che il criterio del progresso assume nella storia artistica e letteraria forma differente da quella che prende ( o , almeno , si crede che prenda ) nella storia della scienza . Si suole rappresentare tutta la storia della scienza su di un ' unica linea di progresso e regresso . La scienza è l ' universale , e i problemi di essa sono collegati in un unico vasto sistema o problema complessivo . Sullo stesso problema della natura della realtà e della conoscenza si affaticarono tutti i pensatori : contemplatori indiani e filosofi ellenici , cristiani e maomettani , teste nude e teste con turbante , teste con parrucca e teste con nero berretto ( come disse lo Heine ) ; e sì affaticheranno , con la nostra , le generazioni future . Se ciò sia vero o no per la scienza , sarebbe lungo qui ricercare . Ma , per l ' arte , certamente non è vero : l ' arte è intuizione , e l ' intuizione è individualità , e l ' individualità non si ripete . Sarebbe perciò affatto erroneo porre la storia della produzione artistica del genere umano sopra una sola linea progressiva e regressiva . Tutt ' al più , e lavorando alquanto di generalizzazione e astrazione , si può ammettere che la storia dei prodotti estetici presenti , sì , cicli progressivi , ma ciascuno col proprio problema , e progressivo solo rispetto a quel problema . Allorché molti si travagliano intorno a una materia che sia all ' incirca la medesima , senza riuscire a darle la forma adatta , ma a questa forma sempre più avvicinandosi , si dice che vi ha progresso ; e , quando sopraggiunge chi le dà la forma definitiva , si dice che il ciclo è compiuto , il progresso è finito . Esempio tipico può essere qui ( e si prenda quale esempio e se ne tolleri l ' eccessiva semplificazione ) il progresso nell ' elaborazione del modo di sentire la materia cavalleresca , durante la Rinascenza italiana , dal Pulci all ' Ariosto . Con l ' insistere ancora su quella stessa materia , dopo l ' Ariosto , non si poteva avere se non la ripetizione o l ' imitazione , la diminuzione o l ' esagerazione , il guasto del già fatto , insomma la decadenza . Esempio , gli epigoni ariosteschi . Il progresso comincia col ricominciare di un nuovo ciclo . Esempio , il Cervantes , che è più apertamente e consciamente ironico . E in che consistette la decadenza generale della letteratura italiana sulla fine del cinquecento se non in questo non aver più altro da dire , e ripetere , esagerando , i motivi già trovati ? Se gl ' italiani , in quel tempo , avessero almeno saputo esprimere la loro decadenza , già non sarebbero stati più del tutto scaduti ; e avrebbero anticipato il movimento letterario del periodo del Risorgimento . Dove la materia non è la medesima , non vi ha ciclo progressivo . Né lo Shakespeare progredì su Dante , né il Goethe sullo Shakespeare ; ma Dante sugli autori medievali di visioni e lo Shakespeare sui drammaturghi del periodo elisabettiano , e il Goethe , col Werther e col primo Fausto , sugli scrittori dello Sturm und Drang . Senonché , questo modo di presentare la storia della poesia e dell ' arte porta seco , come abbiamo avvertito , qualcosa di astratto , che ha valore meramente pratico e non rigorosamente filosofico . Non solo l ' arte dei selvaggi non è inferiore , in quanto arte , a quella dei popoli più civili , se è correlativa alle impressioni del selvaggio ; ma ogni individuo , anzi ogni momento della vita spirituale di un individuo , ha il suo mondo artistico ; e quei mondi sono tutti , artisticamente , incomparabili tra loro . Contro questa forma speciale del criterio del progresso nella storia artistica e letteraria molti hanno peccato e peccano . E vi ha , per esempio , chi si propone di rappresentare l ' infanzia dell ' arte italiana in Giotto , e la maturità di essa in Raffaello o in Tiziano ; quasi che Giotto non sia compiuto e perfettissimo , posta la materia sentimentale che aveva nell ' animo . Egli non era in grado , certamente , di disegnare un corpo come Raffaello o di colorirlo come Tiziano ; ma erano forse in grado , Raffaello o Tiziano , di creare il Matrimonio di san Francesco con la Povertà , o la Morte di san Francesco ? Lo spirito dell ' uno non era ancora attirato dalla floridezza corporea , che il Rinascimento mise in onore e fece oggetto di studio ; quello degli altri era ormai incurioso di certi movimenti di ardore e di tenerezza , che innamoravano l ' uomo del trecento . Come , dunque , istituire paragoni dove il termine di confronto manca ? Dello stesso difetto soffrono le celebri partizioni della storia dell ' arte in periodo orientale , squilibrio tra idea e forma , con prevalenza della seconda ; classico , equilibrio tra idea e forma ; e romantico , nuovo squilibrio tra idea e forma , con prevalenza della prima ; ovvero di arte orientale , imperfezione formale ; classica , perfezione formale ; romantica o moderna , perfezione di contenuto e forma . Come si vede , classico e romantico , tra i tanti altri significati , hanno ricevuto quello di periodi storici progressivi o regressivi rispetto all ' attuazione di non si sa quale ideale artistico dell ' umanità . Non vi ha , dunque , per parlare con esattezza , progresso estetico dell ' umanità . Senonché , per progresso estetico s ' intende talora non quel che propriamente significano le due parole accoppiate insieme , sì bene l ' accumulamento sempre crescente delle nostre cognizioni storiche , che ci fa simpatizzare coi prodotti artistici di tutti i popoli e di tutti i tempi , o , come si dice , allarga il nostro gusto . Il divario appare già grandissimo , se si paragona il secolo decimottavo , così inetto a uscire da sé medesimo , con l ' età nostra , che gusta insieme le arti ellenica e romana , più genuinamente intese , e la bizantina , e la medievale , e l ' araba , e quella del Rinascimento , e la cinquecentesca , e la barocca , e l ' arte del settecento ; e va sempre meglio approfondendo l ' egiziana , la babilonese , l ' etrusca ; e finanche la preistorica . Certo , la differenza tra il selvaggio e l ' uomo civile non sta nelle facoltà umane ; perché il primo ha , come il secondo , lingua , intelletto , religione e moralità , ed è uomo intero : sta solo in ciò che l ' uomo civile con la sua attività teoretica e pratica penetra e domina più largamente l ' universo . Noi non potremmo affermare di essere uomini spiritualmente più gagliardi dei contemporanei di Pericle ; ma chi può negare che siamo più ricchi di quelli ? ricchi delle loro ricchezze , e di quelle di tanti altri popoli e generazioni , oltre che delle nostre ? In un altro significato , anche improprio , s ' intende per progresso estetico la maggiore abbondanza delle intuizioni artistiche , e la minore copia di opere imperfette o scadenti , che un ' epoca produce rispetto a un ' altra . Così si può dire che alla fine del secolo decimoterzo , o alla fine del decimoquinto , si ebbe in Italia un progresso estetico , un risveglio artistico . In un terzo significato , infine , si discorre di progresso estetico ; avendo l ' occhio , cioè , alla maggiore complessità e al maggiore affinamento di stati d ' animo , che si osservano nelle opere d ' arte dei popoli più civili , messe a confronto con quelle dei popoli meno civili o dei barbari e selvaggi . Ma , in questo caso , il progresso è delle condizioni complessive psicosociali , e non dell ' attività artistica , alla quale la materia è indifferente . Questi sono i punti più importanti da considerare nella metodica della storia artistica e letteraria . XVIII . CONCLUSIONE . IDENTITÀ DI LINGUISTICA ED ESTETICA . Uno sguardo sul cammino percorso può mostrare che la nostra trattazione è pervenuta al suo compimento . Avendo definito la natura della conoscenza intuitiva o espressiva ch ’ è l ' atto estetico o artistico ( I e II ) , e accennato all ' altra forma di conoscenza , quella intellettuale , e alle combinazioni ulteriori di esse forme ( III ) , ci è stato possibile criticare tutte le teorie estetiche erronee che nascono dalla confusione tra le varie forme e dal trasferimento indebito dei caratteri dell ' una all ' altra ( IV ) , indicando insieme gli errori inversi che accadono nella teoria della conoscenza intellettiva e della storiografia ( V ) . Passando a esaminare le relazioni tra l ' attività estetica e le altre attività spirituali non più teoretiche ma pratiche , abbiamo assegnato il carattere proprio dell ' attività pratica e il posto ch ' essa prende rispetto alla teoretica ; donde la critica dell ' intromissione dei concetti pratici nella teoria estetica ( VI ) ; e abbiamo distinto le due forme dell ' attività pratica in economica ed etica ( VII ) , giungendo al risultato che , oltre le quattro da noi definite , non vi sono altre forme dello spirito ; donde ( VIII ) la critica di ogni Estetica mistica o fantasiosa . E come non vi sono altre forme spirituali di pari grado , così non vi sono suddivisioni originali delle quattro stabilite , e in particolare di quella estetica ; dal che discende l ' impossibilità di classi di espressioni e la critica della rettorica , cioè della espressione ornata , distinta dalla nuda , e di altrettali distinzioni e sottodistinzioni ( IX ) . Ma l ' atto estetico , per la legge dell ' unità dello spirito , è , insieme , atto pratico e , come tale , dialettica di piacere e dolore ; il che ci ha condotti a studiare i sentimenti del valore in genere , e quelli del valore estetico o del bello in particolare ( X ) , a criticare l ’ Estetica edonistica in tutte le sue varie forme e combinazioni ( XI ) , e a discacciare dal sistema , estetico la lunga serie di concetti psicologici , che vi erano stati introdotti ( XII ) . Venendo dalla produzione estetica al processo della riproduzione , abbiamo dapprima investigato il fissarsi esterno dell ' espressione estetica per uso di riproduzione , che è il cosiddetto “ bello fisico ” , sia artificiale sia naturale ( XIII ) ; e da questa distinzione ricavato la critica degli errori che nascono dal confondere l ' aspetto fisico con l ' interiorità estetica ( XIV ) ; e determinato il significato della tecnica artistica , ossia di quella che è tecnica a servigio della riproduzione , criticando per tal modo le divisioni , i limiti e le classificazioni delle singole arti , e stabilendo i rapporti dell ' arte con l ' economia e con la morale ( XV ) . Poiché , per altro , l ' esistenza degli oggetti fisici stimolatori non basta alla piena riproduzione estetica , e si richiede per essa la rievocazione delle condizioni tra le quali lo stimolo in prima operò , abbiamo ancora studiato l ' ufficio dell ' erudizione storica , diretto a rimettere la fantasia in comunicazione con le opere del passato e a servire di fondamento al giudizio estetico ( XVI ) . E abbiamo chiuso la nostra trattazione col mostrare come l ' ottenuta riproduzione venga poi elaborata dalle categorie del pensiero , ossia con un ' indagine circa la metodologia della storia artistica e letteraria ( XVII ) . L ' atto estetico è stato , insomma , considerato in sé medesimo e nelle sue relazioni con le altre attività spirituali , col sentimento del piacere e del dolore , coi fatti che si dicono fisici , con la memoria e con la elaborazione storica . Esso ci è passato dinanzi da soggetto fino a quando diventa oggetto ; cioè dal momento in cui nasce , via via , fino a quello in cui si muta per lo spirito in argomento di storia . Può darsi che la nostra trattazione sembri assai scarna , quando si paragoni estrinsecamente ai grossi volumi consacrati di solito all ’ Estetica . Ma se si osservi che quei volumi , per nove decimi , sono pieni di materie non pertinenti , quali le definizioni psicologiche o metafisiche dei concetti pseudoestetici ( sublime , comico , tragico , umoristico , ecc . ) , o l ' esposizione della pretesa Zoologia , Botanica e Mineralogia estetiche , e della storia universale giudicata esteticamente ; e che vi è tirata dentro , e di solito storpiata tutta la storia e dell ' arte e della letteratura , coi relativi giudizi su Omero e su Dante , sull ' Ariosto e sullo Shakespeare , sul Beethoven e sul Rossini , su Michelangelo e su Raffaello ; ci lusinghiamo che non solo la nostra non sarà per apparire troppo scarna , ma che sarà forse giudicata alquanto più ricca delle trattazioni solite ; le quali poi tralasciano o solamente sfiorano la maggior parte dei difficili problemi , propriamente estetici , su cui abbiamo sentito il dovere di travagliarci per essere in grado di darne agli studiosi precise formole di risoluzione . Ma quantunque l ’ Estetica , come scienza dell ' espressione , sia stata studiata da noi sott ' ogni aspetto , ci resta ancora da giustificare il sottotitolo di Linguistica generale , che abbiamo aggiunto al titolo del nostro libro ; e porre e chiarire la tesi che la scienza dell ' arte e quella del linguaggio , l ' Estetica e la Linguistica , concepite come vere e proprie scienze , non sono già due cose distinte , ma una sola . Non che vi sia una Linguistica speciale ; ma la ricercata scienza linguistica , Linguistica generale , in ciò che ha di riducibile a filosofia , non è se non Estetica . Chi lavora sulla Linguistica generale , ossia sulla Linguistica filosofica , lavora su problemi estetici , e all ' inverso . Filosofia del linguaggio e filosofia dell ' arte sono la stessa cosa . E invero , perché la Linguistica fosse scienza diversa dall ' Estetica , essa non dovrebbe avere per oggetto l ' espressione , ch ’ è per l ' appunto il fatto estetico ; vale a dire , si dovrebbe negare che linguaggio sia espressione . Ma una emissione di suoni , che non esprima nulla , non è linguaggio : il linguaggio è suono articolato , delimitato , organato al fine dell ' espressione . D ' altra parte , perché la Linguistica fosse scienza speciale rispetto all ’ Estetica , essa dovrebbe avere per oggetto una classe speciale di espressioni . Ma l ' inesistenza di classi di espressioni è un punto già da noi dimostrato . I problemi che procura risolvere , e gli errori tra i quali si è dibattuta e si dibatte la Linguistica , sono i medesimi che rispettivamente occupano e intricano l ' Estetica . Se non è sempre facile , è sempre per altro possibile ridurre le questioni filosofiche della Linguistica alla loro formola estetica . Le dispute stesse circa l ' indole dell ' una trovano riscontro in quelle che si sono fatte circa l ' indole dell ' altra . Così si è disputato se la Linguistica sia disciplina storica o scientifica ; e , distinto lo scientifico dallo storico , si è domandato se essa appartenga all ' ordine delle scienze naturali o delle psicologiche , intendendosi per queste ultime tanto la Psicologia empirica quanto le Scienze dello spirito . Il medesimo è accaduto per l ’ Estetica , che alcuni ( confondendo l ' espressione estetica con quella di significato fisico ) considerano come scienza naturale ; altri ( equivocando tra espressione nella sua universalità e classificazione empirica delle espressioni ) come scienza psicologica ; altri ancora , negando la possibilità stessa di una scienza su tale materia , mutano in una semplice raccolta di fatti storici ; non avendo nessuno di costoro raggiunto la coscienza dell ’ Estetica come scienza di attività o di valore , scienza dello spirito . L ' espressione linguistica , o parola , è parsa sovente un fatto d ' interiezione , che rientri nelle cosiddette espressioni fisiologiche dei sentimenti , comuni agli uomini e agli animali . Ma non si è tardato a scorgere che tra un “ ahi ! ” , riflesso fisico del dolore , e una parola , e anzi che tra quell ' ” ahi ! ” , e l ' ” ahi ! ” usato come parola , intercede un abisso . Abbandonata la teorica dell ' interiezione ( o dell ' ” ahi ! ahi ! ” , come la chiamano scherzosamente i linguisti tedeschi ) , si è presentata l ' altra dell ' associazione o convenzione ; la quale cade sotto l ' obiezione medesima che distrugge l ' associazionismo estetico in genere : la parola è unità e non sequela d ' immagini , e la sequela non spiega , anzi presuppone l ' espressione da spiegare . Una variante dell ' associazionismo linguistico è quello imitativo ; cioè la teoria dell ' onomatopea , che i linguisti essi stessi deridono talvolta col nome di teoria del “ bau - bau ” , dall ' imitazione dell ' abbaiar del cane , che dovrebbe aver dato il nome al cane , secondo gli onomatopeisti . La teoria più comune ai tempi nostri intorno al linguaggio ( quando non sia addirittura un crasso naturalismo ) consiste in una specie di eclettismo o miscuglio delle varie a cui abbiamo accennato ; assumendosi che il linguaggio sia prodotto in parte di interiezioni e in parte di onomatopee e convenzioni : dottrina al tutto degna della decadenza filosofica della seconda metà del secolo decimonono . È qui da notare un errore in cui sono caduti quegli stessi fra i linguisti che meglio hanno penetrato l ' indole attivistica del linguaggio , quando , pur ammettendo ch ' esso nella sua origine fu creazione spirituale , sostengono che , nel séguito , si è venuto accrescendo , in gran parte , per associazione . Ma la distinzione non regge , perché origine non può significare , in questo caso , se non natura o indole ; e , se il linguaggio è creazione spirituale , sarà sempre creazione ; se è associazione , tale sarà stato fin dal principio . L ' errore è sorto dal non avere avvertito il generale principio estetico a noi noto : che le espressioni già prodotte debbono ridiscendere a impressioni per dare origine alle nuove espressioni . Allorché produciamo nuove parole , trasformiamo di solito le antiche , variandone o allargandone il significato ; ma questo procedere non è associativo , sì bene creativo , quantunque la creazione abbia per materiale le impressioni non dell ' ipotetico uomo primitivo , ma dell ' uomo vivente da secoli in società e che ha accolto e serba , per così dire , nel suo organismo psichico tante cose e , fra queste , tanto linguaggio . Il problema della distinzione tra il fatto estetico e l ' intellettuale si è presentato in Linguistica come quello dei rapporti tra Grammatica e Logica . Tale problema ha avuto due soluzioni parzialmente vere : quella dell ’ indissolubilità di Logica e Grammatica , e l ' altra della loro dissolubilità . Ma la soluzione completa è : che , se la forma logica è indissolubile dalla grammaticale ( estetica ) , questa è dissolubile da quella . Se guardiamo una pittura che ritragga , per esempio , un individuo che cammina per una via campestre , noi possiamo dire : “ Questa pittura rappresenta un fatto di moto , il quale , se è concepito come volontario , si dice azione ; e , poiché ogni moto suppone una materia e ogni azione un ente che agisca , questa pittura presenta anche una materia o un ente . Ma questo moto avviene in un determinato luogo , ch ’ è un pezzo di un determinato astro ( la Terra ) , e propriamente di una parte di esso che si dice terraferma , e più propriamente di una parte alberata e coperta di erbe , che sì dice campagna , solcata naturalmente o artificialmente in una forma che si dice via . Ora , di quell ' astro che si dice Terra non vi è se non un solo esemplare : la Terra è un individuo . Ma terraferma , campagna , via sono generi o universali , giacché vi sono altre terraferme , altre campagne , altre vie ” . Simili considerazioni potrebbero continuare a lungo . Sostituendo alla pittura da noi immaginata una frase che dica : “ Pietro cammina per una via campestre ” , e facendo le stesse considerazioni , otteniamo i concetti di verbo ( moto o azione ) , di nome ( materia o agente ) , di nome proprio , di nome comune ; e così di séguito . Che cosa abbiamo fatto in entrambi i casi ? Né più né meno che sottomettere a un ' elaborazione logica ciò che si presentava prima elaborato solo esteticamente ; abbiamo , cioè , distrutto l ' estetico per il logico . Ma come nell ’ Estetica generale l ' errore comincia quando si vuol ritornare dal logico all ' estetico e si domanda quale sia l ' espressione del moto , dell ' azione , della materia , dell ' ente , del generale , dell ' individuale , e via discorrendo , così , nel caso del linguaggio , l ' errore comincia allorché il moto o l ' azione si dice verbo , l ' ente o la materia , nome o sostantivo , e di tutti questi , nome e verbo e compagni , si fanno categorie linguistiche o parti del discorso . La teoria delle parti del discorso è , in fondo , tutt ' uno con quella dei generi artistici e letterari , già criticata nell ’ Estetica . falso che il nome o il verbo si esprimano in determinate parole , distinguibili realmente da altre . L ' espressione è un tutto indivisibile ; il nome e il verbo non esistono in essa , ma sono astrazioni foggiate da noi col distruggere la sola realtà linguistica , ch ' è la proposizione . La quale ultima è da intendere , non già al modo solito delle grammatiche , ma come organismo espressivo di senso compiuto , che comprende alla pari una semplicissima esclamazione e un vasto poema . Ciò suona paradossale ; eppure è verità semplicissima . E come in Estetica , a causa dell ' errore suddetto , si sono considerate imperfette le produzioni artistiche di alcuni popoli , presso i quali i pretesi generi sembrano essere ancora indiscriminati o in parte mancare ; così , in Linguistica , la teoria delle parti del discorso ha generato l ' errore analogo di giudicare le lingue come formate e informi , secondo che vi appaiano o no alcune di coteste pretese parti del discorso : per esempio , il verbo . La Linguistica ha scoperto anch ' essa il principio dell ' individualità irriducibile del fatto estetico , allorché ha affermato che la parola è il realmente parlato , e che non vi sono due parole veramente identiche ; distruggendo così i sinonimi e gli omonimi , e mostrando l ' impossibilità di tradurre davvero una parola in un ' altra , dal cosiddetto dialetto alla cosiddetta lingua o dalla cosiddetta lingua materna alla cosiddetta lingua straniera . Ma a questo giusto concetto mal risponde poi il tentativo di classificare le lingue . Le lingue non hanno realtà fuori delle proposizioni e nessi di proposizioni realmente pronunziati o scritti , presso dati popoli , in determinati periodi ; cioè fuori delle opere d ' arte ( piccole o grandi , orali o scritte , presto obliate o a lungo ricordate , non importa ) , in cui concretamente esistono . E che cosa è l ' arte di un popolo se non il complesso di tutti i suoi prodotti artistici ? Che cosa è il carattere di un ' arte ( per esempio , dell ' arte ellenica o della letteratura provenzale ) se non la fisionomia complessiva di quei prodotti ? E come si può rispondere a questa domanda , se non narrando nei suoi particolari la storia dell ' arte ( della letteratura , ossia della lingua in atto ) ? Sembrerà che questo ragionamento , pur avendo valore contro molte delle classificazioni solite delle lingue , nonne abbia poi alcuno contro la regina delle classificazioni , la classificazione storico - genealogica , gloria della filologia comparata . E così è di certo ; ma perché ? Appunto perché quella storico - genealogica non è mera classificazione . Chi fa la storia non classifica , e gli stessi filologi si sono affrettati ad avvertire che le lingue disponibili in serie storica ( ossia le lingue di cui finora sia stata rintracciata la serie ) non sono generi o specie distinte e staccate , ma un unico complesso di fatti nelle varie fasi del suo svolgimento . Il linguaggio è stato , talora , considerato come atto volontario o d ' arbitrio . Ma altra volta si è scorta chiara l ' impossibilità di creare il linguaggio artificialmente , per atto di volontà . “ Tu , Caesar , civitatem dare potes homini , verbo non potes ! ” , fu detto già all ' imperatore romano . E la natura estetica , e perciò teoretica e non pratica , dell ' espressione del linguaggio , dà il modo di scorgere l ' errore scientifico , ch ’ è nel concetto di una Grammatica ( normativa ) , che stabilisca le regole del ben parlare . Errore contro il quale il buon senso si è sempre ribellato ; ed esempio di tali ribellioni è il “ Tanto peggio per la grammatica » , attribuito al signor di Voltaire . Ma l ' impossibilità di una grammatica normativa viene riconosciuta anche da coloro che la insegnano , allorché avvertono che lo scriver bene non s ' impara per regole , che non v ' ha regola senza eccezioni , e che lo studio della grammatica dev ' essere condotto praticamente per letture ed esempi , che formino il gusto letterario . La ragione scientifica dell ' impossibilità è nel principio da noi dimostrato : che una tecnica del teoretico rappresenta una contraddizione in termini . E che cosa vorrebbe essere la grammatica ( normativa ) se non appunto una tecnica dell ' espressione linguistica , ossia di un atto teoretico ? Ben diverso è il caso in cui la Grammatica viene intesa come mera disciplina empirica , cioè come raccolta di schemi utili all ' apprendimento delle lingue , senza pretesa alcuna di filosofica verità . Anche le astrazioni delle parti del discorso sono , in questo caso , ammessibili e giovevoli . E come organismo meramente didascalico bisogna considerare e tollerare molti dei libri , che prendono il titolo di “ Trattati di linguistica ” , nei quali si trova di solito un po ’ di tutto : dalla descrizione dell ' apparato fonico e delle macchine artificiali che possono imitarlo ( fonografi ) , al compendio dei risultati più importanti della filologia indoeuropea , semitica , copta , cinese , o altra che sia ; dalle generalità filosofiche sull ' origine o natura del linguaggio ai consigli sul formato , la calligrafia e l ' ordinamento delle schede per gli spogli filologici . Ma quel tanto di nozioni che in quei libri viene somministrato in modo frammentario e incompiuto intorno al linguaggio nella sua essenza , al linguaggio in quanto espressione , si risolve in nozioni di Estetica . Fuori dell ’ Estetica , che dà la conoscenza della natura del linguaggio , e della Grammatica empirica ch ' è un espediente pedagogico , non resta altro che la Storia delle lingue nella loro realtà vivente , cioè la storia dei prodotti letterari concreti , sostanzialmente identica con la Storia della letteratura . Il medesimo errore dello scambiare il fisico per l ' estetico , da cui si origina la ricerca delle forme elementari del bello , si commette da coloro i quali vanno a caccia dei fatti linguistici elementari , decorando di tal nome le divisioni delle serie più lunghe di suoni fisici in serie più brevi . Sillabe e vocali e consonanti , e le serie di sillabe dette “ parole ” , tutte queste cose che , prese separatamente , non dànno senso determinato , debbono dirsi non già fatti di linguaggio , ma semplici suoni o , meglio , suoni fisicamente astratti e classificati . Altro errore dello stesso genere è quello delle radici , alle quali i più accorti filologi attribuiscono oggi valore assai scarso . Scambiati gli atti del parlare o atti espressivi coi fatti fisici , e considerandosi poi che nell ' ordine delle idee il . semplice precede il complesso , si doveva finire col pensare che i fatti fisici più piccoli designassero i fatti linguistici più semplici . Da ciò l ' immaginata necessità che le lingue più antiche , le primitive , avessero carattere monosillabico ; e che il progresso della ricerca storica dovesse condurre a scoprire quelle radici monosillabiche . Ma la prima espressione che ( tanto per seguire l ' ipotesi fantastica ) il primo uomo concepì , poté avere un riflesso fisico non già fonico ma mimico , ossia estrinsecarsi non in una voce ma in un gesto . E , posto che si fosse estrinsecata in una voce , non v ' ha poi nessuna ragione di supporre che quella voce dovess ' essere monosillabica o non piuttosto plurisillabica . I filologi accusano volentieri la loro ignoranza e la loro impotenza , se non riescono sempre a ricondurre il plurisillabismo al monosillabismo , e sperano nell ' avvenire . Ma è una fede senza fondamento , come quell ' accusa è un atto di umiltà derivante da una supposizione erronea . Del resto , i limiti delle sillabe , come quelli delle parole , sono affatto arbitrari , e distinti alla peggio per uso empirico . Il parlare primitivo o il parlare dell ' uomo incolto è un continuo , scompagnato da ogni coscienza di divisione del discorso in parole e sillabe , enti immaginari foggiati dalle scuole . Su questi enti non si fonda nessuna legge di vera Linguistica . Si veda a riprova la confessione dei linguisti , che del iato , della cacofonia , della dieresi , della sineresi , non vi sono veramente leggi fonetiche , ma leggi soltanto di gusto e di convenienza ; il che vuol dire leggi estetiche . E quali sono poi le leggi circa le parole , che non siano insieme leggi di stile ? Dal pregiudizio di una misura razionalistica del bello , ossia da quel concetto che abbiamo detto della falsa assolutezza estetica , prende , infine , origine la ricerca della lingua modello , o del modo di ridurre l ' uso linguistico all ' unità : la questione , come è stata chiamata da noi in Italia , dell ' unità della lingua . Il linguaggio è perpetua creazione ; ciò che viene espresso una volta con la parola non si ripete se non appunto come riproduzione del già prodotto ; le sempre nuove impressioni dànno luogo a mutamenti continui di suoni e di significati , ossia a sempre nuove espressioni . Cercare la lingua modello è , dunque , cercare l ' immobilità del moto . Ciascuno parla , e deve parlare , secondo gli echi che le cose destano nella sua psiche , ossia secondo le sue impressioni . Non senza ragione il più convinto sostenitore di qualsiasi soluzione del problema dell ' unità della lingua ( della lingua latineggiante , o trecentistica , o fiorentina , o altra che sia ) , allorché parla poi per comunicare i suoi pensieri e farsi intendere , prova ripugnanza ad applicare la sua teoria ; perché sente che , col sostituire la parola latina o trecentesca o fiorentina a quella di diversa origine ma che risponde alle sue naturali impressioni , verrebbe a falsare la genuina forma della verità : da parlatore egli diventerebbe vanitoso ascoltatore di sé medesimo ; da uomo serio , pedante ; da sincero , istrione . Scrivere secondo una teoria è non già scrivere per davvero , ma , tutt ' al più , fare della letteratura , di quella non buona . La questione dell ' unità della lingua ritorna sempre in campo , perché , così com ’ è posta , è insolubile , essendo fondata sopra un falso concetto di ciò che sia la lingua . La quale non è arsenale di armi belle e fatte , e non è il vocabolario , raccolta di astrazioni ossia cimitero di cadaveri più o meno abilmente imbalsamati . Non vorremmo , con questo modo alquanto brusco di troncare la questione della lingua - modello o dell ' unità della lingua , apparire meno che rispettosi verso la lunga tratta di letterati che l ' hanno per secoli agitata in Italia . Ma quegli ardenti dibattiti erano , in fondo , dibattiti di esteticità e non di scienza estetica , di letteratura e non di teoria letteraria , di parlare e scrivere effettivi e non di scienza linguistica . L ' errore di essi consisteva nel convertire la manifestazione di un bisogno pratico in una tesi scientifica ; l ' esigenza , per esempio , dell ' intendersi più facilmente tra i componenti di un popolo diviso dialettalmente , nella richiesta filosofica di una lingua una o ideale . Ricerca tanto assurda quanto è l ' altra di una lingua universale , di una lingua che abbia l ' immobilità del concetto o , piuttosto , dell ' astrazione . Il bisogno sociale del più facile intendersi non si soddisfa se non col diffondersi della cultura e col crescere delle comunicazioni e degli scambi intellettuali tra gli uomini . Bastino queste sparse osservazioni a mostrare che tutti i problemi scientifici della Linguistica sono i medesimi di quelli dell ’ Estetica , e gli errori e le verità dell ' una sono gli errori e le verità dell ' altra . Se Linguistica ed Estetica paiono due scienze diverse , ciò deriva dal fatto che con la prima si pensa a una grammatica , o a qualcosa misto di filosofia e di grammatica , cioè a un arbitrario schematismo mnemonico o a un miscuglio didascalico , e non già a una scienza razionale e a una pura filosofia del parlare . La grammatica , o quel certo che di grammaticale , induce altresì nelle menti il pregiudizio , che la realtà del linguaggio consista in parole isolate e combinabili , e non già nei discorsi vivi , negli organismi espressivi , razionalmente indivisibili . I linguisti o glottologi filosoficamente dotati , che hanno meglio approfondito le questioni sul linguaggio , si trovano ( per adoperare un ' immagine abusata ma efficace ) nella condizione dei lavoratori di un traforo : a un certo punto debbono sentire le voci dei loro compagni , i filosofi dell ’ Estetica , che si sono mossi dall ' altro lato . A un certo grado di elaborazione scientifica , la Linguistica , in quanto filosofia , deve fondersi nell ' Estetica ; e si fonde , infatti , senza lasciare residui .