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> autore_s:"DE ROBERTIS GIUSEPPE" > anno_i:[1940 TO 1970}
L' ' AMETO ' ( DE ROBERTIS GIUSEPPE , 1941 )
StampaQuotidiana ,
Il Bembo aveva ragione : che il Boccaccio , « come che in verso altresì molte cose componesse , nondimeno assai apertamente si conosce che solamente nacque alla prosa » . O , per meglio dire , di quanto arricchì la sua prosa , d ' altrettanto smorzò e impoverì la poesia . E proprio cominciò a comporre in prosa , riportando su un piano tanto più alto una vicenda popolaresca , con suoi caratteri ben netti . Parlo del Filocolo , trascrizione piuttosto infarcita d ' un tema e d ' una storia come quella di Florio e Biancofiore : l ' opera « giovanile » del Boccaccio , che , secondo il Battaglia , rappresenterebbe « il momento romantico di uno scrittore che col volgere degli anni avrebbe educato la sua grande arte al più schietto realismo » . Ma , dire « romantico » è dir troppo ; e contentiamoci di battere l ' accento sulla più semplice definizione « giovanile » ; e spieghiamoci così quel che di intemperante e di folto passò tra le fila di quella vicenda romanzesca , e che furono specialmente ricordi di letture , e di poetiche letture ; tutto , insomma , un mondo classico mescolato confusamente a personali esperienze , personali affetti , e avvisi del tempo nuovo . Tra il Filocolo e l ' Ameto passarono all ' incirca dieci anni ; e ne passeranno poco meno dal principio della composizione del Decamerone , e un poco più dal suo compimento . La Fiammetta è un ' eccezione : l ' ultima opera di prosa , e si può dire l ' unica , avanti il Decamerone , dove il Boccaccio parve , in una volta , cantare e licenziare le memorie della sua vita . L ' Ameto , dunque , sta in mezzo , e anche idealmente occupa il giusto mezzo e , composto com ' è di prosa e di verso , ripropone più sensibilmente il confronto tra prosa e poesia boccaccesca ( noi non accenneremo neppure alla storia di queste opere miste , né a Boezio né a Marziano Capella né ad Alano da Lilla né a Dante ) . E prendiamo un dato solo di stile . Si sa quanto il Boccaccio studiasse e imitasse Dante , e proprio il Dante della Commedia . Così nel Filocolo , così nell ' Ameto . Ma non già , nell ' Ameto , per sostenere il verso ; sibbene per alzare ancora più il tono della prosa , di quell ' « apparente prosa che è poesia » . E per converso , in prosa , egli non avrebbe mai toccato modi siffatti ( « Con queste bianche e rosse come foco Ti serbo gelse , mandorle e susine , Fravole e bozzacchioni in questo loco , Belle peruzze e fichi senza fine ; E di tortole ho preso una nidiata , Le più belle del mondo , piccoline , Colle quai tu potrai lunga fiata Prender sollazzo ; e ho due leprettini , Pur testé tolti alla madre piagata ecc . » ) ; e per l ' appunto in terzine stemperate , avvilite direi , dove c ' è già un sentore di ottava , dell ' ottava enumerativa boccaccesca , e poi dell ' altra concertante del Poliziano . Proprio quando , nella prosa dell ' Ameto , tentava un maggior arricchimento e un periodare più complesso . E l ' aggettivo il peso morto della prosa boccaccesca , il segno della sua stanchezza . L ' aggettivo con valore attributivo quasi sempre preposto al nome , e che nei poeti , specie nei poeti elegiaci e melici , forma quel finissimo « legato » , ( diciamolo un ' altra volta con un termine musicale ) che è l ' elemento base del loro melodizzare , l ' affettuoso connettivo del canto ; dove l ' una nota par tenuta per colorare di sé l ' altra , dar senso all ' altra , mentre questa la sostanzia e quasi si scioglie in essa . Proprio su questo massimo di durata , su questa unità armonica , s ' appoggia e si rinnova di tempo in tempo , e direi si slancia , il discorso poetico ( « Quel vago impallidir , che ' l dolce riso D ' un ' amorosa nebbia ricoperse » . « Se dell ' eterne idee L ' una sei tu , cui di sensibil forma Sdegni l ' eterno senno esser vestita , O fra caduche spoglie Provar gli affanni di funerea vita » ) ; e vi s ' accorda l ' altro elemento , con l ' aggettivo posposto al nome , che è lo « staccato » ( e anche questa volta ricorreremo alla musica ) , e serve come chiaroscuro , più e men forte , sopra tutto nelle riprese , nelle chiuse , e vive unicamente del suo contrario ( « e fia compagna D ' ogni mio vago immaginar , di tutti I miei teneri sensi , i tristi e cari - Moti del cor la rimembranza acerba » ) . Nella prosa è il caso inverso , quanto più il gusto della prosa progredisce e s ' affina . Ed è lo « staccato » a dare il colore , l ' accento , la forte scansione ; mentre , in momenti rari , in toni un poco più alti , anch ' essa « lega » col finissimo artificio che s ' è detto . Sarà dunque nel Boccaccio , questo continuo « legare » , la riprova più valida di quella sua « apparente prosa che è poesia » ? Ma si osserverà : Boccaccio tolse quest ' uso dal latino . Che , in verità , non distrugge il dato stilistico , né il suo particolare valore . E poi sta il fatto che il Boccaccio , specie sul principio , se ne appropriò in un suo periodare monotono , per successioni , per addizioni , solo più tardi arrivato a una maggior finezza di sintassi . Si pensi al Novellino , alla varietà del suo parlare , per cenni , alla scrittura magra , con sensibili contrasti e , nell ' uso dell ' aggettivo , appunto , con inattese libertà . Qui davvero non si compone per serie , ma in un modo tutto inventivo , anche se corto . E cessato quell ' inventare , il discorso svolta e varia . Disse il Foscolo che il Boccaccio vedeva « in ogni parola una vita che fosse propria , né bisognosa altrimenti d ' essere animata dall ' intelletto » . E badate , la vena di certi scrittori spesso consiste non di parole soltanto , ma di intere frasi e cadenze , con una vita loro propria , né bisognose altrimenti d ' essere animate dall ' intelletto ; consiste , volevo dire , in una sorta di elegantissimo ozio . Come nei melodisti a oltranza . E in prosa come in verso solo allora si tocca la perfezione , quando l ' inventare e l ' ambito compositivo s ' aiutano e si condizionano , senza squilibri . Il Boccaccio , intanto , nell ' Ameto , corresse e variò certa dovizia aggettivale , studiò più accorte collocazioni ( « e le rocche fortissime » ) ; e , tirato dal suo vivace istinto di realista , sostituì , al comporre secondo regole e cadenze e , direi , secondo un ideale ritmo , invenzioni più frequenti , vere spezzature o discordanze nel suo tessuto prosastico . Ma che cosa è quest ' Ameto ? E , o vuole essere , la rappresentazione del rinnovamento dello spirito umano per mezzo dell ' amore ; la storia di Ameto cacciatore « vagabondo giovane » , che di rozzo e selvaggio , ingentilito dall ' amore , e aiutato dalle sette virtù , s ' innalza alla contemplazione delle verità supreme . Questa , in vero , è la macchina del libro , che dà la spinta al libro ; e che s ' adatta poi , via facendo , alla statura e al gusto dell ' autore . Parrebbe di assistere a una drammatica « riduzione » ( non però sofferta , s ' intende , ma che non cessa d ' esser tale ) d ' un ' alta idea , viva ancora ai tempi del Boccaccio , più , forse , come ricordo che come forza attiva , e che nella mente del Boccaccio trova un suo limite , e , per questo , si fa a suo modo vivente . Già , che fosse un motivo fortemente sentito , lo avvertì fin dal principio . Vedi Ameto , « d ' ogni parte carico della presa preda » « intorniato da ' cani tornando a ' suoi luoghi » « vicino a quella parte ove il Mugnone muore con le sue onde » , fermarsi ad ascoltare una « graziosa voce » « in mai più non udita canzone » ; e « verso quella parte , ove il canto estimava , porse , piegando la testa sopra la manca spalla , l ' orecchio ritto » ( ma questa punteggiatura troppo secondo logica , troppo minuta , per il sinuoso periodare boccaccesco ! ) . S ' accosta , dunque , Ameto , e vede giovinette , « alcuna mostrando nelle basse acque i bianchi piedi » , e che con lento passo « vagando s ' andavano » . La meraviglia di Ameto vale assai più delle cose che descrive , rimane come un vapore sospeso , una luce primaverile ; ché le cose sono sempre le stesse , e un poco monotone ; e le sette virtù , anch ' esse troppo uguali , Mopsa , Emilia , Adiona , Acrimonia , Agapes , Fiammetta , Lia ; vere donne , e troppo donne . E Ameto , « con occhio ladro » , a riguardare « l ' aperte bellezze di tutte quante » . Appunto quest ' occhio di Ameto è la novità del libro , il miracolo che trasforma il vario nell ' uno ; e la pagina ne risulta piena d ' infinite sorprese . « Con fervente disio cercava d ' essere Afron o di mutarsi in Ibrida o divenire Dioneo o parere Apaten o Apiros o Caleone » . E il circostante mondo di natura , per nulla distinto , anzi da ogni parte mescolantesi come cosa vivente , pieno di sensi anch ' esso ; e i colori presi da ogni dove , dalla realtà e dal mondo classico e dal mito . Non a caso , nell ' Ameto , spiccano con forte rilievo , e quasi s ' accordano in un superiore impegno , due grandi parti : una minutissima descrizione d ' un orto , la più ricca e architettata di tutto il libro ; e una storia d ' amore , quella di Agapes , che altra non ne scrisse mai , avanti il Decamerone , con penna sì ardita , e con la sua allegra lascivia . Per questo vasto accordo , quest ' armonia e , vorrei dire , amorosa prospettiva , l ' Ameto è il precedente immediato del mondo polizianesco e , in sé , segna un punto assai importante nella resurrezione rinascimentale . Era destino che lo fissasse prima il Boccaccio . Spiace , nella pur buona edizione che Nicola Bruscoli ha curato dell ' Ameto per l ' editore Laterza , trovare una dichiarazione come questa : « L ' autore si ripromette di tornare in seguito sui Manoscritti dell ' Ameto , aggiungendo altri dati quali sarà possibile ricavare dall ' esplorazione di nuovo materiale , oggi sotto speciale custodia a causa dello stato di guerra » . E chi obbligava mai il Bruscoli a pubblicare con una tal precipitazione ? Ma vorrei dire un ' altra cosa ancora , ché l ' ho appena accennata avanti . Sul sistema della punteggiatura adottato per questa prosa del Boccaccio , come sempre tendente , con una leggera enfasi , alla poesia . Questa interpunzione , così spiccatamente logica , non pare al Bruscoli che debba frastornare un poco il lettore , impedirgli il gusto di risentire in sé quella musica che è del periodare boccaccesco ? Eppure il Leopardi , nelle Operette morali , ci aveva lasciato un esempio splendido di come si possa con la interpunzione aiutare la lettura , dividendo secondo pause , non secondo sintassi , o secondo una più interna sintassi . Mi si potrebbe rispondere col nome del Manzoni . Ma già la prosa del Manzoni è ben altra da quella del Boccaccio , e non è poi detto che il Manzoni , qualche volta non peccasse in minuziosità , per iscrupolo di non riuscire mai abbastanza chiaro , affabile . E un ' ultima osservazione , sull ' uso della dieresi . Quest ' uso , assai intemperante , non ha portato fortuna , e s ' è visto , ad altro editore del Boccaccio . Davvero che un verso come questo « stanti all ' ombra d ' un fiorito alloro » , aveva bisogno della dieresi su « fiorito » ( così : « fïorito » ) , di quest ' errore smaccato , di questa strascicatura , per essere un verso ? Ma basterebbe dividere « stanti » da « all ' ombra » , con un effetto bellissimo di iato , e l ' endecasillabo , proprio lì , si slargherebbe , si distenderebbe ; e s ' avrebbe proprio dipinta la contentezza di stare all ' ombra , quieti , che è un piacere . Se questa è invenzione nostra , del nostro strafare , chiediamo venia .
LE ' STANZE ' O DEL CHIASMO ( DE ROBERTIS GIUSEPPE , 1942 )
StampaQuotidiana ,
Si farà dunque un ' edizione delle Stanze ? La « Biblioteca Nazionale Le Monnier » annuncia ora gli Scritti in volgare del Poliziano a cura di Natalino Sapegno , e a un ' edizione critica delle Stanze lavora il Pernicone . I tempi sarebbero maturi . Negli ultimi dieci anni l ' arte del Poliziano ebbe interpreti assai fini , portato della novissima cultura volta particolarmente alla scoperta del linguaggio poetico , e a certe distinzioni rivelatrici tra poesia e poesia della poesia . Il Poliziano è il rappresentante tipico di questa poesia della poesia . Solo che il suo testo è ancora quello dato dal Carducci nel '63 , vecchio ormai . Il Carducci ebbe il merito , allora , di restaurare in buona parte la lezione giusta , contro le edizioni cinquecentesche , nobilitate ma offese , secondo le teorie del Bembo . Compì il lavoro a mezzo . Perché conobbe , sì , direttamente i due Codici riccardiani 2723 e 1576 ( il primo assai importante , perché compilato vivente il Poliziano ) , ma gli altri codici solo attraverso le stampe su essi redatte , e se ne fidò . Non fece la storia dei codici , non ne accertò il valore , e portò nella scelta della varia lezione le sue particolarissime preferenze . Il Carducci , spesso così giusto lettore , fu talvolta non pacato lettore ; e nella edizione del Poliziano , davanti a errori passati di codice in codice quasi per ozio della mente , né ebbe il coraggio di congetturare né ci lasciò nel commento ombra di dubbio . Quel quinto verso , ad esempio , della stanza CII ( « L ' altra al bel petto e bianchi omeri intesa » ) , così com ' è , non dà senso probabile . Altri l ' ha piegato a un ' interpretazione strana , con un ' aperta violazione della parola intesa ( « intenta , chinata coi suoi bianchi omeri » ) ; io correggerei sicuramente : « L ' altra al bel petto e a ' bianchi omeri intesa » . Ma più errò il Carducci nelle preferenze . E finché non ci saranno altre prove , noi contrapporremo le nostre preferenze , confortate dall ' autorità dei Codici riccardiani . Nella stanza LIV , il verso secondo suona così in quei codici : « E da questi arbor cade maggior l ' ombra » , che popola il luogo d ' alberi e ombre ( « all ' ombre » , dice infatti il v . 7 della stanza LII ) . Ma il Carducci accetta l ' altra lezione ricavata dalle stampe , forse da un errore di quelle stampe ( « E da quest ' arbor ecc . » ) . Il principio della stanza XXXIII chi non lo ricorda ? « Ah quanto a mirar lulio è fera cosa ! Rompe ecc . » . E il Carducci annota : « Veramente i due Codd . ricc . leggono romper la via , non interrompendo il periodo dopo l ' esclamazione del primo verso . Ma la lezione delle stampe fa molto più viva ed efficace la descrizione » . Che non è osservazione esatta . La lezione delle stampe rallenta invece la descrizione , toglie la giusta proporzione delle parti , confonde e livella quelle parti . La lezione dei codici , oltre la novità di quell ' impetuoso romper , riempie di meraviglia il secondo e il terzo verso , gli altri tre , com ' è giusto , lascia un poco in ombra , per quella dizione stremata , come fosse un particolare aggiunto alla pittura che ha il suo accento massimo su romper , e non dura al di là del terzo verso . Senza dire che questo è un esempio di bellissima , infrazione al comporre polizianesco per distici , a quell ' ottava concertante che fu delizia , e anche croce , del Poliziano . E prima di tutto fu delizia . Da questa specie di ottava , si sa , il Poliziano cavò tutti gli effetti , e vi lavorò con finissimi artifici . Pareva avvertisse che nel rigore di quella « divisione » stesse la sua salvezza , e che l ' asciuttezza delle impressioni , la diversità delle influenze non potessero trovare che in quella forma la loro giustificazione , il riscatto . Ciascuna delle influenze si traduceva in lui in impressione fortissima , e ciascuna impressione traboccava in un distico o in un verso solo . Dalla varietà poi nasceva l ' accozzo , concordante o discordante , ma sempre un accozzo . La sua natura ripugnava agli sviluppi , alla diffusione . Descriveva per segni rapidi , per cenni , quasi per simboli . Nessuna ricchezza di partitura , che pur qualche volta gli sarebbe servita per fondere e sostenere la narrazione , per esempio nella scena della caccia . Preferì un comporre per momenti , puntuale , vivacissimo , anche se talvolta secco . Rovesciò l ' ordine delle similitudini , delle similitudini classiche protratte e appoggiate sui due pernii soliti ( come .... così ) ; riassorbì l ' una parte , la seconda , e sempre dié risalto all ' altra , la prima , in una sorta d ' improvviso , come per ribadimento e chiusa del discorso . Non sacrificò mai nulla alla composizione , accettò il suo limite quasi per sfida . Ma nel suo limite si dimostrò artista impareggiabile . E variò continuamente l ' ordine della sua sintassi , con modi bellissimi . « Feciono e ' boschi allor dolci lamenti , E gli augelletti a pianger cominciorno » . Creata la distanza dei verbi , ecco crearsi come un doppio di spazio , ecco una maggior vaghezza dell ' armonia sostenuta su quei termini distanti , particolarmente addolciti dal colore antico e popolaresco ( il colore antico e popolaresco che salvò il Poliziano dall ' alessandrinismo ) . Come si chiama per figura quell ' allontanare due stessi elementi sintattici di un periodo e avvicinarne due altri ? Si chiama « chiasmo » . Poliziano adoprò il chiasmo come base del suo armonizzare . « Or poi che il sol sue rote in basso cala . E da quest ' arbor cade maggior l ' ombra , Già cede al grillo la stanca cicala , Già il rozo zappator del campo sgombra ecc . » . Ecco altro effetto dal medesimo artificio , fuggire nella successione la monotonia , con una perfetta alternanza . Ma l ' esempio più bello forse è dato dalla stanza XXV , che è uno dei miracoli del Poliziano , e su cui nulla ha potuto né l ' abitudine della memoria né il ricordo scolastico : Zefiro già di bei fioretti adorno Avea de ' monti tolta ogni pruina : Avea fatto al suo nido già ritorno La stanca rondinella peregrina : Risonava la selva intorno intorno Soavemente all ' ora mattutina : E la ingegnosa pecchia al primo albore Giva predando or uno or altro fiore . Con un doppio chiasmo che regola le due parti dell ' ottava , ciascuna di quattro versi , s ' ottiene nell ' una , per quell ' avvicinare i verbi , quasi un ritmo di festa , di festa che canta e s ' affretta , e nell ' altra s ' ampliano , per quell ' allontanarli , i confini della scena , già commentati in anticipo dal suono di quell ' « intorno intorno » . Due diverse misure , per una più perfetta rispondenza , direi meglio , per una più felice obbedienza alla verità d ' un ' impressione . E così , ancora una volta , il Poliziano ha saputo mantenere , preservare , la sua puntuale forza inventiva ; eccitare le parole in brevissimo , portarle al loro massimo rendimento . Perché questo è il proprio dell ' arte del Poliziano , bruciare i suoi temi . Nella sua povertà , egli è uno sperperatore . Nel secondo libro delle Stanze , decisamente , la poesia va mancando , ed è allora che al poeta pesa l ' angustia del suo comporre . Sperimentati ha tutti i modi per salvarsi dalla monotonia , per vincere il suo limite . L ' ottava , nella sua precisa netta divisione , consumata in ogni minima parte , non gli serve più , non gli basta ; e adopra altro stile . Non sa , non intende , che il difetto non è della forma , che gli par stanca , ma della poesia che gli si è stancata , e cerca dall ' esterno il rimedio , che non si può mai . Ma tenta . ( Così accadde , per citare un poeta di felicissimo istinto , all ' ultimo Di Giacomo , negli ultimi suoi inquieti anni , quando barattò le ben chiuse strofe delle Ariette per le più complesse combinazioni metriche , e la poesia di rado le allietò ) . Troviamo qui i primi esempi di similitudini sviluppate secondo il gusto classico , spezzature nel verso inusitate , infrazioni nell ' ordine strutturale delle stanze . La mente ricorda ben altre riuscite . ( « Quasi in un tratto vista amata e tolta ecc . » ) . Quelle erano violenze per virtù di poesia , e qui si applica l ' ingegno ; lì era la forza del realista , dell ' osservatore coraggioso , qui è l ' industria sostituita all ' ispirazione . Forza di realista , abbiamo detto , e prima abbiamo accennato al colore antico popolaresco della sua lingua . Sono i dati dello stile polizianesco , e bastarono , sì l ' uno che l ' altro , a salvare la sua poesia dall ' alessandrinismo , che occhieggia appunto nell ' ultime stanze , ricche dei più pensati artifici , perfino nelle rime , nelle rime rare , nelle rime equivoche , tutti vecchi ricalchi . C ' è differenza tra questo colore , questa vivacità da realista , e il Petrarca ? Oh che c ' entra il Petrarca ? È stato il Flora , nella sua per tante parti bella Storia della lett . it . , ad avanzare il dubbio d ' una confusione . « E non si tratta di riasserire col Foscolo che il Poliziano gli spiriti e i modi della lingua latina dei classici , trasfusi già nella prosa dal Boccaccio , fu il primo a trasfondere nella poesia , aggiungendovi quanta eleganza poté derivare dal greco .... Perché gli spiriti dei classici latini erano già stati trasfusi nella poesia fin da Dante : e il Petrarca giunse a un ' eleganza di trasfusioni , al cui confronto anche quella del Poliziano , e sia pure con l ' aggiunta della greca eleganza , è poco men che rozzezza » . Veramente chi riasserì col Foscolo ecc . ecc . aveva aggiunto ben altre determinazioni , e parlò di influenze della poesia italiana fino al Petrarca , parlò della poesia antica popolaresca ( c ' è un colorito popolaresco in Petrarca ? ) . Sopra tutto insisté sul termine « trasfusione » , che è del Foscolo , ed è una delle sue più felici invenzioni , da applicare , approfondendola , a quella variazione della poesia che è la poesia della poesia , e solo a quella . Del Petrarca , il Foscolo , per fuggir la confusione , disse ben altro . « Come egli dalle reminiscenze del dialetto materno e da quanti n ' udì , e da rimatori provenzali , siciliani e italiani stillasse , per così dire , una quintessenza di lingua poetica , è uno di que ' misteri ecc . ecc . » . Nel Poliziano , nessuna reminiscenza , intanto , di rimatori provenzali , e neppur l ' ombra di quella che il Foscolo , arcanamente , chiama « quintessenza » . Niente di arcano è nel lavoro del Poliziano : si notano , si toccano con mano , e le influenze e le sue reazioni , quel che riceve e quel che dà . Nel Petrarca , come in ogni poeta assolutamente grande , è la riemersione originaria d ' una lingua poetica . Foscolo dice « uno di que ' misteri che si sogliono attribuire al genio » . Che non sono parole da spendere per il Poliziano , ingegno sopra tutto elegante . Di quali suoi propri colori vestisse , dico vestisse , la poesia , s ' è mostrato , e non era difficile .
LA FORTUNA DELL'AMINTA ( DE ROBERTIS GIUSEPPE , 1942 )
StampaQuotidiana ,
La storia della fortuna dell ' Aminta è , s ' intende , la storia delle scoperte e degli errori del lavoro e del pensiero critico intorno all ' Aminta , storia del gusto in senso alto ; e noi la faremo , più specialmente , per gli ultimi cinquant ' anni . Da quando il Carducci , con i suoi tre famosi saggi ( I ° L ' « Aminta » e la vecchia poesia pastorale ; 2° Precedenti dell ' « Aminta » ; 3° Storia dell ' « Aminta » ) , tutto cercò , a tutto badò , tranne che all ' arte dell ' Aminta , alla sua formazione , anzi alla sua elaborazione , fino agli ultimi studi , volti a considerare l ' Aminta in sé , nel suo valore poetico , ma scissa quasi sempre dalla sua vera ragione e condizione . E non parliamo dei tradimenti operati dalla critica ( se così deve chiamarsi ) psicologica e romanticheggiante che , al solito , contagiò l ' esame di quella « favola » , in tutto risolta e liberata , con la sovrapposizione della biografia del Tasso . L ' arte del Tasso fu , per quella cosiddetta critica , un pretesto per raccontare , complicandole , le vicende della sua vita , e vederne il riflesso , per l ' appunto , in una delle sue opere che ne restò impeccabilmente immune . I critici estetici , più nel vero , non fecero che sviluppare , ma spesso astrattamente , più con sottigliezza che su una fidata lettura , un giudizio del De Sanctis , sia che vi si accordassero sia che se ne scostassero ; un giudizio preparato e lavorato nel capitolo , sul Tasso , della sua Storia della Letteratura italiana , e che ribalena nel principio del capitolo sul Marino . « Questo mondo lirico , che nella Gerusalemme si trova mescolato con altri elementi , apparisce in tutta la sua purezza idillica ed elegiaca nell ' Aminta . Ivi il Tasso incontra il vero mondo del suo spirito e lo conduce a grande perfezione » . Il De Sanctis scoperse questo mondo , « mescolato con altri elementi » , nella Gerusalemme . Un cenno fuggevole al Rinaldo , un insufficiente cenno alle Rime ( « Delle sue rime sopravvive qualche sonetto e qualche canzone , effusione di anima tenera e idillica . Invano vi cerco i vestigi di qualche seria passione . Repertorio vecchio di concetti e di forme , con i soliti raffinamenti » , e seguitando : « I sentimenti umani sono petrificati nell ' astrazione di mille personificazioni .... e nel gelo di dottrine platoniche e di forme petrarchesche » ) , rendono chiaro che a intendere la formazione dell ' Aminta , il farsi del suo linguaggio , era al tutto fuori strada ; e gli mancava il gusto per queste esplorazioni . Ma dopo ? Il Carducci perseguì , secondo il suo costume , la storia ( storia invero tutta esterna ) della particolare forma ( o genere ) di quella « favola pastorale , o più largamente boschereccia e campestre » , non s ' interessò al determinarsi della più personale forma e espressione : e del resto mostrava di apprezzare poco le Rime , e di conoscerle ancora meno : e gli sfuggì il problema . L ' edizione delle Rime del Solerti , se pure incompiuta e imperfetta , ma ragguardevole , non decise gli studiosi a considerarle altro che fuggevolmente . Il Sainati ne cavò una sorta di commentario perpetuo , ricco di osservazioni e notizie puntuali , e basta . Ma il suo esame né lui né altri poi lo approfondirono . Le Rime del Tasso rimasero un libro non letto ; o letto e frainteso , come nel caso del Donadoni , critico per eccellenza impigliato in compromessi psicologistici , impigliato nelle difficoltà di non saper risolvere i rapporti tra biografia e poesia , poetica e poesia . E non è a dire che quanti si misero a cercarle in seguito fossero trattenuti dalle imperfezioni del lavoro del Solerti , dal suo apparato critico difettoso , che non arriva a fare storia , perché non chiarisce i tempi e i passaggi delle varie lezioni , e insomma i tempi del linguaggio poetico delle Rime ( storia che noi aspettiamo da un giovane a ciò preparato , il Caretti , il quale darà per la « Crusca » la novissima edizione delle Rime ) : la loro attenzione non degnava simili squisitezze . La ragione è invece un ' altra . Quei distratti lettori , per dirla semplicemente , non s ' accorsero , non sospettarono che da quelle Rime fosse nata l ' Aminta ; e che nasce proprio di lì il suo esprimersi fuso corrente , la sua metrica , la sua musica , anzi ne è essa , sotto questo triplice aspetto , la conclusione e l ' arricchimento . Mettiamoci pure l ' influenza di quei tanti poeti latini e cinquecentisti che scrissero favole pastorali , o boscherecce e campestri , e idilli e egloghe ; e mettiamoci , ancora più , gli elegiaci latini , come vide il Foscolo . Se di qui viene un particolare tono e impasto , e un ' inventività melica ( ben altro , dunque , che lo studio d ' una forma e d ' un genere ) , il farsi e graduarsi di quel tono o impasto , di quella inventività melica , è da ricercare appunto nelle Rime del Tasso che precedono l ' Aminta ( ben altro , dunque , che « portento » , come parve al Carducci ) . Ma bisogna distinguere tra rime e rime . Io direi che l ' avvio alla felicità espressiva dell ' Aminta , nei suoi momenti più alti , è da ricercare nei madrigali , nello stile madrigalesco ; la durata della favola , nella somma delle rime nei più diversi timbri . Il Tasso , come tutti i lirici del '500 , pagò prima il suo tributo al bembismo , specie nei sonetti , in quei sonetti di una tecnica sempre un poco « scostata » , che ora riflette come in un indifferente specchio l ' autobiografismo irrisolto e l ' aggrava , ora raggela la ineguale lirica occasionale . Per questa via non s ' arriva al parlato dell ' Aminta , né s ' arriva alle risoluzioni ariose di quel parlato , né , tanto meno , s ' arriva agl ' intermedii e ai cori . Ma i madrigali sono il superamento del bembismo ( crisi per saturazione ) , sebbene di pura tecnica , e perciò stesso affinamento non superamento , e sostituiscono al rallentato dei sonetti un leggerissimo fugato , con un gioco di esili ritmi e un contrappunto labile ( riscattano però anche il dato biografico in fantasia , consumano e riconsumano quel dato biografico ) . Ora , certe parti dell ' Aminta , stando tra questi due opposti modi ( o dizioni ) , e rappresentandone il potente accordo , sostengono la recitazione dei sonetti con un accento più caldo e sciolto , il fugato dei madrigali con un respiro poetico . Così il sofferto si cela dietro le figure e i miti , quasi con un vivo colore di perla ; la tecnica , né tesa né sottesa , ha una sua rozzezza limpida e elegante . Fu detto che l ' Aminta è tutto un madrigale ; io direi che è il presentimento della favolosa e felice opera in musica settecentesca e , come in essa , la stessa sensualità è felice , e la malinconia è felice , tutto ombra felice . Ma c ' è un ' altra qualità intrinseca che l ' avvicina alla nominata opera in musica ( e si pensi alla musica più che alle parole ) : quello sciogliersi del recitativo e del parlato in canto , quel salire gradatamente di tono fino al canto . Già il recitativo , il parlato , porta sempre nell ' Aminta un ' aria di canto , non è mai prosastico ; ed è quella motivazione del recitativo a colorire il canto , direi ad appassionarlo . Uno stile madrigalesco , ma nutrito , inebriato . Il De Sanctis disse che l ' interesse dell ' Aminta « è tutto nella narrazione , sviluppata liricamente » . Avvicinate i due termini , narrazione , lirica , e dite piuttosto che , più che narrare e rinarrare , nell ' Aminta si modula e rimodula , con una dolce sazietà . Di atto in atto , certi temi sono riproposti con una sempre maggiore affettuosità d ' intonazione , si riprovano in tutta la loro capacità emotiva . Cosicché se le parti narrative generano ognuna modi più liberi e sciolti , nella stessa logica degli atti , e della favola intera , accadono queste fortunate risollevazioni . A posta forse il Tasso cominciò l ' Aminta con un « prologo » , e la compì con un « epilogo » , come in due direzioni distanti e congiunte , due segni , due simboli ; quello in tutti endecasillabi , questo in strofe liriche . E secondo la stessa logica finì gli atti con i cori e gli intermedii , cioè con strofe liriche . Questi cori , questi intermedii , e più le parti liriche portate in cima dal parlato , sono il fiore della poesia tassesca . Nascono insieme da ispirazione e da un mestiere stragrande . Varrebbe la pena farne la storia . Una , tutta presente , toccante , e vi abbiamo accennato parlando di quello stile madrigalesco motivato dal recitativo , un ' altra , più lontana , più lunga , e bisognerebbe , per illustrarla , risalire alle Rime e alla loro formazione lentissima . Per far questo , s ' aspetta che il Caretti ci abbia dato il suo studio delle lezioni varianti .