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> autore_s:"Fusco Gian Carlo" > categoria_s:"StampaQuotidiana"
Fred, l'uomo che cantava come un marine ( Fusco Gian Carlo , 1960 )
StampaQuotidiana ,
Incontrai Fred Buscaglione , la prima volta , a Viareggio , nell ' estate del 1946 . A quel tempo dirigevo un night - club piuttosto importante , il vecchio Kursaal , al centro della passeggiata a mare . Stagione intensa , turbinosa . Americani negri e bianchi ciondolavano dappertutto . Avventurieri d ' ogni calibro , tipo ed età circolavano sul litorale tirrenico , fra Livorno e Forte dei Marmi , attirati da quella affascinante « fata morgana » ch ' erano gli enormi magazzini militari di Tombolo . Più che magazzini , una specie di metropoli polverosa , improvvisata fra la spiaggia e la via Aurelia : fatta di casse accatastate a centinaia di migliaia , di jeeps nuove di zecca allineate e coperte di teli mimetici , di camions , di cannoni , di gabinetti dentistici da campo , di tutti i materiali necessari a un esercito moderno . I biglietti grigi da 1000 « amlire » avevano , in quei giorni , il valore di stuzzicadenti . L ' estrema coda occidentale dell ' ex linea gotica era una specie di cornucopia traboccante di frutti succulenti . Gli affaristi del Nord , muniti di credenziali rilasciate dalle più bizzarre e impensate autorità partigiane , erano scesi in Versilia , e vi si erano stabiliti per arraffare e sperperare milioni . Nel mio locale , ancora spruzzato di schegge e arredato alla meglio , suonava il « Quintetto Gaio » , che più tardi emigrò in Brasile e tuttora è l ' orchestra numero 1 di Copacabana ; cantava e ballava una signorina di buona famiglia , pressoché debuttante , di nome Katina Ranieri ; intratteneva il pubblico , fra un ballo e l ' altro , con monologhi umoristici e barzellette , un giovane , indemoniato fantasista , magro , occhialuto , annunciato sui manifesti come « Mario Carotenuto - L ' irresistibile causeur » ; si esibiva Casoni , vestito mezzo in abito da sera femminile e mezzo in frac , il quale mandava in visibilio gli ufficiali americani , ballando un tango con se stesso , abbracciandosi , accarezzandosi . Fu appunto Casoni a presentarmi Buscaglione , torinese come lui . Mi trovai davanti , una sera , mentre i « Gai » suonavano Apri la porta , Riccardo , un giovanotto magro , dagli occhi fiammeggianti e dai capelli ricadenti sulla fronte in un ciuffo vagamente hitleriano . Suonava il piano , la tromba , eventualmente la batteria . Cantava . Sapeva « arrangiare » . All ' occorrenza , se la sarebbe cavata anche in pista , come ballerino . Fu l ' incontro di una sera , anzi di mezz ' ora , fra due whisky di dubbia origine . Nel mio locale non c ' era posto per quel giovanotto che un giorno ( chi poteva immaginarlo ? ) avrebbe avuto milioni di fans . Nell ' autunno del 1956 , quando anche in Italia dilagò , improvvisamente , la moda del juke - box , i distributori di macchine automatiche e di dischi notarono che molte monete da 50 e da 100 lire finivano nei loro ordigni in virtù di una voce strana , rauca , aggressiva , completamente diversa dal cliché nazionale , sia pure aggiornato dai primi « urlatori » di successo . Quella voce , sospesa fra il canto e la recitazione , rivelò ai patiti della musica leggera un nuovo idolo : Fred Buscaglione . Che bambola ! , coi suoi cinguettii e il suo gergo da « bulleria » periferica , si piazzò subito ai primi posti , nella graduatoria dei successi attentamente vigilata dagli editori musicali e dai fabbricanti di dischi . Pochissimi conoscevano quel bizzarro cantante - attore , dalla voce rauca , viziata , ossessiva . Per via del nome , Fred , molti credettero che si trattasse di un italo - americano : come Mike Bongiorno o Joe Di Maggio . In realtà , quel Fred , non si sa come , anziché stare per Federico , stava per Ferdinando e in America , Buscaglione , nato a Torino nel 1921 , non era mai stato . Erano stati gli americani a raggiungerlo , nell ' autunno del 1943 , quand ' era soldato in Sardegna , e preferiva divertire i commilitoni cantando alle esercitazioni di tiro e al percorso di guerra . Furono i marines statunitensi , preceduti da scrosci di bombe e immancabilmente seguiti da orchestre e da casse di whisky , a ribattezzarlo Fred , a suggerirgli lo stile « duro » , a insegnargli a bere . Aveva frequentato , quattordicenne , i corsi di violino e di viola al conservatorio Giuseppe Verdi di Torino . Dopo un biennio di scrupolosa fedeltà al « classico » , nel 1937 si accorse che la sua vera passione era il jazz . Una passione alimentata dalle riviste cinematografiche americane , dagli arrangiamenti « sinfonici » di Paul Whiteman , dai ritmi scanditi da Fred Astaire , il ballerino dai piedi di acciaio . Dopo 1'8 settembre 1943 , mentre i tedeschi si ritiravano verso la Maddalena e Olbia , per trasferirsi in Corsica , Buscaglione conquistò gli americani . Qualche settimana prima , nel penultimo « quadro » di una rivistina organizzata dal comando di Divisione per distrarre la truppa , aveva cantato Vincere : sull ' attenti , serio , su sfondo nero , illuminato da un riflettore « gentilmente » prestato per l ' occasione dal Genio fotoelettricisti . Ma non se ne ricordava già più . Ora , finalmente , era venuto il momento del boogie - woogie ( ritmo pari a giro « chiuso » ) , di Gilda , di T ' ho incontrata a Napoli . Il torinese Buscaglione assimilò presto il nuovo stile . Ritirò in gola la voce . Alzò il sopracciglio . Accentuò la strafottenza del ciuffo . Ma nonostante ciò , il venticinquenne cantante non ebbe il suo boom . Continuò a essere uno dei tanti orchestrali « con voce » da locale notturno dietro i divi di quel tempo : Nilla Pizzi , Norma Bruni , Natalino Otto , Oscar Carboni , Narciso Parigi , eccetera . Bruno Quirinetta importatore della « raspa » messicana , dominava nelle notti dell ' élite nazionale . Ci vollero dieci anni , perché il nome di Buscaglione , la sua voce ingolata e le sue trovate mimiche diventassero popolari . Dieci anni , la televisione e i juke - box . Che bambola ! , Eri piccola , Ho il whisky facile , Guarda che luna , Che notte ! , Teresa non sparare . Una serie ininterrotta di successi . Fino all ' ultima canzone : I sette spiriti . Girerà nelle macchine a gettone quando l ' autore sarà soltanto un ricordo .
Il romanzo del «'91» ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
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L ' Officina Militare Pirotecnica , a Porta Mazzini , sulla strada di Imola , era , per quei tempi , uno stabilimento più che rispettabile . Vi lavoravano circa 2000 operai . Si pensi che nel 1876 un censimento economico aveva assodato che le maestranze impiegate nell ' industria vera e propria comprendevano in tutto 460 mila individui . L ' Ansaldo di Genova , per esempio , ne occupava dai 1500 ai 1600 nei momenti di punta . All ' Officina Militare di Bologna , i due terzi della mano d ' opera era femminile : addetta al dosaggio delle polveri e al caricamento delle cartucce . Direttore dello stabilimento era il generale Luigi Stampacchia , pugliese , tipico rappresentante della vecchia classe militare , generosamente baffuto , paternamente burbero . Ma il colonnello Garau , un sardo dagli occhi di fuliggine sotto sopracciglia folte e quasi sempre aggrottate , capo del reparto sperimentale , aveva tutt ' altro carattere . Oltracciò , come tutti gli ufficiali nati sotto la bandiera del regno sabaudo , non vedeva troppo di buon occhio i colleghi meridionali . La saldatura fra « piemontesi » e « borbonici » era , d ' altronde , assai fresca . Vincenzo Muricchio capì fin dal primo incontro che la convivenza col colonnello sarebbe stata spinosa . Non avendo simpatia per la vita d ' ufficio , espresse timidamente il desiderio di occupare la carica meno sedentaria dell ' officina . Il colonnello , dopo averlo fulminato da sotto le sopracciglia , gli troncò la parola : « Capitano ! Non l ' hanno mandato a Bologna per ballare il valzer . Non spetta a lei decidere dove stare e cosa fare . Favorisca raggiungere immediatamente l ' Ufficio Metalli , al quale l ' ho già destinata ! » . L ' Ufficio Metalli aveva il compito di calcolare e saggiare l ' efficienza di materiali impiegati nella confezione delle cartucce , in rapporto agli effetti balistici . Proprio in quei giorni , il personale che vi era addetto stava studiando un problema assai grave . Da qualche settimana , la sostituzione della polvere nera con un esplosivo antifumogeno era un fatto compiuto . Ma soltanto in teoria . Il posto dei due grammi di polvere , che costituivano la carica delle cartucce Weterly , era stato preso dalla « balistite » . Questa nuova sostanza eliminava completamente le vecchie , acri fumate : presentava , però , un inconveniente non meno preoccupante . La polvere nera ( che i soldati chiamavano « tabacco » ) era ben lontana dall ' avere la forza dirompente della balistite . Qualche imperfezione nei bossoli era stata , perciò , sempre tollerabile . Ma la pressione esercitata dallo scoppio delle nuove cariche sulla parete del bossolo era talmente violenta , da provocare incidenti sanguinosi , solo che l ' ottone fosse minimamente incrinato . Durante le prove al poligono di tiro , molte delle 10.000 cartucce adoperate avevano provocato l ' esplosione del fucile e cinque o sei soldati ci avevano rimesso le dita . Essendo assolutamente impossibile aumentare lo spessore dei bossoli , condizionati al calibro dell ' arma , non restava che scartare rigorosamente i bossoli incrinati . Visto oggi , il problema è di una semplicità addirittura infantile ; ma basta riportarsi al 1889 , per capire , una volta di più , quanta strada abbia fatto la tecnica , e con che vertiginosa velocità , in meno di settant ' anni . Per le operaie bolognesi addette alla confezione delle cartucce , individuare le incrinature capillari dell ' ottone era compito difficilissimo , quasi impossibile . Per quanto le disgraziate si consumassero gli occhi sui bossoli , senza peraltro rallentare il ritmo del lavoro , era talmente fioca e vaga la luce che scendeva dalle finestre polverose , protette da grate , scavate come feritoie nei muri spessi due metri , da togliere ogni garanzia al controllo più volenteroso . Né l ' aggiunta di luce artificiale poteva giovare granché . Escluse per ovvie ragioni le lampade a petrolio o a gas , furono appese sui banconi di caricamento alcune lampadine elettriche : modeste bolle di vetro , nelle quali i filamenti di carbone , simili a vermiciattoli incandescenti , emettevano un bagliore rossiccio e sbadiglioso . Curve attorno ai banconi di rozzo castagno , le operaie sgranavano gli occhi sui tubetti d ' ottone . Li scrutavano talmente da vicino , che le ciglia sfioravano il metallo . D ' altronde , correva voce che la Duplice stesse architettando un ' aggressione proditoria ai danni della Triplice . Il ministro della guerra , Bertolè Viale , era inquieto . Sollecitava , con lunghi dispacci cifrati , una maggior produzione di cartucce . Si era già raggiunta la « prodigiosa » sfornata di 500.000 pezzi al giorno . Troppi , per un lavoro tanto delicato . Fu allora che il capitano Vincenzo Muricchio , il quale non aveva affatto l ' aria di un topo da esperimenti , rivelò per la prima volta le sue migliori qualità ; le stesse che di lì a poco dovevano affrettare la nascita del «'91» . Il colonnello Garau non era tipo da prendere in considerazione le questioni sociali o da lasciarsene impietosire . Il suo motto , durante le agitazioni popolari , era quello del generale Bava - Beccaris : « Voi cantate i vostri inni , noi spariamo i nostri cannoni » . Per eliminare i bossoli difettosi ritenne buon sistema tempestare di multe le operaie . Molte di quelle disgraziate , pagate una lira al giorno , arrivavano ogni mattina in diligenza dai paesi vicini . Alcune si facevano , all ' alba , perfino sei o sette chilometri a piedi , e altrettanti la sera . A partire dal 1880 , specialmente in Emilia , erano sorti circoli , associazioni e cooperative di lavoratori . La parola di Costa , Lazzari , Bissolati e Turati alimentava un socialismo in cui si mescolavano l ' arditismo garibaldino , il cuore di De Amicis e la commozione civile di Pascoli . Era un socialismo molto lontano da Marx , ma più vicino alla natura degli italiani e alla riscossa del Risorgimento . Tutto sommato , controllava le masse assai meno dell ' attuale comunismo . Le autorità provinciali vivevano meno tranquille di quelle d ' oggi . Specialmente fra la Romagna e il Po . Le multe a catena del colonnello Garau stavano per creare pasticci nello stabilimento di Bologna , allorché il capitano Muricchio , rammentandosi degli specchi ustori ideati da Archimede a Siracusa , trovò il sistema di quintuplicare la luminosità delle lampade a filamento di carbone . Bastava avvitarle in una conchiglia foderata di metallo ben lucidato o addirittura di specchio . Nacquero così , in embrione , i primi « riflettori parabolici » usati dall ' Esercito . Puntati sui tavoloní dello stabilimento , permisero alle operaie di scartare la quasi totalità dei bossoli difettosi . In conseguenza di ciò , il colonnello Garau chiamò a rapporto il suo ingegnoso capitano e gli disse così : « Dovrei punirla per aver adoperato , nelle sue esperienze ottiche , materiale dello stato senza riempire l ' apposito modulo di richiesta e aspettarne l ' approvazione , debitamente vistata dalla sezione staccata di artiglieria . Ma in considerazione dell ' utilità dei suoi riflettori , mi limito a un rimprovero verbale semplice . Debbo tuttavia significarle la mia soddisfazione per il suo attaccamento all ' Officina . Vada pure » . E il capitano , battuti seccamente i tacchi , andò . Oggi , a distanza di quasi settant ' anni , rammenta benissimo quella giornata di marzo ; i tetti bolognesi ancora screziati di neve ; le operaie , dalle mani screpolate dal freddo , che ormai gli sorridevano , timidamente , come a un amico . Rammenta anche la vaga tristezza che le parole asciutte del colonnello gli avevano lasciato nell ' anima . Tanto che quella sera , anziché spassarsela allegramente coi colleghi più brillanti nei soliti locali di via Indipendenza , via Rizzoli e via Galliera , si ritirò presto nella stanzetta a pigione ( lire venti mensili compresa la lavatura della biancheria e il riscaldamento ) e si sprofondò nelle letture preferite . Testi e riviste di balistica , naturalmente ; e in modo speciale alcune pubblicazioni assai recenti che trattavano un argomento di appassionante attualità : i fucili militari a ripetizione di piccolo calibro . Quello , e non le lampade a riflettore , era l ' obiettivo da raggiungere ! Il Weterly , a parte il suo peso eccessivo ( kg. 4,100 ) e la mole ingombrante delle munizioni , non era un cattivo fucile . Creato nel 1870 , l ' esercito olandese lo adottò contemporaneamente al nostro . Nato come arma a retrocarica a un solo colpo , il capitano d ' artiglieria Vitali lo aveva modernizzato , qualche anno dopo , applicandovi un meccanismo a « ripetizione » . È vero che lo scontro di Dogali , nell'87 , avrebbe forse potuto risolversi in modo meno disastroso per la nostra truppa se ogni soldato avesse avuto con sé maggior numero di cartucce ; ma è altrettanto vero che contro i nostri 500 morti caddero ben 1800 seguaci di ras Alulà . Il Weterly era , dunque , assai preciso e munito di un ordigno di caricamento difficilmente inceppabile . La strage di Dogali non portò , comunque , a una seria revisione del nostro apparato militare . Gli strali dell ' opinione pubblica sfiorarono lo stato maggiore , allora capeggiato dal generale Enrico Cosenz , e andarono a piantarsi nella redingote di Francesco Crispi . Gli aedi nazionali si allearono con gli avversari del ministro siciliano . D ' Annunzio , che in seguito doveva diventare il « cantore » ufficiale di ogni impresa « d ' oltremare » , definì « bruti di Dogali » i soldati caduti attorno al tenente colonnello De Cristoforis . Carducci si rifiutò d ' inaugurare il monumento a quei valorosi , dichiarando che non avrebbe speso una parola per le « vittime di una spedizione inconsulta » . Nel maggio del 1890 , quando il collonnello Garau si recò a Roma , Vittorio Emanuele , ventunenne , assunse il suo primo comando di reggimento : il l ° fanteria , di stanza a Napoli . Il principe scriveva spesso al colonnello Osio , che era stato suo « governatore » , le sue impressioni di comandante . Leggendole oggi , si ha la sensazione di quanto il futuro re fosse amareggiato e deluso . Eccone una : « Mi rincresce di fare il terribile , mi secca di fare il cane , ma il giorno di Pasqua ho fatto una vera catastrofe , alla 12a Compagnia , dove una piccola inchiesta da me fatta fece risultare gravi irregolarità nell ' ordinare il servizio di picchetto armato : ho punito il furiere e cinque graduati ; inoltre ho inflitto il massimo di 45 giorni , come prima punizione , a un soldato avellinese , classe 1869 , che si era fatto esentare dal picchetto , imponendosi a due suoi compagni . Ho potuto far cogliere un ladro e consegnarlo al tribunale . Ho potuto mettere la mano su quattro ladri che infestavano la compagnia : a uno ho inflitto i 45 giorni a due i 15 di rigore e per uno convoco oggi la commissione di disciplina . Poco fa ho inflitto í 30 giorni ( 15 più 15 ) a un soldato che pagava un compagno per farsi sostituire di ' corvée ' , minacciandolo se non lo sostituiva . Il mio plotone allievi ufficiali ha raggiunto il numero di ben 104 allievi : fra breve saranno 103 , perché ne ho scacciato uno per aver rubato un libro a un compagno . Oggi un consiglio di disciplina reggimentale ha all ' unanimità deciso per la rimozione del tenente Baríola ( nipote del generale ) per grave mancanza contro l ' onore : mi sono dovuto decidere a fare questa esecuzione : è il secondo ufficiale che liquido dal principio dell ' anno e temo che testé un paio d ' altri saranno per avere la stessa fine » . Ed ecco un ' altra lettera del colonnello Vittorio Emanuele allo stesso Osio , ancora più significativa : « Oggi ho visto a San Potito i lavori che il Genio sta facendo . Un mese fa mi fu riferito che nella volta del camerone occupato dalla 1a Compagnia si erano formate delle lesioni . Andai subito a vedere e non essendo rassicurato da quanto vidi , mandai subito a chiamare il capitano del Genio ( ora l ' hanno fatto maggiore ) che aveva i quartieri dalla parte superiore della città . Questo egregio signore vide e pronunciò essere lesioni limitate al solo intonaco . Non essendo ancora tranquillo per la pelle dei miei soldati , feci chiamare il colonnello del Genio che verificò esservi forse qualche pericolo . Non ancora contento , parlai della cosa al generale Corvetto , che , quando ero a Persano , fece visitare il fabbricato al generale De Benedictis ; a farla breve , la volta fu dichiarata in pericolo imminente ; furono fatte sgombrare e mandate in Castel dell ' Ovo due mie compagnie ; e tolto l ' intonaco , si scoprirono numerose e profonde lesioni . Incredibile ma vero ! » . Esistono , nel carteggio fra il principe e Osio , altre annotazioni e osservazioni , dalle quali risulta in modo trasparente che Vittorio , nel biennio '90-92 , si accorse , per diretta esperienza , quanto fosse lontano il suo esercito da quello ideale che aveva sognato , giovinetto , leggendo i classici greci e romani . Gli ufficiali carichi di debiti , ricattati dagli strozzini , impegolati con gente di malaffare , ivi compresi i « camorristi » , erano una quantità . Le soperchierie dei sottufficiali furieri , all ' ordine del giorno . La tranquilla , oleografica ignoranza di molti ufficiali d ' alto grado , una piaga profonda . Il colonnello Garau , preannunciato da un dispaccio protocollato « segretissimo » , non fece anticamera . Fu subito ammesso alla presenza del ministro Bertolè Viale , il quale , per la circostanza , aveva convocato il capo di S . M . Cosenz e il tenente generale Cesare Ricotti Magnani , una delle colonne dell ' Esercito , futuro ministro . Il colonnello esibì il materiale che si era portato da Bologna e illustrò ai tre generali i meriti del nuovo calibro 7 , nonché i vantaggi presentati dalle pallottole incamiciate di acciaio . Fece la sua relazione mantenendo una secca posizione di attenti , a fronte alta , con militare sobrietà . I tre generali , sul cui petto spiccavano le decorazioni guadagnate nelle battaglie per l ' unità patria , esaminarono piuttosto freddamente fucili , proiettili , bersagli e pallottole . Le pupille acute del generale Cosenz , che nel '60 aveva risalito l ' Italia meridionale assieme a Garibaldi e Bixío , lampeggiavano dietro gli occhiali cerchiati di semplice metallo bianco . Ricotti , reduce di Crimea , si pizzicava , di tanto in tanto , la punta dei baffetti brizzolati . Alla fine , i tre si appartarono in fondo al salone barocco , parlamentarono una decina di minuti , quindi pronunciarono il loro responso per bocca del ministro : « Caro colonnello , mi compiaccio per quanto è riuscito a portarci . Siamo sulla buona strada . Ma la faccenda dei proiettili rivestiti d ' acciaio , purtroppo non va bene . C ' è di mezzo quella benedetta Convenzione di Ginevra ! Non è mica più come al nostro bel tempo , che la guerra si faceva come si voleva e , perbacco ! , si vinceva come si poteva ! Ora c ' è Ginevra : una città che ha un nome da vivandiera . A Ginevra hanno stabilito , tutti d ' accordo , che non si possono usare pallottole di ferro o d ' acciaio , perché possono arrugginire e infettare le ferite . Figuriamoci ! Infettare ! Noi , che ai nostri giorni ci medicavamo le ferite con la saliva ! Ma lasciamo andare ... Perciò , il suo fucile è una bella cosa , ma le pallottole non vanno . Bisogna trovare qualche altra diavoleria , per accontentare madama Ginevra . Torni a Bologna e ci tenga informati . Ciarea » . Altro che promozione a generale ! Il colonnello Garau prese il primo diretto per Bologna , non senza aver appioppato alcuni giorni di rigore ai militari del suo seguito . Durante il viaggio , preparò accuratamente il « cicchetto » da somministrare a Muricchio e agli altri dell ' Ufficio Metalli ; colpevoli di non avergli ricordato la Convenzione di Ginevra , stramaledetta invenzione di vecchie zitelle ! Come se in guerra , dove ci si ammazza più che si può , le infezioni fossero una preoccupazione seria ! Roba da matti ! Nel '93 , quando Menelik II denunciò il patto di Uccialli , il primo «'91» non era ancora stato consegnato all ' esercito . Nel 1894 apparvero sull ' « Illustrazione Italiana » le prime immagini « ufficiali » del nuovo fucile , assieme alla notizia che in certe vetrine di armaioli , a Milano e Bologna , erano apparsi dei fucili dello stesso calibro e modello , adattati per la caccia al camoscio e allo stambecco . Dopo aver accusato un po ' tutti di « tradimento » e « spionaggio » ( reati allora di moda ) , si scoprì che alcuni fucili e moschetti non perfettamente riusciti , e che pertanto l ' armeria di Terni avrebbe dovuto immediatamente distruggere a colpi dí maglio , erano stati « intrallazzati » da un capo tecnico , il quale se li era portati a casa , li aveva trasformati e ceduti a un armaiolo . Il capo tecnico , avente a carico moglie , madre , suocera e cinque figli , il tutto con una paga giornaliera di circa tre lire , chiese perdono in ginocchio , ma finì in prigione per un numero d ' anni superiore a quello dei fucili sottratti . L ' anno seguente , 1895 , il 7 dicembre , Menelik II ( che cinque anni prima aveva coniato monete con la testa di re Umberto ) mandò una colonna di 20.000 uomini a liquidare i 2500 soldati che , agli ordini del maggiore Toselli , occupavano l ' Amba Alagi , sulla frontiera dello Scioa . Gli abissini , provenienti dalle montagne dell ' Amara , erano scalzi ma muniti di quegli ottimi fucili Weterly che il negus aveva ottenuto col trattato di Uccialli ; i nostri , a parte qualche centinaio di «'91» ricevuti , con contagocce , dalla madre patria , erano anch ' essi armati di Weterly , ma non così in buono stato come quelli del nemico . Dopo una mischia furibonda , uno contro dieci , tutti í nostri uomini caddero sul campo , nessuno escluso , dal comandante all ' ultimo conducente di muli . I feriti vennero passati a fil di spada . Fu certamente il più fosco Natale della nostra storia . Il generale Baratieri , che in seguito alle sue modeste vittorie contro i Dervisci e ras Mangascià era considerato come un misto di Scipione e Alessandro Magno , diventò bersaglio di attacchi giornalistici , vignette umoristiche e sberleffi popolari . Restò tuttavia in Africa , poiché il suo vecchio amico Crispi , divenuto presidente del Consiglio nonostante la Banca Romana , ne difese caldamente la posizione . Il 7 gennaio 1896 , al Barattieri che gli chiedeva uomini , migliaia di fucili «'91» e un forte quantitativo di munizioni , Críspi inviò il seguente telegramma : « Il Paese aspetta da te una vittoria risolutiva . Quanto alle tue richieste , Mocenni ( ministro della Guerra ) mi fa notare che un invio di nuove truppe sarebbe non soltanto inutile ma dannoso , poiché non avremmo da armarle e approvvigionarle convenientemente . Ti abbraccio Francesco » . Era un po ' poco . Infatti , qualche settimana dopo , ai primissimi di marzo , una valanga urlante di abissini , che già ci avevano tolta Macallè , si abbatté sulle nostre truppe nella conca di Adua , capitale del conteso Tigrè . Non fu , come molti credono , un ' unica battaglia campale durata alcuni giorni : fu un carosello di scontri e mischie feroci combattute , fra imboscate e sorprese tattiche , nell ' altopiano attorno al Monte Sullotà . I guerrieri di Menelik , dopo aver accorciate le distanze con una nutrita massa di fuoco , attaccarono in ogni luogo all ' arma bianca , col pugnale e la scimitarra . Il più grave , fu che il nostro schieramento non era affatto difensivo , ma in formazione d ' avanzata : poiché i tre comandanti in sottordine del corpo di spedizione Arimondi , Dabormida e Albertone avevano ricevuto dal comandante in capo , Baratieri , l ' improvviso ordine di marciare sul grosso degli abissini , ciascuno a capo di una colonna . L ' ordine scritto era accompagnato da un foglietto a quadretti , su cui il generale aveva schizzato a matita , un piano molto sommario dell ' operazione . Quell ' attacco non aveva , a conti fatti , alcuna giustificazione strategica ; ma il Baratieri temeva di essere sostituito dal collega Baldissera , arrivato dall ' Italia invece delle armi richieste , e perciò aveva fretta di brillare . La colonna Albertone , investita per prima , sulla sinistra , tentò di ripiegare al centro , dove travolse la colonna Arimondi mentre si stava attestando su posizioni di resistenza . La colonna Dabormida , sulla destra , non sapendo dove esattamente si trovassero gli altri nostri reparti , si mosse a casaccio , perse l ' orientamento , sbagliò strada , s ' isolò completamente e venne sopraffatta . La mattina del 5 marzo 1896 , giunse a Roma il rapporto di Baratieri e Baldissera ( « Non ti fidar di quella gente nera ! » cantavano i contadini e gli operai lavorando ) sull ' esito della battaglia . Rapporto spaventoso , nonostante le prime cifre fossero alquanto ammaestrate : 10.000 soldati uccisi , feriti o prigionieri , sui 17.000 che avevano combattuto ; 200 ufficiali , compreso il Dabormida , rimasti sul campo di battaglia . Tutte le artiglierie e il 90% delle armi individuali e delle munizioni , rimasti in mano nemica . Baratieri , rimosso dal comando , si ebbe , volta a volta , per diversi anni , le seguenti qualifiche : imbelle , imbecille , tardo , fellone , inetto , rammollito e traditore . Baldissera , che lo sostituì , ebbe l ' incarico dal ministro Di Rudinì , successore di Crispi , di sganciarsi ripiegando cautamente . Strada facendo , Adigrat e Cassala furono liberate dall ' assedio . Nell ' ottobre del '96 , la pace fu firmata . A Menelik fu riconosciuta « un ' indipendenza assoluta e senza riserve » , più la sovranità del Tigrè , più 10 milioni a titolo d ' indennizzo . Nei mesi che seguirono , le statistiche ministeriali segnalarono che la fabbricazione del «'91» aveva acquistato , finalmente , un ritmo encomiabile . Il tenente generale Tancredi Saletta , capo di stato maggiore , ne prese atto con viva soddisfazione . Se mai il «'91» , nato nell ' Officina Pirotecnica di Bologna dalle intuizioni del capitano Muricchío e dal lavoro paziente di tanti tecnici , fu protagonista assoluto di una pagina militare , ciò avvenne proprio fra l ' estate del 1916 e quella del 1917 : quando lo stato maggiore , capeggiato da Luigi Cadorna , si ostinò a spezzare con battaglie frontali , assalti all ' arma bianca continui e tentativi di sfondamento diretto , la resistenza di un nemico arroccato su posizioni di resistenza formidabili , annidato dietro il ventaglio micidiale delle mitragliatrici e i grovigli spinosi dei reticolati . A distanza di quarant ' anni , riesaminando le testimonianze più obiettive del primo conflitto mondiale , si resta ancora sgomenti , immaginando quelle onde brulicanti di uomini « oscuri » infrangersi invano contro le difese nemiche , al grido disperato dei loro motti guerreschi . Gli alpini del « Susa » che cadevano a plotoni quasi affiancati sull ' Ortigara , gridando « A brusa , souta ' l Susa ! » ; quelli dell ' « Ivrea » , che scattavano alla baionetta urlando il loro « Tuic un ! » , tutti per uno . Coloro che riferendosi alla rotta di Caporetto , nell ' autunno del '17 , emettono giudizi avventati sull ' efficienza media del soldato italiano , ignorano o dimenticano che soltanto nella stolta battaglia della Bainsizza perdemmo 150.000 uomini , con impressionante percentuale di caduti . E a giudicare severamente il generale Cadorna basterebbe il comunicato diramato dal Comando Supremo il 28 ottobre 1917 , per annunciare il rovescio di Caporetto : « La mancata resistenza dei reparti della seconda Armata , vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico , ha permesso alle forze austrogermaniche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte Giulia » . Così , mentre nelle retrovie sconvolte i «'91» erano adoperati per fucilare sul posto i retrocedenti della seconda Armata , si cercava , come primo provvedimento , di addossare ogni responsabilità del disastro alla « viltà » degli uomini « oscuri » che per mesi e mesi erano stati gettati , come cose , nella fornace di ostinate e stupide battaglie frontali . A Caporetto , perdemmo circa 400.000 uomini , centinaia di migliaia di armi individuali , centinaia di batterie d ' artiglieria leggera e pesante , innumerevoli depositi di materiali d ' ogni genere . Nonostante la maggioranza dei nostri soldati in rotta avesse conservato le armi ( come , a distanza di 23 anni , avvenne in Albania , in Africa e perfino nel calvario del fronte russo ) , la strada di Caporetto , fra colonne di profughi sconvolti , civili e villaggi abbandonati , apparve tristemente disseminata di fucili , affusti , carriaggi , munizioni . Ai posti di blocco , i soldati inermi venivano molto spesso sottoposti alla decimazione . I « vili » dell ' ottobre '17 dimostrarono di essere tutt ' altro che tali nel giugno del 1918 , allorché gli austriaci , sia pure stremati , trovarono inflessibile resistenza ai loro violenti attacchi su tutto il nuovo fronte , dagli Altipiani al mare , sul Grappa e sul Piave . Ma Vittorio Veneto , nonostante l ' ebbrezza della vittoria , non riuscì a chiudere la piaga che quattro anni di una guerra mal diretta da generali in polemica fra loro e minata alle spalle da esibizionismi politici avevano aperta nel popolo italiano . Un solco profondo divideva le masse deluse e insoddisfatte e una classe dirigente che nascondeva sotto astratti schemi politici la sua mancanza d ' idee e di convinzioni . Gli uomini « oscuri » che Cadorna aveva additati al disprezzo degli italiani nell ' autunno del '17 tornarono a casa con una polizza da 1000 lire e un vestituccio blu di cattiva stoffa elargito dallo stato . Erano in stragrande maggioranza contadini , poiché la gran massa degli operai siderurgici era stata esonerata e , sia pure nelle strettoie della militarizzazione , era rimasta nelle officine . I giovani ufficiali di complemento , alcuni dei quali erano partiti per la guerra imberbi e ne ritornavano maturi ma senza precise capacità professionali , sprofondavano nell ' abbandono morale . Tutti contro tutti , per un vago ma profondo senso di rancore . Non rientra nei limiti di questa storia l ' analisi del « fenomeno » fascista . Ma c ' interessa l ' apparizione delle armi in dotazione all ' esercito fra le mani degli squadristi , in camicia nera , che parteciparono alle spedizioni punitive dell ' immediato dopoguerra e nell ' ottobre del 1922 presero parte , nel numero di oltre 30.000 , alla marcia su Roma . L ' armamento dei seguaci di Mussolini era , per lo più , quello degli « arditi » di guerra , le « fiamme nere » costituite per operazioni d ' assalto : bombe « sipe » a forma di pigna , pugnali da tenere « fra i denti » , rivoltelle Glisenti o Mauser , con fodero di legno , trovate nei magazzini austriaci o addosso agli ufficiali nemici fatti prigionieri . Ma basta avere sott ' occhio la testimonianza fotografica delle « spedizioni punitive » e della « marcia » finale , per constatare che numerosi squadristi erano armati con fucili e moschetti «'91» . Non vi è dubbio che molti di essi furono « passati » , sotto mano , alle camicie nere da ufficiali che simpatizzavano col movimento mussoliniano . Non esistono a tutt ' oggi prove concrete che nel 1921-22 le autorità militari , facenti capo al ministero della Guerra , abbiano ufficialmente favorito gli squadristi rifornendo di armi . Sappiamo soltanto che alcuni comandanti di reparto « lasciarono socchiusi » i magazzini e le armerie , assumendosi personalmente il rischio ( del resto assai limitato ) di tale operato . Sappiamo che a Firenze , il colonnello comandante l'84a Fanteria , con caserma in corso Tintori , concesse agli squadristi locali alcuni camion «18 BL » in sovrannumero e un certo quantitativo di «'91» con le relative munizioni ; sappiamo che diversi fucili , un paio di mitragliatrici « Saint - Etienne » e un certo numero di bombe uscirono di notte tempo da una caserma di Cremona , comandata da un colonnello legato da vecchia amicizia con Roberto Farinacci ; una quantità abbastanza rilevante di armi , rivoltelle e fucili , fu consegnata ai fascisti da singoli ufficiali , anche di Marina , alla Spezia , a Napoli , ad Ancona : ma specialmente a Foggia e a Bari , dove le « spedizioni » per annientare le « leghe » dei braccianti della Capitanata erano più frequenti che altrove . A Bologna , un maggiore dei bersaglieri fece avere un quantitativo abbastanza modesto di armi ai giovanotti col teschio cucito sul petto che obbedivano a Leandro Arpinati e Arconovaldo Bonaccorsi . Ma è doveroso dire che nel 1921 , sotto la presidenza del Consiglio dell ' onorevole Bonomi , fu aperta un ' inchiesta a carico degli ufficiali delle Forze Armate che avevano procurato armi alle camicie nere . Non bisogna del resto dimenticare che almeno quattro generali facevano parte , fin dalla così detta « vigilia » , delle formazioni fasciste : De Bono , Fara , Ceccherini e Zamboni , i quali parteciparono regolarmente alla « marcia » del 28 ottobre ; e che altri generali e ufficiali superiori , benché più cautamente , avevano aderito al fascismo fin dalle sue prime avvisaglie . A Mussolini e ai suoi « quadrumviri » non mancavano certo autorevoli intermediari presso i magazzini militari . Ma non furono certo i «'91» , le bombe e le mitragliatrici che aprirono la strada della capitale agli squadristi per i quali Oscar Uccelli , più tardi prefetto , preparò una base logistica a Perugia . L ' Appia , la Salaria , l ' Aurelia , la Flaminia , le Ferrovie dello Stato , furono facile cammino per coloro che parevano la salvezza giovanile , entusiasta e disinteressata di un mondo stanco e confuso . In Etiopia , dall ' ottobre del 1935 al maggio del '36 , fra truppe di primo impiego , complementi e riserve , combatterono circa 250.000 uomini . Il «'91» di Adua , di Tripoli , della Bainsizza e del Píave , nato nella Bologna di Carducci , costruito a Terni e nelle armerie ausiliarie del Garda , nelle due taglie di fucile e moschetto , fu l ' arma degli uomini incorporati nella « Tevere » , nella « Gavinana » , nella « Peloritana » , nella « XIII Marzo » ; dei genieri partiti dai centri di mobilitazione di Firenze , Bologna , Roma , Santa Maria Capua Vetere , Piacenza ; degli alpini , dei carristi , dei « dubat » . Quanto alle armi di reparto e di copertura , affluirono a Massaua e Mogadiscio in numero assai considerevole : 5700 mitragliatrici , 155 batterie d ' artiglieria e 145 carri armati , fra i quali molti veloci , del tipo «C.L.», « Carden Loyd » . In quanto tempo aveva calcolato di concludere la sua impresa imperiale , Mussolini ? Essendosi autonominato nel luglio del 1933 ministro della Guerra , la cosa lo riguardava doppiamente . Suo capo di stato maggiore era un generale designato d ' Armata , che spesso aveva cantato Giovinezza di fronte alle truppe inquadrate e che un giorno aveva presentato al « duce » la « rispettosa e unanime domanda degli ufficiali in s.p.e. » di ottenere l ' onore della tessera fascista . Mussolini lo aveva ascoltato con espressione austera , poi , come soffocando un ' onda di commozione , aveva risposto : « Fate sapere agli ufficiali , superiori e subalterni , che sono fiero di loro . Il fascismo è fiero di accogliere , all ' ombra delle insegne legionarie , i quadri dell ' Esercito » . Aveva taciuto un momento , quindi si era alzato , aveva fatto il giro della scrivania e , dopo un abbraccio virile , più che altro un brusco urto spalla contro spalla , aveva concluso : « Quanto a voi , camerata Baistrocchi , siete degno di quest ' ora solenne » . Con la collaborazione entusiasta di Baistrocchi , e quella alquanto più cauta del sottosegretario Pariani , di Graziani , Badoglio e De Bono , fu stabilito il piano d ' operazioni in Etiopia . Attacco massiccio e violento nel settore eritreo , perno di resistenza , con manovre di disturbo e puntate di alleggerimento sul fronte somalo . Il tutto doveva concludersi in un massimo di otto mesi , per non incappare nella stagione delle piogge . Ma Mussolini , che amava le coincidenze storiche , aveva già fermamente stabilito che la proclamazione dell ' Impero avvenisse il 21 aprile , natale di Roma . Invece , gli fu possibile annunciare al mondo il grande evento soltanto il 9 maggio : e di quei 18 giorni di ritardo non perdonò mai il vecchio , disgraziato De Bono , nonostante lo avesse nominato maresciallo d ' Italia per meriti eccezionali , dopo avergli tolto il comando delle truppe eritree , nel novembre '35 , e aver messo al suo posto Badoglio . In realtà , dopo le prime , incontrastate operazioni , la facile occupazione di Adigrat , Axum , Adua e Macallè , non dissimilmente da quanto era accaduto quarant ' anni prima a Baratieri nello stesso teatro di guerra , i due ras più avveduti dell ' armata etiopica attaccarono con circa 80.000 uomini il nostro schieramento offensivo , costringendoci a un frettoloso ripiegamento su Axum e minacciando di accerchiare i reparti dislocati attorno a Macallè . Il povero De Bono , tormentato dalle fitte dell ' artrite ( lui le chiamava « le mie camolette » ) , già sfiduciato riguardo l ' andamento fascista , non aveva previsto tutto ciò e non aveva quindi predisposto una precisa linea di arroccamento . Il vecchio generale d ' Armata lasciò l ' Eritrea , fu promosso ma da quel momento messo praticamente in disparte . Sul fronte somalo , Graziani riuscì a rintuzzare un attacco in forze di ras Destà e lo inseguì fino a Neghelli , sottoponendo le truppe alla fatica di due marce forzate , per concludere l ' operazione prima che Badoglio , nel suo settore , ottenesse i primi successi . Fu in febbraio che le forze eritree , con le due battaglie decisive del Tembien , riuscirono a mettere in rotta le forze di ras Cassa e ad aprirsi la strada verso Addis Abeba . Ma furono necessari poderosi interventi d ' aviazione e , spiace ricordarlo , l ' uso degli aggressivi chimici . Il 9 maggio 1936 , in un tardo e piovoso pomeriggio , Mussolini annunciò al balcone di Palazzo Venezia , che í « Sette colli di Roma » tornavano ad essere illuminati , dopo 19 secoli , dalla gloria imperiale . Allo stesso modo che nel 1911 , al principio della campagna di Libia , Elvira Donnarumma aveva lanciato Tripoli sarà italiana , la soubrette Nikuzza , accompagnata dalla chitarra di Mario Latilla , padre di Gino , rese popolare Faccetta nera . Nelle vetrine dei profumieri apparve il « Tabacco d ' Harar » . Il tè , sottoposto a sanzioni , fu sostituito dal « karkadè » , coltivato sull ' altopiano abissino . Si cominciò a chiedere , sotto banco , il « caffè di caffè » . La campagna d ' Etiopia costò complessivamente allo stato dai 600 agli 800 miliardi in valuta attuale . Servì a rinverdire la fiducia dell ' uomo della strada nel fascismo ; ma rivelò agli esperti di cose militari , come Vincenzo Muricchio , che la potenza delle nostre armi , dopo 14 anni di fascismo , era aumentata in senso scenico , ma non sostanziale . Sotto le squadriglie da caccia e da bombardamento , valorizzate dalle imprese di De Pinedo , Balbo , Valle e Maddalena , le fanterie non erano cambiate . Gli « spallacci » adottati nell'11 segavano ancora le collottole come guinzagli . Anche se la giacca aveva perso il soffocante colletto chiuso , le fasce gambiere restavano , inutili , a far prudere i polpacci . E nessuno ancora pensava che il vecchio «'91» fosse ormai inadeguato ai propositi di aggressione e di « guerra lampo » che il « regime » , non pago dell ' avventura etiopica , andava maturando e minacciando . La seconda guerra mondiale dimostrò , infatti , che i singoli soldati , nella cornice della retorica imperiale , erano rimasti gli stessi di trent ' anni prima , con un po ' meno voglia di morire . Il 12 settembre 1943 , quattro giorni dopo l ' illusorio armistizio annunciato da Badoglio , la Divisione « Puglie » costituita dal 71° e 72° reggimento fanteria , motto : « Ad summum » , alle sommità , mostrine bianche e verdi , si trovava dislocata nel Kossovo , regione a nordest dell ' Albania , e dell ' Albania divenuta provincia dopo il crollo della Jugoslavia , il 18 aprile 1941 . La Divisione , che durante la campagna di Grecia si era valorosamente battuta nel settore di Clisura , partecipando all ' epica difesa di « quota 731» , accettò compatta l ' ordine di Badoglio , legittimato dal giuramento al re e alla bandiera . I diecimila uomini della grossa unità erano fermamente disposti a combattere contro i tedeschi , qualora l ' ex - alleato avesse assunto un atteggiamento provocatorio . Il grosso della « Puglie » era a Prizren , capitale del Kossovo . Nei quattro giorni che seguirono il messaggio di Badoglio , nell ' ostinata calma dell ' ultima estate , compagnie e battaglioni si prepararono a fronteggiare un eventuale attacco germanico . Si parlava di una divisione corazzata « Goering » , a riposo sui confini della vicina Bulgaria , pronta a marciare contro gli italiani . In vista di tale possibilità , furono approntate postazioni per mitragliatrici , mortai e cannoni anti - carro alla periferia orientale della città , dove era possibile dominare d ' infilata il lungo e polveroso stradale candido e deserto , dal quale i tedeschi avrebbero dovuto per forza arrivare . Ma la mattina del giorno 14 giunse l ' ordine , dai superiori comandi di Corpo d ' Armata e di Armata , di cessare ogni preparativo di difesa ed offesa , poiché i tedeschi avevano dichiarato di rispettare l ' armistizio e di non volere in alcun modo ostacolare un eventuale rimpatrio dei reparti italiani . Anzi , per dimostrare la loro perfetta buonafede , le truppe germaniche in Albania erano disposte a consegnare provvisoriamente le armi ai nostri comandi , mentre noi avremmo fatto altrettanto . Dopo le trattative , ognuno avrebbe ripreso le sue e tutto si sarebbe svolto nel reciproco rispetto . Nel pomeriggio , si vide un velo di polvere alzarsi dal rettilineo proveniente dal confine bulgaro , Non erano i carri della « Goering » : si trattava di una modesta camionetta color canarino , sulla quale si trovavano un maresciallo della Wehrmacht , un sergente e due soldati semplici . Nonostante l ' atteggiamento fermo e l ' aria baldanzosa , si vedeva che i quattro , sotto sotto , erano piuttosto preoccupati . Si passavano la lingua sulle labbra e si scambiavano occhiate furtive . Erano i quattro incaricati di assistere al disarmo « provvisorio » della Divisione . Il che avvenne , sotto una pioggia leggerissima e uggiosa , la mattina presto del giorno dopo , 15 settembre . Tutti gli effettivi della « Puglie » , fanti , genieri , artiglieri , militari di sussistenza e di sanità , sfilarono ( per la prima volta cinque per cinque , secondo il sistema tedesco ) di fronte a un tavolino piazzato nel centro di un vastissimo e brullo spiazzo . Dietro al tavolino , il maresciallo germanico , assistito dai suoi commilitoni , consultava i quaderni di carico e scarico relativi alle armi e alle munizioni . Plotone dopo plotone , compagnia dopo compagnia , i soldati abbandonavano , su diversi mucchi , i loro «'91» , le baionette , i pacchi rosa di munizioni , le giberne e gli spallacci . Lontano , alle spalle del maresciallo , che si era messo occhiali cerchiati di acciaio , i monti erano fantasmi color bistro , sfumati nei vapori del maltempo . Un enorme silenzio pesava sotto il fruscio lieve della pioggia . Qualche ragazzo serbo , fermo agli estremi confini dello spiazzo , osservava la scena . Accatastati sulla fanghiglia gialla , i «'91» nereggiavano come vecchi rottami . Ancora i soldati non lo sapevano : ma intuivano che quello era il primo passo verso due anni di doloroso e umiliante internamento in Germania . E capirono che ciò li aspettava , dopo tanti sacrifici e tanti rischi affrontati , allorché un « anziano » del '12 , uno degli ultimi della lunghissima processione , al momento di consegnare il fucile , ci ripensò e fece l ' atto di allontanarsi tenendoselo . Il maresciallo si alzò , gli corse dietro , lo afferrò per una spalla berciando invettive incomprensibili e gli abbozzò un ceffone . Lo abbozzò soltanto : perché subito si guardò attorno e rise sgangheratamente , fingendo di aver scherzato . Anche quelli della « Puglie » arrivarono ai campi di concentramento tedeschi dopo sette giorni e sette notti di spaventoso viaggio in carri bestiame , attraverso l ' Ungheria , la Carinzia , l ' Austria , la Baviera e la Prussia occidentale . Quanto ai «'91» abbandonati sul fango di Prizren , i tedeschi li utilizzarono per armare le bande montanare arruolate nel Dibrano con la promessa di « carta bianca » nel saccheggio . Ma molti di quei fucili passarono , dopo qualche settimana , nelle mani dei soldati italiani , rimasti alla macchia in Jugoslavia e Montenegro , che attraverso stenti infiniti , fame freddo e malattie , andarono a ingrossare i reparti partigiani comandati da Giuseppe Broz , non ancora conosciuto come « maresciallo Tito » . Furono quelli , oggi raramente ricordati , i primi italiani che fra la deportazione e il collaborazionismo scelsero la lotta contro il nazismo . Primi , con gli sventurati soldati della « Acqui » a Cefalonia , passati per le armi senza misericordia dai tedeschi , che invece ancora rispettavano e onoravano i « pezzi grossi » , soli veri responsabili del nostro crollo disastroso . Primi , accanto ai marinai del Dodecanneso , agli allievi dell ' Accademia Navale , portati in massa da Venezia a Brindisi dal loro intrepido comandante , ammiraglio Bacci di Capaci . Per quasi due anni , sino al maggio del 1945 , le formazioni partigiane e i reparti ricostituiti dagli Alleati nel Corpo Volontario di Liberazione , si batterono contro i tedeschi e gli italiani , spesso addirittura adolescenti , che a fianco dei tedeschi continuavano a combattere . I «'91» , moschetti e fucili , che i partigiani si erano procurati dai reparti dell ' esercito discioltisi dopo 1'8 settembre o con colpi di mano contro caserme e depositi , incontrarono sui monti della Lombardia , del Piemonte , della Toscana , del Veneto , dell ' Emilia , dell ' Umbria , i «'91» che i giovani soldati di Salò , inquadrati e addestrati parte nell ' Italia settentrionale parte in Germania , avevano ricevuto dai tedeschi . Lunghi mesi di inevitabile guerra civile perfezionarono la rovinosa conclusione di una guerra mal preparata , stoltamente dichiarata , diretta con ineffabile imperizia . Ma era già cominciata la stagione dei « mitra » : quelli che nell ' ultimo anno di guerra , i soldati avevano soltanto intravisto , e molto di rado , sulla spalla di qualche ufficiale della « Milizia M.M. » , i così detti « lupi di Galbiati » . Mitra dalla sovracanna bucherellata , mitra tedeschi corti da tenere sospesi sul ventre , mitra americani e inglesi paracadutati sulle Alpi e sugli Appennini . E col mitra , venne in uso corrente un ' espressione dura , cinica , agghiacciante : « far fuori » . L ' Italia del «'91» , coi suoi errori , le sue glorie , le sue illusioni , le sue ingenuità , i suoi impettiti luoghi comuni , era per sempre finita .
Diario romano. 1 ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Sono le tre e mezzo . Il cielo di maggio , sul gomito lucente di via Veneto , accenna vagamente a schiarire . Cinque macchine , due delle quali americane , stanno allineate davanti al Giardino d ' Europa , dove concludono la notte i frequentatori abituali dei night - clubs situati nei paraggi : Jicky Club , Pipistrello , Club 84 , Kit Kat . Sprofondata nei cuscini di cuoio marrone di una Dodge decappottabile , una ragazza bionda , dalla bocca larghissima , tempestata di lentiggini grosse come coriandoli , un fazzoletto di crespo nero stretto attorno al collo , singhiozza dolcemente . Accanto a lei , scamiciato , un giovanotto bruno , dalle braccia pelose , fuma con aria di estrema noia . I suoi occhi nerissimi , lucenti come scarafaggi , scappano , ogni tanto , verso due bellissime negre sedute al fresco . Nell ' interno del locale , dove si possono acquistare orchidee , tuberose e garofani da offrire alle signore , altri negri , giovanotti e ragazze , ascoltano i dischi di una macchina a gettoni . Sono serissimi , quasi estatici . Soltanto le spalle , con sussulti lievi come brividi , accompagnano il ritmo della musica . Nella sala interna , abbandonati su sofà verdi , sotto dipinti pretenziosi e insignificanti , alcuni giovani intellettuali , prevalentemente di sinistra , mangiucchiano polpette e patate fritte , ragionando di letteratura e di teatro . Si esprimono nel gergo , ormai vuoto e stantio , ch ' ebbe fortuna venticinque anni fa : quando Giuseppe Bottai , per distinguersi da Ricci e da Starace , covava le uova culturali di un vago antifascismo . « Appoggiarsi al contenuto , esclusivamente come tale » , predica un trentenne dal ciuffo aggressivo , « è un ricatto . Il contenuto , ridotto all ' informazione , ristretto alle esperienze di un ' umanità troppo compiaciuta della propria condizione , è la negazione della poesia . La poesia non può limitarsi al contenuto . La poesia è l ' alone del contenuto . Siamo matti ! Leggete le poesie di Penna , per favore . Che , Penna è contenuto ? Penna è l ' alone del suo contenuto umano , ragazzi ! » . « E Saba ? » , azzarda timidamente un tipo macilento , d ' età indefinibile , il cui viso è divorato per metà dagli occhiali scuri . Il predicatore dal ciuffo ribelle resta un momento perplesso . Butta giù un sorso di birra , poi , solennemente , dice : « Saba , in un certo senso , è il contenuto dell ' alone . Non so se mi spiego ... » . Fuori è già chiaro . Le due negre , immobili , con le lunghe gambe accavallate , guardano il cielo . Nella Dodge decappottabile , la ragazza lentigginosa continua a singhiozzare nel dormiveglia . Il giovanotto bruno , al suo fianco , dorme profondamente , con la bocca socchiusa . Basta uno sguardo , per capire con che sforzi cerchi di somigliare a Maurizio Arena , bello cinematografico di moda . Due ore fa , prima che sul palcoscenico dei « quartieri alti » restassero soltanto le squallide comparse e le controfigure anonime , il vero Maurizio Arena , l ' ex - muratore Di Lorenzo , era con me , nell ' angolo più nascosto del Club 84 , a cento metri da via Veneto . Guardavamo in silenzio le coppie che a malapena riuscivano a muoversi sulla pista da ballo gremita . L ' orchestra di Armandino Zingone , chitarrista napoletano , trentaquattrenne , padre di otto figli , modulava un ritmo lento . Nell ' angolo opposto al nostro , attorno a due tavoli ravvicinati , stavano , già ammutoliti per la stanchezza , i più assidui frequentatori del locale : Vittorio Caprioli , Franca Valeri , Beppino Patroni - Griffi , Nora Ricci . Ugo Tognazzi stava pilotando in pista un ' americana altissima e rigida . S ' intravedeva , al di là di un pilastro , il ciuffo nervoso di Walter Chiari . Erano le due e un quarto : l ' ora in cui un lento sipario di noia comincia a calare , ogni notte , sulla mondanità romana . Un viso massiccio , occhialuto , ombreggiato da una barba leggera , si affacciò all ' ingresso del locale . I denti di Arena scricchiolarono . Vidi il profilo del giovane attore tendersi , quasi assottigliarsi in una crisi d ' improvviso furore . Poi , a fior di labbra , più parlando a se stesso che a me , il giovanotto prese a sfogarsi : « Eccolo , puntuale » , disse . « Mica , dopotutto , è colpa sua , poveraccio . E nemmeno è colpa nostra , se anche lui è finito qui . Una volta era il re d ' Egitto in esilio , sua maestà Faruk . Ormai è Faruk . Anzi , Farucche . Qualcuno lo chiama perfino Faruccone . Anche Orson Welles , quella volta che scese a Ciampino , era un fenomeno . Era quello che aveva fatto impazzire Nuova York annunciando per radio l ' arrivo dei marziani . Un pezzo grosso ! Dopo una settimana , lo chiamavano già Orson . Poi diventò Orso . Il primo a gridargli : ' Orsaccio , viè qua ! ' fu il guardiano di un posteggio , a piazza di Spagna . A Roma , non resiste nemmeno l ' aria ! Le persone si sciolgono come gelati . Meglio essere nessuno . Eccolo là , come tutte le notti , all ' ora sua ! Era il re d ' Egitto . Se ne sta dimenticando pure lui » . Il faccione di Faruk sparì dalla cornice della porta . Arena tacque di colpo . I suoi pugni solidi , da popolano , restarono , minacciosi , sul tavolo . L ' orchestra di Armandino attaccò a richiesta Tu che ti senti divina : la canzone che l ' estate prossima , in Versilia , farà forse dimenticare La più bella del mondo . Ugo Tognazzi tornò in pista , sospingendo l ' americana dritta impalata . Ci arrivava , dalla penombra , la voce di Walter Chiari , in vena di raccontare storielle . Franca Valeri si era addormentata sulla spalla di Caprioli , il quale , a sua volta , si era assopito sulla spalla di Patroni - Griffi . Maurizio Arena si alzò , soffiò l ' aria dalle narici , violentemente , come fanno i pugili , mi guardò con intensità infantile , poi disse : « Lo sai che faccio , una mattina ? Esco di qua , prendo il treno e vengo a Milano a fare il muratore » . Le notti primaverili romane , fra il Tritone e Porta Pinciana , si assomigliano tutte . Cominciano , fra le dieci e le undici , da Rosati allo Strega , al Café de Paris , da Doney , con le conversazioni degli intellettuali ; finiscono nella tristezza delle mondane sorprese dalla luce del sole , timorose della polizia , tormentate dalle scarpe strette , piene di segreti rimorsi . Notti che per una settimana interessano , ma in capo a quindici giorni non hanno più segreti . I protagonisti del carosello notturno , fra i cinque o sei locali più frequentati , sono sempre i medesimi . Le compagnie si riformano puntualmente ogni sera e riprendono i discorsi interrotti la sera avanti . Nel cuore di una metropoli che al prossimo censimento conterà due milioni tondi di abitanti , se non qualcosa di più , alcune migliaia di persone vivono come nel quartiere europeo di una città coloniale . Nessun legame concreto esiste fra i « quartieri alti » e le borgate periferiche . Via Veneto , luccicante di automobili mostruose , al tramonto , è più vicina a Nuova York che alla Garbatella , a Londra che al Quarticciolo . Roma , piccola e familiare di notte , diventa , appena fa giorno , un ' enorme piovra di cemento . La mancanza di ciminiere e di grandi fabbriche la rende inconsistente come un miraggio .
Diario romano. 2 ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Tre del pomeriggio . Roma digerisce in silenzio . Via Condotti è assopita nel sole già caldo . Un sacerdote americano , alto quasi due metri , poderoso , sta fotografando da angoli diversi le azalee che invadono e sommergono la gradinata di piazza di Spagna . In fondo all ' ultima saletta del Caffè Greco , dove aleggia un vago odore di cioccolato in tazza e di anice , il dottor P . e l ' avvocato C . , ambedue siciliani e cineasti , mi parlano della situazione cinematografica . Ne ragionano con l ' amarezza un po ' ironica degli amanti delusi ma non ancora completamente disamorati . L ' avvocato C . , produttore , sceneggiatore , soggettista , è un longilineo quasi calvo , dagli occhi malinconici e intelligenti . Il dottor P . , procuratore di una produzione piuttosto importante , è calmo e tarchiato , ferratissimo in fatto di cifre e di statistiche . Ma imprigionare nei numeri il problema del cinema italiano , ossia romano , è impresa difficile : come mettersi a contare le onde del mare o le foglie di un bosco . « Attorno alla nostra produzione » , dice il dottor P . , « vegeta e s ' intreccia una jungla di luoghi comuni e di valutazioni errate . Per esempio , tutti , da un paio d ' anni a questa parte , parlano di ` crisi ' . Come se da una situazione sicura e florida , si fosse improvvisamente passati al dissesto , all ' arenamento . Baggianate . La vera crisi , fatta di marasma economico e d ' imprese pazze , l ' abbiamo avuta quando si producevano allegramente 130 film all ' anno . Quella che oggi viene definita ' crisi ' , non è che il fatale ridimensionamento di una situazione anarchica , basata sulla presunzione dei dilettanti , alimentata da riserve finanziarie più che altro immaginarie . Crisi per eccesso , ma crisi . L ' effetto non va confuso con la causa . Quando la ' Minerva ' fallì , erano già diversi anni che stava dibattendosi come Laocoonte , fra i serpenti di un ' amministrazione caotica , fra miliardi ch ' erano soltanto fantasmi di miliardi . Lo stesso discorso vale per la distribuzione . Nei dieci ` distretti ' cinematografici italiani , da Padova a Catania , pullularono distributori improvvisati , senza radici come denti di latte . In mezzo ad essi , ogni ` distretto ' poteva contare su un paio di ditte serie » . La conversazione procede , pacata , sul terreno delle cifre . Il dottor P . analizza , lapis alla mano , le percentuali in cui si scompone , nei botteghini degli 11.000 cinema italiani , il prezzo del biglietto . Soltanto 18 lire ogni cento vanno al produttore , dopo un ' attesa di anni . Ci addentriamo nel meccanismo complicato dei premi governativi ; nel labirinto alquanto misterioso dell ' Anica ( Associazione nazionale industrie cinematografiche e affini ) , dove gli interessi contrastanti dei produttori , dei distributori e dei proprietari di sale ( spesso rappresentati da una sola persona ) si conciliano , o fingono di conciliarsi , in una specie di limbo corporativistico . L ' avvocato C . mi spiega perché il mercato respinge i film a basso costo : « E chi volete che si muova di casa , per andare a vedere , pagando dalle 500 alle 800 lire , le stesse cose che può vedersi tranquillamente in casa , alla Tv , senza scomodarsi e quasi gratis ? Oggi , in Italia come in America , come dovunque , il cinema può attirare il pubblico soltanto con spettacoli eccezionali : offrendo colore , masse sbalorditive , paesaggi affascinanti : tutto ciò che la Tv non può dare . L ' America è corsa ai ripari nove anni fa , dilatando gli schermi , lanciando il ' Cinerama ' , rinnovando la suggestione del ` western ' col Cinemascope e il Vistavision . Da noi , che non possiamo contare sui miliardi di Hollywood , la lotta è dura , disperata . Dopo i trionfi del ' neorealismo ' , stiamo assaggiando le amarezze della realtà » . Negli anni dell ' immediato dopoguerra , sembrò che gli americani avessero perso la guerra del cinema vincendo quella degli eserciti . Assistendo alla proiezione di Roma città aperta , di Paisà , Ladri di biciclette eccetera , il pubblico di Nuova York o di Chicago si dimenticava perfino di masticare la sua gomma . Per gli americani , nel '46 , Stalin era ancora ' lo zio Giuseppe ' . I critici annidati nel Greenwich Village potevano ancora farsi la barba ogni due giorni , portare maglioni rossi e scrivere che ' il neorealismo sociale italiano stava alla produzione americana come Omero sta a Spillane ' . Rossellini poteva divagare quanto voleva . Più divagava , più faceva testo . Il ' racconto ' , la ` trama ' erano giudicati ' casi limite ' ' , espedienti vili , compromesso , lenocinio . A parte i suoi meriti sostanziali , il così detto ' neorealismo ' fu la grande stagione degli improvvisatori . Imitando Rossellini , De Sica e gli altri ` istintivi ' di talento , una quantità di mediocri si credettero in grado di far capolavori senza le rotaie di un soggetto : raccattando immagini ' valide di per sé ' e cucendole insieme alla meglio . I soggettisti non si sentirono più impegnati a inventare una storia , a immaginare situazioni concatenate , coerenti . Si trasformarono in ideatori di ' gags ' , di episodi isolati , di trovatine divertenti o commoventi , a seconda dei casi . Poi , improvvisamente , quando gli intellettuali del Greenwich Village cominciarono a rifarsi la barba tutte le mattine e a rimettersi la cravatta per non dar nell ' occhio al senatore Mac Carthy , gli americani aggiunsero ai contratti di 60 pagine stipulati coi produttori italiani una formuletta umiliante che suona pressappoco così : ' Il film deve consistere in una serie di sequenze cinematografiche connesse fra loro in modo logico : ogni sequenza , cioè , deve essere legata alla precedente in modo comprensibile . Il tutto deve costituire un racconto che abbia indiscutibile valore narrativo ' . La lunga stagione romana delle cicale e delle lontre era finita . Cominciava quella , assai più scomoda , delle formiche e dei castori . A parte le cifre e le statistiche ; a prescindere dall ' obbiettiva consultazione del « Bollettino generale dei protesti » , alla cui mole solenne certa produzione cinematografica dà un generoso contributo ; le varie , allegre e malinconiche avventure del nostro cinema hanno la loro chiave nell ' aria stessa di quella stupefacente , affascinante , irritante , scoraggiante , inafferrabile città che ha nome Roma . La nostra industria cinematografica , nata a Torino nel novembre del 1904 , per iniziativa di Arturo Ambrosio ( il Venchi della celluloide nazionale ) , ebbe il suo primo germoglio romano meno di un anno dopo , nella primavera del '905 , ad opera di Filoteo Alberini , produttore - sceneggiatore - soggettista - regista - operatore . Nel 1906 , dalla società dell ' Alberini con tale Santoni , nacque la Cines : quella stessa che andò in liquidazione l ' anno passato . Ma tutto ciò appartiene alla preistoria . La vera storia del cinema romano ebbe inizio con l ' avvento del fascismo : trovò la sua prima cornice nella società piccolo - borghese , oziosa , assetata di lussi , tracotante , formatasi attorno ai seguaci di Mussolini . Quando si dice che l ' industria cinematografica italiana non poteva stabilirsi che a Roma , per ragioni climatiche , per sfruttarne la lunga primavera , si dice una grossa stupidaggine . Altrimenti le grandi case del nord - Europa , di Londra , Berlino e Parigi , non sarebbero mai nate . La verità è che , nel 1925 , superate le paure della Quartarella , operato lo strangolamento totale dell ' opposizione , Mussolini volle che l ' « industria delle ombre » si concentrasse nel suo immediato raggio d ' azione . Egli aveva capito perfettamente tre cose : che quella era l ' unica industria da cui Roma potesse trarre vantaggio economico , senza il pericolo di una crescente concentrazione operaia ; che prima o poi sarebbe servita ad acquetare e impastoiare gli intellettuali ; che sarebbe stato più facile indirizzare alla propaganda una cinematografia ambientata nella capitale . Non basta . Il « regime » , nato dal risentimento e dal tedio della gioventù provinciale , esaltava ufficialmente le aspre opere dei campi e la fecondità delle massaie : ma segretamente sognava calze di seta , sottovesti di pizzo , avventure scabrose . Fingeva d ' interessarsi a Oriani , a Machiavelli , a Pareto : ma di nascosto rileggeva Da Verona , Mariani e Pitigrilli . Perfino Kiribiri . Proclamava la grandezza di Augusto , ma sognava Trimalcione . Quanti furono i gerarchi che non ebbero il loro nome mescolato alle storie galanti di Cinecittà ? Mentre l ' Italia agonizzava pietosamente , dopo 1'8 settembre , sotto i mille problemi che la schiacciavano , una delle prime preoccupazioni delle autorità repubblichine fu il trasloco a Venezia di Cinecittà . E Alessandro Pavolini , trasferitosi a Verona , tutto nero con un teschio sul petto , non si lasciava forse carezzare l ' affaticata fronte da Doris Duranti ? E lo stesso Mussolini non preferì , anche in extremis , il profilo fotogenico di Clara Petacci alle tagliatelle di « donna » Rachele ? Nel 1925 , quando nacque l ' Istituto Luce , ente parastatale « per la propaganda e la cultura a mezzo della cinematografia » , un peccato originale , impresso negli uomini e nelle cose , segnò il destino del cinema italiano , costituzionalmente fascista . Le esperienze estetiche , le polemiche dei critici e dei registi , non bastano a cancellarne l ' impronta iniziale . Tutto andrebbe rifatto da capo . Gli innumerevoli episodi e aneddoti umoristici relativi al mondo cinematografico romano , da trent ' anni a questa parte , non sono che un corollario . Rispecchiano un ambiente dove il caso è diventato legge , dove la conciliazione degli opposti è un dovere e l ' approssimazione è obbligatoria . Dove , fatte rarissime eccezioni , buoni scrittori e bravi giornalisti hanno imparato a scrivere in quindici giorni le stesse cose che sotto forma di racconto o di articolo richiedono un lavoro di poche ore . Altrimenti , il produttore , pur risparmiando danaro ( spesso non suo ) , non darebbe la dovuta importanza all ' opera dei suoi sceneggiatori . I quali , per essere presi nella giusta considerazione , debbono in qualche modo uniformarsi alle abitudini dei registi , degli aiutoregisti , dei segretari di produzione , delle « dive » , dei « divi » , degli operatori , perfino degli elettricisti : essere poco puntuali , capricciosi , puntigliosi , ombrosi , esigenti , volubili , preziosi . Inflessibili nel pretendere grossi anticipi prima ancora che il film sia entrato in quella fase di discussione che precede la preparazione della prelavorazione . Checché se ne dica , la bizzarra casistica del cinema romano non riguarda soltanto gli « artigianoni » , in fondo bonari , della produzione : gli Amato , i Misiano ecc. Coinvolge anche personalità vigili , sensibili , ricche di talento . Anni or sono , un noto produttore italiano accettò di finanziare , in coproduzione francese , un film progettato da Marcel Carné : « Le barrage » . Il soggetto era ancora allo stato fluido ; si sapeva soltanto che tutto doveva imperniarsi sull ' allagamento di una valle alpina , in seguito all ' apertura di una diga : in francese « barrage » . Nella valle , completamente sommersa , restava un antico villaggio , tempestivamente sfollato . Da ciò , la possibilità d ' immaginare situazioni patetiche e drammatiche . Condizione fondamentale , preparare il soggetto entro una certa data , perché l ' apertura della diga andava ripresa dal vero . Carné accettò con entusiasmo la collaborazione di Cesare Zavattini , propostagli dal produttore romano . Zavattini trovò eccellente lo spunto del film . Dopo rapide trattative , il regista parigino e i suoi sceneggiatori arrivarono a Roma . Tutta l ' équipe , compreso Zavattini , si stabilì all ' Hôtel Excelsior , fra stucchi color panna e turisti di gran lusso . Era stabilito che Carné , Zavattini e gli sceneggiatori francesi dovessero creare il soggetto e un primo abbozzo di sceneggiatura attraverso conversazioni libere e animate , scambi d ' idee e di vedute , registrate nei minimi particolari , anche apparentemente insignificanti , da tre stenografe , due italiane e una francese , costantemente presenti alle riunioni . Si andò avanti , così , per circa tre mesi . I minuziosi verbali trascritti dalle stenografe avevano già empito un armadio e stavano già traboccando da un baule . Pareva che , in linea di massima , un soggetto ci fosse : basato sull ' amore di una fanciulla , abitante nel paese sacrificato alla diga , per un giovane ingegnere addetto ai lavori . Se non che , il vecchio padre della ragazza , attaccato come un ' ostrica alla sua casa , si rifiutava ostinatamente di sfollare . Invano supplicato dalla figlia , si appostava sul tetto , armato di fucile , pronto a far fuoco su chiunque si avvicinasse . Solo all ' ultimo momento , pochi minuti prima che si aprisse la diga , l ' ingegnere riusciva a smuovere il cocciuto vegliardo e a trarlo in salvo assieme alla ragazza . Tutto bene , fin qui . Ma proprio sulle ultime sequenze , Zavattini e francesi non si trovarono d ' accordo . Zavattini esigeva che il vecchio , girato in controcampo , sparasse sull ' ingegnere ; che il pubblico , per un momento , restasse col cuore sospeso , per poi rallegrarsi constatando che il colpo era andato a vuoto . Secondo lo sceneggiatore italiano , tale effetto non era soltanto consigliabile , ma addirittura indispensabile . Carné e i suoi assistenti lo giudicavano , invece , banale ed assurdo , tanto da gettare nel ridicolo l ' intero film . La discussione andò avanti per due settimane , registrata dalle stenografe . Il produttore cercò di conciliare le parti , una domenica , invitando tutti a colazione fuori di porta . Nulla da fare . « O il vecchio spara , o mi ritiro ! » gridava Zavattini , palpeggiandosi il basco . « Se quel vecchio della malora fa solo l ' atto di premere il grilletto » , ruggiva Carné , « io pianto tutto » . Inutile insistere , supplicare , promettere . « Le barrage » andò a monte . Al produttore non restò che pagare il grosso conto dell ' Excelsior e gli onorari dovuti per contratto al regista , a Zavattini e tutti gli altri . Quel colpo di fucile , sparato o no , venne a costargli circa cinquanta milioni . « Colpa mia » , ammise in seguito il produttore . « Invece di portare Carré a Roma , dovevo portare a Parigi Zavattini » .
Diario romano. 3 ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
È difficile sottrarsi alla suggestione culinaria di Roma , come è praticamente impossibile non seguirne gli orari . Ingrid Bergman , che aveva visto in Roberto Rossellini il cittadino e l ' interprete di una città « aperta » a drammatiche esperienze e a forti passioni , imparò in pochi mesi a distinguere gli agnolotti gratinati del Pastarellaro da quelli dei Tre scalini . L ' incantevole nordica che alcuni anni prima , in Intermezzo , ci era sembrata incorporea , dimostrò di saper demolire montagne di fettuccine e abbacchi da mettere in soggezione un camionista . Premurosamente assistita da ' Alfredo alla Scrofa ' o dal ' Re degli Amici ' , Ava Gardner mise in ombra le più rinomate « forchette » di via della Croce . Nel 1956 , conobbi a Milano una giovane signora americana , bellissima , alta , bionda , buona amica dell ' attore Bruce Cabot . Come molte sue connazionali , pareva che vivesse sotto una campana di cristallo . La maggior preoccupazione di Cabot , suo fedele cavalier servente , era quella di farla mangiare . Nessuna pietanza , per delicata e leggera che fosse , riusciva a stuzzicare l ' appetito della signora e a farle dimenticare per un momento la sua preziosissima linea . Creme scolorite di legumi , verdure estenuate dalla lunga cottura , sugo di pompelmo e d ' arancia , costituivano il malinconico pasto della bionda . Il povero Bruce Cabot , seduto di fronte a lei , era costretto a tirare la cinghia per non rischiare un benservito . La signora , ricordando il marito dal quale aveva appena divorziato , era solita definirlo « uno di quegli orribili uomini che mangiano mostruose bistecche e spaventose uova fritte sul lardo affumicato » . Il simpatico Bruce sacrificava lo stomaco al cuore : ma a questo mondo ho visto poche cose più tristi dei suoi occhi azzurri , di fronte ai piatti striminziti cui era condannato . Qualche mese dopo , incontrai Bruce Cabot a Roma . Era solo e aveva un ' ottima cera . Gli chiesi notizie della signora . Il celebre protagonista della Jena di Barlow mi disse sogghignando : « Margy è tornata a Nuova York . Irriconoscibile . Tutta piena di foruncoli terribili , in tutto il corpo . Un foruncolo andava , uno veniva . Intossicazione . Qualche giorno dopo il nostro arrivo a Roma , la farfalla è diventata un coccodrillo . Passava le giornate a scoprire nuove trattorie . Prenotava tavoli la mattina per la sera , la sera per la mattina dopo . Fritti enormi . Centinaia di foruncoli . Partita » . Un saggio storiografico , rigoroso e documentato , sulla gastronomia romana e sulle trattorie più antiche e rinomate della capitale , non sarebbe opera trascurabile . Evitando i luoghi comuni e il colore locale , frugando nella cronaca , ne verrebbe fuori un ' apprezzabile serie di ritratti : visti di scorcio ma vivi . Nel maggio del 1938 , quando Hitler trascorse sei giorni a Roma assieme a un gruppo di gerarchi accompagnati dalle mogli , il programma delle accoglienze non si limitò alle luminarie stradali , alle adunate oceaniche e alle parate militari . Gli specialisti del Quirinale e di Palazzo Venezia si diedero molto da fare anche per studiare i menu dei pranzi e delle cene ufficiali : in modo che il dittatore tedesco e il suo seguito gustassero , volta per volta , le specialità locali , senza il fastidio di ripetizioni . Mussolini , com ' è noto , non dava molta importanza al cibo . È ancora incerto se davvero fosse afflitto da ulcera gastrica , e comunque se si trattasse di un ' ulcera grave ; ma è un fatto che per almeno i primi dieci anni del suo regime mangiò soltanto ciò che gli cucinava un ' anziana , fedele domestica romagnola . Può darsi che il ricordo dei manicaretti serviti dai Borgia ai loro nemici non fosse estraneo alle abitudini casalinghe del duce , specialmente nel quinquennio in cui scampò a diversi attentati . Ma anche più tardi , quando l ' opposizione rinunciò ai metodi violenti e non si parlò più della famosa ulcera , a parte qualche semplice e sbrigativo « rancio » , Mussolini mangiò in pubblico rarissime volte . Le sue soste più calme e lunghe davanti a una tavola imbandita , le fece al ristorante del Furlo , sul passo omonimo , dove talvolta arrivava senza preavviso , dopo aver pilotato la macchina , a gran velocità , sulla via Flaminia . Ordinava , invariabilmente , un piatto di tagliatelle all ' uovo , e mezzo pollo alla diavola . Beveva alcuni bicchieri di acqua minerale , non troppo gelata , e mezza bottiglia di vino di pramontana . A parte tali soste sul confine tra Lazio e Marche , Mussolini , pur ostentando gusti e sentimenti popolari , pur abbracciando covoni e sculacciando massaie , dimostrò sempre una certa insofferenza per gli indugi culinari e per l ' impegno che molti suoi collaboratori mettevano nei riti della mensa . Una volta , che gli si proponeva di valorizzare un certo gerarca provinciale , affidandogli un alto incarico in Etiopia , disse bruscamente : « L ' ho visto mangiare . Bocconi troppo grossi e lenti . Non va ! » . In altra occasione , avendo saputo che un generale della milizia , attempato , dall ' aspetto alquanto scimmiesco , era stato visto , in divisa , a colazione con una giovanissima aspirante diva , al ristorante dello Zoo , convocò l ' ufficiale a Palazzo Venezia e , mezzo burbero mezzo ironico , lo redarguì : « Non fate più bambinate del genere . E , soprattutto , evitate lo Zoo . Potreste cedere al richiamo della foresta » . Mussolini , che pure amava controllare le cose di persona , trascurò , dunque , il programma gastronomico preparato per Hitler . Avvenne così che il capo dei nazisti si trovasse davanti , la mattina del 5 maggio 1938 , un paio di carciofi ( verdura quasi sconosciuta in Germania ) rovesciati sul piatto , col gambo in aria , un po ' somiglianti ad elmetti chiodati . Chiese come si chiamasse la pietanza , e gli fu risposto che quelli erano i celebri , classici carciofi « alla giudia » . Specialità del ghetto : Hitler , saputo ciò , s ' irrigidì . Un guizzo di contrarietà gli passò nei baffetti rossi . Dimenticò i carciofi nel piatto , imitato dai suoi fidi . La topografia gastronomica della capitale , rispettata dalla guerra , non ha subìto trasformazioni rilevanti negli ultimi trent ' anni . Soltanto il piccone fascista , nel quinquennio che precedette la guerra abissina , cancellò le antiche osterie sparse nel quartiere popolare un tempo ammonticchiate fra piazza Venezia e il Colosseo . Qualche antica bettola di Trastevere , incastrata fra í vicoli angusti e le piazzette oscure , si è mondanizzata , ma bisogna convenire che ciò non ha guastato la cucina . Perfino i « posteggiatori » con chitarra , nonostante la giacca blu e la cravatta argentata , benché guadagnino una media di cinque , seimila lire al giorno per sette mesi all ' anno , sono rimasti abbastanza fedeli all ' antica vena popolare . I terzetti più noti , quelli « fissi » da Galeassi , da Corsetti , dal Pastarellaro , alla Rifiorita , da Ottavio , accontentano ancora con visibile soddisfazione quei clienti che , invece di chiedere canzoni moderne , vogliono ascoltare le vecchie serenate . In qualche caso , i cantanti in « farsetto » e i chitarristi sono stati soppiantati da indovini , cartomanti , grafologi . Il più rinomato , attualmente , è il così detto « Mago » , che si fa consultare ( tariffa base lire 500 ) dagli avventori del ristorante La Sacrestia , dietro il Pantheon . Siede in un angolo della sala , dietro un paravento . Risponde senza leggerle alle domande che il cliente scrive su una strisciolina di carta . Non sbaglia quasi mai . Soltanto alcune settimane prima delle elezioni lesse nell ' avvenire di Achille Lauro circa un milione di voti monarchici in più .
Il mondo della droga ( Fusco Gian Carlo , 1957 )
StampaQuotidiana ,
Al processo Montesi presenziarono una quarantina di inviati speciali . Nelle prime settimane , quando l ' istruttoria contro Piccioni , Montagna e Polito non aveva ancora cominciato a traballare , alcuni grandi giornali inglesi , tedeschi e francesi tennero a Venezia i loro resocontisti . In seguito la stampa estera si limitò ai servizi di agenzia . Fra gli inviati dei giornali stranieri ve n ' era uno assai simpatico e vivace , la cui tessera grigia , rilasciata dalla cancelleria , era intestata alla « Gazette de Lausanne » . Spesso , facendo colazione coi colleghi , il rappresentante del quotidiano svizzero raccontava di aver accettato quell ' incarico trovandosi momentaneamente disoccupato . La « Gazette » , per evitare la notevole spesa di un inviato , si era rivolta a un professionista italiano che costasse poco . « Non so chi potrebbe costarle meno di me » , diceva il giovanotto , arricciando il naso carnoso ed aggressivo . « Sto facendo la vita di un frate predicatore in trasferta quaresimale » . A . B . ( dobbiamo accontentarci delle iniziali ) sfiorava il metro e settanta , ma era di spalle larghissime e si notavano al primo sguardo i suoi polsi da sollevatore di pesi , ferrei e pelosi . Gli occhiali non riuscivano ad attenuare la forza penetrante del suo sguardo . Parlando con giornalisti molto addentro nel mestiere , dimostrava di conoscere assai bene la partita . Un pomeriggio , verso la metà di febbraio , quando il processo era in corso da un mese , stavo passeggiando in compagnia di A . B . sotto i portici delle Procuratie Vecchie , in piazza San Marco , allorché capitò qualcosa di molto strano . Ci passò accanto un giovane carabiniere , il quale , visto il corrispondente della « Gazette » , lo salutò portando la mano ben rigida alla visiera e facendo ruotare leggermente il collo . « Ho fatto diversi servizi di cronaca nera , anni fa » , spiegò A . B . « Molti carabinieri si ricordano ancora di me » . Non la bevetti . Ho fatto troppi anni il soldato , per non distinguere un saluto amichevole da un saluto di ordinanza . Restai perplesso , ma cercai di non farlo notare . Qualche tempo dopo ebbi la conferma dei miei sospetti . Il corrispondente della « Gazette de Lausanne » altri non era che il tenente dei carabinieri A . B . , valoroso e intelligente protagonista di alcune fra le più pericolose e brillanti operazioni del dopoguerra . Conversatore spiritoso , buon pittore dilettante , poeta a tempo perso , capace di mimetizzarsi in qualunque ambiente e di assumere le personalità più disparate , l ' Arma lo aveva utilizzato in casi particolarmente delicati , specialmente nel così detto « bel mondo » . Era inevitabile che il tenente , recitando la parte del pittore surrealista o del bell ' imbusto a Capri , sulla Riviera ligure di ponente e sulla Costa Azzurra , acquistasse una preziosa esperienza in fatto di droga , drogatori e drogati . Quando gli feci capire che la sua vera attività mi era ormai nota , l ' ufficiale non ebbe una piega di disappunto . Rise allegramente e , pur non accennando alla vera ragione per cui stava seguendo giorno per giorno il processo , mi raccontò molte cose della sua carriera , dei casi di cui si era occupato negli ultimi anni , della sua partecipazione alla dura lotta contro la banda Giuliano e , finalmente , mi illustrò , nei limiti del segreto professionale , alcuni aspetti interessanti e inediti della battaglia incessante e silenziosa contro il traffico degli stupefacenti . Proprio in quei giorni , alla ribalta del processo era di turno don Tonino Onnis , parroco di Bannone di Traversetolo e protagonista del fantomatico episodio relativo a « Gianna la rossa » . Il prete , giovane , bruno e robusto , dall ' eloquio frettoloso e dalla pronuncia lievemente sofisticata , fece la sua deposizione : raccontò del suo misterioso incontro con la giovane donna dai capelli fulvi e sostenne abilmente un duello di tre ore coi giudici e gli avvocati . Anche in quella occasione restai con l ' impressione che la storia del parroco fosse una specie di paravento immaginario , dietro al quale si nascondevano fatti e persone che sarebbe stato interessante mettere a fuoco , indipendentemente dal processo e dalla posizione degli imputati . Don Onnis non aveva affatto l ' aria di un intrigante visionario e certi particolari del suo racconto , in mezzo alle sfumature e alle nebbie della fantasia , mi erano sembrati inaspettatamente duri e concreti . Il parroco aveva fatto , senza reticenze , il nome di alcuni funzionari della questura di Parma che si erano interessati del suo caso ; descrivendo certe automobili che si erano aggirate attorno a Bannone nel '54 , aveva avuto accenti di verità . D ' altra parte , nessuno era riuscito a capire per che preciso motivo il giovane parroco fosse stato varie volte convocato dal suo vescovo e severamente ammonito . Il suo stesso trasferimento a Bannone , parrocchia troppo modesta per un prete colto e brillante , aveva tutta l ' aria di una « quarantena » ed era precedente alle « rivelazioni » di Gianna la rossa . Ripensandoci , mi sembrò probabile che il sacerdote avesse « aggregato » al caso Montesi una storia losca , da lui realmente vissuta , forse con la speranza di richiamare l ' attenzione delle autorità senza esporsi troppo direttamente . Una sera , passeggiando nei dintorni della Fenice , esposi i miei dubbi al tenente A . B . Mi ascoltò attentamente , rivolgendomi brevi occhiate , poi , dopo qualche istante di silenzio , disse : « È vero : in questo straordinario processo le ombre , spesso , sono concrete e i corpi non sono che ombre . Ad ogni modo , non è un caso che la famosa lettera di Gianna la rossa sia partita da Bannone , anziché , poniamo , da un paesino altrettanto trascurabile delle Marche o dell ' Umbria . Da Bannone si stacca una rotabile secondaria , lunga una ventina di chilometri , che , attraverso Felino e Sala Baganza , finisce a Collecchio , sulla strada della Cisa . A cominciare dal '46 , poche strade al mondo sono state altrettanto battute dai trafficanti . Incalcolabili quantità di ' grezzo ' vi sono passate , partendo dai roccioni della costa ligure , per raggiungere quella autentica spina dorsale della Penisola ch ' è la statale numero 9 , meglio conosciuta come via Emilia . La provincia di Parma è il retroterra naturale della Spezia . Fra l ' isola della Palmaria e Monterosso , dove la costa è particolarmente solitaria , aspra , inaccessibile alle macchine , non è passata notte , per anni , che le correnti non portassero alla deriva speciali bidoni di gomma nera , impermeabili , a forma di boa , contenenti oppio . « Abbandonati al largo da imbarcazioni veloci , in particolari condizioni di mare e di vento , quei recipienti percorrevano docilmente , sul filo delle correnti , sempre il medesimo itinerario , come tirati da un filo : perché nulla vi è di più immutabile di una corrente marina . Sulla costa , nel buio , fra gli scogli simili a baluardi , qualcuno era pronto a riceverli , a vuotarli , a mettere la merce al sicuro per passarla a chi aveva l ' incarico di trasportarla in su , attraverso il Bracco e la Cisa . Nel '47 , quand ' ero in servizio alla Spezia , io stesso mi sono occupato a fondo della cosa . Risultati magri . La macchina era troppo grossa per un pugno di uomini volenterosi , responsabili di un ' infinità di servizi e con mezzi assai modesti . Una volta , mentre incrociavo al largo con una vecchia barca a motore che pareva avesse il cardiopalma , intravidi , a qualche centinaio di metri , uno di quei misteriosi motoscafi che seminavano in mare uova di gomma nera . Gli intimammo di fermarsi , sparammo in aria , poi prendendo la mira . La imbarcazione si impennò , volò via come una freccia , sparì nella notte . Tentare d ' inseguirla sarebbe stato come tirare un sasso a un aeroplano » . L ' ufficiale tacque un momento , poi riprese amaramente : « Per darti un ' idea di quanti involucri di gomma siano finiti su quei venti chilometri di costa ; pensa che utilizzando la gomma trovata fra gli scogli alcuni giovanotti impiantarono una fabbrichetta di sandali e scarpe da donna che produceva un centinaio di pezzi al giorno » . « E don Onnis ? » , chiesi . Il tenente si tolse gli occhiali , alitò sulle lenti , le ripulì accuratamente col fazzoletto . Si strinse nelle spalle . « Rosse o nere , è un fatto che molte Gianne nei paraggi della Cisa debbono aver ` lavorato ' coi trafficanti . Le donne , in genere , sono meno sospettate e pare che al momento opportuno sappiano cavarsela meglio . Mi sembra impossibile che qualcuna non si sia messa nei guai . Mi viene in mente quel che fece Vito Gurino , un gangster italo - americano che nel '40 , per scampare alla vendetta dei compagni , restò tre giorni chiuso nel confessionale di una chiesa cattolica di Brooklyn . Se l ' ha fatto un ` duro ' a Nuova York , figurati una donna da noi ! Credo che don Onnis abbia detto molte cose che non sa per non dire molte altre cose che sa . D ' altra parte , ciò è perfettamente in carattere col caso Montesi , dove tutto ciò che sembra pieno è vuoto e tutto ciò che sembra vuoto è pieno , come nei calchi in gesso degli scultori » . Cinque giorni fa la Mobile di Milano ha arrestato un uomo di mezza età , tale Giuseppe Gaigher , colpevole di aver spacciato per mesi cocaina ( complessivamente circa due etti ) facendosela pagare dai tossicomani fino a 20.000 lire al grammo . Il crimine del Gaigher ha un aspetto che oscilla fra il triste e il paradossale . La droga ch ' egli trafficava quasi ogni sera nei night - clubs milanesi se la procurava a prezzo di grosse sofferenze fisiche . Tormentato da fistole croniche , per ammansire le quali il medico gli aveva prescritto una pomata anestetica a base di coca , preferiva soffrire e rivendere le bustine prelevate in farmacia . Acquistata su regolare prescrizione , la polvere ha un prezzo assai modesto , venti volte inferiore , se non più , a quello del mercato clandestino . In una delle prime puntate di questa inchiesta , notai che i rigori della legge e dell ' opinione pubblica colpiscono di preferenza i tossicomani e i piccoli spacciatori . È destino di tutte le fanterie , anche di quella del vizio , far le spese della battaglia . Ma la frequenza con cui si leggono sui giornali storie di poco rilievo , più grottesche che allarmanti , alla Gaigher , alimenta , negli italiani , l ' incredulità per fatti enormemente gravi e tenebrosi . Perfino la famosa « operazione Mugnani » , che agitò il bel mondo romano nella primavera dell ' anno scorso ed ebbe titoli su sei colonne , non fu , tutto sommato , che un episodio marginale e di scarsa importanza . L ' unico aspetto interessante di quella retata , fu che vi rimasero impigliate alcune persone d ' alto bordo , le quali , del resto , fiutavano da anni senza farne troppo mistero . Tutti i frequentatori assidui dei locali notturni eleganti , finiscono col conoscere decine di tossicomani più o meno « suonati » dalla droga . Talvolta talmente svaniti da perdere ogni prudenza e ogni ritegno . Anni or sono , trovandomi in un tabarin romano , assistetti a una scena da « pochade » . Il marchese P . V . , toscano , quarantenne che dimostra come minimo vent ' anni di più , stava bevacchiando strane misture di sua invenzione all ' american bar . Il labbro inferiore gli cadeva tristemente , gli occhi parevano due molluschi andati a male . A un certo punto , stanco d ' ingurgitare porcherie , disse al barman farfugliando : « Ora basta . Quanto vuoi ? » . « Diciottomila , signor marchese » , fece il barman , disinvolto . Il nobiluomo cominciò ad annaspare nelle tasche esterne ed interne alla ricerca di quattrini , e intanto posava sul banco tutto ciò che vi trovava : vecchie lettere , il fazzoletto , chiavi , tessere e appunti . Fra l ' altro , come se niente fosse , tre o quattro cartine di coca . Il barman impallidì e guardò furtivamente verso l ' angolo dove era solito sedersi l ' agente di servizio , in quel momento assente . « Signor marchese , non faccia sciocchezze . Metta dentro quella roba » . « Quale roba ? » . « Andiamo , signor marchese , abbia pazienza » . E il barman , con rapide occhiate in giro , ficcò le cartine in tasca al titolato . Il quale , dopo qualche oscillazione e qualche singhiozzo , le tirò di nuovo fuori e le gettò sul banco gracchiando stoltamente : « Cosa ti hanno fatto di male le mie bimbine , le mie piccoline ? Sei un villanzone ! Del resto , bada ; non ho più soldi , quindi ti devi pagare con queste . Ci guadagni . Ti devo diciottomila e qui c ' è quarantamila lire di roba . Tanto per stasera non streppo più » . La fronte del barman era lustra di sudore . Mentre il marchese si allontanava borbottando qualcosa delle sue « bimbine » , agguantò le cartine rimaste sul bancone e volò di là a ficcarle chissà dove . Ma questi sono , appunto , gli aspetti più insignificanti e scoperti del traffico . Talmente scoperti che finiscono sempre con l ' autodenunciarsi ; anche perché , a lungo andare , l ' abuso di stupefacenti indebolisce i freni inibitori e spinge il tossicomane a un esibizionismo sempre più impudente e clamoroso . Nel 1946 , a Viareggio , una bella signora milanese , moglie di un giovane industriale oggi in bassa fortuna , teneva la cocaina , dieci o quindici grammi per volta , in un piccolo astuccio cilindrico , d ' oro massiccio , bucherellato come una saliera . Dopo mezzanotte , allorché faceva il solito spuntino con gli amici , la disgraziata era solita spolverare leggermente di droga le pietanze . Se qualcuno , dai tavoli vicini , la guardava con una certa meraviglia , si affrettava a spiegare : « Non faccia quegli occhi , per favore . Non è mica sale ! È soltanto cocaina » . Se il mondo della droga si riducesse a questi aneddoti , o alle povere storie di cui sono protagonisti í piccoli galoppini isolati sul tipo dello « spacciatore sofferente » Giuseppe Gaigher , gli agenti dell ' Interpol e quelli della Squadra Narcotici americana potrebbero dedicarsi alla filatelia o al giardinaggio . Ogni giorno , in tutto il mondo , migliaia di ossessi danno l ' assalto all ' armadietto chiuso a chiave in cui i farmacisti conservano i narcotici e gli stupefacenti . Non è possibile enumerare gli espedienti , i trucchi , le commedie , le astuzie infernali a cui ricorrono i tossicomani poco forniti di quattrini per assicurarsi una dose del loro adorato veleno . Quegli esseri deliranti , spesso incapaci di applicarsi ad un lavoro qualsiasi perché il « crepuscolo » cocainico , morfinico o eroinico toglie loro la volontà e il senso del reale , sono capaci di sgobbare notti intere come castori per falsificare una ricetta innocente . Gratta e rigratta la carta , aggiusta o corteggi , spesso finiscono col lacerare la carta in modo irrimediabile . Allora piangono , si torcono le mani , poi , alle ore più assurde , svegliano un medico , inventano storie di padri straziati dal cancro , di vecchie madri trafitte dai calcoli renali , supplicano per pietà una ricetta che includa dosi anche piccole di coca , di morfina , o , male che vada , di qualsiasi stupefacente sintetico lontanamente imparentato con la dicetil - morfina ( nome ufficiale dell ' eroina ) o con la cocaina . « Non è raro » , mi diceva giorni or sono un giovane chirurgo , « che i medici , specialmente anziani , vinti da quelle suppliche febbrili , fingano di credere alle fandonie e stacchino l ' agognata ricetta , sempre limitandola a dosi minime . Ma capita che perfino medici di lunga esperienza si lascino perfettamente ingannare da quelle bugie , tanta forza persuasiva vi mette la disperazione . Il tossicomane povero è più facilmente pescato dalla polizia perché per procurarsi un decigrammo di droga deve muoversi , agitarsi ed esporsi dieci volte di più del ricco , al quale basta una telefonata per riceverne a domicilio , con limitatissimo rischio personale , dosi cento volte più grosse » . Anche il mondo della droga , dunque , ha il suo proletariato , i suoi artigiani , i suoi manovali . Spesso , come nel caso di Gaigher , i piccoli spacciatori non sono che tossicomani i quali , combattuti fra la necessità di un « paradiso artificiale » e la voglia di far quattrini , rinunciano a una parte della loro razione legale o illegale per farne mercato . Non riescono a farla franca più di qualche mese . Spesso è la « organizzazione » dei grandi trafficanti a levarli di mezzo con una segnalazione telefonica o una denuncia anonima . Ma questo non avviene prima che in qualche modo disturbino il mercato o aggancino qualche cliente interessante . Altrimenti , quelle « mezze cartucce » fanno comodo ai grossi calibri , perché sviano le indagini e ne minimizzano i risultati . « Noi vediamo con simpatia gli isolati da quattro soldi » , dichiarò il gangster Lepke due mesi prima di inarcarsi sulla sedia elettrica . « Perché dovremmo odiarli ? In fondo , sono il nostro parafulmine » .
La società delle bocche cucite ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Quando , nella primavera del 1956 , la mafia volle fare intendere a don Carmelo Napoli che per lui era arrivato il momento di « pensare alla salute » , gli spedì un pacco postale contenente una testa di cane . Don Carmelo , impresario di pompe funebri , fioraio e maneggione in diverse « partite » , capì subito la portata dell ' avvertimento : « Se continui a mordere e ad abbaiare , farai la stessa fine » . Il tarchiato necroforo era quel che i palermitani chiamano « uomo di pancia » : poco disposto a lasciarsi intimidire o spaventare . Gettò la testa nel pozzo nero e attraverso l ' impalpabile telegrafo dei bassifondi fece sapere a quei « cornuti ammazzacani » che avrebbero avuto molto filo da torcere , prima di farla da padroni nella zona dei Mercati generali . Ma quindici giorni dopo , mentre don Carmelo se ne stava placidamente seduto nei pressi del suo negozio , in pieno giorno , in uno dei vicoli più centrali e popolati della vecchia Palermo , alcune lingue di fuoco saettarono dallo sportello di un ' utilitaria e gli saldarono il conto . La salma di don Carmelo era da poco tumulata , quando Tanuzzo Galatolo , « pezzo duro » del quartiere l ' Acquasanta , fu avvicinato per strada da un bambino scalzo e spettinato , il quale gli mise in mano una scatoletta dicendo : « Don Gaetano , cinquecento lire mi diedero perché ve la consegnassi » . « Chi fu , a incaricarti ? » , chiese Galatolo , rigirandosi in mano la scatola . Il bambino strinse le spalle , alzò gli occhi al cielo , allargò le braccia e tirò via di corsa . La scatoletta di cartone era di quelle che normalmente contengono fermagli metallici per riunire documenti ; ma Galatolo vi trovò soltanto tre noccioli d ' oliva ben ripuliti . Io e voi avremmo pensato a uno scherzo . Invece , il « ras » dell ' Acquasanta si accigliò . Se fra gli innamorati dell ' Ottocento esisteva un linguaggio dei fiori , nel mondo della mafia esiste un linguaggio dei noccioli : « Non ti resta altro da succhiare , compare . Mettiti l ' anima in pace » . Ventiquattro ore dopo , dietro i cancelli del mercato ortofrutticolo , Tano Galatolo cadde nel suo sangue . Testa di cane , noccioli d ' oliva , pettine rotto , lampadina fulminata ( i morti non hanno bisogno di luce ) , zampa di gatto , altri oggettini insignificanti , bastano ad annunciare le condanne capitali decretate dalla mafia . O meglio : da una « cosca » ( vale a dire « gang » ) di mafiosi decisi a sopprimere i membri di una « cosca » concorrente . Guerriglia interna . Quando , invece , la vittima designata non appartiene all ' « onorata famiglia » ( e in questo caso i « picciotti » incaricati dell ' esecuzione prendono ordini « dall ' alto » ) , è inutile farsi precedere da simboli di quel genere . Non verrebbero capiti . Per mettere sull ' avviso un « babbo » , un « babbeo » , cioè , estraneo alla « società » , e intimargli di non ficcare il naso in un certo affare , basta una visita della « masticogna » . Un certo giorno , un tipo in berretta qualsiasi suona alla porta della persona da mettere « a posto » , oppure la ferma per strada . Con aria molto deferente , quasi con umiltà , le tiene un discorsetto di questo genere : « Vossia deve farci un piacere . Non deve più intricarsi ( interessarsi ) di quell ' appalto » . Oppure : « Vuole un consiglio , voscenza ? Per qualche tempo non si faccia più vedere dalle nostre parti . C ' è gente molto nervosa » . Poche parole , formalmente inoffensive , tutt ' altro che minacciose , ma pronunciate con una tecnica speciale : una ben staccata dall ' altra , con forza , come se fossero altrettanti bocconi duri da masticare ( l ' espressione « masticogna » lo dice ) . Fu per uno di quegli « avvertimenti » angosciosi che Giuseppe Intravaia cambiò improvvisamente umore , nel novembre del 1953 , prima di sparire in modo tanto misterioso ? Intravaia era nato nel luglio del 1910 . Al momento della scomparsa , aveva da poco compiuto 43 anni . Bruno , distinto , vestito con una certa eleganza , capace di parlare e scrivere correntemente l ' inglese , il francese e il tedesco , nessuno avrebbe immaginato le sue origini modeste , gli umili mestieri della sua gioventù . Invece , a quindici anni , con addosso i suoi primi calzoni lunghi , era andato a lavorare in Inghilterra , come fattorino di albergo . Giuseppe Intravaia era preciso , ordinato , sentimentale . Annotava tutto su rettangolini di carta che portava in tasca , e ogni sera ricopiava quegli appunti su grossi quaderni . Con la moglie , Ninfa Grado , ch ' egli chiamava sempre Ninfina o Ninfuzza , era un marito perfetto . Idolatrava il figlio Piero , che nell ' autunno del '53 aveva otto anni , al punto che un giorno aveva detto alla moglie : « Stanotte ho sognato che il nostro bambino aveva venti anni e partiva per fare il soldato . Anche nel sonno , ho provato un dolore insopportabile . Ho deciso . Quando Piero andrà militare , noi andremo ad abitare nella città dove lo destineranno , per averlo vicino » . Cameriere di bordo sui bastimenti della Tirrenia , Intravaia si era pian piano elevato . Per alcuni anni aveva lavorato , in posizione assai modesta , con alcune ditte esportatrici di agrumi di Palermo . Finché non diventò uno dei maggiori esponenti di un importante « consorzio agrumario » in provincia di Messina . Nel maggio del 1952 , l ' Assessorato per l ' Industria e il Commercio della Regione siciliana lo nominò suo rappresentante ufficiale alle fiere di Nuova York e di Toronto , nel Canada . Restò al di là dell ' Atlantico circa due mesi . Forse , quel viaggio segnò nella sua vita ordinata e tranquilla una svolta fatale . Il 5 ottobre 1953 , Giuseppe Intravaia partì da Monreale . Era uno dei soliti viaggi di affari , per conto del Consorzio produttori Torrenova , con sede a Sant ' Agata di Militello . Viaggi che spesso lo portavano anche all ' estero : tanto da fargli ottenere con facilità il passaporto per tutti i paesi del mondo , compresa la Russia . Partì con due valigie e , come sempre , l ' ombrello ben arrotolato nella foderina di seta : come da ragazzo aveva visto in Inghilterra . Si fermò alcuni giorni a Messina , quindi proseguì per Genova . Era di umore perfettamente normale . A Genova , Intravaia sbrigò diverse faccende , appoggiandosi a un certo Catalano , suo corrispondente d ' affari . Verso il 15 ottobre , si trasferì a Basilea , dove , oltre ai commercianti che riforniva di agrumi , avvicinò due famiglie di turisti , conosciute nell ' estate del '52 a Giacalone , villeggiatura nei dintorni di Monreale . Ritornò a Genova il 31 ottobre 1953 . Ed è a cominciare da quel giorno che la sua figura si appanna ; acquista , attraverso qualche lettera scritta alla moglie e poche , vaghe testimonianze , un che di enigmatico , d ' inafferrabile . Al rientro dalla Svizzera , Intravaia appariva preoccupato . Quando il Catalano gli chiese se avesse qualche fastidio , qualche pensiero molesto , raccontò che durante la sua permanenza a Basilea si era fatto visitare da un buon internista , il dottor Erich Goldschmidt , della Friedrichstrasse , il quale gli aveva prescritto una certa dieta . Si trattava di una malattia grave ? No : qualche disordine all ' intestino ; ma non era , comunque , una cosa allegra . Eppure , agli occhi di Catalano , il commerciante di Monreale aveva un ' aria troppo triste e abbattuta , per essere spiegata a quel modo . Soltanto una diagnosi gravissima , addirittura infausta , avrebbe potuto giustificare i lunghi silenzi , le fissità distaccate di Giuseppe Intravaia . Cinque o sei giorni dopo , Intravaia decise improvvisamente di andare alla Spezia , dove abitava un fratello della moglie , l ' ingegner Grado . Prima di prendere il treno , con le due valigie e il fedele ombrello , chiese al Catalano un prestito di 40.000 lire . A Basilea aveva speso più del previsto ( soltanto al dottor Goldschmidt aveva versato un onorario di 220 franchi ) , ed era rimasto a corto di fondi . Conoscendo con che ordine scrupoloso l ' amico fosse solito organizzare la propria vita , Catalano restò alquanto sorpreso da quella richiesta . Alla Spezia , come d ' abitudine , Intravaia fu ospite del cognato ingegnere . Durante i suoi viaggi stagionali , passando da quelle parti , una breve sosta in casa dei parenti era solito farla . Quella volta , invece , si fermò a lungo . Pareva indeciso , restio a muoversi , quasi insabbiato . Spesso , a tavola , restava con gli occhi inchiodati alla finestra . Intanto , a Monreale , un giorno della prima decade di novembre , avvenne un fatto curioso . Un noto commerciante di agrumi palermitano si presentò all ' abitazione dell ' Intravaia , in via Veneziano , e chiese alla signora Ninfa di consegnargli alcune cose appartenenti al marito : un assegno di 125.000 lire , due libretti di risparmio al portatore , uno con 490.000 lire , l ' altro con 24.000 , e la chiavetta della cassetta postale n . 37 , di cui l ' Intravaia era titolare da un paio d ' anni . La signora , sapendo che il commerciante in questione aveva continui rapporti d ' affari col marito assente , non ebbe alcuna difficoltà a soddisfare la richiesta . Solo più tardi , ripensandoci , la trovò strana . I1 visitatore le aveva detto che quella roba andava subito spedita alla Spezia , su richiesta del marito . Ma a parte il fatto che Peppino avrebbe potuto rivolgersi direttamente a lei , per la quale non aveva mai avuto segreti : cosa poteva farsene , alla Spezia , di due libretti al portatore accesi sulla filiale palermitana della Commerciale , e soprattutto della chiavetta corrispondente a una cassetta postale lontana più di mille chilometri ? Il 23 novembre , ancora ospite del cognato , Giuseppe Intravaia ricevette dalla Sicilia una lettera azzurra . Con la sua calligrafia da terza elementare , il figlio Piero lo informava di essere indisposto . Una leggera febbre influenzale lo costringeva a letto da qualche giorno . Il commerciante scrisse immediatamente alla moglie un espresso , chiedendo particolari sulla malattia del bambino . Tre giorni dopo , il 26 novembre , giunse un telegramma di risposta : il piccolo Piero si era completamente rimesso . Ricevendo una notizia del genere , Intravaia avrebbe dovuto , logicamente , rallegrarsi . Senonché , in quel telegramma , vi era un particolare molto strano : non era firmato dalla signora Ninfa , e nemmeno da qualche altro parente più o meno prossimo . Era stato spedito e firmato da una ditta di agrumi con la quale Giuseppe Intravaia aveva avuto spesso rapporti d ' affari . Dopo quel telegramma , il commerciante , anziché apparire soddisfatto , sembrò colto dal panico , dall ' ansia di partire , di precipitarsi a casa . Infatti , la sera di quello stesso 26 novembre , prese il treno , con le sue valigie e l ' immancabile ombrello , ben stretto nella fodera . Il pomeriggio del giorno seguente , alle 7 , a Napoli , Intravaia si imbatté per caso in un cugino che da tempo non vedeva : il dottor Candido , commissario di Pubblica Sicurezza . Restò in sua compagnia circa un ' ora . Rifiutò fermamente un invito a cena , non accettò neppure un caffè , dicendo che il medico glielo aveva proibito . Qualche minuto dopo le 8 , si congedò dal cugino : « Scusami , ma debbo andare d ' urgenza alla posta per spedire un telegramma » . Aveva un ' espressione pensosa , preoccupata . Si allontanò giù per via Toledo a passi frettolosi . Il dottor Candido lo seguì un momento con lo sguardo . Fu l ' ultima persona al mondo che vide con certezza Giuseppe Intravaia . Perché la forma umana intravista qualche ora dopo , dal colonnello di Finanza in pensione Calogero La Ferla , in una cabina a due cuccette , a bordo della nave Città di Tunisi , poteva essere l ' Intravaia , ma anche tutt ' altra persona . La città di Tunisi , in servizio di linea fra Napoli e Palermo , salpò in perfetto orario , alle 20.30 del 27 novembre 1953 . Sul libro del commissario , la cabina di seconda classe n . 19 risultava occupata dal colonnello La Ferla e dal « commissionario » d ' agrumi Giuseppe Intravaia . Un cameriere di bordo sistemò in un angolo della cabina due grosse valigie e un ombrello strettamente arrotolato . Il colonnello in pensione , settantacinquenne , si coricò presto : prima che il compagno di viaggio si facesse vedere . I vecchi hanno il sonno leggero . Durante la notte , un certo tramestio svegliò l ' ex - ufficiale . Fra le palpebre socchiuse , vide un ' ombra che stava frugando febbrilmente in una valigia . « Si sente male ? » , chiese , a mezza voce , il colonnello . « Non posso dormire » , borbottò l ' ombra , rimise a posto la valigia ed uscì . La mattina dopo , all ' attracco di Palermo , nessuno ritirò le due valigie e l ' ombrello dalla cabina 19 . Quegli oggetti restarono lì un paio di giorni , finché un cameriere non li mise in un ripostiglio fra le cose dimenticate . Qualche giorno più tardi , quando la signora Ninfa , disperata , segnalò alla polizia l ' inesplicabile sparizione del marito , le valigie tornarono alla luce e furono rovistate . In mezzo alla biancheria da lavare , il commissario di P . S . in servizio portuale trovò due passaporti intestati a Giuseppe Intravaia , uno scaduto , pieno di visti di frontiera , l ' altro rinnovato , con un visto di espatrio per la Svizzera , in data 16 novembre 1953 . Partendo dalla Spezia , Intravaia aveva con sé due vestiti : uno marrone e uno grigio , nuovo , acquistato a Basilea . Aveva un impermeabile e un cappotto . In una delle due valigie , fu trovato il vestito marrone , e sotto di esso un campione di stoffa grigia corrispondente all ' abito acquistato in Svizzera . Dell ' impermeabile e del cappotto , nessuna traccia , né in valigia né altrove . In una valigia , fu trovato un guanto di pelle marrone . Il destro , Intravaia aveva tre dita della mano sinistra mutilate delle falangi superiori , perse in un incidente giovanile . D ' estate era solito applicare puntali di gomma ai moncherini del pollice , indice e medio della sinistra . D ' inverno portava i guanti . Dov ' era finito il guanto sinistro , che Intravaia , uomo ordinatissimo , si sfilava immancabilmente prima di coricarsi e riponeva , assieme all ' altro , sempre nel medesimo posto ? E se quella notte non si era coricato , perché il guanto destro , scompagnato , era rimasto chiuso in valigia ? In una delle sue valigie , fu rinvenuto anche un pezzetto di carta con su scritto : « Vado a Palermo per vedere mio figlio » ; sul retro , due cognomi : quello di un commerciante d ' agrumi napoletano e quello di una personalità politica isolana . Suicidio ? Come crederlo , con tutta la fretta che Intravaia aveva di rivedere il suo bambino ? E da Napoli , appena lasciato il cugino commissario di P . S . , non aveva forse telegrafato a un amico di andarlo a prendere all ' arrivo della città di Tunisi ? Amico che , peraltro , pur avendo ricevuto il telegramma diverse ore prima che la nave entrasse in porto , non si recò all ' appuntamento . Incidente ? Giuseppe Intravaia aveva fatto il militare nella Marina da guerra , per alcuni anni era stato cameriere sui piroscafi . Aveva dimestichezza con la vita di bordo , con le scalette , i boccaporti , le murate . Poteva finire in acqua , per una svista , tanto più che il mare , quella notte , era liscio come l ' olio ? Qualche tempo dopo la sua misteriosa sparizione , risultò che il modesto « commissionario » di agrumi Intravaia aveva conti piuttosto rilevanti intestati a suo nome in diverse banche della Siria , del Canada , di Londra , di Berna ; numerosi libretti di risparmio accesi in cinque o sei banche italiane ; grossi crediti esigibili da commercianti siciliani , napoletani , genovesi , svizzeri . Due valigie , un ombrello . Un vestito marrone , un po ' di biancheria sudicia , un guanto scompagnato . Un ' ombra nella notte , intenta a cercare qualcosa in una valigia . Un vecchio colonnello in pensione che si riaddormenta , cullato dalle vibrazioni dello scafo . Un bambino di otto anni , una moglie affranta , che ripete ancora , dopo cinque anni : « Il mio Peppino è stato ucciso ! » . Come , da chi , perché ? Dove finì la chiave della cassetta postale n . 37 ? Perché qualcuno si presentò a ritirarla ? Perché il telegramma del 26 novembre 1953 , rassicurante circa la salute del piccolo Piero , non era firmato , come sarebbe stato naturale , dalla signora Intravaia , ma da gente estranea alla famiglia ? Un telegramma tranquillizzante che mise in agitazione il destinatario . Questa è la storia romanzesca di Giuseppe Intravaia , l ' uomo che sparì , una notte del novembre '53 , come una bolla di sapone . Una storia già velata dalla polvere dell ' archivio . Una delle tante . È difficile non sentirvi , come un alito freddo , la presenza implacabile delle « bocche cucite » . Lunedì scorso , 13 ottobre , all ' imbrunire , in via dell ' Addolorata , a Corleone , è stato ucciso Carmelo Lo Bue . Non valsero i pattugliamenti straordinari dei carabinieri , su e giù per le antiche strade , sassose come torrenti in secca , a ritardare il suo appuntamento con la morte . Era nipote dell ' ottuagenario capomafia Calogero Lo Bue , sostituito tre anni fa dall ' italo - americano Vincent Collura , che fu « impiombato » nel febbraio del '57 . Tutto ciò non serve ad arrestare il « tritacarne » della mafia , e neppure a rallentarlo di un giro . La testa calva di Carmelo Lo Bue è rimasta a biancheggiare sui sassi grigi , al momento prestabilito . La sera del 13 ottobre , dopo l ' Avemaria , nella luce fiacca proiettata dalle botteghe , la gente di Corleone ha formato í soliti capannelli bisbiglianti . Come sempre , quando il paese è « fresco di morte » , le donne , vecchie e giovani , in lutto cronico , parlottavano voltando le spalle alla strada ; perché è bene , in certi casi , che le « femmine » non vedano quello che « sta capetando » . Scene uguali , la medesima atmosfera greve e sinistra , lo stesso « scirocco morale » fecero seguito a migliaia di omicidi , nell ' ultimo mezzo secolo . 11 17 maggio 1915 , quando l ' autore accertato o presunto degli ultimi delitti , Luciano Liggio , era ancora assai lontano dal nascere , i corleonesi si riunirono a commentare , senza muovere le labbra , l ' uccisione di Bernardino Verro , organizzatore di cooperative agricole . Anche allora , 43 anni fa , i rintocchi dell ' Avemaria si erano appena smorzati . Giovani siciliani di leva e anziani richiamati , crucciati nel grigioverde , si preparavano a fare la guerra . Nel cielo di tutto il mondo si addensava una bufera di sangue . Ma le « coppole storte » della mafia , obbedienti soltanto alla loro « legge » , avevano un solo obbiettivo : Bernardino Verro . Novembre 1918 . Anche nei più remoti villaggi della Sicilia , le campane squillanti a doppio salutarono l ' armistizio . Decine e decine di milioni di uomini , in venti nazioni , festeggiarono la pace . Ma nei dintorni di Corleone , proprio quel 4 novembre , due sicari silenziosi e duri , incuranti d ' ogni altra cosa , aguzzavano gli occhi d ' onice sulla curva solitaria di una certa trazzera . Aspettavano al varco Antonio Barbaccia . Barbaccia , da una decina di giorni , stava aspettando , con antica rassegnazione , la morte . La incontrò quel pomeriggio . Stramazzò mentre le campane del suo paese annunciavano la fine del primo macello mondiale . Né guerra , né pace , né passo di pattuglie , né lacrime di figli , né suppliche di madri , né interpellanze alla Camera : nulla può arrestare gli « uccisori » della mafia , quando arriva il momento di colpire . Forse non sono neppure feroci , nemmeno crudeli . Sono soltanto dei « robot » , la cui intima freddezza contrasta coi ciuffi meridionali e il lampeggiare degli occhi mediterranei . Forse , sotto un ' apparenza calda , meridionale , conservano fredde gocce di sangue normanno , o impassibili globuli di sangue levantino . I « grandi capi » del gangsterismo siculo - americano , a Chicago e Nuova York , tristi e laconici sotto pesanti cappelli di feltro garantito , da cento dollari , non hanno più nulla di latino . Marciano , implacabili , fra due taciturne guardie del corpo , come cavalieri di un ' Apocalisse moderna . Il vento dell ' enorme miseria patita in gioventù li spinge alle spalle . Impararono l ' uso del gabinetto a vent ' anni , spesso più tardi . Offrono a « bambole » come Virginia Hill , Liz Renay o Hope Dare , collane di diamanti degne di una regina , sanno perdere al gioco cifre colossali senza scomporsi ; lasciano cinquanta dollari di mancia ai camerieri del Morocco : ma continuano a chiamare il gabinetto « bacauso » . Perché í loro nonni e padri , quando arrivarono in America , non conoscevano altro gabinetto che il terreno incolto « dietro casa » Back - house . La ricchezza e la miseria generano , in modo diverso , la stessa solitudine . Non hanno patria . Obbediscono soltanto a due leggi : « fai paura » o « aver paura » . Tutto il resto , per le « coppole » di Corleone per i « feltri » di Nuova York , è riempitivo . Il delitto di Corleone del 13 ottobre , attribuito alla solita disparità d ' interessi fra i soci vivi e defunti dell ' « azienda armentizia » di Piano Scala , è la controprova , se ve ne fosse bisogno , che il regno della mafia attorno a Palermo , Caltanissetta , Agrigento e Trapani , è più forte che mai . Pensare di poterlo liquidare con le solite , vetuste repressioni poliziesche , con le deportazioni in massa , i blocchi permanenti , le leggi straordinarie ( si potrebbero anche chiamare « illegalità » eccezionali ) di cui andava impettito il prefetto Cesare Mori , fiero di aver mandato alle isole anche i bambini di dieci anni , sarebbe follia più che ingenuità . La mafia è , prima di tutto , in Sicilia come negli Stati Uniti , uno strumento troppo utile per soccombere ai risentimenti moralistici e alle operazioni della burocrazia militare . Dietro le spalle del funzionario o del generale incaricato di drastici provvedimenti possono maturare intese e accordi a più alto livello . Nel 1927 , mentre Cesare Mori , in giacca di fustagno e stivali gialli , polverizzava intere popolazioni , mute di sgomento e gialle di malaria , Mussolini strizzava l ' occhio ai grandi mafiosi , già muniti di tessera e scudetto . Il Machiavelli di Predappio , individuate le profonde infiltrazioni dell ' « onorata società » fra gli emigrati siciliani in Tunisia , stava servendosene per introdurre clandestinamente nell ' Africa Occidentale francese armi e munizioni , da impiegare in un ' eventuale rivolta filo - italiana . Attraverso la stessa identica rete di collegamenti che oggi alimenta il traffico delle sigarette americane e degli stupefacenti , gli agenti segreti di Mussolini riuscirono a piazzare nelle cantine di Tunisi e Biserta 30.000 moschetti , 12.000 pistole , 3 milioni di proiettili , 90 mitragliatrici e 3000 bombe a mano . Le spedizioni , in un ' atmosfera da scoglio di Quarto , partivano perlopiù da Trapani , Gela e Licata . È inutile dire che molte delle armi destinate alla nostra riscossa mediterranea restavano regolarmente in Sicilia , a sostituire gli arsenali sequestrati da Cesare Mori . Nel 1945 , quando i baroni crearono l 'E.V.I.S . ( Esercito Volontario Indipendenza Siciliana ) , spendendo più parole che quattrini , un nobiluomo palermitano si ricordò di avere ancora , nascoste in una villa di campagna , diverse armi sottratte ai carichi « irredentistici » di trenta anni fa . Per quanto un po ' muffite , Concetto Gallo , generale in seconda dell ' indipendentismo ( il primo , sulla carta , era Giuliano ) , le distribuì alle reclute in addestramento al Quartier Generale di San Mauro , sopra Caltagirone . Anche Mussolini , fautore di una « politica solare » , ripulitore di angolini , antepose la ragion politica alla distruzione radicale della mafia . E come lui , dopo di lui , l ' opportunismo politico , variamente colorato , spinse alcuni esponenti democratici della Sicilia occidentale a compromessi e patteggiamenti , più o meno segreti , coi capi delle « bocche cucite » . Ognuno per conto proprio , fingendo d ' ignorare le rispettive manovre , i candidati alle elezioni del '46 , del '48 e via dicendo , strinsero accordi coi medesimi « pezzi da 90» : distributori di voti « ciechi » , trasferibili , a decine di migliaia e con un semplice cenno , da un capo all ' altro dello schieramento elettorale . Prezzo dei voti , la promessa di favoritismi , vantaggi economici , tolleranza e impunità . Nel 1924 , in un famoso comizio per le elezioni di Palermo , Vittorio Emanuele Orlando dichiarò pubblicamente di apprezzare le « virtù virili » e le « alte qualità umane » dei mafiosi . Tali accenti suscitarono , allora , alte polemiche . Ma tutto sommato , malcostume a parte , le condizioni economiche e gli interessi prevalentemente agricoli dell ' Isola mantenevano le collusioni fra politici e mafia a un livello piuttosto modesto , a proporzioni paesane , di « cosca » e di famiglia . D ' altra parte , il gioco delle « clientele » elettorali era diffuso e scontato in tutto il Meridione . Anche nella Sicilia orientale , dove la mafia non ebbe mai radici , l ' influenza dei baroni creava o distruggeva , spesso a capriccio , la fortuna di un uomo politico . Celebre il caso di due candidati , Crisafulli Mondio , agrario , e di Cesarò , democratico sociale , ambedue condizionati dall ' appoggio del barone locale . Costui disponeva di 2999 voti . Si trovava in grande imbarazzo circa la loro assegnazione : non già per scrupoli di natura politica , ma perché i due gli erano egualmente cari e simpatici . Tagliò la testa al toro , una settimana prima delle elezioni , disponendo , tramite campieri , massari e uomini di fiducia , che 1499 voti andassero a un candidato e 1500 all ' altro . Oggi la mafia è assai diversa da quella che sosteneva alle urne Vittorio Emanuele Orlando . L ' aiuola siciliana produce frutti assai più ghiotti di quelli di una volta . Molti zeri si sono accodati alla cifra del reddito regionale . L ' « onorata società » , trasferitasi negli Stati Uniti , ha frequentato l ' università di « Tammany Hall » , centrale siculo - americana del partito democratico a Nuova York ; ha guardato a fondo nel meccanismo politico - mercantile del Paese più ricco e sanguigno del mondo ; ha imparato come si « controlla » un sindacato , un grande porto , come si può legare una fabbrica di abiti o di motori a una catena di alberghi o di case da gioco . Ha imparato , soprattutto , a maneggiare e impiegare il danaro con estrema disinvoltura : considerandolo un mezzo e non un fine . Ecco perché , attualmente , i legami fra la mafia e certi uomini politici dell ' Isola sono più pesanti e complessi ; ecco perché , prevedendo l ' aggravarsi di una situazione già purulenta negli anni dell ' immediato dopoguerra , la rivista « dossettiana » « Cronache Sociali » , già citata nel corso di questa rapida inchiesta , incitava caldamente la classe dirigente siciliana a sganciarsi dal vecchio carro , ad abbandonare le tradizionali combutte . L ' esortazione , oggi come oggi , è ancora più valida . Mai come in questo momento , mentre le sue antiche strutture economiche e sociali si stanno rapidamente evolvendo , la Sicilia ebbe necessità di rinnovare il proprio quadro sociale . Ciò che purtroppo non avvenne circa un secolo fa , con lo sbarco di Garibaldi , e l ' avvento dell ' unità nazionale affrettato dal forcipe franco - inglese , in funzione antitedesca , è oggi in via di realizzazione . Dal bozzolo confuso di una terra contadina e pastorile , allagata di solitudini e di silenzi , umiliata dalla trascuratezza dei governi , sta per uscire una farfalla industriale . L ' emancipazione delle province orientali , Messina , Catania , Siracusa , va estendendosi verso occidente . Se in questo processo di trasformazione , una vasta , profonda e coraggiosa revisione del costume politico non estrometterà dalla vita pubblica dell ' Isola l ' influenza corruttrice della mafia , l ' antica peste feudale s ' impossesserà delle fabbriche , delle miniere , degli uffici , dei trasporti , degli appalti . Dopo le paure di un Medioevo agrario , i siciliani conosceranno i terrori di un Medioevo industriale . Più forte di qualsiasi partito o corrente di partito . La Sicilia è una terra antica e generosa . La sua popolazione , cinque milioni di individui , un decimo di quella italiana , è il prodotto di molteplici incroci , di vicissitudini storiche che vanno dagli albori della civiltà umana allo sbarco alleato dell ' estate '43 . Genti del Nord , del Sud , dell ' Occidente e dell ' Oriente vi s ' incontrarono ; vi lasciarono lembi di linguaggio , usanze , tempeste d ' odio , furie d ' amore . Perfino la mafia , degenerata attraverso i secoli , ma specialmente negli ultimi quarant ' anni , in strumento di oppressione e d ' « intrallazzo » , nacque dal bisogno di sopperire in qualche modo alla deficienza e alla trascuratezza dei poteri centrali . Non è possibile che in un « humus » tanto ricco non si trovino , senza necessità di leggi umilianti e di battaglioni in assetto di guerra , le forze necessarie a vincere la malvivenza organizzata e il malcostume politico . Nel 1949 , Angelo Vicari , allora prefetto di Palermo , oggi prefetto di Milano , fece pervenire alle superiori autorità un coraggioso rapporto sul riprovevole comportamento di alcuni parlamentari siciliani , palesemente legati , se non addirittura affiliati alla mafia . Vicari era , allora , uno dei più giovani , forse il più giovane prefetto d ' Italia . Nato nella Sicilia orientale , a Sant ' Agata di Militello , in provincia di Messina , arrivò a Palermo in tempo per ereditare il peso di tutti gli intrighi , indipendentistici , separatistici , briganteschi , accumulatisi dal '43 alle elezioni del luglio '48 . Siciliano dell ' altra sponda , poco più che quarantenne , di idee vivaci e moderne , il prefetto mise decisamente il dito sulla piaga , o perlomeno su una delle piaghe principali . Consigliò di neutralizzare d ' urgenza alcuni uomini politici di primo piano . Il coraggioso rapporto , dopo aver ondeggiato come una foglia d ' autunno , scivolò nelle pieghe secolari della vita romana . Svanì . Oggi , dietro le belle casse da morto , con borchie di ottone e maniglie di bronzo , intagli e intarsi , dentro le quali i mafiosi trucidati viaggiano verso il cimitero , non è raro vedere , vestito di scuro , pallido e commosso , uno di quei parlamentari che il prefetto Vicari , nove anni or sono , nominò nel suo fantomatico rapporto . Il giorno che i « pezzi da 90» come Michele Navarra di Corleone e Vanni Sacco di Camporeale , come Gerolamo Vizzini e Ciccio Cottone , andranno al camposanto senza deputati , la Sicilia occidentale conoscerà , finalmente , una nuova stagione .
Rossano sarà Gabriele ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
È molto probabile che , nei prossimi mesi , il Biffi Scala perda , temporaneamente , uno dei suoi clienti più assidui . Sembra infatti che una Casa cinematografica americana abbia deciso di chiamare a Hollywood Tom Antongini , per affidargli la consulenza di un film imperniato sul tormentato amore di Eleonora Duse e Gabriele D ' Annunzio . Il nome di Antongini sarebbe stato suggerito ai produttori dal conte Rasponi , che vive da parecchi anni a Nuova York , dove si occupa di moda e di arredamenti . Il consiglio è perlomeno logico . A parte qualche inevitabile frangia letteraria , gli scritti dannunziani di Antongini sono i più ricchi e documentati dal punto di vista aneddotico . Il vecchio signore che tutte le sere entra al « Biffi » per l ' aperitivo , fu per molti anni accanto all ' Imaginifico , ne raccolse gli sfoghi e le confidenze minute . Se davvero gli verrà proposto di recarsi a Hollywood , quasi certamente accetterà . A meno che non preferisca , invece , gettarsi anima e corpo nella campagna elettorale , giacché il suo nome figura nella lista del Partito monarchico popolare . Circa il soggetto del film , non si hanno finora notizie precise . Da quanto è trapelato , dovrebbe avere come sfondo la vita artistica e mondana della Venezia fine Ottocento : quella che raccolse l ' ultimo respiro di Wagner e vide il naso rosso del miliardario Morgan sbucare dal portone dell ' Hòtel Danieli . La Venezia , lampeggiante di marmi e di cristalli , in cui D ' Annunzio e la Duse , fra due carezze , si divertivano ad aizzare levrieri dai nomi arcani : Crissa , Altair , Sirius , Piuchebella , Nerissa . La materia sarebbe già un osso duro per qualsiasi sceneggiatore e regista europeo . Figuriamoci cosa diventerà nelle mani sbrigative degli americani . Se è vero , del resto , che il buon giorno si vede dal mattino , basta la scelta degli attori che dovrebbero impersonare Gabriele ed Eleonora , per capire come andrà a finire : Rossano Brazzi e Marilyn Monroe . È già qualcosa , se si pensa che per via dell ' incipiente calvizie la parte di D ' Annunzio avrebbero potuto affidarla all ' ex - campione mondiale dei pesi medi Carmen Basilio . Tutto lascia prevedere che se andrà a Hollywood , Antongini rimpiangerà molto presto il Biffi Scala . Orson Welles è considerato l ' attore meno elegante del mondo . È il primo a riconoscerlo . « Assomiglio a un letto matrimoniale rifatto da una bambina di cinque anni » , ha detto tempo fa .
Una vacca preziosa ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Mi hanno raccontato la storia del lucchese Fantucchi . Risale a una quarantina d ' anni fa , quando le imprese dei lucchesi , nelle cinque parti del mondo , avevano ancora un sapore pionieristico . Il Fantucchi era tipo piuttosto . ruvido e di poche parole . I suoi concittadini , che lo avevano visto partire per l ' Argentina con due camicie in un fagotto , restarono piuttosto sorpresi vedendolo tornare ricco a milioni dopo pochissimi anni . Quanto ad abitudini , aveva conservato quelle d ' una volta . Gli piaceva giocare a scopone nelle osterie di Borgo Giannotti e di Pelleria , succhiando un sigaro . Solo quando partiva alla caccia di sciantose si metteva un impeccabile frac . Una sera , all ' osteria , un conoscente più ardito degli altri , gli chiese : « O Fantucchi , come mai c ' è tanti che per far quattrini nelle Americhe ci stanno una vita , e voi avete fatto così presto ? » Il Fantucchi trasferì il sigaro all ' altro angolo della bocca , poi , senza alzare gli occhi dal ventaglio delle carte , rispose : « Capitai a Mendoza col mio socio . Per un po ' restammo a vedere , poi , un giorno , prendemmo una vacca e le attaccammo un campanaccio al collo . Ci mettemmo dietro la bestia e andammo là là , per quelle pampe , e restammo fuori una decina di giorni . Quando tornammo a Mendoza , di vacche ne avevamo più di trecento » . « O Fantucchi » , fece l ' altro spalancando gli occhi , « ma allora le vacche le rubavate ! » Il Fantucchi non si scompose . Ritrasferì d ' angolo il sigaro , calò un quattro di danari , poi disse : « Macché rubbà e rubbà . S 'accodavino...» A Nuova York circolano le prime automobili private munite di radio - telefono . È severamente proibito adoperarlo quando la macchina è in marcia . Richiesto di definire i socialdemocratici , Antonio Delfini ha detto : « Sono quelli che danno il dolce alla donna di servizio » .
Donne e cerbiatte ( Fusco Gian Carlo , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Non si può , ogni tanto , non interessarsi di pugilato . A proposito di questo sport , certamente molto diverso dal ping - pong , dal golf e dalla ginnastica artistica , le opinioni sono contrastanti . Vi è chi lo giudica una fiera della brutalità e chi lo accetta come la più esplicita e virile delle prove agonistiche . Ma è un fatto che la televisione , per la quale il pugilato è lo spettacolo ideale , ha convertito molta gente . Nella primavera dell ' anno scorso , un distinto avvocato milanese mi raccontò che sua madre , settanteseienne , si rifiutava di assistere alle trasmissioni della TV , compreso « Lascia o raddoppia » , con la sola eccezione dei programmi pugilistici . La vecchia signora , che fino ad allora aveva condannato ogni forma di violenza si entusiasmava ogni volta che i raggi catodici le portavano a domicilio le sventolone di Cavicchi o gli uncini elettrici di Loi . Non solo : la mattina dopo , a tavola , cercava di orientare la conversazione verso i combattimenti , e avanzava giudizi , sempre più ferrati , sui difetti e le virtù dei vari atleti . Basta conoscere un poco le donne , adolescenti od ottuagenarie , per sapere che di fronte a due uomini che si picchiano non sono mai così impressionate e sgomente come , per dovere femminile , dimostrano . Ognuno di noi conosce qualche vecchia signora , fragile come un passerotto , che al momento buono dimostra il coraggio e la risolutezza di un « kamikaze » . Ma confesso che l ' altra sera , al Cinema Nazionale , mentre si svolgeva il « match » Garbelli - St . Louis , l ' interesse e lo sguardo acceso di alcune spettatrici più ' che mature mi hanno impressionato . Una specialmente , dai capelli grigi sotto uno scodellino di velluto viola , appartenente , senza dubbio , alla media borghesia commerciale milanese , la quale , due file dietro alla mia , fissava il ring incandescente senza battito di ciglia , e accompagnava con lievi movimenti delle spalle i colpi dei pugilatori . Si ha un bel dire . Sotto il coperchio della civiltà , la pentola umana bolle ancora per fuochi primordiali . Sollevate un poco il coperchio , e vi accorgete che le nostre signore , di fronte a un buon pestaggio , si comportano come le cerbiatte nella radura del bosco , quando i cervi decidono a cornate la partita matrimoniale .