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ESPERIENZA LIBERALE ( GOBETTI PIERO , 1922 )
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La crisi ministeriale e la costituzione . La proposta del nostro Formentini ( Rivoluzione Liberale del 19 febbraio ) è ampiamente discussa sul Lavoro del 22 febbraio . Lo scrittore comincia col dimostrarci che il provvedimento invocato dal F . già viene altrove applicato . " Questa designazione del gabinetto da parte dell ' Assemblea vige da ormai più di tre anni in parecchi Stati federali del Reich germanico , primo fra tutti in Prussia . Chi scrive seguì con attenzione i lavori dei Landtang Prussiano durante la crisi dell ' aprile scorso , che si concluse con la elezione a presidente dei ministri di Prussia del cattolico Adamo Stegerwald . La Socialdemocrazia poneva ben chiare le sue esigenze per l ' allargamento della coalizione governativa fino a comprendervi il Deutsche Volkspartei : queste esigenze essendo state rifiutate dal D . V . P . , la Socialdemocrazia si staccò dalla coalizione , e i tre partiti di governo , Deutsche Volkspartei , Cattolici e Democratici designarono come Presidente lo Stegerwald , che fu eletto e compose il Ministero tuttora in carica " . All ' obbiezione che " il Ministero è oltre che un ramo dell ' amministrazione , un membro del Consilium Principis e non si può pertanto imporre al Re un fiduciario eletto da altri " risponde con un ' acuta disamina della finzione che in questo concetto si cela e dei limiti e dei risultati che nascono dalla pratica . " Finché ci sarà un re , nessun ritrovato costituzionale riuscirà ad evitare che i Ministri della Real Casa , i gentiluomini di Corte e magari il cameriere consiglino davvero il re assai di più di qualunque Consilium principis costituzionalmente legittimo , infinitamente di più di qualunque Gabinetto di Ministri a ciò qualificato . E allora tanto vale farla finita con una obbiezione fondata su una funzione di consiglieri della Corona , che i Ministri non compiono " . Oppure nei casi in cui la esercitano , - esempio tipico Giolitti - riescono a pericoli e danni ancora più preoccupanti . " La carriera di Giolitti , dal punto di vista costituzionale , si può analizzare appunto in questo modo . Liquidazione del Consiglio di Gabinetto , come solo organo legittimo designato a dare collegialmente consigli della Corona . Accaparramento progressivo della confidenza del sovrano e delle funzioni sconosciute allo Statuto - di consigliere intimo e unico . Comparsa periodica dinanzi all ' assemblea parlamentare , colla consacrazione carismatica di essere l ' uomo fidato del re , colui che discende dalla montagna dopo aver parlato con Geova . E questo vecchio gioco minaccia di riuscire per la sesta volta ! È estremamente difficile stabilire , in qual modo la designazione diretta del ministero da parte della Camera , proposta dal Formentini , possa reagire : 1 ) sulle dittature personali di questo o quel parlamentare nel seno dell ' assemblea ; 2 ) sulle funzioni costituzionali del Gabinetto , che la lunga consuetudine giolittiana ( e sonniniana ) ha ridotto ad essere una semplice riunione di burocratici convocati a rapporto , riducendo insieme ad un cencio il R . D . del 1901 . Ma appare assai verosimile che la designazione diretta avrebbe impedito a Giolitti , e impedirebbe a qualunque altro , di bluffer al gioco del poker parlamentare : cioè di comparire dinanzi al re per riscattarlo con il prestigio di essere il dominatore del Parlamento , e di comparire poi dinanzi al Parlamento con l ' aureola di essere il fiduciario del re . Il gioco giolittiano , anzi l ' escamotage giolittiano è tutto qui . Ebbene , la designazione diretta lo spezzerebbe : togliendo di mezzo la finzione del ministro consigliere della Corona , toglierebbe forsanche di mezzo la triste realtà del ministro sensale e mezzano della Corona , della Camera e di tutto il resto "
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Questa lettera di Domenico Giuliotti non vuol essere una partecipazione al nostro lavoro . È l ' antitesi netta ed onesta di un amico per il quale abbiamo una profonda stima . In questa lettera , che è come la sintesi di tutto il libro di G . L ' ora di Barabba , non c ' è soltanto poesia , c ' è una notevole e rispettabile fede maturata in una poderosa unità , in ferreo anacronismo . La rude sincerità di Giuliotti richiama il cattolicismo alla sua logica medioevale e diventa , come altrove s ' è notato , forza feconda dialettica attraverso cui il mondo moderno ritrova la sua unità . Il programma di Giuliotti può parere esaltato o intemperante alle mezza coscienze , paurose di ogni posizione rigida , tolleranti per comodo e per poca serietà ; esso ha un vizio chiaro di anti - storicismo messianico , ma su tutti i messianismi utilitaristi e riformisti ha la superiorità che scaturisce da una terribile coerenza ideale , e da una limpida fede , ingenua e combattiva , nella trascendenza . E noi stimiamo la sua intransigenza , che non ci stancheremo mai di combattere , mentre consideriamo con disdegno tutti i catechismi predicanti transazioni e conciliazioni .
CRISI MORALE E CRISI POLITICA ( GOBETTI PIERO , 1922 )
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1 . - Il libro di Adriano Tilgher ( La crisi mondiale . Bologna , Zanichelli , 1921 ) , appunto perché incontestabilmente serio e maturato , offre occasione al critico sereno per segnalare una moda ormai dominante negli usi del dopo guerra che bisogna combattere con energia , anche se manifestamente effimera come tutte le mode . Il gusto per una letteratura sociale apocalittica e visionaria , minacciosa di divini fulmini , presaga di tragiche decadenze e di spaventosi tramonti ha sostituito , senza misura , l ' esame spassionato dei problemi sociali , lo studio modesto e saggio degli elementi della storia politica contemporanea , l ' indagine sorretta da cultura tecnica precisa e volta ad obbietti determinati . Le smanie di una dilettantesca politica estera che per quattro anni concesse ad ognuno i più fantastici sogni e i piani più assurdi , si traducono - esausta la fantasia - in stanche visioni sintetiche del più banale sociologismo . Le individuali preoccupazioni , le torbide crisi dei singoli si vengono fotografando in costruzioni obbiettive artificiosamente drammatiche . Nessuno più è disposto a studiare con saggezza i problemi singoli dell ' azione e della cultura politica . Bisogna parlare in ogni luogo di una crisi mondiale , del crollo di un ' epoca , della morte di una civiltà : risalire dal fatto singolo , dal sentimento solitario , alla descrizione di tutto l ' orbe morale e sociale . L ' epidemia ( cui non è estraneo il diffondersi superficialissimo di una pseudo terminologia marxista ) è irresistibile : noi stessi , avversari , ne diventiamo le vittime se invece di correre rapidi , come vorremmo , ai problemi di tecnica speciale , siamo indotti a salire parimenti in cattedra per opporci all ' apocalissi . 2 . - Adriano Tilgher è scrittore efficace e serio pensatore . Il suo pessimismo ha forti spunti di profondità ; individualmente è giustificabile in modo perfetto , è la sua forza perché lo fa pensoso della presente realtà , estraneo a tutte le gioie massicce e ai pesanti ottimismi dei cuori allegri e felici . Egli è lo storico più sicuro della presente crisi morale e culturale . Capace di risalire alle intime ragioni filosofiche della storia , perfettamente informato sulle ultime correnti di pensiero , acutissimo nel cogliere le relazioni tra i fenomeni letterari , politici , speculativi , nell ' esaminarne la verace sostanza spirituale sotto le incertezze sentimentali e le sfumature più generiche ha saputo con le Voci del tempo e con La crisi mondiale preparare per i posteri una valutazione preventiva notevolissima della nostra cultura e dei nostri stati d ' animo . Fallisce la sua critica quando in questa letteratura , necessariamente monografica e talora frammentaria , intervengono preoccupazioni costruttive , schemi troppo rigidi , pretese politiche . Il pessimismo non vale più . Diventa un peso morto , un ostacolo al realismo politico . I programmi che nascono da stati sentimentali come questo del Tilgher che s ' è descritto , sono tutti viziati da un originario intellettualismo e dalla mancanza di un ' esperienza diretta della praxis politica . Corrono tutti alla politica estera per liberarsi dai vincoli della realtà , non sanno scorgere troppo bene le connessioni tra storia mondiale e storia nazionale per amore dell ' impreciso che pomposamente intitolano : visione generale . 3 . - Esiste una crisi della civiltà capitalistica che in qualche modo si possa pensare risolta e conclusa in un tramonto del capitalismo prossimo o imminente ? Bisogna stare attenti e non confondere i termini obbiettivi della storia con quelli del demagogismo politico e , quando i termini , per molte ragioni , sono gli stessi , tener bene separati i due sensi . Il tramonto del capitalismo , previsto e predicato dal Marx , è un mito utilissimo , una delle più forti molle della storia moderna ma sarebbe ingenuo discuterne come di una verità scientifica o di un fatto serio . Invero la storia conosce processi , esigenze , risoluzioni di esigenze , ma ignora i subitanei tramonti , le aurore nate da un fiat . La civiltà capitalistica preparata dai Comuni , sorta decisamente in Inghilterra , affermatasi negli ultimi decenni , in forma più o meno progredita , in tutto il mondo civile è la civiltà del risparmio , delle intraprese che hanno bisogno per vivere di un capitale mobile . I paesi più arretrati nella civiltà capitalistica erano appunto negli anni scorsi quelli dei sistemi di attività e di produzione anacronistici : la Russia , incapace di liberarsi dal latifondo , l ' Austria - Ungheria che teneva al potere la classe dei latifondisti ungheresi . L ' Italia compensava l ' anacronismo del Mezzogiorno sforzandosi di creare attraverso l ' emigrazione , il commercio , e tentativi industriali addirittura imprudenti , una classe capitalistica . La logica a cui obbedisce questa civiltà è , come osserva il Tilgher , l ' attività assoluta che ha fede soltanto in se medesima . L ' impulso le viene dalla superpopolazione , la forza consiste nella crescente capacità produttiva e nelle inesauribili invenzioni tecniche , la direzione dello svolgimento è data dai bisogni sempre nuovi . Allo scoppiare della guerra europea questa civiltà era appena sul nascere . La borghesia che pare rappresentarla risale alla rivoluzione francese soltanto di nome : di fatto una vera borghesia in Italia , per esempio , sta appena nascendo , a fatica . La civiltà capitalistica del resto è al disopra delle classi , vuole l ' opera di tutte le classi che vi partecipano e la creano concordi pur lottando tra sé inesorabili , ostili sino a giurarsi reciproca sopraffazione . La civiltà capitalistica è una realtà obbiettiva che non può morire per un peccato d ' orgoglio : l ' umiltà la abbasserebbe , l ' orgoglio coincide con la sua legge di vita . La guerra europea ne è stata la crisi di esuberanza , non di tramonto , e il Tilgher stesso è costretto a confessarlo quando guarda all ' operosità che si riprende nell ' impero britannico e negli Stati Uniti . Non si dimentichi che appena in questi anni viene sorgendo un capitalismo russo e che in tutta Europa alla momentanea stasi dell ' industria sta sostituendosi un ' organizzazione capitalistica ( cultura intensiva ) della proprietà agraria . 4 . - Le difficoltà e le oscurità presenti sono una crisi momentanea che agevolmente superiamo pur tra incertezze e contraddizioni . E certo come tutte le crisi anche questa non è da considerarsi con leggerezza , ma vuole gli sforzi operosi dei popoli e l ' acume politico dei governanti . Chi la studi con libertà , senza desiderio di sintesi frettolose , vi scorge forme ed aspetti che ne agevolano e chiariscono la comprensione . Importa inizialmente distinguere una crisi morale , una crisi economica , una crisi politica . La crisi morale è descritta con forza decisiva dal Tilgher e alla sua visione degli stati d ' animo dell ' Italia dopo la guerra ( dal sensualismo allo scetticismo ) poco resta da aggiungere se non forse una più precisa determinazione cronologica che limiti quei fatti nel loro valore di documenti di psicologia durante le aspettazioni messianiche dei primi mesi dopo la vittoria che condussero alle crisi del dannunzianismo e del fascismo . Oggi dalle preoccupazioni colte dal Tilgher siamo liberi , e i residui hanno altrove il loro centro ideale intorno a cui possono essere valutati . La crisi economica si viene superando più a stento , dopo lotte operose e feroci tra i vari elementi della produzione industriale , e proprio queste lotte hanno potuto suscitare in taluni l ' illusione di pericoli mortali , il pensiero di un esaurimento definitivo . Ma l ' intima natura della civiltà capitalistica è in questa ampiezza di lotta ; sua diretta funzione è suscitare con fecondità ideale che non ha posa i miti e i programmi che la fraintendono e la negano e intanto trascinano per forza d ' illusione anche le forze più riluttanti e ribelli a collaborarvi . A chi sogna palingenesi socialistiche il capitalismo moderno oppone insuperabili esigenze storiche e pratiche : gli operai , diventati coscienti di tutta la loro forza , attraverso le rivendicazioni di programmi inattuabili ma idealmente intransigenti e nobili , cozzandovi contro si fanno capaci di soddisfarle , e divengono degni prosecutori del compito assoluto che il capitalismo inesorabile pone a chi vuol guidare la storia moderna . Cosi la crisi economica attraverso una vigorosa dialettica diventa crisi politica : si chiariscono i termini e si esprimono in forze concrete che il politico concilia e svolge secondo la propria saggezza . Dall ' incertezza sentimentale scaturiscono ormai valori determinati e fatti che entrano nella storia . Questo processo , non mai abbastanza meditato , insegna ( anche a noi uomini di lotta ) la necessaria serenità , che al di sopra di pessimismi e ottimismi è il solo atteggiamento realistico dello storico e del politico . 5 . - Ma al Tilgher la considerazione degli stati d ' animo e la palingenetica conclusione suggeriscono invece esili costruzioni di politica generale e avventati piani di politica estera . Un odio indomabile per la mentalità anglosassone gli fa scorgere nell ' Inghilterra la sola responsabile della guerra ( mentre il suo realismo filosofico gli insegna agevolmente che non esistono responsabili di un fatto universale come la guerra europea ) e negli Stati Uniti il degno complice del dopo guerra , legati tutti e due per gretto calcolo con l ' imperialismo francese . Concetti manifestamente esclusivistici anche se contengono non poca verità . Contro codeste nazioni capitalistiche Tilgher invoca il blocco delle nazioni proletarie dell ' Europa centrale e orientale ( anche vi comprende il lontano Giappone ! ) e chiede l ' esplicita adesione dell ' Italia . In questa drammatica visione appena superficialmente interessante , il Tilgher dimentica le conclusioni catastrofiche e vi scorge per un momento , schematizzata la storia dei nuovi anni . Anzi una sua osservazione ( pag . 102 ) sul valore finale della rivoluzione che dovrebbe dare una patria alle plebi che non l ' avevano è davvero potente . Ma per riuscire valida doveva essere la sola idea o l ' idea centrale del libro ; non un solitario , dimenticato frammento di cui sembra che l ' autore ignori il significato . L ' Italia non può aderire al blocco delle nazioni proletarie , perché le nazioni proletarie non esistono e la politica si fa con ben altro realismo . L ' Italia deve aderire , non politicamente , ma economicamente , senza pregiudiziali esclusioni all ' Europa ( e all ' America ) operosa dalla quale il suo sforzo a ricostruirsi , ad affermarsi , a salvarsi finanziariamente ed economicamente , può essere aiutato . La sua deve essere una politica di pace : benevola verso Germania e Russia come verso Inghilterra e Stati Uniti . Falliti i piani giuridici e i sogni giusnaturalistici del wilsonismo , l ' Europa è oggi di fatto una Società delle Nazioni ( o s ' avvia ad esserlo , nonostante la Francia ) ; una collaborazione per vincere la miseria ; per superare quattro anni di lotta dolorosa e necessaria . Perciò la polemica del Tilgher contro l ' intemperanza dei nazionalisti e le follie dell ' estetismo politico e contro il pagano giovandarchismo è pregevole e , per noi , interamente accettabile . Tutto il libro poi ha il merito di far meditare sui rapporti tra storia internazionale e storia nazionale , sebbene le interpretazioni che se ne danno siano poi dal punto di vista nostro da respingersi , come s ' è detto . La guerra coincise nel suo valore politico con profonde crisi di formazione nello spirito dei vari Stati . Crisi di Stati , più che di Nazioni : l ' ideologia nazionale è inadeguata alla realtà moderna . Le lotte e le contraddizioni della vita nostra si fondano su due esigenze di opposta natura che contemporaneamente si affacciano e generano soluzioni antitetiche le quali potranno essere conciliate soltanto in una fase finale che sfugge alla visione dei pratici dell ' ora . L ' opera della civiltà moderna esige organi superiori in cui l ' azione del singolo sia inquadrata e spontaneamente si organizzi : lo Stato moderno è diventato il termine essenziale della vita sociale . Ma dall ' interno premono esigenze popolari , democratiche , che negano insieme le pretese del nazionalismo e le invadenze dello Stato burocratico e protezionista . Confusamente questi sentimenti nella loro ampiezza europea ebbero espressione nel mito della Società delle Nazioni e talvolta persino nelle aspettazioni bolsceviche . Nei singoli organismi ( attraverso quante esperienze si vogliano di economia associata e di turatismo dilapidatore del pubblico erario ) si prepara l ' affermazione dello Stato etico come Stato liberale e il trionfo dell ' iniziativa nell ' unità . ( Regime parlamentare reso possibile dall ' autonomia e dal decentramento che vi si connettono necessariamente , come propone il Tilgher ) . Anche questa è una forma in cui s ' esprime l ' esigenza dell ' operosa pace economica a cui l ' Europa , non ancora votata al tramonto , anela .
StampaPeriodica ,
Ci sono nel " Manifesto " della Rivoluzione Liberale alcuni sviluppi che sembrano e devono essere soprattutto personali , corrispondendo ad un necessario processo di realizzazione letteraria e stilistica . Su tali concetti , che hanno avuto virtù di suscitare l ' ironia dell ' amico Ansaldo , l ' autore non chiede una adesione politica ; li presenta come spiegazioni di stati d ' animo , descrizioni di atteggiamenti , non limitati a un puro senso biografico , ma ribelli ad ogni carattere sistematico . Né di ciò si vuol discutere , né ricercare analoghi elementi personali , facilmente contestabili in nome di altre esperienze - negli scritti di Burzio , di Formentini , di Ansaldo qui pubblicati . Sotto l ' ottimismo storicistico del Burzio ( incline , per amore alla tradizione riformista a misconoscere le leggi autonomistiche della vita moderna , altra volta , nello studio sulla Democrazia , affermate ) sotto il realismo di Formentini ( che dall ' autocritica è tratto a diffidare di ogni azione ) ; sotto lo scetticismo di Ansaldo ( statico spettatore ) - è agevole osservare un intimo consenso - più o meno specifico - alle premesse e agli intenti del criticato Manifesto . A questo consenso è giusto corrispondere chiarendoci e riesaminandoci , per evitare qualunque incertezza potesse essere sorta dalle antitesi della discussione . E anzitutto qual è il senso della nostra pretesa di aderire alla storia ? La critica del concetto presentata dal Formentini è validissima , ma non si può rivolgere contro di noi . Aderisce alla storia anche chi vi repugna . E la storia è sempre diversa da quella che è presente alla mente di chi si propone di aderirvi . Le due affermazioni opposte sono tutte e due vere . Il presente è e non è nella storia . Perché la storia è insopprimibile , è unità di fatto e di farsi e di non fatto ; ma dalla storia non si deduce - ossia dalla storia non si astrae . L ' azione deve vivere di storia ( di concretezza ) ; ma come azione è qualcosa di nuovo , che al passato non si riduce , libero ; nasce impreveduta , crea valori imprevedibili ; ma poiché alla storia invano si repugna , questo nuovo ha il suo significato in quanto si sforza di sottoporre a sé tutto il passato . Da questa relazione soltanto ( che è quanto dire : da nulla di arbitrario ) nasce l ' avvenire . Quello che il Burzio chiama nostro schema di interpretazione del Risorgimento non è storia del Risorgimento , ma , in un senso molto preciso , storia nostra . Le nostre esigenze nascono da situazioni determinate e solo nel mondo da cui nascono si spiegano . Sarebbe ingenuo pensare che queste esigenze nascano sole , che il mondo , ove hanno luogo , vi si esaurisca creandole . Nel Risorgimento c ' è il nostro Risorgimento e quello di Burzio ; c ' è il riformismo e la rivoluzione : e il Risorgimento dello storico li comprende tutti . La verità della nostra interpretazione è condizionata dalla nostra azione : la legittimità di questa è nella continuità di una tradizione . È vero , perciò che nel Manifesto storia e propositi si generano reciprocamente - condizionati da una nostra volontà . A chi critica la nostra storia del Risorgimento si risponde che essa non è una storia : anche se il farla fosse nei nostri intenti ( in altra ora ) non abbiamo mai creduto che la si potesse preannunciare in un articolo ( sia pure lunghissimo , come alcuno ha protestato ! ) . Mazzini , Cavour , Ferrari e tanti altri uomini idee e forze sono state deliberatamente sacrificate per segnare con semplicità le linee di una crisi attuale , delle direzioni di pensiero che si pretendono continuare . Ma l ' affermazione fondamentale da noi storicamente ed empiricamente commentata , non ha bisogno di prove storiche perché è creatrice della storia , è la verità di tutti i processi vitali : la negazione del riformismo in nome dell ' autonomia delle forze , il necessario riconoscimento della spontaneità rivoluzionaria dei movimenti popolari è concetto a cui crediamo e di cui siamo pronti a dare dimostrazione scientifica se mai qualche ingenuo ne sentisse il bisogno . Abbiamo visto questo principio sostanziale della lotta politica in Italia individuato in elementi ideali e pratici caratteristici del nostro tempo . E qui è dovere fissare i limiti dell ' azione cui si è pensato . Esaltatori della lotta politica , consci che una lotta politica in Italia è stata sinora , per molteplici e chiarite ragioni , soffocata , il problema centrale dello Stato ci è parso problema di adesione del popolo alla vita dell ' organismo sociale , problema di educazione politica autonoma ( non di scuola ) , esercizio di libertà , necessità di conflitti , di intransigenze suscitatrici di una fede laica . Economicamente - diciamo pure con Ansaldo , - creare lo spirito capitalistico . Ci permetta l ' amico Ansaldo : ciò non ha nulla a che fare col protestantesimo e col circolo di cultura religiosa - in Italia il protestantismo non può essere che un momento dello sviluppo cattolico . No , qui il problema è di iniziativa economica e di attività libertaria . I partiti intransigenti , i partiti di masse ( contadini e operai ) operano secondo la linea che noi seguiamo , concludono a un ' opera liberale . In questa premessa l ' identità di Stato liberale ( liberistico ) e di Stato etico , che non convince il Burzio è per sé chiara . Ma a questo punto la rivoluzione reca un ' esigenza , determina dei problemi . II problema essenziale è un problema di espressione , di tecnica realizzatrice . Occorre che il popolo abbia il suo governo , occorre creare una classe dirigente che viva di esso , che aderisca alla sua spontaneità , che corrisponda alla sua libertà . Il compito è parso al nostro Sarmati antitetico colla premessa : il Governo nasce colla rivoluzione , non astratto da essa , non preparato preventivamente . Ma oggi siamo in una crisi rivoluzionaria ; noi sorgiamo dalla rivoluzione dopo aver , lavorato , lavorando con essa e non é certo l ' Ordine Nuovo che possa rimproverarci astensione o indifferenza . Tra il nostro atteggiamento di critici e le nostre conclusioni di pratici c ' è invero una contraddizione tragica , ma vitale : la contraddizione implicita nell ' azione , che é stata tra Cavour pensatore e Cavour ministro , che c ' è tra Nitti capo di governo e Nitti scrittore di economia o di sociologia . Il problema rivoluzionario sarà pure a un certo punto problema di uomini : noi prepariamo gli uomini che sappiano allora accettare la rivoluzione e operare realisticamente . In questo senso le premesse ci conducono a un compito tecnico , diciamo pure al problemismo , cui accenna Formentini . Ma la premessa deve restare ben chiara anche se è lontana : non si tratta del semplice problema di cultura che scorge Burzio . Il risultato si è che mentre pensiamo ad agitare delle forze ( indirettamente o direttamente ) possiamo sembrare ai frettolosi dei riformisti , perché ci occupiamo dei problemi attuali , perché suggeriamo riforme e proponiamo soluzioni . L ' importante si è che questa tecnica non distrugga quell ' autonomia di che siamo ben convinti : e non ci toccano , perché si elidono da sé , le accuse opposte di conservatori e di rivoluzionari che vengono mosse al nostro realismo . Noi non crediamo alla validità delle riforme e invochiamo e favoriamo nuove libere forze : non crediamo alle formule e vi contrapponiamo l ' immensità del reale . Determinare i limiti e i modi della conservazione del resto è stato sempre il compito tecnico dei rivoluzionari . Senonché dice Formentini , che tra i tre amici è il più vicino al nostro pensiero , il problema presente è il collaborazionismo e uno spirito realista deve fare i suoi conti con esso . La funzione transitoria del collaborazionismo socialista è posta dal F . stesso eccellentemente : nonostante i promotori concluderà anch ' esso ad arricchire il trionfo liberale dei popolo , a liquidare i miti e i riformismi . Il nostro atteggiamento deve essere di netta opposizione per ovvie ragioni d ' indole economica , e per una netta antitesi d ' ordine politico : precisamente da un tal fenomeno dipende la validità , il momento del successo della nostra affermazione liberista . In questi termini il nostro proposito di coltura politica ha la sua definizione esplicita : in una interpretazione di forze e in un ' esigenza di tecnica che ognuno di noi sente come problema morale . Non è il luogo di rimproverare utopie , non siamo in nessun mondo fantastico : ci disponiamo serenamente , con l ' ascetismo che opportunamente richiede ( e si chiede ) il nostro collaboratore Formentini a un compito che sappiamo grave , impopolare . Ansaldo non crede che sulla nostra via si possa trovare il successo , non crede che del problema ci sia una soluzione . Il suo scetticismo si aggrappa alla storia , da ciò che non c ' è stato deduce ciò che non ci sarà mai . Il che è manifestamente antistorico . Col metodo di Ansaldo era agevole negli anni del Risorgimento negare la legittimità degli sforzi unitari . L ' unità d ' Italia non c ' è mai stata , dunque non ci sarà . É un argomento che prova troppo e che cade da sé . Non si capisce come da tutto il sottile e profondo discorso con cui egli commenta il nostro manifesto possa derivare una conclusione imprecisa che non risolve le esigenze accettate . La classe di mandarini amministratori sarà sempre in antitesi con un popolo che sta sorgendo a vita economica e a vita politica ( e questo fatto s ' è provato nel Manifesto ) : dunque la soluzione provvisoria si negherà in altre soluzioni più vitali . Le esperienze dei Comuni , del Rinascimento , del Risorgimento non sono storie di fallimenti , ma indicazioni di stati d ' animo , di insopprimibili aspirazioni . Non è da chiedersi se noi saremo capaci di continuarle , di concluderle : certo l ' impresa è la più realistica che oggi si possa pensare ; di quel temerario realismo , che sa vedere e creare la realtà dove altri chiacchiera , pavido , di utopia . Per questo l ' abbiamo posta come compito della nostra vita .