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Sedotta e abbandonata di Pietro Germi ( Grazzini Giovanni , 1964 )
StampaQuotidiana ,
Con Sedotta e abbandonata gli affezionati spettatori di Divorzio all ' italiana si ritrovano in una Sicilia dominata da un grottesco senso dell ' onore , nuovamente si muovono in un clima cupo e afoso con bagliori terrificanti , in cui scoppiano feroci contrasti familiari , e per la seconda volta s ' imbattono in una Stefania Sandrelli concupita da un focoso isolano . Simile la cornice , analogo il desiderio del regista , Pietro Germi , di accusare , raccontando una storia inventata , l ' ipocrisia dei costumi locali e della legislazione italiana , i due film restano tuttavia ben lontani l ' uno dall ' altro . Quanto c ' era , nel primo , di elegante ironia , in Sedotta e abbandonata è divenuto più vivace ma crudo sarcasmo , e quanto in Divorzio all ' italiana era caustico ricamo , qui è spesso pesante e quasi iroso cipiglio . Si ha l ' impressione che Germi , calcando la mano in una pittura d ' ambiente che d ' altronde amalgama toni di diversissima provenienza culturale , da Goya a Buñuel , senza passare attraverso il realismo di Verga e il rigore intellettuale di Pirandello , si stia inventando una Sicilia su misura , quasi un pretesto per una verifica storica del suo gusto di cogliere situazioni umane in cui il tragico e il comico si alleano . Dio ci guardi dal negare che molti siciliani concepiscono l ' onore come un astratto valore formale , e che in un caso come quello raccontato dal film eviterebbero di riparare con l ' ipocrisia d ' un matrimonio forzoso all ' offesa recata a un pregiudizio : è probabile però che in Sedotta e abbandonata ci sia per soprammercato un astio che discende dal dispetto di veder sopravvivere , nel mondo di oggi , queste zone depresse della morale e del costume , e nel contempo una voluttà derisoria nata dal compiacimento di aver individuato un luogo che offre tante risorse di spettacolo beffardo . In casi simili lo sdegno di Germi moralista si azzuffa col piacere di Germi regista , e ne esce un ' opera arrabbiata e in fondo crudele e improbabile . Questa contraddizione è denunciata , nel film , dalla variabilità dello stile , ma soprattutto dalla caduta in quel genere della commedia paesana , ai limiti col vernacolo , che per il troppo colore rinunzia alla finezza del disegno psicologico . Se fate un confronto fra il barone Cefalù e il protagonista di Sedotta e abbandonata , questo grasso , iracondo imprenditore della provincia siciliana al quale è stata violata una figlia , e che non si darà pace finché i due , pur odiandosi , non si saranno sposati , misurate tutta la diversità di stoffa dei due film : l ' uno saldamente ancorato all ' interpretazione squisita di un Mastroianni , l ' altro affidato all ' esperienza di un Saro Urzì , attore valoroso ma irrimediabilmente caratterista . Da questa scelta , e forse dall ' intervento , in sede di sceneggiatura , di Age e Scarpelli , i quali devono avere affollato l ' originario soggetto di Germi e Vincenzoni di episodi collaterali e scenette di dubbio umorismo , derivano tutti i guai del film : la galleria di macchiette , il gioco delle scene e delle controscene , la forzatura comica , l ' insabbiarsi di quella nota tragica che di quando in quando riaffiora , e allora appartiene al Germi migliore , ma cui più spesso si sostituisce una concitata orchestrazione di motivi già largamente scontati dall ' immensa pubblicistica sui costumi siciliani . Della trama basti ricordare , per sommi capi , la linea centrale : la violenza subita da Agnese , studentessa sedicenne , da parte di Peppino , fidanzato d ' una sua sorella , Matilde ; la scoperta dell ' infamia da parte del padre di lei , il rifiuto di Peppino di sposare Agnese perché gli ha ceduto , le chiacchiere della cittadina , le furie del genitore offeso , che architetta un finto rapimento per giustificare agli occhi della gente le nozze . Rifiuto , questa volta , di Agnese , ma finale cedimento dei due giovani ai sacri principi dell ' onore familiare . Il padre muore di crepacuore , ma il giorno stesso dello sposalizio , e perciò chiude gli occhi soddisfatto ; la Matilde defraudata di due fidanzati ( oltre Peppino ha perduto anche un nobile spiantato che il padre le aveva messo attorno ) si fa monaca ; i parenti e gli amici si consolano con i cannoli . Questo il succo della storia , che però si disperde in un gran numero di svolte , alcune indubbiamente intelligenti e raccontate col nerbo e l ' estro del Germi più forte e denso , altre risapute : insomma in una disuguaglianza di livelli stilistici e narrativi che fa maggiormente avvertire lo scarso amalgama dell ' impasto , e rimpiangere la stringatezza d ' un altro film di Germi girato , come questo , a Sciacca : In nome della legge . Fra i molti attori Stefania Sandrelli è un ' Agnese tutta in nero , che talvolta riesce a farci intuire il suo chiuso dolore ; il debuttante Aldo Puglisi è un seduttore anche troppo impacciato ; Leopoldo Trieste ha una mimica efficacissima : su tutti gli altri si riverbera l ' equivoco di una recitazione che toglie in verosimiglianza quanto eccede nei tratti farseschi .
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A ogni altra considerazione sul film che Pasolini ha tratto dal « Vangelo secondo Matteo » bisogna avanzare una premessa : l ' azzardo ha avuto già il suo premio nel coraggio , nella buona fede , nella rigorosa aderenza al testo sacro . Non soltanto il film è assolutamente ortodosso , tanto che la « Pro Civitate Christiana » ha sentito il bisogno , con un certo candore , di rilasciare una dichiarazione per avallare la pellicola , ma ha persino i caratteri chiesti dallo schema conciliare ai mezzi di comunicazione sociale intesi a diffondere la parola evangelica . Pasolini , che ha dedicato il suo film alla « cara , lieta , familiare memoria di Giovanni XXIII » , sta dunque per prepararci la sorpresa di una conversione ? Per evitare equivoci ricordiamo le sue parole : « Io non credo che Cristo sia figlio di Dio , perché non sono un credente , almeno nella coscienza . Ma credo che Cristo sia divino : credo cioè che in lui l ' umanità sia così alta , vigorosa , ideale , da andare al di là dei comuni termini dell ' umanità » . E confessò che per lui , scrittore razionalista , l ' idea di fare un film sul Vangelo era frutto di « una furiosa ondata irrazionalistica » . « Voglio fare pura opera di poesia » . Questo è dunque il versante dal quale il film va giudicato : come un ' opera di poesia . Più esattamente , come un ' illustrazione del testo di Matteo . Nel film , infatti , non c ' è una parola scritta da Pasolini . Messosi di fronte il Vangelo , lo scrittore - regista ha cercato di individuarvi i passaggi più significativi , rinunziando a una restituzione integrale che avrebbe allungato di troppo la pellicola , e quelli ha inteso tradurli con immagini realistiche , descrizioni ambientali e forti Tipizzazioni , integrati dalle scarse battute di dialogo tramandate dall ' evangelista . Ispirandosi alla tradizione figurativa tre e quattrocentesca italiana , in prevalenza a Piero della Francesca , scegliendo un commento sonoro nel quale si va da Bach a Mozart alle canzoni popolari e agli spirituals negri , collocando l ' azione nei luoghi più aspri dell ' Italia meridionale , Pasolini ha poi voluto dare un forte rilievo formale al complesso dell ' opera , intesa , così ha detto , come un « racconto epico - lirico in chiave nazionale - popolare » . Vale a dire come la storia di un mito religioso , quale fu vissuto da un popolo in miseria , oppresso da soldati stranieri e da una prepotente classe dirigente . Senza tuttavia riferimenti storici precisi ( il film è così privo di preoccupazioni di verosimiglianza che sullo sfondo della deposizione , in una curva , si vede passare un pullman , e i personaggi , salvo il protagonista - che ha la voce di Enrico Maria Salerno - parlano con uno spiccato accento meridionale ) : anzi continuamente risolvendo i fatti e le parole in emozioni estetiche , grazie a un potere di visualizzazione che il testo di Matteo contiene in sommo grado , e il bravo regista vuole estrarre e volgere al dramma . La trasfigurazione del reale è compiuta da Pasolini con lunghi silenzi : pur essendo condotto con modi realistici , ed echi moderni che giungono sino ad alludere agli squadristi fascisti nelle guardie di Erode , il film è in realtà tutto una sublime astrazione intellettuale . È un capolavoro di letteratura , che si appoggia su due pilastri : da un lato un testo carico di metafore , dall ' altro una serie di tessere , figurativamente splendide , che per l ' abbondanza delle ellissi non si compongono in mosaico narrativo . Ammirabile per l ' intelligenza del contrappunto fra la figura di Cristo ( il giovane spagnolo Enrique Irazoqui , finalmente liberato dalla soggezione alla tradizione iconografica più vieta , che voleva Gesù biondo e con i capelli sciolti sulle spalle ) , ardente nella propria certezza di essere il figlio di Dio , alto e magro , di parola elegante , e le figure dei suoi rozzi apostoli , spinti dalla fede ma talvolta ancora perplessi tra la sicumera dei farisei , ornati di alti turbanti , e la spontanea attesa del popolo lacero ; acceso di virtù propriamente cinematografiche in sequenze come il rimorso e il suicidio di Giuda ; talvolta felice nel serrare nell ' immagine pregnante il senso poeticamente rivoluzionario del testo evangelico , il film ha però scarsa forza avvincente per la frantumazione del racconto , che procede a sbalzi , sulla metà quasi arranca , e solo si riprende sul finale , con la fulminea scena della crocifissione e della resurrezione . Chi volesse cercare le cause dell ' impaccio del film , di quel ripiegarsi in una compostezza formale che non si dispiega in libero canto , dovrebbe rifarsi alla sua ambigua impostazione . Combattuto fra ideologia e sentimento , Pasolini ha tentato di recuperare al suo laicismo i caratteri della religiosità , ma poiché l ' operazione ha un accento volontaristico , gli è sfuggito quel carattere precipuo che è il senso del mistero . Egli ha cercato di ispirarsi a Ordet di Dreyer , ma a differenza di quest ' ultimo l ' intuizione del Vangelo gli si è presentata sotto forma colta , con un corredo figurativo e musicale di estrazione dotta . Quando Cristo dice che il regno dei cieli appartiene piuttosto ai poveri di spirito si rivolge anche a questi traduttori della Parola in un visibile caduco . E s ' intende che queste riserve non intaccano la grande novità dell ' opera , la bellezza della fotografia di Tonino Delli Colli , l ' acume di certe soluzioni , come la serie di dissolvenze per l ' irruente discorso della montagna , la straordinaria evidenza espressiva dei primi piani ( fra gli attori , non tutti professionisti , figurano i poeti Alfonso Gatto , Rodolfo Wilcock , Francesco Leonetti , e la scrittrice Natalia Ginzburg ) , la suggestività dei paesaggi , l ' incisività di alcune figure , come quella della giovane Maria e dell ' angelo del Signore . Fra i meriti del film metteremmo anche l ' idea di situare il processo e la condanna di Gesù in una prospettiva lontana , quasi a significarne l ' inverosimiglianza agli occhi degli apostoli posti in primo piano , se pure in questo continuo collaudare il dramma sull ' emotività dei discepoli il film non rivelasse la debolezza di volere misurare nei testimoni l ' altezza del suo protagonista . Che è una forma di pudore , ma anche un sintomo di freddezza . Le polemiche che hanno accompagnato il Vangelo , sul grado di sincerità di Pasoliní , sull ' eco che vi risuona di un connubio clerico - marxista , esulano da un giudizio obiettivo sul film , anche perché in qualche caso denunciano quello stato di minorità culturale che trova una tipica espressione nell ' incapacità di staccare la figura dell ' autore dalla sua opera . Si potrà , anzi si deve , discutere sull ' opportunità di portare sullo schermo Gesù Cristo , cui forse giova , perché se ne colgano tutte le implicazioni umane e divine , conservare un senso di mistero ; e sulla liceità di accentuare , con una interpretazione realistica che dà alla sua predicazione toni da comizio , il significato di un messaggio sociale il quale va inserito in un più ampio quadro ideologico e morale ; e infine sulla convenienza di raccontare non tanto la vita e la parola di Cristo quanto , come ha fatto Pasolini , il mito di Cristo quale fu ed è inteso dai diseredati . È indubbio tuttavia che l ' esperimento di Pasolini ha un notevolissimo valore di stimolo , distrugge la tradizione oleografica riallacciandosi al più robusto filone dell ' arte d ' ispirazione religiosa , e conferma l ' immenso fascino esercitato dalla figura di Gesù in un mondo che ne sembra tanto lontano . In sede più rigorosamente stilistica la qualità plastica del film , la straordinaria scelta dei volti , cui è affidato il compito - non volendo aggiungere parole al testo di Matteo - di riempire con semplice e potente espressività i vuoti fra le brevi battute di dialogo , collocano questo Vangelo cinematografico in una sorta di laica e moderna pinacoteca che rivela , insieme al gusto per il genere realista del suo ordinatore , una inquieta ricerca del divino nella suprema armonia con cui può comporsi l ' umano .
Deserto rosso di Michelangelo Antonioni ( Grazzini Giovanni , 1964 )
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Povera Giuliana . Ha già tentato una volta di uccidersi , ma non ce l ' ha fatta , e nell ' incidente automobilistico ha preso una tal botta in testa che nonostante un mese di clinica non è più riuscita a trovare il suo equilibrio . Invece di mandarla in convalescenza in campagna , o a distrarsi in un ' allegra stazione turistica , il marito , ingegnere , se l ' è riportata , col figlioletto , sui luoghi dove lavora : nella zona industriale di Ravenna , tra altiforni , ciminiere , serbatoi , un paesaggio deprimente , grigio e fumoso . Sfido io , la poverina dà fuori da matta . Anziché « reinserirsi nella realtà » , continua a soffrire di angosce e di incubi notturni , striscia lungo i muri , è tutta un brivido . Né il marito , che ha già dato prova di insipienza , muove un dito per aiutarla : non la incoraggia nel proposito , da lei manifestato , di aprire una boutique , anzi le mette intorno degli amici stupidi e sporcaccioni , con i quali la porta a passare una giornata in una baracca sul mare . La casa , povera Giuliana , è deprimente , arredata con mobili e soprammobili provvisori ; il bambino , Dio mio , non ride mai , è un mostriciattolo che armeggia con giocattoli avveniristici , e si diverte a spaventare la mamma . E gli operai ? Persino fra di loro la nevrosi ha mietuto vittime . Quando arriva Corrado , un collega del marito , Giuliana tenta di sciogliersi : un po ' impietosito dalle condizioni di lei , un po ' attirato dalla malattia della donna , in cui crede di riconoscere le proprie inquietudini di uomo randagio , Corrado le gironzola intorno . Vorrebbe aiutarla , e anche lei per un poco ci spera , ma tutto finisce in una camera d ' albergo . Non sarà certo Corrado che potrà guarire Giuliana dalla nevrosi . È il male del secolo , tutti ne siamo affetti . Matti incurabili , l ' unico conforto ci viene dal tenere per mano un bambino e dall ' avere coscienza della nostra condizione . La colpa di tutto ? Innanzi tutto , della civiltà industriale . Gli uccellini , che hanno un cervello da uccellino , l ' hanno capito che dalle ciminiere esce un veleno mortifero , e non ci passano più . Gli uomini , invece , testoni , ci vanno a vivere in mezzo , peggio per loro . Questo il nocciolo della storia raccontata dal Deserto rosso , il film di Antonioni presentato stasera alla Mostra di Venezia . La sua fragilità ideologica è evidente a chiunque non sia malato di intellettualismo . Antonioni non aggiunge nessun zuccherino alla sua pessimistica analisi del mondo contemporaneo , disumanizzato dal progresso scientifico ; ma la sua condanna della civiltà delle macchine sembra ormai coinvolgere l ' eterna condizione dell ' uomo . Giuliana , per far star quieto il bambino , favoleggia di un mondo primitivo , di una ragazzina libera e felice nell ' acqua di un ' isola , e tuttavia inquietata da un ' oscura presenza : qui ( l ' unica apertura ridente del film ) , non soltanto si proietta lo stato d ' animo della novellatrice , ma lo stesso rimpianto del regista , che transita per « questa nostra dimora terrestre » . come ama chiamarla , nostalgicamente rammemorando gli evi felici della pesca e della pastorizia , tuttavia già incrinati dalla minaccia dei mostri . Abbastanza superficiale nel voler far dipendere tutti i guai contemporanei , con un determinismo ottocentesco , dall ' inferno industriale , il film rivela la sua origine intellettualistica nel fatto che la molla dell ' ispirazione non è scattata per l ' intuizione di un carattere o di un nodo sentimentale , già fusi con un ' atmosfera , ma , per ammissione dell ' autore , di rimbalzo a una visita agli stabilimenti di Ravenna , vedendo le risorse rappresentative che si potevano trarre da quel rauco paesaggio di bitume e di strutture meccaniche . Poiché l ' ambiente preesisteva , Antonioni vi ha calato dentro dei personaggi che dovevano forzosamente aderirvi . Se sono risultati delle maschere schematiche , alle cui disavventure non partecipiamo , è perché la tesi era già risolta nel momento stesso dell ' impostazione , e il rapporto fra i personaggi e i luoghi non comportava più , come ancora nell ' Eclissi , alcuna dialettica . Si trattava semplicemente di un ' opera di giustapposizione , alla quale erano estranei ogni senso del dramma e ogni palpito di passione . Se è questo che Antonioni voleva , ci è riuscito perfettamente . Usando il colore , con entusiasmo da neofita , e anche la musica elettronica , per esprimere unitariamente la desolazione del panorama e lo squallore dei personaggi , egli ha saputo con maestria costruire un universo disameno che riesce a deprimerci tutti , benché nessuno sappia dimenticare che il catalizzatore della storia è un caso clinico , e perciò scarsamente generalizzante . L ' aver poi , come egli ha fatto , dipinto l ' erba e gli alberi , per renderne il colore più funzionale , conferma quanto si diceva : che il regista , intervenendo sugli oggetti per farli combaciare ai sentimenti , ha coinvolto se stesso in quel processo che demolisce l ' antico rapporto fra uomo e natura contro il quale protesta . Di per sé il colore è adoperato con bellissimi effetti : su una base neutra , il grigio della desolazione , Antonioni ha giocato estraendo dalla tavolozza del technicolor e dell ' eastmancolor pastosità che a tutt ' oggi restano insuperate , e pongono il film fra le più alte conquiste della sensibilità cromatica del regista italiano . Il clima scenografico è perciò di straordinaria potenza evocatrice ( come talune invenzioni , basti citare il bastimento che sembra navigare fra gli alberi , sono la conferma di un genio cinematografico su cui non occorre nemmeno discutere ) . Ma a che vale aver raggiunto con tanta gloria il traguardo del colore , se esso è messo al servizio di una tesi superficiale , di una storia priva di sviluppi narrativi sia pure interiori , di personaggi per i quali non proviamo né simpatia né pietà , e di una recitazione molto modesta ? Se Deserto rosso non è stato una delusione , perché tale in ogni caso da suscitare polemiche culturali ( e per scrupolo di informazione si aggiunge che qui a Venezia il film è piaciuto a molti ) , nell ' interpretazione ha però mancato quasi tutte le promesse : 1'esagitazione di Giuliana , interpretata da una Monica Vitti stanca di impersonare donne angosciate , è tutta rovesciata all ' esterno . Richard Harris , nella parte di Corrado , è di una totale inespressività , degli altri non si ricorda nemmeno il nome . Perché anche la recitazione manca di fluidità e il difetto di un film pur figurativamente così suggestivo come Deserto rosso è nella visionaria fantasia di un intellettuale di provincia che ha identificato il diavolo con le fabbriche , e crede che tutta l ' umanità sia chiusa in un cerchio di dannati , ciascuno nella sua gabbia . Andiamo a Ravenna , e vediamo quanti sono gli operai , gli ingegneri , le mogli dei tecnici che si comportano come nel film .
Matrimonio all'italiana di Vittorio De Sica ( Grazzini Giovanni , 1964 )
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Salvo nel titolo , che assurdamente devia nel grottesco un dramma di sentimenti per voler scimmiottare il film di Germi ed ereditarne i vantaggi mercantili , Matrimonio all ' italiana è quasi interamente riuscito , e risolleva di colpo , anche agli occhi del pubblico più esigente ( quello che non aveva capito le ragioni della travolgente carriera di Ieri , oggi , domani ) , il prestigio di Vittorio De Sica , troppo presto , dopo I sequestrati di Altona e Il boom , dato per agonizzante . Ora si dirà che il merito non è tanto di De Sica quanto della bellissima commedia di Eduardo , Filumena Marturano , da cui il film è tratto , una delle conquiste più alte del teatro italiano del secondo dopoguerra . E invece no . La riprova è facile : basta confrontare Matrimonio all ' italiana con l ' edizione cinematografica che della commedia dette lo stesso De Filippo nel 1951 , e la TV nel '62 : opere che ne rispettavano sostanzialmente la struttura teatrale , portando pochi mutamenti all ' originale ; mentre questa di De Sica , pur restando fedele al nucleo primitivo , non soltanto ritocca l ' età dei protagonisti , modifica e aggiunge qualche scorcio narrativo , ma si muove in un ambito rappresentativo molto più ricco di polline fantastico , tanto più fluido , arioso e iridescente . Grazie appunto all ' intelligenza con cui De Sica fa ricorso al linguaggio cinematografico , lo usa , raccontando a ritroso quando gli giova , per spezzare l ' unità di tempo e di luogo , senza tuttavia slabbrare quel centro emotivo , quel sentimento della maternità e della paternità , che è il cuore della commedia di Eduardo . Perché De Sica abbia raggiunto il traguardo s ' intuisce : per la perfetta fusione fra il soggetto , il regista e l ' attrice protagonista . Un ' intesa che mai era stata così completa , e dalla quale , balza agli occhi , resta escluso Mastroianni , interprete sempre duttile e disponibile , ma qui meno capace , quasi si direbbe per ragioni di sangue ( e perciò l ' attore ne esce assolto ) , di partecipare a un universo tutto grondante di quell ' impasto , sublimemente napoletano , di lacrime e di gioie . Matrimonio all ' italiana salda insieme , su un comune fondo di speranza nell ' umanità , il dolore di Eduardo e il sorriso di De Sica , fiorisce dal connubio fra la pietà e l ' ironia . Ma se al primo si deve questo forte ritratto di donna , immerso nell ' amore per la carne della sua carne e nel disperato sentimento della giustizia che palpita in questo amore , dobbiamo a De Sica e ai suoi sceneggiatori il vederlo lievitare nell ' aurora dell ' adolescenza disgraziata , quando prima che madre Filumena è una giovane la quale sogna di essere tolta dal lupanare e di essere trattata come una vera signora . In questa , che è la parte più originale del film , lo sforzo dell ' ambientazione e del modellato psicologico ha esiti impeccabili per precisione di tocco e festosità di accenti . Sono pagine in cui i colori della cornice napoletana hanno trovato in De Sica , così bene aiutato dai costumi di Piero Tosi , un artista che conosce a memoria la sua tavolozza , ma ora sa anche attingervi con gran discrezione . E infatti gli elementi pittoreschi ( i vicoli di Napoli e il piccolo coro di macchiette di fondo ) si vengono a poco a poco smorzando nel prosieguo del film , via via che le figure dei protagonisti prendono corpo e risalto . Sul finire il colore locale ha perso ogni accento folcloristico : Filumena e Domenico sono quasi due puri simboli dell ' istinto materno e dell ' istinto paterno . I singhiozzi di Filumena , che sigilla col pianto l ' atteso trionfo della giustizia , e l ' affettuosa ironia punitiva rivolta su Domenico , costretto a dividere fra tre figli , uno solo dei quali è suo , il proprio affetto di padre , si sono fusi in una squisita penetrazione malinconica del cuore umano . Filumena rispose per prima , fin da giovanissima , per pietà di se stessa e dei figli allevati in segreto ; Domenico ha risposto sulla cinquantina , costrettovi dalla propria ambizione più che dalla propria coscienza : ma in ambedue ha parlato la voce del sangue . Ancora una volta è stata una donna a farla vibrare così forte da incrinare nell ' uomo la corazza dell ' egoismo . Ricordiamo brevemente la trama . Filumena Marturano è passata direttamente dalla miseria di un « basso » alla vergogna di un postribolo . Domenico Soriano , uno dei suoi clienti , pasticciere benestante , prima le mette su un appartamento , poi se la porta in casa , perché faccia da amante , da serva e da infermiera della vecchia madre svanita . La donna accetta , sempre con la speranza di essere sposata , ma gli anni passano , le sue grazie appassiscono ; quando Domenico sta per impalmare una giovane cassiera , Filumena finge di essere moribonda . Preso di contropiede , Domenico accorre al suo capezzale , e convinto che morirà accetta il matrimonio in articulo mortis . Subito lei salta dal letto , guarita , e le proteste dell ' uomo ingannato si mutano in sbigottimento quando Filumena gli confessa di essere madre di tre ragazzi , cresciuti lontani con i soldi di Domenico , e di aver combinato il trucco perché anch ' essi abbiano un nome . Al rifiuto del marito , la donna accetta di annullare il matrimonio , ma gli rivela che uno dei tre è figlio di lui . Domenico cerca invano di individuarlo ; poiché Filumena , volendo che tutti e tre abbiano uguali affetti e diritti , non gliene dirà mai il nome , all ' uomo non resta che farne per sempre sua moglie . I ragazzi assistono alle nozze , lo chiamano papà : il dubbio che continuerà a tormentarlo sarà il trionfo di Filumena . Film insieme di caratteri e di atmosfera , Matrimonio all ' italiana ha anche qualche difetto : lo scarso approfondimento di Domenico , visto spesso dall ' esterno , un ritmo che si desidererebbe talvolta più serrato , la rinuncia a quell ' appello alla Madonna che la commedia sottolineava giustamente come un momento tipico della natura femminile e napoletana ( qui trasferito , in chiave di caricatura , sulla figura della suocera paralizzata ) , quel bacio sulle pendici del Vesuvio , una concessione moralistica che sa di accomodaticcio , questo sì « all ' italiana » , perché nega valore alla rivalsa di Filumena . Ma quante intuizioni , in compenso , nella definizione dei personaggi ( lei dapprima così spontanea , festosa , e poi delusa , di una astuzia popolana , incapace di credere che il cuore di Domenico sia una pietra prosciugata ; lui azzimato , col fiore all ' occhiello , preoccupato della propria eleganza e dignità , infine piegato all ' espiazione ) , nelle invenzioni propriamente registiche ( l ' iniziale processione di Filumena in deliquio , portata come sulla sedia gestatoria , il comizio politico che fa da ironico sottofondo , il cordoglio del vicinato per la morte della vecchia , i ragazzi introdotti di soppiatto a mangiare le paste , certi gesti della protagonista : il buttarsi sul minestrone dopo la commedia dell ' agonia , lo strapparsi il cappello dopo essere stata sconfitta dal codice , significativo rifiuto della dignità borghese ) , nella scelta delle luci , talvolta riecheggianti i colori della pittura napoletana , nelle soluzioni scenografiche e nella aderenza del commento musicale . Domina , su tutto , la precisione del tono , la compostezza dello stile , il delicato equilibrio fra la rappresentazione e il tratteggio psicologico , con « a fondo » di commozione profonda , come sempre quando si tocca l ' anima umana , e con una attrice umanissima quale Sophia Loren , che qui raggiunge in certi casi lo slancio della Ciociara , ma che è sempre ben presente a se stessa , nel pieno della sua forza vitale ed espressiva , graduata con mano maestra nell ' affettuoso ricordo dell ' indimenticabile Titina De Filippo , alla cui memoria il film è dedicato . Un film che dal vaso dell ' allegrezza versa in cuore il pianto della vita . Batte nel nostro petto , e colpisce a morte , senza rinunziare alle gioie dello spettacolo , le sozzure , le idiozie , le borie del ' cinema plebeo o intellettuale .
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Rabbrividente , d ' immensa disperazione , bel film quest ' ultimo di Martin Ritt , La spia che venne dal freddo , con tutte le carte in regola per reggere il confronto col romanzo omonimo ( edito in Italia da Longanesi ) . Dove John Le Carré , lo sanno quattro milioni di lettori sparsi in tutto il mondo , rimette le cose a posto in questo uggioso affare degli agenti segreti , gonfiati oltre il lecito come eroi dell ' avventura o benefattori dell ' umanità . Sono , al contrario , sordidi relitti della società , nei quali l ' alienazione celebra i suoi più miserabili trionfi , oggetti manovrati dalle centrali del controspionaggio con gelido razionalismo , anime sacrificate al mito della sicurezza , rottami sbattuti da un paese all ' altro , costretti a recitare in maschera diffidando di tutto , a cominciare da se stessi . La storia di Alec Leamas squarcia le pittoresche cortine in technicolor che sinora hanno nascosto il dramma di ignare pedine giocate su un lurido scacchiere ( come nella storia di Hud il selvaggio Martin Ritt aveva sfatato la leggenda del West ) . Leamas è un irlandese che lavora per il servizio segreto britannico , addetto al controllo delle spie sparse nella zona est di Berlino . Le cose gli vanno male : tutti i suoi uomini sono stati individuati e fatti fuori da Mundt , capo del controspionaggio comunista , anche Riemeck che era riuscito a entrare nel praesidium del partito . Londra gli offre un ' ultima missione , un capolavoro di doppiogioco : si finga licenziato e alle rotte con 1'Intelligence Service , accolga l ' invito che Pankow certamente gli rivolgerà di passare dalla loro parte , e semini il dubbio che Mundt è pagato dagli occidentali . Il vice di Mundt , l ' ebreo Fiedler , abboccherà all ' amo in odio al suo capo , lo denuncerà e così l ' osso più duro sarà eliminato . L ' etichetta impone di non dire come Leamas , andato a tendere la trappola , cada poi nel satanico trabocchetto che era stato invece preparato per Fiedler , e quale parte abbia nel trucco feroce una povera ragazza londinese , iscritta al partito comunista e innamorata di Leamas . Né , sempre per lasciare allo spettatore il gusto di cavarne da solo le gambe ( ma faccia provvista di fosforo , prima d ' entrare nel cinema ) , possiamo motivare le nostre riserve sul finale , che a suo modo è di un ottimismo moralistico più convenzionale di quanto sembri . Ma non ci dorremo se queste enigmatiche allusioni serviranno ad acuire l ' attesa del pubblico . Perché , come vedrete , il film non sopporta parafrasi che banalizzino il complesso , laborioso tessuto del racconto , costruito a scatole cinesi sulle lame di un ' intelligenza d ' acciaio , ogni svolta un filo più tagliente , e percorso dal gelido soffio d ' una perfidia mostruosa . Con nello sfondo un paesaggio allucinante , non tanto per la presenza emblematica del « muro » berlinese ( ricostruito a Dublino ) - tutta la sequenza del processo tradisce anzi qualche scarto tra il film e il romanzo , ambientato negli anni della guerra fredda - quanto per il delirio di infamia consumato nell ' utilizzare i sentimenti come arma segreta : clima , situazioni , passaggi , che la regia di Martin Ritt esprime con calzante rigore stilistico . Teso senza pause in uno spasimo di crudeltà , aiutato da un commento musicale che cala amari rintocchi sul destino delle spie , e dalla luce fredda , rasa , d ' una fotografia che riscatta nella funzionalità psicologica del bianco e nero i virtuosismi spettacolari dei vari James Bond , il film ha azzeccato in Richard Burton un interprete di meravigliosa efficacia , nel quale i lettori del romanzo riconosceranno al di là d ' ogni attesa la fisionomia del loro tragico eroe . Nonostante la pubblicità e la signora a cui nella vita si accompagna , Burton è un attore che cresce , di notevole ingegno e di fortissima disponibilità . Guardate di cosa è capace quando trova un regista in stato di grazia : come , soprattutto nella prima metà , dove si muove su un doppio piano psicologico , sa aderire all ' immagine nevrotica del personaggio , come riesce a identificare la finzione e la realtà , finalmente come si dibatte nelle tenaglie della paura . La piccola , sempre volenterosa Claire Bloom , l ' ottimo Oskar Werner , il duro Peter Van Eyck gli fanno degna corona .
L'armata Brancaleone di Mario Monicelli ( Grazzini Giovanni , 1966 )
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Pasqua gaudiosa con L ' armata Brancaleone di Mario Monicelli , uno dei film più nuovi che il cinema italiano ci abbia offerto negli ultimi anni , tutta una fresca cascata di ridarella per il pubblico d ' ogni età . Specialmente per quanti , memori dei sudori scolastici , si divertiranno a vedere volta in burla l ' immagine di un Medioevo che la tradizione romantica fasciò di aloni mistici , eroici e cavallereschi , e che invece nel film è lo sfondo grottesco delle vicende d ' un gruppetto di cialtroni guidati alla ventura da Brancaleone da Norcia , un fanfarone in cerca di gloria militare e di appetitose donzelle . L ' occasione di acquistar fama e quattrini gli è data , questa volta , da quattro ribaldi che gli propongono d ' entrare in possesso d ' un feudo pugliese purché divida con loro i frutti dell ' impresa . Detto fatto , per raggiungerlo la compagnia si mette in viaggio al ritmo delle strofette del prode Anselmo di Visconti Venosta ; ma la via è lunga e perigliosa , e cosparsa di tutti i tranelli che Age e Scarpelli potessero inventare . Scampato alla peste e alle voglie di una vedova impaziente , Brancaleone s ' intruppa con un monaco che va in Terrasanta ; ma presto lo abbandona , e si dedica al salvataggio di una verginella dai briganti , per portarla intatta al promesso sposo . Assolta malamente la missione , sempre a rischio della pelle , e col cuore a pezzi , altre peripezie sopravvengono ad accrescere e assottigliare la masnada ( uno di loro , un vecchietto ebreo , tira il calzino ; un altro , salvato da un orso , viene ritrovato in una caverna ) . Dopo una breve sosta presso una dissoluta famiglia bizantina , l ' armata finalmente arriva in Puglia , dove , manco a dirlo , l ' aspettano i pirati saraceni . Se non finiscono tutti impalati è perché sopravvengono i pellegrini cristiani , con i quali , nel prossimo film della serie , i brancaleonidi parteciperanno alle Crociate . Rimediando alla disorganicità del racconto con una fantasia ironica che serpeggia inesausta in ogni sequenza ( soltanto sul finire un poco si slenta ; ma almeno in un quadro , quello della famiglia bizantina , è da antologia ) , Monicelli ha firmato un film in cui gli antichi sapori dei Soliti ignoti s ' impastano felicemente col gusto antiretorico della Grande guerra . Se il divertimento è assicurato dal bizzarro amalgama linguistico , dal rilievo delle macchiette , dal tono parodistico di tutte le situazioni , l ' estrema eleganza formale e lo splendore figurativo espressi dalla fotografia a colori di Carlo Di Palma e dei favolosi costumi di Piero Gherardi pongono L ' armata Brancaleone tra i film di cui si serberà più grata memoria . Protagonista eccellente ne è Gassman , impagabile incrocio fra Don Chisciotte , un samurai e Guerin Meschino ; ma ancora più di lui è esilarante Enrico Maria Salerno nella parte del monaco Zenone . Catherine Spaak e Gian Maria Volonté , Maria Grazia Buccella , Folco Lulli e Barbara Steele non sono da meno , bravi e spassosi in un film zeppo di chiasso paesano e di sberle contro gli uomini , le cose , i miti della storia nazionale .
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Pasolini continua a farci sorprese . Ora ha inventato il film « ideo - comico » , che sarebbe l ' umorismo applicato alla politica e alla sociologia , ovverosia l ' impegno ideologico superato dalla favola ; insomma , il cervello scavalcato dalla poesia . Per capirci meglio : Pasolini è un intellettuale scontento , che andando in là con gli anni sente l ' insufficienza degli schemi razionali della cultura di sinistra , e capisce come qualmente la storia proceda per vie ignote e misteriose , sulle quali però l ' intelligenza del cuore incide più delle formule dottrinarie . Questa presa di coscienza è netta , ma poiché Pasolini diffida di se stesso ( ancora qualche anno , e l ' Immoralista sarà tutto risucchiato nella sua matrice borghese ) , intanto ha prodotto una singolare figura di artista , il quale non vuole rinunziare alla speranza marxista ma nel contempo è corretto dall ' esperienza sentimentale , e faticosamente cerca di rispondere al solito « quo vadis ? » sposando Cristo a Marx , passando se occorre attraverso il Croce . Chiamato ad esprimere questo viluppo di stati d ' animo e di stimoli intellettuali , ha avvertito che l ' unico modo per cautelarsi dalle tentazioni di un pio storicismo era di ribaltare il suo sentimento d ' amore , di pietà , di tolleranza universale in ironia punteggiata di sarcasmo verso il proprio ambiente : un « mea culpa » pronunciato con tono giocoso e scanzonato , cominciando dai titoli di testa che esorcizzano l ' amarezza dell ' autoritratto , ma dove è facile leggere cicatrici sempre aperte , dalle quali sgorgano umori contraddittori , non ancora decantati nell ' ispirazione poetica . Uccellacci e uccellini è appunto la confessione , sincera e confusa , di un momento di crisi successivo alla sconfitta , ma espresso in un tal cocktail di polemica culturale e di slanci lirici , e così vagamente risolto sul piano del racconto , che il film assume il carattere di un ' agenda di fatti personali ; certamente di grande interesse per l ' intellighenzia che si diverte a riconoscere , fra gli interpreti , artisti e scrittori del bel mondo romano , poco più di un amabile gioco cabalistico per il grande pubblico , costretto a dibattersi in una rete di simboli e di citazioni che vanno da Lukács a Giorgio Pasquali . Il film consiste grosso modo di due episodi , ambedue interpretati da Totò e dal giovane Ninetto Davoli : due figure picaresche assunte a simbolo dell ' umanità incamminata verso l ' ignoto . In un paesaggio di periferia , i due , padre e figlio , si aggirano fra le borgate ; nei loro strani incontri si ricapitola l ' assurdità del mondo contemporaneo , dove l ' antico mistero della vita e della morte si intreccia alle sorprese dei nuovi costumi , e ne nascono interrogativi sul destino di fronte ai quali i due innocenti pellegrini rimangono muti . La realtà è così indecifrabile che in loro non desta alcuna , sorpresa l ' arrivo di un corvo parlante . L ' animale dichiara di venire dal paese di Ideologia , d ' esser figlio del dubbio e della coscienza . E racconta a suo modo un fatto accaduto nel Milleduecento . Ora Totò è frate Ciccillo , che insieme al giovane frate Ninetto ha avuto da san Francesco l ' ordine di predicare l ' amore agli uccelli . Come dirla , bisogna intanto imparare il linguaggio dei pennuti . Dopo un armo d ' immobilità e di preghiera , frate Ciccillo canta vittoria ; in un colloquio fatto di stridi trasmette ai falchi il messaggio evangelico . Un altro anno di meditazione , quanto basta per capire che i passeri si esprimono saltellando , e il contatto è stabilito , con una specie di balletto , anche con quei mansueti uccellini . Ma la predicazione non dà frutti , perché i falchi continuano ad azzannare i passerotti . Addolorati e delusi , i due frati si convincono che questa è la fatalità del mondo , la sopraffazione dei deboli . « Bisogna cambiarlo , il mondo » , ribatte san Francesco , e li manda a ricominciare tutto da capo . Vale a dire , spiegherà Pasolini , che le singole classi sociali possono essere singolarmente evangelizzate , ma non sono ancora sufficientemente educate a rispettarsi fra loro . Con tanti saluti alla lotta di classe . ( E infatti Pasolini farà sapere che le parole del suo san Francesco riecheggiano le considerazioni sulla pace espresse da Paolo VI all ' Onu ) . Secondo episodio , sul tema . dell ' egoismo e del diritto di proprietà . Dopo essere stato preso a fucilate perché ha abusivamente concimato un campo , ed essersi visto ripagato con una patacca ( antifecondativi fuori uso in luogo d ' un callifugo ) dell ' aiuto prestato a una compagnia di guitti , Totò si presenta , in veste di padrone di casa , a una povera donna , e per sfrattarla assume il tono del più spietato uomo d ' affari . Ma poco dopo , sempre accompagnato dal corvo chiacchierone , tocca a lui prostrarsi , in veste di debitore insolvente , a un riccone che sta offrendo un party intellettuale . Stesi a terra , lui e Ninetto , da minacciosi cani lupo , supplicano pietà . Riprendono il cammino , assistono ai funerali di Togliatti ( un inserto di cinegiornale che ci ripaga , con la sua verità , degli apologhi cifrati ) , si svagano , padre e figlio , con una sgualdrinella di nome Luna . E finalmente , ammazzano il corvo saccente che per tutto il tempo ha continuato a fare sfoggio di dialettica marxista , se lo mangiano e continuano il viaggio . Con l ' aiuto del libro che Pasolini ha dedicato al film si viene a sapere come sotto il velame sia da intendere che l ' umanità nel suo procedere verso un orizzonte ignoto divora quel che deve divorare ; in questo caso un certo razionalismo ideologico di tipo stalinista , ormai superato ma non tanto da non servire di nutrimento , ecc. ecc. È che il discorso degli anni Cinquanta è superato dal messaggio giovanneo . Orbene . Impenetrabile ai più nello sterpeto delle metafore , Uccellacci e uccellini è uno scherzo surreale ( imparentato talvolta con Zavattini ) , un girotondo fittiziamente popolaresco , in realtà uno sfogo personale che rivela ancora una volta i guasti portati dal sovraccarico di cultura in una personalità artistica sempre notevole sul piano dell ' immediatezza espressiva . Anche chi , e saranno i più , non riuscirà ad afferrare i nessi logici e i sottintesi del film ( il commento musicale alterna canti della Resistenza a brani classici ) , sarà infatti colpito dal buffo delle situazioni , dal controcanto ironico di Ninetto , dalla precisione con cui il paesaggio - il romanico di Tuscania soprattutto - è chiamato a evocare un ' atmosfera di grottesca magia ( ma il vecchio difetto , il racconto bloccato da certi estetismi , la trasandatezza della recitazione in attori usati soltanto come isole decorative , Pasolini non l ' ha perso ) . E il resto lo fa Totò , che col suo impagabile istinto comico , servito da una mimica stavolta magistralmente controllata , riassume e affranca il film mutando un personaggio bislacco nella vivente idea dell ' assurdo .
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Che la letteratura fosse la cattiva coscienza del cinema si sospettava da tempo . Oggi , all ' aurora della civiltà dell ' immagine , ecco il cinema farne pubblica confessione con un film che affida al libro , proprio in polemica con i mezzi audiovisivi per le comunicazioni di massa , la funzione di richiamare l ' uomo ai valori della cultura e della morale individuale . Ma senza tediosi sermoni ; anzi con una favola che chiude in sorridente paradosso il monito dell ' allegoria . L ' invenzione è del romanziere Ray Bradbury , uno dei capofila della fantascienza americana . Riprendendo uno spunto di Orwell , e sposando una profezia di Apollinaire , per il quale fra un secolo o due il libro sarà morto , in Fahrenheit 451 ( in Italia il libro s ' intitola Gli anni della Fenice ) egli immagina una società - non troppo spostata nel futuro , diciamo verso il 2050 - in cui la carta stampata è proibita . Convinti che i libri , polveriera di idee e di emozioni , sono una minaccia alla felicità collettiva assicurata dallo sviluppo tecnologico , i governanti ne hanno infatti vietati la stampa e il possesso . Le notizie giungono attraverso grandi schermi televisivi adattati ai muri delle stanze , i giornali sono fatti di strisce senza parole . Chi possiede un libro è senza meno un eretico asociale , e arrestato . Per far osservare la legge i pompieri perquisiscono le case e i passanti , e appiccano il fuoco ai libri con gli stessi strumenti che in passato servirono a spengere le fiamme . I loro simboli sono la salamandra e il numero 451 , perché a questa temperatura la carta s ' incendia . Montag , uno dei pompieri , ha sinora mostrato perfetto senso del dovere . Benvoluto dal capo , sta addirittura per ottenere una promozione . Ma d ' un tratto la sua coscienza di piromane s ' incrina ; ha cominciato a chiedersi perché Linda , sua moglie , abbia tanto bisogno di pillole stimolanti ( per un eccesso di dose ha rischiato di morire ) , e ha incontrato una maestrina , Clarissa , tanto diversa dalle altre donne , che l ' ha indotto nella tentazione di sottrarre al rogo uno dei libri , per leggerlo di nascosto . Montag , tuttavia , interrogandosi sul perché la scienza e la tecnica non siano evidentemente riuscite a cancellare dal mondo dolore e stupidità , è ormai in trappola . Trafuga un David Copperfield , e nottetempo , all ' insaputa della moglie , prende a compitarne le pagine . La sconcertante esperienza lo porta a riflettere che Clarissa non è affatto una malata di mente , come i medici hanno sostenuto per allontanarla dall ' insegnamento , bensì un ' anima sensibile che non è riuscita a integrarsi nella società ; soltanto più tardi capirà che la ragazza è anche l ' emissario di un singolare gruppo di patrioti , esuli volontari nei boschi . Ormai guadagnato alla causa , Montag passa tutte le notti , come un monaco certosino , chino sui capolavori del passato che si è portato in casa . Sconvolto dall ' aver assistito al suicidio d ' una donna che ha preferito morire bruciata fra i suoi libri anziché esserne separata , il piromane pentito depone ogni cautela : si rivela alle amiche della moglie come un fuorilegge . aiuta Clarissa , ricercata dalla polizia , a distruggere l ' elenco dei cospiratori che possiedono libri , e annuncia di volersi subito dimettere dal corpo dei pompieri . Ma ormai Linda lo ha denunciato : sarà contro la propria casa che Montag dovrà compiere l ' ultima spedizione punitiva . Dato fuoco ai libri e ai mobili , volge il lanciafiamme contro il capo dei pompieri . che brucia nel rogo della casa ; e invano inseguito dagli uomini volanti della polizia si rifugia in un bosco . Qui , appunto , un gruppo di barboni continua la lotta in modo stravagante : ciascuno di loro , prima che i libri fossero distrutti , ha imparato a memoria un capolavoro della letteratura e della filosofia , ed è divenuto esso stesso un uomo - libro che per via orale trasmette alle nuove generazioni , col sapere antico , le ragioni dello spirito . Nel cuore della foresta , ristabilita l ' intesa fra natura e cultura , Montag sarà Racconti straordinari di Poe , e Linda le Mémoires di Saint - Simon . Preso il soggetto dal romanzo di Bradbury , sfrondatolo di qualche figura ( Faber , il Segugio Meccanico ) il francese Frangois Truffaut esordisce nel colore , sotto bandiera britannica , con un film molto più personale di quanto sembri , dove ironia e commozione sono fuse in un racconto di estrema semplicità dal quale è esclusa ogni pesantezza moralistica , a tutto vantaggio di uno spettacolo originale e divertente , usato come esorcismo contro gli spauracchi del futuro . Con molta intelligenza egli ha cominciato con l ' ambientarlo in una città indeterminata ma in tutto simile alle nostre , cioè sottraendosi alle più balorde lusinghe della fantascienza . Gli elementi avveniristici , soprattutto nell ' arredamento della casa di Montag , o si limitano ai più probabili sviluppi della tecnica di oggi , o sono usati a fini satirici , come nel caso di certi programmi televisivi nei quali si inserisce come attrice , restando in poltrona , la moglie di Montag . La sola bizzarria consiste nel non farci leggere i titoli di testa , in omaggio al principio che nel film ogni parola scritta è proibita . L ' unico trucco , gli uomini volanti , gli serve ad accentuare il contrasto fra i mezzi di cui dispone la forza pubblica e le risorse morali che sostengono la vita zingaresca degli uomini - libro . Poi ha inserito nel racconto vari riferimenti alla società contemporanea . Clarissa va in minigonna , i capelloni continuano a essere strapazzati dalle autorità , il tostapane serve da nascondiglio per i libri tascabili . Su un piano generale , tutto il film riecheggia del resto gli anni della Resistenza , i metodi usati dalle tirannie per imbottire i cervelli , e l ' odio teologico contro la cultura ( senza risalire alla biblioteca di Alessandria e ai roghi dell ' Inquisizione , pensiamo ai nazisti e alla Pechino di oggi ) . Infine Truffaut ha dato ai suoi personaggi gesti e tratti psicologici che stilizzano i nostri : il fanatismo del capo dei pompieri , l ' arrivismo vile di Linda , la nevrosi di Montag e di Clarissa , la forza morale dei partigiani . Tutto ciò , espresso con naturalezza nella recitazione , gli consente di far risultare con maggiore evidenza il paradosso , ma anche di far ' trasparire sensi umanissimi dietro l ' arguzia allucinante del racconto . Quando infatti Montag , nella foresta , si affianca ai nuovi compagni di fede , l ' emozione ha un grado di intensità che non coinvolge soltanto gli spettatori intellettuali , gli editori e i librai ; più d ' un ciglio , stasera , era umido . Per la prima volta , quest ' anno , a Venezia . Narrato con stile piano , oggettivo , dove realtà e fantasia si amalgamano con armoniosa scioltezza , Fahrenheit 451 ha un raro equilibrio fra dramma e commedia , e nell ' ultima parte , quando bussa al cuore , si avvicina alla poesia . L ' esempio più probante è proprio qui , quando per perpetuare Orgoglio e pregiudizio il regista sceglie due uomini - libro gemelli . Sembra una freddura , e invece è il sorridente sigillo di un ' operazione di contrappesi condotta senza presunzione da Truffaut lungo tutto il film con una grazia e una disinvoltura che gli derivano dall ' assenza di pseudo - problemi , nella giusta certezza che bastasse avanzare un ' ipotesi così allarmante come quella della distruzione di tutti i libri del mondo per commuovere in allegria . Non vogliamo dire che Fahrenheit 451 è un capolavoro del cinema . Però , come sul piano tecnico offre soluzioni eccellenti ( soprattutto nell ' uso del colore e delle scene girate con tre macchine da presa ) , come è saggio e divertente per il catalogo dei frontespizi da salvare - unico italiano , Il principe , - come ci offre un ' interpretazione di Julie Christie , nella doppia parte di Linda e di Clarissa e di Oskar Werner ( un Montag giustamente anti - eroe ) , di Cyril Cusack ( il simpatico capo dei pompieri ) , molto più omogenea di quanto facessero temere le liti scoppiate sul set fra Truffaut e Werner ; come infine conferma le radici neoromantiche di Truffaut nella musica di Bernard Herrmann ; così si guadagna simpatia e gratitudine per l ' estro garbato con cui pronuncia un invito all ' umanesimo , celebra un elogio della carta stampata che in questo preciso momento coinvolge anche voi .
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Non c ' è nulla di temerario nell ' idea d ' un nuovo film sulla Bibbia . Da secoli le arti figurative si ispirano al Libro dei libri , tentando di tradurne la lettera in linguaggio visivo e renderne il senso immediato . Ovvio che anche il cinema , il più moderno dei mezzi espressivi , e in potenza il più ricco , voglia di tanto in tanto provare il proprio fiato su quelle pagine venerabili . Temeraria , invece , sempre , è l ' ambizione di trarne uno spettacolo che ne conservi la molteplicità , la profondità di significati , e ne rispetti il valore ultimo e supremo di parola sacra . Biblico peccato d ' orgoglio . Oggi soprattutto , che l ' alleanza fra Dio e l ' uomo è spezzata , tutti i frutti del male son colti , l ' attesa di un messia si è convertita in angoscia atomica . Meglio : oggi che l ' idea poetica dell ' avvento ci scalda a un livello spirituale tanto segreto da impedire alla alterigia razionalista , al pudore , di sperare che l ' antico messaggio sia diretto anche a noi . In più , la natura e lo stile della Bibbia , dove s ' intrecciano il mito e la storia , e una prosa succinta , una sintassi tutta cose , radunano immagini e fatti secondo remoti schemi narrativi e psicologici . Ancora : la sublimità del simbolo , per cui il pomo offerto dal serpente , la lama di Abramo su Isacco sono insostenibili alla ragione e alla morale di oggi , e vederli in misura concreta molto distrae dal loro vero significato emblematico di rivolta e ubbidienza . Nonché soffrire , la Bibbia si spegne quando il suo nucleo tragico , appena percettibile con l ' emozione poetica , è spicciolato da un illustratore che non partecipa ( proprio per insufficienza strumentale ) della sua densità espressiva , e crede di assorbirne il contenuto misterioso nella solennità della forma . Più il testo è risolto in spettacolo sontuoso , e meno agisce dall ' interno ; più colpisce l ' occhio e meno incide sul sentimento . Un film sulla Bibbia , allora , va concepito e realizzato in umiltà , nell ' augurio che l ' abile operazione commerciale commuova per vie traverse : mormori la memoria di Dio , rinfreschi la presenza di un mito drammatico , realizzi un ecumenico consenso sul valore del sacro nella società contemporanea nonostante la natura di un linguaggio che tradisce per mille vie la propria origine profana . Questo è il punto : in quale misura La Bibbia di De Laurentiis e di Huston , anzi il cinema dei colossi religiosi , riesca ad esprimere essenze ineffabili con dati visivi consunti dall ' uso , possa reinventare una verginità percettiva dello spirito , e darci , oltre la scorza lucente , il sapore della polpa poetica , quella epopea del dolore e della speranza cantata nel Libro da figure senza volto . Perché è vero che l ' Antico Testamento ha qualità sceniche e narrative straordinarie , ma soltanto finché la struttura è stilizzata in una zona astratta della realtà , nell ' infanzia del sentire ; date capelli biondi e guance rase ad Adamo , chioma soave e anca flessuosa ad Eva , vizioso ceffo a Nimrod , a Sara il volto di Ava Gardner , e così via , e tutta la molla del mito si scarica in uno scatto irreparabile . Ebbene , questa Bibbia è quanto bisognava attendersi da un ' industria che secondo la propria logica interna intende Iddio come un prodotto di consumo per i grandi mercati internazionali , e non può o non vuole correre il rischio di innovare , di andar contro gli schemi mentali e rappresentativi della tradizione illustrativa popolare , di rompere i luoghi comuni che danno un infantile senso di sicurezza alle folle ( infatti il Vangelo di Pasolini ha dato scandalo ) . Era ineluttabile che scelto come sceneggiatore Christópher Fry , lo stesso di Barabba , e respinta come troppo intelligente l ' interpretazione vibrante di modernità proposta da Bresson , e finalmente chiamato il versatile John Huston a seguire gli ordini di De Laurentiis , La Bibbia veleggiasse lungo i lidi sicuri della convenzione , annullasse quasi ogni scintilla di fantasia creatrice nel dogma del gigantismo , del bell ' effetto , d ' una suggestività traslucida , sempre nella speranza di acquistare con la moneta della stereofonia e dello schermo panoramico un ' equivalenza poetica alla quale soltanto un autore di fortissima personalità avrebbe forse potuto avvicinarsi . È un fatto che se il film , nonostante i molti palpiti visivi , manca di illuminazioni morali , storiche e religiose è perché gli stimoli emotivi , lirici e culturali , sono disciplinati sino alla inerzia nei binari di una cauta invenzione , soffocati dall ' enfasi della musica e soprattutto dall ' avere applicato stereotipi ormai logorati dal cinema in costume ( nel taglio narrativo , nella recitazione , nell ' uso di luci e colori ) a un testo che avrebbe giustificato qualunque arditezza . Se facendo di necessità virtù dobbiamo insomma inserire il colosso in uno dei più lavorati filoni del cinema di massa , e metterlo nella famiglia dei Dieci comandamenti , di Ben Hur , di Barabba , diciamo che La Bibbia ha , accanto al merito d ' una maggiore serietà d ' impianto , un sensibile svantaggio nella minore compattezza , e nell ' accumulo degli stili , per cui si trapassa dalla cartolina cromata al terribilismo naturalistico , dal bozzettismo dell ' aneddoto al grave realismo dell ' epopea , dal pittoresco delle maschere all ' intimismo degli affetti domestici . Mancando di unità linguistica ( l ' unico filo è dato dalla voce di Dio incarnatasi in Arnoldo Foà ) , La Bibbia si offre dunque come una Genesi a puntate , non più in brossura ma in marocchino rosso , e dove tuttavia la sostanza teologica è diluita , nella sua accezione letterale , per il pubblico della cultura a dispense . Allora il racconto si giudica per capitoli , via via che l ' immaginazione degrada dal mito alla storia : la Creazione , la Cacciata , Caino e Abele , Noè , la torre di Babele , Abramo . E nel primo l ' alba dell ' universo , la nascita dell ' uomo , e come è risolto il problema del diavolo - serpente , scuseranno l ' insipidezza di Adamo ed Eva , la splendida ovvietà paesistica dell ' Eden , le occhiate dei progenitori , il morso al frutto proibito , i muscoli di Caino ; in Noè ( interpretato ai limiti della macchietta da Huston stesso ) lo strepito dell ' Arca , certi arguti passaggi , faranno risaltare la piattezza della famiglia , quel suo lasciarsi docilmente manovrare dal regista per non dar ombra al patriarca ; a Babele , ammirata la fabbrica immensa , si toccherà il grottesco nell ' abbigliamento da retrobottega teatrale , nel pallido estro dei truccatori , nelle battute in lingua artificiale . E così si arriva alla storia di Abramo , alle sue espansioni coniugali con Sara a ritmo di versetti , alla schiava che si contempla l ' ombra del ventre , al suo maligno offrire fichi secchi e uva passa all ' annosa padrona : atroci rivincite di un repertorio inzuppato di qualunquismo lessicale e figurativo . Finché , procedendo l ' altalena , dal limpido passaggio degli angeli ( ecco un momento di riuscita levità ) alla turpe rappresentazione di Sodoma ( ecco sfrenarsi la carnevalesca voluttà delle vernici , con acconcio commento di gemiti erotici ) , si tocca l ' estrema zattera di salvataggio : lo strazio di Abramo in un monologo vagamente shakespeariano fra le livide rovine di Sodoma - l ' idea non per nulla è di Orson Welles - e l ' angoscioso sacrificio del piccolo Isacco . Dove la puntualità del ricatto sentimentale non impedisce di riconoscere che il film , sinora sorretto su suggestioni scenografiche chiamate a nascondere la zavorra del dialogo interpolato al testo originario , trova finalmente il sigillo della classe di Huston , un lampo di commozione nell ' austera semplicità d ' un tramonto . Cosa resta dopo quasi tre ore di proiezione ? La nostalgia per le miniature squisite con cui durante dieci secoli monaci e artisti hanno cantato in penombra le lodi del Signore , la dolce memoria dell ' infanzia che coglie l ' immagine nella parola , l ' onore di un libro che col minimo dei mezzi raggiunge un ' espressività inattingibile altrimenti . Fatti i conti , posti su un piatto lo sconforto per l ' impotenza di confrontare la luminosa , la terribile concisione dei versetti alla magniloquenza del technicolor , e sull ' altro il gusto delle platee per ogni messa in scena governata dai miliardi , la bilancia segna il peso e il carattere d ' una civiltà che dissipa nella labilità della visione ogni residua virtù interiore . Ma è il nostro mondo che ci dà questa Bibbia : prima di lamentarci , uno per uno guardiamoci allo specchio . Saremo benevoli .
Blow up di Michelangelo Antonioni ( Grazzini Giovanni , 1967 )
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Blow up , presentato stasera al festival di Cannes sotto bandiera inglese , e accolto con grandi applausi , non è il miglior film di Antonioni , e Dio vi guardi dal dar retta a chi lo considera il più bel film di tutti i tempi . Ma c ' interessa come un forte contravveleno espresso dal seno stesso della civiltà dell ' immagine . L ' idea - guida del film , se si possono chiedere idee ad Antonioni , anziché sensazioni e atmosfere , ha qualche secolo : le cose che vediamo con gli occhi sono davvero tutta la realtà , oppure ciò che colpisce il nervo ottico ( e , per delega , l ' obiettivo fotografico ) è soltanto un aspetto del reale ? R chiaro che Antonioni non ha la presunzione di rispondere a questi antichi interrogativi . Blow up si contenta di dirci che oggi essi si ripresentano con urgenza perché c ' è tutta una zona della società che tende a identificare la realtà col segno concreto da essa lasciato ; e fa l ' esempio di un delitto , che può anche sembrare non avvenuto se non restano prove . Chi credesse d ' esserne stato testimone involontario , e d ' averlo fotografato , potrebbe convincersi che è stata un ' illusione ottica , se poi gli fossero sottratte le prove fotografiche e scomparisse il corpo del reato . Costui , allora , sarebbe il simbolo dell ' uomo contemporaneo , che di fronte alla difficoltà di conoscere il vero filigranato dentro il visibile accoglie il gioco della vita come una finzione e annulla nell ' automatismo dei gesti ( come il fotografo negli scatti frenetici delle sue macchine ) l ' angoscia per l ' inconoscibile problematicità del reale . Per dare evidenza a una metafora in cui si esprime , ambiguamente , lo sdegno e l ' attrazione che Antonioni prova nei confronti della civiltà moderna , Blow up è ambientato fra quei fotografi alla moda che con gli isterici clic dei loro obiettivi credono di sopperire alla propria passività sentimentale , e in quell ' happening che è la Swinging London , la Londra dei giovani che tentano di vincere la noia con la marijuana e gli allucinogeni , scatenati nei balli , nei riti pop e op , anime vuote e sessi interscambiabili . Thomas , il protagonista , è appunto uno di loro : un fotografo di successo , specializzato in istantanee di cronaca e in ritratti di cover - girls , sempre affamato di soldi , benché possa già permettersi la Rolls Royce , e tanto concitato nel lavoro , di modi bruschi con le sue modelle , quanto privo d ' autentica energia spirituale . Gli accade , seguendo una coppia in un parco , di fotografare un abbraccio . La donna se ne accorge , e più tardi lo rincorre nello studio implorandolo di darle il rotolino : offre se stessa , pur di riaverlo . Thomas finge di accettare ; le consegna un rotolino simile a quello incriminato , e si disporrebbe , senza entusiasmo , a godersi la ragazza , se in quel momento non suonassero alla porta : è in arrivo un ' elica di aereo , che " Thomas ha acquistato da un antiquario per dare un tocco bizzarro all ' arredamento del suo studio . Partita la donna , ingrandisce le fotografie prese al parco ( blow up vuol dire appunto ingrandimento ) , e s ' accorge che quanto non avevano visto i suoi occhi è stato registrato dalla macchina : sulla pellicola , ingrandendo progressivamente i particolari , appaiono infatti un volto nascosto nei cespugli , un ' arma e un corpo riverso . Tutto fa pensare che la donna abbia attirato la vittima in un trabocchetto . Thomas comincia a chiedersi cosa fare quando arrivano due grulline che già in mattinata gli avevano bussato alla porta , nella speranza di essere assunte come modelle . In altri tempi sarebbero state due esempi di adolescenza traviata : ora rappresentano la gioventù londinese attratta dai facili successi . Scherzando , si spogliano a vicenda : è una distrazione accolta da Thomas con allegria , in un fracasso che cancella ogni piacere erotico . E dopo l ' uso le caccia : il pensiero dominante lo richiama verso il parco . Il sospetto era fondato : un cadavere è ancora sotto l ' albero . Stordito , Thomas vorrebbe chiedere consiglio a un amico pittore , ma questi è occupato in intime faccende . Tornato a casa , nuova sorpresa : tutte le foto gli sono state rubate , meno una , la quale però , isolata dalle altre , più che costituire una prova assomiglia a una pittura astratta . Allora scende per strada . Intravede la donna del delitto , e rincorrendola s ' intrufola in un night dove un chitarrista beat calpesta il proprio strumento e ne distribuisce gli avanzi alla platea urlante . La donna è scomparsa . In cerca d ' un amico , Thomas arriva ad un cocktail , che in altri tempi si sarebbe detto un ' orgia di viziosi , ed ora rappresenta la « dolce vita » londinese . All ' alba , torna nel parco per fotografare il cadavere , ma questo è scomparso . Privo ormai d ' ogni prova , Thomas può dubitare d ' essere rimasto vittima , lui stesso , di un ' allucinazione . Quando arriva un gruppo di giovani mascherati da clowns , che fingono , senza palla e racchette , un incontro di tennis , sta al gioco : il dinamismo della partita mimata forse vince ogni dubbio dell ' anima o del pensiero . A rigore , il film non dice che la scena finale sia la presa di coscienza della necessità della finzione , con relativo auto - commiserarsi : Blow up , più d ' ogni altro film di Antonioni , non contiene una tesi . C ' è chi interpreta Thomas come un esempio virtuoso di perenne disponibilità all ' azione , e c ' è chi lo considera , per questo , un emblema della solitudine cui può condurre il pallore dei sentimenti . Un fatto è certo : che Thomas , mostrando totale sfiducia nell ' ordine civile in cui vive , non si rivolge subito alla polizia , né alla fine del film ha più motivi di pace interiore di quanti ne avesse all ' inizio : semmai ne esce desolato , versione maschile di tante infelici eroine di Antonioni . È per questa strada che forse si può cogliere l ' antica malinconia di Antonioni , il quale ha ormai superato anche l ' angoscia , toccando la suprema solitudine . Ma quando impareremo a smettere di cercare , in Antonioni , la morale della favola ? Teniamoci al film . Un giudizio sia pur frettoloso dovrebbe cominciare col rilievo che Antonioni , per rappresentare la Londra di oggi , ha avviato il suo Thomas su un itinerario molto simile a quello che Fellini fece compiere al protagonista della Dolce vita per scoprire la Roma di ieri ; né con frutti molto più nuovi di certi ' documentari sociologici . E questa non è l ' unica eco di Fellini che dispiace in Blow up : è difficile che in un film possano apparire ancora dei clowns senza che si pensi almeno ad Otto e mezzo . La parentela , è ovvio , si ferma qui , ma non è senza significato che Antonioni difetti d ' originalità nella struttura narrativa quando poi gli si accompagna quella rappresentazione piuttosto convenzionale del night e del cocktail . Tipico di Antonioni è invece lo sforzo di puntare il grosso della scommessa sul personaggio di centro . È da dire che Thomas solo talvolta è a fuoco . Descritto con tinte efficaci finché è in movimento , tutto scatti nevrotici ( in una bella scena iniziale esce stremato da una serie di convulse riprese fotografiche : il suo surrogato dell ' amplesso ) , finché comanda a bacchetta le sue modelle e si sfrena nello scherzo , Thomas poi s ' annebbia quando comincia a scervellarsi sulle foto del delitto , e passa ore a contemplarle , a confrontarle , ad appuntarle sulla parete . Non si sa bene cosa gli passi per la mente , di che ordine siano le sue sensazioni . È l ' oggettivazione di un torpore che se nella prima parte è interrotto dalla precipite parentesi dei giochi amorosi alla lunga si riflette nel film , guidato da un ritmo lento che affloscia il suspense . Passato dal cinema intellettuale al thriller , Anto , nioni sembra aver portato con sé il vizio dei tempi lunghi , dei silenzi poco espressivi , il rifiuto di quel gusto per l ' ellissi in cui invece si esprime il meglio del cinema moderno . Ma all ' interno d ' una cornice un po ' annosa e opaca , Blow up ha dei gruppi di sequenze riuscite : sono , all ' inizio , tutte quelle del rituale cui sono sottoposte le modelle fotografiche ; le visite al negozio dell ' antiquario ; lo svogliato rapporto con la donna venuta a riprendere il rotolino ; la liturgia della camera oscura ; la zuffa giocosa con le ragazzine ( una data nella storia del cinema : un nudo femminile non depilato , chissà se ce n ' era bisogno ) e l ' enigmatico finale , sul quale il pubblico si scervellerà : tutte scene che confermano certe bravure di Antonioni , ma anche , inserite nel tessuto del film , la sua difficoltà di sciogliere in fluente , spontaneo racconto acute intuizioni . Ispirato a una novella dell ' argentino Cortazar , il film ha del resto qualche imbarazzo già nella sceneggiatura , di Antonioni e Tonino Guerra ; più volte si ha la sensazione che certi personaggi siano stati inventati per mettere sangue in una materia anemica anziché per vera necessità narrativa . Considerando la vivace scenografia dello studio , i bei colori di Di Palma , le eleganti toilettes delle modelle , i globi oculari dell ' interprete ( nuovo arrivato ) David Hemmings , veri obiettivi fotografici protesi sul mondo , e la partecipazione , però non determinante , di Vanessa Redgrave , di Sarah Miles e dell ' indossatrice Veruschka , il film dà nell ' insieme un ' impressione di languore . Come di un fiore che non abbia avuto la forza di aprirsi , e tuttavia serbi un ' ombra di profumo .