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> autore_s:"MORASSO MARIO" > anno_i:[1880 TO 1910}
QUELLO CHE SUCCEDE A VENEZIA ( MORASSO MARIO , 1905 )
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Io credo che non vi sia città la quale si trovi nelle condizioni di Venezia . È tale la stranezza di ciò che avviene nell ' incantevole reggia , sollevata dal sogno di un nume sul mare , da turbare anche il discernimento del più lucido ed acuto osservatore . Gli occhi vigili di tutto il mondo sembrano continuamente appuntati su Venezia , a guardia della sua immunità e inviolabilità . Se si osa smuovere una pietra , se si ardisce di proporre qualche innovazione , si levano lagni proteste divieti da tutte le terre , da tutte le classi di persone , tanto che Venezia non pare più degli Italiani e neppure dei Veneziani , ma uno di quegli Stati incapaci di governarsi da sé e per i quali le varie potenze costituiscono una specie di consiglio internazionale di tutela , come l ' isola di Creta . Tutto il mondo interviene nelle faccende di Venezia ; ognuno che sgorbia una tela o sciupa del marmo , ognuno che sa tenere una penna in mano , ognuno che si è procurato il lusso di visitare Venezia o ne ha soltanto sentito parlare , si attribuisce il diritto di trattare gli affari di Venezia come suoi affari personali . Tutti poi , a conferma delle squisite doti di sensibilità , di raffinatezza , di gusto artistico , dei loro spiriti , si credono investiti della missione di difendere Venezia contro i supposti vandali che ne insidiano perennemente la divina bellezza . Tanta universale premura è toccante ma non è sempre divertente . A Venezia poi non si intende che discutere di arte , se ne parla sempre , la si mette avanti in ogni caso , non ci si preoccupa che dell ' arte e della bellezza ; è in nome dell ' arte che si propugnano e si condannano tutte le iniziative . La si nomina tanto e gli echi rispondono da tutte le parti del mondo , la si fa intervenire in tutte le faccende peggio della politica con tanta insistenza , se ne fa un tale abuso dell ' arte che a Venezia si direbbe essere tutto subordinato all ' arte , industria , comodità , ricchezza , igiene , tutto . L ' arte è su tutte le bocche , l ' arte è invocata a ogni istante , l ' arte è la norma suprema di Venezia , la bellezza vi primeggia su ogni altro scopo . Si vive adunque solo di arte a Venezia ! In questa terra privilegiata ogni cura volgare è adunque abolita , ogni misera competizione sul genere di quelle che affliggono gli altri comuni d ' Italia è qui scomparsa . Come una volta in Atene e a Firenze le uniche gare fra i cittadini sono rivolte al conseguimento della bellezza . Oh la più felice fra tutte le città ! Sembrerebbe infatti che dati tanti amorevoli ed alacri difensori , dato l ' assoluto predominio acquistatovi dall ' arte , Venezia dovesse essere più di qualsiasi altra città , sicuramente al riparo da ogni manomissione , da ogni tormento degli uomini e del tempo , dovesse essere gelosamente conservata e custodita contro ogni offesa . Sembrerebbe che a Venezia nulla si facesse se non ispirato da puri criteri d ' arte , che l ' arte vi si respirasse con l ' aria , che ciò che altrove è opera utilitaria dell ' industria e del commercio si trasformasse a Venezia in opera di bellezza . Sembrerebbe che Venezia , patria esclusiva dell ' arte , fosse l ' asilo immune da tutte le brutture , da tutte le profanazioni che altrove si commettono per avidità di guadagno , per le necessità della vita moderna . Sembrerebbe infine che a Venezia non potesse aver diritto di entrata se non ciò che è bello ed artistico e che fosse inesorabilmente respinto anche ogni più utile trovata del progresso se in contrasto con questo rigoroso programma di bellezza . E così si dice e si crede e le apparenze sono tali che tutti ne sono persuasi . L ' assordante coro che predica e decide in nome dell ' arte non lascia più intendere altra voce . Il culto della bellezza sembra spinto a tal segno da essere non solo creduto sincero , ma ritenuto tirannico fanatico e come tale molesto e irritante . Per poco io non sono stato addirittura aggredito da un pacifico negoziante il quale proprio in me , soltanto perché son solito scrivere di arte e perché in quel momento non trovavo troppo opportuna l ' idea di un grande banchetto pro Calabria in Piazza San Marco , era persuaso di scorgere uno dei tanti maniaci esteti , sistematici oppositori di ogni libera attività veneziana . - Ma non si potrà infine far più nulla in questa città , egli gridava brandendo la forchetta come un ' arme minacciosa , non si potrà più muovere un dito senza il consenso degli artisti i quali viceversa nulla fanno per la città ? Dovremo morir di fame , dovremo far di Venezia l ' ultima città del mondo in omaggio all ' arte ? Non si può più toccare un sasso , non si può suggerire un mutamento senza sentirsi gridare la croce addosso , come se tutto fosse sacro e intangibile ! - No , egregio signore , ella può serbare tutta la sua calma . Se a parole pare che le cose stiano così , in pratica , ella lo sa meglio di me , è tutto differente . È proprio Venezia , dove più si parla di arte fino a stancare , la città dove meno è tenuta in conto ; è proprio Venezia la città lasciata maggiormente in balìa del primo guastatore venuto , soltanto che si presenti in nome dell ' industria , e dove più impunemente si possa demolire e deturpare . Mentre , declamando retoricamente per l ' arte , si proibiscono e si arrestano le intraprese veramente utili , davanti alle quali anche l ' arte potrebbe sopportare qualche sacrificio ; per trascuraggine , per indifferenza , per gretteria , si distrugge , si mutila , si rovina senza necessità . Mentre per favorire il forestiero visitatore dei monumenti e delle bellezze veneziane sembra quasi che Venezia rinunci alla sua fierezza , alla sua dignità e al suo sviluppo , in realtà non concede al forestiero neanche quella elementare assistenza che egli ormai è abituato a trovare dovunque . Citerò rapidamente alcuni esempi . Non si voleva il ponte tra Venezia e la terra ferma ; soltanto per averlo proposto si è scatenata una tempesta ; sembrava che una minaccia esiziale fosse sospesa su Venezia , sulla sua incolumità , sulla sua poesia , sulla sua dolce laguna . Ebbene di ponti se ne son fatti due fra l ' acquiescenza di tutti , poiché tali si possono qualificare le condutture dell ' energia elettrica , costruite in laguna con una siffatta abbondanza di fondazioni in muratura e di torri metalliche come non sarebbe stata necessaria per fare un ponte effettivo . A Parigi città eminentemente moderna e industriale è vietato , soltanto per ragioni estetiche , di tendere fili metallici sulle strade ; talché persino i trams elettrici non possono avere conduttura aerea , ma debbono attingere l ' elettricità da un cavo sotterraneo ; a Venezia , ove questo divieto sarebbe stato indispensabile , non solo per l ' estetica ma per la conservazione , data la vetustà fragile degli edifizi , si intrecciano in aria ogni sorta di cavi e di cordoni metallici . All ' antica rete telegrafica e telefonica si è aggiunta quella nuova per la distribuzione dell ' energia elettrica e si è proceduto senza riguardo alcuno , come se si trattasse di una stazione ferroviaria . Ora poi si stanno collocando nuovi cavi telefonici , grossi come gomene di piroscafi , tanto che ognuno contiene cento fili ; ed ho veduto io tenderli ed agganciarli su sostegni di ferro infissi negli angoli marmorei dei palazzi del quattrocento . Pensate all ' effetto disastroso delle vibrazioni , di quel lungo e pesante cordone sospeso , trasmesse dal sostegno metallico all ' angolo su cui poggia ! Ma neanche nella più industriale e barbara città americana si procederebbe in tal guisa ! L ' incuria e l ' abbandono in cui giacciono i monumenti affidati adesso a maggior numero di commissioni vigilanti che non siano i visitatori , sono indescrivibili . A persuadersene basta far una corsa ai Frari , al chiostro dell ' Abbazia , alla desolata e sconciata chiesa di S . Gregorio . Circa i forestieri mi limito a dire che a una certa ora della sera e durante tutta la notte , quando appunto arrivano alcuni fra i treni più frequentati dai forestieri , come il treno di Milano delle 4.25 , proprio alla stazione non esiste più vigilanza di sorta . Ogni segno di ordine civile , di potestà pubblica è abolito ; non esistono più né leggi né guardie ; la sola legge è l ' arbitrio dei facchini e dei gondolieri che assalgono e insultano i forestieri e si rifiutano con male parole di prestare servizio al forestiero che ha la disgrazia di non andare a uno degli hôtels più di lusso . Guai a lui se ha la pretesa di alloggiare in un albergo di secondo ordine o in una casa privata ! È trattato peggio di un cane . La verità è che se tutti discutono a strillano , e mostrano di sdegnarsi o di cadere in deliquio soltanto se una foglia si muove a Venezia , facendo dell ' arte la più asfissiante delle oppressioni , niuno è sincero ; si tratta di gente che si arrampica su Venezia , che sfrutta davvero Venezia , per farsi notare con poca fatica . Niuno se ne occupa sul serio quando dalla pubblicità di un articolo o di un discorso si deve passare al lavoro vero e raccolto : i difensori allora si dileguano , si lascia fare ogni cosa come su terra da saccheggio . Venezia mi ha lasciato una profonda impressione di tristezza proprio in questi giorni in cui si teneva fra le sue mura il supremo concilio dell ' arte , in cui tutti i suoi immancabili brevettati difensori erano accorsi al suo invito . Non mi è mai sembrata più abbandonata .
LA MIA COMPAGNA ( MORASSO MARIO , 1905 )
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Bisogna vederla quando io la invito a una gita sul mio minuscolo automobile ove a stento posso trovare un posticino e non molto comodo per lei ! La gioia entra in lei e la anima come la brezza nella vela . Il suo volto si increspa di sorriso , i suoi occhioni azzurri si rischiarano e brillano , le sue manine paffute battono l ' una contro . l ' altra giocondamente . Non fa tardare mai il consentimento , non è mai di mala voglia , non ha mai alcuno di quelli impicci femminili che capitano espressamente per mandare a monte i divertimenti meglio improvvisati . È sempre pronta e felice . Non c ' è mai pericolo che l ' invito la contrarii . La sua gioia si muta poi in fervore . Ella si veste , si appresta in due minuti , provvede a tutto ciò che le occorre , nulla dimentica . Anzi ricorda a me le cose necessarie ; va lei alla ricerca degli strumenti che possono abbisognare alla nostra macchina . Pensa alla chiave inglese e all ' oleatore , si mette in tasca del filo di ferro , delle pezze di gomma per medicare le ferite dei pneumatici , mi domanda se ho preso la manopola e la spina per il contatto elettrico , e fila giù per le scale prima ancora che io mi sia calcato sulle orecchie il berretto . Nel portico di casa ella entra in funzioni . Si tratta di estrarre il nostro sbuffante veicolo dalla sua cella . Ella non si rifiuta alla fatica ! Eccola affaccendata a tirare una ruota perché la macchina possa svoltare dall ' andito , e poi afferrata all ' asse posteriore per trattenerla nella scesa dei due gradini che ci separano dalla strada . Siamo quasi al punto ; ella ispeziona un istante il motore , toglie via un po ' di fango disseccato dal lucido recipiente della benzina , dà due o tre colpetti al galleggiante del carburatore , come ha veduto fare da me , per assicurarsi che la benzina è arrivata , un ultimo sguardo a tutto l ' insieme e ... in sella . - È bella è , la nostra quaranta cavalli ! ella esclama con un sorrisetto di orgoglio . Non occorre che io dica che il modesto ruotabile che viene pomposamente gratificato di una cifra così ingente di cavalli , non arriva a quattro . Ma il mio camerata in gonnella è ottimista e poi sente l ' amor proprio del proprietario , così da moltiplicare per dieci la forza del motore . Io mi arrampico per primo , mi accomodo in sella , dispongo le manette del gaz e della accensione per la partenza e poi l ' aiuto a salire . L ' impresa non è facile , sempre per la ristrettezza del posto . L ' afferro sotto le braccia la sollevo , ella sgambetta in aria , finché si appoggia più che non si sieda , su un mio ginocchio , punta i piedi sulla forcella della ruota davanti , si calca il berretto sugli occhi facendo sporgere ben innanzi la visiera , si accomoda i grossi occhiali sul nasino , e quando è convinta che la sua tenuta da chauffeuse è perfetta domanda : Andiamo ? Posso mettere il contatto ? - Via ! rispondo . Gravemente ella gira la manopola , compresa del miracolo animatorio che sta per compiersi , mentre con l ' altra mano si trattiene , aggrappandosi , al mio braccio . Siamo in un momento critico . Il demarrage della macchina non è tra i più facili , io debbo prima che il motore si avvii dare due o tre colpi di pedale . Per questo movimento un po ' brusco ella che non aveva altro sostegno che il mio ginocchio destro , si trova improvvisamente sbalzata su e giù alternativamente come se navigasse su un cattivo battello attraverso la Manica , durante una raffica . Ma neanche questo sballottamento la mette di cattivo umore , tutto al più le sue dita si contraggono più strettamente sul mio braccio per conservare l ' equilibrio . Per fortuna la raffica dura poco , il motore inizia la serie confortante dei suoi scoppi regolari che diventano sempre più frequenti come gli spari di molti fucili a ripetizione . Quello strepitio ritmico che fa voltare i passanti con un viso arcigno giunge alle nostre orecchie dolce come una musica . Non arriviamo come quel tale chauffeur maniaco a preferirlo a un motivo del Parsifal , tuttavia in quell ' istante ci riempie di contentezza . È il segnale che tutto va bene . E non è poco ! Veramente io mi sono affrettato troppo a rallegrarmi , poiché a cento metri da casa , proprio mentre ci si presenta un ' ardua salita sento che il motore cala e crepita più sordamente . Capisco che nella precedente agitazione delle sue gonne si deve essere spostata la manetta del gaz , forse si è quasi chiusa . Ma io non la vedo . E muovere le braccia è pericoloso poiché ella vi si appoggia . D ' altra parte non c ' è da esitare . - Stai attenta , debbo regolare l ' ammissione del gaz ! Ella ha capito , lascia andar le braccia , si afferra al manubrio . Io corro alla ricerca della manetta ribelle , la apro , si riparte a grande velocità . La salita è superata , siamo in cima , ella si rivolge , nel suo viso scintilla la soddisfazione della vittoria . - Hai visto , ella dice , come va bene ? Corre è ? È forte ! Non ha neanche sentito la salita . Come è bravo , poverino . E nella sua effusione ella parla alla macchina come ad un vecchio ( e non ha torto ) e fidato amico : " Caro , mi piaci tanto tanto ! " E così dicendo carezza con la mano il manubrio . La mossa è stata un po ' azzardata , ha cambiato le nostre condizioni di stabilità . Sento la mia compagna che scivola giù pian piano dal ginocchio . Decisamente la nostra vettura non è fatta per due . Ella però sta in guardia e , da svelto acrobata , puntellandosi con braccia e mani al manubrio come i ginnasti quando girano attorno alla sbarra si ricolloca ridendo su quell ' incerto sedile che è il mio ginocchio indolenzito . Ora si marcia , siamo usciti dalla città , davanti a noi si apre una lunga strada diritta , fiancheggiata da grandi platani . Sembra di camminare in un bel viale . Non ci sono né bestie né uomini in vista . Posso affidare una parte della manovra alla mia compagna che ne freme di voglia . Già si è voltata parecchie volte per mostrarmi il suo visetto desideroso e i suoi occhi interrogativi . Ella palpita di aspettazione . Niuna cosa le potrebbe fare maggior piacere del consentimento che io sto per darle . - Vuoi guidar tu ? io le chieggo . Non ho ancora finita la domanda che ella mi risponde con tre sì uno più giulivo dell ' altro . - Stai attenta al contatto , io l ' avverto . Se vuoi fermare non hai che da voltarla in dentro . Ma ella lo sa e questa volta mi risponde un sì quasi indispettito , mentre si impadronisce del manubrio che le sue manine di fata non riescono neppure a stringere interamente . Per ogni buon fine io rallento un po ' l ' andatura , ma ella vuol correre , e mi incita : Via , via ! Metto un po ' di avance , la corsa si accelera . Via , via ! ella ripete . Ed ella è veramente bellissima così infervorata dalla ebbrezza della corsa . Dà gioia a vederla . Ma ancora più ammirevole è la sua posa , è l ' intensità della sua attenzione . Pare un corridore su un formidabile arnese di velocità . Il corpo è incurvato sulle braccia fissate alle estremità del manubrio , il capo col berretto calato sotto le orecchie e con gli occhiali che lo ricoprono per metà è tutto proteso in avanti con un gesto risoluto e scrutatore . Ella vibra all ' unisono con la macchina , le due vite si fondono in una . Io non la ho mai veduta così assorta , io son sicuro che non passa in lei una sola sensazione estranea al suo atto . Ha posto tutta sé stessa in quella funzione , come se compisse qualche cosa di solenne , di decisivo , qualche cosa che la innalza ad una altezza sconosciuta . Il mondo , io compreso , è scomparso per lei . E per richiamarla a me e alla realtà medito un piccolo tranello . Senza che però ella mi sproni , aumento io la velocità , metto progressivamente più avance . Come un sensibile puledro la macchina sente la spinta , il suo galoppo si fa più rapido , lo strepito del motore si è convertito in un ronzio . Si vola . Naturalmente i miei piedi sono sul freno e una mia mano di nascosto tiene il manubrio . Ah ecco che essa si volta , nulla dice , si rivolta ancora , non vorrebbe farlo parere . Non ride più , il suo suddito è diventato ora più forte di lei . Ella ne ha la coscienza vaga e nel suo voltarsi verso di me vi è come la richiesta di un supplemento di autorità . Finalmente si decide : Non ti pare che vada troppo presto ? E con la manina fa compiere un mezzo giro alla manopola e toglie l ' accensione . Il piccolo gesto le ha ridato tutta la fiducia , le ha mostrato tutta la sua potenza , poiché è stato sufficiente a tagliare il tendine del mostro dianzi indomabile . E sotto gli occhiali che le nascondono mezzo viso scorgo i suoi occhi lampeggiare di fierezza , come prima stavano per inumidirsi di lacrime . Mi avvedo ora che mi sono dimenticato di presentarvi la mia incomparabile compagna . Riparo alla dimenticanza . Ha cinque anni . È mia figlia .
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Dalla costante fisiologica posta dal Quinton nel suo studio L ' eau de mer milieu organique , Remy de Gourmont , negli ultimi fascicoli del Mercure de France , tenta di ricavare una specie di costante intellettuale da servire come premessa alla storia della civilizzazione . Le belle ricerche del Quinton sono ormai note : esse tendono a stabilire che la cellula organica è immersa in un ambiente che si mantiene tuttora eguale a quello marino primitivo , in cui la cellula stessa ha preso origine . Mutate le condizioni esterne è l ' organismo vivente più evoluto che artificialmente crea le condizioni per conservare in se stesso l ' identità con l ' ambiente che lo ha visto nascere . L ' organismo atto a progredire non si adatta alle trasformazioni , si ribella , reagisce , vuol restare integro , e migliora se medesimo per far fronte al peggioramento delle circostanze . Il De Gourmont , non a torto , ritiene questo principio della permanenza ( constance ) dell ' ambiente organico , suscettibile di vaste applicazioni anche nel campo morale , e ne illustra brillantemente una egli stesso , concludendo alla permanenza di uno stesso livello di capacità psichica umana attraverso le varie età storiche , col mostrare la quasi identità delle manifestazioni intellettuali dell ' uomo dai secoli più remoti fino ad oggi . A tale scopo osserva che l ' uomo odierno non è intellettualmente diverso dal suo lontano progenitore . La più grande fra le moderne scoperte non differisce , come quantità e qualità di energia psichica atta a produrla , dalle più antiche . Il che prova che l ' uomo è sempre stato ed è un animale inventivo , un animale di genio , che il genio è una facoltà primordiale pressoché invariabile . Le prodigiose scoperte e invenzioni meccaniche dell ' oggi riallacciano l ' uomo contemporaneo all ' uomo del bronzo e della pietra ; l ' invenzione della stampa corrisponde a quella della scrittura , sembra l ' opera della stessa persona rediviva . La costanza del genio inventivo è nettamente raffigurata da cinque o sei grandi fatti preistorici , storici , contemporanei equivalenti . L ' idea di decadenza deve quindi essere esclusa , la linea della civiltà è una linea ondulata di cui le sommità sono quasi eguali , come sono eguali gli avvallamenti . Il progresso è una semplice addizione di resultati , di effetti , non una mèta prestabilita , non uno scopo insito nello spirito , nelle cause e nel meccanismo della vita , questo è sempre identico a se stesso . Il De Gourmont , oltre a quelli da me riferiti , cita altri esempi in sostegno del suo asserto , tratti dall ' astronomia e dalla poesia , e sfiora incidentalmente talune importanti questioni , come quella della formazione del linguaggio , che egli chiama un fatto meramente naturale e non una invenzione umana , e come quella sulla natura del genio , che , a suo avviso , è un fatto primitivo , precedente , per così dire , all ' intelligenza , è una forma di intelligenza rimasta invariabile , che si manifesta sporadicamente e sempre eguale a se medesima . A talune di queste idee io vorrei apporre qualche nota in margine , sia a conferma sia come obiezione . Là dove ci si offre la prova della costanza del genio poetico si dice : " La poésie a évolué , comme évoluait la sensibilité , base des moeurs , mais le genie poétique , par exemple , d ' Homère à Victor Hugo , est demeuré fixe : ni progrès ni déchéance ; constance absolue " . Tanto che il De Gourmont è inclinato a pensare che un tal genio non abbia alcun rapporto ben definito con la civilizzazione . Non sorge desso dal bel mezzo della barbarie proto ellenica ? Allo stesso modo non poté sorgere dal seno di una barbarie ancor più rude , nell ' ambiente megalitico , in quello maddaleniano ? Ecco qui delle espressioni che mi suonano male . Fra tante affermazioni di identità , di permanenza , di costanza , questa barbarie protoellenica mi fa l ' effetto di una grossolana stonatura . Forse il De Gourmont crede ancora a tutte quelle geometriche ricorrenze e correlatività di fasi e di stadi stabilite dai primi neofiti dell ' evoluzionismo secondo i quali , con esatta corrispondenza , noi possiamo scorgere , attraverso la distesa dei popoli storici , una scala di tipi eguale a quella in cui si dispongono le popolazioni odierne giusta il loro grado di civiltà ? Crede ancora che la serie che va dal civilissimo anglo - sassone al selvaggio papuasico trovi il suo preciso riscontro nella serie che va dall ' inglese contemporaneo al primo egiziano o cinese , o assiro , o ittita apparso all ' orizzonte della storia ? Crede che veramente la Grecia omerica corrisponda allo stato barbarico dei Galla , come Roma repubblicana a un villaggio di pellirosse , come l ' Europa feudale all ' Abissinia di Menelik ? Non lo posso ammettere . Egli però cade nel pregiudizio comune , contrario del resto alla sua stessa tesi : che la odierna gerarchia dei popoli determinata dal grado di civiltà fosse diversa nell ' antichità , nel senso che lo stato degli odierni selvaggi , di quelli che noi chiamiamo barbari , fosse in antico uno stato normale e generale . Barbari sarebbero stati i Greci omerici , barbari gli Egiziani di Ramses , barbari gli assiri del palazzo di Korsabad , barbari i romani di Cesare , barbari in mezzo agli altri barbari poco dissimili . Il salto attuale di civiltà fra noi civilizzati e i selvaggi sarebbe adunque mancato allora , salvo che i selvaggi di allora fossero ancora più selvaggi in proporzione , e cioè vere scimmie nella selva , visto che si dice esservi maggior distanza fra un civile europeo e un ottentotto che fra un ottentotto e uno chimpanzé . Ma ciò è in contraddizione con tutta la storia . Le popolazioni selvagge , per tutte le notizie che noi ne abbiamo , erano prima quelle che sono ora , sono rimaste immutate . Il che fra l ' altro è una seria garanzia per dire che analogamente le popolazioni segnate nella storia , come le memorabili depositarie e portatrici della civiltà , debbono sostanzialmente essere perdurate eguali almeno come attitudine , come qualità , come valore , come capacità potenziale . Il salto di civiltà né si è accresciuto né è diminuito ; la stessa distanza irreduttibile era fra un greco dei tempi d ' Omero e i barbari di allora , malgrado la rozza civiltà omerica , come è fra un europeo civile e i barbari odierni . Le popolazioni che a turno hanno occupato il punto più in vista della storia e hanno salito le vette della civiltà , costituiscono una élite , un filone che è sempre stato nettamente isolato e distinto come è oggi , in mezzo al torrente dell ' umanità . Per questo filone non si può parlare di barbarie e di civiltà , di passaggio dall ' una all ' altra . Esso è sempre stato il rappresentante della civiltà , la civiltà stessa , come il rimanente del genere umano è sempre stato la barbarie . Il fatto sorprendente pertanto di un Omero che scaturisce completo da un ambiente di barbarie , fatto che poteva dar adito alle ipotesi più meravigliose e audaci sulla primordialità del genio poetico , così da supporre una Iliade o una Divina Commedia nel primo barlume di intelligenza umana , non sussiste . Omero non sorge affatto nella barbarie , come non vi sorgono né Dante , né Shakespeare , come non vi è sorto mai alcun grande poeta , e le popolazioni selvagge pure antiche non ne hanno infatti alcuno . Omero sorge nel filone incaricato della civiltà , sorge anzi come Dante e Shakespeare in quel punto del filone che sta determinando nella linea ondulata della civiltà una delle più alte ondulazioni , è un messaggero , un araldo , un presagio dell ' ascesa . Omero sorge in un ambiente tanto civile in mezzo alla sua Grecia primitiva , quanto Victor Hugo nella Francia moderna . Perché l ' esempio avesse valore dimostrativo , giusta lo scopo del De Gourmont , non una delle sette città dell ' Ellade , ma qualche ignoto abituro della barbara Scizia o delle spiagge libiche o dell ' avida Etiopia avrebbe dovuto dare i natali al cantore di Achille . Su questa permanenza quindi non mi sembra che ci sia da contare . Ma per una permanenza incerta che sparisce , ne appare una certissima e ben altrimenti importante con la mia osservazione . La permanenza cioè di questa magnifica corrente umana , che dai primordi fino ad oggi attraversa l ' oceano grigio della umanità , senza confondervisi , senza mescolarvisi o smarrirsi , eguale a se stessa , semenzaio del genio , organo della civiltà .