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A Genova contro le BR ( Mafai Miriam , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Genova , 27 . « Guido Rossa è stato ucciso perché non si è piegato , perché non ha avuto paura e ha voluto vivere in fondo , con coerenza la sua scelta politica . Coloro che speravano con questo assassinio di chiuderci sgomenti nelle nostre fabbriche si sono sbagliati . Non sanno di quale ostinata rabbia e determinazione noi siamo capaci » : così Paolo Perugino , dell ' esecutivo del Consiglio di fabbrica dell ' Italsider , ha salutato il compagno di lavoro ammazzato dalle BR mercoledì mattina all ' alba . Parlava dall ' alto del palco , gridando dentro il microfono la sua rabbia , con una voce che conosceva tutte le incrinature della commozione . Dietro di lui , Luciano Lama sembrava più pallido del solito ; al suo fianco Berlinguer appariva stravolto . Il presidente Pertini , bianco come la sciarpa che aveva al collo , e tuttavia rigido e dritto sotto il peso di una storia d ' Italia che domanda ancora tanti sacrifici . Vicino a lui , a capo scoperto sotto la pioggia , la moglie dell ' operaio Guido Rossa , la bella faccia chiusa e disperata di una che sa che bisogna continuare a vivere ( ma come ? ) anche domani e dopo . Erano operai . Duecento , forse duecentocinquantamila sotto la pioggia battente in piazza De Ferrari . Ma erano nere di folla anche via Dante e via XX Settembre , le due arterie che collegano il cuore della città con piazza della Vittoria . Erano operai di Genova , di Torino , di Milano , di Brescia , ma venuti anche da più lontano , da Roma , da Napoli , da Reggio Calabria , da Palermo , i berretti di lana , i cappucci , gli elmetti gialli calati sugli occhi stanchi e le facce tese . Un funerale e una manifestazione immensi , ma con qualcosa di cupo che non era dato solo da quel furgone mortuario in sosta sotto il palco degli oratori , dalle centinaia di corone posate contro il muro diroccato del teatro Carlo Felice , ma anche dalla sensazione angosciosa di trovarsi in trincea , contro un nemico di cui non conosci l ' identità e il volto . La Genova commerciante , terziaria , borghese non era venuta in piazza . Ha espresso la sua solidarietà abbassando le serrande dei negozi e chiudendosi in casa . Le strade attorno alla zona della manifestazione erano deserte e silenziose . Ma la Genova - bene non aveva nemmeno partecipato ai comizi e ai cortei convocati dopo l ' eccidio di via Fani e l ' assassinio di Moro . Qui , ma non solo qui , del resto , c ' è chi , pur condannando il terrorismo , si tira indietro spaventato o scoraggiato , quasi l ' assenza potesse aprire una qualche individuale via di salvezza . « Non dire : non ci riguarda . Siamo giunti a questo punto proprio perché troppi hanno detto : non ci riguarda » : così un manifesto dell ' Anpi riproducente la frase di un giovane cattolico fucilato dai nazisti invita a prendere coscienza del pericolo rappresentato dalla passività e dalla rassegnazione . Questo pericolo esiste , i terroristi lo sanno . È una carta che giocano coscientemente . L ' assassinio di Rossa può alimentare un aggravato clima di paura , un ripiegamento sul proprio particolare , una fuga dalle responsabilità ; ma può anche sollecitare una reazione di tipo opposto e , con la definitiva condanna del terrorismo , una più generale determinazione nella difesa della democrazia . Stamattina a piazza De Ferrari c ' era , per dirla con Lama , « il movimento dei lavoratori , il nocciolo più duro della resistenza democratica , l ' ostacolo più saldo contro la reazione e la violenza armata » . C ' è , nella storia del movimento operaio genovese , una continuità che collega la manifestazione di oggi alla Resistenza contro i fascisti e i tedeschi : i padri degli operai che erano oggi in piazza hanno salvato nel 1945 le fabbriche della città dalla cieca rabbia nazista . E sono questi stessi operai , metalmeccanici e portuali , che nel luglio del 1960 , occupando piazza De Ferrari e via XX Settembre , impedirono lo svolgimento del congresso missino e contribuirono a rovesciare il governo Tambroni . « Si parla troppo di delirio e di follia quando ci si riferisce all ' eversione » ha detto Luciano Lama . « A me pare che all ' azione delle BR presieda un freddo se pur disumano disegno politico , un disegno che si contrappone frontalmente ai nostri obiettivi di progresso , alla nostra stessa concezione della vita . E non a caso questi tentativi di eversione intervengono ferocemente , specie quando la situazione politica si fa più tesa , per impedire che la spinta al cambiamento diventi efficace , capace di dare vita ad un processo di rinnovamento e di autentica trasformazione della società » . II richiamo alla crisi politica in atto non è una forzatura . I duecentocinquantamila che sono in piazza sanno di essere qui anche per questo , per dare una spinta a questo lento processo politico che lascia ancora il movimento operaio ed i suoi rappresentanti fuori della porta o a metà del guado . La manifestazione non è soltanto un funerale o un momento di aspro cordoglio . È anche parte di una battaglia politica . E lo esprimono gridando , tra le altre parole d ' ordine : « È ora , è ora , è ora di cambiare - il Partito comunista deve governare » . Lama interpreta puntualmente gli umori della folla quando parla dei problemi dell ' ordine pubblico in termini di stretta attualità : « La nostra critica e la nostra protesta va contro le inadempienze , le inefficienze , le coperture e le omertà che ogni giorno si manifestano nell ' azione contro il terrorismo . Le fughe di criminali fascisti e l ' impunità dei terroristi di ogni colore non sarebbero possibili se connivenze tenaci non esistessero tra le forze eversive ed i nemici della Repubblica , annidati con alte responsabilità negli organi dello Stato preposti all ' amministrazione della giustizia , della sicurezza e alla difesa dell ' ordine democratico » . L ' accusa è precisa e pesante . Non più però di quella espressa sabato scorso da Pertini a Savona , quando individuava la matrice di tutti i fatti eversivi di questi anni nelle oscurità che ancora avvolgono la strage di piazza Fontana . La scelta democratica del movimento dei lavoratori , oramai definitiva ed irreversibile , non può non accompagnarsi all ' impegno di fare luce su tutti gli oscuri episodi eversivi che hanno accompagnato la vita politica di questi anni . « La classe operaia non è un mansueto agnello sacrificale : in democrazia essa non si fa giustizia da sé , ma reclama giustizia e fa il suo dovere perché giustizia si faccia , collabora alla difesa delle istituzioni , stimola la partecipazione dei cittadini alla lotta contro il terrorismo » . Su questo fronte è caduto Guido Rossa . Il presidente della Repubblica , in un rapido incontro che ha avuto con i giornalisti subito dopo la manifestazione , ha voluto illustrare ancora i motivi che lo hanno spinto ad assegnargli la medaglia d ' oro al valor civile alla memoria : « Perché è stato un cittadino che ha dimostrato di avere coraggio . È un incitamento per tutti i cittadini , perché si coalizzino e si uniscano contro le Brigate Rosse » . La paura , il coraggio . Il coraggio di difendere una democrazia ancora tanto insufficiente ed imperfetta . « Ma questa Repubblica » conclude Pertini « ci è costata vent ' anni di lotte , di sacrifici e di morti . Bisogna saperla difendere , costi quel che costi , contro tutti coloro che intendono destabilizzarla e disgregarla . Mi conforta il fatto che la classe lavoratrice questo lo ha capito fino in fondo . La manifestazione di oggi ne è una dimostrazione » .
StampaQuotidiana ,
Bologna , 2 . È la guerra . Un pezzo di guerra dentro una città ordinata , civile e tranquilla . Un pezzo di guerra che si è abbattuto su questa vecchia stazione attraverso la quale tutti siamo passati , decine di volte , nella nostra vita . E rivederla oggi così sconvolta , invasa dai vigili del fuoco , da infermieri , dai militari , tutti con le mascherine sulla bocca e gli occhi allucinati , faceva male al cuore . « È come in guerra » diceva un poliziotto giovane . E lui che la guerra finora l ' aveva vista solo al cinema , ne viveva imprevedibilmente un atto , e quale atto ! , in questo primo sabato d ' agosto riservato tutt ' al più a qualche incidente stradale dovuto al Grande Esodo . « Trent ' anni di stazione ho fatto » mi sussurra un ferroviere con gli occhiali , alto , anziano , offrendomi una sigaretta con la mano che trema « ma non ho mai visto una cosa simile . Nemmeno in guerra . » Torna sulla bocca di tutti la parola che evoca la strage inutile , incomprensibile . E come in guerra a chi tocca tocca . Tra le vittime ci sono sempre , come nei bollettini dei bombardamenti , tante donne e bambini , perché sono loro i più goffi , impacciati , lenti nel cercare e trovare una via di fuga . Ma poi che via di fuga potevano immaginar di cercare , questi viaggiatori , che nei sottopassaggi e sulla banchina aspettavano un treno che doveva condurli al sole , alle vacanze al mare ? Avevano zaini , pacchi , borse di plastica , valigie zeppe di sandali , costumi da bagno , magliette e jeans , riempite ieri sera in allegria . Ora queste loro povere cose colorate si ammucchiano contro le pareti nell ' atrio della stazione , e questi bagagli sventrati serviranno forse soltanto a facilitare un riconoscimento . E ne viene una pena , un ' amarezza , un dolore acuto , come se ognuno di quegli oggetti ci appartenesse , come se ognuna di quelle vittime sconosciute facesse un po ' parte anche della nostra famiglia . Tutti gli orologi della stazione sono fermi alle 10.25 . È fermo l ' orologio dell ' atrio sopra il tabellone degli arrivi e partenze , oggi inutile , sopra l ' edicola dei giornali chiusa . È fermo l ' orologio esterno sul frontone della stazione dove si fermavano i taxi per scaricare i viaggiatori in partenza . Il piazzale è tenuto sgombro dalla polizia e dall ' esercito . C ' è molta gente dietro le transenne . Ma non c ' è un grido : né un ' invettiva , né una protesta . E ciò che stupisce , e dà una sensazione di irrealtà , è proprio questo silenzio appena rotto dall ' ordine di un medico che chiama una barella per l ' ultimo cadavere estratto dalle macerie . E in silenzio le infermiere corrono chiuse nel loro camice bianco , la mascherina allacciata sul volto , le mani nei guanti gialli di gomma a raccogliere un altro corpo massacrato . Ci gettano sopra rapidamente un lenzuolo , con gesti accorti . Ed è tutto . Qualcuno segna un numero . L ' identificazione avverrà , se sarà possibile , più tardi . Tutt ' intorno , davanti alla stazione , ci sono le ambulanze , è la Croce Viola di Bologna , la Croce Rossa di Modena , ci sono i furgoni bianchi dell ' Associazione Maria Buturini di Barberino di Mugello , del Centro di rianimazione di Parma . Decine di mezzi di soccorso , da tutta la regione e dalle province vicine , si sono concentrati qui , in questo pezzo di guerra , in questo spezzone di trincea , a curare la ferita che si è aperta come una voragine a fianco del binario numero 1 , dove transitano i rapidi Roma - Milano e Milano - Roma . Un ' ala intera della stazione , quella che dall ' ingresso porta a sinistra ai binari 3 , 4 e 5 attraverso i relativi sottopassaggi , è crollata sotto la violenta , inspiegabile esplosione . I pompieri sui loro ponteggi verniciati di rosso si muovono rapidi , sgombrando travi e macerie . Di tanto in tanto , un nuovo crollo solleva polvere e calcinacci . Fa caldo , ormai c ' è un sole a picco . Appoggiate alle biciclette , ragazze in vestiti leggeri , giovani in canottiera , uomini anziani , osservano senza parlare il trasporto dei cadaveri sulle barelle . Di una donna si vedono solo i piedi nelle scarpe di gomma e le caviglie gonfie . « Doveva essere vecchia » mormora qualcuno al mio fianco . E lo dice con tenerezza . I cadaveri vengono caricati su un autobus che ha ancora la sua brava targa in vista . È il numero 37 . Ai finestrini sono stati stesi teli bianchi . Un domenicano sta fermo davanti al predellino e , mano a mano che arrivano , dà l ' assoluzione « sotto condizione » a quelle povere salme . Il tempo passa rapido ma interminabile . Sulla città è scesa un ' afa pesante . Però la gente non si allontana dal piazzale della stazione . Anzi , altra gente arriva e si ferma senza parlare . E , sotto i loro occhi , continua a svolgersi il rito delle barelle chiamate di corsa , caricate di un corpo avvolto in un lenzuolo , depositate nell ' autobus numero 37 . « Forse adesso arriva Pertini » dice qualcuno . Un altro commenta : « La guerra civile è la peggiore di tutte le guerre » . Il cielo è quasi grigio . La città è come ferma , attonita , silenziosa . Per arrivare alla stazione ho attraversato lunghe strade vuote . Dai muri , un manifesto annuncia per domani uno show di Renato Zero . Bar e negozi chiusi . Forse soltanto perché è sabato pomeriggio , ma forse anche perché la città è già naturalmente in lutto . Comunque , appare così a chi arriva . Mentre le ore passano , una disperata stanchezza sembra scendere sulle ragazze vestite di bianco , i pompieri , i poliziotti , i soldati , i ferrovieri che hanno occupato da stamattina la stazione . Il piccolo domenicano che assolve si asciuga il sudore della fronte e non vuol dire il suo nome . Ma c ' è su queste facce stanche anche una straordinaria compostezza , il rifiuto ad abbandonarsi a gesti di nervosismo e di isteria . La stessa compostezza si legge sui volti della gente che continua ad ammassarsi contro le transenne senza premere , senza protestare , senza gridare . Questa compostezza , quest ' ordine , questa severità , questa stanchezza controllata , sembrano il connotato essenziale della città . È come se tutti camminassero un po ' in punta di piedi , come se tutti parlassero a bassa voce . Non solo e non tanto perché ci sono questi morti da estrarre e seppellire , ma come per voler riflettere su se stessi , sulla propria storia , sul proprio particolare di essere . E questi morti forniscono all ' esame di coscienza un ulteriore elemento di riflessione . « Dio , quante cose son successe in questi anni » confessa , quasi a se stessa , una donna anziana . Nessuno crede all ' incidente . La tragedia viene vissuta fino in fondo come una tragedia politica , come un ulteriore prezzo che la città paga a un ' aggressione di cui non sono chiari né l ' origine e né il fine . E questa oscurità genera nuova sofferenza . « Una volta » dice uno « sapevamo chi era il nemico » . Una volta . Quando c ' era la guerra vera . Si combatteva e si moriva anche allora , ma era un ' altra cosa , faccia a faccia , ognuno lealmente sotto la sua bandiera . Ora la città ha l ' impressione di essere obiettivo di un nemico invisibile e imprendibile , come in un ' allucinazione . E per difendersi , la gente non sa che fare se non stringersi l ' uno con l ' altro , come dietro quelle transenne , aspettando che arrivi Pertini , in silenzio e in dignità . Così è Bologna in queste ore . Da un muro , un manifesto che ricorda la strage dell ' Italicus sembra l ' unico grido di protesta . E se anche la tragedia di oggi avesse quel segno ? Ma che segno aveva esattamente la tragedia dell ' Italicus ?
Undici colpi al cuore ( Mafai Miriam , 1978 )
StampaQuotidiana ,
Questo fagotto gettato dietro il sedile posteriore della Renault color amaranto parcheggiata in via Caetani è il corpo di Aldo Moro . È un fagotto informe , avvolto in una coperta di lana color cammello , con un bordo di raso , una coperta come ce ne sono in tutte le nostre case . Il sedile è leggermente inclinato verso l ' avanti . La macchina ha gli sportelli aperti . A pochi metri ci sono il ministro Cossiga , i sottosegretari Darida e Lettieri , il procuratore capo Giovanni Di Matteo , il capo della polizia , Parlato , il generale Comini comandante dei carabinieri . Sono le 14.15 . Giancarlo Pajetta passa attraverso il cordone di carabinieri , rivolge uno sguardo interrogativo a Cossiga : « Sì , è Moro » risponde il ministro dell ' Interno a voce bassissima . La Renault è parcheggiata , contromano il muso rivolto verso via dei Funari , sotto una impalcatura metallica che protegge i lavori di restauro della chiesa di S . Caterina . È una vecchia macchina , impolverata , maltenuta , la vernice della carrozzeria in qualche punto è scrostata . Contro le transenne controllate dalla polizia , che isolano via Caetani dalla parte di via dei Funari e dalla parte delle Botteghe Oscure preme , silenziosa e cupa , la folla di abitanti del quartiere , giovani soprattutto . Alcune donne si allontanano , correndo . Una , prendendo in collo un bambino , grida : « C ' è una bomba , c ' è una bomba ! » . Non è vero . Ma attorno alla macchina abbandonata c ' è il vuoto . « È meglio non avvicinarsi » avverte Cossiga , « aspettiamo gli artificieri . Ci sono molti bossoli . » C ' è qualche istante d ' irreale silenzio attorno a quella bara di metallo dentro la quale è rinchiuso Moro . Poi qualcuno si avvicina alla porta posteriore della macchina . Oltre a Cossiga , ci sono Bonifacio , Pecchioli . Un ufficiale di polizia alza un lembo della coperta di lana giallino : s ' intravvede la faccia di Moro , gli occhi semichiusi , la barba lunga , bianchissimo il collo della camicia . Da via delle Botteghe Oscure , chiusa al traffico , giunge un rumore di grida e imprecazioni . C ' è gente arrampicata sulle macchine in sosta , abbarbicata alle inferriate dell ' Istituto Pontificio di S . Lucia . C ' è gente che arriva correndo , chiedendo notizie , premendo contro i cordoni dei reparti della guardia di finanza , della polizia e dei carabinieri . Arriva Gonnella , e sembra piccolissimo , con le labbra tremanti . Arriva un vecchio sacerdote , la stola violetta gettata di traverso su una tonaca consunta , l ' ampolla dell ' olio santo tra le mani . Si chiama padre Damiani , è stato avvertito da due agenti di polizia , pochi minuti fa arrivati a prelevarlo nella sua chiesa di piazza del Gesù . Sono le 14.45 . Padre Damiani traccia un segno di croce sulla fronte ghiaccia di Moro e gli impartisce l ' assoluzione . Alle 15 , a sirene spiegate arriva un ' ambulanza dei vigili del fuoco mentre la folla ondeggia , preme pericolosamente e scoppia qualche piccolo incidente . Bastano pochi minuti , poi l ' ambulanza scortata dai mezzi della polizia parte in direzione dell ' Istituto di medicina legale dove avrà luogo l ' autopsia . La folla adesso rompe i cordoni : sotto la palizzata dove era parcheggiata la Renault color amaranto , trasportata in questura , viene posata una bandiera bianca della DC , tre rose , e alcuni cartelli scritti a mano : « Moro siamo tutti con te » . Una telefonata anonima pervenuta al centralino della questura poco dopo le 13.30 aveva segnalato la presenza di una bomba in via Caetani , una traversa di via delle Botteghe Oscure , a poche centinaia di metri dalla direzione del PCI e della Democrazia cristiana . Era la prima , inesatta notizia , che gettava l ' allarme nella zona , immediatamente isolata da cordoni di polizia . Questa è una versione . Ma ce n ' è anche un ' altra , secondo la quale alle 13 sarebbe arrivata una telefonata , sempre anonima , alla segreteria di Moro con l ' annuncio : « In via Caetani c ' è un ' auto rossa con il corpo » . La telefonata sarebbe stata intercettata dalla questura e immediatamente sarebbe scattato l ' allarme nella zona . Il ritrovamento del cadavere è avvenuto poco dopo . Qualche minuto prima delle due i segretari di tutti i partiti politici sapevano che il cadavere gettato nel portabagagli della Renault targata Roma N 57686 era quello di Aldo Moro . Via Michelangelo Caetani costeggia il palazzo Mattei e il palazzo Caetani dove ha sede la Biblioteca di Storia Moderna , la Discoteca di Stato e un Istituto di Studi americani . È una strada molto frequentata , dove è difficile trovare posto per parcheggiare . È possibile quindi che la macchina con gli assassini di Moro sia giunta sul posto nella primissima mattinata : il portiere del Palazzo Mattei afferma di non aver notato la macchina quando alle 7.40 ha aperto il portone . La segretaria della discoteca l ' avrebbe invece notata quando , poco dopo le otto , si è recata al vicino bar dei Funari . Le prime testimonianze sono contraddittorie , la polizia non esclude nemmeno che la macchina possa essere stata portata in via Caetani nella tarda mattinata . In un angolo del bagagliaio , dalla parte dov ' è sistemata la ruota di scorta sulla quale poggiava la testa di Moro , c ' erano anche le catene da neve , e qualche ciuffo di capelli grigi . Questo particolare può far pensare che la macchina con il cadavere abbia percorso un tragitto accidentato , durante il quale il corpo avrebbe subito dei sobbalzi . Ai piedi del cadavere c ' era una busta di plastica contenente un bracciale e l ' orologio . Il corpo di Moro , quando è stato estratto dagli artificieri , era ripiegato e irrigidito . Indossava lo stesso abito scuro che aveva il giorno del rapimento , un abito blu , con la camicia bianca a righine , e la cravatta ben annodata . L ' abito era macchiato di sangue ; sul petto di Moro erano stati premuti alcuni fazzoletti per impedire che il sangue sgorgasse dalle ferite . Nei risvolti dei pantaloni è stata trovata una notevole quantità di sabbia o terriccio . La morte risaliva certamente a molte ore prima , forse all ' alba di ieri martedì , forse addirittura al pomeriggio del giorno precedente . Sotto il corpo e sul tappetino della Renault c ' erano alcuni bossoli di proiettile 7,65 o 9 corto . La presenza dei bossoli faceva pensare , in un primo momento che l ' esecuzione fosse avvenuta all ' interno stesso della macchina , ma i primi rilievi effettuati in serata all ' Istituto di medicina legale sembrano suggerire una sequenza se possibile ancora più spietata e agghiacciante . Moro sarebbe stato ucciso con una raffica di pistola mitragliatrice , calibro 7,65 o 9 corto . Almeno undici sono i fori che hanno squarciato il petto del prigioniero inerme . Visto che l ' abito appariva intatto , la camicia stirata , è inevitabile immaginare la macabra rivestizione del cadavere , e poi il suo trasporto dal luogo della prigionia e dell ' esecuzione fino al centro di Roma , fino al quartiere non scelto a caso , al confine con la sede della direzione comunista e di quella democristiana , quasi un macabro avvertimento e insieme un ' ultima sfida alle forze di polizia . La Renault pare avesse la targa che corrisponde a una delle FIAT 128 usate dai terroristi in via Fani e ritrovata poi abbandonata in via Licinio Calvo . Si tratterebbe cioè di un ' auto rubata che i terroristi hanno usato dopo averle sostituito la targa . La Renault risulta in regola col pagamento della tassa di circolazione e con il contrassegno dell ' assicurazione , che sono scritti con una macchina che ha gli stessi caratteri della Ibm a testina rotante usata per i comunicati delle BR .