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Quando arrivò la SADE... ( Merlin Tina , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Ad Erto , la SADE arrivò nel 1956 . Praticamente poteva agire come in ogni altro luogo , poiché aveva in tasca la concessione di sfruttamento delle acque del Vajont . Aveva , quindi , la « pubblica utilità » che la proteggeva , che le copriva ogni malversazione . Era un formidabile biglietto da visita , che le serviva da lasciapassare . Ma con i contadini di Erto le cose non erano tanto facili . È un popolo per certi versi primitivo , con punte di arguzia e di sospetto ; dal grande , generoso cuore verso gli amici , ma soprattutto libero da ogni costrizione . La saggezza gli deriva , forse , da una lunga tradizione di isolamento come comunità , che conserva gelosamente usi e costumi antichi , di una civiltà primitiva , appunto , ma basata sulla giustizia senza cavilli e sulla verità senza veli . Guidava , allora , l ' amministrazione comunale di Erto , la signora Caterina Filippin , che i suoi compaesani chiamavano familiarmente Cate . In quel periodo essa si batté coraggiosamente alla testa del suo popolo , contro gli espropri , che la SADE voleva risarcire a dieci lire il metro quadro . Parlamentò con i tecnici arrivati sul posto per le stime ; inoltrò ricorsi e controricorsi . Riuscì , anche , a rialzare le quotazioni che , tuttavia , rimanevano ancora troppo basse . Non era solo il valore reale del terreno che i contadini pretendevano . Su quella terra avevano giocato , erano cresciuti , avevano fatto l ' amore , erano nati i loro figli . Senza quella terra avrebbero dovuto andarsene dal paese anche i vecchi e le donne , come i più giovani già facevano per tradizione secolare , per miseria secolare . E dove si trapiantavano con l ' elemosina elargita dalla SADE ? Questo era il punto . Cedere sì , ma non prostituirsi . Inoltre , la SADE pretendeva d ' espropriare nuovi terreni , avendo deciso di rialzare ancora di più il livello d ' invaso . La concessione parlava , è vero , di una quota massima di 677 metri , ma la società elettrica , dopo aver fatto i suoi conti , intravide la possibilità di altri grandi guadagni , se avesse ottenuto l ' autorizzazione a sopraelevare il livello delle acque di altri 45 metri e mezzo , portandole a quota 722,50 . Inoltrò la domanda in tale senso al ministero dei Lavori Pubblici ed ottenne la nuova autorizzazione , malgrado l ' opposizione del Comune e dei privati cittadini . Con i proprietari il monopolio non intendeva troppo parlamentare . Aveva le carte scritte in mano e , a tempo debito , le avrebbe fatte valere . Era tanto sicuro di ciò che tirava le cose per le lunghe , apposta , per logorare la resistenza dei singoli . Aveva tempo davanti a sé . Stava costruendo la diga , per intanto . I contadini avrebbero creduto quando si fossero trovati davanti al lavoro compiuto ; alla grande e maestosa diga che doveva essere l ' orgoglio di tutti e alla « pubblica utilità » che ne derivava di invasare la valle . Per intanto non bisognava urtarli più del necessario . Per mantenere l ' ordine nel paese c ' erano i carabinieri . Il primo gruppo della Benemerita fu installato ad Erto qualche anno prima che arrivasse sul posto la SADE . Si disse che ce n ' era bisogno , a causa di risse e di adulteri , cui troppo spesso gli ertani si lasciavano andare . Facevano una netta distinzione tra quello che era di Dio e quello che era di Cesare pur essendo , sostanzialmente , religiosi . Anzi , la vita di Gesù aveva tanta attrattiva su di loro , che il venerdì santo quelli di Erto mettevano in scena all ' aperto , tra le vie e sulle colline del paese , una rappresentazione della passione di Cristo , forse tra le più belle che esistano ancora in Italia . Era , per la verità , di gusto pagano , ma ad essa si preparavano coscienziosamente tutto l ' anno , parti e costumi , con l ' orgoglio di far ben figurare il paese di fronte agli spettatori che convenivano ad Erto dalla provincia di Belluno e di Udine e da altre città del Veneto . Era una cosa loro , non volevano preti . I parroci succedutisi ad Erto avevano cercato molte volte di far smettere la tradizione , per oltraggio alla religione . Non vi erano riusciti . Un brutto giorno la sindachessa cambiò parere . Si mise a spargere la voce che , contro la SADE , nessuno la avrebbe spuntata . Tanto valeva cedere , prima che succedesse il peggio . Qualcuno s ' impaurì . Se lo diceva il sindaco che era sempre stato dalla parte dei contadini , voleva dire che ne sapeva qualcosa . Altri non rimasero convinti del nuovo atteggiamento assunto dalla prima cittadina del paese . La SADE , comunque , aveva raggiunto il suo scopo . I cittadini di Erto si trovavano divisi ed era il momento opportuno per approfondire il solco della discordia , per tirarne il proprio tornaconto . Il monopolio elettrico si mosse sul terreno diplomatico , come fosse entro un ministero . Avvicinò i dubbiosi e giocò , con loro , al rialzo dei prezzi . Dalla sua aveva già la sindachessa , che aveva dato l ' esempio cedendo le terre al monopolio . In capo a qualche mese la SADE aveva portato a termine il disegno che si era prefissa . Si era acquistata , pagando bene , la complicità e l ' omertà di alcuni proprietari che , ora , facevano la propaganda per la società . La SADE raccolse un magro frutto da questa manovra . I contadini più deboli e ormai senza una guida , si presentarono spontaneamente al monopolio , che pagò la loro terra a 18 lire il metro quadro . Ma la maggioranza si unì attorno a un capo , il signor Pietro Carrara , che guidava un comitato di protesta . La voce di questi montanari vessati dalla SADE arrivò fin dentro il Senato . Il senatore Giacomo Pellegrini , nel riferire il suo interessamento al comitato di Erto , espresse il convincimento che a Roma la cosa non interessava . Tutto andava come voleva la SADE , che aveva ancora l ' ultima carta nel mazzo da giocare . E la buttò sulla tavola vincendo il piatto . Fece sapere a quanti ancora resistevano che dovevano decidersi . O accettare con le buone , oppure sarebbero stati espropriati con la forza e i denari del risarcimento versati in banca a nome del titolare catastale del fondo . Era una operazione che le veniva consentita in virtù della concessione che teneva in mano per « pubblica utilità » . I lavori , nella valle , li doveva fare e lo Stato le dava questa facoltà . Era la fine per i montanari di Erto . Resistere ancora voleva dire non vedere forse mai quei pochi denari . I terreni , in moltissimi casi , erano ancora intestati al primitivo proprietario , morto da tanto tempo . Gli eredi erano molti e sparsi un po ' ovunque , ad Erto e in altre città italiane e straniere . Per entrarne in possesso , essi avrebbero dovuto fare lunghe pratiche burocratiche e procure notarili . Spendere molti denari . Alcuni cedettero al ricatto . Altri resistettero , ma si trovano ancora oggi con i soldi vincolati in una banca . La SADE aveva ormai mano libera per costruire l ' impianto . Ai contadini espropriati fu offerto un posto di lavoro sulla grande diga e molti di loro morirono nel corso della sua costruzione . È bene spiegare in che modo la SADE ottenne la concessione per lo sfruttamento delle acque del Vajont . Alla luce della terribile tragedia , il pensiero di come essa riuscì ad averla in mano fa semplicemente rabbrividire . Il decreto porta la data dell ' ottobre 1943 . L ' Italia era precipitata nel caos . Non esisteva , praticamente , un governo . A Roma , in quei giorni gli ebrei venivano rastrellati dai tedeschi . Nulla più era efficiente . Le donne italiane rivestivano di abiti borghesi i soldati fuggiaschi per sottrarli alla cattura . L ' unica cosa valida di quei momenti erano i gruppi antifascisti che si andavano organizzando per la lotta partigiana . Eppure , dentro il ministero dei Lavori Pubblici di Roma , la SADE trovò o pagò un funzionario disposto a mettere un timbro e una firma di un ministro fasullo sotto la concessione . Un documento che nessun governo del dopo guerra contestò mai al monopolio elettrico . Mentre il popolo italiano pensava ad organizzarsi e a lottare per la liberazione del paese , moriva per i propri ideali di democrazia e di giustizia sociale , la SADE maneggiava nei ministeri , imbrogliando le carte , per non perdere quella che credeva l ' ultima partita . Il Vajont aveva avuto un assurdo inizio prima di avere una tragica fine . La costruzione del lago artificiale e la sopraelevazione delle acque a quota 722,50 creava un altro grosso problema per i valligiani di Erto . Il centro veniva diviso da alcune sue frazioni , situate sul versante sinistro della valle . In quella zona sorgevano tre centri abitati : Pineda , Prada e Liron . Inoltre molti abitanti di Erto possedevano ancora terreni sul lato opposto del paese e case , dove si trasferivano con il bestiame dalla primavera all ' autunno . I contadini raggiungevano i due versanti in un batter d ' occhio , attraverso sentieri che percorrevano veloci quanto gli scoiattoli . Erano abituati da sempre a quelle primitive vie di comunicazione . Perciò avevano costruito i villaggi dall ' altra parte del paese , dove c ' era l ' unica buona terra da coltivare . Le donne s ' erano allenate fin da piccole a portare la gerla in spalla carica di fieno , letame e patate . I bambini percorrevano gli stessi sentieri per recarsi alla scuola del paese , anche con la neve . La SADE era tenuta , secondo quanto era scritto nel disciplinare di concessione , a mettere in opera tutte le misure necessarie per garantire il normale bisogno delle popolazioni . Ed esse volevano una passerella che attraversasse la valle . La SADE , in un primo tempo , accettò di costruirla . In seguito , probabilmente dopo l ' autorizzazione a sopraelevare il livello dell ' acqua , si rifiutò . Disse che avrebbe , invece , costruito una strada di circonvallazione , bella e panoramica . Per i contadini la strada significava sette chilometri di percorso per andare e tornare dal paese . A piedi , poiché , a quel tempo , nessuno possedeva neppure una motocicletta . Significava fatica e perdita di tempo per le donne che dovevano recarsi al paese per le spese , per i bambini che dovevano andare a scuola . Ed era un grosso inconveniente in caso di urgenti necessità , quali il medico o qualche ammalato grave da trasportare . Per di più , la strada veniva costruita su un percorso che ad ogni primavera con il disgelo e ad ogni autunno con le piogge , franava . La gente si oppose . Iniziò la seconda ondata di proteste anti - SADE . La società elettrica corse ai ripari . Capì che con i contadini di Erto bisognava mettere nero su bianco per convincerli . E il nero che stava scritto sulle sue carte ufficiali parlava chiaro in favore dei contadini . Bisognava , allora , modificare le carte . La sua mano era abbastanza lunga per arrivare dappertutto . Un giorno si presentò ad Erto con un nuovo disciplinare di concessione , con il quale il ministro competente la esonerava dal costruire il ponte perché « la natura del terreno non reggeva all ' opera » . Il terreno di Erto era tutto della stessa natura . Secondo le carte dei ministeri e della SADE il ponte non si poteva costruire perché era pericoloso , ma la diga e il bacino invece , si potevano fare . I contadini ricorsero contro il nuovo disciplinare . Nessuno li ascoltò . La SADE , intanto , segnò il tracciato della strada e cominciò a costruirla . Man mano che i lavori avanzavano espropriava i contadini , senza nemmeno chiedere il loro permesso . Passava sui loro terreni , rovinandoli ; davanti alle loro case ; sui loro cortili . « Pubblica utilità » - diceva . Gli ertani , umiliati e inferociti , protestarono giustamente , verso autorità locali , provinciali e nazionali , il loro diritto ad essere trattati almeno umanamente . Le loro proteste suonarono sempre a vuoto . Ci fu una persona , per la verità , che ritenne giuste le proteste dei contadini . Fu l ' ingegner Desidera , allora ingegnere capo del Genio Civile di Belluno . Questi , di sua iniziativa , fece fermare i lavori della strada . Il giorno dopo questa sua presa di posizione venne trasferito da Belluno . Una mattina , un contadino , esasperato , affrontò i tecnici della SADE brandendo un ' accetta . « Se fate ancora un passo sul mio vi ammazzo tutti » - gridò . I carabinieri lo andarono a prelevare e lo denunciarono per minaccia a mano armata . Cosa dovevano fare gli ertani di fronte alla prepotenza legalizzata , di fronte a una società privata che dettava legge , di fronte a uno Stato che proteggeva i forti contro i deboli ? Pensarono di costituire un consorzio di capi famiglia , che avesse veste giuridica per affrontare i potenti . Indissero una pubblica assemblea , che si tenne una domenica mattina , con il vento che spazzava via l ' ultima neve . Invitarono , per l ' occasione , i parlamentari della circoscrizione , di ogni partito . Tranne l ' on. Giorgio Bettiol di Belluno , nessuno si fece vivo . La riunione ebbe luogo il 3 maggio 1959 nella rustica sala da ballo dell ' ENAL , alla presenza del notaio dott. Adolfo Soccal di Belluno , che redasse l ' atto costitutivo e legalizzò le firme dei 136 capi famiglia , che sottoscrissero il documento . La riunione fu molto più numerosa . Intere famiglie si recarono sul luogo dell ' assemblea , anche molte donne con i bambini , che nel corso della prima messa domenicale avevano sentito le parole di esortazione del parroco don Doro , affinché tutti aderissero all ' iniziativa « sacrosanta » . Quella mattina successe un fatto che turbò un poco i presenti . Un imponente vecchio , Giovanni Martinelli , era giunto da oltre la valle con due cartelli . « Abbasso la SADE » e « Abbasso il governo » - c ' era scritto . Aveva ragione da vendere , visti i precedenti . I carabinieri si indispettirono e gli ordinarono di depositarli in un angolo . Lui si rifiutò fieramente . I carabinieri glieli strapparono con la forza , malgrado che egli tentasse di trattenerli . « Se non li molla la denuncio per resistenza a pubblico ufficiale » - scandì l ' uomo in divisa . Giovanni Martinelli aveva fatto la guerra del '15-'18; aveva aiutato i partigiani nell ' ultima guerra ; aveva avuto la casa bruciata dai tedeschi e , dal governo non aveva ricevuto una lira per i danni subiti . Era uno dei più energici nelle proteste ; uno dei più sicuri che la montagna dovesse franare e provocare una tragedia . Quella terribile notte del Vajont , l ' acqua gli avrebbe portato via un figlio di 23 anni . L ' assemblea si svolse con ordine , ma in un clima di ribellione che ognuno covava dentro il petto da tempo . Una vecchia disse : « Se i ladri vengono a rubare in casa mio , io ho ben il diritto di prendere il fucile e difendermi » . A presidente del consorzio fu eletta la signora Lina Carrara , moglie di quel Pietro Carrara , che fu uno dei primi animatori delle proteste anti - SADE . Egli , dopo l ' esproprio dei terreni , era stato costretto ad accettare lavoro dalla società elettrica . Morì in un infortunio occorsogli durante la costruzione della diga . Sua moglie , insegnante elementare a Pordenone , accettò subito l ' incarico degli ertani , in nome di una solidarietà umana che non si sentiva di tradire , verso i compaesani di suo marito , che avevano offerto il proprio sangue numerosi all ' epoca dell ' infortunio , nel generoso tentativo di salvarlo . Molti ertani parlarono quel giorno . Degli espropri , della strada e del costruendo bacino . Qualche mese prima , nel vicino lago artificiale di Forno di Zoldo , era franato un pezzo di montagna . Anche ad Erto il terreno era di natura franosa , in pendenza dal 40 al 70% . Il paese era addirittura costruito su terra di riporto alluvionale . I contadini portavano l ' esempio di Forno di Zoldo e di Vallesella di Cadore . In ambedue i casi l ' acqua dei laghi artificiali , col suo continuo movimento ondoso , aveva « mangiato » il terreno di natura franosa e provocato disastri . A Vallesella tutte le case si erano spaccate . Gli ertani manifestarono la loro apprensione e si proposero di condurre avanti una lotta organizzata « per la difesa e la rinascita della valle ertana » . Questa fu , appunto , la denominazione data al consorzio . Una giornalista dell ' Unità , presente all ' assemblea , riferì sul suo giornale la cronaca dell ' avvenimento , registrando le impressioni della popolazione di Erto in merito all ' invaso . Fu denunciata all ' autorità giudiziaria , dal brigadiere dei carabinieri Battistini , per « notizie false e tendenziose atte a turbare l ' ordine pubblico » . La denuncia aveva il chiaro scopo di intimorire gli ertani ; di stroncare la loro resistenza . Ottenne il risultato opposto , poiché molti contadini si offersero di andare a testimoniare al processo . Tra la denuncia e la celebrazione del processo passò un anno . Nel frattempo , precisamente il 6 novembre 1960 , dal monte Toc franarono alcune centinaia di metri cubi di materiale . Un appezzamento di bosco , della lunghezza di duecento metri , sprofondò nel lago . L ' ondata che si sollevò fu abbastanza grande , ma non fece vittime , essendo il livello dell ' acqua alquanto basso . Il franamento spazzò via numerose case che erano state espropriate per l ' invaso e provocò larghe fenditure in tutta la zona del Toc . Chi non aveva ancora creduto al pericolo si rese conto che il paese era destinato alla rovina . Il 30 novembre 1960 si celebrò il processo a carico dell ' Unità . I giudici di Milano ascoltarono con interesse la deposizione della giornalista e quella dei montanari di Erto . Esaminarono attentamente le fotografie che riproducevano la zona . Si informarono minuziosamente della situazione di Erto e Casso , facendo un po ' di confusione nel pronunciare i due strambi nomi . Gli ertani si appellarono ai giudici con foga contadina , affinché la loro sentenza fosse un allarme che destasse l ' attenzione delle autorità sulla sorte della zona . I giudici , alfine si ritirarono . Rimasero pochissimo in camera di consiglio . Quando ritornarono in aula lessero una sentenza di piena assoluzione , ritenendo che , nell ' articolo incriminato « nulla vi era di falso , di esagerato o di tendenzioso » . Ma neppure l ' autorevole sentenza di un tribunale indusse la pubblica autorità ad intervenire indifesa delle popolazioni minacciate . Il consorzio di Erto intensificò la lotta , interessando della sicurezza delle popolazioni prefetti , uffici del Genio Civile , la SADE , la Provincia , il Parlamento . Il consiglio provinciale votò all ' unanimità un ordine del giorno in data 13 febbraio 1961 sulla situazione di pericolo del Vajont , che fu personalmente recato a Roma da una delegazione dello stesso consiglio , guidata dal presidente dott. Alessandro da Borso . Di ritorno da Roma , nel riferire al consiglio sull ' esito della missione , egli espresse il suo sconforto dichiarando : « la SADE è uno Stato nello Stato » . La solita giornalista dell ' Unità scrisse un altro articolo , in data 21 febbraio 1961 , denunciando un pericolo che avrebbe potuto divenire tragedia . In esso , tra l ' altro , diceva : « Una enorme massa di 50 milioni di metri cubi di materiale , tutta una montagna sul versante sinistro del lago artificiale , sta franando . Non si può sapere se il cedimento sarà lento o se avverrà con terribile schianto . In questo ultimo caso non si possono prevedere le conseguenze . Può darsi che la famosa diga tecnicamente tanto decantata , e a ragione , resista . Se si verificasse il contrario e quando il lago fosse pieno , sarebbe un immane disastro per lo stesso paese di Longarone adagiato in fondovalle » . Qualcuno si domanderà : ma la SADE sapeva , era al corrente della situazione di pericolo nel Vajont ? La risposta è : si , la SADE sapeva perfettamente , ma aveva tutto l ' interesse a non renderlo pubblico , in vista della nazionalizzazione . L ' impianto doveva passare allo Stato in piena efficienza , affinché venisse ripagato per intero , dopo che era già stato sovvenzionato nel corso della sua costruzione con altissime percentuali sulla spesa totale , dal 60 all'80% . Tuttavia , in segreto , la SADE fece i suoi esperimenti . Incaricò l ' Istituto di idraulica dell ' Università di Padova , di cui era ed è titolare il prof. Ghetti , di effettuare una prova su modello per misurare , su scala ridotta , gli effetti della caduta del Toc e della tracimazione delle acque del lago oltre la diga . L ' esperimento venne fatto a Nove di Fadalto . Diede risultati sconcertanti , che furono tenuti segreti . In base alla prova effettuata , l ' acqua sarebbe tracimata in misura di 2-3 milioni di metri cubi e il Toc avrebbe franato di 50 milioni di metri cubi di materiale . La notte del 9 ottobre franò per 200 milioni di metri cubi di materiale e tracimò 60 milioni di metri cubi d ' acqua . L ' esperimento , condotto con dovizia di mezzi e da tecnici altamente qualificati , si dimostrò errato . Ma anche se l ' acqua del Vajont fosse precipitata nella misura calcolata sull ' abitato posto sotto la diga , dove si trovava anche la cartiera di Verona sarebbero morte due o trecento persone , nella migliore delle ipotesi . Per la SADE il problema era quello di poter continuare ad utilizzare il bacino , di non interrompere la produzione , quando la montagna sarebbe caduta . L ' invaso del Vajont era il più importante invaso dei collegati Boite - Maè - Piave - Vajont . Era un grosso bacino di riserva le cui acque , venivano avviate ad alimentare la grossa centrale di Soverzene in tempo di « magra » del Piave . Era , perciò , il più importante . Interrompere l ' attività del bacino , sia pure a causa di una grossa , minacciosa frana in movimento , voleva dire perdere miliardi di guadagno . Ormai il bacino era fatto e bisognava utilizzarlo al massimo . Si doveva andare avanti fin che si poteva . E prevedere il modo di utilizzare le acque anche dopo . Per la SADE il rischio valeva la candela . Il monopolio elettrico chiamò dall ' estero varie commissioni di esperti per studiare il problema . Essi consigliarono di costruire un tunnel di scarico sotterraneo , con sbocchi a monte e a valle della diga , nel caso che la montagna , cadendo , formasse due laghi . Erano già in grado di prevedere con esattezza come la caduta del Toc sarebbe avvenuta . La SADE li ascoltò e costruì l ' opera . Nella primavera del 1963 , poco prima del decreto di nazionalizzazione , il lago venne riempito per la prima volta fino a quota 702 metri . Per « precauzione » ci si tenne al di sotto di 20 metri dal massimo livello consentito . Bisogna dire che la commissione di collaudo nominata dal Consiglio superiore dei Lavori Pubblici non collaudò mai l ' impianto del Vajont . Tra gli stessi componenti esistevano opinioni opposte sulla validità dell ' opera fin dall ' autunno 1960 , all ' epoca della caduta della prima frana . Proprio per l ' esistenza di queste opinioni diverse la commissione divenne un organismo permanente , con facoltà di collaudo in corso d ' opera . Ciò voleva dire provare , tentare e vedere . Fino alla primavera del 1963 si erano fatti soltanto tentativi e prove . Il bacino veniva « invasato » di pochi metri alla volta e poi svuotato per misurare la stabilità del terreno . Nell ' estate del 1963 esso appariva colmo d ' acqua . Ma anche in questa occasione il collaudo non ebbe luogo . Il geologo prof. Penta dissentì dagli altri colleghi della commissione , manifestando seri dubbi sulla stabilità futura della zona . Il ministro dei Lavori Pubblici al quale furono presentate le due ipotesi contrarie formulate dai membri della commissione , accolse la più ottimista . E diede parere favorevole al pieno invaso del bacino senza che questo fosse stato mai collaudato dai tecnici . Dopo qualche mese , la spalla sinistra della diga presentò qualche difficoltà . Forse la pressione dell ' acqua era troppo forte . Si corse ai ripari , immettendo continuamente « iniezioni » di cemento nei punti ritenuti più vulnerabili . L ' operazione non risultò di grande sollievo . Bisognava ridurre il livello del lago , per salvare la diga . Riducendo l ' acqua era probabile che cadesse il Toc . La SADE si trovò di fronte a un grosso problema tecnico . Venne presa la decisione di abbassare le acque a ritmo lentissimo , tenendo contemporaneamente d ' occhio la montagna . I tecnici incominciarono a svuotare il lago mentre la frana avanzava , ormai , di 40 centimetri il giorno . Pensavano di poter terminare lo svaso entro la fine di novembre . Un mese prima della catastrofe , il vice - sindaco di Erto , Martinelli , scrisse una allarmante lettera all ' ENEL - SADE , alla Prefettura e al Genio Civile di Udine , esperimento seri dubbi sulla stabilità delle sponde del lago e chiedendo « di provvedere a togliere dal Comune di Erto e Casso le cause dello stato di pericolo pubblico prima che succedano , come in altri paesi , danni riparabili e non riparabili ; quindi mettere la popolazione di Erto in uno stato di tranquillità e di sicurezza e solo dopo rimettere in attività il bacino di Erto » . L ' ENEL - SADE rispondeva dichiarando « piuttosto azzardate » le previsioni del Comune , e asserendo che l ' abitato non correva assolutamente alcun pericolo . Una settimana prima della tragedia i tecnici in servizio sulla diga manifestano apertamente , ai dirigenti , la loro preoccupazione . Sordi boati e scosse del terreno sono all ' ordine del giorno . I tecnici parlano del pericolo anche con gli amici , tramite il filo del telefono : « Qui da un momento all ' altro si va tutti in barca » ; « Sto mangiando e la scodella balla » . Tre giorni prima del disastro l ' ing. Caruso dell ' ENEL , viene delegato a seguire in permanenza l ' andamento della frana . Il geometra Ritmajer che era stato trasferito a Venezia viene bloccato sulla diga . Gli operai addetti ai servizi non vogliono più andare a lavorare . Il vice - sindaco di Longarone , Terenzio Arduini , telefona al Genio Civile di Belluno per essere rassicurato sulle voci di grave pericolo che circola nella zona . Viene rassicurato . Nel pomeriggio del 9 , fino alle ultime ore prima della tremenda valanga d ' acqua , partono per Venezia , sede dell ' ENEL - SADE , drammatiche telefonate dai geometri sulla diga , annunciando l ' imminente pericolo . « Mi lasci vedova » grida la moglie del geometra Giannelli , inutilmente tentando di convincere il marito a non tornare al suo posto di lavoro . Alle ore 21 si risponde al geometra Ritmajer , che tempesta di telefonate la direzione di Venezia , di « dormire con un occhio aperto » ma di stare calmo , che a Venezia non si prevede tanto pericolo . Sempre alle 21 si mandano due carabinieri a Longarone nei villaggi sotto la diga per avvertire la popolazione di non allarmarsi « se dalla diga uscirà un po ' d ' acqua » . Alla stessa ora l ' ing. Caruso chiede ai carabinieri di far bloccare il traffico sulla statale d ' Alemagna , senza preoccuparsi che la strada passa proprio in mezzo al centro abitato di Longarone . Nessuno pensa di far evacuare i paesi . Probabilmente si fidava fin troppo della prova sul modello effettuata dia grandi professori , equivalente al gioco dei bambini che buttano sassi in un catino d ' acqua . Alle 10,45 il Toc frana nel lago , sollevando una paurosa ondata d ' acqua . Questa si alza terribile un centinaio di metri sopra la diga , tracima dalla stessa e piomba di schianto sull ' abitato di Longarone , spazzandolo via dalla faccia della terra . A monte della diga , un ' altra ondata impazzisce violenta da un alto all ' altro della valle , risucchiando dentro il lago interi villaggi . Oltre 2.500 vittime in tre minuti d ' apocalisse . L ' assassinio è compiuto .
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Belluno , 4 maggio - A Erto , in Valcellina , 130 capi famiglia uomini e donne , si sono consorziati per creare un organismo che abbia veste giuridica nel difendere i diritti e gli interessi dei singoli e della collettività del paese di fronte alle prepotenze e ai soprusi che la SADE va da anni compiendo nella zona . Il nuovo organismo è stato denominato « Consorzio per la rinascita e la salvaguardia della valle ertana » . A tale scopo si è svolta ad Erto una manifestazione popolare sotto gli auspici del comitato provinciale di rinascita della montagna presieduta dal compagno on. Bettiol e dal compagno Celso , segretario della Federazione bellunese del PSI . Durante la manifestazione sono state raccolte anche le firme in calce alla proposta di legge di iniziativa popolare per la montagna sulla quale sono stati espressi unanimi consensi . Sono intervenute le famiglie direttamente interessate alla difesa dei loro beni minacciati od espropriati dalla SADE e moltissimi altri montanari che nell ' egoismo della società elettrica e nell ' inerzia del governo intravvedono un pericolo grave per la stessa esistenza del paese a ridosso del quale si sta costruendo un bacino artificiale di 150 milioni di metri cubi d ' acqua , che un domani eroderanno il terreno di natura franosa , potrebbero far sprofondare le case nel lago . Per di più il lago dividerebbe irrimediabilmente il villaggio dalle sue terre più fertili isolando oltre valle decine di case . E la SADE non vuol provvedere alla costruzione del ponte che manterrebbe congiunto il centro del paese alle sue frazioni . Inoltre un fatto grave e contrario a tutte le leggi , che ha avuto inizio da qualche mese e che tuttora , perdura , ha portato all ' esasperazione gli abitanti della valle . Essi si vedono continuamente invadere ed espropriare i propri campi dalle società che hanno in appalto la costruzione della strada di circonvallazione per conto della SADE . Nessun decreto di espropriazione o trattative per la cessione dei beni sono intervenuti fra la SADE e i proprietari . La società elettrica infrange tutte le leggi dello Stato e i contadini hanno sempre dovuto sottostare finora ai soprusi della SADE . Qualche giorno fa si è perfino fatto sgomberare con la forza dalla propria casa una famiglia con sei figli perché si dovevano far brillare le mine per aprire un passaggio alla strada . La famiglia ha dovuto trovare provvisoriamente ricovero in una fredda stalla ( la neve è a poche centinaia di metri dal paese ) dove si trova alloggiata tuttora . La gente non ne può più di tante ingiustizie e qualche volta tenta di difendere da sé i propri diritti . Una vecchia che gira la pianura veneta con la gerla a vendere cucchiai di legno e che è stata espropriata di piccoli pezzi di campo da tutte e due le parti del torrente ci ha detto : « Se un ladro viene a portare via la mia roba , a sparare le mine sotto la mia casa , allora io posso ben prendere il fucile e difendermi » . Un abitante della frazione Pineda venuto alla manifestazione con un cartello di protesta contro la SADE ha detto : « Ho avuto la casa bruciata dai tedeschi e lo Stato non mi ha ancora dato niente per i danni di guerra . I miei figli hanno dovuto andare a lavorare all ' estero . Ora mi toglieranno di prepotenza anche il campo . Io non sono italiano per il governo . Sono solo me stesso e da solo ora mi difenderò » . Sono discorsi questi della popolazione di Erto che forse non sono perfettamente in linea con le leggi , ma contengono una saggezza montanara perfettamente a posto con la logica e il buon senso . Infatti se il governo per primo non è in grado di fare rispettare le leggi , perché mai dovrebbero rispettarle i cittadini sottoposti alle angherie della SADE e alla debolezza del governo stesso ? Non c ' è nessuno a Erto - tranne il sindaco che per essere una donna ha dimostrato assai poca sensibilità venendo meno alla fiducia che in lei avevano riposto i suoi concittadini - che non sia solidale con la popolazione . Anche il parroco don Luigi Doro è dalla parte dei suoi parrocchiani . Ieri a tutte e due le messe domenicali ha esortato dal pulpito la popolazione a recarsi a firmare per la costruzione del consorzio . Una signora del luogo ora domiciliata a Pordenone , è venuta apposta a Erto per essere presente e partecipare alla costituzione del Consorzio che segna l ' inizio di nuove battaglie per imporre allo Stato l ' applicazione delle leggi e alla SADE il rispetto dei patti contratti con la popolazione . « Legalità » e « giustizia » sono la parole che pronunciano con fermezza i montanari della Valcellina . Ed è nel rispetto della legalità e della giustizia , purché tale rispetto sia reciproco , che essi imposteranno tutte le loro future azioni per la difesa della loro terra .
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Belluno , 7 novembre - Il lago artificiale di Erto , nel cui bacino le acque sono state immesse da appena un mese , ha già cominciato a provocare disastri . Un ' enorme frana è precipitata in questi giorni entro il lago , staccandosi dai terreni sulla sponda sinistra in località Toc , poco più su della grande diga del Vajont . Un appezzamento di bosco e prato della lunghezza di circa 300 metri ha ceduto all ' erosione delle acque ed è piombato entro il lago . Non si conosce con esattezza la quantità del materiale franato ; certo si tratta di diverse centinaia di metri cubi . Si sa soltanto con precisione che esso ha fatto alzare il livello dell ' acqua di un metro e 10 centimetri . I valligiani di Erto hanno fatto ieri un altro calcolo : hanno preso come riferimento l ' altezza del vecchio ponte sul Colomber che è alto 138 metri . Il materiale franato ha quasi raggiunto la spalletta del ponte , una trentina di metri sotto . Il conto è per ciò fatto . Per puro caso il disastro non ha registrato qualche tragedia . All ' ora in cui si è verificato il crollo , circa verso le 13 , ragazzi e valligiani sono soliti aggirarsi con rudimentali zattere nel punto del lago dove la frana è precipitata per trarre in salvo dalle case , per metà sommerse , travi e materiale vario . Quel giorno non c ' era nessuno . La frana ha fatto sollevare un ' immensa colonna di acqua che ha spezzato come fuscelli i muri delle case ancora in piedi . Ora non si vedono più e sembra che non siano mai esistite . Gli abitanti del Toc , colti alla sprovvista , sono stati presi dal panico tanto più che alcune case sono proprio vicine al luogo franato . Pure alla sprovvista sono stati presi i tecnici e i dirigenti della S.A.D.E. che , accorsi sul luogo , hanno fatto evacuare le famiglie , che sono fuggite trascinandosi dietro i pochi capi di bestiame . Quasi tutte le case della zona presentano numerose fenditure . Ovunque si temono altri cedimenti . Le spie di vetro fatte apporre sui muri si sono spezzate rivelando l ' insidia che sovrasta la zona . A ridosso del lago , per una lunghezza di 600 metri , i reticolati della S.A.D.E. sbarrano la strada e numerosi cartelli avvisano della presenza di un grave pericolo . Oggi due lussuosissime macchine sono giunte sul posto , quelli che la popolazione chiama « i pezzi grossi » della S.A.D.E. Apparivano preoccupati ; hanno controllato , osservato ; se ne sono andati all ' avvicinarsi dei valligiani . « Non vogliono rispondere alle loro domande . S ' interessano solo del loro lago , di noi non importa loro proprio niente » . Questi sono stati gli amari , ma quanto veritieri , commenti degli abitanti della zona . Si era dunque nel giusto quando , raccogliendo le preoccupazioni della popolazione , e memori delle precedenti esperienze di Vallesella e Forno di Zoldo , si denunciava l ' esistenza di un sicuro pericolo costituito dalla formazione del lago . E il pericolo diventa sempre più incombente . Sul luogo della frana il terreno continua a cedere , si sente un impressionante rumore di terra e sassi che continuano a precipitare . E le larghe fenditure sul terreno , che abbracciano una superficie di interi chilometri non possono certo rendere tranquilli .
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Belluno , 20 febbraio - Una delegazione guidata dal dott. Da Borso , presidente dell ' Ente provinciale conferirà a Roma con i ministri dei Lavori pubblici e delle Finanze ai quali verranno sottoposte le richieste che il Consiglio provinciale ha unanimemente formulato sui problemi idroelettrici , alcuni dei quali sono arrivati a una tale acutizzazione che comportano per il governo una chiara e decisa scelta finale . Se finora le autorità governative hanno potuto impunemente svolgere una politica di promesse per i montanari e di concessioni per la società elettrica ora , per quanto riguarda la provincia di Belluno , siamo allo scontro finale : ora il governo non dovrà soltanto dire ma fare adoperare le leggi come devono essere adoperate , poiché anche i suoi migliori sostenitori periferici - amministratori , deputati , parroci - hanno rinunciato a continuare a difendere apertamente il suo operato , perché è a tutti fin troppo chiaro che esso giova soltanto al potente monopolio . La discussione avvenuta in Consiglio provinciale sulla mozione del compagno on. Bettiol ha dimostrato l ' agitazione , l ' imbarazzo dei d.c. locali e il loro tentativo , seppur strumentale , dettato dall ' esigenza di differenziare almeno a parole il loro operato da quello del governo per esigenze propagandistiche di partito e personali , di risalire una china che erano andati scendendo pian piano , rendendoli complici della volontà del governo in fatti incresciosi e talvolta dolorosi , di fronte ai quali ci si limitava a deplorare , ma non si era in grado d ' imporsi , di protestare , di ottenere il proprio diritto . A scuotere le coscienze ci sono voluti fatti e avvenimenti che i d.c. non potevano prevedere . C ' è voluta la ribellione dei cittadini di Domegge , che si son sentiti indegnamente beffati dopo anni di fiduciosa attesa per la loro frazione di Vallesella , rovinata dal bacino SADE . Il governo e le autorità provinciali dovevano appoggiare e incoraggiare l ' azione intrapresa da quei cittadini per la difesa del loro paese ; invece si lasciava alla SADE ogni possibilità di sottrarsi sempre ai propri obblighi di legge , anche quando la stessa ha allungato una settantina di milioni per riparare le case danneggiate , a titolo però di elargizione e non di preciso indennizzo di responsabilità . Un atto inutile , perché le case continuano a dissestarsi , ma che l ' avarissima SADE , come dice una relazione del Comune di Domegge , « ha praticato come un ' iniezione di morfina al malato dolorante , solo per addormentarne il dolore , ma non è servita per addormentare la coscienza della popolazione » mentre , continua sempre la relazione « in altra sede si , la iniezione è servita e qualcuno si è addormentato » . È questa , una precisa accusa al potere costituito . L ' amarezza e la sfiducia dei cittadini di Domegge si è clamorosamente manifestata con l ' astensione totale dal voto per le elezioni amministrative dello scorso novembre , che ha assunto un preciso atto di protesta . Il rigetto da parte della GPA della delibera con la quale il Comune di Domegge aveva deciso d ' istruire una pratica giudiziaria contro la SADE , era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso . Ed anche i d.c. hanno dovuto aprire gli occhi sulla realtà . Un ' altra realtà che deve essere affrontata con urgenza è quella che si sta verificando ad Erto per l ' invaso del Vajont . Il P.C.I. ne ha parlato a iosa e sembrava che le sue parole fossero lanciate al vento . Ora si sta determinando l ' irreparabile quello che noi avevamo sempre temuto e denunciato . Una enorme massa di 50 milioni di metri cubi di materiale , tutta una montagna sul versante sinistro del lago artificiale , sta franando . Non si può sapere se il cedimento sarà lento o se avverrà con un terribile schianto . In quest ' ultimo caso non si possono prevedere le conseguenze . Può darsi che la famosa diga tecnicamente tanto decantata e a ragione , resista ( se si verificasse il contrario e quando il lago fosse pieno sarebbe un ' immane disastro per lo stesso paese di Longarone adagiato in fondovalle ) , ma sorgeranno lo stesso altri problemi di natura difficile e preoccupante . I più illustri tecnici fatti convocare per l ' occasione da varie parti del mondo , hanno suggerito alla SADE di costruire una galleria per far defluire l ' acqua da un lago all ' altro quando la montagna cadendo , avrà di fatto formato due invasi . Non si sa cosa succederà dell ' agglomerato del paese quando il lago superiore sarà pieno , poiché è notorio che esso è interamente poggiato su terreno di frana . La SADE dice che sotto questo terreno esiste uno strato di roccia . Ma come ci si può fidare di un giudizio che il monopolio ha fallito in pieno già diverse volte anche in provincia , come a Forno di Zoldo e nella stessa zona di Erto ? Il compagno Bettiol ha chiesto ed ottenuto che l ' Ente Provincia si associ al Comune per far fare altre perizie sul sottosuolo di Erto , per dare tranquillità a quei cittadini che si trovano in uno stato di perenne agitazione anche perché sulla sinistra , come tante volte denunciato anche dal nostro giornale , continuano a cadere frane sulla nuova strada di circonvallazione e una ventina di famiglie sono anche attualmente prive di ogni via di collegamento con il paese , perché un pezzo di strada è stata travolta e distrutta dagli ultimi franamenti . Questa è la realtà umana della popolazione . Poi c ' è la realtà dei cavilli giuridici e delle sentenze . Come è noto il Tribunale superiore delle acque pubbliche ha emesso ultimamente una sentenza che priva il bacino imbrifero del Piave di 180 milioni all ' anno e di un miliardo e mezzo di arretrati , perché concede alla SADE di sottrarsi all ' obbligo di corrispondere i sovraccanoni sugli impianti di Fadalto . Qui i d.c. vorrebbero giuocare sull ' equilibrio , attribuendo tutta la colpa alla magistratura . E ai profani di queste cose forse parrebbe tale se non esistessero precedenti costituiti da precise richieste , dibattiti , azioni di enti locali e iniziative anche legislative , svolti in passato presso il governo e il ministro competente , richiedenti l ' estensione del pagamento del sovraccanone a tutti gli impianti esistenti . È il governo , perciò il responsabile dell ' attuale sentenza , come è responsabile di aver concesso i rimanenti 125 moduli d ' acqua , che ancora esistevano nell ' ormai striminzito Piave contro il parere degli enti locali , ed averli concessi per 60 anni alla SADE , che li utilizza negli impianti di Fadalto , proprio quando stanno per scadere le precedenti concessioni per quegli impianti , prorogando di fatto tutte le concessioni di quella zona fino al 2019 . Ma l ' assurdo ancora più grave è che autorizza la società elettrica a compiere un vero furto legalizzato , poiché le si concede la facoltà d ' iniziare a pagare i sovraccanoni per i 125 moduli dell ' ultima concessione al termine dei lavori , che di fatto non esistono se non per un semplice canale , poiché gli impianti sono già al completo . Cosicché la SADE già sfrutta quest ' acqua fin dal 1954 ( e illegalmente anche prima come è stato documentato ) senza dover ancora pagare una lira . È un mostruoso assurdo che non trova precedenti e di cui è interamente responsabile il governo .
Il crollo della diga del Vajont ( Merlin Tina , 1963 )
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Ponte delle Alpi , 9 notte - Sono a Ponte delle Alpi : la strada è bloccata da agenti della polizia , carabinieri , soldati . Non si passa . Solo le autoambulanze , i mezzi della polizia e dell ' esercito possono passare il posto di blocco , avanzare verso Longarone , il paese di duemila abitanti sommerso nella notte dalla valanga d ' acqua che l ' ha investito dopo che la diga sul Vajont ha ceduto . Le notizie giungono incerte , frammentarie , confuse , rimbalzano nella notte da un crocchio all ' altro : si parla di decine di morti , qualcuno dice centinaia . Una ventata di terrore è passata , insieme al torrente impietoso , sprigionatosi dalla diga « saltata » . Venendo verso Ponte delle Alpi ho visto , alla periferia di Belluno e in altri paesi , donne coi bambini in braccio fuggire nella notte , lontano dal Piave le cui acque , per un raggio di molti chilometri , si sono spaventosamente ingrossate . Anche qui , a Ponte delle Alpi , molta gente ha abbandonato la casa , è fuggita perché le acque del Piave hanno raggiunto un ' altezza che mette paura . Mentre tento ancora , inutilmente , di forzare il posto di blocco giungono altre forze di polizia e reparti dell ' esercito , vigili del fuoco da tutte le province venete . Solo questo incessante e frenetico affluire delle squadre di soccorso dà per ora un ' idea della gravità del disastro che ha colpito Longarone , il paese che si trova ai piedi della grande diga crollata , e la vallata del Piave . Qualcuno dice che il crollo è stato parziale e che i danni forse sono più limitati di quello che pareva in un primo momento . Ma sono voci , soltanto voci . Quello che tutti dicono è che a Longarone i morti e i feriti sono molti . Duemila persone sorprese nel sonno dalla disastrosa inondazione ; Solo qualcuno ha udito il rombo minaccioso delle acque che stavano scatenandosi nella loro corsa di morte . La grande maggioranza è stata sorpresa a casa , nel letto . Decine di abitazioni sono state spazzate via dalla furia delle acque . Impossibile telefonare a Longarone : le comunicazioni sono interrotte . Questa impossibilità di comunicare rende più drammatica l ' ansia che pervade quanti si assiepano , in attesa di notizie , attorno al posto di blocco di Ponte delle Alpi e a quelli istituiti in altre località della zona . Un testimonio oculare ha portato a Longarone le seguenti drammatiche notizie : il paese è stato spazzato via per tre quarti della sua estensione . L ' aspetto è agghiacciante , non si ode un gemito , sembra un immenso cimitero . Molte decine di persone , intere famiglie , mancano all ' appello . Le frazioni attorno a Longarone sono pure state investite dall ' enorme massa di acqua : Pirago sarebbe completamente distrutta , Villanova e Faè semidistrutte , Codissago molto danneggiata . La massa d ' acqua che si è riversata nella valle seminando distruzione e morte sarebbe di 60 milioni di metri cubi . Sulle cause del disastro non si hanno particolari . Par che una enorme frana si sia staccata dalla montagna precipitando nel bacino della diga e sollevando un ' ondata d ' acqua di grandiose proporzioni . Non è accertato se l ' ondata ha tracimato dal bordo della diga riversandosi nella vallata o se la pressione dell ' acqua mossa dalla frana ha fatto crollare la diga stessa . Numerosi feriti sono stati trasportati negli ospedali di Auronzo , Pieve di Cadore , Cortina e Belluno . C ' è bisogno di sangue : un pressante appello è stato lanciato ai donatori . Con le prime luci dell ' alba elicotteri ed aerei sorvoleranno la zona colpita e solo allora si avranno le esatte dimensioni del disastro .
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Belluno , 10 - È stato un genocidio . Lo gridano i pochi sopravvissuti , resi folli dal terrore della valanga d ' acqua e dalla disperazione di trovarsi soli e impotenti a superare una realtà tragica , fatta oramai di nulla , o meglio fatta di sassi e melma amalgamati dal sangue dei loro cari . Una realtà che ha sconvolto all ' improvviso la fisionomia di intieri paesi , ma che era purtroppo prevedibile da anni , da quando ancora all ' inizio dei lavori del grande invaso idroelettrico del Vajont i tecnici sapevano di costruire su terreno argilloso e franabile , che perciò potevano portare alla catastrofe . Genocidio quindi , da gridare ad alta voce a tutti , affinché il grido scuota le coscienze del popolo e il popolo , la cui pelle non conta mai niente di fronte ai dividenti dei padroni del vapore , spazzi via alfine con un ' ondata di collera e di sdegno chi gioca impunemente , a sangue freddo , con la vita di migliaia di creature umane , allo scopo di accrescere i propri profitti e il proprio potere . Che qualcuno , se ne ha il coraggio , mi smentisca in questo momento . Io assumo la responsabilità di quanto dico ; i colpevoli si assumano la responsabilità di quanto hanno fatto . E la giustizia giudichi . Affermo che si sono responsabilità morali e materiali . Ho seguito la vicenda dell ' invaso del Vajont con passione non solo da giornalista , ma di figlia di questo popolo contadino e montanaro che si ribella alla retorica delle « virtù tradizionali » che mal nasconde il cinismo dello sfruttamento più spietato . Con questo cuore ho seguito tutte le vicissitudini , le resistenze , le paure dei montanari di Erto contro la « Sade » , non per impedirle di costruire il grande bacino idroelettrico del Vajont , ma per impedire di compiere un delitto . L ' intuito e l ' esperienza di quei montanari , confortati peraltro da pareri di grandi geologi , indicavano la Valle del Vajont non adatta a reggere la pressione di 160 milioni di metri - cubi d ' acqua . La realtà ha dimostrato la ragione dei montanari , non quella dei tecnici della « Sade » . La società elettrica sapeva che le pareti dell ' invaso erano formate dal terreno di una enorme frana caduta centinaia di anni fa , sulla quale è sorto in seguito il paese di Erto . Sapeva che il Monte Toc era esso stesso parte di quella frana e che era prevedibile che l ' acqua immessa nel bacino dovesse erodere piano piano il sottosuolo e provocare disastri . Quattro anni fa , quando è stata esperimentata la resistenza del bacino , grosse fenditure avevano segnato le case di S . Martino e delle altre frazioni di Erto alle pendici del Toc . Esse piano piano si estesero a ridosso del monte , facendo nascere la paura tra gli abitanti di Erto . Costoro si appellarono inutilmente ad ogni autorità possibile dando veste giuridica ad un largo comitato unitario che lottò per anni nel tentativo di opporsi alla costruzione dell ' invaso , sorretto anche dall ' autorevole parere tecnico del geologo prof. Gortani , contrario in pieno alla perizia del geologo della « Sade » , prof. Dal Piaz . Il prof. Gortani riteneva , infatti , pazzesco costruire il bacino su un terreno tanto inadatto come quello di Erto . Il comitato inoltrò ricorsi . Organizzò petizioni e pubbliche proteste . Interessò autorità governative e amministratori locali . Presso qualcuna di queste autorità la voce del comitato venne accolta . Il Consiglio provinciale , in data 15 febbraio 1961 , votava all ' unanimità un ordine del giorno per chiedere la revoca di ogni concessione alla « Sade » per inadempienze di legge . In esso si faceva preciso riferimento alla situazione del Vajont chiedendo l ' approntamento tempestivo di tutte le misure di sicurezza per garantire la incolumità di quelle popolazioni . Fu una presa di posizione che restò senza risposta . Cosa sarebbe successo se il monte fosse franato nel lago al massimo della sua capienza ? Io mi feci portavoce di quei montanari e scrissi per « l ' Unità » un articolo , indicando quello che sarebbe potuto accadere e che oggi è accaduto così come esattamente lo avevo descritto . La pubblica autorità mi accusò di propagare notizie false e tendenziose atte a turbare l ' ordine pubblico . L ' autorità giudiziaria mi incriminò di reato , senza peraltro recarsi sul posto per accertare la verità . Venni processato a Milano assieme al direttore responsabile dell ' « Unità » . A Milano si offersero generosamente di venire a testimoniare tanti abitanti di Erto che mi ebbero vicina nelle loro proteste , nelle loro pubbliche manifestazioni , nel sostenere la lotta ; cosa che non fecero tanti parlamentari governativi e non governativi di allora , malgrado fossero stati ufficialmente invitati ad intervenire dalla popolazione . Io e il compagno onorevole Bettiol , che rappresentavamo il Partito comunista , fummo solo e sempre gli unici a sostenere attivamente le ragioni dei montanari di Erto . Essi mi difesero energicamente davanti ai giudici del Tribunale di Milano e dimostrarono , con prove e testimonianze , non solo che io avevo scritto la verità , ma che tutto il paese si trovava in pericolo e che , assieme ad Erto , anche i paesi del Longaronese correvano rischi . I giudici mi assolsero , ma le autorità che dovevano tener conto dei fatti e impedire un possibile massacro , diedero invece via libera alla « Sade » per i suoi esperimenti criminosi . Fatti , oltretutto , con i miliardi del popolo italiano , i tanti miliardi che il governo diede alla « Sade » a fondo perduto per la costruzione del lago artificiale e che , magari , ora stanno al sicuro oltre frontiera . Miliardi rubati al popolo , col consenso delle autorità di governo . Quelle stessa autorità che gestendo oggi gli impianti idroelettrici , e sapendo che da circa un mese la situazione del Vajont peggiorava , non hanno provveduto a scongiurare la immane sciagura che si è abbattuta stanotte sul Bellunese , creando un cimitero su una vasta zona popolata . Sto scrivendo queste righe col cuore stretto dai rimorsi per non aver fatto di più per indurre il popolo di queste terre a ribellarsi alla minaccia mortale che ora è diventata una tragica realtà . Oggi tuttavia non si può soltanto piangere . È tempo di imparare qualcosa .
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Non mi ricordo esattamente quando ho cominciato ad occuparmi del Vajont . Probabilmente sette anni fa , quando sono cominciati gli espropri da parte della SADE . Era il mio lavoro normale di tutti i giorni . I proprietari - tutti piccoli coltivatori che dal loro pezzetto di terra ricavavano un aiuto in natura che serviva ad integrare il loro magro bilancio - si rifiutavano di cedere al monopolio , a un prezzo irrisorio , la loro terra . Era terra ricavata molte volte dai pendii e bonificata con il lavoro di generazioni . Rappresentava un valore materiale e affettivo insieme . Ogni lotta dei montanari contro il monopolio elettrico cominciava da qui . Non era lotta contro il progresso , ma contro chi in nome del progresso si riempiva il portafoglio a spese altrui . Occuparmi del Vajont non era stato perciò che continuare quello che facevo da quando , lasciata la mia Brigata partigiana , cominciai a lavorare per il Partito . Dopo la Liberazione la SADE costruì in provincia di Belluno diversi bacini idroelettrici : a Pieve di Cadore , ad Arsiè , a Forno di Zoldo e nella Valle del Mis . Per ogni impianto mi era capitato di scrivere qualcosa contro la SADE . I soprusi , le prepotenze della società elettrica erano , come si dice , il pane quotidiano di ogni giornalista che avesse voluto parlare di ciò che stava a cuore dei montanari di queste vallate . Non rivelavo segreti , non svelavo fatti misteriosi per il gusto di dare addosso ai capitalisti , riferivo quel che vedevo , quel che sentivo accadere intorno a me . Chiunque facesse questo mestiere avrebbe potuto scrivere le stesse cose . Anche altri ci hanno provato ma senza riuscire mai a leggere sul loro giornale quello che avevano scritto . E qualcuno ha passato dei guai per essersi occupato della SADE senza ascoltare i consigli della società . Il coraggio e l ' onestà di un giornalista non bastano per poter scrivere la verità su un giornale . Ricordo un episodio accaduto a Vallesella di Cadore . Due anni fa la popolazione di questo paese si rifiutò in massa di recarsi a votare in segno di protesta contro il governo che non aveva fatto rispettare alla SADE i propri impegni , per le case rovinate nelle acque del lago . Il sindaco convocò allora una conferenza stampa per chiedere a tutti i corrispondenti locali dei giornali italiani di scrivere le ragioni di questa singolare protesta . Ma alla conferenza stampa ci andammo solo in due , io e il corrispondente del Giorno . Gli altri preferirono ignorare la cosa . I primi pezzi su Erto e sul Vajont li ho scritti per raccontare come venivano portati avanti gli espropri . La SADE ricattava i contadini : o accettare le cifre stabilite dal monopolio oppure subire gli espropri di autorità : il denaro intanto veniva versato in banca all ' intestatario catastale del terreno che magari era morto o espatriato . Chi in effetti lavorava il pezzo di terra espropriato rischiava di non aver mai in mano quei soldi o di ottenerli dopo pratiche che sarebbero durate degli anni e a prezzo di spese non indifferenti . In queste condizioni i contadini , uno dopo l ' altro , hanno ceduto . In seguito sorse un altro problema . Alcune frazioni di Erto venivano tagliate fuori dal centro con l ' invaso . Esse erano collegate al capoluogo da sentieri che attraversavano la valle . I contadini li percorrevano come scoiattoli . Molti ertani possedevano i terreni sull ' opposto versante . Come si sarebbero trovati dopo la realizzazione del lago ? Chiesero una passerella che collegasse i due versanti . In un primo tempo la SADE disse che l ' avrebbe costruita . Poi , attraverso le leve di potere che possedeva , si fece dare un ' altra concessione dal ministero che la esonerava dal costruire la passerella . Al suo posto avrebbe fatto una strada di circonvallazione . Per gli ertani significava un lungo e accidentato percorso , soprattutto d ' inverno : per i bambini delle frazioni che dovevano recarsi a scuola al capoluogo ; per le vecchie , che all ' alba andavano a messa ; per i contadini che dovevano percorrere oltre tre chilometri per lavorare i loro terreni . E poi c ' era il pericolo di frane in una zona dove queste cadevano in continuazione nei mesi del disgelo ; più di 6 chilometri tra andata e ritorno per le provviste , per il medico e per tutti i casi di emergenza che si potevano verificare . L ' amministrazione comunale di Erto inoltrò un pro - memoria all ' ufficio del Genio Civile di Belluno perché il ministero dei Lavori Pubblici fosse informato . Non ottenne nulla e la SADE cominciò a costruire la strada . Non si preoccupò neppure di avvisare i proprietari dei terreni . Andava avanti coi bulldozer . I valligiani erano esasperati . Un mattino gli operai dell ' impresa vennero affrontati da un contadino che brandiva un ' accetta . « Se fate ancora un passo avanti la uso » , disse . Chi l ' aveva ridotto alla disperazione ? Anche per questo episodio scrissi una corrispondenza . Raccontai i fatti . La polemica era nelle cose . La strada , comunque , si fece . Nel frattempo nel bacino di Forno di Zoldo franò un grosso lembo di montagna . La popolazione di Erto si allarmò . Se a Forno aveva fatto precipitare la montagna cosa sarebbe accaduto del loro paese che poggiava tutto su terra argillosa ? Queste cose i contadini le sapevano da sempre , ma vollero interrogare i famosi geologi . E il parere dei tecnici e degli scienziati confermò le loro paure : era pura follia costruire un bacino sul luogo . Le perizie geologiche diedero esca a nuove polemiche e le proteste si fecero più vivaci . Si arrivò a costituire un « Consorzio per la difesa della valle ertana » al quale aderirono 136 capi famiglia . In quella occasione scrissi l ' articolo per il quale mi processarono . Raccontai quanto avevano detto i montanari all ' assemblea costitutiva del Consorzio . Avevo commesso il « reato » di registrare i fatti e un vice brigadiere dei carabinieri mi accusò di aver diffuso « notizie false e tendenziose atte a turbare l ' ordine pubblico » . Fossi veramente riuscita a turbarlo l ' ordine della SADE , oggi non saremmo qui a piangere i nostri morti e a maledire i responsabili ! Qualcuno molto più in alto di un funzionario di polizia sperava di tappare la bocca , di intimorire e mettere a tacere i valligiani . Tra la denuncia e il processo scrissi altri pezzi . E furono probabilmente quelli che contribuirono a farmi assolvere . Nel frattempo , infatti , sul monte Toc si erano prodotte fenditure e successivamente una frana era precipitata giù dalla montagna . Parlai del pericolo di nuovi smottamenti e crolli , parlai di una massa di 50 milioni di metri cubi che minacciava di piombare a valle . E sbagliai solo per difetto . Venne il giorno del processo . I montanari di Erto si presentarono davanti ai giudici di Milano in qualità di testi . « Qui ci sono le prove . Se non ci credete venite voi stessi a vedere . Signori giudici , fate qualcosa perché non succeda di peggio » . Della SADE al processo non si fece vivo nessuno . Neppure il brigadiere che stese la denuncia si presentò . Il Tribunale fece il possibile . Sentenziò che i fatti denunciati erano veri , che il pericolo c ' era . Ma chi considerava un articolo sull ' Unità più pericoloso di una frana grossa come una montagna restò inerte . Chi doveva trarre le conseguenze dalla sentenza non mosse un dito , anzi autorizzò la SADE a costruire al diga mortale . Ora che l ' irreparabile è accaduto , c ' è ancora chi ha il coraggio di affermare che a Roma nessuno sapeva . Come se la Camera , il Senato , dove le mie , le nostre denuncie sono state portate dinanzi ai ministri responsabili non stessero a Roma , ma nella capitale del Tanganika . C ' è poi l ' ipotesi che invoca il silenzio di fronte ai lutti e alle devastazioni , che incolpa di tutto le forze della natura . E c ' è chi ci considera soltanto dei giornalisti più bravi e più coraggiosi degli altri ed è disposto a riconoscere che , sì , qualche straccio di tecnico può essere buttato all ' aria purché non si tocchi il sistema , purché non si arrivi alla radice . Non sono né più brava né più coraggiosa di tanti miei colleghi . Non volevo certo diventare famosa per un fatto così tragico quando scrivevo contro la SADE . Volevo semplicemente impedire che questo disastro colpisse i montanari della terra dove sono nata , dove ho fatto la guerra partigiana , dove ho vissuto tutta la mia vita . E ora non riesco neanche a esprimere la mia collera , il mio furore per non esserci riuscita .
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Belluno - Arrivare ad Erto di notte in questo periodo dell ' anno , col vento che soffia e la luna - come quella sera - che illumina l ' immobile paesaggio della frana del Toc , serpeggiato da stradine tracciate sulla sabbia , fa l ' impressione di entrare in un mondo di fantasmi , le cui porte si aprono all ' altezza della diga del Vajont . O forse ancora prima , a Fortogna , sulla strada di Alemagna . La vallata del Vajont non è cambiata dalla notte della tragedia . È stato detto ormai tante volte , ma bisogna ripeterlo , gridarlo , perché chi porta la responsabilità del « dopo » non si lamenti se qualcosa succede da queste parti , in questo villaggio di fronte al Toc , dove 104 famiglie , oltre 300 persone , vivono ormai da anni un ritorno al paese che ha il significato della protesta . Un ritorno che è stato amaro , ma assai meno umiliante della carità di un affitto in casa altrui , a Cimolais o Claut , quando una casa propria esisteva nel vecchio villaggio , disabitata e in preda di topi . Trecento persone che non hanno creduto e non credono alle promesse di ministri e di « autorità responsabili » . Alla luce della realtà esistente , quelli che allora sono ritornati ad Erto contro la legge che li aveva scacciati , e che ci vivono tuttora in un isolamento che soltanto una testarda volontà può sopportare , dimostrano polemicamente di aver avuto ragione sul futuro della comunità . Non è sorto niente , infatti , in nessun luogo , che possa dare adito a speranze , che tanti ertani del resto credevano realizzabili a Maniago , per esempio . Non è sorta ancora nessuna casa , tranne le fondamenta della solita fatidica prima pietra in quella landa , espropriata per pochi soldi ai contadini locali per essere trasformata nel nuovo paese di Erto a valle . L ' Erto a monte , a quota 830 , per quelli che avevano scelto di rimanere nella valle del Vajont , è anch ' esso una speranza ormai abbandonata da chi ci credeva . Sostenere ancora queste illusioni è lecito ? È possibile , è giusto - la domanda è da porsi - alimentare speranze che dopo tre anni e mezzo sono ancora soltanto segni sulla carta ? E differentemente , come pensa il Governo di sistemare la comunità ? * * * Lo Stato ha speso per gli ertani , dal 9 ottobre 1963 ad oggi , oltre tre miliardi di sussidi . Di lavoro sul posto non ce n ' è ; andare all ' estero significa abbandonare la cura di interessi familiari , una necessità creata dalla tragedia e che nessuno ha ancora risolto . È più facile , oltretutto , scegliere la via sulla quali li ha istradati il governo : sussidio a tempo indeterminato . È un risultato voluto dai governanti . Con tre miliardi si poteva ricostruire , o quasi , un piccolo paese come Erto . Allora , per quale determinazione , per quale assurdo disegno si è preferito disgregare una comunità , mettere i suoi abitanti gli uni contro gli altri , perseguitare chi non crede più alle promesse , in definitiva creare dei ribelli al posto degli uomini che un tempo coltivavano questa valle con pazienza e sacrificio ? * * * All ' imbocco del paese di Erto , all ' altezza del cimitero , c ' è un cartello che vieta il transito causa il terreno franoso . Il divieto dura fino alla piazzetta , che un tempo non aveva nome essendo l ' unica piazza del paese che dopo il Vajont è stata intitolata «9 ottobre » . Tra la piazza e il cimitero le case sono abitate . Sulla strada è vietato passare , ma non è vietato agli ertani abitare in quella zona dove si asserisce esservi pericolo . Non è vietato celebrare le funzioni religiose nella chiesa - il prete arriva una volta ogni tanto - situata dentro il perimetro franoso . Ricercare una logica negli avvenimenti del Vajont , di prima , di dopo , di adesso , è come ricercare un ago in un pagliaio . Nei giorni prima della tragedia si era imposto agli ertani di sfollare le bestie della zona del Toc , ma non la gente . Adesso si fa altrettanto , si blocca la strada , ma ci si può abitare sopra . Qualche ertano ride amaramente , qualche altro si infuria . Ben presto il cartello scompare . Arrivano i carabinieri e vanno difilati da un membro del comitato locale , che per non avere peli sulla lingua è considerato il più « sovversivo » di tutti . Lo tirano fuori di casa e gli chiedono : « Chi è stato ad asportare il cartello ? » . E lui risponde rivolgendo alla forza pubblica un ' altra domanda : « Chi è stato ad ammazzarmi la famiglia ? » . Malgrado la vita da primitivi che sono costretti a fare , questi ertani serbano ancora una logica invidiabile . Chi è stato , infatti , a provocare la tragedia ? Ancora ufficialmente non si sa . Ogni piccola cosa che succede , anche la rivendicazione di un diritto normale da parte di coloro che abitano il vecchio paese , è vista come una sollevazione . Gli ertani sono pedinati se escono dal paese , se vanno in montagna , se si riuniscono ; sorvegliati come confinati . E confinati lo sono , anche se volontari . La sensibilità delle autorità non arriva a comprendere lo stato d ' animo , la psicologia che si è creata in questa gente , distrutta , rovinata , prima dal monopolio elettrico , poi dall ' incapacità dei pubblici poteri . Per ogni cosa che accade , gli ertani sono chiamati a Cimolais dai carabinieri . Frasi come : « Questa volta ti sbatto dentro » sono all ' ordine del giorno . « Siamo trattati come delinquenti , dopo che ci hanno ridotti in questo stato . La colpa è ancora nostra , capisci ? » . * * * Quella sera era il venerdì santo . Un tempo , per tradizione popolare , veniva realizzata una bellissima passione di Cristo . Quest ' anno la tradizione non è stata rispettata , e sarebbe stata una notte adatta , col vento che ululava nella valle sotto lo splendore di una luna che illuminava la parete bianca del Toc , la sua enorme ferita lasciata dalla montagna precipitata dentro il lago . In chiesa si celebrava la funzione religiosa , ma l ' unica osteria del paese era piena di gente e parlare di qualcosa che avesse attinenza con i problemi del Vajont era come accendere una miccia . Perciò uscimmo con un gruppo , che poi s ' ingrossò dentro l ' abitazione di uno di quei « desperes » . Disperati di tutto e per tutto . Si parlò a lungo , di case , di persone , della politica . Un ex socialista ci disse : « Qui hanno restituito 140 tessere del PSU per protesta . I socialisti sono al governo e ci lasciano in queste condizioni » . « Ma cosa avete intenzione di fare per smuovere le acque stantie dell ' indifferenza o quanto meno della lentezza con cui si affrontano i vostri problemi ? » . Ormai gli ertani sono diventati sospettosi di tutti , stentano ad esprimere le loro intenzioni per paura che qualcuno faccia la spia alle autorità o al sindaco , che non va mai a visitarli ad Erto . « Stai pur sicura che qualcosa faremo , ormai ci hanno preso in giro fin troppo » . Ma non dicono cosa . Anche questi misteri sono perfettamente intonati all ' ambiente . Sulla strada del ritorno , caracollando con la macchina sopra la frana del Toc - un gran canyon che attraversa la valle del Vajont per diversi chilometri - ci sembrava di essere stati dentro un incubo assurdo , come nei sogni . Soltanto che dai sogni ci si risveglia rallegrandoci di riaffiorare in una diversa realtà . Quelli di Erto il loro incubo lo vivono da tre anni e passa , e se da esso non li si fa uscire presto , rischiano di non essere più recuperabili per una vita diversa
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Belluno , 9 aprile . - Cinque operai bellunesi morti assieme sotto una valanga di neve è una notizia sconvolgente e drammatica anche per la popolazione di una provincia abituata da secoli a stare col cuore sospeso , sempre in attesa di qualche dolorosa notizia dai cantieri all ' estero e delle altre province italiane , dove la manodopera bellunese è più che di casa . Qui , in queste zone di emigrazione , quando un lutto colpisce una famiglia , l ' intera comunità si sente partecipe della disgrazia . « È capitato a te , ma potrebbe essere capitato a me » , è una frase che qualche volta si dice ma che più spesso si indovina , soprattutto nel muto linguaggio delle donne degli emigrati , madri e spose accomunate per anni dallo stesso tarlo doloroso delle lunghe separazioni dai mariti e dai figli ; dalla paura di sciagure , e purtroppo dalla speranza che non succedano , e infine dall ' attesa spasmodica del loro ritorno stagionale . E così , domani o dopodomani , altri cinque lavoratori torneranno alle proprie case , ma dentro una bara . Sono i cinque bellunesi ghermiti ieri dalla « morte bianca » in Valle Aurina , un luogo a quattro passi da casa , dove erano contenti di essere andati a lavorare , avvezzi com ' erano quasi tutti all ' emigrazione in terre lontane . Le loro famiglie , alcune delle quali hanno appreso la notizia dai giornali , sono piombate nella disperazione . Non abbiamo fatto gli sciacalli in cerca di notizie intime ; abbiamo rispettato il dolore delle famiglie . Ma abbiamo parlato con amici e conoscenti delle vittime nei loro paesi d ' origine . E ancora una volta , come purtroppo molto spesso è avvenuto , le conversazioni hanno illustrato la solita triste condizione di una provincia senza lavoro , che costringe i propri abitanti a vere odissee , sballottandoli in giro per il mondo in nome di una civiltà tanto decantata dai nostri governi ma tanto lontana dai bisogni degli uomini . Ecco il paese di Vito Lise , anni 38 , capo minatore , e di Angelo De Zanet , di 35 anni : Sospirolo . Quattromila abitanti , il 90 percento degli uomini validi emigrati . Registra la percentuale più alta in tutta la provincia di silicotici . Anche Vito Lise , il capo minatore , travolto dalla valanga , aveva ormai girato , a trentotto anni , mezzo mondo : la Svizzera , il Congo , l ' Argentina , il Venezuela . Quando tornava reclutava altre persone del villaggio di San Zenon , dove abitava , ed esse gliene erano grate . Andavano volentieri con lui , lo stimavano per la sua serietà e preparazione professionale . Era figlio di minatore . Suo padre è attualmente all ' ospedale con la silicosi . Con lui in valle Aurina c ' erano altri due fratelli ; uno si è salvato per caso dalla valanga . Angelo De Zanet , pure lui da San Zenon , faceva parte di una schiera di cinque fratelli , che sono tutti emigrati . Lui aveva conosciuto tutte le miniere di ferro e di carbone della Germania . Questo è il paese di Sospirolo , dove oggi una terza famiglia di emigrati è in lutto . L ' operaio Francesco Viel , di 53 anni , è deceduto di sincope in un cantiere della Svizzera . Trichiana , Longarone , San Gregorio nelle Alpi , i paesi degli altri tre operai deceduti in valle Aurina , presentano le stesse caratteristiche . Tre - quattromila abitanti , un migliaio di emigrati . Giovanni De Bastian , di Trichiana , era figlio unico . Sua madre non fa che ripetere , pazza di dolore : « Chissà quante volte avrà chiamato aiuto prima di morire » . Nessuno riesce a convincerla che suo figlio è morto sull ' istante . Di Antonio Bristot , da Longarone , le donne della frazione di Pirago , dove abitava con la famiglia , assicurano tutte « che era un grandissimo lavoratore » . È il massimo omaggio che le genti di montagna possono rivolgere a un morto . La quinta delle vittime , Renato Bulz , da San Gregorio nelle Alpi , era il più giovane : diciassette anni appena . Un ' età in cui non si è ancora uomini per le leggi dello Stato ma purtroppo si è considerati uomini da sfruttare sul piano fisico e produttivo . L ' elenco delle vittime sul lavoro si allunga così anno dopo anno , accanto alle località dove avvengono le sciagure , che restano impresse per sempre nella memoria delle famiglie degli emigranti bellunesi . Non importa se le disgrazie avvengono in Italia o all ' estero , se la località si chiama Marchinelle , Zermatt o Valle Aurina . Esse significano comunque sempre sofferenze e dolore per le famiglie dei trentasettemila emigrati bellunesi e richiamano alle loro gravi responsabilità i governanti italiani , che mai hanno voluto prendere in seria considerazione il problema delle zone di emigrazione , salvo che sul piano dei discorsi e delle promesse , specialmente nei periodi delle varie campagne elettorali .
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Belluno , 22 gennaio . - A Carassagno D ' Arsiè trentaquattro persone continuano lo sciopero a rovescio , per la costruzione della strada che colleghi la frazione al capoluogo . Il loro gesto continua ad avere la solidarietà della stampa e perfino della radio , che oggi ha trasmesso nel notiziario veneto un servizio registrato sul luogo . Le uniche persone che ancora non si sono mosse sono le autorità comunali , provinciali e centrali , alle quali erano state inoltrare petizioni e telegrammi , il tutto rimasto ancora senza risposta . Il sindaco se ne lava le mani con la scusa che non ci sono soldi e quindi la questione deve essere risolta dal centro . Ciò può essere vero , ma lui , come prima autorità del Comune , cosa fa per far intervenire o sollecitare ad intervenire le autorità centrali ? E il prefetto , al quale era stata inoltrata una petizione firmata da coloro che hanno dato inizio ai lavori , il prefetto , che rappresenta il governo centrale , cosa ha fatto per venire in aiuto di questa gente che è sotto la sua giurisdizione ? E il ministro Bertinelli , informato con un telegramma di quanto sta accadendo a Carassagno ? Silenzio su tutto il fronte della Democrazia cristiana e del governo . Intanto , quelli di Carassagno continuano a dodici giorni la loro azione di protesta , proseguendo i lavori di sterro perché la loro strada la vogliono veder fatta . Sono decisi ad andare fino in fondo , e dopo qualcuno dovrà pure pagare il lavoro fatto . « Perché avete dato inizio ai lavori ? » . A questa domanda dei radio - intervistatori hanno risposto diversi protagonisti dello sciopero a rovescio . « Perché non crediamo più alle promesse » ; « Perché la strada è il principale elemento di civiltà » ; « Per non restare più isolati dal mondo » ; « Per poterci recare dal medico e in farmacia » . Una donna che partecipa allo sciopero , ha risposto : « Domani una ragazza della frazione di sposa e deve fare a piedi venti chilometri per recarsi in chiesa » . Tutti gli abitanti del villaggio hanno un loro validissimo motivo per volere la strada , un motivo che ha trovato nella solidarietà di ognuno di loro il coraggio di diventare forza ed unità e di dare avvio ai lavori che non interromperanno , fino a quando le autorità competenti non manifestino concretamente la volontà di realizzare l ' opera tanto necessaria . Pensiamo alla giovane sposa di Carassagno , che nella giornata più bella della sua vita , è costretta a percorrere infreddolita il lungo sentiero infangato , senza l ' ausilio di un mezzo necessario . Le provviste per il pranzo di nozze dovranno essere portate a spalle dai Boldi , l ' acqua per cuocerle dovrà essere attinta e trasportata a spalla dai Boldi , una borgata a tre - quattro chilometri da Carassagno , dove c ' è l ' unico acquedotto di tutta la zona , rappresentato da un lungo e rattoppato tubo di gomma che , sospeso per aria sopra il torrente , attraversa la valle da un versante all ' altro , e riversa il suo prezioso liquido in un mastello posto a fianco della carreggiata . È l ' unica « moderna » opera pubblica fatta dall ' Amministrazione comunale , tranne la scuoletta dei Boldi , che però è chiusa , essendo stata costruita troppo distante dal luogo dove sono i bambini in età scolastica .