Tipi di Ricerca: Ricerca per parole
Trova:
> autore_s:"Montale Eugenio"
La macchina della gloria ( Montale Eugenio , 1951 )
StampaQuotidiana ,
È un luogo comune - o era tale sino a ieri - che l ' arte non conosce progressi o evoluzione e che l ' artista , sparendo , porta con sé un segreto che non può essere appreso da chi si impadronisca dei suoi moduli , del suo ricettario tecnico e del suo « stampino » . Oggi questa verità sembra essere contraddetta dal crescente peso della tecnica in tutte le arti , e dalla sempre maggiore adattabilità del pubblico ai trucchi di laboratorio dell ' artista , ai suoi segreti di mestiere . Ancora cinquanta , trenta anni fa , chi voleva raccontare una storia ( romanziere o drammaturgo che fosse ) procedeva in ordine cronologico , dall ' a fino alla zeta , mantenendo in vita almeno una delle maltrattate unità aristoteliche . Si giunse al romanzo che si svolge e si legge in due sole ore ( La signorina Elsa di Schnitzler e anche Les lauriers sont coupés di Edouard Dujardin , ventiquattr ' ore di una vita e poche ore di lettura ) , ottenendo con ciò un ' unità direi quasi fisica , di respirazione , che era senza precedenti nella storia dell ' arte narrativa ( al polo opposto l ' Ulysses , ventiquattro ore di vita e ventiquattro mesi di lettura ) . Un narratore , un drammaturgo moderno si vergognerebbe di seguire simili procedimenti e si guarderebbe bene dal rispettare la cronologia . Si cammina ormai dalla zeta verso l ' a , dalla fine si risale al principio . Il protagonista , se ce n ' è uno , muore fin dall ' inizio e il pubblico o il lettore devono risalire a ritroso la corrente . Nel teatro non esistono più cambiamenti di scena ; basta che un servo spinga innanzi una poltrona o una sedia di paglia o un alberello in un vaso di coccio per creare la reggia o la casa del povero o il bosco . Basta che un personaggio si tolga un golf da sport e indossi invece una giacchetta , facendo precedere o seguire l ' operazione da tremuli lamenti di pifferi che abbiano la funzione della dissolvenza cinematografica , cd ecco creato un salto temporale di dieci o di vent ' anni . Il passato , il presente e il futuro sono mescolati come gli ingredienti di un cocktail , i fantasmi passeggiano fra i vivi , le voci degli attori sono integrate da ruggiti di altoparlanti nascosti nelle gallerie o nei palchi . Il pubblico , che fino a pochi anni fa non avrebbe capito nulla di quanto avveniva , lo stesso pubblico che quando guarda un quadro moderno storce il naso e si chiede « che cosa vuol dire » e si mostra ancora esigentissimo in fatto di verosimiglianza rappresentativa , è invece dispostissimo ad accettare , in altra sede , le più audaci scomposizioni . Si dice , e credo sia vero , che a ciò non sia estraneo l ' influsso cinematografico che ha creato un linguaggio allusivo ormai alla portata di tutti . Io personalmente , quando vado al cinematografo , non comprendo quasi nulla di quanto avviene sullo schermo ; ma mi accorgo che accanto a me stanno persone non più colte , ma più allenate al nuovo linguaggio , alle quali nulla sfugge . Entrano nel cinema e nel teatro clementi che la poesia ha conosciuto e padroneggiato da secoli ; ma vi entrano da padroni assoluti , tecnicizzati e non più legati all ' arte della parola . E trionfa la regia , che è l ' arte di cavare il massimo effetto dal testo potenzialmente più suscettibile d ' integrazione . Si dà già il caso di qualcuno che pensa a ricavare un dramma da un film non suo , riducendolo per il teatro e rendendolo perciò ancor più cinematografico , sebbene in diverso modo . Nella migliore delle ipotesi , questo autore si illuderà di aggiungere un pizzico di poesia ( verbale ) a un ' azione che è già emotiva in sé , di effetto sicuro , immancabile . Questo furibondo progresso della tecnica è senza dubbio molto interessante ma prescinde da un fatto essenziale : che la poesia è l ' arte della parola e che nessuno sforzo di regista può sostituire la parola dov ' essa manchi . Molti hanno potuto rileggersi l ' Amleto o il Sogno di una notte di mezza estate dopo aver assistito alle rappresentazioni che ne davano Moissi o Lawrence Olivier o Max Reinhardt . Trovavano senza dubbio un ' altra cosa , ma era immancabile l ' incontro con la poesia . In Shakespeare e in Calderón , nel Marlowe e nel Kleist un albero è veramente sufficiente a creare una foresta , un trono basta a immetterci in un palazzo reale . Non credo che una rappresentazione realistica dei loro lavori , condotta con macchinosi cambiamenti di scena e scrupolo di verosimiglianza storica nei costumi e negli arredamenti , sarebbe oggi sopportabile . Provatevi invece a immaginarvi certi recenti lavori teatrali privandoli dell ' apparato registico che li rende interessanti , e resterete certamente a mani vuote . Il guaio è che , anche in questo campo , indietro non si torna e che i nuovi elementi spettacolari sono ormai entrati nel gusto corrente , sono diventati un linguaggio convenzionale che ha ben poco bisogno della parola . Il nostro tempo è visivo e acustico , ma non sa che farsene della musica , della pittura e della poesia . Perché la tecnica della presentazione e dell ' adattamento ( sia essa autoregia di scrittori o regia di teatranti , scienza del college e della scomposizione ) non coincide quasi mai col centro dell ' ispirazione artistica ? Semplicemente perché è prevedibile e calcolabile . Alain - uno dei francesi che ha scritto di estetica con maggiore acutezza , sebbene senza un metodo e un ordine apparenti - ha distinto l ' opera dell ' artista da quella dell ' artigiano in base a questa differenza . L ' artigiano copia esattamente un modello , sa dove vuole arrivare e i mezzi che a lui occorrono . Anche l ' artista ha usa certa idea , ma assai oscura e imprecisata . In lui il punto di partenza è una spinta , non un programma . Strada facendo , quella certa idea si trasforma e appare del tutto irriconoscibile . E può dirsi così che l ' artista conosce se stesso soltanto a cose fatte , dopo aver lottato contro un ostacolo , che è ( nel caso della poesia ) la parola , il mezzo espressivo . Qui la tecnica può veramente identificarsi con l ' espressione . Non però la tecnica artigianesca , esattamente dosabile e prevedibile di chi sostituisce il calcolo degli effetti alla libera irradiazione della parola poetica . Mi rendo conto che in un romanzo , in un ' opera teatrale e in genere in tutti i generi più costruiti , la poesia è come il sangue , che per circolare ha bisogno di una rete di vene , di un sistema di canali . ( È tale anche nella lirica pura , a dire il vero , ma in questo caso la costruzione , l ' impalcatura possono essere meno evidenti . ) So altrettanto bene che un ' opera destinata a larga diffusione , tradotta in altre lingue , spesso svisata e deformata , ha un ' esistenza di compromesso e che la vitalità di certe creazioni consiste proprio nella loro docilità a prestarsi a ogni sorta di collaborazioni o malversazioni . E comprendo perfettamente che un poeta è spesso frainteso o inteso alla rovescia , e che in nessun caso critici e posteri lo leggono come egli voleva esser letto . Con questo credo di aver esaurito le ragioni che suggeriscono indulgenza verso chi crea o adatta o « monta » opere che , volendo rivolgersi a una vasta udienza , hanno una necessità assoluta di giocare sull ' equivoco , di confondere i sentimenti con le sensazioni . Non si può negare che se tutti gli artisti dicessero « parlo per me e per dieci persone » il solco che divide l ' arte dal pubblico diverrebbe invalicabile . Più o meno consciamente , coloro che solleticano il gusto spettacolare delle platee tengono fede a un certo principio di universalità , si sforzano di parlare o balbettare in una lingua che tutti comprendano . Non credo però che sia prossima la fusione o l ' integrazione del linguaggio delle parole con quello della tecnica spettacolare . Una macchina a effetto è necessariamente costosa e chi si decide a metterla in moto preferisce scrivere o prendere a pretesto un ' opera di effetto certo , anche mediocre ma infallibile . Inoltre il meccanismo tende a perfezionarsi e in fatto d ' arte non è più paradossale pensare all ' avvento della machine à gloire , inventata da Villiers de 1'Isle-Adam , che « emetteva il successo » in un giusto dosaggio di rumori e vociferazioni . Quel giorno il pubblico sarà anche dispensato dalla fatica dell ' applauso . È dunque assai dubbio che l ' universalità di chi dice qualche piccola cosa a tutti valga l ' espressione di chi parla profondamente a pochi . E in definitiva , dopo aver pesato in tutti i sensi la questione , mi pare si possa concludere che ogni divulgazione di trouvailles tecniche arricchisce superficialmente il gusto delle masse , ma non giova alla diffusione della poesia . Qualsiasi racconto verista o naturalista potrebbe essere riscritto in chiave moderna , sostituendo all ' analisi psicologica l ' elencazione del documentario , il bruto enunciato dei fatti ; qualsiasi romanzo di James o di Rovetta o di Bourget potrebbe fornire il canovaccio di un dramma moderno , composto di scene rientranti l ' una nell ' altra , come i segmenti di un cannocchiale , ricco di salti nel vuoto , di capovolgimenti e di sdoppiamenti . Un ' arte che si vede subito com ' è fatta , un ' arte che fa dire a tutti « come sono intelligente » , una poesia che non importa conoscere nei testi originali e che consiste nel condire con una nuova salsa cose e situazioni ormai logore , rappresenta il coronamento di quello che potrebbe chiamarsi « l ' avanguardismo borghese » . Val meno della vecchia avanguardia - quella degli scapigliati e dei decadenti - e durerà purtroppo di più perché concilia la vanità degli artisti coi loro interessi . Essere à la page , esser capiti da tutti e insieme guadagnare qualche soldo , che tentazione !
Odradek ( Montale Eugenio , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Mentre cresce di giorno in giorno la polemica contro gli effetti nefasti della comunicazione di massa resa possibile dalla nuova civiltà industriale e dalle sue scoperte ( i famosi mass media di cui si cibano voluttuosamente psicologi , sociologi , politecnici , psicotecnici , funzionari dell ' UNESCO e altrettali mostri ) una voce più temperata vorrebbe ammonirci che « l ' industria e il macchinismo possono , sì , danneggiare lo spirito , ma ciò dipende soltanto dal loro cattivo uso » . Contro questa tesi ha scritto un libro intero un giovane scrittore di saggi morali , Elémire Zolla ( Eclissi dell ' intellettuale , Bompiani ) che è quanto di meglio , su questo argomento , si sia avuto finora in Italia . I suoi argomenti sono molti , occupano duecentocinquanta pagine e sono sostenuti da una solida e rara erudizione . Non gli faremo il torto di riassumerli in poche righe e ci proveremo invece a seguirlo in qualche breve suggerimento . Come è possibile sostenere che la massificazione dell ' individuo , il bourrage dei cervelli , l ' appiattimento del singolo nella massicciata del collettivo siano effetti del cattivo uso di macchine e invenzioni meccaniche quando « l ' assetto meccanico del reale » , già denunziato da Goethe , era già presente nell ' enciclopedismo e nella successiva rivoluzione industriale e manifatturiera ? E , saltando a piè pari l ' imponente denunzia di scrittori e artisti che dura almeno da un secolo e mezzo e di cui Zolla ci dà una impressionante documentazione , quale potrà essere « il buon uso » dei mass Inedia in un futuro formicaio umano eventualmente scampato dalla guerra atomica ? Quale buon uso potrà farsi dei viaggi , dello sport , del cinema , della radio , della televisione , dei giornali a rotocalco o a fumetto quando dovranno essere pianificati e imposti in modo coattivo i loisirs a miliardi di uomini ormai liberati dai lavori più gravosi ? Come potrà avvenire che lo spirito di « massificazione » rivolga contro se stesso gli strumenti che ha inventato ? Le ipotesi ottimistiche muovono dalla supposizione che l ' uomo resti estraneo alla macchina , non ne sia modificato e sia anzi in grado di volgerla a migliori fini ; mentre l ' osservazione dimostra che l ' uomo - massa desidera , vuole , crea il proprio destino e che , a questo effetto , si procura gli strumenti necessari . Le comunicazioni di massa sono il fondamento della nuova industria culturale , fatalmente portata ad allargarsi su un piano sempre più basso , raggiunto il quale sarà sempre possibile sperare in nuove bassure , realizzando l ' ipotesi di un futuro uomo stereofonico , incapace di una visione analitica del reale , refrattario ad ogni possibilità di sintesi e di sintassi . Pochi scrittori hanno descritto in forma di parabola l ' avvento dell ' uomo - massa , come Franz Kafka nei suoi primi racconti : « Qualcosa dev ' essere stato trascurato nella difesa della nostra patria ... Con i barbari non si può parlare , non conoscono la nostra lingua e non ne hanno una loro ... il nostro modo di vivere e le nostre abitudini sono loro tanto incomprensibili quanto indifferenti . Non si può dire che adoperino la violenza , ma di fronte alle loro usurpazioni ci si trae in disparte e si abbandona ogni cosa ... Tutto poggia su un equivoco e grazie ad esso andiamo in rovina » . E altrove : « Odradek , nome d ' etimo sfuggente , che indica un congegno mobile . Forse Odradek ebbe in passato uno scopo ? No : Il tutto è senza senso ma nella sua natura compiuto . Odradek si può anche interpellare , gli si può domandare " come ti chiami ? " ed egli , o esso , risponderà " Odradek " . Può esso morire ? Ma tutto ciò che muore ha avuto dapprima una sorta di scopo , una specie di attività , e questo l ' ha consumato ; ciò non vale per Odradek ... Non danneggia nessuno , ma l ' idea che mi debba sopravvivere mi è quasi dolorosa » . Anni fa ci accadde di analizzare su queste colonne una poesia di Costantino Kavafis , nella quale un popolo di antica civiltà , ormai decaduto e disfatto , esprimeva la sua delusione per il mancato arrivo dei barbari . « E ora che faremo senza i barbari ? Era una soluzione , dopo tutto . » E questa è la soluzione che tutti stiamo adottando : dell ' Odradek ch ' è in noi « non si può dire che usi la violenza » : e se è vero che ancora « ci riesce dolorosa l ' idea che debba sopravviverci » , i nostri figli non proveranno più alcun dolore : la loro identificazione col « mobile congegno » sarà perfetta . Sì , « qualcosa dev ' essere stato trascurato nella difesa della nostra patria » , cioè nella difesa della persona umana . Se così non fosse , non vedremmo stadi straripanti di folle imbestiate , quando si sa che l ' industria sportiva ha tolto ogni significato ai riti dell ' homo ludens ; non vedremmo milioni di persone pietrificarsi dinanzi a schermi di vetro sui quali appaiono gli inameni giullari , i tetri fantasmi che un ' industria specializzata , vendendoci a caro prezzo il « modo di passare il tempo » , sa suscitare a getto continuo . Uccidere il tempo non dovette essere un problema per le vecchie generazioni : oggi è ossessione di tutti . Ammazza il tempo chi non può fare a meno del cinema ( e chi si sente colpevole si sceglie un compagno , un « complice » , per suddividere la sua responsabilità ) ; lo ammazza in mille modi chi , avendo terrore di sé , non arretra di fronte ad alcuna sciocchezza pur di « fare come gli altri » . Gli esempi che abbiamo scelto sono volgarissimi : il libro da cui prendiamo le mosse ne offre ben altri e più persuasivi nei capitoli dedicati all ' erotica di massa , alla decadenza della persuasione , alle regressioni magiche e alle regressioni nella droga . Col soccorso di Freud e di Adorno , con una conoscenza sicura di tutto quanto si è scritto intorno alla psicologia dell ' uomo - massa e con frequenti immersioni nelle moderne interpretazioni del mito l ' autore di questi saggi ha modo di svolgere nel modo più brillante la sua requisitoria . Egli , personalmente , non ha soluzioni da proporre , non vuole distruggere la macchina , non sogna un ritorno all ' antico : è , se ho ben compreso , uno stoico che onora la ragione umana oche sente la dignità della vita come un supremo bene . È un uomo che non si mette « al di sopra della mischia » , ma che vuol restare ad occhi aperti . E finché esisteranno uomini così fatti la partita non sarà del tutto perduta . Quale può essere il posto dell ' intellettuale nella società moderna ? Se con l ' appellativo di intellettuale si intende , come intendeva Gramsci , chiunque detenga una tecnica , è chiaro che l ' intellettuale di domani non sarà che una ruota dell ' ingranaggio di Odradek . Spogliatelo di ciò che Gramsci chiamava il suo « spirito di corpo » e inevitabilmente l ' intellettuale diventerà uno strumento in mano di chi detenga il potere . In un mondo in cui l ' imitazione del divino è diventata imitatio instrumentorum e in cui possono nascere espressioni come human engineering ( l ' ingegneria umana ) la sorte dell ' intellettuale sembra segnata . Se invece definiremo come intellettuale « chiunque abbia una educazione che gli consenta di esprimere la sua personalità entro il suo particolare lavoro » , è evidente che simili intellettuali sono destinati a essere respinti sempre più al margine della vita sociale . Non c ' è bisogno di intellettuali nel mondo del marketing e delle human relations ; non c ' è bisogno di educazione quando persino l ' istruzione religiosa si industrializza ; è assurdo discutere sulla decadenza del latino quando sarebbe opportuno abolire anche l ' italiano in sé , « assai bene sostituibile con il particolare italiano richiesto dalla qualifica lavorativa : il gergo tecnico , la tecnica pubblicitaria » , il dialetto : il che sta già facendo egregiamente la radio . E più che dubbia appare fin d ' oggi la possibilità di indipendenza degli scrittori , tenuti a rispondere a precise esigenze di mercato ( o di anti - mercato nel caso dello scrittore che si crede libero ) . E infine - ultima osservazione - chi potrà distinguere l ' intellettuale vero dal falso quando dilaga il fenomeno che fu già definito come anticonformismo di massa ? Che l ' arte e la letteratura d ' avanguardia formino oggi un ' industria sempre meglio organizzata non ha più bisogno di dimostrazioni ; d ' altra parte , come certi partiti politici ne finanziano altri , avversi , per non essere « scoperti a destra » o « a sinistra » , così l ' industria culturale dovrà mantenere in piedi , oltreché l ' avanguardia , anche la retroguardia . E da un lato o dall ' altro chi fa professione di artista o di scrittore non potrà sfuggire dal vedersi considerato come un fornitore di merce . Difficile trarre conclusioni ; molto più facile avanzare obiezioni , tutte prevedibili . Si può sostenere che l ' uomo sia meccanico per intrinseca natura , e che l ' uomo libero sia una chimera di attardati romantici ed anarchici ; ma se questo fosse vero sarebbe pur sempre titolo di dignità non arrendersi al vero . Inoltre occorrerebbe dimostrare , per fare un esempio solo , che il mondo dei tranquillanti e della droga ( i primi per gli spettatori , l ' altra per l ' eroe sportivo o pubblicitario ) segue le vie della ragione . Senza dubbio , nei tempi in cui la macchina non esisteva o esisteva in forma rudimentale , non erano assenti dal mondo la cupidigia , l ' iniquità , la ferocia . Ed anche per questo noi non sapremmo rimpiangere il passato . Oggi , seguendo la legge del livellamento dei liquidi nei vasi comunicanti , Odradek ha redistribuito il male : lo ha diffuso in giusta dose dovunque : lo ha reso invisibile , impercettibile . Giustamente all ' uomo - massa corrisponde il male di massa , al quale nessuno di noi sfugge . Resterebbe la tentazione di rifugiarsi nel culto dell ' ideale , di rinnegare , in un modo o nell ' altro , la nostra esistenza terrena ; ed è forse la peggiore delle insidie . Vivere il proprio tempo restando sull ' allarme è tutto quello che può fare oggi chi si fregi e insieme si vergogni - com ' è giusto - della screditata e controversa qualifica di intellettuale . Altre soluzioni a breve scadenza non sapremmo immaginarne . Ed a scadenza lontana , lontanissima , molte altre ipotesi sui mezzi adatti a distruggere o ad addomesticare Odradek o a giungere a una completa identificazione con lui , possono farsi . Ma qui si entrerebbe nella fantascienza , cioè nella scienza ridotta a merce , e preferiamo arrestarci . Non merita di servire da trampolino a simili stravaganze il libro serio , onesto e umano che ci ha suggerito queste riflessioni .
Il secondo mestiere ( Montale Eugenio , 1959 )
StampaQuotidiana ,
Quanti sono gli scrittori che riescono a vivere col frutto della loro arte , senza dover ricorrere a un altro mestiere ? Apparentemente sono molti nelle così dette Repubbliche popolari ; ma pochi , pochissimi negli Stati dove vige una relativa libertà di pensiero e di opinione . In questi ultimi Paesi un numero imprecisato di uomini di lettere riesce a sbarcare il lunario , talora assai brillantemente , con lavori che si fanno con carta penna e calamaio e con l ' impiego della macchina da scrivere : e saranno collaborazioni a giornali , sceneggiature di film , riduzioni di romanzi altrui a commedie o a pellicole , oppure opere di varia divulgazione ; ma resta da dimostrare che questi uomini vivano del frutto della loro arte ( ammesso che ne abbiano davvero una ) . La verità è che anch ' essi , in quanto poeti , hanno un secondo mestiere : quello dell ' uomo di penna . Scrittori notissimi , magari insigniti del premio Nobel , vivono della loro penna , non della loro arte . Le eccezioni non mancano , ma sono rare , e anche queste sono illusorie . Quando vediamo negli scaffali le « opere complete » di un autore famoso , noi distinguiamo a colpo d ' occhio le poche che appartengono alla sua arte dalle molte che sono di pertinenza del suo secondo mestiere : quello del produttore di parole stampate . Ciò vale per l ' emisfero occidentale . Altrove , si direbbe che le cose mutino . La Russia conta certamente alcune migliaia di autori che ricevono dallo Stato un regolare stipendio , in cambio del quale sono richiesti di fornire opere di creazione e non già manipolazioni di prodotti pseudo - letterari . Tuttavia , non occorre essere molto informati di quanto avviene nell ' Unione Sovietica per comprendere che non può esistere uno Stato che dia qualcosa in cambio di nulla . Testimonianze non sospette , anzi ineccepibili , ci dicono che nei Paesi totalitari , lo scrittore che manifesti opinioni o sentimenti non conformi alle istruzioni impartite dall ' alto viene accusato ( ed è il meno che possa accadergli ) di « sputare nel piatto in cui mangia » ; il che , disgraziatamente , è verissimo . Un fanatico potrebbe obiettare che le opinioni personali non sono punto necessarie all ' artista e che la libertà non contrasta con un ' autorità « liberamente » accettata . Ma chi accetta liberamente una libertà condizionata da uno stipendio ? Un ' occhiata alla storia letteraria ci dice che la Russia ebbe una grande letteratura rivoluzionaria solo nel tempo in cui gli scrittori non riscuotevano salari statali . Dopo è stato quasi il deserto . Le osservazioni che abbiamo fatte , non certo peregrine , mostrano chiaramente come sia quasi impossibile , in tutto il mondo , a uno scrittore di vivere dell ' arte sua . Lo scrittore che vende 1c sue parole può occasionalmente darci alcune pagine di autentico valore poetico e magari qualche opera duratura , ma non vivrà che del prodotto delle sue opere deteriori . A tutti , a quasi tutti gli scrittori , s ' impone il secondo mestiere , e non è detto che i mestieri apparentemente intellettuali ( insegnamento , giornalismo , cinema , ecc . ) siano i più conciliabili con quelle vacanze dello spirito che sono il vero terreno da cui sorge l ' arte . Un Foscolo o un Leopardi che passino dieci ore al giorno sforbiciando comunicati di agenzie giornalistiche sono inimmaginabili ; mentre è stato possibile a impiegati di banca di scrivere Giovannin Bongee o The Waste Land . D ' altra parte , è facile l ' obiezione , non sarebbe mai sorta la Commedia umana se Balzac avesse trascorso la sua breve vita negli uffici di una Cassa di Risparmio ; non avremmo avuto Guerra e pace e la Recherche se Tolstoi e Proust non fossero stati dotati di un considerevole « censo » . E in questo caso noi scopriamo quale può essere il secondo mestiere più favorevole alle lettere ; quello del rentier . Oltre questo , esistono i mestieri veri e propri , tra i quali è largamente compreso quello del produttore di libri . Ma bisogna anche riconoscere la strana situazione in cui viene a trovarsi l ' autore di libri invenduti e perciò poco o punto redditizi . Centinaia , forse migliaia di pittori e scultori di dubbio valore vivono vendendo le loro opere e fra i loro clienti , direttamente o indirettamente , non manca quasi mai lo Stato . Larghe sovvenzioni statali rendono possibile la difficile vita della musica , del teatro e del cinema . Una chiusura degli sportelli , una « serrata » da parte di pittori o di cineasti o di teatranti getterebbe il mondo intero nella costernazione . Ma fate che gli scrittori incrocino le braccia e stringano la cintola , e vedrete che nessuno si accorgerà della loro protesta . I giornali continueranno a uscire , e tutti saranno convinti che qualche capolavoro inedito prima o poi - meglio se dopo la morte dell ' autore - finirà per essere scoperto nel fondo di qualche cassetto . In definitiva , la vecchia opinione che la letteratura vada scoraggiata persiste tenacemente alla radice della nostra formazione classica . Lascio al lettore decidere se questo è un alibi che permette al mondo borghese di affamare i poeti senza provarne rimorso ; o se sia anche un indiretto omaggio alla rarità e imprevedibilità della poesia . Praticato su vasta scala - come oggi avviene - il mestiere di scrittore ha una tradizione piuttosto recente , da porsi in relazione con lo sviluppo del giornalismo e dell ' attività editoriale . Se non vogliamo partire addirittura dal primo Settecento , Edgar Poe è già il tipo del moderno pubblicista che vive di collaborazioni pagate : e male gliene incolse ; ma in epoca più recente , il Melville non fu che un modesto impiegato . Né ci rifaremo più addietro per ricordare le professioni , e le disavventure economiche , di un genio quale il Cervantes . Nei tempi eroici della poesia i poeti furono diplomatici , ciambellani , ecclesiastici , guerrieri , mercanti , figli di papà e occasionalmente anche ladri e assassini , ma non vissero mai dei « diritti d ' autore » . Non mancavano , s ' intende , i poeti cesarei , i librettisti o gli agiografi di Corte , ma si tratta di casi isolati , ed anche oggi esistono commediografi ( per lo più mediocri ) che vivono dei loro prodotti . Non occorre ripetere che si tratta per lo più di « prodotti » , non di opere d ' arte . D ' altronde , il teatro è un mondo che sta a sé . In ogni tempo si ebbero uomini di teatro che furono insieme autori attori e impresari , e che quindi esercitarono contemporaneamente professioni diverse ; ma nemmeno questo caso può invalidare il vecchio assioma che i carmi non danno pane . 11 problema di far sì che i poeti possano mettere la pentola al fuoco senza perdere gli anni migliori in un altro mestiere si presenta dunque , oggi , più che mai insolubile . Ma è probabile che sia , come tutti i problemi insolubili , una questione mal posta . Dire che uno Stato rispettabile dovrebbe distribuire impieghi puramente simbolici , sinecure o altro ai suoi più promettenti scrittori , oppure garantire con leggi e decreti , o magari mauri militari , la vendita dei loro scritti , è dar prova di irrimediabile ingenuità . Forse una società ideale potrebbe aiutare i suoi poeti , i suoi scrittori in modo del tutto segreto e indiretto , senza offenderne la dignità e l ' indipendenza ; ma le antiche società feudali erano molto più adatte a raggiungere questo scopo . La nuova civiltà industriale , fondata sul denaro e sul successo , non offre alcuna garanzia a tale riguardo . In una civiltà come la nostra solo un ' arte d ' uso , una Gebrauchskunst , può trasformarsi in denaro spicciolo . Un quadro fatto distribuendo quattro buchi su una tela , una musica ottenuta filtrando o dosando pochi ruggiti elettronici può essere un oggetto che si vende a privati consumatori e magari allo Stato , attraverso sussidi a mostre , festival ecc. Molto più difficile , e infinitamente meno raccomandabile , è che Io Stato organizzi e « pianifichi » elargizioni di quattrini ai suoi poeti , sottraendoli all ' onta del secondo mestiere . Chi sceglierebbe questi poeti ? Quale - da noi inesistente - Accademia ? E con quali garanzie di serietà ? E chi potrebbe impedire il moltiplicarsi dei sedicenti poeti aspiranti a prebende e sovvenzioni ? Purtroppo la poesia ( intesa nella più lata accezione ) è oggi l ' arte più indifesa ; per diverse e forse opposte ragioni , tanto le società totalitarie quanto quelle che s ' illudono di essere libere non possono far nulla per favorirne o proteggerne la nascita . Si direbbe , anzi , che siano fatte apposta per creare condizioni ostili al suo sviluppo . Ma sarebbe un errore credere che simili premesse rendano meno onorevole la vita , e la vocazione stessa , dei poeti . Probabilmente , la costituzionale inettitudine della poesia a fruttar quattrini ai poeti significa ch ' essa ha una sua particolare dignità alla quale le altre arti non sempre possono aspirare . Trenta giovani pittori italiani sono stati presentati insieme , tempo addietro , da un illustre critico sotto il titolo : Trenta maestri di domani senza che quasi nessuno gridasse allo scandalo . Ma se i trenta fossero stati poeti anziché pittori , né il presentatore né i poeti stessi si sarebbero salvati dal ridicolo . Ciò significa che la poesia non è ancora discesa , nell ' opinione pubblica , al grado di merce ; e che il titolo , in verità assai scaduto , di maestro non può essere tollerato da uno scrittore che si rispetti . Se a tale grado di dignità si può giungere solo praticando un secondo mestiere , ebbene , ben vengano i secondi e terzi mestieri . Tutti i danni che ad essi si ascrivono sono largamente compensati dal fatto che per mezzo loro l ' arte della parola non si è ancora posta al livello delle così dette « belle arti » , certo più redditizie , ma a costo di quali equivoci ! .
Fuga dal tempo ( Montale Eugenio , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Molti anni fa , a Firenze , quando il caffè delle Giubbe Rosse era ancora luogo di riunione di artisti veri o presunti , mi accadeva di incontrarvi spesso Mario Castelnuovo Tedesco , il musicista al quale è stato assegnato giorni fa , qui a Milano , un grande premio per un ' opera lirica tratta dal Mercante di Venezia di Shakespeare . Castelnuovo portava con sé fasci di musiche antiche e moderne , voluminosi « spartiti » , e li leggeva come si legge un romanzo o una rivista , assistito da una facoltà di audizione interna che per me aveva del miracoloso . La sua lettura non era , beninteso , un fatto puramente oculare , volta soltanto a studiare gli ingranaggi , la meccanica dei « pezzi » ; era una lettura che riusciva a materializzare , sia pure con un suono interiore , i colori e i timbri degli impasti orchestrali . Era dunque un ' esecuzione assoluta , se qualcosa di assoluto può darsi nella trasmissione e comunicazione di un ' opera d ' arte . Ed era , comunque , un ' approssimazione in nulla diversa dalla lettura di un libro di poesia : con un limite ch ' è dato dalla sensibilità del lettore - ascoltatore . Purtroppo , essendo molto rari i lettori di musica provveduti di un simile dono , le opere musicali vivono nel tempo solo attraverso la loro fisica estrinsecazione , che richiede edifizi ad hoc , sale da concerto , cantanti , strumentisti , ed oggi anche registi , scenografi e teatranti d ' ogni genere . Quella che si sarebbe detta , in certo senso , la più immateriale delle arti ( la musica , antica come il canto degli uccelli ) è diventata la più ingombrante , la più materiale di tutte le espressioni artistiche . Pensate alla triste sorte del Grande Musicista . Ha scritto , due secoli or sono , oltre a molte composizioni di musica da concerto , quaranta , cinquanta melodrammi dei quali si conosce solo il titolo . Le partiture sono andate perdute ; forse non esistettero mai e quelle opere furono un coacervo di parti , di « pezzi » , messi insieme di volta in volta . In ogni modo , due o tre di quei drammi - forse i peggiori dell ' autore - si conservano in qualche archivio . Dopo un paio di secoli si decide di rappresentarne uno . L ' impresa si rivela difficile : gli strumenti di oggi non sono quelli di ieri , le voci degli evirati non esistono più , bisogna rifare di sana pianta lo strumentale , completare accompagnamenti che non sono scritti o lo sono in modo approssimativo . Inoltre , l ' opera si rivela noiosa al gusto d ' oggi ; occorrerà tagliare , sopprimere qualche parte , eventualmente sostituire qualche brano o aria con altro dello stesso autore . Infine , col conforto di ogni genere di accorgimenti spettacolari , l ' opera viene varata . Il pubblico che vi accorre è un pubblico di ! lite ; ha pagato caro il biglietto e va ad assistere a un fatto mondano . Tolte rare eccezioni , il suo interesse per quella musica è nullo . Dopo tre o quattro sere l ' opera - giudicata concordemente una « barba » - viene tolta dal cartellone . Non se ne riparla più ; forse eccezionalmente , sarà ripresa cinquant ' anni dopo , con ulteriori manipolazioni e contaminazioni . Il gusto è mutato e si rendono necessarie nuove salse , nuovi sapori . Il Grande Musicista , dopo essersi riaffacciato per un attimo alla vita , torna al suo luogo naturale . Il suo nome figura nei dizionari biografici , nelle enciclopedie , nei trattati . È il nome di un « classico » . Ma la gente ha ben altro da fare che di occuparsi dei classici . La musicologia e la critica d ' arte sono più recenti della storia e della critica della poesia , ma stanno recuperando il tempo perduto . Da vari anni le musiche sono registrate , incise ; e dei quadri si fanno riproduzioni a colori che quasi si scambiano con gli originali . Se un nuovo diluvio non sommergerà il mondo intero è lecito pensare che molte opere d ' arte del nostro tempo sopravvivranno . Anch ' esse , peni , dovranno essere lette e interpretate ; ed è verosimile che i quadri dipinti con la scopa e le musiche pulviscolari che oggi deliziano intere popolazioni civili riescano fra qualche secolo totalmente incomprensibili . Forse non è nemmeno il caso di parlare di incomprensione , perché l ' arte nuova sempre meno fa appello alla ragione ; ma il fatto è che quando i ritrovati della nuova arte saranno diventati motivi di decorazione ( per esempio , musiche di scena , fregi e disegni per stoffe o ceramiche ) , sarà estremamente problematico distinguere tra opera d ' arte e oggetto d ' uso . Anzi , si può dire che mai conce oggi l ' arte è stata una fuga dal tempo , una corsa verso l ' anonimato : tant ' è vero che l ' arte preistorica riesce più accessibile agli indotti che l ' arte strettamente localizzata in un tempo e in una civiltà ben conosciuti . Non credo al fatto che noi riusciremo a « comprendere » i fantocci e i feticci che André Malraux va proponendo alla nostra ammirazione . È quasi certo che in opere simili prese forma un sacrale sentimento della vita onninamente lontano dal nostro . Un sentimento s ' intende , che conteneva anche una ragione , sebbene ne fosse indistinto , e un pensiero che oggi ci sfugge . Opere così fatte sono ormai per noi soltanto motivi plastici , destinati poi a ricorrere nelle arti moderne per opera di artefici desiderosi , razionalmente , di imbarbarirsi . Tuttavia noi , pur ammirando l ' arte preistorica , l ' accogliamo a grandi bracciate , prendendo d ' infilata secoli e secoli , del tutto incapaci di dare di ogni singola opera un giudizio individuante . Si tratta , si dirà , di preistoria . Eppure l ' interesse che destano i millenni più bui non avrebbe senso se non corrispondesse a un profondo bisogno dei nostri giorni . E a ben guardare può dirsi che l ' oscuro proposito delle nuove arti sia proprio di accelerare l ' avvento di un tempo nel quale anche l ' evo moderno , per non dire dell ' antico , diventi preistoria . Se consideriamo che il mondo produttore d ' arte è , da circa un secolo almeno , quadruplicato per l ' apporto di continenti prima sconosciuti , e che tale espansione è lungi dall ' esser finita , in relazione al graduale decrescere dell ' analfabetismo e alla diffusione di un concetto che riduce l ' arte allo stile , in una totale indifferenza ai così detti contenuti , non dovrebbe essere troppo lontana l ' era in cui i secoli delle « magnifiche sorti » saranno considerati a volo d ' uccello , come una riserva di « pezzi » artistici aventi un carattere del tutto impersonale . Qualora l ' avvenire ci riserbi un universale Welfare State non solo economico ma anche culturale , una vita intensamente meccanicizzata e standardizzata , un vasto calderone nel quale tutte le culture si fondano smarrendo i loro caratteri originali , l ' arte non potrà che mantenere e accentuare i caratteri che già distinguono le più avanzate manifestazioni del nostro tempo . Sarà un ' arte in larga misura sensoriale , acustica , visiva , destinata al divertimento e non alla contemplazione ; un ' arte conformistica che potrà avere il suo pubblico in quelli stessi che ne saranno gli autori : gli artisti , l ' immensa legione degli artisti . La poesia , per il momento , non è giunta a questo punto : molti poeti si ricordano che nella poesia interessa sommamente la situazione spirituale che l ' ha espressa . E la letteratura , in senso lato , darà ancora libri che saranno giudicati importanti al di là del loro valore artistico . Ma fuori di questo campo tutto sembra tendere all ' eccitazione e allo spettacolo . D ' altronde , anche la parola sta diventando un ingrediente che ha bisogno d ' altri sussidi . Cerchereste invano il nome e la voce dell ' autore in uno di quei lavori teatrali che vengono rappresentati sulle scene italiane e straniere . Poco importa che si tratti di Shakespeare o di Arthur Miller o di uno zibaldone tratto da un famoso romanzo : il vero autore è l ' équipe che ha montato la macchina teatrale dopo aver provveduto a purgare l ' opera di quei superstiti accenti di poesia che per avventura possano trovarvisi . E non diverso è lo stato della musica e della pittura . In una pittura intesa soprattutto come un fatto oculare ( anche se in origine l ' astrattismo poté essere altra cosa ) un bambino può superare un adulto ; e darà il meglio della musica elettronica colui che non abbia mai acquistato regolari nozioni musicali . L ' uomo d ' oggi guarda , ma non contempla , vede , ma non pensa . Rifuggendo dal tempo , che è fatto di pensiero , non può sentire che il proprio tempo , il presente ; e anche di questo suo tempo non può sentire che come ridicole e anacronistiche le espressioni del sentimento individuale . La nostra ipotesi può sembrare catastrofica oppure ottimistica , perché suppone che una civiltà universale ( sia pure spiritualmente a basso livello ) possa essere raggiunta dall ' umanità : una civiltà senza servi e padroni , forse senza frontiere , e in ogni modo liberata da quei flagelli che l ' uomo ha scoperto per distruggere su vasta scala i suoi simili . Può darsi , invece , che nulla di simile accada e che dopo una imprevedibile svolta ( che nessuno di noi si augura di vedere ) vada perduto persino il ricordo della nostra civiltà meccanica . Possiamo però consolarci pensando che anche in questo caso il nostro tempo lascerà ai suoi superstiti eredi un buon numero di totem , fantocci e feticci che ne documenteranno l ' esistenza e saranno studiati e intesi , e fraintesi , con molto interesse .
Tornare nella strada ( Montale Eugenio , 1949 )
StampaQuotidiana ,
Il cosiddetto divorzio fra l ' arte odierna e il pubblico non è un fatto di questi giorni . Anche cinquanta , anche cento anni fa - e si potrebbe risalire ben più addietro - esisteva un ' arte per pochi , un ' arte per iniziati . Leopardi e Baudelaire non ebbero in vita entusiastici consensi e Manet dovette schiaffeggiare un suo denigratore per trasformarlo in un suo devoto famulo e mecenate . Tuttavia , nel secolo scorso , il pubblico degli iniziati era ancora un pubblico , non una pattuglia di artisti falliti . Coloro che , alla fine dell ' Ottocento , si accostavano al Parsifal e alla Tetralogia , erudendosi su ponderose « guide tematiche » e seguendo col dito i temi conduttori , erano avvocati , medici , commercianti , non sempre musicisti o poeti mancati . Oggi le cose non vanno più così . Solo l ' uomo del mestiere ( fallito o no ) , solo « l ' addetto ai lavori » può sperare di trarre non dico ricreazione , ma minor spavento da certe forme d ' arte che rifiutano categoricamente di incarnarsi in modo troppo visibile e sensibile . Andate ad ascoltare l ' Ode a Napoleone di Arnold Schönberg : un uomo recita versi di Byron ( brutti ) a voce stentorea . Il suo grido riesce e non riesce a sormontare un mare di borborigmi e di dissonanze che non ingenerano sorpresa bensì noia , perché l ' orecchio è pronto ad assuefarsi ai nuovi timbri , alle nuove stonature . Il pezzo dura a lungo , non vive durante l ' esecuzione né può sperare di vivere dopo , perché non incide in nulla che sia veramente vivo in noi . Se l ' esempio non basta , provatevi a leggere una poesia « ininterrotta » di Eluard o , peggio , di un suo seguace : vi troverete pagine composte di filze di aggettivi ( centinaia di aggettivi ) senz ' alcuno sostantivo : vi troverete liriche in cui ogni verso cammina per conto suo , ha un senso in sé , ma non lega con gli altri . La sintassi non c ' è o è respinta su un piano non pure extra - logico , ma anche extra - intuitivo . È sostenuta , tutt ' al più , da una meccanica associazione di idee . Chi legge deve fabbricarsi la poesia per conto proprio ; l ' autore non ha scelto per lui , non ha voluto qualcosa per lui , si è limitato a fornirgli una possibilità di poesia . È molto , ma è troppo poco per durare dopo la lettura . Un ' arte che distrugge la forma pretendendo di affinarla si preclude la sua seconda e maggiore vita : quella della memoria e della circolazione spicciola . E cercherò di spiegare qual è questa seconda vita dell ' arte , per non essere frainteso . È vero : l ' opera d ' arte non creata , il libro non scritto , il capolavoro che poteva nascere e non nacque sono mere astrazioni e illusioni . Un frammento di musica o di poesia , una pagina , un quadro cominciano a vivere nell ' atto della loro creazione ma compiono la loro esistenza quando vengono ricevuti , intesi o fraintesi da qualcuno : dal pubblico . Compiono la loro vita quando circolano , e non importa se la circolazione sia vasta o ristretta ; a rigore , il pubblico può essere formato da una sola persona , purché questa persona non sia l ' autore stesso . Tutti d ' accordo su questo punto , non bisogna però cader nell ' errore di credere che l ' appercezione , o consumazione , di un particolare momento o frammento espressivo debba essere necessariamente quasi sincrona al suo presentarsi a noi con un immediato rapporto di causa a effetto . Se così fosse la musica sarebbe goduta soltanto al momento dell ' esecuzione , la poesia e la pittura soltanto nel momento in cui l ' occhio si posa sul foglio stampato o sulla tela dipinta . Finita la causa , finito il narcotico , tutto cesserebbe ; si charta cadit dovrà svanire nel nulla ogni bagliore di musica o di commozione poetica . Io non dico che tale sia , consapevolmente , l ' abbaglio estetico di molti artisti moderni : ma rilevo che , conscia o no , una grossolana materializzazione del fatto artistico è alla radice di molte esperienze d ' oggi . Per essa viene del tutto misconosciuta quella che è la seconda vita dell ' arte , il suo oscuro pellegrinaggio attraverso la coscienza e la memoria degli uomini , il suo totale riflusso alla vita donde l ' arte stessa ha tratto il suo primo alimento . Sono pienamente convinto che un arabesco musicale che non è un motivo , non è un ' « idea » perché l ' orecchio non l ' avverte come tale , un tenia che non è un tema perché non sarà mai riconoscibile , un verso o una serie di versi , una situazione o una figura di romanzo che non potranno tornare mai a noi , magari alterati e contaminati , non appartengono veramente al mondo della forma , al mondo dell ' arte espressa . È questo secondo momento , di consumazione minuta e magari di fraintendimento , quello che in arte m ' interessa di più . Paradossalmente si potrebbe dire che musica pittura e poesia nascono alla comprensione quando vengono presentate , ma non vivono veramente se non hanno il potere di continuare ad agire con le loro forze al di là di tale momento , sciogliendosi , rispecchiandosi in quella particolare situazione di vita che le ha rese possibili . Godere un ' opera d ' arte o un suo momento è insomma un ritrovarla fuori sede ; solo in quell ' istante il circolo della comprensione è perfetto e l ' arte si salda con la vita come tutti i romantici hanno sognato . Io non posso vedere un codazzo d ' indifferenti a un funerale né posso sentir soffiare la bora senza ricordarmi dello Zeno di Italo Svevo ; non posso guardare alcune merveilleuses d ' oggi senza pensare a Modigliani e a Matisse ; non posso contemplare certi figli di portinaia o di mendicante senza che mi torni dinanzi il bambino ebreo di Medardo Rosso ; non posso pensare a qualche strano animale - zebra o zebù - senza che si apra in me lo Zoo di Paul Klee ; non posso incontrare chi so io - Clizia o Angela oppure ... omissis omissis - senza rivedere arcani volti di Piero e del Mantegna e senza che un verso manzoniano ( « era folgore l ' aspetto » ) mi avvampi la memoria ; e neppure posso - se scendo di qualche gradino - individuare alcuni episodi dell ' eterna lotta fra il diavolo e l ' acqua santa senza sentirmi in cuore ( con la voce di Rosina Storchio ) l ' avvolgente , felino miagolio dell ' aria di San Sulpizio . Fin qui ho dato esempi chiari ma forse troppo ovvi di ciò che io intendo per circolazione di un momento espressivo o di un ' intera figura d ' artista , riassunta in suo atteggiamento ; ma non occorre pensare a nomi grossi per spiegare l ' intensità del fenomeno . Non c ' è frase musicale o poetica , figura dipinta o raccontata che non abbiano fatto presa , che non abbiano inciso su una vita , modificato un destino , alleviato o aggravato un dolore . Infiniti amori sono sorti fra le spire di un motivuccio volgare , infinite tragedie si sono suggellate con le battute di una canzonetta , di uno spiritual negro o con un verso di cui nessun altro ( forse nemmeno l ' autore ) si ricordava più . Si badi ; io non dico che l ' arte e particolarmente la musica e la poesia debbano essere facilmente mnemoniche , ricordabili . È un ' opinione che , in fatto di poesia , ho visto attribuire , in una intervista , all ' onorevole Palmiro Togliatti , e quando l ' ho letta mi sono rallegrato di non figurare tra gli zelatori di quell ' esteta ( e di quell ' uomo ) . Se essa fosse giusta , il Chiabrera batterebbe il Petrarca . Metastasio rivenderebbe Shakespeare e le poesie di Alice nel paese delle meraviglie metterebbero nel sacco tutte le odi di John Keats . Ma dico che ha adempiuto il suo fine e ha raggiunto la Forma qualsiasi espressione che abbia avuto , presso qualcuno , un effetto taumaturgico , liberatore : un effetto di liberazione e di comprensione del mondo . Ripeto che tali effetti si raggiungono a distanza e soo imprevedibili . Talora un grande artista , come Proust ossessionato dalla « petite phrase » di Vinteuil ( Franck o Gabriel Fauré ? ) , può costruire tutto un mondo su una reminiscenza , può organizzarla , riportarla a un suo modo particolare di vivere ; ma non è necessario ' giungere a tanto perché l ' arte s ' intruda in noi e continui nel nostro petto un ' esistenza assurda e incalcolabile . E non direi nemmeno che la seconda vita dell ' arte sia in relazione a un ' obiettiva vitalità e importanza dell ' arte stessa . Si può affrontare la morte per una nobilissima causa fischiettando « Funiculì funiculà » : si può ricordare un verso di Catullo entrando in un ' austera cattedrale ; si può seguire un profano desiderio anche associandolo a un ' aria di Haendel piena d ' unzione religiosa ; si può essere fulminati da una cariatide dell ' Erettèion facendo coda allo sportello delle tasse ; ci si può ricordare un verso del Poliziano persino in giorni di follie e di carneficina . Tutto è malcerto , nulla è necessario nel mondo delle rifrazioni artistiche ; l ' unica necessità è che tale rifrazione prima o poi sia resa possibile . Gli artisti moderni ( non parlo di tutti ) che per naturale impotenza o per il terrore di entrare in strade già battute o per un malinteso rispetto all ' ineffabilità della vita si rifiutano di darle una forma ; coloro che respingono deliberatamente ogni piacevolezza dal suono , ogni figuratività dalla pittura , ogni progressione sintattica dall ' arte della parola , si condannano semplicemente a questo : a non circolare , a non esistere per nessuno . Venuta meno la possibilità delle grandi comunioni fra pubblico e artisti , essi respingono anche quell ' ultima ipotesi di socialità che ha sempre un ' arte nata dalla vita : di tornare alla vita , di servire all ' uomo , di contare qualcosa per l ' uomo . Lavorano come i castori , traforando il visibile e l ' invisibile , spinti da un impulso automatico o da un ' oscura urgenza di sfogo o dal bisogno di costruirsi un riparo buio , sempre più buio , sempre più nascosto . Ma non si salveranno mai se non avranno il coraggio di tornare alla luce e di fissare in volto gli altri uomini ; non si salveranno se , usciti dalla strada e non dai musei , non avranno il coraggio di dir parole che possano tornare nella strada .
Il giudizio estetico ( Montale Eugenio , 1958 )
StampaQuotidiana ,
Una quarantina d ' anni fa , in un suo dotto e bizzarro libro che non credo abbia destato molte discussioni : La scepsi estetica , il filosofo Giuseppe Rensi si sforzava di dimostrare che il giudizio estetico è sempre soggettivo e non può aspirare all ' assolutezza . Secondo il Rensi , di uno che avesse preferito , supponiamo , Parzanese a Dante , Franz Lehár a Beethoven in nessun modo poteva dirsi che fosse nel falso . Nel mondo dell ' estetica non c ' era verità e errore , ma solo il gusto individuale , sempre vero e inconfutabile . La tesi non fu presa molto sul serio . Teneva allora il campo la filosofia idealistica , per la quale l ' individuo era qualcosa come un felice inganno , una illusione ; e ben pochi si arrischiavano a mettere in dubbio l ' assolutezza del giudizio estetico . Anche in questo settore o spicchio della vita individuale l ' individuo era battuto a favore del super - individuo : lo Spirito Universale . Nemmeno mezzo secolo è passato , e già i filosofi sembrano correre altre vie . Due mesi or sono , a Venezia , in un « simposio di estetica » , l ' insigne storico della filosofia medievale Étienne Gilson affermò che la ragione umana non riesce neppure a sfiorare l ' intimo processo della creazione artistica . La ragione , secondo Gilson , coglie l ' opera d ' arte quand ' esca è fatta , quando è diventata un oggetto , non può coglierla nel suo divenire . Il linguaggio dell ' artista e il linguaggio del critico non sono omogenei . Se lo fossero , il critico dell ' arte pittorica si esprimerebbe dipingendo ; il critico dell ' arte musicale si esprimerebbe scrivendo altra musica ; il che non avviene . L ' arte è dunque creazione di oggetti che prima non esistevano , non è linguaggio o almeno non è linguaggio razionale : mentre la critica , che ha per suo strumento il linguaggio , non è che ricognizione di oggetti già fatti . Caduto il principio dell ' imitazione del vero nelle arti che furono dette figurali o plastiche ( nessuno dei molti intervenuti sembrò porre in dubbio la necessità di questa caduta ) , ne consegue che non può darsi critica razionale dei prodotti di queste arti . L ' arte d ' oggi , in gran parte delle sue manifestazioni , non è dunque giudicabile in alcun modo ; anzi l ' arte non fu giudicabile mai , perché l ' antica critica fondata sul principio della mimesi , dell ' imitazione , non compiva che l ' inventario di una più o meno felice adeguazione al vero , ma restava muta dinanzi all ' ineffabilità dell ' arte . A riprova delle sue idee il Gilson portava il fatto che nel mondo delle arti non ha validità il principio di contraddizione . La scienza evolve , una tesi dimostrata vera elimina la tesi contraria . In arte , di due tesi opposte non avviene che una elida l ' altra . Non potrete mai dimostrare che una canzonetta di Modugno sia inferiore all ' Odissea ; potrete dire che sono due cose diverse . ( Naturalmente , non mi valgo sempre degli stessi termini del Gilson : che non cita Modugno e definisce la figuratività come imagerie ; ma il senso non varia . ) La prima e vera obiezione che potrebbe farsi è che esiste un ' arte : la poesia , la quale si serve della parola e possiede dunque uno strumento omogeneo a quello della critica . Ma il Gilson ha previsto l ' obiezione e ha tentato di smontarla . In realtà , a suo avviso anche la critica della poesia si fonda sull ' apprezzamento della imagerie , cioè sull ' involucro che fa di una poesia un oggetto , ma non coglie il moto irrazionale che sceglie la parola ( quella parola e non un ' altra ) come materia . La critica letteraria si risolve perciò in una storia di contenuti , o tutt ' al più in un ' indicazione di « luoghi » più o meno suggestivi . Il più e il meglio le sfugge : anche la poesia non conosce evoluzione ed evade dal tempo . E a questo punto è opportuno notare quanto il Gilson sia vicino , almeno qui , al pensiero del Croce , che potrebbe sembrare toto coelo diverso . Anche per l ' idealismo crociano non si dà storia della poesia , ma storia di poeti ; anzi qualcuno , portando quel pensiero alle ultime conseguenze , crede che si dia solo storia delle singole opere di poesia , essendo il poeta stesso , come unico autore di opere diverse , un ' astrazione . Come si vede , filosofi di opposte tendenze possono , per diverse vie , proporre la medesima distruzione dell ' individuo . Non so se la tesi del Gilson abbia destato obiezioni . A Venezia tutti sembravano convinti che la distruzione dell ' imagerie nelle arti visive e della tonalità naturale ( ammesso che essa esista ) nella musica sia ormai conquista della quale non può farsi a meno . L ' unica risposta da me letta porta la firma di uno storico dell ' arte medievale , Sergio Bettini , ed è apparsa sulla rivista della Biennale veneziana ( « La Biennale » , gennaio - marzo 1958 ) . Il Bettini non contraddice del tutto il Gilson , ma propone alcune rettifiche o vie d ' uscita . Pensiamo , egli dice , all ' architettura , che Aristotile , e non lui solo , escludeva dal novero delle arti appunto perché essa non si propone l ' imitazione del vero . Oggi tutte le opere d ' arte dovranno essere « lette » come opere architettoniche , prescindendo definitivamente dall ' imagerie che può formarne il pretesto . Se è arte l ' architettura ( e nessuno osa più negarlo ) , se noi possiamo leggerne le opere anche senza tener conto della loro destinazione pratica , così potremo leggere come opere architettoniche anche le più strane pitture tachistes o informali : o anche , aggiungiamo noi , le più strazianti musiche elettroniche . Ma è una lettura , riconosce il Bettini , estremamente difficile , alla quale noi non siamo ancora addestrati . A suo avviso , nell ' arte che ha rinunziato alla mimesi , solo un capello divide il capolavoro dall ' aborto . Compito del critico è di cogliere questa differenza infinitesimale e di indicarla ; ma con quali parole ? Forse solo con una interiezione , un mugolio . Sostanzialmente il Bettini sembra d ' accordo col Gilson nel ritenere che dell ' arte moderna ( e forse d ' ogni arte ) non può farsi utile discorso . II critico d ' oggi non può essere che un rabdomante che con la sua bacchetta tocca qui e tocca là ; ma non ha nessun monopolio del vero . Si può pensare diversamente da lui senza essere imputati di falsità . E qui si torna alle idee del troppo dileggiato ( allora ) Giuseppe Rensi . Un tempo il corso e ricorso delle stesse idee avveniva lentamente , nel giro di secoli . Oggi s ' è fatto rapidissimo . Torniamo un passo addietro . Non dovete credere che questo universale relativismo porti l ' accademico di Francia Étienne Gilson a un pessimismo assoluto . Se la ragione umana ha dei limiti , l ' uomo deve lavorare e agire con gli strumenti di cui dispone . E il Gilson , trasferendosi inopinatamente sul piano dell ' empiria , pensa che studiando le correnti e le modificazioni del gusto individuale si possa disporre le opere d ' arte nel tempo e si possa classificarle secondo criteri di probabile validità estetica . È vero : su un piano strettamente teorico sarà sempre impossibile confutare chi preferisca le sculture di fil di ferro esposte a Venezia alle opere di Michelangelo : chi anteponga alla Gioconda un paio ( stracciato ) di calze di nylon debitamente esposte in cornice . Ma esiste pure , di epoca in epoca , un consenso delle maggioranze , un certo numero di indicazioni collettive che non possiamo trascurare . Si trasformi dunque l ' indagine estetica in uno studio statistico dei gusti e delle « mode » : si fondino a tale intento istituti di ricerca ad hoc ; e forse si potrà individuare qualche norma utile agli artisti e ai profani « consumatori » d ' arte . Ma potranno simili norme sfuggire alle accuse di soggettività che si muovono al giudizio dei singoli ? In verità , questa parte del discorso del Gilson , del resto appena abbozzata , ci sembra singolarmente campata nelle nuvole . Oggi la pietra d ' inciampo delle speculazioni estetiche non è più data dall ' architettura , ma dalla poesia , dall ' arte della parola . La poesia , che per metà è discorso e per metà è altra cosa , è orinai un ' intrusa in considerazioni di questo genere . Lo è , d ' altronde , sempre stata : fin da quando si è parlato della poesia e « delle arti » , unificando e insieme distinguendo . Non è mai avvenuto , nemmeno nelle punte estreme del surrealismo , che un poeta , uno scrittore , rinunciasse del tutto alla raffigurazione , all ' imagerie . Ammettiamo pure che le manifestazioni non figurali delle arti visive abbiano avuto il merito ( o l ' effetto ) di porre in crisi l ' arte figurativa , l ' abbiano resa più che mai difficile : e ammettiamo altresì che da almeno cent ' anni , per la suggestione che le viene dalle altre arti , la poesia stessa si sia fatta sempre meno mimetica , meno rappresentativa . Resta pur sempre la speranza che l ' arte della parola , arte inguaribilmente semantica , presto o tardi faccia sentire il suo contraccolpo anche sulle arti che pretendono di essersi affrancate da ogni obbligo verso l ' identificazione e la rappresentazione del vero .
Gente in fuga ( Montale Eugenio , 1953 )
StampaQuotidiana ,
Non so se molti fra coloro che hanno scritto saggi o tesi di laurea sul Carducci si siano dati la pena di visitare l ' umile , quasi inabitabile casa di Valdicastello in cui il poeta nacque , nel 1835 . Di là all ' università il volo fu breve : a venticinque anni il Carducci era già in cattedra . Viaggi veri e propri il poeta non compì mai ; non vide mai Parigi , meta immancabile di ogni intellettuale moderno . Le vie di comunicazione , in quel tempo , non dovevano esser molto diverse da quelle che permisero all ' Alfieri di trasferirsi da Asti a Firenze . Non esistevano radio , cinema , giornali illustrati , edizioni « della notte » ; le lingue straniere bisognava studiarsele da sé , a lume di candela . Il ritmo della vira era sicuramente au ralenti . Probabilmente anche le stagioni avevano un altro peso e un altro senso . Aggiungete a queste condizioni di vita la natura stessa della terra di Toscana , satura di storia e di civiltà , e i buoni studi umanistici condotti sotto la guida dei preti d ' allora ; e avrete tutti gli addendi che sommati insieme ( non dimenticando il talento individuale ) potevano portare al risultato ultimo : una poesia insieme culturale e ingenua . Una poesia , in ogni modo , che par fatta apposta per permettere alla critica di tirar fuori i ferri del mestiere . Quando di un artista si sa tutto o quasi tutto : vita , opere , amicizie , ambiente ; quando insomma è relativamente facile fare un salto indietro e ripercorrere le tracce di una vita che ha lasciato reliquie numerose e ancora recenti ; allora è fatica abbastanza agevole quella che ci propongono i critici storicisti , di rifarci mentalmente contemporanei di un uomo che non esiste più ; e di ripensare un ' opera alla stregua delle premesse che l ' hanno resa non solo possibile ma necessaria e irripetibile . L ' impresa che ho rudimentalmente descritto ( e che consiste nello « storicizzare » un ' opera e un autore ) diventa quanto mai ardua nei casi in cui opere e uomini si allontanino nel tempo e nello spazio . Dalla storia si passa , qui , nella metastoria . Si lavora su qualcosa che è esistito ma che , strada facendo , si è arricchito d ' incrostazioni d ' ogni genere ; rimuovendo le quali ( fosse possibile ) l ' oggetto in esame diverrebbe non già più chiaro ma presumibilmente oscurissimo . Non allontaniamoci troppo : Medio Evo e Rinascimento ( pochi secoli , un batter d ' occhio nella vita dell ' umanità ) sono già termini in discussione , origini di dibattiti e di ipotesi inconciliabili ; e se dietro a queste etichette passiamo alle opere ( opere controverse , inattribuite o inattribuibili , opere scomparse o falsificate , opere gergali di cui abbiamo perduto la chiave , manufatti di cui non sapremo mai se si tratti di arte o di industria , ecc . ) ci convinceremo di quanto sia breve il raggio d ' illuminazione che è consentito all ' indagine storica . L ' Ottocento è il paradiso di tale indagine : tempo di crescenza , diverso di decennio in decennio , tempo vicino a noi , pienamente comprensibile e ricostruibile . Ma se questa crescenza un giorno finisse ? Se la velocità della vita moderna ingenerasse secoli e secoli di apparente stasi ? Suppongo che una macchina lanciatissima dia quasi il senso di esser ferma ; ed è possibile immaginare un ' umanità futura in cui il progresso , sceso per li rami a particolari minutissimi , sembri in qualche modo immobile , non più in divenire . È possibile pensare un tempo in cui non solo da un decennio all ' altro ma da un secolo all ' altro non avvengano più mutazioni apparenti , e in cui il figlio sembri eguale al padre e al nonno . Anche in un simile caso si avrà la trasformazione della storia in metastoria : e la professione di critico ( storico ) di arte o di letteratura non sarà delle più invidiabili . L ' uomo che nasce oggi non può più permettersi il lusso - o la perdita di tempo - che fu concesso a un Carducci . A vent ' anni non sa nulla ma in certo modo sa tutto , ha vissuto esperienze che farebbero strabiliare i nostri antenati . Ma le ha vissute svuotandole , rendendole inutili . Rendersene conto , strabiliarne vorrebbe dire essere per metà antichi e per metà moderni , e il risultato non potrebbe essere che la pazzia . È probabile che lo stato di collasso nervoso in cui vivono giovani e vecchi del nostro inoltrato Novecento sia il prodotto di un inadattamento , di uno scompenso . L ' uomo nuovo nasce , per eredità , ancora troppo vecchio per poter sopportare il nuovo mondo ; le attuali condizioni di vita non hanno ancora fatto tabula rasa del passato , si corre troppo ma si sta ancora troppo fermi . L ' uomo nuovo è , in altre parole , tuttora in fase sperimentale . O decide di tornare indietro ( cosa forse impossibile ) o deve correre di più , per avere il beneficio di un ' apparente stasi : quella dell ' ultravelocità . Correre di più vuol dire alleggerire il bagaglio della propria cultura , gettar via la zavorra dei propri legami col mondo antico . Vuol dire diventare un essere di cui non abbiamo la più vaga nozione . Qui mi fermo perché sento di essere in errore . Mi basta guardare oltre i cancelli della pineta da cui scrivo per convincermi che già esistono numerosi campioni di un ' umanità divisa fra lavoro e loisirs , fra lavoro più o meno meccanicizzato e ozi più o meno pianificati , non forse ingrati ma infecondi . Oggi come ieri l ' uomo lavora e si diverte ; ma il lavoro è quello che compie la parte di un ingranaggio e gli ozi sono laboriosi , faticosi e talvolta abbrutenti . Sono in ozio gli uomini e le donne che vedo sbarcare da macchine di lusso dinanzi alla « Grande Chaumière » che monopolizza i divertimenti di qui ? Donne dalle pettinature faraoniche e dai calzoncini attillati , a tubo , fino a metà del polpaccio ; uomini che hanno brache cascanti e maglie arrotolate e annodate sul ventre si avviano a finire nel can - can una giornata di canasta e di bridge . Non sono pochi , sono milioni in tutto il mondo , sono in qualche modo la parte più progredita dell ' umanità . Certo il progresso ad essi deve moltissimo . Non è gente in ozio questa : è gente veloce , in fuga dal tempo , dalle responsabilità e dalla storia . È gente che smesso il lavoro non può restare in compagnia di se stessa ed ha bisogno - in qualsiasi modo - di « far qualcosa » per riempire il vuoto dal quale deve difendersi . Non sono villeggianti , in una villa morirebbero di noia , in uno di questi orti non saprebbero accorgersi del lavoro che i ragni , i beccafichi e le cetonie compiono sulla più zuccherina frutta del mondo , sulla pesca noce , sull ' uva erbarola e sui grappoli dell ' aleatico . Sono estivants , gente che cerca la città e « fa città » dovunque arriva . Ed ora sono giunti in Versilia che fino a pochi anni fa ne era immune . Li accoglie qui un collare di perle , la delicata illuminazione notturna che dal Cinquale a Fiumetto distingue questa spiaggia dalle altre ; ed è tutto , perché all ' alba essi non sentono certo il ronzio dei maggiolini sulle zinnie , lo schiocco dei superstiti merli delle pinete . Le loro camere si aprono sull ' asfalto e quando scendono sulla spiaggia ( quasi asfaltata ) coi loro costumi a due pezzi , mezzogiorno è suonato e sulle loro teste non passa che un aeroplano che sparge manifestini e piccoli paracadute réclame . Il giorno che tutti avranno lavoro e loisirs a sufficienza e siano scomparsi quegli improduttivi otia che permettevano la maturazione della grande poesia non è detto che anche l ' arte venga meno sulla faccia della terra . Una totale trasformazione dell ' uomo in macchina non è immaginabile . Ma si accentuerà nell ' arte futura quel carattere preistorico che già colpisce nelle odierne manifestazioni . Avremo « pezzi » d ' arte pura , e perciò assolutamente inspiegabile ; pezzi da mettersi accanto ai migliori dell ' arte sumera , egiziana , maya , ecc . ; e che nessuno vorrà affaticarsi a porre in rapporto con una figura , con una personalità d ' autore ; pezzi o , se si vuole , opere che non sarà possibile inserire in una storia individuale . Ridotta a bocconi anche la poesia figurerà nel museo immaginario di domani . E forse allora nessuno ricorderà che un grande filosofo umanista - il nostro Croce - non ammise che possa darsi storia della poesia . O solo qualche erudito ne saprà qualcosa e vedrà in questa teoria uno dei più singolari aspetti della lotta del nostro tempo contro il Tempo .
Una vera orgia di modernismo ( Montale Eugenio , 1960 )
StampaQuotidiana ,
Venezia , 12 settembre - Si è inaugurato ieri sera nella sala dello Scrutinio nel Palazzo Ducale il XXIII Festival internazionale di musica contemporanea . I concerti in programma saranno quindici , le orchestre quattro : due italiane ( della Fenice e della Rni di Torino ) e due straniere ( i complessi della Radiodiffusione - Televisione francese e della Kölner Rundfunk ) . Direttori d ' orchestra Maazel , Sanzogno , Ehrling , Craft , Stravinskij , Cattini , Cluytens , Dutilleux , Maderna , Rossi , Albert . Sedici saranno le novità assolute e tredici le prime esecuzioni per l ' Italia . Musiche sinfoniche e musiche da camera si alterneranno ; non mancherà uno spettacolo di danza e sarà presente la musica elettronica . A parte la serata dedicata a Schumann e un concerto con classici francesi dell ' Ottocento , si avrà quindi una vera orgia di modernismo musicale . Come il lettore noterà manca quest ' anno uno di quegli spettacoli operistici che soli richiamavano il pubblico ( La carriera del libertino di Stravinskij nacque qui alla Fenice ) e che quasi da soli esaurivano le magre risorse finanziarie del festival . È forse inutile rammaricarsene . Quanto alla lamentata ( da parte dei vecchi musicisti ) tendenziosità del programma , quasi esclusivamente ultramoderno , si può osservare che non è colpa di Mario Labroca , direttore del festival , se oggi la musica di forme e spiriti tradizionali attraversa una crisi di stanchezza . Non è colpa di nessuno se ai giorni nostri il vento soffia in una sola direzione . E il discorso probabilmente può valere anche per la Biennale veneziana , patrona del festival . Resta inteso che qui a Venezia le manifestazioni musicali successive alla Mostra del cinema avvengono un poco in una scatola chiusa e spesso interessano soltanto gli autori e i loro amici . In larga misura si ascolteranno musiche sperimentali che non pretendono di avere successo , e che anzi sarebbero desiderose di ottenere un effetto di choc e di fare scandalo . Il guaio è che scandali non ne avvengono più ; l ' orecchio degli ascoltatori si è abituato a ogni genere di dissonanze e le ricerche del « totale cromatico » sono ben lungi dal dare il talento a chi ne è scarsamente provvisto . Nulla di troppo moderno , in ogni modo , nel concerto di ieri sera dedicato alla commemorazione di Gustav Mahler , un compositore che ebbe larghi successi come direttore d ' orchestra , ma non altrettanto come autore di musiche proprie . La reputazione del Mahler - morto nel 1911 appena cinquantenne - è piuttosto postuma . I suoi estimatori citano per lui Nietzsche e Kierkegaard e lo vedono come un uomo di rottura che , esasperando il sistema tonale e mostrandone i limiti , introduce direttamente all ' espressionismo dei viennesi . Ma in verità l ' espressionismo non nasce con Berg e Webern e quello di Mahler è ancora gonfio di romanticismo ottocentesco . Le musiche che abbiamo ascoltato ieri sera - non nuove per l ' Italia e anzi assai note anche attraverso registrazioni - ci danno una diversa misura del suo temperamento . La Prima sinfonia scritta tra il 1885 e il 1888 e ispirata al Titano di Jean - Paul Richter è largamente occupata da un ossessivo mimetismo naturalistico . Ascoltandola senza tener conto della traccia offerta dal libretto ne riconosciamo il carattere composito , indifferenziato , monotono malgrado la ricchezza timbrica e armonica . Il Mahler , tipico esponente del gusto liberty tedesco , ha sempre qualcosa da cincischiare , da aggiungere e da postillare , e potrebbe così continuare all ' in finito . Folclore , sentimentalismo , profetici slanci e una perpetua atmosfera di epifania che non illude nessuno ( perché noi sappiamo che non accadrà nulla di notevole ) sono anche gli elementi del Canto della Terra per contralto , tenore e orchestra ( 1908 ) eseguito nella seconda parte del programma . In fondo Mahler aveva molti doni , qui più presenti che mai ; è dubbio però che avesse « il dono » , quello che conta . Ma andate a dirlo ai suoi ammiratori ! Esecuzione buona da parte dell ' orchestra della Fenice diretta da Lorin Maazel . Il tenore era Richard Lewis , il contralto Kerstin Meyer . Applausi calorosi , pubblico abbastanza folto .
«L'uomo malcontento» di C. Malipiero ( Montale Eugenio , 1960 )
StampaQuotidiana ,
Venezia , 13 settembre - La più attesa delle « novità assolute » eseguite iersera nella sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale era di Gian Francesco Malipiero : un concerto di concerti , ovvero L ' uomo malcontento per violino concertante e orchestra , solisti Scipio Colombo , baritono , e Franco Gulli , violino . Si tratta di una di quelle « rappresentazioni da concerto » di cui l ' illustre maestro ci ha dato già prove . Stavolta egli ha scelto tre ottave del Poliziano , alcuni versi dal Transito e Testamento di Carnovale di un ignoto del secolo XVI e un brano dell ' Ipocrito di Pietro Aretino . Il filo che unisce questi brani è il sentimento di amara scontentezza che investe la condizione umana quand ' essa giunge al tramonto . Malipiero vi ha profuso ancora una volta le qualità che fanno di lui un modello di coerenza e di deliberata inattualità . Sfrondata dalla parte solistica del violino , soporifera , c da quella vocale , di una scrittura impossibile , resta abbastanza viva la cornice sonora , arcaizzante , come al solito , ma non priva di ingegnosi episodi . Assisteva l ' autore , festeggiato . All ' inizio del programma una Piccola musica di Natale per piccola orchestra e pianoforte , di Niccolò Castiglioni , pianista lo stesso autore ( il titolo , per semplificare le cose , è in tedesco ) . Castiglioni intende , e lo dice nel programma , eliminare dal suono ogni piacere sensoriale : il suo « è un bisogno di tutelare l ' aristocrazia del pudore dal grossolano ricatto di una pseudo - civiltà mercantile » ( la sola , aggiungiamo noi , che paga e rende possibili i festival musicali ) . Nella breve composizione ( undici minuti ) rari suoni vetrini , felpati o frullati hanno la funzione di un filo spinato che delimiti larghe zone di silenzio . L ' aristocrazia del pudore risulta effettivamente tutelata dal giovane e sensibile autore . Cesare Brero ha invece musicato Er testamento de Meo del Cacchio di Trilussa : voce di baritono e quattordici istrumenti , più la percussione . L ' accorato e fine strumentale ci ha fatto dimenticare la parte vocale , arida , difficile e di scarso interesse . Chiudeva la serata la Sinfonia op. 35 di Luigi Cortese , composizione in tre tempi che intende essere « una dichiarazione di fiducia nella vitalità della forma tonata » . Tutto ciò servirebbe a poco se in realtà il Cortese non avesse scritto , come ha scritto , una musica vigorosa e tematicamente chiara , che si segue con attenzione e dimostra una maestria non soltanto tecnica . Queste « novità assolute » , egregiamente eseguite dall ' orchestra della Fenice , diretta da Nino Sanzogno , sono state ascoltate da un pubblico non molto folto ma rassegnato e plaudente . Tutti gli autori sono apparsi più volte alla ribalta . Si sono fatti onore il violinista Gulli e il baritono Colombo , quest ' ultimo un vero martire .
Un concerto dedicato ai francesi ( Montale Eugenio , 1960 )
StampaQuotidiana ,
Venezia , 15 settembre - Il concerto di ieri sera , che si è tenuto come i precedenti nella sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale , è l ' unico di questo festival che non sia dedicato esclusivamente alla musica contemporanea . Vi abbiamo ascoltato , infatti , una sinfonia di Berlioz , Il corsaro , che risale al 1845; la ben nota Sinfonia n . 1 in do maggiore di Bizet ( 1855 ) ; e una Suite provençale del Milhaud , che crediamo non nuova per l ' Italia . Di nuovo c ' era solo la Prima sinfonia di Henri Dutilleux , compositore abbastanza giovane , già prix de Rome e ora caposervizio delle trasmissioni musicali alla radiodiffusione francese . Il maggiore elemento d ' interesse era dato dal fatto che queste musiche erano eseguite dall ' Orchestra nazionale della Radiodiffusione - Televisione francese , una delle più perfette compagini orchestrali attualmente esistenti , e che il direttore era André Cluytens , già applaudito dai milanesi come eccellente interprete del Parsifal alla Scala . Ancora una volta l ' illustre direttore fiammingo ha confermato le sue qualità di autentico dominatore dell ' orchestra , la sicurezza e la sobrietà del suo gusto , la capacità di far rivivere musiche di stile assai diverso rispettandone il carattere e non sopraffacendole . Né Berlioz , né il Bizet della Sinfonia in ( lo maggiore e nemmeno il quasi folcloristico impressionismo del Milhaud potevano offrire serie difficoltà a lui e alla sua orchestra . Forse più difficile la musica liberamente atonale del Dutilleux . Il programma ci dice che essa dovrebbe rappresentare un sogno o un incubo sospeso tra due evanescenze . Forse l ' incubo fu dell ' autore , ma all ' ascoltazione questa musica disordinata , sconquassata , inutilmente fragorosa non produce che noia e fastidio . Non si comprende perché sia stata eseguita al festival : forse la posizione occupata dal Dutilleux alla Radiodiffusione francese spiega tutto . Certo , se si doveva scegliere tra l ' Ottocento e il Novecento di Francia , si sarebbe potuto presentare un programma assai più interessante . Ciò sia detto senza negare il merito delle vigorose , popolaresche gighe e trescone che formano il tessuto della Suite provençale .