StampaQuotidiana ,
Venezia
,
17
settembre
-
Nei
due
concerti
che
si
sono
susseguiti
nella
sala
delle
Colonne
di
Ca
'
Giustinian
,
il
primo
ci
ha
fatto
conoscere
il
famoso
Quartetto
Julliard
,
interprete
di
musiche
di
Gian
Francesco
Malipiero
,
Anton
Webern
ed
Elliot
Carter
.
I
quattro
strumentisti
del
quartetto
,
dei
quali
il
programma
non
ci
fa
conoscere
i
nomi
,
sono
davvero
formidabili
e
la
loro
collaborazione
dura
dal
tempo
dei
loro
studi
musicali
.
(
Julliard
è
il
nome
di
un
'
alta
scuola
di
musica
negli
Stati
Uniti
.
)
Un
'
ottima
impressione
hanno
destato
i
Rispetti
e
strambotti
di
Malipiero
di
una
chiara
linea
melodica
e
anche
i
Cantari
alla
madrigalesca
dello
stesso
autore
,
forse
un
po
'
meno
felici
nella
loro
sovrabbondanza
.
Questi
lavori
risalgono
rispettivamente
al
1920
e
al
1931
e
appartengono
alla
migliore
stagione
dell
'
arte
malipieriana
.
I
Julliard
hanno
poi
eseguito
il
Secondo
quartetto
per
archi
di
Elliot
Carter
,
un
americano
nato
a
Nuova
York
nel
1908
.
A
questo
lavoro
è
stato
assegnato
il
premio
Pulitzer
nel
'59
,
data
della
sua
composizione
.
Si
tratta
di
una
musica
caotica
,
ispida
,
volutamente
inespressiva
,
di
una
aridità
che
non
è
nemmeno
sconcertante
perché
nessuno
è
più
capace
di
meravigliarsi
di
nulla
.
Tanto
il
Carter
è
rumoroso
quanto
era
invece
rarefatto
Anton
Webern
,
nei
Cinque
movimenti
per
quartetto
d
'
archi
(
1909
)
.
Questi
movimenti
che
appartengono
alla
musica
del
silenzio
,
oggi
molto
in
auge
,
ci
portano
alla
frontiera
del
nulla
assoluto
non
forse
per
la
sapiente
disgregazione
del
rapporto
tonale
ma
per
l
'
insolito
gioco
dei
rapporti
di
intervallo
.
Resta
sorprendente
che
dopo
il
Webern
si
sia
scritta
altra
musica
nella
stessa
direzione
.
Eppure
il
culto
di
questo
maestro
avrebbe
dovuto
sconsigliarlo
.
Scarso
il
pubblico
,
entusiastico
il
successo
personale
dei
meravigliosi
strumentisti
del
Julliard
.
Il
secondo
concerto
era
dedicato
ai
classici
contemporanei
:
Schönberg
,
Stravinskij
,
Hindemith
e
Bartók
.
Di
Schönberg
è
stato
eseguito
il
ben
noto
Pierrot
lunaire
(
1912
)
in
una
insufficiente
interpretazione
vocale
di
Magda
Laszlo
.
È
per
noi
un
mistero
perché
Schönberg
abbia
musicato
poesie
che
ci
riportano
al
tempo
della
«
Scena
Illustrata
»
di
Pilade
Pollazzi
.
Sebbene
non
si
intendesse
alcuna
parola
,
un
mutismo
completo
ci
avrebbe
permesso
di
gustare
meglio
il
sottofondo
armonico
di
questi
21
melodrammi
in
miniatura
.
Dell
'
Opera
36
n
.
4
di
Hindemith
(
Kammermusik
n
.
5
)
per
viola
e
orchestra
da
camera
(
1927
)
,
dell
'
Ottetto
per
strumenti
a
fiato
di
Stravinskij
(
1933
)
e
della
Sonata
per
due
pianoforti
e
percussione
di
Béla
Bartók
(
1937
)
non
c
'
è
che
da
lodare
la
vigorosa
,
vibrante
sostanza
sonora
,
carattere
che
rende
ancor
vive
e
attuali
queste
musiche
di
ieri
.
Ha
diretto
molto
bene
il
Pierrot
lunaire
il
pianista
Piero
Scarpini
,
assistito
dagli
strumentisti
Gazzelloni
,
Gaudini
,
Fusco
,
Asciolla
,
Morselli
.
Ottimo
direttore
delle
composizioni
è
stato
Ettore
Gracis
.
Da
notare
il
violista
Dino
Asciolla
,
il
duo
pianistico
Gorini
-
Lorenzi
e
i
batteristi
Torrebruno
e
Striano
.
Molto
pubblico
a
questo
secondo
concerto
e
molti
applausi
.
StampaQuotidiana ,
Venezia
,
19
settembre
-
Sabato
ci
siamo
trasferiti
alla
Fenice
,
felicemente
riaperta
,
ma
a
quanto
pare
per
quella
sola
serata
,
e
abbiamo
ascoltato
musiche
dodecafoniche
,
alcune
nuove
per
l
'
Italia
,
e
una
addirittura
«
novità
assoluta
»
.
Interpreti
del
programma
l
'
orchestra
e
il
coro
di
Radio
Colonia
-
un
insieme
eccellente
-
sotto
la
direzione
di
Bruno
Maderna
,
il
più
accreditato
specialista
italiano
di
questo
genere
di
musica
.
Si
è
cominciato
con
la
Settima
sinfonia
di
Karl
Amadeus
Hartmann
,
compositore
di
Monaco
,
oggi
cinquantacinquenne
,
un
lavoro
che
esprime
la
predilezione
dell
'
autore
per
la
polifonia
e
le
forme
concertanti
;
ma
che
non
si
alza
mai
dal
grigiore
del
più
convenzionale
,
anche
se
moderno
,
accademismo
.
Lo
stesso
può
dirsi
per
l
'
Aulodia
per
oboe
e
orchestra
di
Wolfgang
Fortner
,
fastidioso
elaborato
di
un
tema
di
tre
note
rovesciate
,
retrogradate
e
invertite
in
modo
da
raggiungere
il
fatidico
numero
di
dodici
note
.
Sostituiva
l
'
aulos
greco
l
'
oboe
del
poderoso
solista
Lothar
Faber
,
acclamatissimo
.
Novità
assoluta
erano
i
Dialoghi
per
violoncello
e
orchestra
di
Luigi
Dallapiccola
,
ultimo
lavoro
del
maestro
.
Il
maggior
pregio
di
questi
Dialoghi
sta
nell
'
aver
tolto
allo
strumento
solista
ogni
possibilità
di
abbandonarsi
a
quel
virtuosismo
individuale
che
oggi
rende
poco
sopportabili
le
composizioni
del
genere
.
Qui
il
solista
parla
senza
esibirsi
in
una
personale
oratoria
;
e
non
importa
poi
se
parli
con
quei
suoni
afoni
e
smozzicati
(
quando
non
siano
duramente
strappati
)
che
i
nuovi
asceti
musicali
prediligono
.
Il
pubblico
ha
ascoltato
con
simpatia
i
diciotto
minuti
di
musica
dei
Dialoghi
e
il
maestro
Dallapiccola
è
apparso
due
volte
al
proscenio
;
anche
alle
precedenti
composizioni
dell
'
Hartmann
e
del
Fortner
non
erano
mancati
applausi
,
seppure
poco
convinti
.
Nuovo
per
l
'
Italia
,
ma
già
apprezzato
altrove
,
era
il
Canto
sospeso
per
soprano
,
contralto
,
tenore
,
coro
misto
e
orchestra
di
Luigi
Nono
,
che
si
è
servito
di
alcuni
brani
delle
Lettere
di
condannati
a
morte
della
Resistenza
europea
,
pubblicate
da
Einaudi
.
Il
motivo
psicologico
fondamentale
della
vasta
composizione
,
divisa
in
nove
parti
,
non
differisce
da
quello
,
espresso
più
sobriamente
,
del
Diario
polacco
dello
stesso
Nono
,
ascoltato
al
festival
dello
scorso
anno
.
Più
che
di
polifonia
o
di
contrappunto
sembra
che
si
debba
parlare
di
aggregati
di
masse
o
strutture
sonore
,
che
delimitano
larghe
zone
di
angoscioso
silenzio
.
Aggregati
,
s
'
intende
,
nei
quali
i
singoli
strumenti
sono
impiegati
ai
limiti
estremi
delle
loro
possibilità
di
estensione
e
di
timbro
.
Siamo
portati
,
per
quanto
riguarda
gli
effetti
timbrici
,
quasi
ai
confini
della
musica
elettronica
.
Le
parole
non
s
'
intendono
neppure
nei
brani
affidati
ai
solisti
,
costretti
ai
consueti
,
difficili
intervalli
.
La
maggiore
efficacia
è
quindi
data
dalla
parte
orchestrale
e
da
quella
corale
(
questa
,
«
a
cappella
»
nel
primo
coro
,
più
libera
nel
finale
,
con
largo
intervento
di
ottoni
)
.
Avremo
occasione
di
riascoltare
questo
Canto
sospeso
,
il
quale
ha
ottenuto
l
'
effetto
di
suggestione
al
quale
mirava
,
strappando
calorose
acclamazioni
all
'
autore
e
agli
interpreti
.
Ha
diretto
il
magnifico
coro
Bernhard
Zimmerman
;
solisti
il
soprano
Hollweg
,
il
contralto
Bornemann
,
il
tenore
Lenz
.
Per
concludere
:
la
musica
di
estrema
avanguardia
può
ottenere
oggi
i
più
trionfali
successi
da
parte
del
pubblico
borghese
;
il
che
non
poteva
essere
nelle
sue
profonde
aspirazioni
.
C
'
è
qui
,
evidentemente
,
una
contraddizione
che
stride
.
StampaQuotidiana ,
Venezia
,
28
settembre
-
Il
Festival
musicale
di
Venezia
ha
sparato
ieri
sera
il
suo
ultimo
mortaretto
con
l
'
atteso
Gesualdo
Monumentum
di
Stravinskij
diretto
dall
'
autore
.
Domani
al
Teatro
del
Ridotto
si
avrà
la
serata
di
chiusura
con
Giro
a
vuoto
n
.
2
,
canzoni
di
noti
poeti
e
musicisti
interpretate
da
Laura
Berti
.
Assai
maggiore
l
'
interesse
del
concerto
di
ieri
sera
,
nel
quale
,
oltre
alla
assoluta
novità
stravinskiana
,
abbiamo
avuto
una
«
retrospettiva
»
di
Alban
Berg
comprendente
i
predodecafonici
Cinque
«
Lieder
»
orchestrali
su
testi
di
cartoline
illustrate
di
Peter
Altenberg
(
1912
)
,
l
'
aria
da
concerto
per
soprano
e
orchestra
Il
vino
,
su
testi
di
Baudelaire
tradotti
da
George
(
1919
)
e
due
dei
Tre
pezzi
per
orchestra
che
risalgono
al
'14
.
Di
queste
composizioni
nessuna
aveva
carattere
di
novità
,
ma
solo
Il
vino
è
spesso
ascoltata
nei
festival
.
Il
carattere
fortemente
espressionistico
e
letterario
di
quest
'
aria
-
che
precede
e
annunzia
l
'
incompiuta
opera
Lulu
-
è
oggi
facilmente
accessibile
a
un
pubblico
abbastanza
vasto
.
Molti
applausi
sono
andati
alle
musiche
berghiane
,
al
direttore
d
'
orchestra
Robert
Craft
e
alla
solista
di
canto
Magda
Laszlo
.
Ha
invece
diretto
personalmente
il
Gesualdo
Monumentum
il
venerando
autore
che
non
per
la
prima
volta
largisce
,
sia
pure
col
contagocce
,
le
sue
novità
al
festival
di
Venezia
.
Questa
è
del
'60
,
freschissima
.
Il
principe
Gesualdo
da
Venosa
,
madrigalista
vissuto
a
cavallo
tra
il
Cinque
e
il
Seicento
,
è
posto
da
anni
sugli
altari
,
non
solo
perché
fece
trucidare
la
moglie
,
ma
anche
per
la
ricchezza
armonica
della
sua
scrittura
vocale
.
Si
vede
in
lui
un
sorprendente
anticipatore
del
moderno
cromatismo
,
sebbene
egli
si
muova
nell
'
ambito
di
una
ortodossa
tonalità
e
rimanga
pur
sempre
nel
ritmo
(
come
dice
Stravinskij
)
,
piuttosto
«
plump
»
.
I
tre
madrigali
che
l
'
autore
del
Sacre
ha
trascritto
per
gruppi
di
strumenti
hanno
offerto
al
grande
maestro
l
'
occasione
di
scrivere
alcune
di
quelle
nugae
(
musica
scritta
su
altra
musica
,
oppure
composta
à
la
maniere
de
...
)
che
formano
una
notevole
parte
della
sua
recente
produzione
.
Alterazioni
ritmiche
-
a
quanto
dice
il
trascrittore
-
dovrebbero
essercene
poche
,
nei
tre
madrigali
tolti
dai
libri
V
e
VI
di
Gesualdo
,
ma
è
molto
dubbio
che
sia
conservato
molto
dell
'
originario
carattere
vocale
,
inscindibile
dall
'
ispirazione
di
Gesualdo
.
Lo
stesso
Stravinskij
,
presentando
questi
sei
minuti
di
musica
(
i
quattordici
delle
precedenti
Lamentazioni
di
Geremia
sembrano
ora
un
Himalaya
musicale
)
,
ha
ammesso
,
del
resto
,
che
in
una
trascrizione
del
genere
la
parte
originariamente
vocale
dev
'
essere
sentita
come
assolutamente
nuova
e
diversa
,
tanto
diversa
da
sopprimere
ogni
somiglianza
col
disegno
e
il
carattere
dell
'
originale
.
E
allora
?
Non
resta
che
da
ammirare
la
scintillante
trama
sonora
che
il
trascrittore
,
servendosi
di
strumenti
di
vario
sesso
,
e
persino
«
ermafroditi
»
come
i
corni
,
ha
gettato
sulle
brevi
e
dopo
tutto
non
troppo
complesse
melodie
gesualdiane
.
StampaQuotidiana ,
Venezia
,
10
aprile
-
Nella
grandiosa
sala
superiore
della
Scuola
Grande
di
San
Rocco
ieri
sera
si
è
inaugurato
il
XXIV
Festival
musicale
veneziano
,
quest
'
anno
diretto
da
Mario
Labroca
.
La
tradizione
di
cominciare
con
uno
spettacolo
teatrale
è
stata
parzialmente
rispettata
,
perché
di
teatro
si
può
appena
parlare
per
le
due
opere
prescelte
:
Il
diluvio
di
Noè
di
Britten
è
una
sacra
rappresentazione
nuova
per
l
'
Italia
,
mentre
La
via
della
Croce
,
«
novità
assoluta
»
di
Ghedini
su
testi
di
Nicola
Lisi
,
si
può
definire
naturalmente
come
un
«
mistero
»
.
Il
diluvio
di
Noè
è
il
rifacimento
di
una
di
quelle
rappresentazioni
bibliche
del
Chester
Miracle
che
nel
Cinquecento
inglese
venivano
portate
in
giro
da
un
assai
primitivo
carro
di
Tespi
.
Le
esigenze
sceniche
erano
minime
.
Britten
ha
scritto
la
sua
opera
per
personaggi
adulti
e
bambini
e
per
un
'
orchestra
in
cui
accanto
a
professionisti
figurano
dilettanti
che
suonano
violini
,
strumenti
a
percussione
,
campanelli
a
mano
e
trombe
.
In
questi
spettacoli
medioevali
il
pubblico
(
o
meglio
le
congregazioni
)
prendeva
parte
all
'
azione
e
si
univa
al
coro
intonando
il
canto
.
Nulla
di
simile
,
naturalmente
,
ieri
sera
.
Il
coro
era
quello
della
Fenice
istruito
da
Sante
Zanon
,
e
dello
stesso
teatro
era
l
'
orchestra
diretta
da
Ettore
Gracis
.
Il
testo
è
tradotto
in
italiano
da
Piero
Nardi
e
l
'
adattamento
ritmico
è
opera
del
Nardi
e
di
Raffaele
Cumar
.
E
già
che
ci
siamo
aggiungiamo
i
nomi
del
regista
(
Giulio
Pacuvio
)
e
dello
scenografo
(
Gianrico
Becher
)
.
Il
breve
,
intenso
spettacolo
,
di
un
primitivismo
anche
musicalmente
assai
prezioso
ci
fa
assistere
alla
costruzione
dell
'
arca
di
Noè
dopo
l
'
annuncio
divino
,
al
diluvio
,
all
'
imbarco
di
Noè
e
di
sua
moglie
(
questa
assai
riluttante
)
,
nonché
di
Seni
,
Cam
e
Iafet
e
delle
loro
rispettive
consorti
.
Non
è
dimenticata
neppure
una
larga
rappresentanza
delle
varie
specie
zoologiche
,
l
'
arcobaleno
,
il
volo
della
colomba
che
annuncia
la
fine
del
diluvio
tornando
all
'
arca
col
ramoscello
d
'
olivo
;
e
ha
grande
rilievo
la
voce
di
Dio
,
affidata
alla
tonante
recitazione
di
Annibale
Ninchi
.
La
musica
di
Britten
,
tempestosa
nella
descrizione
del
diluvio
,
onomatopeica
quando
riproduce
le
voci
degli
animali
,
talvolta
umoristica
nelle
scene
di
carattere
,
è
in
complesso
degna
dell
'
autore
del
Giro
di
vite
,
bilanciata
com
'
è
tra
il
sacro
e
il
profano
.
E
il
lavoro
,
assai
poco
adatto
al
salone
che
lo
ospitava
,
è
stato
assai
applaudito
anche
per
merito
degli
interpreti
:
il
basso
Clabassi
,
il
tenore
Andreolli
,
e
le
signore
Garazioti
,
Benetti
,
Eggenberger
,
Fornaro
,
Marangoni
,
Zuliani
.
Il
secondo
spettacolo
(
se
tale
può
chiamarsi
La
via
della
Croce
)
è
formato
da
testi
di
Nicola
Lisi
sul
mistero
della
Passione
affidati
a
molte
voci
recitanti
.
A
sfondo
sonoro
di
queste
voci
Giorgio
Federico
Ghedini
ha
posto
canti
gregoriani
rituali
della
Settimana
Santa
per
coro
,
inquadrando
il
tutto
con
musiche
originali
sue
per
archi
e
coro
di
donne
.
Anche
qui
il
complesso
d
'
archi
era
diretto
da
Gracis
e
la
minima
regia
necessaria
era
affidata
a
Giovanni
Poli
.
Hanno
contribuito
ai
cori
La
Fenice
e
i
monaci
benedettini
di
San
Giorgio
Maggiore
.
Malgrado
l
'
inevitabile
monotonia
della
parte
recitata
,
la
musica
del
Ghedini
è
sembrata
di
elevata
ispirazione
,
tale
da
concludere
in
un
'
atmosfera
di
solenne
religiosità
e
con
pieno
successo
una
serata
inaugurale
forse
voluta
tale
per
fare
da
contrappeso
al
nuovo
lavoro
scenico
Intolleranza
1960
di
Luigi
Nono
,
che
si
rappresenterà
giovedì
prossimo
e
che
sembra
ispirato
a
un
aperto
laicismo
«
progressista
»
.
Il
festival
si
annuncia
assai
interessante
,
durerà
sino
alla
fine
del
mese
.
Vi
prenderanno
parte
l
'
orchestra
sinfonica
della
1360
,
l
'
orchestra
da
camera
di
Cracovia
(
mai
apparsa
al
festival
veneziano
)
,
l
'
orchestra
milanese
della
Radiotelevisione
italiana
,
il
gruppo
Melos
di
Londra
.
Un
concerto
-
profilo
sarà
dedicato
a
Hindemith
,
una
intera
serata
ricorderà
Respighi
nel
venticinquesimo
anniversario
della
morte
.
Inoltre
,
da
domani
a
tutto
il
giorno
13
,
si
svolgerà
nel
salone
dell
'
ala
neoclassica
dell
'
isola
di
San
Giorgio
il
Congresso
internazionale
di
musica
sperimentale
.
Ascolteremo
molte
musiche
non
tutte
ultramoderne
e
saranno
relatori
Piene
Schaeffer
,
Roman
Vlad
e
Luigi
Rognoni
.
Danno
il
loro
contributo
ben
nove
Studi
di
fonologia
.
Ma
l
'
apporto
della
Fondazione
Cini
a
questo
festival
non
si
ferma
qui
.
Sarà
una
sorpresa
per
tutti
il
concerto
di
musiche
polifoniche
di
Ioseffo
Zarlini
(
1517-1590
)
eseguite
dal
Monteverdi
Chor
di
Amburgo
.
È
un
prezioso
dono
che
solo
la
Fondazione
Cini
poteva
darci
.
StampaQuotidiana ,
Venezia
,
14
aprile
-
La
novità
attesa
con
febbrile
impazienza
dagli
ammiratori
di
Luigi
Nono
è
apparsa
stasera
,
alla
Fenice
,
sotto
la
direzione
di
Bruno
Maderna
e
col
concorso
dell
'
orchestra
della
BBC
.
Il
titolo
è
Intolleranza
1960
,
autore
del
libretto
lo
slavista
Angelo
Maria
Ripellino
.
Il
testo
originale
del
librettista
ha
subito
una
drastica
potatura
:
da
trentanove
a
nove
pagine
,
accettando
la
definizione
non
di
dramma
,
ma
di
«
idea
»
,
e
il
tutto
si
presenta
come
un
'
azione
scenica
che
molto
richiede
al
gioco
delle
luci
,
alla
lanterna
magica
e
a
effetti
elettronici
.
Registrata
in
precedenza
a
Milano
,
perché
ineseguibile
direttamente
,
era
la
parte
corale
,
diffusa
poi
da
altoparlanti
disposti
in
ogni
parte
della
sala
:
il
che
dovrebbe
produrre
effetti
spaziali
,
ma
porta
con
sé
anche
fastidiosi
strascichi
di
echi
e
rende
problematica
la
sincronia
del
nastro
con
l
'
orchestra
.
L
'
impressione
generale
dello
spettacolo
è
subito
quella
di
una
laboriosa
macchina
visivo
-
uditiva
,
dalla
quale
è
quasi
inevitabile
che
lo
spettatore
-
auditore
si
ritragga
con
una
certa
diffidenza
.
Viene
in
mente
la
frase
di
Tolstoj
:
«
Andreev
vuole
farci
paura
,
ma
noi
non
abbiamo
paura
»
.
Luigi
Nono
,
invece
,
ci
fa
paura
,
ma
non
solo
per
il
triste
destino
del
suo
personaggio
:
l
'
Emigrante
;
ci
fa
paura
per
il
suo
progressivo
aderire
a
quell
'
avanguardia
industrializzata
alla
quale
egli
sacrifica
il
suo
forte
talento
di
musicista
.
Sacrificio
,
è
inutile
dirlo
,
compiuto
in
buona
fede
e
con
le
più
nobili
intenzioni
.
Ma
vediamo
come
si
svolge
lo
spettacolo
,
perché
non
di
altro
si
tratta
.
Sul
palcoscenico
è
posto
un
corridoio
di
cavalli
di
frisia
,
verticale
alla
buca
del
suggeritore
:
sulle
assi
dei
cavalletti
si
adagia
una
piattaforma
che
può
avanzare
e
indietreggiare
;
e
su
questa
piattaforma
si
muovono
,
ma
non
sempre
,
i
personaggi
.
Può
accadere
che
l
'
Emigrante
protagonista
sia
sospeso
su
un
'
altalena
alta
sulla
piattaforma
.
Intorno
,
al
disopra
e
ai
lati
di
questa
costruzione
si
alzano
e
si
abbassano
schermi
mobili
in
forma
di
palloni
o
di
triangoli
o
di
strisce
o
di
irregolari
parallelepipedi
;
e
su
tali
lacerti
di
schermo
la
lanterna
magica
proietta
senza
risparmio
immagini
visive
di
Emilio
Vedova
e
,
talvolta
,
sullo
schermo
centrale
,
l
'
intera
opera
sua
,
con
innegabili
effetti
di
suggestione
;
e
,
anzi
,
per
essere
giusti
,
con
uno
straordinario
effetto
nella
scena
finale
dell
'
alluvione
.
Che
cosa
accade
all
'
Emigrante
?
Lo
sappiamo
leggendo
ciò
che
sopravvive
del
libretto
,
perché
le
sue
parole
e
le
parole
di
tutti
,
compreso
il
coro
ed
escluso
qualche
accento
del
basso
Italo
Tajo
,
restano
incomprensibili
.
L
'
Emigrante
è
dapprima
minatore
.
Impreca
al
suo
triste
destino
,
respinge
le
proteste
d
'
amore
di
una
sua
donna
e
si
mette
in
viaggio
per
tornare
in
patria
.
Nelle
scene
successive
,
egli
si
trova
ad
assistere
a
un
comizio
antinazista
,
viene
arrestato
,
torturato
e
portato
in
un
campo
di
concentramento
dal
quale
riesce
a
fuggire
.
Il
primo
quadro
finisce
con
un
duetto
tra
il
fuggiasco
e
un
non
meglio
identificato
«
ribelle
»
.
Nel
secondo
quadro
,
l
'
Emigrante
si
aggira
tra
proiezioni
,
voci
,
mimi
«
simboleggianti
le
assurdità
della
vita
contemporanea
»
.
La
scena
culmina
in
una
grande
esplosione
:
la
bomba
di
Hiroshima
,
commentata
dal
canto
di
una
donna
,
la
«
compagna
»
dell
'
Emigrante
,
che
inneggia
alla
vita
e
all
'
amore
e
alla
fraternità
,
beni
perduti
dall
'
uomo
imbestiato
.
Ma
la
pronuncia
della
compagna
,
che
dovrebbe
farci
sentire
un
canto
di
allegri
rigogoli
(
la
signora
Katherine
Gayer
,
condannata
a
proibitivi
intervalli
)
ci
lascia
all
'
oscuro
di
tutto
.
Seguono
episodi
di
violenza
,
immagini
di
fanatismo
razziale
,
contro
cui
l
'
Emigrante
e
la
compagna
si
scagliano
.
Infine
,
i
due
viaggiatori
giungono
a
un
gran
fiume
in
piena
,
l
'
inondazione
dominando
tutto
e
tutti
,
mentre
la
voce
di
uno
speaker
dice
:
«
Il
Governo
ha
provveduto
,
la
colpa
è
del
metano
»
.
Si
abbassa
una
saracinesca
,
sulla
quale
sono
proiettate
parole
di
Brecht
:
«
Voi
che
siete
immersi
dai
gorghi
dove
fummo
travolti
,
pensate
anche
ai
tempi
bui
da
cui
siete
scampati
.
Andammo
noi
,
più
spesso
cambiando
paese
che
scarpe
,
attraverso
guerre
di
classe
,
disperati
,
quando
solo
l
'
ingiustizia
c
'
era
.
Voi
,
quando
sarà
venuta
l
'
ora
che
all
'
uomo
un
aiuto
sia
l
'
uomo
,
pensate
a
noi
con
indulgenza
»
.
A
dare
un
senso
musicale
al
mutilato
canovaccio
ha
provveduto
Nono
con
una
agghiacciante
dovizia
di
mezzi
timbrici
,
talvolta
accresciuti
dal
concorso
dell
'
elettrofonia
.
E
qui
,
in
fatto
di
ricerche
acustiche
,
egli
raggiunge
risultati
impressionanti
.
Razionalmente
condotto
,
seriale
anche
nelle
strutture
,
l
'
ordigno
non
risparmia
nulla
per
riempire
le
nostre
orecchie
di
una
cosmico
-
politico
-
esistenziale
desolazione
.
Ma
l
'
orecchio
si
abitua
presto
:
apprezza
al
giusto
la
parte
corale
in
cui
le
dissonanze
si
fondono
in
un
blocco
unico
,
ma
poco
dopo
,
quando
entrano
in
scena
personaggi
che
dovrebbero
esprimere
sentimenti
umani
,
l
'
orecchio
è
già
«
mitridatizzato
»
,
l
'
orrore
fa
posto
alla
curiosità
e
la
curiosità
è
sostituita
dal
senso
di
assistere
a
una
pura
esercitazione
accademica
,
rispettabile
senza
dubbio
,
destinata
certamente
ad
avere
libero
corso
in
teatri
stranieri
di
eccezione
,
ma
pur
sempre
gravata
dall
'
equivoco
di
sollecitare
l
'
emozione
poetica
con
la
sola
esasperazione
del
fatto
tecnico
inteso
come
produttore
di
stimoli
fisici
.
È
come
se
un
poeta
volesse
integrare
la
lettura
di
un
suo
desolato
testo
infliggendoci
alle
membra
un
buon
numero
di
nerbate
:
l
'
effetto
sarebbe
certo
,
ma
a
quale
spesa
!
Con
tutto
questo
,
non
neghiamo
all
'
azione
scenica
di
Nono
i
suoi
quarti
di
nobiltà
,
ma
restiamo
convinti
che
il
suo
innegabile
talento
meriti
di
approfondirsi
e
svolgersi
senza
l
'
incubo
del
«
sempre
più
difficile
»
:
la
peggiore
di
tutte
le
«
alienazioni
»
,
la
sola
che
i
«
progressisti
»
professionisti
si
guardano
bene
dal
deprecare
.
Esecuzione
approssimativa
della
stupenda
orchestra
della
BBC
sotto
la
direzione
di
Bruno
Maderna
,
il
solo
,
secondo
l
'
autore
,
che
possa
dirigere
la
difficilissima
opera
.
Regia
espressionistica
di
Václav
Svoboda
,
Coro
polifonico
di
Milano
diretto
da
Giulio
Bertola
,
nastri
elettronici
dell
'
Istituto
milanese
di
fonologia
,
costumi
e
scene
di
Emilio
Vedova
.
Cantanti
,
oltre
ai
già
citati
,
Petre
Munteanu
,
Heinz
Rehfuss
e
Carla
Henius
,
tutti
condannati
all
'
impossibile
.
Un
insieme
che
,
dopo
altre
quaranta
prove
,
potrebbe
rendere
di
più
.
L
'
esito
è
stato
burrascoso
,
come
poteva
prevedersi
,
dato
l
'
argomento
dell
'
opera
e
le
provocazioni
della
musica
.
I
due
atti
sono
arrivati
in
porto
a
stento
,
tra
fischi
,
vociferazioni
,
alterchi
e
pioggia
di
manifestini
fascisti
dalle
gallerie
.
Alla
fine
i
superstiti
spettatori
hanno
organizzato
un
polemico
trionfo
ai
vari
autori
e
responsabili
dell
'
immaturo
spettacolo
.
Non
è
stata
,
purtroppo
,
la
battaglia
di
Hernani
.
È
stata
una
serata
incivile
che
ha
lasciato
tutti
a
bocca
amara
.
StampaQuotidiana ,
Venezia
,
15
aprile
-
Un
intero
concerto
di
musiche
per
flauto
rischia
di
annoiare
mortalmente
quando
l
'
esecutore
non
abbia
la
bravura
di
Severino
Gazzelloni
che
si
è
presentato
nel
pomeriggio
di
ieri
nelle
sale
Apollinee
della
Fenice
con
un
nutrito
programma
.
In
breve
egli
ci
ha
dato
un
saggio
dell
'
evoluzione
tecnica
che
ha
subìto
il
suo
strumento
a
partire
dall
'
Après
-
midi
d
'
un
faune
di
Debussy
.
Abbiamo
così
ascoltato
difficilissime
musiche
moderne
e
di
estrema
avanguardia
.
Di
André
Jolivet
Cinque
Incantesimi
per
flauto
solo
accompagnati
da
esoteriche
didascalie
;
del
tedesco
-
americano
Stefan
Wolpe
una
Sonata
per
flauto
e
pianoforte
ali
ordinaria
amministrazione
seriale
;
di
Edgar
Varèse
Density
21
,
5
,
un
difficile
brano
che
risale
al
'36
e
che
impone
portentose
acrobazie
allo
strumentista
;
di
Olivier
Messiaen
un
massiccio
Merlo
nero
per
flauto
e
pianoforte
,
virtuosistico
all
'
eccesso
e
alquanto
opprimente
;
di
Debussy
l
'
ormai
classica
Syrinx
per
flauto
solo
,
un
piccolo
capolavoro
;
di
Franco
Evangelisti
alcune
Proporzioni
per
flauto
solo
,
di
una
soporifera
aridità
.
Completavano
il
programma
una
Sonatine
per
flauto
solo
ali
Pierre
Boulez
,
seconda
versione
scritta
per
il
Gazzelloni
di
un
'
opera
che
fu
composta
nel
'36
e
che
si
può
ascoltare
disponendo
di
molta
pazienza
;
e
un
recente
lavoro
di
Mario
Peragallo
,
Vibrazioni
per
tre
flauti
,
pianoforte
e
tiptofono
:
uno
strumento
che
è
una
specie
di
carillon
di
percussioni
d
'
ogni
tipo
a
intonazione
indeterminata
.
Completano
l
'
insieme
l
'
ottavino
,
il
flauto
e
un
diapason
a
tasto
.
Nulla
di
eccezionale
,
ma
un
successo
di
stima
.
Il
pubblico
ha
applaudito
con
entusiasmo
il
fenomenale
Gazzelloni
e
il
valente
pianista
Frederik
Rzewski
.
Nel
concerto
serale
,
che
si
è
tenuto
nella
Scuola
Grande
di
San
Rocco
,
Paul
Hindemith
,
dirigendo
l
'
Orchestra
della
Fenice
,
ci
ha
fatto
conoscere
la
sua
Pittsburgh
Symphony
,
da
lui
scritta
per
festeggiare
il
bicentenario
di
quella
città
.
È
un
lavoro
di
ampie
proporzioni
,
ma
di
troppo
evidente
carattere
occasionale
.
Altre
musiche
da
lui
dirette
:
La
grande
fuga
in
si
bemolle
opera
133
per
orchestra
d
'
archi
di
Beethoven
;
le
Variazioni
di
Blacher
su
un
tema
di
Paganini
(
opera
26
)
per
orchestra
;
la
Sinfonia
opera
21
di
Webern
per
orchestra
da
camera
che
il
programma
annuncia
come
la
bibbia
dell
'
ermetismo
musicale
e
che
per
la
sua
brevità
si
ascolta
ancora
con
piacere
.
Vivissimo
il
successo
,
scarso
l
'
interesse
.
StampaQuotidiana ,
Charles
Baudelaire
nei
suoi
Fiori
include
anche
Weber
,
appaiandolo
,
un
po
'
all
'
ingrosso
,
col
Delacroix
:
sotto
un
ciclo
nel
quale
passano
fanfare
«
comme
un
soupir
étouffé
de
Weber
»
.
Strane
son
queste
fanfare
che
sospirano
,
e
ben
poco
weberiane
;
ma
forse
qui
Weber
c
'
è
entrato
perché
il
poeta
aveva
bisogno
di
rimare
col
vert
del
cielo
.
Il
Franco
cacciatore
è
del
'21
,
i
Fiori
del
male
escono
nel
'57
.
Poco
più
di
un
trentennio
era
dunque
bastato
a
divulgare
la
gloria
del
barone
Karl
Maria
von
Weber
,
e
,
insieme
,
l
'
equivoco
che
gravò
sempre
su
di
lui
in
Francia
,
dove
il
Freischütz
subì
esecuzioni
-
massacro
benché
si
debba
al
Berlioz
la
musica
dei
recitativi
,
che
nell
'
intenzione
del
Weber
dovevano
essere
parlati
secondo
il
carattere
del
Singspiel
tedesco
.
A
questa
forma
,
che
è
rituale
in
Germania
,
è
ieri
tornato
il
maestro
Carlo
Maria
Giulini
che
per
l
'
occasione
ha
fatto
ritradurre
tutti
i
recitativi
:
e
poiché
stavolta
i
cantanti
dovevano
recitare
in
una
lingua
a
essi
familiare
i
risultati
sono
stati
ben
più
soddisfacenti
che
nella
Carniera
.
Si
è
detto
che
il
Franco
cacciatore
è
un
'
opera
tipicamente
germanica
e
che
solo
un
tedesco
può
amarla
;
e
il
primo
a
esprimere
questo
giudizio
fu
Richard
Wagner
che
al
Weber
dell
'
Euryanthe
deve
,
per
il
suo
Lohengrin
,
più
di
qualcosa
.
Ma
questa
opinione
,
giustificata
nel
suo
tempo
,
è
ora
difficilmente
sostenibile
.
Un
'
opera
che
avesse
caratteri
puramente
nazionali
sarebbe
un
'
opera
da
museo
,
non
un
'
opera
viva
:
e
in
verità
,
anche
senza
voler
fare
un
ingeneroso
confronto
tra
Weber
e
Wagner
,
il
Franco
cacciatore
ha
,
nei
suoi
limiti
,
una
purezza
di
stile
che
invano
si
cercherebbe
nelle
opere
romantiche
del
primo
Wagner
.
È
un
frutto
singolare
,
maturato
al
momento
giusto
:
e
poiché
in
arte
non
crediamo
ai
coups
de
dés
,
ai
terni
al
lotto
,
dobbiamo
ammettere
che
il
musicista
giunto
al
momento
opportuno
(
si
chiami
esso
Weber
o
Bizet
)
sia
sempre
e
in
ogni
caso
meritevole
della
propria
fortuna
.
Karl
Maria
von
Weber
era
un
uomo
nato
nel
Settecento
,
un
tedesco
di
buona
cultura
non
soltanto
musicale
,
un
uomo
che
a
diciassette
anni
era
già
direttore
del
Teatro
di
Breslavía
e
che
a
vent
'
anni
poteva
conversare
con
uomini
come
Goethe
e
Wieland
.
Se
la
sua
educazione
e
la
sua
cultura
lo
portavano
naturalmente
a
vagheggiare
un
tipo
d
'
opera
in
musica
che
fosse
intensamente
nazionale
(
e
in
ciò
la
sua
poetica
concordava
con
quella
dei
romantici
tedeschi
)
quel
molto
di
settecentesco
che
viveva
in
lui
lo
portava
a
mantener
viva
l
'
unità
del
dramma
musicale
secondo
gli
schemi
che
nel
Settecento
(
il
grande
secolo
dei
musicisti
viaggiatori
e
cosmopoliti
)
avevano
fruttato
indiscutibili
capolavori
.
Il
problema
generale
era
(
ed
è
tuttora
)
quello
di
riempire
gli
schemi
,
non
di
distruggerli
;
e
il
problema
specifico
di
Weber
era
di
trovare
un
testo
,
un
libretto
che
gli
permettesse
di
fondere
insieme
il
senso
del
gotico
e
quello
dell
'
intimità
familiare
(
il
gemütlich
)
,
il
dramma
feerico
e
la
pastorale
,
la
vivacità
della
kermesse
e
la
bruma
della
leggenda
.
Trovò
l
'
argomento
che
gli
occorreva
nel
canovaccio
che
un
certo
avvocato
Friedrich
Kind
tolse
dal
Gespensterbuch
di
Apel
e
di
Laun
;
e
su
quello
,
servendosi
di
non
molti
temi
espressivi
e
senza
rinunciare
affatto
ai
pezzi
chiusi
,
alle
arie
,
ai
duetti
e
ai
concertati
,
gettò
la
musica
dei
suoi
corni
e
dei
suoi
clarinetti
,
l
'
incanto
di
uno
stile
robusto
e
ingenuo
,
fiabesco
e
insieme
fortemente
naturale
,
che
apparenta
Weber
(
e
non
so
se
il
raffronto
sia
stato
fatto
mai
)
con
l
'
arte
di
quel
francese
innamorato
della
Germania
,
Gérard
de
Nerval
,
di
cui
proprio
due
giorni
fa
ricorreva
il
centenario
della
morte
.
Ne
è
nata
un
'
opera
che
è
anche
un
fatto
di
cultura
,
l
'
uovo
di
Colombo
del
primo
romanticismo
.
Il
Freischütz
non
è
opera
che
possa
essere
amata
e
compresa
solo
dai
tedeschi
;
ma
è
opera
che
richiede
da
parte
dello
spettatore
non
tedesco
una
certa
iniziazione
culturale
:
in
difetto
di
questa
(
e
senza
pretendere
che
il
pubblico
di
ieri
mancasse
del
viatico
necessario
)
è
certo
ch
'
essa
doveva
essere
presentata
agli
odierni
spettatori
in
un
quadro
particolarmente
appropriato
.
Compito
non
facile
,
eppure
ieri
risolto
assai
bene
da
un
'
esecuzione
che
è
complessivamente
la
più
proporzionata
ed
equilibrata
che
si
sia
avuta
alla
Scala
nella
presente
stagione
.
Non
si
giunge
ai
risultati
ottenuti
ieri
da
Carlo
Maria
Giulini
senza
molto
studio
e
senza
una
squisita
intelligenza
e
sensibilità
.
L
'
esecuzione
della
stregonesca
scena
della
Bocca
del
Lupo
,
dov
'
è
raccolto
in
nuce
mezzo
secolo
di
musica
romantica
ancora
non
nata
,
l
'
introduzione
,
le
danze
,
le
arie
e
i
concertati
e
l
'
apoteosi
finale
hanno
trovato
nel
Giulini
quella
fermezza
,
quell
'
energia
e
insieme
quella
misura
che
solo
un
concertatore
di
prim
'
ordine
e
ormai
perfettamente
maturo
per
le
maggiori
prove
poteva
dare
.
Sul
palcoscenico
-
ed
è
fatto
poco
frequente
alla
Scala
-
non
un
artista
che
appaia
una
forza
sprecata
,
un
pesce
fuor
d
'
acqua
.
Agata
è
Victoria
de
Los
Angeles
di
cui
sarebbe
inutile
fare
l
'
elogio
dopo
il
ricordo
che
ha
lasciato
fra
noi
:
ha
mezzi
di
grande
concertista
,
senso
stilistico
perfetto
,
«
attacchi
»
e
modulazione
eccezionali
.
Come
attrice
non
si
spreca
ma
il
suo
portamento
è
sempre
nobile
.
Una
sorpresa
piovuta
dal
cielo
è
Eugenia
Ratti
che
in
un
mese
è
alla
sua
terza
opera
alla
Scala
:
già
franca
e
disinvolta
,
domina
una
voce
estesa
,
ferma
e
brillante
che
autorizza
le
migliori
speranze
.
Il
tenore
Picchi
nella
difficile
parte
dell
'
ingenuo
Max
canta
con
molta
quadratura
e
sicurezza
brani
che
darebbero
il
mal
di
mare
se
eseguiti
da
artisti
più
celebri
di
lui
.
E
il
Rossi
Lemeni
raffigura
con
forte
dizione
e
perfetta
arte
scenica
la
parte
del
diabolico
Kaspar
,
che
gli
permette
,
nella
scena
della
foresta
,
di
ottenere
un
vero
successo
personale
.
Tutti
gli
altri
:
l
'
Adani
,
il
Montarsolo
,
il
Sordello
,
lo
Zaccaria
e
lo
Zampieri
sono
pienamente
all
'
altezza
della
situazione
.
La
regia
di
Josef
Gielen
è
di
molto
effetto
ma
non
ci
sarebbe
spiaciuto
che
il
nero
diavolo
Samiel
si
facesse
vedere
di
più
:
non
abbiamo
sentito
odor
di
bruciaticcio
nel
primo
e
nell
'
ultimo
quadro
.
Vivacemente
colorati
,
troppo
a
nostro
gusto
,
i
bozzetti
e
i
figurini
di
Nicola
Benois
.
La
musica
di
Weber
ha
un
colore
d
'
anima
,
non
un
colore
visivo
.
E
forse
non
era
necessario
costruire
un
autentico
otto
volante
nella
Valle
dei
Lupi
.
I
cori
,
istruiti
da
Norberto
Mola
,
hanno
cantato
assai
bene
,
senza
esagerare
nelle
rustiche
intonazioni
che
sono
necessarie
in
questa
partitura
.
Luci
c
pirotecnica
nell
'
infernale
scena
della
fusione
del
piombo
maledetto
sono
state
amministrate
con
grande
effetto
.
Il
pubblico
ha
applaudito
con
calore
alla
fine
di
ogni
quadro
e
il
maestro
Giulini
,
il
regista
Gielen
,
il
Benois
e
il
maestro
Mola
sono
stati
chiamati
più
volte
alla
ribalta
coi
principali
interpreti
.
Applausi
a
scena
aperta
alla
Los
Angeles
e
alla
Ratti
,
e
alla
fine
un
'
ovazione
per
tutti
.
StampaQuotidiana ,
Fino
a
una
trentina
d
'
anni
fa
l
'
Italia
aveva
assimilato
Wagner
a
modo
suo
:
riducendolo
,
con
molti
tagli
,
a
proporzioni
ragionevoli
e
rendendolo
così
eseguibile
da
ugole
italiane
,
in
genere
migliori
di
quelle
tedesche
ma
molto
meno
resistenti
alla
fatica
.
Si
era
così
formata
una
classe
di
buoni
cantanti
wagneriani
in
lingua
italiana
,
oggi
dispersa
o
dimenticata
.
È
un
peccato
,
perché
qualche
onesta
Brunilde
nostrana
avrebbe
potuto
,
con
un
po
'
di
riposo
,
trasformarsi
in
una
decente
Norma
e
magari
in
una
accettabile
Minnie
pucciniana
(
se
è
vero
che
alla
Scala
hanno
rinunziato
quest
'
anno
alla
Fanciulla
del
West
non
avendo
a
disposizione
un
'
interprete
adeguata
)
.
E
i
tenori
italiani
capaci
di
esser
Sigfrido
o
Walter
,
oggi
che
il
repertorio
moderno
impone
un
estremo
eclettismo
,
avrebbero
potuto
trovare
impiego
in
altre
parti
.
In
ogni
modo
le
cose
sono
andate
come
tutti
sanno
;
e
oggi
anche
in
città
di
provincia
italiane
è
facile
che
Wagner
si
dia
in
tedesco
,
con
artisti
tedeschi
e
in
edizioni
più
o
meno
integrali
,
ma
sempre
di
lunga
durata
.
Venuto
meno
il
compromesso
che
si
era
formato
(
stile
press
'
a
poco
tedesco
ma
voci
italiane
e
un
po
'
di
respiro
al
pubblico
)
,
alquanto
diradato
lo
stuolo
dei
«
bidelli
del
Walhalla
»
,
dei
wagneriani
intransigenti
che
si
recavano
a
teatro
con
la
loro
brava
guida
tematica
e
che
trovavano
«
troppo
corto
»
l
'
interminabile
duetto
fra
Ortruda
e
Telramondo
,
nel
Lohengrin
;
sparito
o
quasi
il
manipolo
dei
maniaci
che
giudicavano
il
poema
dei
Nibelunghi
come
la
summa
di
tutta
una
tradizione
orfico
-
teosofica
dopo
la
quale
a
poeti
e
musicisti
non
sarebbe
restato
che
il
compito
d
'
incrociar
le
braccia
e
tacere
per
sempre
;
resta
ancora
ai
drammi
wagneriani
della
Tetralogia
la
possibilità
di
trovare
in
Italia
un
pubblico
nuovo
.
È
un
pubblico
composto
,
in
parte
,
da
nemici
del
melodramma
di
tipo
nostrano
,
da
gente
che
detesta
le
stupide
parole
dei
nostri
libretti
e
le
inverosimili
,
indecifrabili
trame
che
Donizetti
e
Verdi
rivestirono
di
note
.
A
coloro
per
i
quali
la
sola
musica
è
quella
di
Bach
,
a
chi
crede
che
il
nostro
melodramma
sia
«
una
barba
»
,
Wagner
offre
uno
strano
rimedio
che
consiste
nell
'
intensificazione
degli
assurdi
lamentati
:
una
serie
di
canovacci
talmente
incomprensibili
che
non
comprendere
diventa
una
condizione
favorevole
all
'
immersione
nell
'
opera
d
'
arte
.
L
'
ascoltatore
attuale
(
italiano
)
di
Wagner
non
intende
né
le
parole
né
i
fatti
e
il
suo
godimento
è
in
proporzione
diretta
dell
'
assurdità
della
situazione
in
cui
si
vede
immerso
.
Wagner
offre
situazioni
,
musica
e
canto
allo
stato
puro
,
incandescente
:
è
antologico
perché
potreste
prenderlo
a
spizzico
e
ogni
sua
pagina
ha
sempre
valore
di
morceau
choisi
,
ma
è
anche
unitario
perché
il
suo
segno
è
uguale
dovunque
.
Per
diversi
motivi
di
fronte
a
Wagner
devono
arrendersi
tanto
i
sostenitori
dell
'
arte
come
totalità
(
che
spesso
vuol
dir
noia
)
quanto
i
fedeli
del
«
pezzo
»
,
della
scintilla
,
dell
'
ispirazione
.
Furore
e
pedantesca
lentezza
,
raptus
e
istrionica
ricerca
degli
effetti
sono
le
componenti
del
genio
wagneriano
,
un
genio
riassuntivo
che
liquida
molte
possibilità
e
chiude
per
sempre
molte
porte
.
Dopo
di
lui
i
migliori
musicisti
furono
coloro
che
lottarono
tutta
la
vita
per
«
non
fare
del
Wagner
»
,
magari
utilizzando
e
componendo
in
nuova
sintesi
qualche
suo
spicciolo
,
qualche
suo
aspetto
secondario
.
Da
Wagner
,
soprattutto
da
quello
del
Tristano
,
viene
gran
parte
del
cromatismo
della
musica
contemporanea
,
in
particolare
quello
della
musica
seriale
,
dei
dodici
suoni
in
libertà
(
o
in
nuova
servitù
)
.
Ma
Wagner
era
anche
un
inventore
di
formidabili
temi
,
un
mistico
che
tirava
al
sodo
e
applicava
a
colpo
sicuro
un
suo
particolare
montaggio
,
con
l
'
intelligenza
un
po
'
fredda
e
applicata
del
grande
uomo
di
teatro
e
del
grande
letterato
.
I
suoi
successori
più
o
meno
diretti
(
escluso
lo
Strauss
operista
,
che
un
giorno
sarà
certo
rivalutato
)
mancano
di
quel
côté
bête
in
difetto
del
quale
è
inutile
affrontare
opere
di
lunga
lena
.
Ieri
sera
abbiamo
risentito
dunque
Wagner
cantato
in
tedesco
e
nella
sua
integrità
,
diretto
da
un
maestro
come
Otto
Ackermann
che
non
è
un
astro
di
prima
grandezza
ma
possiede
l
'
autorità
necessaria
e
che
in
opere
simili
(
e
anche
nel
genere
della
musica
leggera
)
ha
sempre
dimostrato
di
sapere
il
fatto
suo
;
e
abbiamo
ascoltato
cantanti
di
valore
molto
ineguale
,
ma
tutti
in
possesso
di
un
ottimo
stile
wagneriano
.
Che
effetto
ci
farebbero
oggi
le
vecchie
esecuzioni
di
Mascheroni
e
di
Rodolfo
Ferrari
,
del
tenore
Borgatti
e
di
Teresina
Burchi
?
È
quasi
impossibile
dirlo
.
I
cantanti
italiani
sono
obbligati
,
dalla
nostra
lingua
,
ai
suoni
rotondi
,
impostati
,
all
'
intonazione
precisa
:
qualità
che
in
Wagner
,
escluso
s
'
intende
il
Lohengrin
,
sono
richieste
in
misura
secondaria
.
Wagner
stanca
terribilmente
le
ugole
italiane
;
ho
memoria
di
un
Parsifal
in
cui
tre
Gurnemanz
dovettero
cedere
le
armi
dopo
una
sola
rappresentazione
.
Wotan
e
Brunilde
parlano
e
cantano
insieme
,
nelle
nostre
opere
canto
e
recitativo
sono
regolati
da
leggi
assai
diverse
.
Martha
Moedl
(
Brunilde
)
è
come
un
motore
che
abbia
incredibili
qualità
di
ripresa
:
quando
sembra
stanca
e
si
direbbe
che
l
'
«
appoggio
»
sia
caduto
,
la
sua
impennata
si
dispiega
ancora
e
la
voce
torna
a
espandersi
quasi
in
modo
immateriale
.
È
una
grande
cantante
e
una
buona
Brunilde
,
anche
se
non
possiamo
chiederle
la
tempestosa
,
ciclonica
vocalità
di
una
Flagstad
.
Senza
troppe
finezze
ma
sonora
come
una
tromba
è
la
voce
di
Leonie
Rysanek
(
Siglinde
)
;
e
in
questa
esecuzione
Siglinde
potrebbe
essere
Brunilde
o
viceversa
.
Manca
forse
il
distacco
necessario
.
Bellissima
voce
,
fin
troppo
dolce
ha
Grace
Hoffmann
,
soddisfacente
Fricka
.
Hans
Hotter
è
un
Wotan
potente
ed
espressivo
,
di
una
resistenza
eccezionale
;
Ludwig
Weber
,
vecchia
conoscenza
,
dà
molto
carattere
alla
parte
del
bieco
Hunding
.
Meno
persuasivo
è
il
Siegmund
di
Wolfgang
Windgassen
,
che
pure
sopporta
bene
una
parte
massacrante
.
Non
tutte
egualmente
disciplinate
le
otto
Walkirie
,
signore
Mariella
Angioletti
,
Luisa
Villa
,
Elfriede
Wild
,
Veronica
Wolfram
,
Nelde
Clavel
,
Martha
Thompson
,
Hanna
Ludwig
e
,
ancora
,
Grace
Hoffmann
.
L
'
allestimento
scenico
,
i
bozzetti
e
i
figurini
sono
quelli
,
già
noti
,
di
Nicola
Benois
;
la
regia
è
di
Mario
Frigerio
,
come
sempre
misuratissimo
e
pieno
di
buon
senso
.
In
complesso
un
'
esecuzione
non
tutta
di
prim
'
ordine
,
ma
di
sicura
impronta
artistica
.
Il
pubblico
-
un
pubblico
,
naturalmente
,
da
«
tutto
esaurito
»
-
l
'
ha
applaudita
a
lungo
,
evocando
molte
volte
alla
ribalta
i
principali
interpreti
e
il
maestro
Ackermann
,
la
cui
ancor
bruna
zazzera
,
quando
si
vedeva
emergere
dal
golfo
mistico
,
non
ha
avuto
un
attimo
di
riposo
.
StampaQuotidiana ,
Mentre
scrivo
(
sono
le
ore
15
del
16
aprile
)
non
so
ancora
se
gli
astronauti
dell
'
Apollo
13
riusciranno
ad
ammarare
felicemente
...
in
mare
,
ciò
che
sarebbe
fatto
assai
raro
perché
di
solito
il
verbo
ammarare
(
io
preferisco
la
forma
amarrare
)
significa
il
raggiungimento
della
terraferma
dal
mare
.
L
'
infelice
esito
del
tredicesimo
ludo
apollineo
non
porrà
certo
fine
ai
viaggi
spaziali
,
anzi
sarà
considerato
come
una
«
sfida
»
che
bisogna
accettare
perché
l
'
onore
della
scienza
non
tollera
smentite
.
Il
«
mirabil
mostro
»
(
cfr.
Vincenzo
Monti
,
ode
Al
Signor
di
Montgolfier
)
sarà
certo
sostituito
da
un
altro
che
porterà
un
numero
meno
infausto
e
raggiungerà
i
previsti
obiettivi
.
Ma
messe
a
parte
eventuali
congratulazioni
o
condoglianze
-
e
facciamo
i
debiti
scongiuri
-
quel
che
vorrei
sottolineare
è
il
carattere
illogico
,
irrazionale
,
di
simili
tentativi
.
Sembra
un
paradosso
:
le
imprese
dell
'
uomo
,
le
conquiste
della
tecnica
sono
da
un
lato
il
trionfo
della
mente
umana
,
dall
'
altro
il
fatto
evidente
che
la
scienza
«
non
pensa
»
e
non
lo
può
costituzionalmente
.
Se
la
scienza
pensasse
si
troverebbe
di
fronte
all
'
opzione
tra
il
bene
e
il
male
,
tra
l
'
utile
e
l
'
inutile
,
tra
la
felicità
e
l
'
infelicità
:
e
dovrebbe
trarne
le
debite
conseguenze
.
Ma
questo
non
avviene
né
risulta
che
sia
mai
avvenuto
.
La
scienza
non
opta
perché
non
conosce
:
la
scienza
agisce
,
confronta
,
trova
(
e
talvolta
trova
cose
utilissime
)
,
ma
la
sorte
dell
'
uomo
le
è
del
tutto
indifferente
.
In
questo
la
scienza
è
un
prolungamento
della
natura
.
E
opinione
assai
diffusa
che
l
'
ingegno
dell
'
uomo
vinca
e
domini
gli
ostacoli
dell
'
avversa
natura
,
ma
non
è
così
.
Natura
e
scienza
rivelano
la
loro
profonda
affinità
per
il
fatto
ch
'
esse
sono
le
sole
e
invincibili
nemiche
dell
'
uomo
.
E
'
molto
strano
(
anche
se
comprensibile
)
che
sorgano
società
per
la
protezione
della
natura
.
Io
stesso
inorridisco
per
la
scomparsa
degli
alberi
,
per
l
'
insania
dei
parlamentari
che
permettono
il
barbaro
aucupio
con
le
reti
;
io
stesso
mi
commuovo
pensando
che
Venezia
sarà
,
un
giorno
,
visitata
solo
da
coraggiosi
sommozzatori
.
Ma
questo
non
toglie
nulla
all
'
evidenza
che
la
natura
può
fare
a
meno
dell
'
uomo
e
che
l
'
uomo
ha
qualche
giustificazione
quando
tenta
,
con
sporadici
successi
,
di
sopprimerla
.
Avversa
la
natura
,
neutra
o
agnostica
la
scienza
,
che
cosa
resta
all
'
uomo
?
Certamente
il
pensiero
,
non
il
pensiero
che
crea
il
mondo
e
la
storia
(
idealismo
,
marxismo
ecc
.
)
,
ma
il
pensiero
che
l
'
ignoranza
è
una
forma
del
tutto
oscura
ed
embrionale
della
conoscenza
.
La
sola
autentica
,
in
ogni
modo
.
Tutto
il
resto
è
vanità
;
è
astronautica
,
è
riforma
della
scuola
,
riforma
del
clero
,
riforma
della
burocrazia
(
figuriamoci
!
)
,
riforma
delle
riforme
,
di
tutto
ciò
che
aiuta
a
vivere
perché
con
la
verità
non
è
neppure
concepibile
la
vita
.
(
Postilla
.
E
la
vita
stessa
sarebbe
dunque
inutile
?
No
assolutamente
,
perché
io
credo
che
la
vita
sia
una
cosa
meravigliosa
.
)
StampaQuotidiana ,
Nel
1961
Enzo
Bettiza
,
da
quattro
anni
corrispondente
da
Vienna
,
fu
trasferito
a
Mosca
;
e
non
senza
disappunto
abbandonò
il
prezioso
«
fossile
»
che
per
cultura
ed
estrazione
familiare
gli
era
tanto
caro
.
Nato
a
Spalato
jugoslava
,
studente
liceale
nell
'
italianissima
Zara
,
figlio
di
un
irredentista
dalmata
cittadino
italiano
e
di
una
montenegrina
,
Bettiza
si
è
sempre
considerato
un
mitteleuropeo
e
più
precisamente
un
Altósterreicher
,
sentimentalmente
legato
alla
sua
«
defunta
»
capitale
.
Alla
nuova
residenza
egli
non
giunge
tuttavia
impreparato
.
Ha
una
moglie
goriziana
,
parla
perfettamente
la
lingua
slovena
,
conosce
il
serbo
-
croato
e
il
tedesco
,
non
gli
è
difficile
impadronirsi
del
russo
.
Gli
sarà
perciò
meno
dura
quella
crisi
di
rigetto
ch
'
egli
,
confrontandosi
con
altri
suoi
colleghi
italiani
,
ci
descrive
nel
suo
nuovo
libro
Il
diario
di
Mosca
(
Longanesi
)
,
rendiconto
dei
quattro
anni
da
lui
trascorsi
in
quella
città
e
prima
parte
di
un
'
opera
che
avrà
un
seguito
.
Più
che
preparato
Bettiza
era
vaccinato
.
Ha
assistito
all
'
ingresso
dei
titoisti
a
Spalato
,
giovane
comunista
ha
contemplato
con
un
misto
di
desolazione
e
di
esultanza
l
'
impoverimento
della
famiglia
;
in
seguito
ha
lasciato
il
partito
,
definitivamente
immunizzato
dal
fideismo
marxista
.
In
che
cosa
poteva
respingerlo
la
nuova
sede
?
L
altro
pericolo
,
l
'
insabbiamento
,
a
cui
vanno
soggetti
gli
stranieri
che
si
stabiliscono
in
Russia
fu
da
lui
evitato
studiando
il
fenomeno
davvicino
,
nei
giornalisti
stranieri
che
vivono
da
molti
anni
in
quella
capitale
.
L
'
immensa
Russia
ha
una
dimensione
temporale
diversa
dalla
nostra
.
La
lentezza
,
la
monotonia
,
l
'
incolore
opacità
del
mastodonte
sovietico
possono
indurre
chi
vi
soggiace
ad
una
sorta
di
claustrofilia
.
Non
vale
la
pena
di
uscirne
,
tutto
il
resto
del
mondo
è
un
technicolor
di
cui
si
perde
anche
il
desiderio
.
Quando
Bettiza
giunge
a
Mosca
la
destalinizzazione
ha
già
compiuto
molti
passi
e
forse
sta
facendone
qualcuno
indietro
.
Tukacevski
e
quasi
tutti
i
generali
che
Stalin
ha
mandato
a
morte
sono
stati
riabilitati
;
ma
in
altri
settori
non
si
avvertono
veri
mutamenti
.
Qualcuno
trova
che
si
esagera
.
Con
Stalin
,
dichiara
confidenzialmente
un
cremlinologo
,
si
sapeva
benissimo
dove
si
andava
a
finire
;
ma
con
Kruscev
nulla
è
prevedibile
.
Dopo
tutto
Stalin
non
era
per
niente
incolto
,
afferma
un
poeta
che
recita
i
suoi
versi
dinanzi
a
folle
entusiaste
.
Narratori
e
teatranti
godono
di
qualche
maggiore
libertà
ma
accettano
i
benevoli
consigli
della
censura
.
La
più
nota
gazzetta
letteraria
è
meno
prudente
ma
manca
del
tutto
la
stampa
d
'
informazione
.
Le
notizie
,
se
ci
sono
,
si
devono
cercare
tra
le
righe
della
«
Pravda
»
.
Quel
che
conta
negli
articoli
di
quel
giornale
non
è
il
generico
ottimismo
ma
quell
'«eppure...»,
quel
«
tuttavia
»
che
sarà
il
campanello
d
'
allarme
di
qualche
alto
funzionario
periferico
.
Quel
«
tuttavia
»
permetterà
ai
cremlinologi
(
nuovo
ramo
di
una
più
vasta
scienza
,
la
sovietologia
)
di
tirare
l
'
oroscopo
.
Il
comune
lettore
sorvola
sul
«
tuttavia
»
che
di
solito
appare
nelle
ultime
righe
dell
'
articolo
;
ma
le
vere
notizie
deve
cercarle
in
qualche
giornale
straniero
(
se
lo
trova
o
se
riesce
a
leggerlo
)
.
Non
c
'
è
stata
vera
riabilitazione
neppure
per
Pasternak
.
Gli
si
riconoscono
qualità
di
poeta
ma
si
osserva
che
il
romanzo
non
era
pane
per
i
suoi
denti
.
La
sua
dacia
non
diventerà
un
museo
nazionale
.
In
un
Paese
dove
la
mummia
di
Lenin
-
tolta
dal
mausoleo
quella
di
Stalin
-
è
meta
di
un
continuo
e
adorante
pellegrinaggio
,
un
senso
d
'
incombente
mummificazione
generale
desta
l
'
attenzione
del
giornalista
che
voglia
sfuggire
al
mortale
invito
.
Bisogna
sfuggire
al
primo
click
,
dice
Frane
Barbieri
,
altro
dalmata
che
è
corrispondente
di
un
giornale
di
Zagabria
.
Come
si
difendono
gli
stranieri
?
I
francesi
vivono
in
un
mondo
a
sé
,
distaccati
.
Gli
inglesi
sono
più
curiosi
che
interessati
,
non
abbandonano
mai
il
loro
fondamentale
empirismo
,
mentre
i
tedeschi
sono
irretiti
,
imprigionati
da
quel
complesso
di
amore
-
odio
per
il
mondo
russo
che
non
sarà
una
sorpresa
per
chi
abbia
letto
il
grande
romanzo
di
Gonciarov
e
qualche
altro
classico
della
letteratura
russa
.
In
Oblomov
il
personaggio
di
Stolz
,
tedesco
,
è
l
'
eroe
positivo
,
sebbene
di
una
positività
assai
mediocre
,
e
non
mancano
esempi
in
altri
autori
.
Da
Bielinski
in
poi
,
assai
prima
che
il
pensiero
di
Marx
giungesse
in
Russia
,
la
filosofia
di
Hegel
ha
fatto
strage
nell
'
intelligenza
slava
(
molto
prima
che
in
Italia
,
sia
detto
tra
parentesi
)
.
Nessuna
inimicizia
è
così
grande
come
quella
che
scoppia
tra
lontani
parenti
,
tra
affini
.
Ed
è
proprio
su
questo
tema
che
Bettiza
ci
dà
alcune
delle
sue
pagine
migliori
,
perché
in
lui
l
'
amore
per
le
idee
è
di
gran
lunga
superiore
all
'
amore
per
gli
uomini
.
E
non
è
,
intendiamoci
,
ch
'
egli
non
sia
un
attento
osservatore
degli
uomini
;
ma
il
fatto
è
che
il
color
locale
,
la
barzelletta
,
l
'
aneddoto
sono
del
tutto
estranei
ad
un
temperamento
come
il
suo
.
Uno
scrittore
impressionistico
avrebbe
speso
molte
pagine
per
descriverci
gli
orrori
di
quell
'
hotel
Lux
dove
a
migliaia
di
uomini
furono
inflitte
mostruose
torture
per
ottenere
confessioni
di
inesistenti
congiure
,
autoaccuse
,
delazioni
;
dove
quella
«
historia
generai
de
la
infamia
»
progettata
dal
Borges
ha
scritto
una
delle
sue
vette
più
ingloriose
.
Tre
o
quattro
pagine
sole
,
plumbee
,
dure
,
senza
un
filo
di
commozione
,
ma
proprio
per
questo
tanto
più
dure
nel
giudizio
.
Ne
sanno
qualcosa
i
giovanissimi
russi
di
oggi
?
Bettiza
è
incline
a
credere
che
non
ne
sappiano
nulla
,
o
meglio
che
non
vogliano
saperne
nulla
.
D
'
altronde
,
chi
è
meglio
qualificato
a
descrivere
i
grandi
eventi
della
storia
?
Chi
li
ha
vissuti
o
colui
che
li
osserva
da
lontano
,
col
cannocchiale
,
esperto
del
prima
e
del
poi
,
delle
cause
e
delle
conseguenze
?
Il
non
comprendere
,
il
non
voler
comprendere
ciò
che
ci
sta
davanti
agli
occhi
non
è
specifico
della
mentalità
slava
,
sebbene
l
'
immensa
costellazione
sovietica
,
tanto
diversa
nelle
sue
componenti
,
abbia
avuto
un
comune
destino
:
quello
di
saltare
a
piè
pari
almeno
un
secolo
passando
da
un
'
autocrazia
feudale
a
un
tipo
di
collettivismo
anche
più
accentratore
,
non
certo
previsto
da
Marx
che
mai
nascose
la
sua
antipatia
per
il
mondo
russo
.
Né
credo
che
in
Marx
agisse
quell
'
ambivalenza
che
Bettiza
ha
posto
in
luce
con
tanta
precisione
.
Fabrizio
del
Dongo
non
si
rese
conto
di
essere
coinvolto
nella
battaglia
di
Waterloo
così
come
molti
tedeschi
e
molti
italiani
non
videro
ciò
che
stava
accadendo
sotto
i
loro
occhi
.
La
storia
che
non
si
ripete
mai
,
in
questo
si
ripete
sempre
.
Vede
chi
vuole
e
pochi
sono
nella
condizione
di
volere
.
E
sono
certo
che
anche
in
Russia
la
pietà
è
di
gran
lunga
più
forte
della
ferocia
.
Un
luogo
comune
,
accettato
da
tutti
coloro
che
conoscono
la
grande
letteratura
russa
,
è
che
in
quei
paesi
sia
vivo
e
ineliminabile
il
sentimento
religioso
.
Su
questo
punto
la
testimonianza
di
Bettiza
non
suona
discorde
.
Nella
Russia
d
'
oggi
la
religiosità
non
è
solo
fuoco
sotto
la
cenere
ma
assume
anche
forme
spettacolari
:
non
tali
però
da
mettere
in
causa
la
solidità
del
regime
.
Non
c
'
è
grande
differenza
tra
quelli
che
ascoltano
in
massa
le
poesie
di
chitarristi
stipendiati
dallo
Stato
e
coloro
che
affollano
le
cerimonie
della
Chiesa
ortodossa
e
i
culti
non
certo
clandestini
della
seconda
Chiesa
russa
,
riconosciuta
dallo
Stato
,
quella
dei
Vecchi
Credenti
,
non
riconosciuta
dall
'
Ortodossia
.
Pare
che
all
'
origine
di
questo
scisma
tardo
-
seicentesco
sia
un
diverso
modo
di
farsi
il
segno
della
croce
.
Con
tre
dita
o
con
due
(
a
pizzico
)
?
Poi
sorsero
altre
divergenze
dottrinali
che
ignoro
.
I
Vecchi
Credenti
sono
milioni
,
hanno
le
loro
chiese
,
i
loro
preti
,
una
loro
organizzazione
.
E
come
ho
già
detto
anche
l
'
orrendo
teschio
di
Lenin
esercita
una
morbosa
attrazione
mistica
sui
visitatori
che
sostano
in
fila
per
essere
ammessi
alla
beatitudine
.
Lo
spettacolo
dev
'
essere
allucinante
.
Non
è
affatto
prevedibile
una
futura
mummificazione
di
Kruscev
.
Non
lo
era
neppure
nel
'6l'62
,
quando
Bettiza
scriveva
questo
suo
diario
.
La
prova
secca
,
precisa
,
lineare
di
Bettiza
non
è
quella
del
journal
,
non
consente
citazioni
,
estrapolazioni
.
Non
vuol
essere
«
prosa
d
'
arte
»
nel
significato
più
dubbio
della
parola
.
D
'
altronde
Bettiza
considera
questo
libro
e
i
suoi
precedenti
(
tra
gli
altri
quel
Fantasma
di
Trieste
che
fu
tradotto
in
molte
lingue
)
come
il
materiale
che
dovrebbe
confluire
in
un
futuro
romanzo
mitteleuropeo
,
globale
,
sinfonico
,
«
completamente
distaccato
dagli
umori
passeggeri
dello
scrittore
»
.
Ardua
impresa
in
un
tempo
nel
quale
arte
e
scienza
tendono
piuttosto
al
micro
che
al
macroscopico
.
Ma
non
è
lecito
porre
limiti
alle
giuste
ambizioni
di
uno
scrittore
tanto
dotato
.
Può
darsi
che
un
giorno
egli
si
avveda
che
il
Diario
di
Mosca
e
quelli
che
eventualmente
seguiranno
sono
già
il
romanzo
ch
'
egli
,
in
astratto
,
vagheggiava
.
Un
romanzo
che
ha
un
solo
personaggio
:
l
'
uomo
,
il
Singolo
di
fronte
alla
Moltitudine
.
La
scomparsa
del
singolo
sarebbe
la
fine
dell
'
avventura
umana
;
e
di
questo
la
provvidenza
ci
ha
dato
già
qualche
annuncio
ma
non
la
sentenza
definitiva
.
Può
darsi
che
ce
la
risparmi
,
anche
se
non
l
'
abbiamo
meritato
.