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> autore_s:"Montanelli Indro" > anno_i:[1940 TO 1970}
StampaQuotidiana ,
L ' accusa di « professionisti » o - peggio - di « mestieranti » della politica ricorre spesso sulla bocca degli italiani nei confronti dei parlamentari e dei dirigenti di partito . E vi ricorre con una sfumatura di dispetto e di disprezzo . Per un motivo molto semplice : che del professionalismo la gente si sofferma a considerare solo gli aspetti negativi , che certamente ci sono : l ' attaccamento al posto , il carrierismo , l ' opportunismo eccetera . Ma ce ne sono anche di positivi , che non vanno o che non dovrebbero venire trascurati : la dedizione assoluta , la formazione di competenze specifiche , e via dicendo . Vediamo un po ' anzitutto di precisare fino a che punto il professionismo sia invalso , cioè quanti siano i parlamentari che vivono soltanto di politica . Gli studiosi fiorentini che hanno compilato il volume « Il Parlamento italiano » ci forniscono delle cifre - credo - abbastanza precise . Io non voglio affollarne la testa del povero lettore , e salto quindi a quella conclusiva : oggi come oggi , circa la metà dei nostri parlamentari non hanno altra attività che quella politica , la quale così viene a rappresentare per essi , oltre che una vocazione , una « sistemazione » . La prima conseguenza , certamente deteriore , di questo fatto è l ' accanimento della lotta per la conquista o il mantenimento del seggio . Per molti , il problema è drammatico : non impegna soltanto le ambizioni , ma addirittura il pane . Sempre dalla stessa documentazione risulta che appena un 15 per cento dei nostri deputati e senatori ha di che vivere anche senza la politica . La voce pubblica riassume questa situazione dicendo sommariamente che « sono tutti alla greppia » . Esistono tuttavia , fra partito e partito , delle differenze sostanziali . I comunisti sono quelli che meno risentono il dramma del seggio , per due motivi . Prima di tutto perché la ferrea disciplina di partito cui sono sottoposti fa di loro non dei « rappresentanti » , ma dei « comandanti alla rappresentanza » , e quindi li scoraggia in partenza da ogni pretesa di restarlo . Eppoi perché essi sono quasi tutti funzionari di partito , nel cui « apparato » ritrovano un posto , quando lo perdono in Parlamento . Anche i democristiani se la cavano abbastanza bene perché , appartenendo a un partito che ha in mano tutte le leve di potere , dispongono di una vasta collezione di enti pubblici , di banche , di compagnie di assicurazione eccetera , in cui sistemarsi se vengono esclusi dalle liste o trombati alle elezioni . Il guaio più grosso è per i socialisti che , essendo rimasti fin qui fuori dal governo e quindi non avendo le mani in nulla , e non disponendo di un « apparato » paragonabile a quello comunista in cui potersi riaccusare , non hanno alternative : o il Parlamento o la disoccupazione . Irriducibile sensazione Una seconda conseguenza , anch ' essa deteriore , è l ' estendersi e l ' aggrovigliarsi di quella equivoca zona di « sottogoverno » in cui tutti i partiti cercano dei compensi , cioè delle « sistemazioni di ricambio » . Come ho detto , i democristiani sono per questo in una posizione di privilegio . Ma non possono aspirare al monopolio . E questo fa sì ch ' essi trovino sempre degli alleati , quando si tratta di moltiplicare i « carrozzoni » . Intendiamoci bene : con ciò non voglio dire che i « carrozzoni » si moltiplicano solo per questa ragione . Ce ne sono anche altre di natura ideologica , che l ' apertura a sinistra ha ora accentuato . Ma è certo che il professionalismo politico crea nel Parlamento una predisposizione d ' animo favorevole a tutto ciò che può offrire una soluzione di ripiego a una carriera politica abortita o spezzata . C ' è infine una terza conseguenza , che intacca proprio la sostanza delle istituzioni e ne altera la natura . La dipendenza degli eletti dal rispettivo partito toglie loro sempre di più il carattere di « rappresentanti » e accentua quello di « funzionari » . In questo consiste la « partitocrazia » contro cui si levano tante proteste . In Italia l ' elettore si riconosce sempre meno nel suo eletto , dal quale anzi si sente perpetuamente « tradito » . Se gli si chiede in cosa ravvisa questo tradimento , con esattezza non sa rispondere . Però , per quanto generica , questa sensazione in lui è irriducibile . E non si può negare che abbia qualche fondamento nella realtà dei fatti . Lo stesso governo per esempio , quando vuoi venire a capo di uno sciopero , non si rivolge ai rappresentanti parlamentari degli scioperanti perché sa benissimo che essi non li rappresentano affatto . Si appella alla mediazione degli organizzatori sindacali , cioè tratta direttamente con la categoria . L ' uomo della strada non afferra molto bene i perché di questa situazione , ma l ' avverte , e corre alla conclusione più facile e sommaria : la colpa - dice - è dei partiti che non fanno , come dovrebbero , da cinghia di collegamento , ma da diaframma fra eletti ed elettori . Essi hanno creato - dice sempre l ' uomo della strada - una specie di « sovramondo » che ha confiscato ogni potere di decisione e che non si sente nemmeno in obbligo di rispondere del proprio operato agli elettori , o lo fa con un linguaggio da iniziati , che praticamente li esclude perfino dalla comprensione dei problemi . C ' è del vero . Ma , prima di addossarne la colpa ai partiti vediamo un po ' come tutto questo è successo . Anzitutto , il suffragio universale ha reso molto più arduo il compito della « rappresentanza » . Il suffragio ristretto era , si capisce , ingiusto , perché concedeva solo a una minima parte della popolazione il diritto di essere rappresentata , e creava così un privilegio . Però quella parte era chiaramente identificata nei suoi interessi e nelle sue aspirazioni . Ci voleva poco a rappresentare con fedeltà duemila elettori che volevano , poniamo , una scuola o una ferrovia . Bastava battersi per quella scuola e per quella ferrovia . Oggi un povero parlamentare deve rappresentare , se è deputato , dai 30 mila ai 50 mila elettori ; e se è senatore , il doppio . Trovare fra loro , sparpagliati come sono in località , categorie e ceti diversi , un minimo comun denominatore , è molto più difficile . Il solo rimedio I partiti hanno cercato di neutralizzare questo effetto controproducente del suffragio universale , ricreandone uno ristretto nel loro ambito . Il « diaframma » è qui . La composizione della « lista » dei candidati da presentare agli elettori è infatti una pre - elezione bell ' e buona , operata autoritariamente dalla piccola minoranza dei « militanti » , e per essi nella realtà delle cose , dalle direzioni dei vari partiti . Quella che viene dagli elettori , poi , non è che una conferma della scelta già fatta o , al massimo , una scelta nella scelta con l ' arma - piuttosto spuntata e inefficace - delle preferenze . Ecco perché si sentono « traditi » . Ma non c ' era altro rimedio , e quindi non si può considerarlo una « colpa » . La colpa , caso mai , va ricercata nel modo in cui è stato applicato . I partiti non si sono resi conto di una cosa , su cui gli studiosi di tutto il mondo ormai hanno fornito unanime testimonianza : e cioè che l ' elettore medio , a qualunque ceto appartenga , ha scarsi interessi politici , e raramente si lascia guidare nella scelta da operazioni intellettuali . Non solo le grandi ideologie come il liberalismo o il socialismo sono per lui nebulose astrazioni . Ma anche certi problemi concreti , come la difesa delle Costituzione , l ' economia di mercato , la pianificazione , l ' indipendenza della magistratura eccetera , lo toccano poco . E più sensibile caso mai , a degli « slogans » massicci tipo « via i capitalisti » , « la terra ai contadini » , « meno tasse » , « abbasso i forchettoni » eccetera , sebbene sia dimostrato che anche questa propaganda ormai intacca poco le scelte già fatte . Ma già fatte su che ? Ecco il punto su cui è nata la confusione . Gli americani e gl ' inglesi questa confusione l ' hanno evitata col sistema bipartitico che offre due sole alternative estremamente chiare : conservazione o progresso , oppure progresso a ritmo più lento o progresso a ritmo più affrettato . Il lettore non concluda subito che così bisognava fare anche in Italia . Non si poteva . Perché per farlo occorre una società stabilizzata e priva di forze centrifughe . Da questo lato , il nostro panorama politico è semplicemente pauroso . Se tiriamo le somme all ' ingrosso deducendole dall ' atteggiamento dei vari partiti , ci accorgiamo che mezza Italia rinnega il sistema politico che si è dato , e che resiste solo perché questo rifiuto viene da due parti opposte - l ' estrema destra e l ' estrema sinistra - che alla meglio si neutralizzano . In queste condizioni , che bipartitismo si poteva fare ? Esso presuppone una società che accetta interamente il sistema e solo si diversifica sui tempi della conservazione e del progresso . Grosso guazzabuglio Quello a cui però si poteva e si doveva mirare anche in un sistema pluripartitico come il nostro era la « identificabilità » delle rispettive posizioni politiche . Nei Paesi scandinavi i partiti sono quattro . E , sebbene tutti accettino il sistema e quindi non si differenzino tra loro che per lievi diversità , si caratterizzano con lineamenti precisi all ' occhio dell ' elettore . In Italia , su otto partiti , ci sono quattro « destre » ( quella missina , quella monarchica , quella liberale e quella democristiana ) , cinque « sinistre » ( comunista , socialista , socialdemocratica , repubblicana e democristiana ) e due « centri » ( quello democristiano e quello liberale ) . Non basta il cervello di un elettore per raccapezzarsi in un simile guazzabuglio . Ci vuole quello di uno psichiatra perché siamo nella follia pura . E di qui che nasce il puntiglioso dogmatismo ideologico dei nostri partiti , che in esso cercano un rimedio alla loro mancanza di una vera e chiara fisionomia . Come fanno quattro « destre » , cinque « sinistre » e due « centri » a distinguersi fra loro , se non sottolineando fino alla caricatura gli elementi che li dividono ? Di qui , la corsa agli estremi , la tendenza al radicalismo e la perpetua vocazione alle scissioni . Di qui la lotta di fazione portata al parossismo , tutta dibattuta su schemi astratti , su sottigliezze di dottrina , che richiedono perfino un linguaggio esoterico , fuori gittata dell ' intelligenza comune . E di qui la sensazione , sempre più diffusa tra il pubblico , d ' essere « tradito » dai propri rappresentanti . Regola invertita Anche noi giornalisti ne siamo trascinati . I resocontisti e commentatori di politica interna , sulla nostra stampa , formano ormai una famiglia speciale , che ha finito per adottare lo stesso linguaggio dei partiti , cioè ha perso ogni contatto col pubblico . Il collega Forcella riconobbe tempo fa che di lettori di articoli politici in Italia ce ne saranno 2500 , sì e no . Magari saranno anche 25 mila . Restano comunque una sparuta minoranza di iniziati a , qualcosa che sempre più somiglia a un « mistero » . E anche questo naturalmente contribuisce a diminuire il carattere « rappresentativo » e ad accentuare quello partitocratrico e funzionaresco del Parlamento . L ' indagine statistica degli studiosi fiorentini ce ne fornisce la riprova , in cifre . Alla Costituente del 1946 solo , l ' un per cento dei partecipanti venivano dagli « apparati » dei partiti . Oggi sono 1'87 . La carriera politica diventa sempre più esclusiva e chiusa ad apporti esterni . Il motivo ce lo forniscono altre cifre raccolte dagli studiosi fiorentini , particolarmente illuminanti . Dalle loro indagini risulta che quasi il 50 per cento dei nostri parlamentari sono figli di padri che hanno , come titolo d ' istruzione , la licenza elementare o quella di scuola media inferiore . Nulla di scandaloso , in sé e per sé . Anzi . Ma questo ci dice cosa è diventata oggi la carriera politica : non più il premio e il coronamento del successo conquistato in altri campi , come avveniva una volta col suffragio ristretto e il collegio uninominale , quando il seggio andava al « notabile » locale ; ma la scorciatoia per raggiungere d ' un balzo , nello spazio di una sola generazione , la élite dirigente . Prima ci si doveva inserire , economicamente e professionalmente , in un certo ceto almeno medio - superiore , per diventare deputato . Oggi si diventa deputato appunto per inserirsi in questo ceto . La Camera non è più la meta , ma lo strumento di una « promozione » sociale . Non dico , badate bene , che sia un male . Dico soltanto che la regola è stata invertita e che questo sovvertimento contribuisce la sua parte al professionalismo e ai suoi caratteri , quasi corporativi , di geloso monopolio . Ma la verità è che l ' attività politica , in Italia , si svolge dentro un quadro che non è più il suo , perché era stato predisposto per un tipo di Stato che non ha più nulla a che fare con quello in cui viviamo .
Dino Buzzati ( Montanelli Indro , 1951 )
StampaQuotidiana ,
La cosa più straordinaria che potesse capitare e che difatti capitò a Dino Buzzati fu di fare l ' inviato speciale di un grande giornale in tempo di guerra . Ci riuscì splendidamente , intendiamoci . Le sue corrispondenze marinare sono ancora oggi dei pezzi di antologia , e ognuna di esse costituisce un racconto perfettamente composto nella sua armoniosa architettura . Di sbagliato , o meglio di inutile , non c ' è che la prima riga : quella che precisa il luogo , il giorno , il mese e l ' anno in cui l ' articolo fu scritto . Ma era il giornale ad aggiungerla , perché Buzzati se ne dimenticava sempre . In realtà le sue descrizioni , salvo qualche trascurabile particolare tecnico , erano così al di fuori del tempo e dello spazio , che avrebbero potuto benissimo adattarsi anche a Lepanto , a Trafalgar , a Tsushima o alle Falkland . Qualcuno in redazione si preoccupava di interpolarvi gl ' indispensabili riferimenti , e anche i punti e le virgole . Perché Buzzati scrive senza punteggiatura , e non ha mai capito dov ' è che finisce una frase e ne comincia un ' altra , dov ' è che bisogna far pausa e aprire una proposizione subordinata . Buzzati sfugge le regole ortografiche per la stessa ragione per cui sfugge i fatti . Quando ha finito , con molta fatica , il suo « pezzo » , vi sparge sopra , come una manciata di sale , un congruo numero di virgole , dove vanno vanno . Poi rilegge , ha paura ( sempre ) di aver scritto soltanto delle sciocchezze , e chiama Gaetano Afeltra perché gli dia un giudizio . Il più magico degli scrittori italiani è anche il più incerto di sé e timoroso . Non usa la macchina da scrivere . Compone a penna con una calligrafia da bambino , chiarissima , e spesso ricopia tre o quattro volte il compitino , che di lontano ricorda sempre un po ' la lettera che si usava ai « cari genitori » per Natale e capodanno . Qua e là poi , ogni tanto , è capace di disegnarvi delle figurine , specie di animali ; e si vede benissimo che mentalmente egli dedica i suoi scritti a della gente come lui : cioè a dei bambini di trenta , quaranta o cinquant ' anni . Eccolo che arriva al giornale con la sua Topolino di antiquato modello . Non la rinnova perché è avaro , e lo confessa . E va piano perché è pauroso , ed anche questo lo confessa . Però guida con i guanti infilati come se si trattasse di attraversare l ' Europa , e ogni volta che scende è tutta una liturgia di saluti come se fosse reduce da un fortunoso viaggio in terre lontane . Buzzati augura il buon giorno e si toglie il cappello al portiere , al garagista , al fattorino , all ' impiegato , alla dattilografa e perfino a tutti i colleghi che incontra per le scale . Non dà del « lei » anche a me , solo perché potrebbe sembrare una posa ; ma è chiaro che il « tu » gli costa un certo sforzo . È vestito con suprema eleganza . Tanta , che nessuno si è mai accorto che Buzzati è un uomo elegante . Porta i capelli , su cui gli anni hanno cominciato a seminare qualche filo d ' argento , tagliati corti , giacche senza attillatura e con spalle a bottiglia ; cravatte di colore spento , annodate in modo che sembra che sia stata la mamma a farlo , mormorandogli all ' orecchio la consueta raccomandazione : « E non sporcarti , eh ? La roba a lavarla , si consuma ; e costa tanto , al giorno d 'oggi...» . Dino , figlio obbediente , non sporca mai nulla . La giacca , appunto per non sporcarla , se la cambia appena entra nel suo ufficio ; e ogni poco si alza per andare a lavarsi le mani . Infatti a pensarci bene le sue pagine si sente benissimo che sono state composte da mani pulite . In tutti sensi . Quando , subito dopo la Liberazione , ci fu , al « Corriere » , l ' inchiesta per epurare i collaborazionisti , Buzzati fu , a quanto pare , l ' unico , fra quelli rimasti al lavoro dopo 1'8 settembre , a non subire processi . A nessuno poteva venire , e a nessuno infatti venne in mente di incriminarlo . Il primo a stupirsene sinceramente sarebbe stato lui che , quando io dalla prigione in cui mi trovavo rinchiuso gli mandai un biglietto per supplicarlo di astenersi dal lavoro , ora che bisognava svolgerlo sotto il controllo tedesco , mi rispose con un altro biglietto che conteneva questa sola parola : « Perché ? » . E in quell ' interrogativo era riassunto il suo ritratto . Buzzati era corrispondente in Abissinia quando la guerra scoppiò . Dopo qualche mese venne in licenza a Milano , perché era la licenza che gli spettava , ed egli ha , delle vacanze , una concezione burocratica quasi sacra : per nessuna ragione al mondo vi rinunzierebbe , quando gli toccano . Con altrettanto burocratica puntualità , esaurite le ferie , si presentò al direttore Aldo Borelli per salutarlo prima di ripartire per Addis Abeba . Borelli lo guardò esterrefatto di sopra gli occhiali : c ' era dunque qualcuno che ancora non si rendeva conto che un ritorno ad Addis Abeba , a parte le difficoltà e i pericoli del viaggio , significava la propria consegna nelle mani degl ' inglesi ? Si , c ' era : Dino Buzzati . Borelli non poteva dargli ordine di restare in patria : sarebbe stato un gesto di disfattismo e di sfiducia nelle sorti delle nostre armi . « Ma » , disse , « prima di vederla ripartire , vorrei che lei si sentisse del tutto a posto con la salute ... » « Con la salute ! ? » , rispose Buzzati col suo nasino per aria . « Ma io non sono mica malato !...» Borelli si grattò la testa un po ' con imbarazzo , un po ' con rabbia . « Come non è malato ? » , fece . « Suvvia , a chi vuoi darla ad intendere ? » « Ma no , direttore , le assicuro » , insisté Dino , « che io non sono malato !...» « Ma sì che è malato ! » « Ma no che non sono malato !...» Borelli lo guardò con odio , strinse i pugni , li sbatté violentemente sul tavolo rovesciando il calamaio , e scoppiò fragorosamente : « E io le dico che è malato , vuol capirla o non vuol capirla ? ... Malato di cretinismo , per la Madonnal ... Vada a curarsi !...» . Pallido in volto e con le lacrime agli occhi , Buzzati venne da Afeltra e da me per tradurci l ' accaduto in queste parole : « Il direttore mi ha licenziato ! » . Altrettanto pallidi e con le lacrime agli occhi , Afeltra ed io ci precipitammo dal direttore per , conoscere i motivi di sì grave decisione e , se possibile , farla revocare . Borelli ci ascoltò con pazienza , poi si prese la testa fra le mani con un gesto di disperazione , e sordamente mugolò : « L ' ho sempre detto , io , che gli unici veri grandi imbecilli sono i poeti » . Ci fissò , poi aggiunse con voce carica di minaccia : « Tornate da Buzzati e ditegli da parte mia che è un grande poeta . Grandissimo . Il più grande che abbia incontrato » . Afeltra ed io impiegammo parecchie ore per spiegare a Dino come e perché Borelli , pur impedendogli di tornare in Abissinia , non aveva inteso affatto licenziarlo . Egli ci ascoltava col nasino per in su , gli occhi candidi e interrogativi posati ora su me ora su Gaetano , la cravatta annodata come se fosse stata la mamma a farlo . Poi disse , semplicemente : « Ah ! » . Ci ripensò , parve poco convinto , e aggiunse perplesso : « Ma non sarò mica , senza saperlo , ammalato per davvero ? » . Perché colui che , per obbedienza agli ordini del giornale , stava per affrontare un viaggio rischiosissimo e la certa cattura , ha una paura birbona delle malattie . Da allora Buzzati continuò a stare , ufficialmente richiamato come corrispondente di guerra , dove lo mettevano . E lo misero dapprima su un incrociatore . Fu uno dei pochi , tra noi , a non soffrire il mal di mare e a farsi amare dai marinai . Prese parte a convogli , e li descrisse come cavalcate di neri angeli nella notte . E le volte che gli toccò correre un rischio , lo fece con sì sorridente impassibilità e tranquilla modestia che passò per un uomo coraggiosissimo . Lo è infatti , in un certo senso : nel senso cioè che i rischi Buzzati non li vede , lui che traspone tutto al soprannaturale e non può concepire nemmeno un siluro se non sotto le sembianze di un mostruoso ma innocuo delfino . L'8 settembre il giornale diede ordine a Buzzati di restare al lavoro in redazione , e Buzzati ci restò . Ecco perché egli non comprese il biglietto che dalla prigione gli mandai , nel timore del castigo in cui avrebbe potuto incorrere più tardi . Quale castigo ? dovette domandarsi con la stessa aria di sbigottimento che gli si era dipinta sul volto il giorno in cui Borelli , per salvarlo senza compromettersi , aveva voluto persuaderlo che era malato . E infatti non ne subì . Perfino di fronte a degli " epuratori " , cioè alla più bassa sottospecie cui l ' umanità , in nome di qualunque ideologia , possa degradarsi , l ' innocenza , quando è dipinta con tanta evidenza sul volto e nei gesti e nelle parole di un uomo come lo è sul volto , nei gesti e nelle parole di Dino , trova la forza di imporsi . Stanotte Buzzati deve partire per ragioni di servizio , e ancora non lo sa . È andato a letto , perché è sua abitudine coricarsi presto , prima ancora che in redazione giungesse l ' annunzio della spaventosa tragedia di Albenga , dove alcune dozzine di bambini milanesi sono morti affogati . Chi s ' incarica di dargli la terribile notizia ? « Be ' » , dice il direttore ad Afeltra , « glielo dica lei . È un fatto orribile , siamo d ' accordo . Ma , in fondo , tra quei poveri morticini , non c ' è mica anche un figlio di Buzzati !...» Afeltra ha il guizzo di un sorriso nei suoi neri malinconici furbi occhi di napoletano ; poi mi prende in disparte : « Questo pover uomo crede che , per Dino , sia terribile la notizia della morte dei bambini ! ... No , la notizia terribile , per lui , è che ora , all ' una di notte , deve alzarsi e partire ! » . E non sbaglia . Buzzati ascolta dall ' altro capo del filo il resoconto della sciagura che Afeltra gli colorisce con apocalittici accenti . Poi risponde : « Povere creature ! ... Ne riparliamo domani ! » . E riattacca il ricevitore . Afeltra mi fissa con uno sguardo che suona : " Te l ' avevo detto , io ? " e lo fa richiamare . « No , Dino , senti ... » , ricomincia con voce dolcissima , « tu mi pare che non hai capito bene di che cosa si tratta ... Sono quasi tutti di Milano , i bambini ... Qui , domani , tutta la città è in lutto , e capirai che il giornale non può uscire con la notizia nuda e cruda ... » « No , certo » , gracida la voce di Dino , « dovete mandar qualcuno ... » , e riattacca . Per la terza volta Afeltra lo fa chiamare . « Dino ? ... Carissimo Dino ... Sono ancora io , Gaetano . Senti , lasciami parlare ... Ad Albenga , per un servizio di questo genere , non si può mandare uno qualunque ... Ci vogliono una penna e una firma ... Ci vuole soprattutto un cuore che batte ... E qui , a portata di mano , non abbiamo nessuno ... Piovene , come sai , è a Parigi ... Vergani al Tour ... Corradi in Inghilterra ... Grazzini in Sicilia ... Montanelli non ha cuore , o passa per uno che non ne ha : il che agli effetti del pubblico , è lo stesso ... Cosa dici ? ... Hanno suonato alla porta ? ... Sì , va ' a aprire , va ' : è l ' autista che , d ' ordine del direttore , è venuto con la macchina a prenderti per condurti ad Albenga ... » Ed è lui , stavolta , a riattaccare il ricevitore . Ma le fatiche di Afeltra non sono finite con la partenza di Buzzati , l ' impareggiabile purosangue di cui egli è il naturale fantino . Con trepida impazienza , finito , alle quattro , il lavoro in tipografia , invece di coricarsi , si chiude nella cabina telefonica ad attendere il primo resoconto del suo puledro . Quando torno la sera , lo trovo ancora lì , con la cravatta sbilenca , la faccia irta di barba , gli occhi lustri di gioia . « Leggi , leggi ... » , mi dice accennando con una mano il dattiloscritto in cui lo stenografo ha già tradotto il resoconto telefonico di Dino , mentre con l ' altra sèguita a tenersi poggiato all ' orecchio il ricevitore . « Leggi che meraviglial ... » Lo è , infatti : pagine pulite , lisce , in cui la Morte traluce come una cosa viva e affabile , appena riverberando un ' ombra sui cadaveri allineati sotto il suo mantello non più , come al solito , lugubre e solenne , ma cordiale e paterno : uno dei più bei reportages , forse il più bello , fra quelli che in tanti anni di mestiere mi son capitati da leggere . « No , no , aspetta ! » , urla Afeltra all ' apparecchio . « La chiusa non dev ' essere questa ! ... La chiusa la devi fare sul torpedone delle mamme che sono già partite da Milano per venire a vedere i loro bambini morti e devono essere in arrivo costà ... Sul loro urlo di dolore ... » « E perché dovrebbero urlare ? » , risponde placida la voce di Dino , al ' altro capo del filo . « Come " perché dovrebbero urlare " ! ? » , esplode Afeltra con voce strozzata . « ... Ma che vai dicendo , Dino ! ? ... I loro figli ... » « Sono così belli ! » , ribatte dolcissima la voce di Buzzati . « Li vedessi , Gaetano , come sono belli ! ... Sorridono ... Angeli che , per diventarlo , sono così contenti di essere morti ... » Quando l ' indomani , al suo ritorno , stringo la mano a Buzzati per complimentarmi con lui dello stupendo articolo che ha scritto , egli rimane ad ascoltarmi col nasino per in su , gli occhi candidi e interrogativi posati ora su me ora su Gaetano che approva , la cravatta annodata , nonostante il viaggio e le due insonni notti , come se fosse stata la mamma a farlo . Poi mi chiede : « Davvero ? » , con lo stesso tono lievemente incredulo con cui mi rivolse la stessa domanda allorché , letto che ebbi Il deserto dei tartari , gli dissi che aveva scritto il più bel romanzo italiano degli ultimi vent ' anni ( e sono ancora dello stesso avviso ) . Lo guardo . E d ' improvviso mi accorgo che , come i bambini che ha descritto , anche lui in fondo è un angelo : l ' unico che , per diventarlo , non abbia avuto bisogno , prima , di morire .
Giovannino Guareschi ( Montanelli Indro , 1952 )
StampaQuotidiana ,
Giovanni Guareschi ha compiuto , nella sua vita , molte imprese coraggiose . Ma nessuna il coraggio glielo impegnò così a fondo come quella di venire , una quindicina di anni orsono , a Milano . Milano , Giovannino Guareschi l ' ha « scoperta » in un libro ormai famoso , che molti lettori , probabilmente , hanno considerato soltanto umoristico . Non lo è , come non lo sono tutti gli altri suoi libri , in cui l ' umorismo c ' entra solo come condimento , o meglio come il velo sotto cui il pudore impone a quest ' uomo timido e scontroso di nascondere il suo pathos . Egli collaborava a un settimanale ambrosiano , mi pare il « Secolo illustrato » , ma senza muoversi dal suo cascinale presso Busseto . E , a vent ' anni , l ' unica città che aveva visitato era Parma , la quale già gl ' incuteva sgomento . Rizzoli notò i suoi disegni e gli offrì un contratto a settecento lire al mese , che per quei tempi erano quasi l ' agiatezza . Giovannino per lettera accettò ringraziando ; ma , quando si trattò di prendere il treno e d ' inurbarsi , non ne fece di nulla . Di lì a poco venne richiamato alle armi , e fu sotto una tenda di soldato , sull ' Appennino , che Rizzoli junior , Andrea , lo scovò e gli rinnovò la proposta per il giorno in cui fosse stato congedato . Guareschi stavolta tenne la parola e una bella sera si presentò nell ' ufficio del suo editore , in piazza Carlo Erba . S ' era d ' inverno e Giovannino si teneva chiotto dentro un pastrano che la sua fidanzata gli aveva ricavato dalla mantellina militare . Ma non era soltanto il freddo che gli soffondeva sul viso un ' espressione di scoramento . Era Milano che gli aveva fatto e seguitava a fargli una paura birbona . C ' era arrivato sul far della sera , e la plumbea , solenne , sferragliante stazione , le luci che cominciavano a solcare la nebbia grigia , lo zigzagare dei tassì e dei tram , il flusso dei pedoni sui marciapiedi , lo scostante e insocievole sussiego dei metropolitani , lo avevano stordito . No , non c ' è nulla di scherzoso né di retorico nella Scoperta di Milano che Guareschi ha descritto . Per non restare solo in quella giungla irta di grattacieli che lo atterriva , egli chiamò subito Margherita al suo fianco e la sposò . Margherita era delle sue parti , sapeva stare in cucina come solo dalle sue parti ci si sa stare , parlava il suo dialetto , gli era necessaria a ricrearsi in casa un ' oasi emiliana con le sue brave tagliatelle . Soltanto li Guareschi ha continuato a sentirsi per tutti quegli anni Guareschi . Anche il « Candido » lo ha fatto e séguita a farlo in casa , proprio come le tagliatelle , e anche per questo è così saporoso . In piazza Carlo Erba ci andava e ci va di rado . E , quanto al centro , San Babila e Duomo , si possono contare sulle dita coloro che ce lo hanno visto . Dopo oltre tre lustri di vita milanese , Giovannino non ha mai messo piede alla Scala né al cinematografo Manzoni . Ha sentito dire che sono « locali di lusso » e ciò lo spaventa . Ora , poi , ha realizzato finalmente il suo sogno : è tornato a vivere in quel di Busseto , e a Milano ci viene per due giorni della settimana soltanto a comporre il giornale . In quarantott ' ore fa quello che a nessun altro riuscirebbe di fare in una settimana , masticando , in un indescrivibile disordine , dozzine di pasticche di simpamina , trangugiando decine di tazze di caffè , fumando centinaia di sigarette americane ; poi riprende la sua macchina a nafta , di cui è fiero come se l ' avesse inventata lui , e torna nella sua Bassa , morto di sonno e di stanchezza , ma felice alla prospettiva dei cinque giorni che potrà trascorrervi in pace . La Bassa di Busseto è una strana repubblica , che ha poco a che fare con quella italiana e di cui Guareschi è , senza nessuno scrupolo costituzionale , il re . Un re al di sopra dei partiti , come tutti i veri re , e infatti è da lui che vengono , a chiedere consiglio e aiuto , anche i comunisti . Non prese , il loro capo , parte attiva come comparsa nel film Don Camillo , che non è precisamente d ' intonazione marxista ? Un fiduciario di Togliatti fu spedito d ' urgenza sul posto per svolgere un ' inchiesta su quel flagrante caso di deviazionismo . Ma i « compagni » locali ne ascoltarono le rampogne a bocca aperta . Cosa c ' entrava Stalin in tutta quella faccenda ? A Busseto , Stalin è Guareschi , che d ' altronde gli somiglia . Perché a Busseto Guareschi è tutto : il re per i monarchici , il papa per i preti e Stalin per i comunisti . Giovannino è l ' unico profeta in patria che registri la nostra storia nazionale , la quale non registra che profeti emigrati . Egli dirime i litigi fra Peppone e Don Camillo , amministra la giustizia sotto l ' albero di fico , cammina seguito da un codazzo di gente in cui c ' è di tutto : comunisti e conservatori , ricchi e poveri , miscredenti e baciapile . La reggia in cui vive questo incredibile monarca è un cascinale contadino , circondato da un lungo portico , che le lampade al neon illuminano clamorosamente di giorno e di notte . « È orribile , lo so , sembra un bar , ma io voglio la luce , ne voglio a torrenti ... » . È una rivalsa contro il buio che gli angosciò tutta la fanciullezza di scolaro , trascorsa in una cieca cucina , dove sua madre sgonnellava tra i fornelli , nelle ore che le lasciava libere il suo mestiere di maestra elementare . Giovannino si rovinava gli occhi a copiare il compito , seduto dinanzi a un tavolinetto di marmo bianco , e ora di quei tempi difficili e duri , di quelle ore grigie , immobili e pesanti vuoi scacciare perfino il ricordo con uno scialo di lampade . Sulla scrivania ne ha tre , disposte in modo che convergano i loro fuochi sul foglio infilato nella macchina da scrivere . Altre due gli sbucano dal pavimento sotto la sedia , e lui non le vede naturalmente perché le copre col sedere ( che è di dimensioni tutt ' altro che modeste ) , ma non importa : il buio non deve contaminargli nemmeno quelle parti li . Il tutto è complicato dal fatto che Guareschi la sua scrivania non la tiene fissa nella stanza ; la sposta secondo il sole perché di giorno vuole anche la luce di quello , oltre che dell ' elettricità ; e quindi è tutto un intrico , pericolosissimo per il visitatore , di fili , d ' interruttori , di prese di corrente . È un impianto complicatissimo e geniale , che Giovannino ha studiato e realizzato di persona , perché la « pace » di cui lui viene a godere per cinque giorni della settimana nella sua repubblica della Bassa consiste in realtà in una serie di lavori forzati manuali cui egli si dedica con sacerdotale zelo e , crede lui , con ineguagliabile competenza . Probabilmente i lettori immaginano che Guareschi , l ' uomo che compila quasi da solo un giornale di cinquanta pagine alla settimana , testo e disegni , e pubblica due libri l ' anno , trascorra la sua giornata a scrivere e a pensare . Neanche per idea . Egli la inizia alle cinque del mattino con la zappa , e ne impiega tutto il resto in discussioni e lavori di elettrotecnica , falegnameria e muratura . Si è costruito da solo il garage , per esempio . È vero che , una volta ultimato , risultò che la macchina non c ' entrava , e bisognò chiamare un muratore vero per disfare e rifare tutto . Non è lui che me lo ha detto , ma me lo hanno raccontato sul posto , e ora Dio mi salvi dai furori di Giovannino , che qualunque altra indiscrezione sul suo conto me l ' avrebbe perdonata , ma questa temo che me la farà pagar cara . E il letto ? Anche quello se lo è costruito da sé , a furia di pialla e sega , dopo lunghissimi conciliaboli con uno del mestiere ; e , a cose fatte , gli è venuto a costare tre volte più di quanto lo avrebbe pagato in un negozio . « Ma la soddisfazione di dormire in un letto che ti sei costruito con le tue mani » , dice Giovannino asciugandosi il sudore dalla fronte e lisciandosi i baffoni , « dove la metti ? Parola d ' onore , ve ' : è l ' unico letto in cui non soffro d ' insonnia . Tutti gli altri ... » Tutti gli altri sono poi quello di Milano , dove lui si corica , le sole due notti della settimana che trascorre in città , con lo stomaco pieno di caffè e di simpamina . Sfido che ci soffre l ' insonnia ! Ma è inutile farglielo osservare . Il suo entusiasmo per la roba fatta in casa , tagliatelle , giornale , libri e mobili , è pari soltanto alla sua diffidenza per la roba che si compra fuori . Una volta si mise a studiare seriamente come si fabbricano i fiammiferi . Voleva farsi da sé anche quelli , e si diede a consultare manuali di chimica per indagare le combinazioni di zolfo e di fosforo . Non parlava d ' altro . E fu quello il momento di più gran pericolo che abbiano corso il cascinale di Busseto , pieno zeppo di materiali infiammabili , e l ' incolumità dei suoi abitatori . « Perché non vieni a trovarmi dalle mie parti ? » , mi urlò l ' altro giorno , quando andai a trovarlo alla redazione di piazza Carlo Erba . Era stravolto di stanchezza , al termine di una delle sue solite inumane fatiche ebdomadarie , e correva su per le scale stringendo al petto i fogli che aveva riempito di parole e disegni , fra gli appelli disperati dei tipografi in ritardo per la composizione . « Vengo ragazzi , vengo ! » , e fece per correre via , ma si trovò a faccia a faccia con Bianchi , il capomastro della casa Rizzoli , e si fermò di colpo . Bianchi è la sua vera grande passione , il suo amico più intimo e più caro , quello con cui trascorre la maggior parte della sua giornata a dibattere complicati problemi di cementi , tubature , scavi e travi . « Ehi , vieni qui ! » , gridò abbracciandolo . « Sai cosa m ' è successo stanotte ? » E non ci fu più verso di smuoverlo per mezz ' ora , dovette correre Minardi , il caporedattore , a strappargli di mano il materiale , che in tipografia altrimenti non ci sarebbe arrivato più . Era successo questo , a Guareschi che , messosi la sera prima finalmente al lavoro con lo stomaco pieno di qualche dozzina di pasticche di simpamina e di decine di tazze di caffè , non gli era riuscito di mettere insieme né una vignetta né una frase , ossessionato com ' era dall ' idea di uno scarico che gli s ' era intasato il giorno prima nel bagno . Era in parola con un trombaio che aveva promesso di venire a rimediare il giorno dopo . Ma l ' idea di quel tubo otturato non gli consentiva di formularne altre nel cervello , gli paralizzava la mano , la matita e la penna ; sicché alle quattro del mattino era ancora lì a gingillarsi , avvilito e in orgasmo . Allora aveva preso un piccone , era sceso in cantina , e si era dato a ricercare il guasto . Lo aveva trovato alla fine , ma solo dopo aver demolito una intera parete . Però solo dopo quest ' accurata opera di distruzione aveva potuto concentrarsi sulla preparazione del giornale e portarla in fondo ; e adesso era contento e soddisfatto come se , invece di demolire , avesse costruito qualcosa , e solo lo preoccupavano alcuni particolari « tecnici » di cui voleva discutere col fido Bianchi . Li discusse infatti , per una buona ora , insensibile alle invocazioni di aiuto di Minardi e dei tipografi nonché alla nostra attesa . Solo quando ebbe finito , si riavvicinò a noi per dirci come e quando avremmo dovuto raggiungerlo a Busseto . « Facciamo giovedì . Con quale macchina vieni ? Vieni con quella di Mimmo Carraro ... » É una macchina americana , di figura , dalle parti sue non ne hanno mai viste di eguali e lui ci tiene che ci presentiamo a chiedere di lui a bordo di un simile veicolo . « Voi arrivate » , suggerisce , « a tutta velocità e sonando il clacson , sonatelo forte , in mezzo al Paese , e lì urlate : " Dove sta Giovanni Guareschi ? " . Ma urlatelo a gran voce , che lo sentano tutti ... » E si lisciava i baffoni , pregustando la scena . Ora che abbiamo seguito i suoi consigli , eccoci di fronte alla reggia di sua maestà il re della Bassa , illuminata che sembra il Vesuvio in eruzione nonostante l ' ora di pieno meriggio , col monarca in persona sulla soglia del portico che , con un aratro in mano , sembra in posa per farsi monumentare da uno scultore del tempo littorio . Oltre i vetri della finestra si vede , in cucina , Margherita intesa ad arrotolare col matterello le fettuccine del pantagruelico pranzo che ci aspetta , mentre la porta aperta del garage , adesso che un muratore vero l ' ha rifatto , lascia intravedere le due automobili , le motociclette e le quattro biciclette di cui Guareschi , da buon emiliano innamorato di « tecnica » e di « meccanica » , si gloria . Irraggia gioia e buon umore . Giovannino , il quale non sa essere felice che nella sua terra , in mezzo a quella sua gente e a quelle sue cose fatte in casa . « Tutto è fatto in casa , qui ! » , esclama con orgoglio , un orgoglio certo più grande di quello che gl ' ispira il fenomenale successo di Don Camillo e l ' incondizionato plauso che la critica di tutto il mondo , meno quella italiana , s ' intende , ha tributato al suo talento e , più ancora , al suo temperamento di scrittore in un ' età in cui di talento ce n ' è poco e di temperamento punto . « Tutto fatto in casa , ragazzi , con le mie mani : muri , mobili , impianto elettrico , fornelli , sedie ... Accomodatevi , accomodatevi ... » Mimmo Carraro ed io , smilzi e leggeri , eseguiamo . Ma quando è il turno di Andrea , che è un po ' più pesante , non so come , di colpo lo vediamo ruzzolare per terra in un groviglio di assi , di chiodi e di viti . Giovannino lo guarda mortificato , ma nemmeno per un momento lo sfiora la tentazione di porgere aiuto al suo editore . Il problema che lo angoscia in questo istante è , lo si vede benissimo , solo quello di sviscerare la ragione " tecnica " che ha provocato la catastrofe di quel pezzo di mobilia " fatta in casa " . E se ne rigira fra le mani i resti con l ' espressione avvilita di un bambino che si veda andare in pezzi un balocco ritenuto infrangibile .
Leo Longanesi ( Montanelli Indro , 1952 )
StampaQuotidiana ,
Fu nel settembre del 1943 che Leo Longanesi perse la migliore occasione , presentataglisi sino ad allora , di liberare il mondo dalla sua piccola , ma ingombrante presenza . I tedeschi avendo occupato Roma , dove in quel momento abitava , e avendo affidato la polizia a certe bande di fanatici neofascisti , Longanesi decise di attraversare le linee e di cercare rifugio nel Sud già liberato . Operazione non facile e di dubbi risultati , anche se fosse riuscita . Perché se Leo aveva molto da temere dai fanatici neofascisti di Roma , non meno aveva da temere dai fanatici antifascisti di Bari e di Napoli . Per i primi , egli era l ' ispiratore di tutti i movimenti di fronda sviluppatisi in seno al partito e al regime ; per i secondi , egli era il grande orchestratore di tutti i motivi e slogan , sui quali si era basata la propaganda del ventennio . Comunque , poiché quelli uccidevano , mentre questi mettevano soltanto in galera , Longanesi decise di tentare la sorte e , raggiunto in treno l ' Abruzzo , proseguì a piedi sino a una località che , pur senza più appartenere all ' Italia occupata , non apparteneva nemmeno ancora a quella liberata e che quindi era sottoposta alle bombe degli uni e degli altri . In quel grandinio di proiettili , Leo , senza più altra bussola che il proprio istinto , si mise a scappare come un topo saltando da un filare di viti a uno di ulivi , finché gli parve di aver trovato rifugio sotto uno sbrecciato muraglione , ultimo resto di una casa crollata . Accucciatosi lì mentre le granate sibilavano tutt ' intorno , risalì con gli occhi , per assicurarsi della sua consistenza , lungo quel riparo di pietra e di calcina , finché essi si posarono su una scritta in catrame che , lassù in alto , aveva resistito anche all ' artiglieria : « Il Duce ha sempre ragione » . Leo impallidì . Quella frase l ' aveva coniata lui quindici anni prima , e c ' era quindi alcunché di logico , o almeno di intonato alla Nemesi , che essa , seppellendolo , gli facesse da lapide ed epitaffio . Ma Dio , come ama i peccatori pentiti , così ha un debole per i fascisti ravveduti . E Leo poté cavarsela anche quella volta , con gran disturbo di tutti , e specialmente dei suoi amici che , senza di lui , avrebbero una vita molto più facile e meno degna di esser vissuta . Non vidi Leo a Napoli perché in quello stesso periodo , e per ragioni del tutto analoghe , io , dopo un doveroso soggiorno a San Vittore , mi trovavo in Svizzera ; ma ne ebbi notizia da certi ambienti monarchici che là frequentavo , riuniti intorno alla principessa Maria José , e che erano in contatto con quelli del Sud , riuniti intorno al principe Umberto , fra i quali Longanesi , appena giunto a Bari , aveva seminato lo sgomento e lo scompiglio . All ' ufficiale dell ' Intelligence Service che lo aveva interrogato , egli aveva risposto di essere sempre stato fascista , di esserlo ancora e di considerare tutti i capi dell ' antifascismo come un branco di sciocchi , che Mussolini aveva commesso il grave errore di lasciar sopravvivere . Dopo simili dichiarazioni , si pensò che lo avrebbero internato . Non lo internarono , anzi , lo mandarono a parlare alla radio con Soldati e Steno : e fu uno dei pochi atti intelligenti che i liberatori compirono . Ma era diventato impossibile servirsi di lui per la propaganda monarchica . Gli furono chiesti soltanto dei pareri . Egli diede quello di mandare il principe al fronte anche contro la volontà di suo padre e degli Alleati e di fargli sparare da qualcuno una revolverata in una gamba in modo che si rendesse obbligatoria l ' amputazione « sopra il ginocchio . Sopra , mi raccomando ; non sotto » . Poi Umberto avrebbe risalito l ' Italia mostrandosi in tutte le città e paesi e villaggi e campagne appoggiato alle stampelle « col pantalone della gamba mutilata chiuso sul moncone da uno spillobalia . Balia , mi raccomando » , mentre la principessa , dopo una congrua cura dimagrante , avrebbe dovuto esser ritratta in una fotografia , da riprodurre in milioni di esemplari , poveramente vestita , col volto dolente e i bambini in collo . « E niente dramma , eh ? Solo melodramma , mi raccomando ! » Quando Milano fu liberata , telegrafai a Longanesi di raggiungermici . « Sei sicuro che non m ' impiccheranno ? » , mi chiese . Gli risposi che a Milano nessuno lo conosceva e che il vento del nord continuava a soffiare solo in bocca a Pietro Nenni . Egli venne , ma , non so come , qualcuno lo vide appena sceso dal treno , e ne informò il giornale del partito d ' azione , il cui direttore ( che di lì a tre anni doveva presentarsi all ' editore Longanesi in veste di giovane autore , per supplicarlo di pubblicargli un libro ) diede incarico a qualcuno di scrivere un trafiletto contro il reprobo . Il trafiletto comparve l ' indomani . Era anonimo ; ma , appena lettolo , Leo ne riconobbe l ' autore , suo vecchio amico . Non disse nulla , sebbene a quei tempi essere additati al furore di una folla , che più ammazzava e più credeva di mondarsi del delitto di essere stata vibrantemente fascista , fosse pericoloso . Ma un paio di giorni dopo , mentre mi trovavo con Longanesi in un elegante caffè di Montenapoleone , il trafilettista comparve e , vedendomi senza accorgersi contemporaneamente della presenza di Leo , mi venne incontro a mano tesa e , dopo aver stretto quella mia , la porse , sia pure con un certo imbarazzo , anche a lui . Longanesi lo fissò un attimo ; poi , con l ' agilità di un misirizzi , balzato in piedi su un tavolo in mezzo alla folla degli avventori , che italianamente celebravano l ' avvenuta liberazione con gran bicchieri di panna montata alla faccia del defunto Mussolini che tirannicamente aveva loro impedito di mangiarla in pubblico ( ma non in privato ) sino a quel giorno , urlò , additando il suo accusatore : « Prendetelo ! È un antifascista !...» . E l ' antifascista , senza riflettere che in quel luglio del 1945 era per lo meno prematuro additare come tale qualcuno al linciaggio , se la diede a gambe . Leo Longanesi trascorre la sua vita ad aver torto oggi per il gusto di aver avuto ragione domani . Ma quando domani è diventato oggi , egli si dimentica di aver avuto ragione ieri , e anzi quasi se ne vergogna . « Io , antifascista ! ? » , protestava al tempo in cui il CNL imperversava . « Vorrai scherzare ! Ho i documenti in regola , io : squadrista , marcia su Roma , direttore dell ' " Assalto " di Bologna ... » , e sembrava che stesse compilando un curriculum vitae ad uso del Minculpop , con la stessa foga con cui , al tempo del Minculpop , proclamava : « Fascista , io ! ? ... Vorrai scherzare ! ... Cacciato via come " deviazionista " Ball ' " Assalto " di Bologna , direttore di tutti i giornali più soppressi d 'Italia...», e sembrava che stesse redigendo ( nel 1937 ) un curriculum vitae ad uso del CNL . In una borghesia che avesse la coscienza e il coraggio di se stessa , Longanesi occuperebbe il posto che in seno a quella inglese occupò Bernard Shaw e in quella francese Gavarni : poiché egli riassume in sé il genio panflettistico del primo e quello caricaturale del secondo . Poche cose , come l ' incapacità di sopportare lo specchio deformante in cui Longanesi l ' obbliga ad ogni passo a rimirarsi , denunziano la pochezza e la fralezza della borghesia italiana , che , come Mussolini suo naturale interprete e rappresentante , vede in ogni critica un atteggiamento di ostilità . « Lo hanno riprodotto sull ' " Avanti ! " » , dissero certi industriali lombardi , quando Leo ebbe pubblicato il suo terzo libro : Il destino ha cambiato cavallo , con lo stesso accento di sgomento con cui vent ' anni fa si diceva di un autore : « La " Pravda " ha parlato bene di un suo racconto ! » . E un signore si scusò di averlo frequentato , con queste parole : « Credevamo che fosse un amico e che servisse la "causa"...» . Pur con tutta la sua intelligenza , che di rado gli consente di sbagliare un pronostico , Longanesi non si aspettava quella reazione e , di ritorno da Parigi , lo trovai avvilito e mortificato , a rigirarsi in mano le lettere di protesta giuntegli da ogni parte nel covo di via Borghetto , sede della sua casa editrice . « Be ' ? » , dissi . « Non lo prevedevi ? » « Io no ! » « Ma come ! ? Tu denunzi i difetti della borghesia italiana , eppoi ti arrabbi perché la borghesia italiana mostra di avere effettivamente i difetti che tu hai denunziato ! » Longanesi mi fissò un attimo . « Cosa c ' entra ? » , proruppe poi . « Anche di te dico solitamente che sei un cretino . Ma quando poi fai il cretino davvero ... e ti succede spesso ... mi arrabbio . Perché cosa ci sto a fare , io , se non a impedirti di essere cretino dicendoti che lo sei ? » Longanesi « serve la causa » a modo suo , sparando addosso ai suoi compagni di trincea ogni volta che questi accennano a sporgere pericolosamente la testa oltre i sacchetti di rena che li proteggono . Lo fa da vent ' anni , infaticabilmente , rischiando un processo per tradimento a ogni schioppettata che tira , giurandosi che non lo farà più « per questo branco d ' imbecilli che non ne valgono la pena » , e ricominciando l ' indomani al tavolo del caffè , in trattoria , con la penna e la matita , dietro la sua scrivania di editore , denigrando tutto ciò che ama , ammirando tutto ciò che detesta , contraddicendosi ogni cinque minuti e riuscendo ad aver sempre ragione . Eccolo lì , nel suo pittoresco disordine di via Borghetto . Sta studiando la copertina per un libro tedesco , di cui ha acquistato i diritti . « Un capolavoro ! » , mi assicura . « Un tale capolavoro che , quando penso che poi andrà a finire in mano ai lettori italiani , quasi quasi mi vien voglia di rinunziare alla pubblicazione ! » Non gli chiedo di cosa tratta per non metterlo in imbarazzo : Leo quel « capolavoro » non lo ha letto , anche perché non sa il tedesco ; ne ha soltanto guardato la rilegatura , la stampa e le illustrazioni . Di altro non ha bisogno , questo curioso mago che di tutti gli autori contemporanei ha un ' idea tanto più precisa quanto meno ne ha sfogliato le opere . « Bella , bella ! » , disse una volta a Moravia che gli portava una novella per il settimanale « Omnibus » di cui Leo era direttore . « Bellissima ! » « Come fai a dirlo » , fece Moravia , « se ancora non l ' hai letta ? » « Infatti , se l ' avessi letta , forse non lo direi ! » E , appena l ' autore fu uscito , mi gettò il manoscritto , senza guardarlo , con questo strano ordine : « Prendi il primo capoverso e portalo in fondo al racconto . E al suo posto metti l ' ultimo » . Furibondo , Moravia , quando vide stampata la sua novella a quel modo , irruppe in redazione armato di un randello , e ne seguì una rissa . Ma aveva torto perché , così invertita , la narrazione era una delle sue più belle . « I tuoi racconti » , gridava Longanesi , « sono come quelle buone stoffe inglesi il cui rovescio vale più del dritto ! » E mai di Moravia era stata detta una cosa più giusta e in fondo più lusinghiera . Ora , per fare la copertina di quel libro che non conosce e che sarà , come al solito , geniale e pertinente , Leo non ha , sull ' ingombro tavolo della scrivania , che un mozzicone di matita , una vecchia lama da barba per temperarlo , una gomma consunta , un vasetto di colla da calzolaio e un paio di forbici arrugginite . È curioso vedere colui che è uno dei tre o quattro più grandi editori italiani , impegnato in questa modesta bisogna d ' artigiano , vivente antitesi della ministeriale impersonalità di cui amano circondarsi i suoi rivali con i loro uffici razionali , le loro piramidali gerarchie , gli eserciti di segretari e dattilografe . Quella di Longanesi , anche se un giorno egli arriverà a schiacciare la concorrenza e a monopolizzare il mercato , non sarà mai niente di più che , la « bottega » di un « maestro » artigiano incapace di staccarsi dal proprio lavoro manuale per spaziare sui vasti orizzonti della grande impresa industriale . Perché il sogno di Leo è un mondo di « cose fatte in casa » , come le fettuccine che sua madre gli prepara quando , tre o quattro volte l ' anno , torna a Imola , che è in fondo la vera Italia come lui la concepisce , in Milano non vedendone , con i suoi grattacieli , con la sua sete di « moderno » , con le sue industrie senza materie prime , che una paradossale caricatura , contro cui egli è in guerra non da quando ha pubblicato Il destino ha cambiato cavallo , come credono i suoi nemici attuali , che lo accusano di tradimento , ma da sempre , da molto prima che essi lo invitassero a pranzo ritenendolo servitore della causa . « Dammi un ' idea ! » , disse . « Che idea ? » « Un ' idea per la copertina ... » E che idea vuol da me quest ' uomo che d ' idee ne ha sempre date a tutti noi ? « Perché questo » , continua , « non è mica un libro pieno di caccole come quelli che scrivono i nostri autori ... C ' è qui dentro tutta l ' Austria , tutta Vienna ... Che città , Vienna , eh ? » « Quante volte ci sei stato ? » « Mai . Ma l ' altra sera al cinematografo ne ho visto le fogne nel Terzo uomo . Quelle son fogne , caro mio ! ... Una città che ha quelle fogne lì ... » E si mette a descrivermela nei suoi angoli barocchi , nei suoi palazzotti metternicchiani , nella asimmetria delle sue piazze , nella irrazionalità delle sue straducole . E io , che ci sono stato venti volte , non saprei rappresentarla con altrettanto icastica evidenza . « Insomma , questa idea me la dai o non me la dai ? ... Ecco , non ne hai , come al solito . Perché tu di idee non ne hai mai . Te ne rendi conto ? Tu sei uno degli uomini più poveri di idee che esistano al mondo . Passi per un grande giornalista perché viviamo in un Paese di disgraziati dove ci dividiamo le parti così : io grande editore , tu grande giornalista , quell ' altro grande siderurgico , quell ' altro ancora grande banchiere , eppoi ci teniamo tutti appoggiati l ' uno all ' altro , altrimenti queste grandezze rotolano per terra ... Ecco , vedi , per esempio : io giro questa chiavetta e si fa la luce . Succede ogni sera . Eppure , ogni sera mi sembra un miracolo ... Mi sembra un miracolo che ci sia qualcosa come l ' elettricità che funziona in Italia ... Io lo vedo dalla carta igienica ... Hai mai palpato fra le dita la carta igienica nazionale ? Ma è una carta che in un altro Paese nemmeno le scimmie ci si pulirebbero il sedere ... Insomma , non hai , tanto per cambiare , idee , e me ne occorre una ... Un ' idea ! » Ha lo stesso gesto di quando , nel 1936 , trovatosi , come direttore di « Omnibus » , di fronte alla notizia dell ' avvenuto ingresso di Badoglio in Addis Abeba , dopo avere per sette mesi pronosticato la sua imminente inevitabile sconfitta , cercava un ' ispirazione per darne sul suo giornale un annunzio che , senza dispiacere al Duce , si sottraesse alla retorica d ' obbligo , che sembrava inevitabile in quel momento . Era venuto a cercarla al bordello , luogo che egli preferiva per le sue meditazioni , come Toulouse - Lautrec lo preferiva per il suo pennello , e l ' impresa sembrava disperata . Finalmente la « trovata » gli venne . Si precipitò al ministero a fare incetta di tutti i telegrammi Reuter che avevano contrappuntato di immaginarie disfatte l ' avanzata delle nostre truppe , e li pubblicò uno di fila all ' altro : «8 novembre : Quarantamila italiani circondati a Macallè ... » ; «7 dicembre : L ' intera armata di De Bono in rotta verso l 'Asinara...»; «27 febbraio : Graziani in fuga con le sue camicie nere ... » . E a chiusura di questa iliade di guai , l ' annunzio di Badoglio : «9 maggio : Oggi , alla testa delle truppe vittoriose , sono entrato in Addis Abeba ... » . Così Longanesi riuscì a commemorare l ' avvenimento senza retorica con uno sberleffo agl ' inglesi per risparmiarsi un ' esaltazione di Mussolini , e assicurò al suo pericolante giornale altri sei mesi di vita . Nel temperare la matita con la sua vecchia lama da barba , si fa un taglio al polpastrello e se lo caccia in bocca per succhiarne il sangue che zampilla . « Signorina ! » , chiama . « Ma è possibile che non abbiamo , in tutto l ' ufficio , un temperalapis ? » « Lei mi ha detto di non comprarlo ! » , ribatte la ragazza . « Perché ? Quanto costa ? » « Cinquanta lire . » « Cinquanta lire un temperalapis ! ? ... Non lo voglio ! ... Anche perché non funziona ... Son sicuro che non funziona ! ... Non funziona nulla , in questo Paese ... Scriva al nostro corrispondente di Francoforte che ce ne mandi uno di là , tedesco . Anche se costa un milione ... » E a me : « Hai visto che temperalapis fanno i tedeschi ? Belli , con la maniglietta e il cappuccio da usare anche come custodia , e le lamette di ricambio ... Io , cosa sia la Germania , lo capisco dai temperalapis ... Pensa , se vinceva la guerra , avevamo tutti dei temperalapis così ... » . Invitati stasera ambedue dai nostri amici Gomez , mi domando con angoscia di che umore sarà Leo che , quando è in vena , monopolizza la conversazione e la tiene per ore sul filo dei più smaglianti paradossi ; ma , quando gli gira male , paralizza un salotto e lo raggela . Semisdraiato su un divano , con un bicchiere e una bottiglia di cognac che al termine della serata avrà scolato fino all ' ultima goccia , senza mostrare la minima alterazione , ascolta per un pezzo , cupo e imbronciato , il monologo di un conte che fa l ' antiquario , molto intelligente d ' altronde e abbastanza spregiudicato per piacere a Longanesi . Ma Leo sorveglia sua moglie Maria , che si è accaparrata anch ' essa una bottiglia di cognac , e ogni tanto l ' ammonisce avventandole una pedata negli stinchi : « Non bere , cretinal ... » . Ma Maria ci ride sopra e beve ugualmente . « Ecco » , dice Leo , « fa sempre così , e poi si sbronza . Deve far onore alle tradizioni di famiglia perché la sua nonna , a Bologna , la chiamavano " la petroliera " ed era l ' amante di Andrea Costa ... Disgraziata ! ... Non difendere la tua famiglia , altrimenti ... Guarda ... Attacco a parlare io e smetto fra due giorni ... Quel somaro di tuo padre ... » . Maria continua a ridere e a bere , sebbene « quel somaro » sia il pittore Spadini , e Leo ripiomba nel suo cupo malumore , mentre il conte riallaccia alla meglio il filo del discorso , che è un discorso serissimo sugli arredamenti delle vecchie case milanesi del Settecento : c ' è dentro gusto , cultura , intelligenza , competenza , e tutti lo ascoltiamo con interesse , quando la voce di Maria lo interrompe in tono lugubre : « Conte , le si vedono i polpacci ... » . Il conte resta un attimo interdetto , tutti siamo rimasti senza fiato , Leo si alza e con un eloquente : « Lo vedete ? » , va a strappare il bicchiere di mano a Maria . Il conte per fortuna è uomo abbastanza di spirito e risponde con gaia pertinenza . Ma Leo , ormai , è partito lancia in resta contro tutti : « Piantatela con questo gigione di Toscanini ... Non è che il Gondrand della musica ... » . « Il partito liberale italiano non è dominato dal pensiero di Benedetto Croce , ma soltanto dalle sue pecore ... » « Un idiota è un idiota , due idioti son due idioti , ma centomila idioti sono una forza storica ... » « Al posto dello stemma , sulla bandiera italiana , ci dovrebb ' essere una scritta : " Ho famiglia "...» Al momento di uscire , il conte invita Leo e me a pranzo per domani sera a casa sua . Poi noi due ci avviamo verso il centro seguendo il gruppo degli altri invitati che ci precede . Avanziamo in silenzio per dieci minuti , poi Leo si ferma di botto e mi fa : « Che noia ! » . « Che noia cosa ? » , chiedo io . « Tutto ! ... La vita che meniamo , la gente che frequentiamo , le mogli che abbiamo , il mestiere che facciamo ... » « E quale altro vorresti fare ? » Leo mi afferra il braccio , mi si stringe addosso e con voce sommessa e concitata : « Be ' , lo vuoi sapere ? » , dice . « Io vorrei essere un generale ... Un generale alto un metro e novanta , col monocolo , cattivissimo , e dirigere battaglie dalla mattina alla sera facendoci morire un sacco di gente , compresi i miei soldati . E se questi soldati , poi , fossero italiani , vorrei che ci morissero tutti , li spingerei sotto le cannonate a calci nel sedere ... » Si arresta di botto vedendo Maria , davanti a noi , aprire la borsetta , cavarne cento lire e consegnarle in elemosina a un mendicante . Si avventa su di lei , le strappa il portafogli di mano senza dir nulla , e torna verso di me . Poi , passando a sua volta davanti al medesimo mendicante , si fruga macchinalmente in tasca , ne estrae altre cento lire e a sua volta le consegna al disgraziato . « Come si chiama quel conte di poco fa ? » , mi chiede a un tratto . Glielo dico . « Accidenti ! » , fa lui . « Che bel nome ! ... È simpatico , anche ! ... Mi è caduto alla fine , quando ci ha invitato a pranzo , perché , francamente , se io portassi un nome e un titolo come il suo , la gente come te e come me in casa mia non la farei entrare nemmeno dalla porta di cucina . A degl ' intellettuali un aristocratico vero non dovrebbe offrire il pollo arrosto . Bastano gli avanzi ... » .
Addio a Longanesi ( Montanelli Indro , 1957 )
StampaQuotidiana ,
Forse non riuscirò a parlare di Leo Longanesi come le circostanze vorrebbero , con rispettoso distacco . E non sarebbe neanche giusto chiedermelo . La mia vita è stata così ultimamente mescolata alla sua , o per meglio dire invasa la lui , che ci vorrà del tempo prima che possa raggiungere nei suoi riguardi una certa imparzialità . Lasciatemi dunque dire , alla rinfusa , le poche cose che ; ella rinfusa mi tornano in mente . Avevo vent ' anni quando gli andai incontro , attratto da ciò che in lui più brillava : la genialità , l ' inventiva , l ' originalità . E ora , a cose fatte , mi accorgo di essergli rimasto accanto , finché ho potuto , per la tristezza , la malinconia , e a volte la disperazione , che dietro tutto questo si nascondeva . Era di poco maggiore di me . Ma Longanesi è uno dei pochissimi uomini al mondo che non abbia dovuto aspettare i figli dei suoi coetanei per farsene dei discepoli e che abbia saputo diventare il maestro della sua generazione . A diciott ' anni , senza corredo di studi e senza aver mai messo il naso fuori della sua Romagna , era già sul podio a dirigere l ' orchestra . Non aveva avuto esitazioni nell ' imboccare la strada . E naturalmente aveva scelto quella che , dal punto di vista personale , non menava a nulla . Quest ' uomo che passava per avaro , e che sul conto dell ' albergo e del ristorante lo era , ha trascorso la vita a scialacquare tutto il suo patrimonio d ' ingegno e ad arricchirne gli altri , gratis . Io stesso , di quel poco che ho fatto , non riesco più a distinguere ciò che è mio da ciò che è suo . Ora mi domando se aveva accantonato qualcosa dentro i suoi tiretti : se , oltre tutto quel che dava d ' idee , di spunti , di trovate , di pretesti , aveva serbato qualcosa per sé . Temo di no . Questo lavoratore infaticabile ha lavorato soltanto a disperdersi , e oltre agl ' inediti del suo Diario non si troverà nulla . Lo ritroveremo solo noi , nelle lettere che ci scrisse nelle giornate di accoramento e di solitudine , ch ' erano regolarmente sette nella settimana , e toccavano la punta più patetica la domenica , quando la festa gl ' imponeva l ' ozio , il suo peggiore e più sottile nemico . Allora erano lunghe pagine descrittive di ciò che vedeva dalla sua finestra . Quante cose vedeva , Leo , da quel modesto osservatorio dal quale , a noi , non era mai riuscito contare che qualche tegola , qualche albero , qualche cencio teso sul filo ad asciugare ! Il canto di una ragazza sul balcone bastava a rimescolargli dentro tutto un mondo . E ne venivano fuori stupende pagine di lirismo : i suoi regali , dei quali egli stesso l ' indomani si era già dimenticato . A questo Leo segreto e inedito , una intera leva di giornalisti e di scrittori ha succhiato il proprio latte . Non tutti lo sanno . Non tutti se lo ricordano . Ma l ' influenza di Longanesi è stata decisiva , nel gusto e nel costume letterario di questo Paese , più di quanto non lo sia stata quella di qualsiasi altro uomo . Ed è morto povero e quasi solo . Non bisogna darne la colpa a nessuno , perché questo era il suo destino , ed egli lo subiva senza ribellarvisi . « È vero » mi disse un giorno che avevamo litigato , voglio dire che avevamo litigato più violentemente del solito , perché non si faceva altro dalla mattina alla sera , « io sono come Saturno : mi mangio i figli , e un giorno mi mangerò anche te . Anzi , a dirti la verità , ti ho già mangiato . » Poi aggiunse , con una smorfia di disgusto : « E non hai neanche un buon sapore » . Leo non mi aveva affatto mangiato , perché era un cannibale vegetariano . E con tutta la « cattiveria » di cui faceva sfoggio , a parole , guadagnandosi una fama di malvagio di cui era fierissimo , non ha mai torto un capello a nessuno . Ma bisognava stare con lui in posizione di difesa perché la sua amicizia era anche una spaventosa tirannia . Ira questo che gli rimproveravo , quando si lamentava di essere solo . Egli aveva allevato un po ' tutti , ma avrebbe preteso che fossero rimasti all ' infinito a poppare alla sua mammella generosa . Invece avevano messo i denti e si erano allontanati per la loro strada : Pannunzio dirige « Il Mondo » , Arrigo Benedetti « L ' Espresso » , Soldati e Flaiano fanno il cinema . Era fatale che avvenisse , e mentalmente anche lui lo accettava . Ma la mente di Leo andava in un verso , e Longanesi in un altro . Non ricordava , non voleva ricordare che questi uomini avevano fatto strada - e una bella strada - con le gambe che lui gli aveva dato . Avrebbe potuto trarne una pigmalionica fierezza . Invece , nulla . Per lui era tutto e soltanto « tradimento » . Era successo anche col povero Brancati , che un tempo era stato il preferito dei suoi figli . Era un piccolo retore di provincia , quando si accostò a Longanesi , e si credeva nato per scrivere dei brutti poemi epici , edificanti e celebrativi . Ero presente il giorno in cui , con la buona grazia che lo distingueva , Leo gli randellò un libro in testa urlandogli : « Legga questo , somaro ! È Gogol , il suo fratello maggiore . Anche lei è un Gogol . Di Catania » . Aveva già annusato i libri che Vitaliano si portava in corpo e che sotto lo stimolo di Leo avrebbe scritto . E già ne aveva anticipato la più esatta misura critica . Era successo con Buzzati , su cui nessuno avrebbe puntato un soldo e di cui fu il primo editore . Intelligenza ? No . È la qualità di cui più si è parlato a proposito di Longanesi , ed è la più grossa stupidaggine che si sia detta di lui . Longanesi non era un uomo intelligente , non era nemmeno un intellettuale . La logica non ha guidato nessuno dei suoi gesti , forse egli non sapeva nemmeno dove stesse di casa . Condurre con lui in porto un ragionamento era un ' impresa disperata . Di fronte al più banale sillogismo , inciampava . Longanesi era un artista geniale , il solo che abbia incontrato nella mia vita . E come tutti gli artisti andava a naso , a intuito , con un invisibile radar al posto del cervello . Procedeva a furia d ' intuizioni che avevano del miracoloso e che facevano perfino pensare a qualcosa di diabolico . Non sapeva cosa volesse dire deduzione . Il suo processo era tutto induttivo , dal piccolo particolare al generale . Uno sguardo , la piega di una bocca , un gesto , gli bastavano a ricostruire una persona e a pronunziare su di essa giudizi spietati e irrevocabili . Un giorno mi raccontò di essere diventato antifascista , in tram , guardando il didietro di un console della milizia in piedi di fronte a lui . Quando scoppiò la guerra , mi disse : « Che catastrofe ! Pensa a quanti reduci avremo , quando sarà finita ! » . Questi famosi motti di Longanesi ( ci sarebbe da compilarne volumi ) facevano immediatamente il giro della città , creandogli intorno un ' aureola ingannatrice di uomo sarcastico e paradossale , imprevedibile e « brillante » . Ma si trattava di ben altro : imbrogliando tutti , o quasi tutti , con lo specchietto di queste sue apparenti assurdità , Longanesi ha condotto , dal primo all ' ultimo giorno , e con un impegno di crociato , la più seria e disperata battaglia che mai sia stata ingaggiata da uno scrittore . Vogliamo dire , per semplificare , ch ' è stato l ' ultimo vero grande difensore della « destra » ? Diciamolo pure , forse anche perché egli stesso desidera che questo sia detto . Ma la verità è - e un giorno su questo punto ci ripromettiamo di fare il chiaro - che Longanesi non si è mai sognato di difendere una classe cui non apparteneva e in cui non credeva , né un ' ideologia politica . Ogni tentativo di giudicarlo su questo piano è semplicemente ridicolo e meschino . Fosse nato in Francia , Longanesi avrebbe trovato probabilmente interessi reali a cui partecipare , e perfino un partito in cui inserirsi . In Italia egli è stato costretto a inventare letteralmente il mondo , di cui poi si è Fatto il paladino . In questo miscuglio di Renard e di Toulouse - Lautrec , c ' è anche un pizzico di Don Chisciotte truccato da Sancio Pancia . L ' Italia ch ' egli ha difeso era una pura e semplice creazione della sua fantasia , del suo gusto e di una cultura costruita a furia , più che di letture e di studio , di balenanti intuizioni . Quest ' uomo piccolissimo , che soffriva atrocemente della propria statura , era molto più grande del mondo in cui viveva e ne traboccava continuamente di fuori . Per questo era difficile stargli accanto . E per questo era impossibile abbandonarlo senza sentirsi « traditore » , come lui diceva , anzi addirittura parricida . Quel suo eterno scegliere la posizione più scomoda , la trincea più battuta , l ' esercito più sconfitto , ci poneva continuamente di fronte a un insormontabile caso di coscienza . Dichiaro senza rossore che ho rinnegato molte mie convinzioni per restare fedele a Longanesi , e non me ne pento . Oggi l ' unico rimorso che ho è quello di non essere rimasto sempre fedele a lui , l ' uomo più importante della mia vita , quello che ho più amato e odiato , il solo maestro che mi riconosca anche nelle giravolte più rischiose e nei più azzardati zig zag . E non sono il solo a trovarmi in queste condizioni . Proprio mentre scrivo questo arruffato articolo , mi hanno telefonato Arrigo Benedetti e Mario Soldati , che pure sembrano camminare così sicuri su una strada diversa da quella su cui Longanesi ci aveva tutti avviati . « E ora ? » mi hanno chiesto con voce di pianto . « Come faremo a scrivere senza più la paura e la speranza di ciò che avrebbe detto Longanesi leggendoci ? » Si sentivano orfani anche loro , come me . Nessuno degl ' italiani contemporanei ha lasciato , o lascerà , morendo , il vuoto che lascia Longanesi . In nessuna generazione un italiano ha scavato così a fondo e durevolmente come ha fatto Longanesi in quella nostra . Forse qualcuno la troverà un ' esagerazione , suggeritami dall ' emozione della sua morte . E invece è una vecchia certezza , di cui m ' impegno a riconoscere la validità anche nel più lontano futuro . È difficile dimostrarlo , perché di suo rimane ben poco , un milionesimo di quello che avrebbe potuto darci , e impossibile da raccogliere in un ' opera organica , sbriciolato com ' è in frammenti di diario , in abbozzi di disegni , appunti e schemi . L ' avaro Longanesi era troppo occupato ad arricchire noi per accumulare di suo . Per me , non oso fare il conto di quello che mi rimarrebbe , se dovessi restituirgli tutto ciò che mi ha dato . Non ho avuto il tempo di dirglielo , ora è troppo tardi , uno stupido pudore mi ha sempre trattenuto . Ma anche il pudore me lo aveva insegnato lui .
StampaQuotidiana ,
Roma , luglio - Il 20 giugno scorso ci fu in televisione un dibattito sul nuovo Ente per l ' energia elettrica , o ENEL , di cui proprio quel giorno era stata annunciata la nascita . Fra gl ' intervenuti c ' era il mio collega Domenico Bartoli , che a un certo punto chiese al consigliere di Stato Mezzanotte se non c ' era il pericolo che questo nuovo Ente calcasse le orme di un altro che , costituito dieci anni fa per servire lo Stato , ne era diventato il padrone . L ' allusione all ' ENI era chiara , ma forse i telespettatori ricorderanno che il consigliere Mezzanotte cercò , nella risposta , di non nominarlo . Succede spesso , perché questa sigla sembra che scotti le labbra di chi la pronuncia . Quella sull ' ENI oramai è diventata in Italia , e forse anche all ' estero , una disputa teologica tra « fedeli » e « infedeli » , e chi non è né di questi né di quelli ha paura a cacciarcisi in mezzo . La stampa indipendente , appunto per conservare quest ' aureola di indipendenza preferisce evitare l ' argomento , lasciandolo in monopolio agli esaltatori e ai denigratori , le cui arringhe o requisitorie hanno nascosto al pubblico gli esatti termini del problema . Con un misto di civetteria e di spavalderia , l ' ingegner Enrico Mattei , presidente dell ' ENI , ha raccolto tutto ciò che si è scritto contro di lui e il suo Ente in una ventina di volumi che , a vederli di lontano , si potrebbero prendere per l ' Opera Omnia di un Gide o di un Proust , tanto sono ben rilegati . A mio parere , manca solo , sul frontespizio , il motto che meglio le converrebbe : « Molti nemici , molto onore » . Ma è sottinteso . Evidentemente Mattei , per fornire la misura della propria grandezza , preferisce il metro dell ' odio a quello dell ' amore . Deve ritenerlo più producente , e i risultati gli hanno dato ragione . A furia di controversie , egli è entrato ormai nel mito popolare , e una voce o per meglio dire un bisbiglio largamente diffuso indica in lui il vero « padrone del vapore » . Se ciò gli giovi o gli nuoccia è difficile dire , perché quando gli italiani si mettono a cercare « il padrone » non si sa mai se lo fanno col timore o con la speranza di trovarlo . C ' è chi dice ( la frase è di uno dei nostri più autorevoli politici ) che , per guarire l ' Italia delle sue molte magagne , basterebbe mettere in prigione Mattei . Ma c ' è chi dice anche che se l ' Italia oggi ha un prestigio nel mondo , lo deve a Mattei . Lo hanno paragonato a Hitler e a Fidel Castro , ma anche a Cromwell , a Lawrence e a Garibaldi , e una importante rivista americana ha scritto addirittura che Mattei è l ' italiano che più ha contribuito a trasformare la faccia del suo Paese dopo l ' imperatore Augusto . In sé e per sé , il rango di Mattei non sembra giustificare la mobilitazione di sì imponenti paralleli storici . L ' ENI , o Ente nazionale idrocarburi , di cui è presidente , è di certo un grosso « carrozzone » , ma di proporzioni assai più modeste di quelle per esempio dell ' IRI , dei cui dirigenti nessuno , ch ' io sappia , ha avuto l ' onore di vedersi paragonato nemmeno a Nino Bixio . Ma il fatto è che i dirigenti dell ' IRI , l ' IRI lo dirigono soltanto ; con l ' ENI , Mattei s ' identifica molto più consustanzialmente di quanto gli stessi Agnelli e Valletta , faccio per dire , s ' identifichino con la FIAT . Ecco perché una biografia dell ' ENI non può che risolversi in una biografia di Mattei , la quale a sua volta sembra che non possa risolversi che in una accusa o in una esaltazione . Io mi proverò a non cadere né in questa né in quella , ma mi rendo conto che l ' impegno è piuttosto difficile . Avverto anche il lettore che non mi riprometto di fare nessuna rivelazione sensazionale o scandalistica . Vorrei soltanto riuscire a spiegargli che cosa è l ' ENI , come funziona , e perché il suo presidente è diventato bersaglio di tante lodi e di tante critiche , di tante speranze e di tanti sospetti . Mattei viene da una famiglia poverissima di origine abruzzese , sebbene egli sia nato a Acqualagna nelle Marche . Suo padre era brigadiere dei carabinieri , quando quelle regioni erano infestate dai banditi . Un giorno ne incocciò uno che tentò di darsi alla fuga , ma s ' impigliò in un filo di ferro e cadde . « Chillu filu ! ... Chillu filu !...» continuò a lamentarsi lo sciagurato per tutti gli anni dell ' ergastolo cui lo condannarono . Era il famoso brigante Musolino . Il brigadiere si congedò nel ' 19 col grado e la pensione di maresciallo e con cinque figli a carico . Per farli studiare voleva stabilirsi a Camerino , dove c ' è anche l ' Università . Ma la vita lì era troppo cara , e si decise per Matelica , dove trovò un posto di guardacaccia . Tuttavia la mensa non doveva essere abbondante in casa Mattei ; e Enrico , a quindici anni , dovette lasciare gli studi e mettersi a fare il verniciatore in una fabbrica . Di lì emigrò in un ' industria conciaria come fattorino ; e in tre anni , con annibalico piglio , fu promosso contabile , capocontabile , vicedirettore , direttore . Così , prima di aver raggiunto la maggiore età , si trovò alla testa di un ' azienda con centocinquanta fra operai e impiegati . Fin d ' allora poteva « sedersi » sui risultati raggiunti e contentarsi di una comoda esistenza di « vitellone » riuscito , con un buon stipendio , un avvenire senza grandi orizzonti ma sicuro , e la « fuori serie » alla porta per trascorrere le domeniche a Pesaro e sedurvi la sciantosa di passaggio . Invece , con gran disperazione di suo padre , a ventitré anni piantò tutto , andò a Milano e ripartì da zero . Dapprima trovò la rappresentanza di una ditta tedesca . Poi si mise a fare il piazzista d ' impianti industriali , e forse fu in questo mestiere che trovò la misura di se stesso . I clienti non resistevano alle seduzioni di questo loro fornitore non per la sua abilità e facondia : Mattei è scarso e scarno parlatore , non irraggia simpatia , non sprigiona calore umano . Ma convince perché è convinto egli stesso . C ' è nelle sue parole e nel suo sguardo una carica di onestà e di sincerità che disarma qualunque sospetto . La sua firma conferisce a qualunque cosa egli l ' apponga un primato di eccellenza cui tutti finiscono per credere perché il primo a crederci è lui . Io non ci ho parlato che un paio di volte , e in ambedue le occasioni mi sono sentito a disagio per il fatto di non riuscire a condividere certe sue opinioni . Ne provavo una specie di rimorso . Forse anche i direttori di banca ebbero la stessa impressione quando Mattei chiese loro un prestito per impiantare una fabbrica di prodotti chimici . Egli non aveva nulla da offrire in garanzia . Ma chi poteva dubitare che la sua merce avrebbe battuto qualunque concorrenza come qualità e prezzo ? I capitali si trovarono e la fiducia si dimostrò fondata . A trent ' anni , Mattei era un industriale , sia pure di modeste proporzioni . Ancora una volta egli aveva puntato tutta la posta su una ambizione più grande e aveva vinto . Ora la sua strada sembrava irrevocabilmente segnata . Ma la guerra e la disfatta gli proposero un ' altra avventura , e lui non esitò . Sulle opinioni politiche di Mattei e sull ' autenticità della sua vocazione democristiana , ci sarebbe da discutere a lungo . Ma ciò che a discussioni non si presta , sebbene ci si sia provati a farne , è la sua condotta di capo partigiano . Lasciamo stare certi episodi e aneddoti che si ritrovano tali e quali nella biografia di tutti gli eroi da Plutarco in giù : gli agiografi , si sa , hanno scarsa fantasia . Però Mattei fu un resistente coraggioso e risoluto e un eccellente organizzatore di brigate partigiane , delle quali fu una specie di Grande Elemosiniere . Lo arrestarono , ed evase . Tornarono ad arrestarlo , e lui riuscì a farsi liberare raccontando una storia che , in bocca a chiunque altro , non avrebbe persuaso nessuno ; ma che , in bocca a lui , con quella carica di onestà e di sincerità ch ' egli sa mettere in tutto ciò che dice , incusse nei suoi carcerieri il rimorso di non crederci . Tanti meriti gli valsero la medaglia d ' oro della Resistenza , la stella d ' argento ( oh , ironia ! ) americana appuntatagli sul petto dal generale Clark , e l ' elezione a deputato . Sembrava che la politica dovesse essere la sua nuova industria , ci si aspettava che la battesse col solito piglio annibalico , e molti furono stupiti ch ' egli si contentasse di un incarico minore come quello di commissario per l ' Agip . L ' Azienda Generale Italiana Petroli era stata un ' invenzione del fascismo per la ricerca degli idrocarburi , aveva sempre vivacchiato male perché gl ' idrocarburi non era mai riuscita a trovarli , e ora non era che un rottame alla deriva , di cui lo Stato intendeva liberarsi al più presto . Il ministro delle Finanze , Soleri , valutava a una sessantina di milioni di lire le sue antiquate attrezzature , e diede ordine al commissario Mattei di liquidarle per quella cifra . Mattei disobbedì . Intuizione ? Non so . Se le attrezzature erano antiquate , i tecnici che lavoravano al servizio dell ' Agip erano giovani e in gamba . Pur con quegli scarsi mezzi , un po ' di metano lo avevano trovato e si dicevano certi d ' imponenti giacimenti . Non erano che congetture , ma Mattei ebbe il merito di crederci , e fu il solo a puntarci sopra . Da Roma seguitavano a ingiungergli di liquidare ; e lui rispondeva scavando pozzi . Li scavava dovunque , infischiandosi dei diritti dei comuni , delle province e dei privati , e non so nemmeno dove attingesse i soldi per pagare tecnici e operai . Oramai si era convinto che il petrolio c ' era , e quindi ci doveva essere . Perché questa è la caratteristica dell ' uomo : come Giovanna d ' Arco e de Gaulle , egli ascolta solo le voci di dentro e non crede che a quelle . Un giorno di marzo del '49 una massiccia nuvola di metano oscurò il cielo di Caviaga e di Ripalta . Il metano è indizio sicuro di petrolio . E molti italiani , a quella notizia , pensarono quasi con intenerita compassione al povero duce , che per vent ' anni aveva clamorosamente reclamato il diritto dell ' Italia alla sua parte di materie prime e specialmente d ' idrocarburi , per procurarsele ci aveva condotto fino in Etiopia , ed era morto senz ' accorgersi che le aveva sotto il sedere perché l ' orgoglio autarchico gli aveva impedito d ' importare dall ' America i mezzi tecnici e finanziari per cercarle . Non so se Mattei abbia riflettuto su questa esperienza di cui è stato il beneficiario . Secondo i suoi esaltatori , solo un fortunato caso volle che , insieme a un folto stuolo di giornalisti e di fotografi , il ministro Vanoni si trovasse presente a Cortemaggiore quando , insieme a un altro nuvolone di metano , uno zampillo di petrolio eruppe dal suolo . Naturalmente il caso non c ' entrava affatto . Ma noi ascriviamo a merito , non a demerito di Mattei , e a riconoscimento del suo tempismo e intuito politico , la ben pianificata spettacolarità e drammatizzazione della scena . Ora che i giacimenti d ' idrocarburi erano apparsi di tale entità da rendere conveniente lo sfruttamento , la valle del Po era stata presa letteralmente d ' assalto dalle compagnie private , e il ministero per l ' Industria e il Commercio era sepolto sotto una valanga di richieste di concessioni . Secondo una vecchia legge del '27 , chiunque poteva ottenere il permesso di fare ricerche nel sottosuolo . Non era chiaramente detto che dalla scoperta d ' idrocarburi derivasse automaticamente un diritto di sfruttamento : ma era considerato implicito . Tuttavia le compagnie premevano perché questo automatismo diventasse esplicito , e specialmente í legali americani della Esso Standard lo fecero in maniera pesante e malaccorta . A Mattei , per assicurarsi un monopolio che la legge non prevedeva e che anzi sembrava incompatibile coi princìpi liberisti cui s ' ispirava il governo di De Gasperi , non restava che un ' arma : suscitare una grande suggestione collettiva e patriottica , persuadendo gl ' italiani ch ' essi erano i depositari di una immensa ricchezza , da difendere coi denti contro la rapacità dei monopoli privati e le interferenze dello « straniero » . Ci riuscì con la indovinata regia di Cortemaggiore . Io stesso ricordo l ' emozione che suscitò nella redazione di questo giornale la notizia recata dai trafelati cronisti e fotografi di ritorno dal teatro di quel sensazionale avvenimento . Nessuno pensò al metano . Tutti restammo ipnotizzati dallo zampillo di petrolio che nelle nostre fantasie ( e purtroppo anche nei resoconti della stampa ) diventò rivolo , torrente , cateratta , fino a trasformare la valle del Po in una specie di Texas . Il petrolio ! Avevamo il petrolio . Mattei non badò ai mezzi per tener caldi quegli entusiasmi . A un certo punto si diffuse o fu diffusa la voce che « il nemico » aveva in animo di appiccare il fuoco a qualche pozzo per poter muovere a Mattei l ' accusa d ' incompetenza o negligenza . Era vero ? A ogni buon conto , Mattei rimobilitò i suoi ex partigiani e li dispose di fazione ai giacimenti che , sacralizzati dalle armi e dalle uniformi di quei bravi giovanotti , vennero per così dire incorporati nel mito della Resistenza e ne condivisero l ' intoccabilità . « La cassaforte è aperta » dichiarò Mattei in una intervista a questo giornale , « basta affondarci le mani per trarne tesori . » Ma queste mani , naturalmente , dovevano essere italiane . Anche le discussioni in Parlamento risentirono di quest ' atmosfera , e il ministro socialdemocratico Ivan Matteo Lombardo rilevò con ironia che molti argomenti sembravano presi a prestito da certi giornali del defunto regime come « Il Tevere » e « L ' Impero » . La battaglia per assicurare allo Stato , cioè a Mattei , il monopolio delle ricerche e dello sfruttamento degl ' idrocarburi nella valle del Po fu lunga , e non vai la pena ritracciarne le fasi . Mattei forse non l ' avrebbe vinta , se non avesse avuto dalla sua il ministro delle Finanze Vanoni e lo stesso presidente De Gasperi . Vanoni era un uomo di grande intelligenza e competenza economica , onesto , timido e malinconico , su cui certo non faceva presa la demagogia autarchica e nazionalista . Qualcuno dice che fu succubo del carattere autoritario e imperioso di Mattei , ma io non ci credo . E che Vanoni , democristiano di adozione , aveva origini socialiste . Non era un esacerbato statalizzatore ; ma accettava che lo Stato si sostituisse all ' iniziativa privata , specie in certi settori di pubblica utilità com ' è quello della produzione di energia . Quanto a De Gasperi , che di economia s ' intendeva poco , fu mosso da considerazioni politiche . L ' idea che degli americani s ' impiantassero in una zona « calda » come quella padana , dove in quel momento si moriva con molta facilità , fornendo pretesto coi loro altezzosi e stupidi compounds ai risentimenti comunisti sempre strettamente legati a quelli nazionalisti , gli fece paura . Mattei veniva dalla Resistenza , aveva dalla sua i partigiani , agiva in nome dello Stato e dell ' anticapitalismo . Era impossibile attaccarlo come « colonialista » , « imperialista » e « sfruttatore del popolo » . Così si consumò l ' esclusione dell ' iniziativa privata , italiana e straniera , dalla valle del Po ; e il 10 febbraio del '53 fu varata la legge che istituiva l ' ENI e conferiva a Mattei i poteri che oggi tanto inquietano la pubblica opinione .
Partono per la Luna ( Montanelli Indro , 1969 )
StampaQuotidiana ,
Oggi prende il via il volo verso la Luna , la più grande avventura umana di tutti i tempi . Così grande che ogni tentativo di magnificarla ci sembrerebbe retorico e vuoto . Ci limiteremo a dire che la coscienza - per chi ce l ' ha - di appartenere a una società e a una generazione capaci di realizzare simili imprese ci procura qualche prurito di orgoglio . Con buona pace dei contestatori . Vorremmo solo fare due piccole osservazioni . La prima è di ordine , diciamo così , cautelativo . Forse in tutto il mondo , ma certamente in Italia , ci sembra che il pubblico si disponga a seguire sul video questa straordinaria vicenda con una fiducia quasi assoluta nella sua riuscita . È abbastanza naturale , dato il successo dei voli precedenti . Gli americani ci hanno male abituati . A parte il tragico incidente dei tre astronauti carbonizzati , che tuttavia si verificò prima del lancio , in sede di collaudo delle apparecchiature , l ' Ente spaziale americano non ha registrato sconfitte . Né c ' è nemmeno da sospettare che ne abbia tenuta nascosta qualcuna . Gli americani accettano di farsi torchiare dal fisco per finanziare la conquista del cielo . Ma esigono che essa si svolga sotto gli occhi loro e di tutti , senza segreti . Il fatto che fin qui ogni tappa sia stata puntualmente raggiunta secondo la tabella di marcia non deve tuttavia trarci in inganno . Von Braun , il grande architetto di questi voli , ha parlato chiaro : confido , ha detto , nella vittoria , ma un margine d ' incertezza c ' è . E del resto , se non ci fosse , la più grande avventura umana non sarebbe né avventura né umana : che sono i due attributi per i quali tanto ci esalta . Il secondo punto riguarda lo sforzo organizzativo di cui essa è il risultato . Per arrivare a questo traguardo , l ' America ha speso ventiquattro miliardi di dollari , qualcosa come sedici o diciassettemila miliardi di lire . Ma non lasciamoci ipnotizzare dalla macroscopicità di queste cifre . Ventiquattro miliardi di dollari non rappresentano che lo 0.50 per cento del reddito nazionale americano , una briciola dunque . E infatti quello del finanziamento è stato , per il governo di Washington , il problema meno arduo da risolvere . Molto più complesso dev ' essere stato quello del coordinamento . L ' economia americana non è un ' economia di Stato , che lo Stato possa orientare a sua volontà , concentrandone le capacità inventive e produttive nel campo che più gli convenga . Deve fare i conti coi privati , e deve farli senza polizia e campi di concentramento ( o , come oggi si dice con soave eufemismo , di " rieducazione " ) . Ecco perché , all ' inizio della sfida spaziale fra America e Russia , tutti o quasi tutti puntavano piuttosto sulla Russia , che oltre a godere di un notevole margine di anticipo , poteva impegnarvi tutto il suo potenziale tecnologico e industriale . Trattandosi di una " programmazione " di gigantesche dimensioni , ci pareva che i sovietici fossero in grado di attuarla con maggiore rapidità ed efficienza . Non è stato così , e il fatto dovrebbe indurci a qualche riflessione . All ' approntamento dell ' Apollo 11 hanno collaborato - ci dicono - trecentomila tecnici , che non sono impiegati di Stato , e ventimila imprese , che non sono imprese di Stato . Sono dati sommari e grossolani . Ma bastano a farci capire quale chiarezza e reciproca fiducia , in America , debbano improntare i rapporti fra il settore pubblico e quello privato . Evidentemente fra l ' uno e l ' altro c ' è dialogo aperto . E in un caso come questo , non è difficile capire come si è svolto , anche perché la stampa americana ce ne ha fornito parecchie indicazioni . Lo stato non si è limitato a delle " commesse " . Ha convocato i singoli imprenditori , i loro stati maggiori tecnici , i dirigenti dei grandi istituti di studio e di ricerca , e ha discusso con loro l ' opportunità di una vasta mobilitazione di mezzi e di energie per la conquista dello spazio . Ci sono stati dissensi e opposizioni . Ce ne sono ancora . Non tutti gli americani sono persuasi di ciò che l ' America fa in cielo : qualcuno dice che farebbe meglio a occuparsi un po ' più della terra e che la conquista della Luna rappresenta per essa ciò che la costruzione delle piramidi rappresentò per l ' Egitto : un inutile e rovinoso scialo . Ma alla fine ha prevalso la tesi politica : che la conquista della Luna costituisce non soltanto un primato cui il paese non può rinunciare , ma anche il pretesto e l ' occasione di un balzo avanti tecnologico , di cui tutta la produzione , e quindi tutta la società , risentiranno i benefici effetti . Non vogliamo entrare nel merito di questa polemica , fuori portata delle nostre modestissime competenze . Vogliamo soltanto rilevare che anche una democrazia , quando p efficiente , può programmare senza punto rinnegarsi , cioè nel pieno rispetto delle libertà del cittadino . Certo , occorre uno Stato che non si atteggi a persecutore del privato e dei privati che non si atteggino a vittime dello Stato . Ma l ' efficienza di un sistema politico consiste proprio in questo . E l ' impresa dell ' Apollo 11 ne rappresenta per l ' appunto il magnifico frutto . Essa è figlia di una mobilitazione , ma senza cartolina - precetto , per arruolamento volontario . La più grande avventura umana di tutti i tempi è grande anche per questo : perché dimostra che perfino nelle " pianificazioni " in cui sembrerebbe per sua natura sfavorita , la libertà paga più e meglio del totalitarismo .