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D'ANNUNZIO MORTO ( OJETTI UGO , 1938 )
StampaQuotidiana ,
31 marzo . FIRENZE . È passato già un mese da quando l ' ho veduto nella corte del Vittoriale , disteso sotto un arco , all ' aria aperta , vestito da generale , il volto cereo senza labbra , le mani riunite sul grembo , le gambe coperte dal tricolore ; e prima d ' inginocchiarmi l ' ho baciato sulla fronte , più fredda del marmo . Una miseria dei molti anni è che davanti a un amico morto si cade senza volerlo a pensare a noi stessi , a confrontare l ' età sua con la nostra , i malanni che l ' hanno spento coi malanni che presto o tardi spegneranno noi . Davanti a lui , per fortuna , no . Sempre , chi gli ha voluto bene , l ' ha sentito d ' un ' altra razza e d ' un ' altra specie , intento in ogni gesto e parola a foggiare di sé stesso l ' immagine e la persona che dovevano sopravvivere . Ecco infatti la triste e cascante maschera che la vecchiaia gli aveva imposta , in meno d ' un mese scomparsa dalla mia memoria . Penso a lui , rileggo lui , sillabo Gabriele , allungando la prima e com ' egli stesso faceva quasi per assaporare il miele del suo nome ; e Gabriele mi riappare giovane fresco snello scattante agghindato profumato , una mano sul fianco stringendolo tra pollice e indice , la gamba destra un poco piegata , col piccolo piede ritto sopra la punta , come d ' un corridore sulla mossa . Aveva allora il gesto rapido a seguire il pensiero , la risata squillante a braccia levate , la voce di testa , nitida e acuta che accompagnava la parola fino all ' ultima vocale , tagliava la tua frase con una forbiciata , e poneva sùbito la conversazione un tono più su dell ' ordinario . Una punta di barbino biondo gli aguzzava il mento e metteva anche più distanza tra mento e orecchio , tra mento e zigomo : una distanza che a guardarlo di fronte non s ' immaginava , ma che dava al profilo di lui uno slancio aggressivo , un che del falchetto pronto a osare e a beccare . La bocca schiusa , le labbra scoperte , gli occhi lunghi d ' un color marrone chiaro che mutava in grigio , il naso forte , un po ' carnoso come erano le mani , e tra i due sopraccigli una piega verticale così fonda che , quando era stanco , sembrava una cicatrice . Siamo in molti ancora a ricordarcelo così ma , fossi io solo , mi sembra che tra cent ' anni , se non si trovasse più un ritratto di lui , da ciò ch ' egli ha scritto e ha fatto e dalle leggende in cui s ' è avvolto , un lettore attento se lo figurerebbe proprio quale adesso io lo rivedo . Come in questa troppo lunga Italia era già capitato pel trasporto di Carducci , quella mattina dietro a D ' Annunzio s ' era in tanto pochi scrittori che il poeta , tra ministri in divisa militare , marescialli , generali , ufficiali , legionari , soldati , portato su un affusto di cannone , pareva dimenticato : un condottiero , non un poeta . Eppure la guerra predicata , difesa e combattuta , e l ' occupazione di Fiume erano state il coronamento della sua poesia , il frutto di quel fiore . La notte avanti , a vederne la salma esposta all ' aria aperta come non avevo mai veduto altre salme , e a sentire l ' aura fresca e lieve che saliva dal lago , passava tra gli archi e gli alberi , s ' impregnava del profumo delle violette nelle ghirlande e sfiorava lui in un sospiro , m ' era tornata in mente una terzina sul principio dell ' Alcyone : Deterso d ' ogni umano lezzo in fonti gelidi , ei chiederà per la sua festa sol l ' anello degli ultimi orizzonti . Era con noi fedelmente dietro la salma Ruggero Ruggeri , in borghese , lui , come il Gabriele d ' una volta . Me ne avvidi sulla gradinata della chiesa di Cargnacco . D ' Annunzio in chiesa , benedetto con l ' aspersorio e l ' incensiere , davanti alla croce di Gesù : ecco l ' altra novità inaspettata , e questa , sì , ci annunciava l ' estrema pace . Se Ruggeri , che con la sua pronuncia lenta e precisa sembra leggendo una poesia confidare il segreto d ' un miracolo , ci avesse detto sottovoce dieci versi di lui , in quanti tra quella calca li avremmo riconosciuti ? Di quel trasporto due immagini mi stanno ancora negli occhi : Mussolini e donna Maria , l ' avvenire e il passato . Il volto di Mussolini era chiuso ma dolce ; le spalle quadrate , incrollabili ; il passo su per la salita sicuro uguale pesante : « Sta certo , sta certo , sta certo : con questo passo l ' Italia arriverà sulla vetta che io so , sulla vetta che tu poeta hai sognata » . Donna Maria d ' Annunzio procedeva alla destra di lui , dentro un lungo fitto velo nero , alta e sottile come quando si sposò e come Sartorio la ritrasse nel dittico delle Vergini savie e delle Vergini folli . Le avevo parlato poco prima ; anche lo sguardo era quello , anche la voce era rimasta quella , piana e soave tanto che nel pieno d ' una calca riusciva sempre a formare una zona di tranquilla intimità , quasi che la pace emanasse dalla sua grazia . A ogni svolta distinguevo sotto il velo il suo profilo affilato e le gote smunte . Vicini andavano i due figli , Mario e Gabrielino . Il cranio nudo di Mario pareva il cranio del padre . Fin nell ' occipite , dove la sutura sagittale si biforca , le due fossette erano calcate su quello . V ' era sole , ma velato . Una luce bianca e diffusa rischiarava tutto , il lago , la strada , gli ulivi , le case , senza un filo d ' ombra : una luce di limbo . I ricordi andavano e venivano , ora fugaci e sbiaditi perché non avevo la forza di trattenerli e definirli ; ora così netti che non vedevo più chi mi camminava allato . I tanti amici cui egli e io siamo stati legati e che lo hanno preceduto di là , De Bosis , Michetti , Conti , Scarfoglio , Matilde Serao , Morello , Sartorio , Jarro , Tenneroni , Trentacoste , Praga , Treves , Origo , passavano in quei ricordi . Erano molti , e quasi mi rimordeva di dimenticarne uno solo , in quel salire verso la tomba . Lo scalpiccio del corteo dietro a me , senza una parola , senza una voce , per un attimo l ' ho creduto di loro . Adolfo , Edoardo , Marco ... Un richiamo m ' ha scosso . Ero accanto al generale Moizo , tale e quale il Moizo aviatore del 1915 e del 1916; soltanto , canuto . Mi diceva sommesso : Vi ricordate ? Gabriele , ancora con la divisa di Novara cavalleria e il collo di panno bianco , non parlava ormai che d ' aviazione . Una sera a Gradisca , appena sceso dal Carso , alla mensa della brigata Toscana tra tutti fanti non sognava che ali : Domandatelo a Ugo che mi conosce da anni . Io le ali le ho avute sempre . Soltanto allora non mi si vedevano . Quando la salma è giunta presso la cima del colle , è cominciata la salva del cannone . Donna Maria ha alzato il volto come se quei colpi a rosario venissero dal cielo ; e un ricordo m ' è venuto al pensiero , da lontano lontano . Una sera di maggio a Roma pranzavamo sulla terrazza di Maria d ' Annunzio che allora abitava a Trinità dei Monti , con le finestre sulla scalinata verso piazza di Spagna . Anche Gabriele era invitato , ma arrivò tardi scusandosi con aria di mistero . Appena venne buio , condusse De Bosis e me nell ' anticamera , ci affidò due pacchi ed egli ne prese un terzo , più grande . Quando rientrò davanti ai convitati , avverti serio serio : Non toccate , sono pacchi di esplosivi . Erano fochetti artificiali , razzi , stelle , bengali , petardi , candele romane , e li cominciò a legare prestamente ai ferri della ringhiera , rimproverandoci di non essere così rapidi e capaci com ' era lui abruzzese . La testa , bada , verso piazza di Spagna . Se no , ti scoppia in bocca . A Francavilla qualunque ragazzo ne sa più di te . In pochi minuti la batteria era in ordine , ed egli con un cerino cominciò ad accendere . Nella conca della scalinata ogni scoppio rimbombava assordante . Finestre e logge si gremirono di spettatori . Dagli altri piani qualcuno cominciò a protestare , e Gabriele alla luce dei bengali spiegava felice , ridendo e saltando : Non abbiate paura , non sono che tipitappi , non sono che tipitappi . Quando dei fochetti non restò che il fumo , gli chiedemmo : Che sono i tipitappi ? Non sapete che cosa sono i tipitappi ? Ignoranti . Sono quello che i napoletani chiamano tricchitracchi , e non volle dire altro . Queste parole sono troppe , perché quel ricordo fu un lampo . Il corteo s ' era disperso . Il Duce era ripartito . Ma l ' Abruzzo quella mattina non doveva per fortuna lasciarmi più , ché la chiave di D ' Annunzio è nascosta lì davanti al mare , tra gli aguglioli della pineta alla foce del Pescara . Incontro Giacomo Acerbo , a capo d ' un manipolo d ' abruzzesi : il priore della nuova chiesa di Pescara , il preside della Provincia , una donna in capelli che reca in un ' olla la terra presa sulla tomba di donna Luisa , della madre del poeta , e v ' ha piantato su qualche fiore reciso per mettere un poco di luce su quel terriccio di morti . È un conforto ascoltarli , udire in quella parlata grave ed antica le notizie di D ' Annunzio e della sua casa e della sua chiesa , come s ' egli da laggiù fosse partito ieri . Vecchio infatti non l ' hanno veduto ; da vecchio egli laggiù non s ' è lasciato vedere . Ieri notte ero tornato per la terza volta al Vittoriale . M ' ero chiuso col dottor Duse e con Antonio Bruers a parlare degli ultimi momenti di lui . Bruers piangeva : L ' avesse veduto nel suo pigiama marrone , quando l ' hanno portato dalla poltrona sul letto . Il capo cadeva indietro , le braccia pendevano . Il comandante , capisce , il comandante , ridotto come un fantoccio . Atroce : come un fantoccio . Ed era ancora caldo , così caldo che io lo credevo svenuto , e affettuoso metteva la fronte sulla mia spalla e piangeva . Interrogavo Duse . Era proprio vero , Gabriele si voleva sempre curare da sé : per tre giorni non prendeva cibo , poi d ' un colpo tre o quattro uova . Noi in Abruzzo ci curiamo così , e si campa cent ' anni . Un pastore della Majella ne sa più di te . Fuori , davanti alla salma , era ancora un poco di gente . La campana della parrocchia continuava a rintoccare nell ' aria nera , col ritmo inesorabile d ' un palpito , come per misurare il nostro tempo mortale nel confronto con l ' immobile eternità dove egli era scomparso . Parlavano dell ' età di lui , della morte improvvisa . E uno , invisibile , ha detto : Ha lavorato tanto , e una voce di donna ha soggiunto con un sospiro materno : Poveromo . Il pastore della Majella , Aligi , che ieri ha cominciato a dormire per non svegliarsi più . Così m ' è venuto alla mente un ritratto donatomi da lui la prima volta che sono andato a Francavilla . Adesso l ' ho qui davanti agli occhi . Gabriele porta una mantella pesante e un berretto a punta , di maglia di lana , col fiocco in cima . Con la mantella ricopre anche la sua figliola Renata , incappucciata come lui , e un folto di riccioli le sfugge dal cappuccio . Renata , o Cicciuzza come allora la chiamava , avrà in questa fotografia quattro o cinque anni . È l ' infermiera del Notturno . Ho riaperto il libro . Anche il padre lì la rievoca a cinque anni , in quella casa bianca sul mare , dove fu fatto il ritratto che io guardo e dove ella gli « appariva senza rumore , come uno di quelli uccelli che si posano sopra un ramo leggiero e aspettano che esso cessi d ' oscillare per intraprendere il loro canto » . Quel giorno invece nel Notturno ella tornava presso il letto del padre infermo dopo la visita dei Sepolcri . « Su la sua veste bruna , mi sembra di fiutare un odore di ceri , un odore d ' erbe scolorate e di violacciocche . Il viso è più stretto , il mento è più affilato . È piccola , stasera . È una povera piccola stanca , affaticata dalle tenebre e dal profumo funebre , bisognosa di riposarsi . » Proprio così era stamane , dietro al feretro , pallida , stanca , vestita di lutto , sola coi suoi ricordi .
ROMA NUOVA ( OJETTI UGO , 1938 )
StampaQuotidiana ,
12 aprile . ROMA . Da quasi un anno per l ' esposizione mondiale del 1942 hanno cominciato a spianare di là dalla basilica di San Paolo le collinette verso il bosco d ' eucalitti che una volta difendeva dalla malaria l ' abazia delle Tre Fontane . Tempi preistorici : allora , quando eravamo ragazzi , andare alle Tre Fontane era un ' escursione per la quale si partiva da casa con la colazione o la merenda nel tascapane . Era un ' escursione e quasi un ' esplorazione perché a chi di noi s ' allontanava dalla strada Laurentina gli anziani annunciavano pericoli addirittura di morte per le buche e le frane delle cento vecchie cave di pozzolana , nascoste tra cardi e pruni , popolate di serpi e , alle prime piogge , di rospi e raganelle . Il mondo s ' è fatto più piccolo e , dicono , più sicuro . Per uguagliare questo pianoro di cinquecento ettari , lungo , presso a poco , quanto dal Campidoglio a piazza del Popolo , anzi fino al Ministero della Marina , e largo altrettanto , si dovranno smuovere cinque milioni e mezzo di metri cubi ; e già se n ' è smossa quasi la metà . Ma l ' importante è che , spenta e chiusa dopo sei mesi l ' esposizione , là non tornerà un arido deserto di calcinacci di cemento , con altrettanti trabocchetti e buche come quelle di terra che spianatori e costruttori trovano adesso e cólmano . Là resterà una città , un altro grande e comodo e monumentale quartiere di Roma , col suo lago , le sue strade , piazze , giardini , alberate , fontane , con la sua chiesa , i suoi musei , teatri , uffici e alberghi , a sette od otto minuti dal Colosseo : Roma nuova , come nella suddetta preistoria chiamavamo la Roma da via Nazionale in su . Insomma adesso il cómpito dato da Mussolini a Vittorio Cini è di preparare , sì , una grande e ricca e piacevole esposizione dove la gente abbia da imparare e da divertirsi senza affaticarsi , ma anche lo schema e l ' ossatura d ' una bella città . Il durevole , prima di succedere all ' effimero , deve intanto dargli , poiché siamo a Roma e si ragiona da romani , forma , comodità e maestà : problema , prima di tutto , d ' architettura . Per adesso , tutti d ' accordo , perché v ' è soltanto il nudo terreno , anzi il luogo dove uomini e macchine vanno preparando il terreno . A settentrione di là d ' un gran prato verde s ' intravvede di Roma un quartiere nuovo nuovo , non propriamente monumentale , ma una nebbiola bassa e azzurrina lo vela gentilmente ; e dietro il Gianicolo appare la cima della cupola di San Pietro , d ' argento opaco , come una luna che sorge . Il silenzio è rotto da fischi di locomotive , da brevi ànsiti di macchine scavatrici , fondi talvolta come ruggiti quando il raffio addenta terra e sassi e le catene cigolano . Ma l ' aria immobile ingoia d ' un colpo ogni suono e il silenzio torna padrone : un silenzio d ' eternità . Il suolo vulcanico su cui i re e la repubblica fondarono e aggrandirono Roma , è simile a questo , falda a falda : al sole un palmo o due di terra buona da seminare ; sotto questo po ' di terra , pozzolana bigia o rossa e tufo , buoni per murare e per costruire . Dove una volta le frane e adesso le macchine hanno tagliato il terreno , questi filoni orizzontali appaiono netti , sovrapposti regolarmente come gli strati di fondazione d ' un grande edificio . Poco da mangiare , molto da lavorare ; poco da godere , molto da costruire : non sono queste le basi morali dell ' antica Roma ? E senza questa miracolosa pozzolana laziale che con poco grassello di calce fa presa anche sott ' acqua , compatta per millenni più d ' una roccia , l ' architettura romana , la forma cioè e il volto di Roma , e l ' incrollabile prova della sua durata non esisterebbero . Bisogna diffidare , lo so , delle similitudini ; ma gli acquedotti e il Colosseo sono insieme fatti e idee . L ' aratro che adopera il senatore Cini non è per fortuna quello che adoperò Romolo tracciando il solco quadrato . È meccanico , va giù col vomere fino a settanta centimetri , rovescia terra e pezzi di tufo ; e la trattrice che lo trascina , sobbalza come un carro armato all ' assalto d ' una trincera . Talvolta lo sforzo è tanto che la corda d ' acciaio si strappa . Sùbito dietro l ' aratro , i badilanti caricano sui vagoncini la terra sconvolta , e appena i venti vagoncini sono colmi , la piccola locomotiva se li trascina via fischiettando , laggiù dove il terreno s ' ha da alzare e non da abbassare . Mille e cento sono adesso questi operai ; scamiciati , impolverati e contenti , nella certezza d ' avere lavoro per quattr ' anni . Uno s ' è ficcato tra l ' orecchio e la tempia una di queste piccole orchidee selvatiche , bianche e verdi come il fiore dell ' aglio , e mentre il rosario dei vagoncini parte con un fracasso di ferraglie sulle verghe malconnesse della decoville , s ' appoggia con le due mani sul manico del badile , guarda lontano e a mezza voce canta : Vivere senza malinconia , Vivere senza più gelosia ... Mentre canta , è più solo lui dei compagni silenziosi che allineati aspettano un ' altra fila di vagoncini , vuoti . Un minuto : arriva , e i manovali le si mettono a fianco . Una goccia di saliva sulla palma delle mani , e il lavoro ricomincia , così puntuale che si coglie il ritmo delle pale ficcate nella terra , della terra rovesciata nel carrello , del lampo bianco della pala in aria . Così ordinato fosse il lavoro di tutti noi , con quella pausa del fiore e del canto . La ragione sarà che io purtroppo non riesco a diventare ancora il vero uomo moderno , homo occidentalis mechanicus neobarbarus ; ma il fatto è che il lavoro d ' una macchina mi piace quando assomiglia nei gesti al lavoro umano , centuplicato , s ' intende , nella forza , e senza rischio mai di stanchezza perché la macchina con un poco di lubrificante è sempre giovane e sempre attenta . Insomma per me il modello del mondo resta ancora l ' uomo , e la macchina non è ancora diventata il modello dell ' uomo : difetto grave , e il peggio è che talvolta me ne vanto . Ora delle oneste macchine le quali lavorano qui , le più simpatiche mi sembrano le scavatrici . Una me la sono goduta stamane da vicino , e il soprastante che me ne spiegava i congegni , le sorrideva affettuoso come a un bel cavallo da circo , docile e lustro , e aveva ragione quando diceva : Le manca la parola , le manca . Quella infatti alzava il braccio con la benna , l ' avvicinava al greppo da mordere , contro gli puntava quattro lucide zanne d ' acciaio aguzze come pugnali , e oscillando un poco per lo sforzo gliele conficcava dentro fino in fondo . Poi le quattro zanne si rizzavano , e zolle , sassi , schegge , terriccio entravano nella benna giusto giusto , ché la scavatrice non ne aveva afferrato un pugno di troppo . Allora il braccio si girava e si fermava preciso sopra un carrello del trenino . La benna s ' apriva ed empiva il carrello ; e la macchina tornava a puntare i denti contro il costone da abbattere . L ' omino che era il cervello della macchina , maneggiava due leve con più leggerezza d ' un cavaliere quando tira a destra o a sinistra la briglia . Il soprastante accanto a me fissava l ' orologio : La benna contiene un metro cubo e venti . In ventisette secondi si riempie e si scarica . Dieci di queste macchine scavatrici lavorano a preparare il pianoro per l ' esposizione ; ma tanto pesano che bisogna saggiare bene il terreno prima di collocarle , non abbiano a sprofondare in uno di questi grottoni . Quando nel 1885 sul fianco settentrionale del Campidoglio si tentò di piantare le fondazioni del monumento a re Vittorio Emanuele , non s ' incontrarono che tane e cunicoli tagliati per cavar tufo o per difendere l ' arce ; e la somma che s ' era stanziata per erigere tutto il Vittoriano , bastò appena a riempire e consolidare quell ' alveare . Così qui . Il suolo traditore è provato continuamente dalle sonde , le quali ogni poco incontrano il vuoto . Quando s ' è determinato così il luogo d ' una caverna nascosta , si cinge subito con una stecconata quadra , perché carri o macchine non s ' avventurino là sopra . Sono chilometri e chilometri di gallerie da cavar pozzolana , alcune praticabili dai carretti , anche se adesso ostruite dagli scoscendimenti . A guardarle dall ' alto , profonde e cupe tra rovi e sterpi , sembrano rifugi di trogloditi o di banditi o , nei primi secoli dopo Cristo , di cristiani perseguitati . Talune catacombe sono infatti nate così , in questi antri . Tre aeroplani che volano alti a triangolo , mi fanno alzare gli occhi al cielo . Per godere un paesaggio la luce è quello ch ' è la voce per capire un uomo . Anche la luce ha un tono . Se mi trasportassero addormentato a Roma , a Firenze , a Venezia , a Milano e svegliandomi spalancassero la finestra sul cielo vuoto , io mi vanterei di saper dire , dalla luce , dove mi trovo ; ma forse è un ' illusione come quando , se odo uno parlare , mi provo a non badare al senso delle parole ma solo al suono e alla modulazione della voce , e a giudicarlo così , colui che parla , sincero o retore , affranto o audace , meschino o magnanimo . La mia guida m ' indica il punto verso Roma dove la via Imperiale taglierà il viale di pioppi delle Tre Fontane . La via Imperiale sarà l ' asse dell ' esposizione , si biforcherà per passare su due ponti il lago , attraverserà il bosco e dalla Porta del Mare filerà lucida e diritta verso Castel Fusano e il lido . Via , lago , bosco : tutto è ancora sulla carta , e laggiù verso mezzodì mi commuove la sorte d ' un bel ciuffo di pini a cupola perché essi sono già realtà . Si tenterà di trasportarli , diciamo così , in vaso . Morranno ? Vivacchieranno estenuati , sostenuti da tre puntelli ? Siamo venuti dentro una baracca a guardare la planimetria a colori dell ' esposizione : opera difficile meditatissima ed equilibrata cui per mesi e mesi ha atteso Marcello Piacentini . Ecco gli edifici che sopravviveranno , ecco le strade , ecco i luoghi di sosta per le automobili , ecco la stazione della ferrovia sotterranea , ecco i giardini , ecco la chiesa , ecco il lago della città futura . Quale altra città avrà un così bel lago , tra sponde di pietra , con un teatro aperto all ' uno dei capi , con una scalinata di marmo bianco e oro da cui l ' acqua scenderà sfavillando ? Meraviglie . Ma questa mattina ho anche meno fantasia del solito . La carta resta carta , il verde non riesce ai miei occhi a diventare bosco , né il turchino acqua . Il gran vuoto fuori della baracca , il cielo altissimo e quasi bianco negli eccelsi , i fischi rauchi delle piccole locomotive , la collinetta col bosco d ' eucalitti , ai nostri piedi le grotte nere aperte , chi sa , da secoli , laggiù quel folto di pini che stanno per morire ; questa solitudine che abbiamo appena cominciato a sconvolgere con metodo inesorabile e che tra un anno sarà irta di bianchi scheletri di case e di palazzi ; questa solitudine che , salvo qualche carrettiere e qualche cacciatore , era inviolata , anzi dimenticata da millenni , ecco quello che m ' attira stamane , soltanto perché non lo rivedrò più . Vivere senza malinconia ... cantava il manovale . Ma no , un poco di malinconia aiuta a vivere . La malinconia non è che l ' ombra della memoria .
LA DUSE ( OJETTI UGO , 1938 )
StampaQuotidiana ,
26 luglio . Quante volte in questa rubrica ho già narrato ciò che ricordo d ' Eleonora Duse ? Oggi ho finito di leggere il libro d ' Olga Signorelli su lei . A ogni pagina altri ricordi mi apparivano davanti agli occhi . È un libro copioso , come ha detto Alfredo Panzini lodandolo ; ma certo è il libro più cordiale e probante finora scritto su quella memorabile donna . È infatti il solo libro che ce la mostra dall ' interno , non dall ' esterno . Eleonora Duse è stata un ' attrice stupenda e cordiale , ma quieta anche nella tragedia , di pochi gesti e di poche grida , tutta misura e ritegno , e solo con uno sguardo senza nemmeno muovere il volto otteneva ciò che altre non ottenevano con un balzo e con un urlo ; ma come donna è stata complicata , irrequieta ed ansiosa , spesso stonata e sfasata , ogni anno più schiava delle parole così da scambiarle per realtà , e innamorata del dolore , vero o immaginario , proprio o altrui , come l ' ape è innamorata del fiore . Del dolore aveva la curiosità e , oserei dire , il desiderio . Era la sua nobiltà : il suo solo snobismo . L ' arte è dolore ; l ' amore è dolore ; la gloria è dolore ; la ricchezza è dolore ; la potenza è dolore ; la vita , insomma , è dolore . Ed ella era colma di vita . La prima volta che vidi la signora Duse fuori di scena , quando cioè le fui presentato ( e deve essere stato verso il 1895 ) , la trovai per terra , distesa sopra un bel tappeto , tra molti cuscini . Mi invitò a sedermi accanto a lei su un altro tappeto : che , in Oriente forse , ma dalle parti nostre non è un esercizio comodo , specie quando ci s ' ha da rialzare . Vedendo che titubavo , m ' offrì a braccio teso uno dei suoi cuscini . S ' era in casa di fedeli e sottomesse amiche sue , in via Gregoriana : due tedesche , Elena Oppenheim e Maria Zernitz , l ' una magra e l ' altra grassa ; amiche anche di molti musicisti , Sgambati , Consolo , Gulli , Bossi , Baiardi , e d ' uno scultore , Chiaradia , quello della statua dorata di Vittorio Emanuele in mezzo al monumento capitolino . Spesso , se veniva a Roma e non recitava , la Duse scendeva da quelle amiche , padrona dispotica d ' ogni loro minuto , gesto e pensiero . Esse dovevano averle mostrato i titoli d ' uno o due articolucci miei di letteratura inglese . Supina , poggiando la nuca sopra le palme delle mani raccolte a conchiglia : Chi è il maggior poeta inglese vivente ? mi domandò guardando il soffitto . Swinburne , risposi . So che avete tradotto qualche cosa di lui . Recitatemelo . Non lo ricordo a memoria . Mi guardò di traverso , un occhio su e l ' altro giù , come per misurare la mia statura , seduto . Era tale e quale alla Duse in scena , senza tinture ; ma da vicino gli anni , trentasei o trentasette , le si vedevano tutti . Le mani ( l ' ombra di Gabriele d ' Annunzio mi perdoni ) non erano belle ; ma i piedi sì , piccoli , fini , ben calzati , e non stavano mai fermi . Si sa quanto è spietato lo sguardo d ' un giovane appena si posa sopra una donna matura , specialmente se fino allora egli ha potuto vederla solo da lontano su un trono o su una ribalta , e lodata e applaudita . Per capire la grande poesia bisogna avere sofferto . Voi siete troppo giovane per avere sofferto . Io , zitto , perché ero tentato di rispondere : « Grazie , per fortuna » , con una punta di impertinenza romanesca . Sentivo su me gli sguardi delle due tedesche , le quali abbozzavano un sorriso per suggerirmi che dovevo sorridere anch ' io . Nella pausa avevo preso una sigaretta . La signora Duse , sempre volta al soffitto , ricominciò l ' interrogatorio : Siete innamorato ? Me lo domandò con una voce bassa e grave , che stillava con fatica le meste sillabe . Un confessore che mi avesse domandato : Quante volte ? o un medico che avvicinando al lume il termometro scaldato dalla mia ascella , m ' avesse detto : Trentanove , e passa , non avrebbero avuto un tono così caldo , di compassione e insieme di conforto . Ma vedi l ' indifferenza e anche il pudore della gioventù : io ero seccato non lusingato . Risposi : Sarebbe , signora mia , un discorso molto lungo , e accesi la sigaretta . La Duse si rizzò a sedere d ' un colpo . Qui non si fuma , comandò . Le due amiche accorsero . Una portò in un ' altra camera la sigaretta irriverente . L ' altra aprì la finestra perché quel niente di fumo svanisse nel cielo di Roma . Io ero in piedi . Udii da terra una voce fievole quanto un sospiro : Che ore sono ? , e poco dopo : Tornate presto . M ' ha fatto piacere conoscervi . Me ne andai . Ogni parola e ogni gesto di quel nostro primo colloquio sul pavimento mi sono rimasti nella memoria perché se ne parlò e riparlò con le due ospiti della signora Duse e coi loro amici . Che cosa avrei mai dovuto rispondere a simili domande , inaspettate e , soggiungevo , materne ? Quelli m ' assicuravano che le indagini sulla capacità di patire e d ' amare erano in lei una palese prova di simpatia . L ' anno dopo , se non sbaglio , tornò a Roma per recitare al Valle : Fedora , Denise , Moglie di Claudio , Frou - Frou , Locandiera , Signora delle camelie . Non perdevo una recita , non perdevo una parola di lei . Li davvero ella era schietta , attenta a scarnire e a semplificare la sua recitazione , così che l ' anima del personaggio fosse nuda , e anche quando il personaggio mentiva , capace di farci sentire che , timido o spavaldo , mentiva . Anche nella menzogna perciò la amavamo , così lealmente ce la confidava . Tanto schietta , leale e nuda era in scena che fuori di scena , in un salotto o in una gita , in contatto con noi laici si sentiva che era impacciata , quasi provasse il pudore di non poter esser schietta e leale e nuda come quando recitava , cioè come quando era Margherita , Fedora , Magda o Cesarina . E si metteva a parlare difficile con parole d ' oracolo , prodigando a tutti consigli e conforti , e dimenticandosene un ' ora dopo . Fuori di scena , insomma , la Duse veramente recitava . Cogli anni , i capelli bianchi , l ' addio all ' amore e la solitudine , fu un ' altra cosa ; e certo ammirevole . In quella stagione , nel senso che alla parola stagione danno i teatranti , abitava al Grand Hôtel e il suo salotto luminoso era sull ' angolo tra la via delle Terme e la piazza delle Terme . Sopra ogni tavola , fiori e libri : libri di pensiero , molto Nietzsche e molto Maeterlinck quell ' anno , segnati sui margini da una matita impetuosamente ammirativa . L ' edizione Bocca di Così parlò Zaratustra , ricordo di averla veduta segnata con la matita turchina in tutte , dico tutte , le pagine , da capo a fondo : che doveva essere stata una bella fatica . Una mattina s ' andò a Tivoli . Ernesto Consolo e io salimmo a prendere la signora Duse all ' albergo . Ci accolse con questo ammonimento : Badate , oggi non voglio soffrire , e lo disse serrando labbra e mascelle come avrebbe potuto dirlo sedendosi dal dentista . Consolo mi guardò . Sapevamo che spesso era inutile risponderle perché ella già pensava ad altro . Fu gaia , giovanile , maliziosa : diciamo , Mirandolina . Dopo colazione si pensò , naturalmente , d ' andare a Villa d ' Este . Ve l ' ho dichiarato . Oggi non voglio soffrire . A Villa d ' Este ? Non capite niente : a Villa d ' Este io ci sono già stata , e sillabò le parole come dicesse che non bisognava destare i morti . Né l ' uno né l ' altro si osò domandarle : Con chi ? Aveva mutato faccia , s ' era alzata e ci aveva voltato le spalle perché non le leggessimo il volto . Deve avere riveduto Gabriele d ' Annunzio in quel tempo ( la Signorelli precisa , nell ' autunno del 1896 ) ; ma non è vero che andando a salutarla sul palcoscenico del Valle dopo la Signora delle camelie D ' Annunzio la apostrofasse con queste parole : Oh grande amatrice ! Fu una delle tante facezie dei romani sciccosi , oziosi e invidiosi contro D ' Annunzio trionfante e contro quello che allora essi stimavano il pomposo parlare di lui . Amatrice è un paesotto dell ' Aquilano presso Cittaducale , e matriciani allora erano chiamati a Roma gl ' incettatori e i venditori di erbaggi , dalle carote alle cipolle . Nemmeno credo che molti anni dopo , spento il fuoco , ritrovandola a Milano per caso in un albergo egli le dicesse come s ' afferma in questo libro : Quanto mi avete amato ! D ' Annunzio , per quanto sicuro e soddisfatto si mostrasse di sé , ha avuto sempre , parlando delle donne che ha amate , e specialmente se l ' amore era tramontato da anni , e più verso la signora Duse , un riguardo , anzi un rispetto inconciliabile con la fatua vanità di quella frase . Può darsi che a Olga Signorelli l ' abbia ripetuta la stessa Duse immaginandosi di averla proprio udita da quel crudele , tanto bene le parole riassumevano l ' abnegazione di lei e la finale indifferenza di lui . Così sono certo che D ' Annunzio mostrò alla Duse il manoscritto del Fuoco molto prima di pubblicarlo , e la persuase che ella , anche se l ' impresario Schurmann e altri pettegoli le dicevano il contrario , vi splendeva d ' una bellezza più durevole della bellezza fisica . Olga Signorelli pubblica la lettera di Eleonora Duse a Schurmann : « Poco fa non v ' ho detto la verità . Conosco il romanzo , e ne ho autorizzata la stampa , perché la mia sofferenza , qualunque essa sia , non conta quando si tratta di dare un altro capolavoro alla letteratura italiana . E poi ho quarant ' anni ... e amo ! » ( Molte lettere d ' Eleonora Duse sono pubblicate in questo libro , ansimanti e sgrammaticate . Anche nella scrittura par di vederla recitare , con quelle tante sottolineature per dire che lì alza la voce , con quei tanti a capo , che corrispondono a gesti recisi , con quei tanti puntini che significano le pause di silenzio o i sospiri . ) Nella primavera del '97 o del '98 ero a San Giacomo di Spoleto quando da Francavilla mi telegrafò D ' Annunzio d ' andare il giorno dopo a incontrarlo ad Assisi nell ' albergo del Subasio . Vi arrivai nelle prime ore del pomeriggio in bicicletta ( allora anche D ' Annunzio andava in bicicletta e nel '96 mi scriveva : « Son tornato da Milano con una bicicletta ! Con una Humber ! Dalla mattina alla sera vado pedalando . E verrò nell ' Umbria su questo leggero cavallo d ' acciaio . Ave » ) . Sulla porta del Subasio trovai Angelo Conti . Anch ' egli era stato convocato per telegrafo , e mi spiegò perché . Nell ' albergo era anche la Duse , e D ' Annunzio era venuto a mostrarle la prima parte del manoscritto del Fuoco , ravvolto , s ' intende , in un lembo di damasco rosso . Era stata lei a chiederglielo , poiché tutti già possedevamo le chiavi di quel romanzo e sapevamo che in Stelio era adombrato lo stesso poeta quale egli sperava d ' essere o d ' apparire , in Foscarina nomade e disperata la Duse , in Daniele Glauro Angelo Conti , in alcuni tratti di Donatella Arvale Giulietta Gordigiani , e via dicendo ? Oppure egli stesso , pensando che qualche frase sulla bellezza un poco sfiorita dell ' attrice potesse offenderla , e fidando nell ' intelligenza di lei e nella bellezza del monumento che con quel romanzo egli le innalzava e le offriva , aveva voluto prevenire e placare ogni risentimento della vanità ? « I segni delicati che partivano dall ' angolo degli occhi verso le tempie , e le piccole vene oscure che rendevano le palpebre simili alle violette , e l ' ondulazione delle gote e il mento estenuato e tutto quello che non poteva mai più rifiorire ... » Non le vedevano tutti queste prime offese degli anni ? E proprio Eleonora Duse che anche per entrare in scena rifiutava ogni liscio , ogni rossetto , ogni cipria , tanto amava la verità , anzi , com ' ella diceva , la sua verità , si sarebbe offesa ? A quale altra attrice sicura del proprio valore ma anche sicura di scomparire tutta dalla memoria degli uomini man mano che fossero morti e scomparsi coloro che l ' avevano veduta , ascoltata , applaudita e avevano per una sera creduto che la sua voce e il suo volto fossero la voce stessa e il volto stesso dell ' amore , della rivolta , della gioia , della fede , della voluttà , della speranza , il destino offriva insieme il compenso e l ' orgoglio di sapersi salvata per sempre in pagine tanto ardenti e sonanti ? A queste domande né quel giorno né poi ho saputo rispondere . Certo è che D ' Annunzio pregava Conti e me di aspettare in albergo una sua chiamata . Eravamo lì per calmare l ' ira e i sospetti della sua amica , o per tenere a lei e a lui un ' affettuosa e lieta compagnia ? S ' andò in San Francesco e si tornò . Hanno chiesto di noi ? No , hanno ordinato il tè . S ' andò a passeggio fino in piazza del Municipio , e si tornò . Hanno chiesto di noi ? No , pranzano in camera . Conti e io si pranzò sulla terrazza , poi si riuscì a passeggiare sul prato davanti alla basilica superiore , ché così il direttore sapeva occorrendo dove trovarci . A mezzanotte rientrammo . Non hanno chiamato più . La mattina dopo verso le undici dissi addio ad Angelo Conti : Se Gabriele ti domanda di me , digli che l ' ho aspettato per ventiquattr ' ore . Aspettalo fino a stasera . No , vado a colazione a Foligno da un amico . Sii buono , aspetta . Ma io me ne andai , ché in bicicletta giù per la discesa par di volare . Il Fuoco me lo sono letto due anni dopo , e della « sofferenza » della signora Duse per quelle che allora le tenere amiche di lei e i nemici di D ' Annunzio chiamavano ingiurie , ho pensato e penso che ella si sia consolata non solo in quelle ventiquattr ' ore di clausura assisiate col suo poeta , ma anche tutte le volte che poi , mettendosi una mano sul cuore , ella ha potuto parlare del suo dolore per quell ' affronto . Angelo Conti , cioè Daniele Glauro , parlando del Fuoco e della Duse , si grattava la barba rossa e bianca : Come fa la signora Duse a lagnarsi così ? Me , in questo libro , fino dalle prime pagine Gabriele m ' ha chiamato fervido e sterile . Mi lagno io ? Ma Angelo era filosofo e considerava le donne dipinte da Giorgione o da Tiziano , fossero anche state cortigiane , più sicure e più costanti delle donne vive anche illustri .