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L'UMORISMO ( PIRANDELLO LUIGI , 1908 )
Saggistica ,
Parte prima I.LA PAROLA “ UMORISMO ” Alessandro D ' Ancona , in quel suo notissimo studio su Cecco Angiolieri da Siena ( in Studi di Critica e Storia Letteraria , Bologna , Zanichelli ed . , 1880 ) , dopo aver notato quanto vi sia di burlesco in questo nostro poeta del sec . XIII , osserva : “ Ma per noi l ' Angiolieri non è soltanto un burlesco : bensì anche , e più propriamente , un umorista . E qui i camarlinghi della favella ci faccian pure il viso dell ' arme , ma non pretendano di dire che in italiano bisogna rassegnarsi a non dir la cosa , perché non abbiam la parola ” . E , accortamente , in una nota a piè di pagina ( pag . 179 ) , soggiunge : “ È curioso però che il traduttore francese di una dissertazione tedesca sull ' Humour , inserita nel Recueil de pièces intéressantes , concernant les antiquités , les beaux - arts , les belles - lettres et la philosophie , traduites de différentes langues , citando il Riedel , Theor . d . Schönen Künste , I . artic . Laune , sostenga che sebbene gli Inglesi , ed il Congreve in particolare , rivendichino per sé i vocaboli humour e humourist , ‘ il est néanmoins certain qu ' ils viennent de l ' italien ’ ” . E quindi il D ' Ancona riprende : “ Del resto , poi , la nostra lingua ha umore per fantasia , capriccio , e umorista per fantastico : e gli umori dell ' animo e del cervello ognun sa che stanno in stretta relazione con la poesia umorista . E l ' Italia ebbe ai suoi tempi le accademie degli Umorosi a Bologna ed a Cortona e degli Umoristi in Roma , e speriamo che i mali umori della politica non le facciano mai venir meno i begli umori nel regno dell 'arte».(E anche a Napoli ( Arch . stor . p . le prov . nap . V . 608 ) . E perché non citare anche quella degli Umidi di Firenze di cui il Lasca disse ( Lett . a Mes . Lorenzo Scala , premessa al primo libro delle opere burlesche , ed . Bern . Giunta 1548 ) : “ la quale ( Accademia degli Umidi ) principalmente fa professione , essendovi tutte persone dentro allegre e spensierate , dello stil burlesco , giocondo , lieto , amorevole e , per dir così , buon compagno » ? Si vedano , per altro , a proposito delle parole umore e umorismo , il Baldensperger , Les definitions de l ' humour in Eluder d ' bistoire littéraire , Paris , Hachette , 1907 e lo Spingarn nell ' introduzione del primo volume della sua raccolta Critical Essays of the Seventeenth Century , Oxford , Clarendon Press , 1908; nonché ciò che ne dice il Croce in Critica , vol . VII , pagine 219-20 ) . La parola umore derivò a noi naturalmente dal latino e col senso materiale che essa aveva di corpo fluido , liquore , umidità o vapore , e col senso anche di fantasia , capriccio o vigore . ” Aliquantum habeo humoris in corpore , neque dum exarui ex amoenis rebus et voluptariis ” ( Plauto ) . Qui humor non ha evidentemente senso materiale , perché sappiamo che , fin dai tempi più antichi , ogni umore nel corpo era ritenuto segno o cagione di malattia . “ Li uomini , si legge in un vecchio libro di mascalcia , hanno quattro umori : cioè lo sangue , la collera , la flemma e la malinconia : e questi umori sono cagione delle infermità degli uomini . ” E in Brunetto Latini : ” Malinconia è un umore , che molti chiamano collera nera , ed è fredda , e secca , ed ha il suo sedio nello spino ” com ' è in somma nel latino di Cicerone e di Plinio . Sant ' Agostino poi in un suo sermone ci fa sapere che “ i porri accendono la collera , i cavoli generano malinconia ” ( Cecco Angiolieri in uno dei suoi sonetti , parlando della madre che gli vuol male , dopo avere enumerato alcuni cibi dannosi ch ' ella gli consiglia , dice : E se di questo non avessi voglia E stessi quasimente su la colla Molto mi loda porri con la foglia ) . Sarà bene , trattando dell ' umorismo , tener presente anche quest ' altro significato di malattia della parola umore , e che malinconia , prima di significare quella delicata affezione o passion d ' animo che intendiamo noi , abbia avuto in origine il senso di bile o fiele e sia stata per gli antichi un umore nel significato materiale della parola . Vedremo appresso la relazione che le due parole umore e malinconia avranno tra loro assumendo un senso spirituale . Diciamo intanto che tal relazione , se non mancò affatto nello spirito della nostra lingua , certo non vi apparve chiaramente . Da noi , in fatti , la parola umore o serba il significato materiale , tanto che un proverbio toscano può dire : “ Chi ha umore non ha sapore ” ( alludendo alle frutta acquose ) ; o , se assume un significato spirituale , esprime sì inclinazione , natura , disposizione o stato passeggero d ' animo o anche fantasia , pensiero , capriccio , ma senza una qualità determinata ; tanto vero che dobbiamo dire umor tristo o gajo , o tetro , buono o cattivo o bell ' umore , ecc . In somma , la parola italiana umore non è la inglese humour . Questa , come dice il Tommaseo , racchiude . e contempera le nostre espressioni bell ' umore , buonumore , e malumore . C ' entrano un po ' , dunque , i cavoli di Sant ' Agostino . Discutiamo adesso su la parola , non su la cosa : è bene avvertirlo , perché non vorremmo si credesse che a noi manchi veramente la cosa per il solo fatto che la parola nostra non riuscì idealmente a serbare e a contemperare in sé ciò che già materialmente includeva . Vedremo che tutto , in fondo , si riduce a un bisogno di più chiara distinzione che sentiamo noi , perché , o bello o buono o tetro o gajo , umore è sempre , e non è diverso dall ' inglese nell ' essenza , ma nelle modificazioni che naturalmente vi imprimono la lingua diversa e la varia natura degli scrittori . Del resto , non si creda che la parola inglese humour e il suo derivato umorismo siano di così facile comprensione . Il D ' Ancona stesso , in quel suo saggio su l ' Angiolieri , su cui più tardi dovremo ritornare , confessa : “ S ' io dovessi dare una definizione dell ' umorismo sarei davvero molto impacciato ” . Ed ha ragione . Tutti dicono così . Piuttosto no ' l comprendo , che te ' l dica . Di tutte quelle tentate nei secoli XVIII e XIX parla in un suo studio già citato , il Baldensperger , per concludere , a modo del Croce , che : “ il n y a pas d ' humour , il n ' y a que des humouristes ” , come se per poter dire o riconoscere che questo o quello scrittore è un umorista , non si dovesse avere un qualche concetto dell ' umorismo , e bastasse sostenere , come fa il Cazamian , citato dallo stesso Baldensperger , che l ' umorismo sfugge alla scienza , perché gli elementi caratteristici e costanti di esso sono in piccolo numero e sopra tutto negativi , laddove gli elementi variabili sono in numero indeterminato . Sì . Anche l ' Addison stimava più facile dire ciò che l ' humour non è , che dire ciò che è . E tutte le fatiche che si son fatte per definirlo ricordano veramente quelle speciosissime che si fecero nel secolo XVII per definir l ' ingegno ( oh , il Cannocchiale aristotelico di Emmanuele Tesauro ! ) e il gusto o buon gusto e quell ' ineffabile non so che , per cui il Bouhours scriveva : ” Les Italiens , qui font mystère de tout , emploient en toutes rencontres leur non so che : on ne voit rien de plus commun dans leurs poëtes ” . Gl ' Italiani ” qui font mystère de tout ” . Ma andate a domandare ai Francesi che cosa intendono per esprit . Quanto all ' umorismo , ” certo è seguita il D ' Ancona che la definizione non è facile , perché l ' umorismo ha infinite varietà , secondo le nazioni , i tempi , gl ' ingegni , e quel di Rabelais e di Merlin Coccajo non è una cosa coll ' umorismo dello Sterne , dello Swift o di Gian Paolo , e la vena umoristica dell ' Heine e del Musset non è di egual sapore . Non vi ha poi forse alcun altro genere nel quale sia , o dovrebbe esser più sottil differenza dalla forma prosaica alla poetica , per quanto ciò non venga sempre avvertito dai lettori , e neanche dagli scrittori . Ma di ciò , e delle ragioni di queste differenze , e delle varietà fra l ' umore e la satira e l ' epigramma e la facezia e la parodia e il comico d ' ogni foggia e qualità , e se , come vuole il Richter , alcuni umoristi sieno semplicemente lunatici , non è qui il luogo di discutere . Certo è questo , che un fondo comune vi è in tutti coloro che la voce pubblica raccoglie sotto la stessa denominazione di umoristi ” . L ' osservazione in fondo è giusta ; ma piano con la voce pubblica ! - vorremmo dire al D ' Ancona . “ Dopo la parola romanticismo , la parola più abusata e sbagliata in Italia ( in Italia soltanto ? ) è quella di umorismo . Se fossero realmente umoristi gli scrittori , i libri , i giornali battezzati con questo nome , noi non avremmo nulla da invidiare alla patria di Sterne e di Thackeray o a quella di Gian Paolo e di Heine . Non si potrebbe uscir di casa senza incontrar per la strada due o tre Cervantes e una mezza dozzina di Dickens ... Vogliamo solo notare fin da principio che vi è una babilonica confusione nell ' interpretazione della voce umorismo . Per il gran numero , scrittore umoristico è lo scrittore che fa ridere : il comico , il burlesco , il satirico ; il grottesco , il triviale : la caricatura , la farsa , l ' epigramma , il calembour si battezzano per umorismo : come da un pezzo si costuma di chiamare romantico tutto ciò che vi è di più arcadico e sentimentale , di più falso e barocco . Si confonde Paul de Kock con Dickens , e il visconte d ' Arlincourt con Victor Hugo ” . Questo notava Enrico Nencioni , già fin dal 1884 , in un articolo su la Nuova Antologia intitolato appunto L ' Umorismo e gli Umoristi , che fece molto rumore . Non si può dir veramente che la voce pubblica in tutto questo lasso di tempo , si sia ricreduta . Anche oggi , per il gran numero , scrittore umoristico è lo scrittore che fa ridere . Ma , ripeto , perché in Italia soltanto ? Da per tutto ! Il volgo non può intendere i segreti contrasti , le sottili finezze del vero umorismo . Si confondono anche altrove la caricatura , la farsa bislacca , il grottesco con l ' umorismo ; si confondono anche là dove al Nencioni sembrava ( e non a lui soltanto ) che l ' umorismo stesse di casa : non ha forse nome d ' umorista Mark Twain , i cui racconti sono , secondo la sua stessa definizione , “ una collezione di eccellenti cose , prodigiosamente divertenti , che strappano il riso anche dai volti più ingrugniti ” ? Il giornalismo , un certo giornalismo si è impadronito della parola , l ' ha adottata e , sforzandosi di far ridere più o meno sguajatamente a ogni costo , l ' ha divulgata in questo falso senso . Cosicché ogni vero umorista prova oggi ritegno , anzi sdegno a qualificarsi per tale . Umorista , sì , ma ... non confondiamo , si sente il bisogno d ' avvertire : umorista nel vero senso della parola . Come dire : Badate ch ' io non mi propongo di farvi ridere facendo sgambettar le parole . E più d ' uno , per non passar da buffone , per non esser confuso coi centomila umoristi da strapazzo , ha voluto buttar via la parola sciupata , abbandonarla al volgo , e adottarne un ' altra : ironismo , ironista . Come da umore , umorismo ; da ironia , ironismo . Ma ironia , in che senso ? Bisognerà distinguere , anche qui . Perché c ' è un modo retorico e un altro filosofico d ' intendere l ' ironia . L ' ironia , come figura retorica , racchiude in sé un infingimento che è assolutamente contrario alla natura dello schietto umorismo . Implica sì , questa figura retorica , una contradizione , ma fittizia , tra quel che si dice e quel che si vuole sia inteso . La contradizione dell ' umorismo non è mai , invece , fittizia ma essenziale , come vedremo , e di ben altra natura . Quando Dante aggrava la riprensione eccettuando dal numero dei ripresi chi è più riprensibile , come per la brigata dei prodighi matti , allor che esclama : ... Or fu giammai - Gente si vana ? e un dannato risponde : Tranne lo Stricca ... E tranne la brigata ; oppure là dove dice : Ogni uom v ' è barattier fuor che Bonturo ; o quando rammenta il bene per esacerbare il sentimento del male , come fanno i diavoli al barattier lucchese : ... Qui non ha luogo il Santo Volto : Qui si nuota altrimenti che nel Serchio ; o quando a chi parla fa rammentare i proprii vantaggi nell ' usarli aspramente , come fa quell ' altro diavolo che toglie a S . Francesco l ' anima d ' un reo , argomentando teologicamente su la penitenza , per modo che quell ' anima presa da lui si sente dire : Forse Tu non pensavi , ch ' io loico fossi ; o quando esclama : Godi , Firenze , poiché se ' sì grande ; oppure : Fiorenza mia , ben puoi esser contenta Di questa digression che non ti tocca … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … Or ti fa lieta , ché tu hai ben onde ; Tu ricca , tu con pace , e tu con senno ... dà mirabili esempii di ironia nel senso retorico della parola : ma né qui , né in altro punto , del resto , della Comedia , non è traccia d ' umorismo . Un altro senso , dicevamo , e questo filosofico , fu dato alla parola ironia in Germania . Lo dedussero Federico Schlegel e Ludovico Tieck direttamente dall ' idealismo soggettivo del Fichte ; ma deriva in fondo da tutto il movimento idealistico e romantico tedesco post - kantiano . L ' Io , sola realtà vera , spiegava Hegel , può sorridere della vana parvenza dell ' universo : come la pone , può anche annullarla ; può non prender sul serio le proprie creazioni . Onde l ' ironia : cioè quella forza secondo il Tieck che permette al poeta di dominar la materia che tratta ; materia che si riduce per essa secondo Federico Schlegel a una perpetua parodia , a una farsa trascendentale . Trascendentale più d ' un po ' , osserveremo noi , questa concezione dell ' ironia : né , del resto , se consideriamo per poco donde ci viene , poteva essere altrimenti . Tuttavia essa ha , o può avere , almeno in un certo senso , qualche parentela col vero umorismo , più stretta certamente che non l ' ironia retorica , da cui , in fondo , tira tira , si potrebbe veder derivare . Qui , nell ' ironia retorica , non bisogna prender sul serio quel che si dice ; lì , nella romantica , si può non prender sul serio quel che si fa . L ' ironia retorica sarebbe , rispetto alla romantica , come quella famosa rana della favola , la quale , trasportata nel macchinoso mondo dell ' idealismo metafisico tedesco e abbottandosi qua più di vento che d ' acqua , fosse riuscita ad assumere le invidiate proporzioni del bue . L ' infingimento , quella tal contradizione fittizia , di cui parla la retorica , è diventata qua , a furia di gonfiarsi , la vana parvenza dell ' universo . Ora ecco : se l ' umorismo consistesse tutto nella puntura di spillo che svescia quella rana abbottata , ironia e umorismo sarebbero press ' a poco la stessa cosa . Ma l ' umorismo , come vedremo , non è tutto in questa puntura di spillo . Al solito , Federico Schlegel non fece altro qui che esagerare idee e teorie altrui : oltre all ' idealismo soggettivo del Fichte , la famosa teoria del giuoco esposta dallo Schiller nelle 27 lettere Ueber die aesthetische Erziehung des Menschen . Il Fichte aveva voluto , in fondo , compire la dottrina kantiana del dovere : dicendo che l ' universo è creato dallo spirito , dall ' “ Io ” , che è anche divinità , l ' anima dell ' essenza del mondo , che genera tutto ed è impersonale , che è volontà infaticabile , la quale racchiude in sé ragione , libertà , moralità ; aveva voluto dimostrare il dovere dei singoli uomini di sottomettersi al volere della totalità e di tendere al culmine dell ' armonia morale . Ora , quest ' “ Io ” del Fichte diventò l ' “ io ” individuale , il piccolo “ io ” strambo del signor Federico Schlegel , che con un cannellino e un po ' d ' acqua saponata si mise allegramente a gonfiar bolle di sapone : vane parvenze d ' universo , mondi ; e a soffiarci su . E questo era il giuoco . Povero Schiller ! Non poteva esser falsato in modo più indegno il suo Spieltrieb . Ma il signor Federico Schlegel prese alla lettera le parole : “ der Mensch soll mit der Schönheit nur spielen , und er soll nur mit der Schönheit spielen . Denn , um es endlich auf einmal herauszusagen , der Mensch spielt nur , wo er in voller Bedeutung des Worts Mensch ist , und er ist nur da ganz Mensch , wo er spielt ” ( Lettera XV ) , e disse che per il poeta l ' ironia consiste nel non fondersi mai del tutto con l ' opera propria , nel non perdere , neppure nel momento del patetico , la coscienza della irrealtà delle sue creazioni , nel non essere lo zimbello dei fantasmi da lui stesso evocati , nel sorridere del lettore che si lascerà prendere al giuoco e anche di sé stesso che la propria vita consacra a giocare ( Vedi Victor Basch , La poëtique de F . Schiller , Paris , Alcan , 1902 ) . Intesa in questo senso l ' ironia , ognun vede come a torto essa venga attribuita a certi scrittori , come ad esempio , al nostro Manzoni , che della realtà oggettiva , della verità storica si fece una vera e propria fissazione , fino a condannare il suo stesso capolavoro . Né d ' altra parte si può attribuire al Manzoni quell ' altra ironia , la retorica , giacché nessuna contradizione fittizia si trova mai in lui tra quel che dice e quel che vuole sia inteso , contradizione frutto di sdegno . Il Manzoni non si sdegna mai della realtà in contrasto col suo ideale : per compassione transige qua e là e spesso indulge , rappresentando ogni volta minutamente , in forma viva , le ragioni del suo transigere e del suo indulgere : il che , come vedremo , è proprio dell ' umorismo . La sostituzione di ironismo , ironista a umorismo , umorista non sarebbe quindi legittima . Dall ' ironia , anche quando sia usata a fin di bene , non si sa disgiungere l ' idea di un che di beffardo e di mordace . Ora , beffardi e mordaci possono essere anche scrittori indubbiamente umoristici , ma il loro umorismo non consisterà già in questa beffa mordace . È pur vero però che a una parola si può per comune accordo alterare il significato . Tante parole che noi adoperiamo adesso in un senso , ne avevano un altro in antico . E se alla parola umorismo , come abbiamo veduto , s ' è già veramente alterato il senso , non ci sarebbe in fondo nulla di male se per determinare , per significare senza equivoco la cosa venisse adoperata un ' altra parola . II . QUESTIONI PRELIMINARI Prima di entrare a parlar dell ' essenza , dei caratteri e della materia dell ' umorismo , dobbiamo sgomberarci il terreno di tre altre questioni preliminari : 1 ) se l ' umorismo sia fenomeno letterario esclusivamente moderno ; 2 ) se esotico per noi ; 3 ) se specialmente nordico . Queste tre questioni si ricollegano strettamente con quella più vasta e complessa della differenza dell ' arte moderna dall ' arte antica , lungamente agitata durante la lotta tra classicismo e romanticismo , per un verso ; e , per l ' altro , del romanticismo considerato dalle genti anglo - germaniche come una rivalsa contro il classicismo delle genti latine . Vedremo in fatti ripresi nelle varie dispute su l ' umorismo tutti gli argomenti della critica romantica , a cominciare da quelli dello Schiller , il quale , col saggio famoso Ueber naive und sentimentalische Dichtung , fu , a dire del Goethe il fondatore di tutta l ' estetica moderna ( Zur Naturwissenschaft im Allgemeinen . Tomo XXXIV delle Opere , ed . Hempel , pag . 96-97; ma il Goethe non tenne conto che prima dello Schiller lo Herder aveva distinto Natur - poesie da Kunst - poesie . Vedi anche V . Basch , op . cit . ) . Questi argomenti sono ben noti : il subiettivismo del poeta speculativo - sentimentale , rappresentante dell ' arte moderna , in contrapposto con l ' obiettivismo del poeta istintivo o ingenuo , rappresentante dell ' arte antica ; il contrasto tra l ' ideale e il reale ; la serenità marmorea , l ' equilibrio dignitoso , la bellezza esteriore dell ' arte antica contro l ' esaltazione dei sentimenti , il vago , l ' infinito , l ' indeterminato delle aspirazioni , le melanconie , la nostalgia , la bellezza interiore dell ' arte moderna ; e da un canto le bassure del verismo della poesia ingenua , e dall ' altro le nebbie dell ' astrazione e il capogiro intellettuale della poesia sentimentale ( Vedi G . Muoni , Note per una poetica storica del romanticismo , Milano , Società Ed . Libr . , 1906 ) ; l ' azione del cristianesimo ; l ' elemento filosofico ; l ' incoerenza dell ' arte moderna opposta all ' armonia della poesia greca ; le particolarità singole di fronte alle tipificazioni classiche ; la ragione che s ' interessa del valore filosofico del contenuto più che della vaghezza della forma esteriore ; il sentimento profondo di un ' interna disunione , di una doppia natura dell ' uomo moderno , ecc . ecc . Per darne qualche prova , citeremo ciò che scriveva il Nencioni in quel suo studio su L ' Umorismo e gli Umoristi , di cui abbiamo già fatto parola : “ L ' antichità , nel suo felice equilibrio dei sensi e dei sentimenti , guardò con calma statuaria anche nelle tragiche profondità del destino . L ' anima umana era sana e giovine allora , né il cuore e la intelligenza erano stati tormentati da trenta secoli di precetti e di sistemi , di dolori e di dubbi . Nessuna penosa dottrina , nessuna crisi interiore aveva alterato la serena armonia della vita e del temperamento umano . Ma il tempo e il cristianesimo hanno insegnato all ' uomo moderno a contemplare l ' infinito , a paragonarlo con l ' effimero e doloroso soffio della vita presente . Il nostro organismo e continuamente eccitato e sovreccitato ; e secolari dolori hanno umanizzato il nostro cuore . Noi guardiamo nell ' anima umana , e nella natura con una simpatia più penetrante , e vi troviamo delle arcane relazioni e un ' intima poesia ignote all ' antichità ... Il riso d ' artista e la comica fantasia di Aristofane , alcuni dialoghi di Luciano , sono eccezioni . L ' antichità non ebbe , né poteva avere , letteratura umoristica ... Si direbbe che questa sia la caratteristica delle letterature anglo - germaniche . Il cielo crepuscolare e l ' umido suolo del Nord sembrano esser più acconci a nutrire la delicata e strana pianta dell ' umorismo » . Concedeva però il Nencioni che “ anche sotto il cielo azzurro e nella vita facile delle razze latine ” l ' umorismo “ ha talora fiorito e due o tre volte in modo unico , meraviglioso ” . E parlava in fatti del Rabelais e del Cervantes , e anche dell ' umorismo “ realista e vivente ” di Carlo Porta e di quello “ delicato e desolato ” di Carlo Bini , e diceva il don Abbondio del Manzoni una creazione umoristica di prim ' ordine . Più reciso nella negazione fu Giorgio Arcoleo ( L ' Umorismo nell ' arte moderna . Due conferenze al Circolo filologico di Napoli , Napoli , Detken ed . , 1885 ) , il quale , pur ammettendo che la nota dell ' umorismo , speciale della letteratura moderna , non manchi di legami col mondo antico , e pur citando quell ' insegnamento di Socrate che dice : “ Una è l ' origine dell ' allegria e della tristezza : nei contrapposti un ' idea non si conosce che per la sua contraria : della stessa materia si forma il socco e il coturno ” , soggiungeva : “ Questo lo intelletto greco pensava : ma l ' Arte non potea esprimerlo : la percezione dei contrasti rimaneva nel campo astratto , perché diversa era la vita . La Teogonia avvolgeva l ' anima nel mito ; l ' Epopea i fatti umani nella leggenda ; la Politica le forze individuali nella suprema legge dello Stato . L ' Antichità costrinse serenamente le forme nell ' armonia del finito : vide il Ciclope o lo Gnomo , le Grazie o le Parche . Come la vita avea liberi o servi , onnipotenti o impotenti , così la scienza ebbe sorrisi o pianto : Eraclito o Democrito ; e la letteratura ebbe tragedie o commedie . Tutt ' al più il contrasto dalla sfera dell ' intelletto passò nell ' altra dell ' immaginazione , si tramutò in fantasma , e allora Aristofane fece la satira dei sofisti , Luciano degli Dei . Ma se il Paganesimo si era obliato nella magnificenza delle forme e della natura , il Medio Evo si tormentò nei dubbii e nelle angosce dello spirito . Fu triste , ebbe sogni agitati da spettri : la potenza baronale finiva spesso nei conventi , la bellezza nei chiostri . La corruttela romana non seduceva neppure come ricordo : la dissoluzione del grande Impero aveva inoculato negli animi l ' idea dell ' impotenza . A rovescio del mondo antico : questo rimpiccolì nelle forme plastiche le energie soprannaturali ; il Medio Evo le allargò nell ' infinito : e , compreso dallo spazio e dal tempo , lo spirito umano si annullò con braminica rassegnazione . Tale depressione soffocò ogni spirito d ' iniziativa e di ricerca . Nelle credenze sovraneggiò il dogma , nella scienza l ' erudizione , nell ' arte la copia , nel costume la disciplina . L ' umanità nel suo periodo di decadenza romana avea sostenuto i dolori della vita coll ' indifferenza dello stoico : ne avea cercato i piaceri con la sensualità dell ' epicureo : nel Medio Evo volle sottrarsi alla vita con l ' estasi : donde una nuova mitologia cristiana , popolata di rimorsi , di paure , di preghiere . Il pensiero seguiva la fede : il manuale di logica era un ' appendice del catechismo . In tali condizioni dominava il terrore , si aspettava il finimondo ... Finalmente nella materia come nello spirito sorge un nuovo mondo . È un periodo di esultanza e al tempo stesso di mestizia e di riflessione : ma si rivela con due tendenze spiccate , l ' una presso le razze germaniche , l ' altra presso le latine : lì il libero esame o la Riforma : qui il culto della bellezza e della forza , la Rinascenza . I contrasti si moltiplicano nelle istituzioni , nella vita privata , nei costumi , nelle leggi , nella letteratura ... Non è antitesi percepita dall ' intelletto o intravista dalla fantasia ; non è lotta contro la natura umana , come nell ' età di mezzo ; è dissonanza che stride in tutte le sfere del pensiero e dell ' azione : è il dissidio tra lo spirito nuovo e le forme vecchie . In tale situazione il trionfo dell ' uno o dell ' altra ha influenza decisiva sulle istituzioni , sulla scienza , sull ' arte . Qui appunto va notata la differenza dei risultati nelle razze germaniche e nelle latine : differenza che spiega in gran parte , perché l ' umorismo ebbe tanto sviluppo presso le prime , e riuscì quasi nullo presso le seconde ” . Ora , si dovrebbe innanzi tutto intendere che , prendendo in esame un ' eccezionale e speciosissima espressione d ' arte come l ' umoristica , queste rapide sintesi , queste ideali ricostruzioni storiche , non sono ammissibili . Come nella formazione d ' una leggenda l ' immaginazione collettiva rigetta tutti gli elementi , i tratti , i caratteri discordanti con la natura ideale d ' un dato fatto o d ' un dato personaggio ed evoca invece e combina tutte le immagini convenienti ; così , nel tracciare in breve la sintesi d ' una data epoca , inevitabilmente noi siamo indotti a non tener conto di tanti particolari in contradizione , delle singole espressioni . Non possiamo prestare orecchio alle voci che protestano in mezzo a un coro soverchiante . Nella lontananza , si sa , certi colori accesi , sparsi qua e là , si attenuano , si smorzano , si fondono nella tinta generale , azzurra o grigia , del paesaggio . Perché questi colori risaltino , riassumendo intera la loro individualità , bisogna che noi ci avviciniamo : riconosceremo allora come e quanto ci avesse ingannato la lontananza . Seguendo le teorie del Taine , considerando i fenomeni morali come soggetti anch ' essi al determinismo al pari dei fenomeni fisici , la storia umana come parte della naturale , l ' opera d ' arte come il prodotto di determinati fattori e di determinate leggi , e cioè di quella delle dipendenze e di quella delle condizioni , con le regole che ne derivano : del carattere essenziale o della facoltà dominante , dalla prima ; delle forze primordiali , razza , ambiente , momento , dalla seconda ; e vedendo esclusivamente nelle espressioni artistiche gli effetti necessarii di forze naturali e sociali ; non penetreremo mai nell ' intimità dell ' arte , ci rappresenteremo per forza tutte le manifestazioni d ' un dato tempo come solidali tra loro e complementari , per modo che ciascuna necessiti le altre e tutte insieme rispecchino quelle qualità che , secondo il nostro concetto o la nostra idea sommaria , le ha raccolte e prodotte ; non già la realtà infinitamente varia e continuamente mutabile , e i singoli sentimenti di essa , varii infinitamente e continuamente mutabili anch ' essi . Dopo aver considerato il cielo , il clima , il sole , la società , i costumi , i pregiudizii , ecc . , non dobbiamo forse appuntar lo sguardo sui singoli individui e domandarci che cosa siano divenuti in ciascuno di essi questi elementi , secondo lo speciale organamento psichico , la combinazione originaria , unica , che costituisce questo o quell ' individuo ? Dove uno s ' abbandona , l ' altro si rivolta ; dove uno piange , l ' altro ride ; e ci può esser sempre qualcuno che ride e piange a un tempo . Del mondo che lo circonda , l ' uomo , in questo o in quel tempo , non vede se non ciò che lo interessa : fin dall ' infanzia , senza neppur sospettarlo , egli fa una scelta d ' elementi e li accetta e accoglie in sé ; e questi elementi , più tardi , sotto l ' azione del sentimento , s ' agiteranno per combinarsi nei modi più svariati . “ L ' Antichità costrinse serenamente le forme nell ' armonia del finito ” . Ecco una sintesi . Tutta l ' antichità ? Nessun antico escluso ? “ Il Ciclope o lo Gnomo , le Grazie o le Parche ” . E non anche le Sirene , metà donne , metà pesce ? “ La vita non aveva che o liberi o servi ” . E non poteva qualche libero sentirsi servo e qualche servo sentirsi libero entro di . sé ? Non cita lo stesso Arcoleo Diogene che “ chiude il mondo nella botte , e non accetta la grandezza d ' Alessandro , se gli toglie la vista del sole ” ? E che vuol dire che l ' intelletto greco poteva percepire il contrasto e l ' Arte non poteva esprimerlo perché la vita era diversa ? Com ' era la vita ? O tutta pianto o tutta riso ? E come faceva allora l ' intelletto a cogliere il contrasto ? Ogni astrazione bisogna che abbia per forza radice in un fatto concreto . C ' era dunque il pianto e il riso , non il pianto o il riso ; e se l ' intelletto poteva cogliere il contrasto , perché non avrebbe potuto esprimerlo l ' arte ? “ Tutt ' al più dice l ' Arcoleo il contrasto dalla sfera dell ' intelletto passò nell ' altra dell ' immaginazione , si tramutò in fantasma , e allora Aristofane fece la satira dei sofisti , e Luciano degli Dei ” . Che vuol dire quel tutt ' al più ? Se il contrasto dalla sfera dell ' intelletto passò in quella dell ' immaginazione e si tramutò in fantasma , vuol dire che divenne arte . E allora ? Lasciamo andare Aristofane che , come vedremo , non ha nulla da fare con l ' umorismo ; ma Luciano non è soltanto autore del dialogo degli Dei . E andiamo avanti . “ Il mondo antico rimpiccolì nelle forme plastiche le energie soprannaturali ” . Ecco un ' altra sintesi . Tutto il mondo antico e tutte le energie soprannaturali ? anche il fato ? E tutta l ' Italia del rinascimento “ rimase nei suoi gusti pagana , serena ; non ebbe curiosità , non intimità ” ? Vedremo . Parliamo d ' umorismo e delle espressioni artistiche di esso , espressioni eccezionali e speciosissime , ripeto : ci basterebbe un umorista solo ; ne troveremo parecchi , in ogni tempo , in ogni luogo ; e diremo la ragione per cui i nostri segnatamente ci debba parere che non siano tali . Tutte le partizioni sono arbitrarie . Poco dopo la pubblicazione del saggio del Nencioni , che negava come abbiamo veduto all ' antichità una letteratura umoristica , non solo , ma anche la possibilità di averla , sorsero da noi prima il Fraccaroli , con uno studio intitolato appunto Per gli Umoristi dell ' Antichità ( Verona , 1885 ) , poi il Bonghi ( zLa coltura , 15 gennaio 1886 ) , poi altri ancora a rilevare nelle letterature classiche e specialmente nella greca , assai più umorismo , che non avesse saputo vedere il Nencioni . Quel felice equilibrio , quella calma statuaria e l ' anima sana e giovine e la serena armonia della vita e del temperamento degli antichi , come la natura rappresentata da questi con precisione e con fedeltà , senza melanconia né nostalgia , sono vecchi cavalli di battaglia della critica romantica . Già lo stesso Schiller , autore primo della partizione , dovette riconoscere che Euripide , Orazio , Properzio , Virgilio non si erano fatti un concetto ingenuo della natura e quindi concludere che vi erano anime sentimentali presso gli antichi e anime greche presso i moderni , e cancellare così , come impossibile a mantenere , la linea divisoria tra ispirazione antica e ispirazione moderna . Su le tracce del Biese , che scrisse su l ' evoluzione del sentimento della natura presso i greci ( Die Entwickelung des Naturgefühls bei den Griechen , Kiel , 1882; abbiamo su l ' argomento lavori più recenti ) , il Basch dimostrò agevolmente quanto di sentimentale vi fosse nella poesia e nel pensiero dei Greci , nella mitologia primitiva , nelle metamorfosi spesso grottesche delle divinità , nell ' utopia nostalgica dell ' età dell ' oro , nella raffinata melanconia dei lirici e degli elegiaci in ispecie , che rappresentarono la natura non solamente ” comme cadre des sentiments de l ' âme , mais encore comme ayant des profondes et mystérieuses affinités avec ses sentiments ” . Anche lo Herder , autore della partizione tra Natur - poesie e Kunst poesie , non dava ad essa un senso rigorosamente cronologico . E il Richter negava che il cristianesimo fosse causa e origine esclusiva della nuova poesia , giacché i poemi scandinavi dell ' Edda e quelli dell ' India eran nati fuori del misticismo cristiano ; e , ripetendo l ' osservazione del Herder che “ nessun poeta resta fedele ad un ' ispirazione sentimentale unica ” , chiamava romantici non già gli autori , ma quelle fra le opere ch ' erano d ' ispirazione sentimentale . Arrigo Heine diceva nella Germania che si era caduti in un deplorevole errore chiamando plastica l ' arte classica , come se ogni arte , antica o moderna , volendo esser arte , non dovesse per forza esser plastica nella sua forma esteriore . Ed è inutile ricordare qui a quali strette si trovò Victor Hugo , volendo additare come principio dell ' arte moderna la famosa teoria del grottesco , di fronte a Vulcano , a Polifemo , a Sileno , ai tritoni , ai satiri , ai ciclopi , alle sirene , alle furie , alle Parche , alle arpie , al Tersite omerico , alle dramatis persone delle commedie aristofanesche . D ' altra parte , nessuno più si sogna di negare che anch ' essi gli antichi avessero l ' idea della profonda infelicità degli uomini . La espressero , del resto , chiaramente filosofi e poeti . Ma , al solito , anche tra il dolore antico e il dolore moderno si è voluto vedere da alcuni una differenza quasi sostanziale , e si è sostenuto che vi è una lugubre progressione nel dolore , svolgentesi con la storia stessa della civiltà , una progressione che ha fondamento nella sensibilità dell ' umana coscienza , sempre più delicata , e nell ' irritabilità e nella incontentabilità di essa di mano in mano sempre maggiori . Ma questo lo aveva già detto , se non c ' inganniamo , fin dal tempo dei tempi , Salomone . Accrescimento di scienza , accrescimento di dolore . E aveva proprio ragione , fin dal tempo dei tempi , Salomone ? Sta a vedere . Se le passioni , quanto più si afforzano e si affinano , tanto più acquistano una specie d ' attrazione e di compenetrazione scambievole ; se con l ' ajuto della fantasia e dei sensi noi ci inoltriamo , come dicono , in un “ processo d ' universalizzazione ” che si fa sempre più rapido e sempre più invadente , sicché in un dolore ci par di sentire più dolori , tutti i dolori , soffriamo noi per questo veramente di più ? No : perché questo accrescimento , se mai , è a scapito dell ' intensità . E ben per questo il Leopardi notava acutamente che il dolore antico era un dolor disperato , come suoi essere in natura , com ' è ancora nei popoli barbari e semi - selvaggi o nelle genti della campagna , senza il conforto cioè della sensibilità , senza la dolce rassegnazione alle sventure . Facilmente oggi , agli occhi nostri , se crediamo d ' essere infelici , il mondo si converte in un teatro d ' universale infelicità ? Vuol dire che , invece di sprofondarci nel nostro proprio dolore , noi lo allarghiamo , lo diffondiamo nell ' universo . Ci strappiamo la spina , e ci avvolgiamo in una nuvola nera . Cresce la noja , ma si spunta e si attenua il dolore . Però , ecco , e quel tal tedio della vita dei contemporanei di Lucrezio ? e quella tal tristezza misantropica di Timone ? Oh via ! è proprio inutile sfoggiare esempii e citazioni . Sono questioni , disquisizioni , argomentazioni accademiche . L ' umanità passata non c ' è bisogno di cercarla lontano : è sempre in noi , tal quale . Possiamo tutt ' al più ammettere che oggi , per questa se vuolsi cresciuta sensibilità e per il progresso ( ahimè ) della civiltà , siano più comuni quelle disposizioni di spirito , quelle condizioni di vita più favorevoli al fenomeno dell ' umorismo , o meglio , di un certo umorismo ; ma è assolutamente arbitrario il negare che tali disposizioni non esistessero o non potessero esistere in antico . A buon conto , Diogene , con la sua botte e la sua lanterna , non è di jeri ; e nulla di più serio nel ridicolo e di più ridicolo nel serio . Eccezioni , come dice il Nencioni e ripete l ' Arcoleo , Aristofane e Luciano ? Ma eccezioni , allora , anche Swift e Sterne . Tutta l ' arte umoristica , ripetiamo , è stata sempre ed è tuttavia arte d ' eccezione . Diverso il pianto , secondo questa critica , e diverso naturalmente anche il riso degli antichi . Notissima , la distinzione di Gian Paolo Richter tra comico classico e comico romantico : facezia grossolana , satira volgare , derisione de ' vizii e dei difetti , senza alcuna commiserazione o pietà , quello ; umore , questo , cioè riso filosofico , misto di dolore , perché nato dalla comparazione del piccolo mondo finito con la idea infinita , riso pieno di tolleranza e di simpatia . Da noi il Leopardi , che ebbe sempre la nostalgia del passato e che nei Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura volle far notare che egli sentiva il dolore non a modo dei romantici , ma a modo degli antichi , cioè il dolore disperato , difese pure il comico antico contro il moderno , il comico antico che “ era veramente sostanzioso , esprimeva sempre e metteva sotto gli occhi , per dir così , un corpo di ridicolo ” , mentre il moderno “ un ' ombra , uno spirito , un vento , un soffio , un fumo . Quello empieva di riso , questo appena lo fa gustare ; quello era solido , questo fugace ; quello consisteva in immagini , similitudini , paragoni , racconti , insomma cose ridicole ; questo in parole , generalmente e sommariamente parlando , e nasce da quella tal composizione di voci , da quello equivoco , da quella tale allusione di parole , da quel giocolino di parole , da quella tal parola appunto di maniera che , togliete quelle allusioni , scomponete e ordinate diversamente quelle parole , levate quell ' equivoco , sostituite una parola in cambio d ' un ' altra , svanisce il ridicolo ” . E cita l ' esempio di Luciano che paragona gli Dei sospesi al fuso della Parca ai pesciolini sospesi alla canna del pescatore . Poi avverte : “ Ma forse e senza forse , presentemente , e massime ai francesi , par grossolano quel che una volta si chiamava sale attico , e piacque ai greci , popolo il più civile dell ' antichità e ai latini . E può essere che anche Orazio avesse una simile opinione , quando disse male de ' sali di Plauto ; e in fatti le Satire e le Epistole di Orazio non sono di così solido ridicolo come l ' antico comico greco e latino , ma né anche di gran lunga così sottile come il moderno . Ora , a forza di motti , si è renduto spirituale anche il ridicolo , assottigliato tanto che ormai non è più né pur liquore , ma un etere , un vapore ; e questo solo si stima ridicolo degno delle persone di buon gusto e di spirito e di vero buon tono , e degno del bel mondo e della civile conversazione . Il ridicolo delle antiche commedie nasceva anche molto dalle operazioni stesse che erano introdotti a fare i personaggi sulla scena , e quivi ancora era non piccola sorgente di sale , ma pura azione ; come nelle Cerimonie del Maffei : commedia piena di vero e antico ridicolo , quel salire di Orazio per la finestra a fine di evitare i complimenti alle porte . Un ' altra gran differenza tra il ridicolo antico e il moderno è che quello era preso da cose popolari e domestiche o almeno non della più fina conversazione , la quale poi non esisteva ancor per lo meno così raffinata ; ma il moderno , massime il francese , versa principalmente intorno al più squisito mondo , alle cose dei nobili più raffinati , alle vicende domestiche delle famiglie più moderne , ecc . , ecc . ( come anche proporzionatamente era il ridicolo d ' Orazio ) : sicché quello era un ridicolo che avea corpo , e , come il filo di un ' arma che non sia troppo aguzzo , durò lungo tempo ; dove questo , come ha una punta sottilissima , più o meno secondo i tempi e le nazioni , così anche in un batter d ' occhio si logora e si consuma , e dal volgo poi non si sente , come il taglio del rasojo a prima giunta ” . Il Leopardi , evidentemente , parla qui dell ' esprit francese in contrapposizione del ridicolo classico , senza pensare che questo ” esprit de conversation , le talent de faire des mors , le goût des petites phrases vives , fines , imprévues , ingénieuses , dardées avec gaieté ou malice ” ( Vedi H . Taine , Notes sur l ' Angleterre , Paris , Hachette et Cie , douzième édition , 1903 , - ch . VIII . De l ' esprit anglais , pag . 339 ) , è classico anch ' esso e antichissimo in Francia : Duas res industriosissime persequitur gens Gallorum , rem militarem et argute loqui . Questo esprit nativo in Francia , che si raffina anch ' esso a mano a mano e diviene un po ' convenzionale , elegante , aristocratico , in certi periodi letterarii , non è certamente l ' humour moderno , e tanto meno quello inglese che il Taine gli contrappone , come fatto appunto di case più che di parole o , sotto un certo aspetto , fatto di buon senso , se come pensava il Joubert esprit consiste nell ' aver molte idee inutili e il buon senso nell ' esser provvisto di nozioni necessarie . Non confondiamo dunque . Nel 1899 Alberto Cantoni , argutissimo nostro umorista ( vedi su lui il mio saggio Un critico fantastico nel vol . Arte e scienza , Roma , W . Modes ed . , 1908 ) , che sentiva profondamente il dissidio interno tra la ragione e il sentimento e soffriva di non poter essere ingenuo come prepotentemente in lui la natura avrebbe voluto , riprese l ' argomento in una sua novella critica intitolata Humour classico e moderno ( il Cantoni chiama propriamente questo suo lavoro grottesco , forse per la contaminazione dell ' elemento fantastico con la critica ) , nella quale immagina che un bel vecchio rubicondo e gioviale , che rappresenta l ' Humour classico , e un ometto smilzo e circospetto , con una faccia un poco sdolcinata e un poco motteggiatrice , che rappresenta l ' Humour moderno , s ' incontrino a Bergamo innanzi al monumento a Gaetano Donizetti e là , senz ' altro , si mettono a disputare tra loro e poi si lanciano una sfida , si propongono cioè d ' andare in campagna lì presso , a Clusone , dove si tiene una fiera , ognuno per conto proprio , come se non si fossero mai visti , e di ritornare poi la sera , daccapo , innanzi al monumento di Donizetti , recando ciascuno le fugaci e particolari impressioni della gita per metterle a paragone . Invece di discorrere criticamente della natura , delle intenzioni , del sapore dell ' umorismo antico e del moderno , il Cantoni , in questa novella , riferisce vivacemente , in un dialogo brioso , le impressioni del vecchio gioviale e dell ' ometto circospetto raccolte alla fiera di Clusone . Quelle del primo avrebbero potuto essere argomento d ' una novella del Boccaccio , del Firenzuola , del Bandello ; i correnti e le variazioni sentimentali dell ' altro hanno invece il sapore di quelle dello Sterne nel Sentimental Journey o del Heine nei Reisebilder . Il Cantoni , prediligendo la natura ingenua e schietta , terrebbe nella disputa dalla parte del vecchio rubicondo , se non fosse costretto a riconoscere ch ' esso ha voluto rimanere tal quale assai più che non lo comportassero gli anni e che è volgaruccio e spesso vergognosamente sensuale ; ma poi , sentendo anche In sé il dissidio che tiene scissa e sdoppiata l ' anima di quell ' altro , dell ' ometto smilzo , lo fa mordere dal vecchio con aspre parole : “ A forza di ripetere continuamente che tu sembri sorriso e che sei dolore ... n ' è venuto che oramai non si sa più né che cosa veramente tu sembri , né che cosa veramente tu sia ... Se tu ti potessi vedere , non capiresti , come me , se tu abbia più voglia di piangere o di sorridere . Adesso è vero gli risponde l ' Humour moderno . Perché adesso penso solamente che voi vi siete fermato a mezza via . Al vostro tempo le gioje e le angustie della vita avevano due forme o almeno due parvenze più semplici e molto dissimili fra di loro , e niente era più facile che sceverare le une dalle altre per poi rialzare le prime a danno delle seconde , o viceversa ; ma dopo , cioè al tempo mio , è sopravvenuta la critica e felice notte ; s ' è brancolato molto tempo a non sapere né che cosa fosse il meglio , né che cosa fosse il peggio , finché principiarono ad apparire , dopo essere stati così gran tempo assai nascosti , i lati dolorosi della gioja e i lati risibili del dolore umano . Anche gli antichi solevano sostenere che il piacere non era altro che la cessazione del dolore e che il dolore stesso , ben esaminato , non era punto il male ; ma le sostenevano sul serio queste belle cose : come dire che non ne erano niente penetrati ; adesso invece è venuto pur troppo il tempo mio e si ripete , aimè , quasi ridendo , cioè con la più profonda persuasione , che i due suddetti elementi , attaccati da poco in qua alla gioja e al dolore , hanno assunto aspetti così incerti e così trascolorati che non si possono più , nonché separare , nemmeno distinguere . Ne è venuto che i miei contemporanei non sanno ora più essere né ben contenti , né bene malcontenti mai , e che voi solo non bastate più né a far fermentare il misurato sollazzo dei primi e né a divergere le sofistiche tremerelle dei secondi . Ci voglio io , che mescolo tutto scientemente , per fare svanire da una parte quanto più posso ingannevoli miraggi e per limare dall ' altra quante più trovo superflue asperità . Vivo di espedienti e di cuscinetti , io ... Bella vita ! esclama il vecchio . E l ' ometto smilzo séguita : ... per arrivare possibilmente ad uno stato intermedio che rappresenti come la sostanza grigia dell ' umana sensibilità . Si sente troppo adesso , come troppo s ' è riso a ufo ed a credenza in altri tempi : urge però che il pensiero regga le briglie alla più incomposta manifestazione del sentimento ... Rimpiango sempre di non aver potuto ereditare le vostre illusioni , e mi rallegro nello stesso tempo di trovarmi di qua dal fosso , bene agguerrito contro alle insidie delle illusioni stesse ! O che avete ? Perché mi affisate a codesto modo ? Penso , risponde il vecchio , che se vuoi proprio aver due anime in una , fai molto bene a non assumere la famosa guardatura di quel vedovo innamorato , che a sinistra piangeva la morta e a destra faceva l ' occhietto alla viva . Tu invece vuoi piangere e far l ' occhietto insieme , da tutte due le parti , come dire che non ci si capisce più nulla ” . Come nel dramma romantico che i due bravi borghesi Dupuis e Cotonet vedevano : ” vêtu de blanc et de noir , riant d ' un oeil et pleurant de l ' autre ” . Ma abbiamo confusione anche qui . In fondo , il Cantoni viene a dire sott ' altra forma quello stesso che avevano detto il Richter e il Leopardi . Se non che , egli chiama anche humour quello che gli altri due avevano chiamato comico classico e ridicolo antico . Il Richter tedesco tesse però l ' elogio del comico romantico o humour moderno , e vitupera come grossolano e volgare il comico classico ; mentre Cantoni , come il Leopardi da buon italiano lo difende , pur riconoscendo che la taccia di vergognosa sensualità non sia affatto immeritata . Ma anche per lui l ' humour moderno non è altro che una sofisticazione dell 'antico.”Via, ho idea , gli dice infatti l ' Humour classico , che si sia fatto sempre senza di te , ovvero che tu non sia altro che la parte peggiore di me medesimo , la quale abbia messo cresta per impertinenza , come ora usa . È un gran dire però che non s ' abbia mai a conoscersi bene da sé soli ! Tu mi sei certo scivolato di sotto ed io non me ne sono avvisto ” . Ora , è vero questo ? Ciò che il Cantoni chiama Humour classico è proprio humour ? o non incorre il Cantoni per un verso nello stesso errore in cui incorse già per l ' altro il Leopardi , confondendo cioè con l ' esprit francese tutto il ridicolo moderno ? Più propriamente : ciò che il Cantoni chiama humour classico , non sarebbe l ' umorismo inteso in un senso molto più largo , nel quale sian comprese la burla , la baja , la facezia , tutto il comico in somma nelle sue varie espressioni ? Qui è il nodo vero della questione . Non c ' entra la diversità dell ' arte antica dalla moderna , come non c ' entrano le speciali prerogative di questa o di quella razza . Si tratta di vedere in che senso si debba considerar l ' umorismo , se nel senso largo che comunemente ed erroneamente gli si suoi dare , e ne troveremo allora in gran copia così presso le letterature antiche come presso le moderne , d ' ogni nazione ; o se in un senso più ristretto e più proprio , e ne troveremo allora parimenti , ma in molto minor copia , anzi in pochissime espressioni eccezionali , così presso gli antichi come presso i moderni , d ' ogni nazione . III . DISTINZIONI SOMMARIE Nel Cap . VIII del libro Notes sur l ' Angleterre il Taine , com ' è noto , si provò a comparare l ' esprit francese e quello inglese . “ Non deve dirsi che essi ( gl ' Inglesi ) non abbiano spirito , scrisse il Taine ; ne hanno uno per conto loro , in verità poco gradevole , ma affatto originale , di sapor forte e pungente e anche un po ' amaro , come le lor bevande nazionali . Lo chiamano humour ; e , in generale , è la facezia di chi , scherzando , serba un ' aria grave . Questa facezia abbonda negli scritti di Swift , di Fielding , di Sterne , di Dickens , di Thackeray , di Sidney Smith ; sotto quest ' aspetto , il Libro degli snobs e le Lettere di Peter Plymley son capolavori . Se ne trova anche molto , della qualità più indigena e più aspra , in Carlyle . Essa confina ora con la caricatura buffonesca , ora col sarcasmo meditato ; scuote rudemente i nervi , o s ' affonda e prende stanza nella memoria . È un ' opera dell ' immaginazione stramba o dell ' indignazione concentrata . Si piace nei contrasti stridenti , nei travestimenti impreveduti . Para la follia con gli abiti della ragione o la ragione con gli abiti della follia . Arrigo Heine , Aristofane , Rabelais e talvolta Montesquieu , fuori dell ' Inghilterra , sono quelli che ne hanno in più larga dose . Ma pur si deve in questi tre ultimi sottrarre un elemento straniero , la estrosità francese , la gioja , la gajezza , quella specie di buon vino che non si vendemmia se non nei paesi del sole . Nello stato insulare e puro , essa lascia sempre , in fine , un sapor di aceto . Chi scherza così è di raro benevolo e non è mai lieto , sente e tradisce fortemente le dissonanze della vita . E non ne gode ; in fondo anzi ne soffre e se ne irrita . Per studiar minuziosamente un grottesco , per prolungar freddamente un ' ironia , bisogna avere un sentimento continuo di tristezza e di collera . I saggi perfetti del genere si devono cercare nei grandi scrittori , ma il genere è talmente indigeno che si trova ogni giorno nella conversazione ordinaria , nella letteratura , nelle discussioni politiche , ed è la moneta corrente del Punch ” . La citazione è un po ' troppo lunga ; ma opportuna per chiarir parecchie cose . Il Taine riesce a coglier bene la differenza generale tra la plaisanterie inglese e la francese , o meglio , il diverso umore dei due popoli . Ogni popolo ha il suo , con caratteri di distinzione sommaria . Ma , al solito , non bisogna andare tropp ' oltre , non bisogna cioè prender questa distinzione sommaria come solido fondamento nel trattare d ' un ' espressione d ' arte specialissima come la nostra . Che diremmo di uno il quale dal sommario accertamento che vi son certi tratti fisionomici comuni per cui , così all ' ingrosso , distinguiamo un Inglese da uno Spagnuolo , un Tedesco da un Italiano , ecc . , traesse la conseguenza che tutti quanti gl ' Inglesi , per esempio , hanno gli stessi occhi , lo stesso naso , la stessa bocca ? Per intender bene quanto sia sommario questo modo di distinguere , chiudiamoci per un momento nei confini del nostro paese . Noi tutti , d ' una data nazione , possiamo notar facilmente come e quanto la fisionomia dell ' uno sia diversa da quella d ' un altro . Ma questa osservazione , ovvia , facilissima per noi , riesce invece difficilissima a uno straniero , per il quale noi tutti avremo uno stesso aspetto generale . Pensiamo a un gran bosco dove fossero parecchie famiglie di piante : querci , aceri , faggi , platani , pini , ecc . Sommariamente , a prima vista , noi distingueremo le varie famiglie dall ' altezza del fusto , dalla diversa gradazione del verde , in somma dalla configurazione generale di ciascuna . Ma dobbiamo poi pensare che in ognuna di queste famiglie non solo un albero è diverso dall ' altro , un tronco dall ' altro , un ramo dall ' altro , una fronda dall ' altra , ma che , fra tutta quella incommensurabile moltitudine di foglie , non ve ne sono due , due sole , identiche tra loro . Ora , se si trattasse di giudicare di un ' opera d ' immaginazione collettiva , come sarebbe appunto un ' epopea genuina , sorta viva e possente dalle leggende tradizionali primitive d ' un popolo , ci potremmo in certa guisa contentare di quella sommaria distinzione . Non possiamo contentarcene più invece nel giudicar di opere che siano creazioni individuali , segnatamente poi se umoristiche . Colto astrattamente il tipo dell ' umore inglese , il Taine mette prima in un fascio Swift e Fielding e Sterne e Dickens e Thackeray e Sidney Smith e Carlyle , e vi accozza poi Heine , Aristofane , Rabelais , Montesquieu . Bel fascio ! Dall ' umorismo inteso nel senso più largo , come carattere comune , tipico modo di ridere di questo o di quel popolo , saltiamo a piè pari a considerar le singole e specialissime espressioni d ' un umorismo , che non è più possibile intendere in quel senso largo , se non a patto di rinunziare assolutamente alla critica : dico a quella critica che indaga e scopre tutte le singole differenze caratteristiche per cui l ' espressione , e dunque l ' arte , il modo d ' essere , lo stile d ' uno scrittore si distingue da quello dell ' altro : lo Swift dal Fielding , lo Sterne dallo Swift e dal Fielding , il Dickens dallo Swift e dal Fielding e dallo Sterne e così via . Le relazioni che questi scrittori umoristici inglesi possono avere con l ' umore nazionale sono affatto secondarie e superficiali come quelle che essi possono aver fra loro , e non hanno per la valutazione estetica alcuna importanza . Quel che di comune possono aver tra loro questi scrittori non deriva dalla qualità dell ' umore nazionale inglese , ma dal solo fatto ch ' essi sono umoristi , ciascuno si a suo modo , ma umoristi tutti veramente , scrittori cioè nei quali avviene quello speciale processo intimo e caratteristico da cui risulta l ' espressione umoristica . E soltanto per questo , non Arrigo Heine e il Rabelais e il Montesquieu e basta , ma tutti i veri scrittori umoristici d ' ogni tempo e d ' ogni nazione possono andare a schiera con quelli . Non però Aristofane , nel quale quel processo non avviene affatto . In Aristofane non abbiamo veramente il contrasto , ma soltanto l ' opposizione . Egli non è mai tenuto tra il sì e il no ; egli non vede che le ragioni sue , ed è per il no , testardamente , contro ogni novità , cioè contro la retorica , che crea demagoghi , contro la musica nuova , che , cangiando i modi antichi e consacrati , rimuove le basi dell ' educazione e dello Stato , contro la tragedia d ' Euripide , che snerva i caratteri e corrompe i costumi , contro la filosofia di Socrate , che non può produrre che spiriti indocili e atei , ecc . Alcune sue commedie son come le favole che scriverebbe la volpe , in risposta a quelle che hanno scritto gli uomini calunniando le bestie . Gli uomini in esse ragionano e agiscono con la logica delle bestie , mentre nelle favole le bestie ragionano e agiscono con la logica degli uomini . Sono allegorie in un dramma fantastico , nel quale la burla è satira iperbolica , spietata ( Vedi Jacques Denis , La comédie grecque , vol . I , chap . VI , Paris , Hachette et Cie , 1886 , e la bella e dotta prefazione di Ettore Romagnoli alla sua impareggiabile traduzione delle commedie di A . , Torino , Bocca , 1908 ) . Aristofane ha uno scopo morale , e il suo non è mai dunque il mondo della fantasia pura . Nessuno studio della verosimiglianza : egli non se ne cura perché si riferisce di continuo a cose e a persone vere : astrae iperbolicamente dalla realtà contingente e non crea una realtà fantastica , come , ad esempio , lo Swift . Umorista non è Aristofane , ma Socrate , come acutamente osserva Teodoro Lipps ( Komik und Humor , eine psychologisch - ästhetische Untersuchung , Hamburg u . Leipzig , Voss , 1898 ) : Socrate che assiste alla rappresentazione delle Nuvole e ride con gli altri della derisione che fa di lui il poeta , Socrate che “ versteht den Standpunkt des Volksbewusstseins , zu dessen Vertreter sich Aristophanes gemacht hat , und sieht darin etwas relativ Gutes und Vernünftiges . Er anerkennt eben damit das relative Recht derer , die seinen Kampf gegen das Volksbewusstsein verlachen . Damit erst wird sein Lachen zum Mitlachen . Andererseits lacht er doch über die Lacher . Er thut es und kann es thun , weil er des höheren Rechtes und notwendigen Sieges seiner Anschauungen gewiss ist . Eben dieses Bewusstsein leuchtet durch sein Lachen , und lässt es in seiner Thorheit logisch berechtigt , in seiner Nichtigkeit sittlich erhaben erscheinen ” . Socrate ha il sentimento del contrario ; Aristofane , dunque , se mai , può esser considerato umorista soltanto se intendiamo l ' umorismo nell ' altro senso molto più largo , e per noi improprio , in cui siano compresi la burla , la baja , la facezia , la satira , la caricatura , tutto il comico in somma nelle sue varie espressioni . Ma in questo senso anche tanti e tant ' altri scrittori faceti , burleschi , grotteschi , satirici , comici d ' ogni tempo e d ' ogni nazione dovrebbero esser considerati umoristi . L ' errore è sempre quello : della distinzione sommaria . Sono innegabili le diverse qualità delle varie razze , è innegabile che la plaisanterie francese non è l ' inglese come non è l ' italiana , la spagnuola , la tedesca , la russa , e via dicendo ; innegabile che ogni popolo ha un suo proprio umore ; l ' errore comincia quando quest ' umore , naturalmente mutabile nelle sue manifestazioni secondo i momenti e gli ambienti , è considerato , come comunemente il volgo suol fare , quale umorismo ; oppure quando per considerazioni esteriori e sommarie si afferma sostanzialmente diverso negli antichi e nei moderni ; e quando in fine , per il solo fatto che gl ' Inglesi chiamarono humour questo loro umore nazionale , mentre gli altri popoli lo chiamarono altrimenti , si viene a dire che soltanto gl ' Inglesi hanno il vero e proprio umorismo . Abbiamo già veduto che , molto prima che quel gruppo di scrittori inglesi del sec . XVIII si chiamasse degli umoristi ( vedi su essi le sei letture del Thackeray , The english Humourists of the eighteenth Century , Leipzig , Tauchnitz , 1853 . Sono : Swift , Congreve , Addison , Steele , Prior , Gay , Pope , Hogarth , Smollett , Fielding , Sterne , Goldsmith ) ; in Italia avevamo avuto e umidi e umorosi e umoristi . Questo , se si vuol discutere sul nome . Se si vuol poi discutere intorno alla cosa , è da osservare innanzi tutto che , intendendo in questo senso largo l ' umorismo , tanti e tanti scrittori che noi chiamiamo burleschi o ironici o satirici o comici ecc . , sarebbero chiamati umoristi dagli Inglesi , i quali sentirebbero in essi quel tal sapore che noi sentiamo nei loro scrittori e non sentiamo più nei nostri per quella particolarissima ragione , che con molto accorgimento fu messa in chiaro dal Pascoli . ” C ' è , disse il Pascoli in ogni lingua e letteratura un quid speciale e intraducibile , che pochi sanno percepire nella lingua e letteratura lor propria e avvertono , invece , senza difficoltà nelle altrui . Ogni lingua straniera , pur da noi non intesa , vi suona all ' orecchio più , dirò , mirabilmente , che la vostra . Un racconto , una poesia , esotici , vi sembrano più belli , anche se mediocri , di molte belle cose nostrane ; e tanto più , quanto più conservano di quell ' essenza nazionale . Ora non crediate che la vostra lingua e letteratura non abbiano a fare il medesimo effetto negli altri che quelle altre in noi ! ” . Una prova di questo fatto si può avere in ciò che W . Roscoe scrisse nel cap . XVI , § 12 , della sua opera Vita e pontificato di Leon X , a proposito del Berni . Il Roscoe , inglese , e che perciò di quel che comunemente nel suo paese s ' intende per humour doveva aver coscienza , scrisse che le facili composizioni del Berni e del Bini e del Mauro , ecc . “ non è improbabile che abbiano aperta la strada ad una simile eccentricità di stile in altri paesi ” e che ” in verità può concepirsi l ' idea più caratteristica degli scritti del Berni e dei compagni e seguaci di lui col considerare esser quelli in versi facili e vivaci la stessa cosa , che sono le opere in prosa di Rabelais , di Cervantes e di Sterne ” . E non ci dà Antonio Panizzi , che lungamente visse in Inghilterra e degli scrittori nostri scrisse in inglese , una definizione dello stile del Berni , che risponde in gran parte a quella che il Nencioni poi volle dare dell ' umorismo ? “ I precipui elementi dello stile del Berni dice il Panizzi sono : l ' ingegno che non trova somiglianza tra oggetti distanti e la rapidità onde subitamente connette le idee più remote ; il modo solenne onde allude ad avvenimenti ridicoli e profferisce un ' assurdità ; l ' aria d ' innocenza e d ' ingenuità con che fa osservazioni piene d ' accorgimento e conoscenza del mondo , la peculiar bonarietà con che sembra riguardare con indulgenza ... gli errori e le malvagità umane ; la sottile ironia che egli adopera con tanta apparenza di semplicità e d ' avversione all ' acerbezza ; la singolare schiettezza con che pare desideroso di scusare uomini e opere nello stesso momento che è tutto inteso a farne strazio » . A ogni modo , è certo che il Roscoe sentiva nel Berni e negli altri nostri poeti bajoni lo stesso sapore che sentiva negli scrittori suoi connazionali dotati di humour ( il Nencioni definisce l ' umorismo “ una naturale disposizione del cuore e della mente a osservare con simpatica indulgenza le contradizioni e le assurdità della vita ” ) . E non lo sentiva forse il Byron nel nostro Pulci , di cui tradusse finanche il primo canto del Morgante ? E lo stesso Sterne non lo sentiva finanche nel nostro Gian Carlo Passeroni ( Passeroni dabben , come lo chiamava il Parini ) , quel buon prete nizzardo che nel canto XVII , parte III del suo Cicerone ci fa sapere ( str . I22ª ) : E già mi disse un chiaro letterato Inglese , che da questa mia stampita Il disegno , il modello avea cavato Di scrivere in più torni la sua vita E pien di gratitudine e d ' amore Mi chiamava suo duce e precettore . E , d ' altro canto , non risente proprio per nulla degli scrittori francesi del grand siècle e anche di altri che non appartengono a questo , quel gruppo di umoristi inglesi di cui abbiamo or ora fatto parola ? Il Voltaire , parlando dello Swift nelle sue Lettres sur les Anglais dice : “ Mr . Swift est Rabelais dans son bon sens et vivant en bonne compagnie . Il n ' a pas , à la verité , la gaité du premier , mais il a toute la finesse , la raison , le choix , le bon goût qui manquent à notre curé de Meudon ( Come suonano curiose queste lodi a uno scrittore inglese raffrontato con uno scrittore francese , dopo aver letto nel Taine la pagina su l ' esprit francese e su l ' inglese ! ) . Ses vers sont d ' un goût singulier et presque inimitable ; la bonne plaisanterie est son partage en vers et en prose ; mais pour le bien entendre , il faut faire un petit voyage dans son pays » . Dans son pays , va bene ; ma c ' è anche chi vuol dire che bisognerebbe far pure un piccolo viaggio alla luna in compagnia di Cyrano de Bergerac . E chi metterà in dubbio l ' azione del Voltaire e del Boileau sul Pope ? E ricorderemo che il Lessing , accusando il Gottsched nelle sue Lettere su la letteratura moderna , dice che meglio sarebbe convenuta al gusto e al costume tedesco l ' imitazione degli Inglesi , di Shakespeare , di Jonson , di Beaumont e Fletcher , anzi che quella dell ' infranciosato Addison . Ma una prova anche più chiara si può cavar dal fatto che , mentre nessuno di quelli che da noi si sono occupati di umorismo e , per un pregiudizio snobistico , lo hanno veduto soltanto in Inghilterra , si è mai sognato di chiamare umorista il Boccaccio per quelle molte sue novelle che ridono , umorista e anzi il primo degli umoristi è ritenuto invece in Inghilterra pe ' suoi Canterbury Tales il Chaucer . Han voluto vedere nel poeta inglese , non com ' era giusto il quid speciale della diversa lingua , un altro stile ; ma , nello stile , una maggiore intimità , e dimostrar questa maggiore intimità innanzi tutto nell ' ingegnoso pretesto delle novelle ( il pellegrinaggio a Canterbury ) , nei ritratti dei pellegrini novellatori , segnatamente di quella indimenticabile , graziosissima Prioressa , Suor Eglantina , e di sir Thopas e della donna di Bath , poi nella rispondenza delle novelle ai caratteri di chi le racconta , o meglio , nel modo con cui le varie novelle , che il Chaucer non inventa , prendono colore e qualità dai pellegrini . Ma questa che vuol parere un ' osservazione profonda , è , invece , superficialissima , perché si arresta soltanto alla cornice del quadro . La magnifica opulenza dello stile boccaccesco , la copia e l ' appariscenza della forma si possono forse da un canto considerare come esteriori e implicano forse dall ' altro scarsezza d ' intimità psicologica ? Esaminiamo , sotto questo aspetto , a una a una le novelle , i caratteri dei singoli personaggi , lo svolgimento delle passioni , la dipintura minuta , spiccata , evidente della realtà , che sottintende una sottilissima analisi , una conoscenza profonda del cuore umano , e vedremo se il Boccaccio , segnatamente nell ' arte di render verosimili certe avventure troppo strane , non supera di gran lunga il Chaucer . Si è troppo abusato d ' una osservazione , al solito sommaria , fatta da coloro che han studiato con soverchio amore delle cose altrui le relazioni tra le letterature straniere e la nostra : la osservazione cioè che gli scrittori nostri abbiano dato sempre a tutto ciò che han tolto dagli stranieri una così detta maggior bellezza esteriore , una linea più composta e più armoniosa ; e che gli stranieri , invece , abbiano dato a tutto ciò che han tolto dagli scrittori nostri una maggior bellezza interiore , un carattere più intimo e profondo . Ora questo , se mai , può valere per certi scrittori nostri mediocri , da cui qualche sommo scrittore straniero abbia tolto questo o quell ' argomento : può valere ad esempio per certi novellieri nostri , da cui lo Shakespeare cavò la favola per alcuni suoi drammi possenti . Non può valere per il Boccaccio e per il Chaucer . Bisogna invece considerare , in questo caso , che cosa uno scheletrico fabliau francese ( ammesso che il Chaucer non abbia preso nulla direttamente dal Boccaccio ) sia diventato nelle novelle dell ' uno e dell ' altro . IV . L ' UMORISMO E LA RETORICA Giacomo Barzellotti , nel suo volume Dal Rinascimento al Risorgimento ( Palermo , R . Sandron ed . , 1904 ) , seguendo i concetti e il sistema del Taine e anche qualche idea espressa dal Bonghi nelle Lettere critiche , e da un saggio di etologia della nostra cultura , inteso a ricercare la mutua dipendenza tra le disposizioni morali e sociali , gli abiti della mente , gl ' istinti di razza del nostro popolo e le sue abitudini a concepire e ad esprimere il bello , passando a studiare Il problema storico della prosa nella Letteratura italiana , disse che uno dei pregiudizii nostri è “ quello di presupporre che l ' arte dello scrivere sia , solo o prima di tutto , un lavoro esterno di forma e di stile , mentre la forma stessa e lo stile , il cui studio è bensì essenziale allo scrivere , sono avanti a tutto , un ' opera intima di pensiero , vale a dire una cosa che si può ottener bene se si prenda immediatamente e come un fine in sé , una cosa a cui non si giunge se non movendo da un ' altra parte , cioè dal di dentro , dal pensiero , non dalla parola , dallo studio , dalla meditazione e dalla elaborazione profonda della materia , del soggetto e dell ' idea ” . Ora questo pregiudizio , come si sa , fu quello della Retorica , ch ' era appunto una poetica intellettualistica , fondata tutta cioè su astrazioni , in base a un procedimento logico ( “ La retorica corrisponde alla logica ” aveva già detto Aristotele , Ret . lib . I , c . 1 ) . L ' arte per essa era abito di operare secondo certi principii . E stabiliva secondo quali principii l ' arte dovesse operare : principii universali , assoluti , come se l ' opera d ' arte fosse una conclusione da costruire al pari d ' un ragionamento . Diceva : “ Così si è fatto ; così si deve fare ” . Raccolti , come in un museo , tanti modelli di bellezza immutabile , ne imponeva l ' imitazione . Retorica e imitazione sono in fondo la stessa cosa . E i danni che essa cagionò in ogni tempo alla letteratura sono senza dubbio , come ognun sa , incalcolabili . Fondata sul pregiudizio della così detta tradizione , insegnava ad imitare ciò che non si imita : lo stile , il carattere , la forma . Non intendeva che ogni forma dev ' essere né antica né moderna , ma unica , quella cioè che è propria d ' ogni singola opera d ' arte e non può esser altra né di altre opere , e , che perciò non può né deve esistere tradizione in arte . Regolata com ' era dalla ragione , vedeva da per tutto categorie e la letteratura come un casellario : per ogni casella , un cartellino . Tante categorie , tanti generi ; e ogni genere aveva la sua forma prestabilita : quella e non altra . È vero che tante volte , poi , s ' accomodava ; ma darsi per vinta non voleva mai . Quando un poeta ribelle appioppava un calcio bene scolpito al casellario e creava a suo modo una forma nuova , i retori gli abbajavano dietro per un pezzo : ma poi , alla fine , se quella forma riusciva a imporsi , essi se la prendevano , la smontavano come una macchinetta , la scioglievano in un rapporto logico , la catalogavano , magari aggiungendo una nuova casella al casellario . Così avvenne , ad esempio , per il dramma storico di quel gran barbaro dello Shakespeare . Si diede per vinta la Retorica ? No : dopo avere abbajato per un pezzo , prescrisse le norme per il dramma storico , accolto nel casellario . Ma è anche vero che questi cani , quando s ' abbattevano a un povero poeta indebolito di mente , ne facevano strazio e lo costringevano a tartassar la propria opera non condotta a puntino sul modello imposto alla imitazione forzata . Esempio : la Conquistata del Tasso . La coltura , per la Retorica , non era la preparazione del terreno , la vanga , l ' aratro , il sarchio , il concime , perché il germe fecondo , il polline vitale , che un ' aura propizia , in un momento felice , doveva far cadere in quel terreno vi mettesse salde radici e vi trovasse abbondante nutrimento e si sviluppasse vigoroso e solido e sorgesse senza stento , alto e possente nel desiderio del sole . No : la coltura , per la Retorica , consisteva nel piantar pali e nel vestirli di frasche . Gli alberi antichi , custoditi nella sua serra , perdevano il loro verde , appassivano ; e con le fronde morte , con le foglie ingiallite , coi fiori secchi essa insegnava a parar certi tronchi di idee senza radici nella vita . Per la Retorica prima nasceva il pensiero , poi la forma . Il pensiero cioè non nasceva come Minerva armata dal cervello di Giove : nudo nasceva , poveretto ; ed essa lo vestiva . Il vestito era la forma . La Retorica , in somma , era come un guardaroba : il guardaroba dell ' eloquenza dove i pensieri nudi andavano a vestirsi . E gli abiti , in quel guardaroba , eran già belli e pronti , tagliati tutti su i modelli antichi , o meno adorni , di stoffa umile o mezzana o magnifica , divisi in tante scansie , appesi alle grucce e custoditi dalla guardarobiera che si chiamava Convenienza . Questa assegnava gli abiti acconci ai pensieri che si presentavano ignudi . Vuoi essere un Idillio , tu ? un Idillietto leggiadro e pettinato ? Su , fammi sentire come sospiri : Ahi lasso ! Oh , bravo . Hai letto Teocrito ? hai letto Mosco ? hai letto Bione ? e di Virgilio le Bucoliche ? Sì ? Recita su , da bravo . Sei un pappagallino bene ammaestrato . Vieni qua . Apriva la scansia , su la cui targa in cima si leggeva : Idillii , e ne traeva un grazioso abituccio di pastorello . E tu una Tragedia vorresti essere ? Ma proprio proprio una Tragedia ? È cosa ardua , bada ! Devi essere a un tempo grave e lesta , cara mia . In ventiquattr ' ore , tutto finito . E ferma , veh ! Scegliti un luogo , e lì . Unità , unità , unità . Lo sai ? Brava . Ma dimmi un po ' : ti scorre sangue reale per le vene ? E hai studiato Eschilo , Sofocle , Euripide ? Anche il buon Seneca ? Brava . Vuoi uccidere i figli come Medea ? il marito come Clitennestra ? la madre come Oreste ? Tu vuoi uccidere un tiranno come Bruto ; ho capito ; vieni qua . Così i pensieri facevan da manichini alla forma - vestiario . Cioè la forma non era propriamente forma , ma formazione : non nasceva , si faceva . E si faceva secondo norme prestabilite : si componeva esteriormente , come un oggetto . Era dunque artificio , non arte ; copia , non creazione . Ora si deve ad essa , senza dubbio , la scarsa intimità dello stile che si può notare in genere in tante opere della nostra letteratura ; si deve ad essa se per restringerci alla nostra indagine speciale non pochi scrittori nostri che avrebbero avuto e anzi ebbero indubbiamente , come per tante testimonianze si può arguire , una spiccatissima disposizione all ' umorismo , non riuscirono a manifestarla , a darle espressione , per rispettare appunto le leggi della composizione artistica . L ' umorismo , come vedremo , per il suo intimo , specioso , essenziale processo , inevitabilmente scompone , disordina , discorda ; quando , comunemente , l ' arte in genere , com ' era insegnata dalla scuola , dalla retorica , era sopra tutto composizione esteriore , accordo logicamente ordinato . E si può veder difatti che tanto quegli scrittori nostri che si sogliono chiamare umoristi , quanto quegli altri che sono veramente e propriamente tali , o son di popolo o popolareggianti , lontani cioè dalla scuola , o son ribelli alla Retorica , cioè alle leggi esterne della tradizionale educazione letteraria . Si può vedere , infine , che quando questa tradizionale educazione letteraria fu spezzata , quando il giogo della poetica intellettualistica del classicismo fu infranto dall ' irrompere del sentimento e della volontà , che caratterizza il movimento romantico , quegli scrittori che avevano una natural disposizione all ' umorismo la espressero nelle loro opere non per imitazione , ma spontaneamente . Alessandro D ' Ancona in quel suo studio su Cecco Angiolieri , da cui abbiamo preso le mosse , volle scorgere i caratteri del vero umorismo nella poesia di questo nostro bizzarro poeta del sec . XIII . Ora questo , no , veramente . L ' esempio dell ' Angiolieri può giovarci per chiarire quanto abbiamo detto or ora e non per altro . Io ho già dimostrato altrove ( vedi mio volume Arte e scienza , Roma , W . Modes ed . , 1908 : I sonetti di Cecco Angiolieri ) che i caratteri del vero umorismo mancano assolutamente all ' Angiolieri , come gli mancano pur quelli ritenuti tali dal D ' Ancona . La parola malinconia in Cecco , ad esempio , se non ha più il senso originario che aveva nel latino di Cicerone e di Plinio , è pur lontanissima dal significare quella delicata affezione o passion d ' animo che intendiamo noi : malinconia per Cecco significa sempre non aver denari da scialacquare , non tener la Becchino . a sua posta , aspettare invano che il padre vecchissimo e ricco si muoja ed e ' morrà quando il mar sarà sicco si ll ’ à dio fatto per mio strazio sano ! Un certo verso che il D ' Ancona chiama singhiozzante e che cita per ultimo a concludere che ogni sforzo che il poeta faccia per liberarsi della malinconia gli riesce inutile : con gran malinconia sempre istò , non ha affatto il carattere compendioso , né il valore espressivo che il D ' Ancona gli vuole attribuire . Il contrasto , quel che par sorriso ed è dolore , in Cecco in somma non c ' è mai . A provarlo , il D ' Ancona cita anche qui due versi , staccandoli da tutto il resto e dando ad essi un valore espressivo che non hanno : Però malinconia non prenderaggio anzi m ' allegrerò del mi ' tormento . Segue in fatti a questi due versi una terzina , che non solo spiega l ' apparente contrasto , ma lo distrugge affatto . Cecco non prenderà malinconia , anzi s ' allegrerà del suo tormento , perché ha udito dire a un uomo saggio : che ven un dì che val per più di cento . E il dì sarà quello della morte del padre , che gli permetterà di far gavazze , come allude in un altro sonetto : Sed i ' credesse vivar un dì solo più di colui che mi fa vivar tristo , assa ' di volte ringrazere ' Cristo ... Questo giorno ha pur da venire : bisognerà aspettarlo con pazienza , perché : l ' uom non può sua ventura prolungare né far più brieve c ' ordinato sia ; ond ' i ' mi credo tener questa via di lasciar la natura lavorare e di guardarmi , s ' io ' l potrò fare che non m ' accolga più malinconia , ch ' i ' posso dir che per la mia follia i ' ò perduto assai buon sollazzare . Anche che troppo tardi mi n ' avveggio non lascerò ch ' i ' non prenda conforto , c ' a far d ' un danno due sarebbe peggio , Ond ' i ' mi allegro e aspetto buon porto , ta ' cose nascer ciascun giorno veggio , che ' n dì di vita ( mia ) non m ' isconforto . Sul valore della parola malinconia , tante volte ripetuta da Cecco , non è possibile farsi , come il D ' Ancona ha voluto farsi , alcuna illusione . Cecco non s ' allegra mai veramente del suo tormento , sì lo riveste d ' una forma arguta e vivace , la quale per me , spesso , più che per intenzione burlesca o satirica , proviene dalla sua natura paesana , ed è affatto popolare senese . Tutto il popolo toscano , che meritamente si vanta il più arguto d ' Italia , volendo anche oggidì narrare le sue sventure e le sue afflizioni , esprimere gli odii suoi e i suoi amori , manifestar lo sdegno o il rimprovero o un desiderio , non usa una forma diversa . In genere , colorir comicamente la frase è virtù nel popolo spontanea , nativa . Il Belli , per esempio , non vuol tradurre in romanesco per Luigi Luciano Bonaparte il vangelo di San Matteo , perché la lingua della plebe è buffona e “ appena riuscirebbe ad altro che ad una irriverenza verso i sacri volumi ” ( vedi Morandi , Prefaz . ai sonetti romaneschi del Belli , Città di Castello , Lapi , vol . I , 1889 ) . Qui abbiamo , in somma , l ' ironia , cioè quella tal contradizione fittizia tra quel che si dice e quel che si vuole sia inteso . Il contrasto non è nel sentimento , è solo verbale . Dobbiamo , dunque , da un canto tener conto di questo generale umore del popolo , di questa lingua buffona della plebe , e dall ' altro intender l ' umorismo in quel senso largo e improprio , se vogliamo includere tra gli umoristi Cecco Angiolieri , e non Cecco Angiolieri soltanto , allora , ma tutto quel gruppo di poeti toscani , non di scuola , ma di popolo , pieni di naturalezza nell ' arte loro non ancora ben sicura , nel cui petto per prima si ridesta o di dolce voglia o per casi reali , per sentimenti veri , un ' anima di canto umano , tra le insulse sconsolanti scimierie dei poeti per distrazione o per sollazzo o per moda o per galanteria , trai bisticci pur che siano della scuola provenzaleggiante : . di quei poeti in fine , ne ' cui versi , per dirla col Bartoli , è l ' annunzio del carattere realistico che assumeranno le nostre lettere . Son toscani , questi poeti , e in Toscana segnatamente troveremo queste espressioni così dette umoristiche in senso largo : in Toscana , e nella non scarsa letteratura nostra dialettale . Perché ? Perché l ' umorismo ha sopra tutto bisogno d ' intimità di stile , la quale fu sempre da noi ostacolata dalla preoccupazione della forma , da tutte quelle questioni retoriche che si fecero sempre da noi intorno alla lingua . L ' umorismo ha bisogno del più vivace , libero , spontaneo e immediato movimento della lingua , movimento che si può avere sol quando la forma a volta a volta si crea . Ora la retorica insegnava , non a crear la forma ma ad imitarla , a comporla esteriormente ; insegnava a cercar la lingua fuori , come un oggetto , e naturalmente nessuno riusciva a trovarla se non nei libri , in quei libri che essa aveva imposti come modelli , come testi . Ma che movimento si poteva imprimere a questa lingua esteriore , fissata , mummificata , a questa forma non creata a volta a volta , ma imitata , studiata , composta ? Il movimento è nella lingua viva e nella forma che si crea . E l ' umorismo che non può farne a meno ( sia nel senso largo , sia nel suo proprio senso ) , lo troveremo ripeto nelle espressioni dialettali , nella poesia macaronica e negli scrittori ribelli alla retorica . C ' è bisogno d ' intendersi su questa creazione della forma , cioè su le relazioni tra la lingua e lo stile ? Avvertiva acutamente lo Schleiermacher nelle sue Vorles . lib . Aesth . che l ' artista adopera strumenti che di lor natura non son fatti per l ' individuale , ma per l ' universale : tale il linguaggio . L ' artista , il poeta , deve cavar dalla lingua l ' individuale , cioè appunto lo stile . La lingua è conoscenza , è oggettivazione ; lo stile è il subiettivarsi di questa oggettivazione . In questo senso è creazione di forma : è , cioè , la larva della parola in noi investita e animata dal nostro particolar sentimento e mossa da una nostra particolar volontà . Non dunque creazione ex nihilo . La fantasia non crea nel senso rigoroso della parola , non produce cioè forme genuinamente nuove . Se , in fatti , esaminiamo anche i rabeschi più capricciosi , i grotteschi più strani , i centauri , le sfingi , i mostri alati , vi troveremo sempre , più o meno alterate per le loro combinazioni , immagini rispondenti a sensazioni reali . Ebbene , una forma , press ' a poco , o meglio , in un certo senso corrispondente al grottesco nelle arti figurative troviamo nell ' arte della parola , ed è appunto lo stil macaronico : creazione arbitraria , contaminazione mostruosa di diversi elementi del materiale conoscitivo . E avvertiamo che esso sorse appunto come ribellione e come derisione , e che non fu solo , che ebbe cioè a compagni altri linguaggi burleschi , fittizii . “ Il dialetto sprezzato notava Giovanni Zannoni , illustrando I precursori di Merlin Cocai ( Città di Castello , Lapi ed . , 1888 ) volle insinuarsi malignamente nel latino per sfregiare la togata lingua dei dotti e quello che era stato un elemento parziale della satira popolare e goliardica divenne elemento massimo ; volle mostrare la propria flessibilità , quando il volgare ancora accademico , grave , impacciato non poteva piegarsi a tutte le esigenze dell ' umorismo , e ad un tratto formò una nuova maniera di sogghigno . In tal modo , da due cause contrarie ebbe origine il linguaggio macaronico che fu la più grossa e fragorosa risata del risorgimento , la beffa più atroce al classicismo e che , pure involontariamente , giovò tanto al definitivo trionfo del volgare ” . Ma quanti furono questi scrittori ribelli ? pochi o molti ? pochi ahimè , perché il maggior numero è sempre dei mediocri : servum pecus . Il Barzellotti riconosce che “ un primo moto di originalità e di feconda spontaneità creatrice ” si era fatto “ nella mente e nella vita degli Italiani durante i secoli decimoterzo e decimoquarto ” ; ma poi dice “ tutti o quasi tutti gli umanisti avere interrotto con l ' imitazione e la ripetizione degli antichi quel primo moto d ' originalità ” . Ora questa a noi sembra un ' altra di quelle considerazioni molto sommarie , che abbiamo deplorato più su , considerazione che s ' accorda con altre simili su la scettica indifferenza , ad esempio , su la pagana serenità , su la mortificazione delle energie individuali , su la mancanza d ' aspirazioni , sul riposo nelle forme e nel senso , ecc . , ecc . , del nostro grande rinascimento , come se il culto dell ' antichità non fosse stato già di per sé un ' idealità grande , tanto grande che illuminò tutto il mondo , il riacquisto d ' un patrimonio che si fece fruttare sapientemente e produsse opere immortali , e come se esso non fosse venuto anzi a tempo a riempire il vuoto d ' idealità cadute o cadenti ; come se insieme con quattro o cinque dotti aridi e vacui non ce ne fossero stati tant ' altri pieni di vita e d ' ardire , nel cui latino palpitano e vibrano le energie tutte della lingua italiana ; come se per entro al Facetiarum libellus unicus di Poggio , per esempio , non spirassero aure nuove ( Quanti spunti di vero e proprio umorismo in Poggio ! Basterà ricordare il patto di quel buon ' uomo col cantastorie di piazza per differir la morte di Ettore , che tanto lo addolorava ; la risposta di quel cardinal di Spagna ai soldati della Santa Sede : ” Ancora non ho fame ” ; la disperazione di quel bandito per la goccia di latte venutagli in gola durante la quaresima , ecc . ecc . ) ; come se il Valla fosse soltanto autore del trattato Elegantiarum latinae linguae ; come se nel Pontano e nel Poliziano e in tanti altri non fosse così intero e fresco il sentimento della realtà , che il Poliziano poi , componendo in volgare , poté aver tutte le grazie ingenue d ' un poeta popolare . E sotto questo mondo dei dotti , così sommariamente considerato , non c ' era forse il popolo ? E si può dire , d ' altro canto , che i nostri poeti cavallereschi , ad esempio , diedero solamente una maggior bellezza esteriore , una linea più composta , più armoniosa alla materia romanzesca , se da capo a fondo la ricrearono con la fantasia ? Altro che bellezza esteriore ! Si è troppo ripetuto , e con troppa leggerezza , che nell ' indole della nostra gente predomini l ' intelletto più che il sentimento e la volontà , cioè la parte obiettiva più che la subiettiva dello spirito , donde il carattere dell ' arte nostra più intellettualistica che sentimentale , più esteriore che interiore . L ' equivoco qui è fondato nell ' ignoranza del procedimento di quell ' attività creatrice dello spirito , che si chiama fantasia : ignoranza che era fondamentale nella Retorica . L ' artista deve sentire la propria opera com ' essa si sente e volerla com ' essa si vuole . Avere un fine e una volontà esteriori , vuol dire uscire dall ' arte . E ne escono difatti quanti s ' ostinano a ripetere che l ' arte nostra del rinascimento fu splendida di fuori e vuota di dentro . Vuota in che senso ? Nel senso che non ebbe volontà e fini oltre a sé stessa ? Ma questo fu un pregio e non un difetto . O se no , bisognerebbe dimostrare che fu arte falsa , cioè artificio . Si può dimostrar questo ? Sì , certamente , se prendiamo i mediocri , gli schiavi della retorica , la quale insegnava appunto l ' artificio , la copia ! Ma perché dobbiamo prendere i mediocri ? perché dobbiam guardare così taineamente all ' ingrosso , senza distinguere ? Arte falsa , quella dell ' Ariosto ? Buttando via in un fascio i mediocri , e affrontando i veri poeti , ci accorgeremo subito di fare una questione di contenuto e non di forma , una questione dunque estranea all ' arte . Ma questo stesso contenuto , che fa tanto dispetto , come fu assunto dai poeti veri , da coloro che ebbero innegabilmente uno stile , e dunque originalità e intimità ? Non c ' è proprio nulla che riempia il vuoto che ci si vuol sentire ? Non c ' è l ' ironia di questi poeti ? E perché non si vuol riconoscere il valore positivo , sottinteso , di questa ironia ? Itali rident , sì , ma con questo riso si cacciò il Medio - evo ; e quanto fiele sotto a questo riso ! E che ha di diverso questo riso in Erasmo di Rotterdam , in Ulrico di Hutten ? Perché si disconosce soltanto nei nostri questo valore positivo dell ' ironia e si riconosce invece negli stranieri ? si disconosce in Pulci e nel Folengo per esempio , e si riconosce in Rabelais ? Forse perché questi ebbe l ' accortezza d ' invitare i lettori a imitare il cane innanzi all ' osso , e quegli altri no ? “ ... Vites - vous oncques chiens rencontrans quelque os médullaire ? C ' est , comme Platon dit ( lib . II De Rep . ) , la bête du monde plus philosophe . Si vû l ' avez , vous avez pû noter de quelle dévotion il le guette , de quel soin il le garde , de quelle ferveur il le tient , de quelle prudence il l ' entomme , de quelle affection il le brise et de quelle diligente il le succe . Qui l ' induit à ce faire ? Quel est l ' espoir de son étude ? Quel bien prétend - il ? Rien plus sinon qu ' un peu de moüelle ” . E l ' osso gettato dal Rabelais ai critici è stato difatti spiato con devozione , preso con cura , tenuto con fervore , scalfito con prudenza , spezzato con affetto e succhiato con diligenza . E perché non così quelli del Pulci e del Folengo ? ( vedi sul Pulci il libro di Attilio Momigliano L ' indole e il riso di L . P . , Rocca S . Casciano , Cappelli , 1907 , da cui però in gran parte io dissento , come dirò appresso ; e quel che dicono del Folengo il De Sanctis nella sua Storia d . lett . ital . cap . XIV , il Canello nel suo Cinquecento e gli studii dello Zumbini e dello Zannoni ) . Ma ogni qual volta si butta un osso a un critico si deve dunque dire : Bada , c ' è dentro il midollo ? o far che questo midollo si mostri un tantino da qualche parte fuori dell ' osso ? Ma tanto più pregevole è un ' opera d ' arte , quanto maggiore è l ' assorbimento della volontà e del fine nella creazione artistica . Questo maggiore assorbimento rischia di parere indifferenza verso gli ideali della vita a chi consideri le opere con criterii estranei all ' arte , e le opere d ' arte superficialmente ; ma a prescindere che gl ' ideali della vita , per sé stessi , non hanno nulla da vedere con l ' arte , che dev ' essere creazione spontanea e indipendente pure quell ' indifferenza , in fondo , non c ' è , perché altrimenti non ci sarebbe neppur l ' ironia . Se l ' ironia c ' è , ed è innegabile , non c ' è l ' indifferenza , di cui tanto s ' è parlato . Piuttosto deve dirsi che questa ironia non riesce se non di rado a drammatizzarsi comicamente , come avviene nei veri umoristi : resta quasi sempre comica senza dramma , e dunque facezia , burla , caricatura più o men grottesca . Lo stesso però avviene in Rabelais : Mieulx est de ris que des larmes escripre : Pour ce que rire est le propre de l ' homme . E Alcofribas Nasier è condamné en Sorbonne pour les facéties de haute graisse qui caractérisent son livre . Che hanno di più o di diverso queste facéties de baule graisse di quelle del Pulci e del Folengo e del Berni ? Rileggiamo con questo intento il Morgante Maggiore e il Baldus e poi La vie de Gargantua e Les faits et les dits héroïques du bon Pantagruel roi des Dipsodes , e ci salteranno agli occhi a ogni passo la parentela spirituale innegabile , le innegabili derivazioni . E rileggiamo il Berni . Lasciando anche da parte le 18 stanze al principio del canto XX del Rifacimento dell ' Orlando Innamorato e l ' opuscolo del Vergerio sul protestantesimo del Berni e tutte le altre riflessioni filosofiche , sociali e politiche sparse qua e là nel Rifacimento stesso ; lasciando da parte il Dialogo contro i poeti e le parodie del Petrarca in derisione dei petrarchisti , e l ' invettiva famosa : Nel tempo che fu fatto papa Adriano VI e i sonetti contro Clemente VII : Il papa non fa altro che mangiare , Il papa non fa altro che dormire ; e tutti gli altri sonetti contro a preti e abati , e anche quel sonetto che comincia : Poiché da voi , signor , m ' é pur vietato Che dir le vere mie ragion non possa , Per consumarmi le midolle e l ' ossa Con questo nuovo strazio e non usato ; e lasciando anche da parte il capitolo in lode d ' Aristotile ( che non affetta il favellar toscano ) dedicato a Messer Pietro Buffetto cuoco ; spigoliamo proprio in quei capitoli che paiono i più frivoli e spigoliamo nelle lettere del Berni ( si legga a questo proposito quel che dice il Graf nel suo aureo libro Attraverso il Cinquecento su le condizioni del letterato nel sec . XVI ) . A Messer Latino Juvenale scrive : “ Ecco il Valerio mi riprende , e dice ch ' io farei bene a lasciare andar queste baie e a rivolgere i miei pensieri a miglior parte ; che maledetto sia egli , e chi sente talmente seco . Che penitenza è la mia , a dare ad intendere al mondo che questo si debbe piuttosto imputare alla mia disgrazia che ad alcuna elezione ? Io non ho comprato a contanti questo tormento , né me lo sono andato cercando a posta per far rider la gente del fatto mio : che non se ne ridon però se non gli scempi ” . E a Monsignor Cornaro scrive : “ Ma che la natura e la fortuna mi ha fatto tale , dico , asciutto di parole e poco cerimonioso , e per ristoro intrigato in servita ” . In un ' altra lettera confessa : “ Io , spinto dalla furia del dolore , sono ricorso al rimedio della poesia ” . Egli si governa , come dice in una poesia , a volte di cervello , e a Messer Agnolo Divizio scrive : “ conciossiaché alla giornata io operi e faccia tutte le mie azioni . Che si cava di questo mondo finalmente altro che ' l contentarsi o almeno cercare di contentarsi : Ciascun faccia secondo il suo cervello Che non siam tutti d ' una fantasia . E a Giovan Francesco Bini : “ Nondimeno ancora io sono stoico come voi , e lascio correre alla ' righi l ' acqua di questo fiume ” . In mezzo alla peste , allo stesso Divizio suo padrone , che andava fuggendo di qua e di là per paura , scrive : ” Se ben son uomo , e come uomo tengo conto della vita , ho anche tanta grazia da Dio , che a luogo e tempo so non ne tener conto ; ch ' è anche cosa da uomo . Sicché non mi dite pauroso , ché io sono piuttosto degno di esser chiamato temerario ” . E come uno stoico veramente fu in mezzo alla peste , ne vinse il terrore e riuscì ad acquistarne quel sentimento che vedremo esser fondamentale dell ' umorismo , cioè il sentimento del contrario : l ' ironia , nei due capitoli in lode della peste riesce a drammatizzarsi comicamente , e però va oltre alla facezia , oltre alla burla , oltre al comico . Nel flagello vede , come vedrà poi don Abbondio , la scopa , ma con ben altre riflessioni filosofiche . Non fu mai malattia senza ricetta , La natura l ' ha fatte tutt ' e due , Ella imbratta le cose , ella le netta . E la natura , dopo aver trovato il bujo e le candele e aver fatto gli orecchi e le campane , Trovò la peste perché bisognava ; bisognava , perché : a questo corpaccio del mondo Che per esser maggior più feccia mena , Bisogna spesso risciacquare il fondo . E la natura che si sente piena Piglia una medicina di moria . Ma la natura ha anche “ forte del buffone ” e il Berni sa bene avvertirne tutti i contrasti amari e le aspre dissonanze e riderne , rappresentandoli . In una lettera in versi al pittore Sebastiano del Piombo , parlando anche di Michelangelo , comune amico , dice : Ad ogni modo è disonesto a cure , Che voi che fate i legni e i sassi vivi , Abbiate poi com ' asini a morire . Basta che vivon le querci e gli olivi , I sorbi , le cornacchie , i cervi e i cani , E mille animalacci più cattivi . Ma questi son ragionamenti vani , Però lasciamli andar , ché non si dica Che noi siam mammalucchi o luterani . V . L ' IRONIA COMICA NELLA POESIA CAVALLERESCA Quando il Brunetière , su la Revue des Deux Mondes prima ( 1879 , III , p . 62o e segg . ) , poi nel volume Études critiques sur l ' histoire de la littérature francaise ( Paris , 1880 ) , si scagliò contro l ' erudizione contemporanea e la letteratura francese nel medio evo , a difender questa e quello sorsero , fieramente indignati , molti critici , segnatamente romanisti , e non soltanto della Francia . Certo , la difesa dell ' erudizione contemporanea sarebbe riuscita molto più efficace , se i difensori non si fossero da un canto lasciati andare per ripicco a dire ogni sorta di villanie contro la critica estetica , e non si fossero , dall ' altro , provati a difendere con troppo zelo anche le bellezze della poesia medievale , epica e cavalleresca , della Francia . Ricordo , fra le altre , la difesa di Cr . Nyrop , nella sua Storia dell ' Epopea francese nel M . E . ( trad . del Gorra , Torino , Loescher , 1888 . Vedi Lib . III , cap . III , Valore dell ' Epopea ) , per la ingenua speciosità degli argomenti . “ Si è fatto un rimprovero ai poemi dicendo che sono rozzi e ruvidi e che i personaggi che vi agiscono non possono pretendere al nome di eroe , poiché tutto il loro sforzo non tende ad altro che ad uccidere ” . Ebbene , da questa accusa di rozzezza , di ruvidità , di crudeltà , come difendeva egli i poemi ? Non li difendeva affatto : “ Si concederà volentieri , egli dice anzi , che in molti poemi si cantano e celebrano cose le quali , osservate dal punto di vista del nostro tempo , non possono chiamarsi altro che crudeltà , abominevoli e bestiali crudeltà , e che gli eroi spesso sfogano la loro ira in modo inumano sopra coloro che per mala ventura sono venuti in loro potere ” . Cita alcuni esempii e quindi , a mo ' di scusa , soggiunge : “ ma il Medio Evo non era osservato cogli occhi del nostro tempo neppure differente ; l ' antico poema francese non si è certamente reso colpevole di nessuna esagerazione , poiché la storia ha conservato memoria di molte simili crudeltà ” . Bella scusa , la fedeltà storica , di fronte all ' estimativa estetica ! Ma anche la crudeltà più atroce , come tutto , può essere argomento d ' arte ; e crudelissimo si dimostra Achille nel trascinare attorno alle mura di Troja il cadavere di Ettore : bisognava dimostrare che la crudeltà , nei poemi francesi , è rappresentata , non solo con fedeltà storica ( il che in fondo importerebbe poco ) , ma artisticamente : e questo il Nyrop non poteva , perché “ gli eroi , riconosce egli stesso , considerati dal lato psicologico sono figure poco complesse , i loro moti interiori , i loro momenti di dubbio , le lotte del loro animo sono qualche cosa di cui i poeti non fanno quasi mai parola ... Analizzare e notomizzare un ' anima è solamente possibile e può soltanto interessare in un periodo di civiltà più avanzato . Il poeta del medio evo non conosce tutti questi delicati gradi del sentimento : per lui esistono soltanto i più spiccati segni esteriori , per lui gli uomini sono prodi o vigliacchi , lieti o afflitti , credenti o eretici , e quello che essi sono , lo sono completamente ed egli non spende mai molte parole per dirlo a ' suoi uditori o a ' suoi lettori ” . Esaminando poi a uno a uno tutti i poemi , il Nyrop è costretto a riconoscere che la religione , la quale , accanto al furore bellico , si presenta come uno dei principali motivi nell ' epica francese , è una concezione “ puerile ” , anzi la religiosità , egli dice , “ occorre il più delle volte nei poemi come qualche cosa di esteriore , aggiunto agli eroi , per la qualcosa sta in generale anche in contradizione con le loro azioni . In altre parole : gli eroi non sembrano essere intieramente convinti della verità di tutte le belle sentenze cristiane che si pongono loro in bocca ; il loro carattere e il loro interiore mal s ' accorda coi miti ed umani dommi del cristianesimo , e ne risulta perciò spesso una contradizione insolubile che apparisce fortemente nei loro discorsi e nelle loro azioni . Così , per recare un esempio , non è raro che l ' uno o l ' altro eroe dimentichi nelle sue preghiere sé stesso al punto di aggiungere le peggiori minacce se Dio non gli concede quello che egli chiede . Ed io credo , soggiunge il Nyrop , che il Gautier e il D ' Avril siano molto fuor di strada , quando considerano la religiosità come il più importante elemento dell ' epopea . L ' entusiasmo del Gautier ogni volta che gli eroi nominano il nome di Dio è talora ridicolo ; egli va in estasi per la frase più bassa e triviale in cui si parli di angeli ed esclama tosto : sublime , incomparable ; e quando s ' imbatte in qualche verso così stereotipo come questo “ Foi que doi Dieu , le fils sainte Marie " , egli lo chiama una energica affermazione di fede . Il suo punto di veduta , preso nel suo insieme , è così limitato ed estremamente cattolico , che non vale la pena di combatterlo . Io concepisco solo la religiosità degli eroi come qualche cosa che per una parte fu aggiunta più tardi , forse al tempo delle crociate , e diventa perciò soltanto un fattore concomitante ma subordinato ; la mia opinione può ben anche essere appoggiata da questo che gli ecclesiastici , specialmente i monaci , sono di rado messi in una luce di cui abbiano molto a lodarsi ; se essi vogliono poter pretendere al favore dei poeti , devono , come Turpino , presentarsi con la spada a fianco ( i cavalieri si permettono anche , e questo accade negli stessi poemi della crociata , di farsi beffe dei cerimonieri . Così nell ' Antioche accade una scena piacevole e caratteristica , quando i cavalieri francesi escono dalla città per combattere contro Kerboga . Enguerrant de Saint - Pol sta loro alla testa e il suo lucido elmo forbito e la sua corazza splendente scintillano ai raggi del sole . Quando sono usciti dalla città , si fermano e un arcivescovo implora la benedizione del cielo sopra di loro e vuole aspergerli con acqua benedetta , ma Enguerrant fa qualche obiezione e lo prega di non macchiargli l ' elmo : “ Anqui le vourrai bel a Sarrarins mostrer » , vedi Pigeonneau , Cycle de la Croisade , p . 90-91 ) . Ho voluto ricordar questo , perché mi sembra che troppo se ne siano dimenticati quanti , discorrendo con scarsa cognizione dell ' epopea francese , notano in essa serietà e profondità di sentimento religioso e non so quali e quanti fieri e nobili ideali , per venir poi a dire che quel sentimento e questi ideali non potevano trovar eco nei nostri poeti cavallereschi fioriti in un tempo di scettica indifferenza , di pagana serenità , privo di aspirazioni , ecc . ecc . Tutte queste frasi fatte non c ' entrano e la ragione del riso dei nostri poeti cavallereschi va cercata altrove . Già l ' ironia per la materia , la satira della vita cavalleresca , la troviamo in Francia fin nei poemi , come ad esempio , nell ' Aiol ; l ' irrisione per l ' Imperatore , gli indizii della degradazione graduale di lui si trovano già in un poema antico come l ' Ogier le Danois , dove Carlo non ha più la prudenza tranquilla e si lascia facilmente vincer dall ' ira , e ingiuria e poi ha paura della vendetta degli ingiuriati . A poco a poco , lo vediamo divenire imbecille , “ assotez ” , bersaglio delle beffe , e moralmente corrotto . Nel Garin de Montglane , com ' è noto , arriva finanche a giocarsi a scacchi la Francia . La ragione di questo degradamento , di questa irrisione la troviamo facilmente ; è in ispecie nei poemi in cui si vuol glorificare qualche eroe provinciale , poemi composti da troveri che servivan vassalli , se non al tutto ribelli , quasi indipendenti , ai quali piaceva di ridere alle spalle dell ' autorità imperiale . Come l ' irrisione della vita cavalleresca e la degradazione dei cavalieri , esaltati prima alle spalle dei vilan , si troverà nei poemi non più cantati a corte o nei castelli . Se il nostro buon Tassoni avesse potuto leggere nel Siège de Neuville l ' impresa di quei bravi tessitori fiamminghi capitanati da Simone Banin , non si sarebbe forse vantato più inventore del poema eroicomico . Troviamo finanche questo in Francia , purus et putus . E allora ? Il Rajna avverte che “ la propagazione della materia dalla regione transalpina alla cisalpina par seguita sopra tutto di buon ' ora ed essersi poi rallentata ; ché altrimenti poco si capirebbe come l ' Italia abbia conosciuto meglio gli strati arcaici delle chansons de geste che i successivi , tanto da conservare racconti e forme di racconto dimenticati poi e alterati nella Francia , e da ignorare invece quasi affatto le creazioni ibride che introdussero nel genere il meraviglioso dei romanzi d ' avventura ” . E traccia in brevi linee il tipo più comune del romanzo cavalleresco prevalso nell ' età franco - italiana : tipo a cui risponde in grandissima parte il Morgante del Pulci . Ma è da notare altresì col Rajna stesso che “ la letteratura romanzesca toscana , senza distinzione di prosa e di rima , ha rapporti diretti e immediati colle età precedenti ... Non mancano testi in prosa fabbricati sulle versioni rimate oppure ad un tempo su queste e sulle forme anteriori , francesi o franco - italiane ” . Il fatto è che quando in Francia i più antichi poemi furon tradotti in forma di romanzi e scesero tra il popolo , l ' epica era morta ; e che all ' opposto in Italia se non l ' epica , che non era possibile il poema cavalleresco cominciò a nascere quando , con versioni in prosa o rimate , la produzione francese e franco - italiana o veneta entrò in Toscana e vi trovò il suo metro , l ' ottava ; e che in tutto questo movimento la materia o rimase qual ' era , degradata , o per ringentilirsi si contaminò ( nel senso classico della parola ) e anche si sollevò fino a drammatizzarsi seriamente . Che ci han dunque da vedere lo scetticismo del tempo , l ' indifferenza , la mancanza d ' ogni ideale , se anzi i nostri poeti cavallereschi tendono invece a rialzare a mano a mano , a nobilitar la materia , a rivagheggiar quasi in sogno quegli ideali , lavando del troppo sangue gli eroi e rendendoli più umani e più gentili ? Che se , anche così , poi essi non riescono bene a prenderli sul serio , non è già perché li vedano innanzi a loro spogli di quegli ideali e non più animati dall ' antico sentimento religioso , ma perché la rappresentazione che di essi aveva fatto la poesia medievale ( tranne qualche rarissima eccezione ) , ruvida e rozza , non li poteva in alcun modo né per alcun lato far prendere sul serio . A poeti colti e maturi , che leggono e sanno ammirare i classici , quegli eroi tutti d ' un pezzo , foggiati tutti su lo stesso stampo , dovevano apparir per forza fantocci . Eppure il popolo ancora e anche i signori prendevano gusto al racconto delle loro gesta inverosimili . Il popolo si capisce : se ne diletta vivamente tuttora , a Napoli , a Palermo ; e la materia si modifica , s ' accresce , prende nutrimento e qualità dai sentimenti , dai costumi , dalle aspirazioni della gente innanzi a cui si rappresenta , assumendo una rozza forma , di cui facilmente quella si contenta . Il popolo crede ; in ispecie il popolo meridionale , inculto , appassionato e ancor quasi primitivo , serba anche oggidì tutti quegli elementi d ' ingenua meraviglia e di credulità superstiziosa e fanatica , che rendon possibili la nascita e lo sviluppo della leggenda : e se Garibaldi , vestito di fiamma , passa in mezzo ad esso , è investito senz ' altro , spontaneamente , dei più antichi attributi leggendarii : è creduto invulnerabile , e che abbia nella spada un capello di Santa Rosalia , patrona di Palermo , proprio come Orlando aveva in Durendala un capello della Vergine . E tutti noi , del resto , anche privi della beata ignoranza popolare , non abbiamo forse di Garibaldi , la cui vita fu e volle essere una vera creazione in tutto , fin nel modo di vestirsi , fuori e sopra le conoscenze d ' ogni realtà contingente , noi tutti , dico , non abbiamo di Garibaldi un sentimento leggendario , epico , che si offende se minimamente un tratto discordante si voglia metter in luce , un documento storico tenti in qualche punto di diminuircelo ? Noi tutti però non potremmo più affatto contentarci oggi d ' una epopea garibaldina vera e propria , sorta cioè dal popolo con quegli ingenui e primitivi attributi leggendarii ; come per altro non ci contentiamo dei componimenti epico - lirici su questo Eroe , componimenti in cui il poeta tenta di sostituire la immaginazione collettiva del popolo con la propria fantasia individuale , e non ci riesce , perché quell ' Eroe con la volontà e col sentimento creò di per sé epicamente la propria vita , cosicché la sua storia è di per sé epopea , e nulla potrebbe aggiungervi la fantasia d ' un poeta , come gl ' ingrandimenti meravigliosi e ingenui della immaginazione collettiva del popolo la renderebbero a noi diminuita e ridicola : parodia d ' epopea a volerla rappresentare ; qual ' è , ad esempio , La scoperta dell ' America di Cesare Pascarella . Per il popolo la storia non è scritta ; o , se è scritta , esso la ignora o non se ne cura ; la sua storia esso se la crea , e in modo che risponda a ' suoi sentimenti e alle sue aspirazioni . A una sola storia , se mai , popolo avrebbe potuto credere , in materia cavalleresca : alla famosa Cronaca dello pseudo - Turpino , la quale , all ' uopo , per un esempio , avrebbe potuto confermargli che il gigante di nome Ferraù o Ferracutus fuit de genere Goliat , poiché la sua statura era quasi cubitis XX , facies erat longa quasi unius cubiti et nasus illius unius palmi mensurati et brachia et crura jus quatuor cubitum erant et digiti jus tribus palmis . Ma non ce n ' era punto bisogno ! Perché anzi il bisogno del popolo è sempre un altro : quello di credere , non di dubitare minimamente di ciò che gli piace credere . Questo dubbio poteva nascere nel tardi raffazzonatori pseudo - letterati dell ' epica francese , quando , alterate a lor modo le antiche leggende , tiravano in ballo Turpino o le cronache di S . Dionigi : Et qui ice voudrai a mançogne tenir Se voist lire l ' estoire en France , a Paris . Dal che si vede che neanche in questo sarebbero stati originali i nostri poeti cavallereschi , ogni qual volta a mo ' di scusa aggiungevano : “ Turpin lo dice ” . Quando questa materia cavalleresca , dalle piazze ove ormai è caduta , risale , per capriccio o per curiosità o per vaghezza che se ne abbia , ai palagi , alle corti dei signori , che avviene ? Ma bisogna innanzi tutto avvertire all ' indole , ai gusti , ai costumi di queste corti , a cui sale ! Quale fosse la corte di Lorenzo de ' Medici , quali le abitudini , i piaceri , gl ' intendimenti di lui , è ben noto ; e basterebbe , anche senza dare tutto quel peso che si deve alla diversa indole e alla diversa educazione dei poeti , a spiegarci in gran parte perché il Morgante . Maggiore sia così diverso dell ' Innamorato del Bojardo e del Furioso dell ' Ariosto . Il Morgante risponde perfettamente alla corte di Lorenzo , il quale si piace della espressione popolare e per il popolo compone , parodiando , come nella Nencia da Barberino . Egli ha il gusto della parodia , e lo dimostra anche coi Beoni , parodia dantesca , letteraria , qui ; parodia dell ' espressione popolare , nella Nencia . “ Ben è vero che il Medici , notò il Carducci nella prefazione alle poesie di Lorenzo de ' Medici ( Firenze , Barbera , 1859 ) contraffece e parodiò più presto che non ritraesse la espressione degli affetti e il modo di favellare de ' nostri campagnuoli : ché i Rispetti più volte stampati negli ultimi anni mostrano aperto avere il popolo di Toscana più gentilezza d ' affetto , più squisitezza di fantasia , più forbitezza di favella , che non piacesse prestargliene a Lorenzo dei Medici detto il Magnifico e a Luigi Pulci suo cortegiano . Il quale , com ' è de ' cortegiani , volle dar a divedere ch ' e ' facea conto del poeta potente imitandolo nella Beca da Dicomano ; e com ' è degli imitatori , per superarlo l ' esagerò , sfoggiando lo strano e il grottesco dove il Medici pur nella parodia s ' era tenuto al delicato ” . Ma è chiaro che l ' intenzione parodica comunica per forza alla forma la caricatura , giacché , chi voglia imitare un altro , bisogna che ne colga i caratteri più spiccati e su questi insista : tale insistenza genera inevitabilmente la caricatura . La presenza di quella pia donna che fu Lucrezia Tornabuoni potrebbe poi anche spiegarci , almeno in parte , la mascheratura religiosa che il Pulci volle dare al suo poema ; parodia anch ' essa , per altro , a mio modo di vedere , come tutto il resto . Basta trattare di religione con la lingua buffona della plebe , perché si abbia l ' irriverenza . Ricorderò qui , a questo proposito , ancora una volta quello che il Belli faceva rispondere a Luigi Luciano Bonaparte che gli proponeva la traduzione in romanesco del vangelo di San Matteo . Ma questa irriverenza che nasce dalla lingua buffona della plebe non denota punto per sé stessa irreligiosità . E ricorderò anche l ' aneddoto che si racconta in Sicilia d ' un altro grande poeta dialettale , notissimo nell ' isola e ignoto affatto nel Continente , Domenico Tempio , il quale chiamato un giorno dal vescovo di Catania e paternamente esortato a non più cantare cose oscene e a dare invece al popolo durante la settimana santa un bell ' esempio di contrizione sciogliendo un cantico sacro su la passione e morte di Cristo , rispose a Monsignore che volentieri lo avrebbe soddisfatto , essendo egli credentissimo e divoto ; e volle anzi dargliene un saggio lì per lì , scagliandosi con due versi d ' estrosa improvvisazione contro Ponzio Pilato così sconci , che fecero subito passar la voglia a Monsignore del bell ' esempio di contrizione da offrire al popolo catanese durante la settimana santa . Tutte le dispute che si son fatte intorno alla irriverenza verso la religione , anzi all ' empietà , all ' ateismo del Pulci , non possono veramente non apparir vane quando si intendano a dovere lo spirito del poema , la qualità e la ragione della sua ironia e del suo riso . Non è possibile , o è ingiustissimo , giudicare in sé e per sé esclusivamente il Morgante Maggiore , come fece ad esempio una prima volta il De Sanctis , il quale credette e volle dimostrare che il Pulci , nel comporre il suo poema , non avesse vera e profonda coscienza del suo scopo ; e però condannò come insufficienze del poeta la puerilità delle situazioni , la rudimentalità psicologica dei personaggi , le ripetizioni nell ' ordito , ecc . ecc . ( vedi Scritti varii inediti o rari , a cura di B . Croce , vol . I , Napoli , Morano e figlio , 1898; il De Sanctis poi nella sua Storia della letteratura it . corresse il suo giudizio sul Pulci e sul poema . Qui ho citato il suo primo giudizio solo perché anche da un errore , del resto riparato , del sommo critico , si può trarre profitto , ponendo in giusta evidenza , in questa facile confutazione , tra i due casi di cui egli parla , quale veramente sia quello del Pulci ) . Il Pulci , invece , è coscientissimo del suo scopo , e tra i due casi che pone il De Sanctis di chi dice sciocchezze con intenzione comica e fa ridere non di lui , ma di quel che dice , e di chi all ' incontro dice sciocchezze per sciocchezza e fa rider di lui e non di quel che ha detto , l ' autore del Morgante sta certamente nel primo caso , non già nel secondo . Il Pulci dice sciocchezze con intenzione comica o , più propriamente , parodica , e fa ridere , non tanto però quanto vorrebbe far credere in un , suo libro recente Attilio Momigliano ( vedi il vol . già citato L ' indole e il riso di L . P . , Rocca S . Casciano , Cappelli , 1907 ) , come vedremo appresso . Ho ricordato più su La scoperta dell ' America di Cesare Pascarella . Ebbene , si può dire che , esteticamente , il Pulci si trovi , di fronte alla materia cavalleresca , in certo qual modo nella stessa posizione del poeta romanesco di fronte alla scoperta dell ' America narrata da un popolano . Il Pascarella infatti sorprende , o finge di sorprendere , in un ' osteria un popolano saputo , che racconta ad amici quella scoperta , commovendosi della gloria e della sventura di Colombo . Chi si sognerebbe d ' attribuire al poeta romanesco le sciocchezze che dice quel popolano ? la puerilità ridicola di quei dialoghi col re di Spagna portoghese ? tutte le altre meraviglie non meno ridicole e infantili del viaggio , dell ' arrivo , del ritorno ? E si noti che codeste meraviglie suscitano anche , a un certo punto , qualche reazione d ' incredulità in chi ascolta : “ Come le sai tu codeste cose ? ” “ Eh ! c ' è la storia ” . ( Turpin lo dice ) . E , qua e là , paragoni che par dimostrino con la massima evidenza qualche cosa e invece non dimostrano nulla : e certe tirate calorose di sdegno o d ' ammirazione ; e certe spiegazioni in cui la logica rudimentale del popolano si compiace quando vuol farsi ragione di qualche caso o avvenimento straordinario ; e certi impeti di commozione che fanno ridere non per intenzione comica di chi racconta , ma o per false deduzioni o per immagini improprie e stonate o per incongrue frasi . Ciaripensa , e te scopre er cannocchiale . Chi si sognerebbe di dire che il Pascarella voglia metter qui in dileggio Galileo ? Ma egli non può , pur serbando affatto oggettiva la rappresentazione di quel racconto d ' osteria , non ridere entro di sé e di quel popolano che narra in tal modo la gloria di Colombo e d ' altri sommi Italiani e anche della scoperta dell ' America in tal modo narrata . E questo suo riso segreto forma quasi un ' aria ilare , un ' atmosfera di comicità irresistibile attorno a quella rappresentazione oggettiva . L ' intenzione comica del poeta , nel riferire oggettivamente le sciocchezze di quel popolano , non si appalesa mai ; il poeta non fa mai capolino . Questo , veramente , non si può dire del Pulci . Mentre il Pascarella ritrae semplicemente , il Pulci spesso contraffà per parodia . Ma non si debbono imputare a lui tutte le sciocchezze , le volgarità , le puerilità dei cantastorie o della letteratura epica e romanzesca venuta di Francia o dall ' Italia settentrionale , poiché egli anzi , contraffacendo e parodiando , se ne beffa apertamente . Sarebbe come prendere sul serio una cosa fatta per giuoco ; o come incolpare il Pascarella d ' aver deriso la gloria di Colombo , ritraendo il racconto che ne faceva quel popolalo . Il Pulci non si sogna neppur lui di deridere la cavalleria o la religione ; si spassa a contraffare i cantastorie di piazza , a cantar coi loro modi , con la loro lingua , con la loro psicologia infantile , coi loro mezzi inventivi stereotipati , la materia epica e cavalleresca ; di tratto in tratto segue e interpreta il sentimento popolare per qualche scena patetica , per qualche azione che suscita l ' ira o il compianto o lo sdegno , ecc . Naturalmente , tutto questo , se rappresenta per lui uno spasso , un giuoco , per il solo fatto poi ch ' egli v ' impiega l ' arte sua e studio e tempo , non può non esser anche preso sul serio ; e non di rado , dunque , egli si immedesima davvero nel racconto , ma sempre col sentimento , con la logica , con la psicologia del popolo , e trova espressioni efficacissime . É vero che poi , tutt ' a un tratto , rompe questa serietà con una risata . Ma non è mai , secondo me , per intenzione satirica : l ' uscita è spesso burlesca , popolare : segue e interpreta anche qui spesso il sentimento del popolo . E sbaglia , dunque , secondo me , il Momigliano e contradice anche a sé stesso , quando afferma ( pag . 120-121 del vol . cit . ) che “ il sorriso del Morgante è soggettivo : soggettivo nel senso che è la naturale , incoercibile irruzione dell ' indole del Pulci nella materia epica . In questo senso , anzi egli aggiunge , il Morgante è uno dei poemi epici più soggettivi , che io conosca ; potrebbe esser definito : il mondo cavalleresco veduto attraverso un temperamento giocondo . Anzi , dopo tante discussioni sul suo protagonista , chi vuole sia Morgante , chi Gano io credo che l ' unico personaggio , che domina tutta l ' azione , attorno al quale tutta l ' azione si svolge , sia l ' autore stesso : all ' infuori di lui non c ' è protagonista ” . Poche pagine innanzi ( pag . 113 ) , egli aveva detto : “ In quell ' età di riso spensierato più che satirico , il riso del Morgante non è che la vernice del tempo , che si sovrappone alla materia tradizionale deformandone soltanto la superficie ” . E , indagando e studiando nella prima parte del volume l ' indole di Luigi Pulci : “ Certo mentre l ' uomo piangeva , il poeta rideva . Non fu piccola forza d ' animo durar a scrivere un poema giocondo come il Morgante , col cuore straziato da sempre nuove ferite , fra le minacce della fame e della prigione per debiti . Non sono infrequenti i casi di poeti , che si ridono dei proprii travagli , ma è rarissimo quello di un poeta sventurato , che impiega la sua attività artistica in un ' opera , nella quale il riso non si vela mai di pianto . È un miracolo , nel quale probabilmente ebbe qualche parte l ' influsso della Rinascenza » . Confesso di passata ch ' io non riesco a veder così giocondo lo spirito del nostro Rinascimento , come il Momigliano insieme con altri lo vede . Diffido degli inviti a godere , specialmente quando son così insistenti e vogliono aver l ' aria d ' essere spensierati ; diffido di chi vuol esser gajo ad ogni costo . Il Trionfo di Bacco e d ' Arianna ? Ma è carpe diem d ' Orazio : Tu ne quaesieris , scire nefas , quem rnihi , quem tibi finem Di dederint ... E può dirsi giocondità quella di chi si stordisce per non pensare ? Potrebbe esser , se mai , filosofia di saggi , non giocondità di giovani . E quante cose tristi non dicono i famosi canti carnascialeschi a chi sappia leggervi ben addentro ! Ma lasciamo star questo , che per il momento sarebbe questione oziosa , tanto più che per me il Pulci ritrae tutto dall ' aspetto caratteristico dell ' indole fiorentina e la sua è la lingua buffona del popolo , e le idee e il sentimento del popolo , rispetto alla materia epica e cavalleresca , nelle espressioni d ' un cantastorie , egli vuol contraffare e parodiare nel suo Morgante , il quale per me , ripeto , non è poi tutto quel monumento di giocondità che il Momigliano ci vorrebbe far credere . Per spiegarci il miracolo , di cui parla il Momigliano , basta pôr mente a questo , cioè più allo scopò che il Pulci s ' è proposto , che alla sua indole . Se la vita del poeta è tristissima , se egli nel componimento Io vo ' dire una frottola confessa : “ I ' ho mal quand ' i ' rido ” e “ Io non sarò mai lieto ” , “...non piacqui mai - A me stesso , né piaccio ” , se egli è inclinato fin dalla nascita alla mestizia e alla malinconia , come il Momigliano stesso dimostra per altre testimonianze , oltre a questa della Frottola composta negli anni tardi , se ” egli aveva due modi per mitigare i propri dolori : rassegnarcisi ed era il rimedio al quale ricorreva più di raro o riderci su al modo degli umoristi : vera consolazione da disperato ” , e “ quest ' umorismo triste soggettivo nel Pulci , non oggettivo manca quasi affatto nel Morgante ” , come diventa poi soggettivo , invece , il riso del Morgante , naturale , incoercibile irruzione dell ' indole del Pulci nella materia epica ? Come può esser il Pulci il vero protagonista del suo poema ? Magari fosse stato ! Ma il Pulci , se in parte nelle lettere e nella Frottola riesce a ridere dei suoi dolori a modo degli umoristi , non riesce mai a oggettivare nel suo poema la disposizione naturale all ' umorismo . Egli vive due vite , ma non le fa vivere nel suo poema . “ Dualismo doloroso , esclama qua il Momigliano , che condanna il Pulci a rappresentare nel Morgante la parte d ' una maschera allegra , mentre , quando s ' è raffreddata la sua fantasia , onde i facili versi sono fluiti come una brigata perennemente gaja dalle porte d ' un palazzo fatato , il dolore della vita tormentata di ogni giorno lo deve , pel contrasto , riassalire più acuto che mai ! ” O dunque ? Se è una maschera , non è l ' indole che naturalmente e incoercibilmente irrompe nella materia epica ! Ma non è neanche una maschera . Di veramente soggettivo nel poema non c ' è quasi nulla : il Morgante è “ la materia cavalleresca infusa d ' un ' anima plebea ” come dice il Cesareo , il quale nel gigante armato di battaglio e in Margutte vede il popolo stesso che si mira allo specchio del suo rozzo e sincero naturalismo . Il primo è “ ignorante , vorace , manesco , burlone , ma non ha perfidia ; e compie le imprese più ardue a un sol cenno del suo padrone ; è la forza ignara e subitanea del popolo acconciamente diretta da un sentimento che ne sviluppi le qualità oscure , l ' onestà , la giustizia , l ' indulgenza , la devozione , l ' amorevolezza . Margutte invece è il popolo senza fede e senza sentimento , la canaglia abietta e impudente , motteggiatrice ed obbliqua , criminosa e spavalda ” . E il vero protagonista del poema è dunque Morgante , il buon popolo , che segue , ammirato , le strampalate avventure dei paladini di Francia e vi partecipa a suo modo . Il Pulci non ha voluto rappresentare altro , nella sua parodia . Non posso indugiarmi a rilevare tutte le false conseguenze che il Momigliano trae dalla secondo me erronea convinzione che Fil riso del Morgante sia soggettivo . Egli è in buona compagnia : anche per il Rajna le novità del Morgante consistono “ in certi episodi , dove l ' Autore introduce curiosi personaggi di sua fattura e si scapriccia tanto colla fantasia quanto colla ragione ; soprattutto poi nella dimostrazione del suo io e nell ' atteggiamento che prende di fronte all ' opera sua ” ( vedi Introduzione alle Fonti dell ' Orl . Fur . , seconda ed . pag . 20 , Firenze , Sansoni , 1900 ) . Ora il vero suo “ io ” il Pulci , se dobbiamo stare all ' indagine che ne fa lo stesso Momigliano ripeto non lo dimostra affatto nel Morgante . Se vi rappresenta la parte d ' una maschera allegra ! Per me è gravissimo torto attribuire direttamente al poeta ciò che va attribuito al sentimento , alla logica , alla psicologia , alla lingua buffona della plebe , nella parodia ch ' egli ne fa . Così ad esempio , il Momigliano a un certo punto osserva : “ Non oserei però sostenere la perfetta innocenza del Pulci , quando Ulivieri mi vien fuori a spiegare il mistero della Trinità con quel certo esempio della candela , che non spiega un bel nulla ” . Come se di queste spiegazioni che non spiegano nulla non fosse piena tutta la letteratura popolare ! E poi , se il paragone si trova già nell ' Orlando , che c ' entra la malizia del Pulci ? Più sotto , a proposito della conversione di Fuligatto , osserva : “ Già queste conversioni e questi battesimi e per la loro rapidità e per la loro frequenza e per il troppo fervore dei neofiti più o meno insospettiscono sempre ” . Ma se questo è uno dei tratti caratteristici , che dimostrano appunto la puerilità della concezione religiosa nella epopea francese ! Appena conquistata una città , i vincitori impongono agl ' infedeli la conversione : chi si rifiuta , tagliato a fil di spada ; e i battezzati diventano d ' un tratto cristiani zelantissimi . Che c ' entra il Pulci ? A proposito dell ' episodio d ' Orlando motteggiato nel c . XXI dai ragazzacci della città , che il paladino attraversa su Vegliantino così mal ridotto ; che non si regge in piedi , il Momigliano dice che il Pulci non sente la maestà cavalleresca , e poi nota : “ Pel nostro poeta il riso è una delle grandi leggi , a cui tutti devono pagare il proprio tributo . Il Pulci , quindi , accenna ne ' suoi personaggi tanto i lati seri quanto i lati ridicoli e li riduce a quando a quando ai limiti dell ' umano . Così , in quest ' episodio , pare che egli prenda in giro Orlando , ma non è vero : un paladino invitto , col palafreno cascante anche Vegliantino qui scade dalla dignità solita nei cavalli degli eroi non è sottoposto ad una deminutio capitis , non s ' avvicina un po ' al Cavaliere dalla trista figura ? E questo non può accadere ad un paladino ? Ma fate che gli s ' avvicini un petulante a beffeggiarlo e vedrete che egli non è un Don Quijote , ma un paladino autentico : ecco in qual modo Orlando , abbassato per un momento , subito si rialza . Nella fonte c ' è qualche cosa di molto simile ( Orl . L . 30-37 ) . Siam già vicini alla beffa , ma non l ' abbiamo raggiunta ancora : la beffa si avrà solo , quando il riso sarà l ' esplosione della ribellione meditata del raziocinio ” . Anche qui è attribuito al Pulci quel che già , prima di tutto , si trova nella fonte , e che si trova poi in altri poemi , come ad esempio nell ' Aiol e nel Florent et Octavien . Così , quella certa facilità di commozione che hanno i paladini , e che al Momigliano sembra non molto naturale in guerrieri di quella tempra , si trova già , come è noto , nell ' epopea francese , dove centinaja di volte si leggono versi come questi ( formule epiche stereotipate ) : Trois fois se pasme sor le corant destrier . Quando non sviene un intero esercito : Cent milie frane s ' en pasment cuntre terre . Dato il concetto che il Momigliano s ' è formato dell ' umorismo , che questo cioè sia “ il riso che penetra più finemente o più profondamente nel proprio oggetto , e , anche quando non si eleva alla contemplazione di un fatto generale , è tuttavia indizio di uno spirito avvezzo a cercare il nocciolo delle cose ” , s ' intende com ' egli possa trovare con molta buona volontà anche l ' umorismo nel Morgante , non ostante che prima egli stesso abbia detto che ” il genere di riso del Morgante non scaturisce da una psicologia profonda ” e che questo procede “ da due ragioni , dall ' inettitudine del Pulci e dalla materia , che di solito si appaga di caratteri inconsistenti ” e che il Pulci “ vede specialmente il ridicolo fisico , il ridicolo delle forme , degli atteggiamenti , delle movenze d ' un corpo ” e il suo sia di solito “ un riso superficiale ” che ” nella sua quasi costante leggerezza ritrae dello spirito e della letteratura dei tempi ” . Ma ora per lui : “ il pianto , l ' indulgenza , la simpatia , ecc . ecc . , sono tutti elementi accessori ” dell ' umorismo , il quale , in somma , è come ha detto il Masci “ il senso generale della comicità ” , e nient ' altro . Inteso così , l ' umorismo si può trovare da per tutto . Ulivieri è sbalzato di sella da Manfredonio davanti a Meridiana e dice : Alla mia vita non caddi ancor mai , Ma ogni cosa vuol cominciamento ? Umorismo ! Meridiana gli risponde : Usanza è in guerra cader dal destriere , Ma chi si fugge non suol mai cadere ? Umorismo ! Rinaldo , dimentico di Luciana , si innamora di Antea e raccomanda a Ulivieri di servirla con ogni cura , e l ' amico risponde : “ Così va la fortuna ; Cércati d ' altro amante , Luciana ; Da me sarai d ' ogni cosa servito » ? “ Risposta stringata , filosofica , umoristica ” commenta il Momigliano , e via di questo passo . Ma no ! Il vero umorismo non si può trovare nel Morgante . Si sarebbe potuto trovare , se il Pulci fosse riuscito a trasfondere i suoi dolori , le sue miserie in qualcuno dei personaggi o in qualche scena , e ne avesse riso , come nella Frottola o in qualcuna delle lettere ; se la sua ironia , la vana parvenza di quello sciocco , puerile o grottesco mondo cavalleresco , fosse riuscita in qualche punto a drammatizzarsi , attraverso il suo sentimento , comicamente . Ma egli non solo non vede , né può vedere sé nel dramma , ma non riesce neanche a vedere il dramma nell ' oggetto rappresentato . E come si può parlare dunque d ' umorismo ? Dico del vero umorismo , che non è punto quel che crede il Momigliano , seguendo il Masci . Dell ' altro , cioè dell ' umorismo inteso nel senso più largo e comune , di cui ho già fatto parola , eh , di quello sì , ce n ' è in lui solo tanta copia , quanta in cento scrittori inglesi messi insieme , che dal Nencioni o dall ' Arcoleo sarebbero tenuti in conto di veri umoristi . Questo è indubitabile . * Mi sono intrattenuto così a lungo sul Morgante perché fra i tre nostri maggiori poemi cavallereschi è quello in cui certamente ha più campo l ' ironia : l ' ironia che secondo l ' espressione dello Schlegel riduce la materia a una perpetua parodia e consiste nel non perdere , neppure nel momento del patetico , la coscienza della irrealità della propria creazione . L ' intendimento dei due altri poeti , il Bojardo e l ' Ariosto , è più serio . Ma bisogna bene intendersi , su questa maggior serietà ... Il Pulci è poeta popolare , nel senso che non solleva per nulla dal popolo la materia che tratta , anzi ve la tiene per riderne parodiandola , in una corte borghese come quella di Lorenzo che della parodia , come ho detto , ha il gusto . Il Bojardo è poeta cortegiano , nel senso che ha , per usare le parole stesse del Rajna , “ una profonda simpatia per i costumi e i sentimenti cavallereschi , cioè per l ' amore , la gentilezza , il valore , la cortesia ” e se “ non ha ritegno a scherzare col soggetto , né ha rimorso di esporre alla derisione i suoi personaggi , gli è che egli intende a celebrare la prodezza , la cortesia e l ' amore , non già Orlando e Ferraguto ” ; cortegiano , dunque , nel senso che scrive per dar buon tempo e gradito sollazzo a una corte che , vivendo in ozii agiati ed eleganti , appassionandosi ai casi di Ginevra e di Isotta , alle avventure dei cavalieri erranti , non avrebbe potuto far buon viso ai paladini di Francia , se questi le fossero venuti innanzi senza amore e senza cortesia . L ' Ariosto , se per condizioni di vita , rispetto alla casa d ' Este , è in un altro senso poeta cortegiano anche lui , rispetto però alla materia che prende a trattare , non guarda che alle condizioni serie dell ' arte . Abbiamo veduto che nella stessa Francia già da tempo il mondo epico e cavalleresco aveva perduto ogni serietà . Come avrebbero potuto i poeti italiani trattare seriamente ciò che già da tempo era cessato di esser serio ? L ' ironia comica era inevitabile . Ma “ chi fa un lavoro comico osserva giustamente il De Sanctis non è esentato dalle condizioni serie dell ' arte ” . Ebbene , queste condizioni serie dell ' arte rispetta più di tutti l ' Ariosto , meno di tutti il Pulci , ma non per difetto d ' arte , come era parso prima al De Sanctis , bensì ripetiamo per lo scopo ch ' egli si prefisse . Chi fa una parodia o una caricatura è certamente animato da un intento o satirico o semplicemente burlesco : la satira o la burla consistono in un ' alterazione ridicola del modello , e non sono perciò commisurabili se non in relazione con le qualità di questo e segnatamente con quelle che spiccano di più e che già rappresentano nel modello una esagerazione . Chi fa una parodia o una caricatura insiste su queste qualità spiccate ; dà loro maggior rilievo ; esagera un ' esagerazione . Per far questo è inevitabile che si sforzino ì mezzi espressivi , si àlteri stranamente , goffamente o anche grottescamente la linea , la voce o , comunque , l ' espressione ; si faccia in somma violenza all ' arte e alle condizioni serie di essa . Si lavora su un vizio o su un difetto d ' arte o di natura , e il lavoro deve consistere nell ' esagerato , perché se ne rida . Ne risulta inevitabilmente un mostro ; qualcosa che , a considerarla in sé e per sé , non può avere alcuna verità , né , dunque , alcuna bellezza ; per intenderne la verità e però la bellezza , bisogna esaminarla in relazione col modello . Si esce così dal campo della fantasia pura . Per ridere di quel vizio o di quel difetto o per deriderli , dobbiamo anche scherzare con lo strumento dell ' arte ; esser coscienti del nostro gioco , che può esser crudele , che può anche non aver intenzioni maligne o averne anche di serie , come le aveva ad esempio Aristofane nelle sue caricature . Se dunque il Pulci nel suo lavoro comico viene meno alle condizioni serie dell ' arte , non è per insufficienza d ' arte , ripeto . Lo stesso non si può dire per il Bojardo . La maggior serietà di questo deve considerarsi non già nell ' intenzion dell ' arte , che gli difetta , bensì in quella di piacere alla sua corte , seguendo anche il suo gusto e il piacer suo . Si arrivò finanche a dire che il Bojardo tratta seriamente , nel suo poema , la cavalleria . Il Rajna , che com ' è noto nel suo libro su Le Fonti dell ' Orl . Fur . par che si sia proposto di rialzare il Bojardo a costo del “ suo continuatore ” , a proposito della distinzione da farsi tra l ' Innamorato e il Furioso , domanda : “ La faremo noi consistere nella cosiddetta ironia ariostesca ? Certo starebbe bene , se fosse vero , come si pretende , che l ' Ariosto avesse , con un sorriso incredulo , sciolto in fumo l ' edificio del Bojardo , e trasformato in fantasmi i personaggi dell ' Innamorato . Il male si è che quell ' edificio , quei personaggi , erano già una fantasmagoria anche per il Conte di Scandiano . Se Lodovico non crede al mondo che canta e se ne fa giuoco , non ci crede maggiormente e all ' occasione non se ne fa meno giuoco il suo predecessore e maestro ; se ironia c ' è nel Furioso , non ne manca nemmeno nell ' Innamorato ” . E , alcune pagine innanzi : ” Certo il sentir parlare di burlesco e umorismo , a proposito dell ' Innamorato , deve far meraviglia , e non poca . Si è tanto avvezzi a sentir ripetere su tutti i toni , e da uomini autorevolissimi e giudiziosissimi , che il Bojardo canta le guerre d ' Albraccà , e le avventure d ' Orlando e di Rinaldo , con quella medesima serietà e convinzione , colla quale il Tasso celebrava un secolo dopo le imprese dei Cristiani in Palestina e l ' acquisto di Gerusalemme ! È un errore , di cui . mi par superflua la confutazione ... Non ci vuol molto ad accorgersi che tra il Bojardo ed il mondo da lui preso a rappresentare , c ' è un vero contrasto , dissimile soltanto per grado e per tono da quello che impediva al Pulci d ' immedesimarsi colla sua materia . Ché agli occhi di ogni Italiano colto del secolo XV erano ridicoli quei terribili colpi di lancia e di spada , che al paragone avrebbero fatto apparir fanciulli gli eroi di Omero ; ridicolo quel frapparsi ( ! ) le armature e le carni per le ragioni più futili , od anche senza un motivo al mondo ; ridicole le profonde meditazioni amorose , che assorbivano tutta l ' anima per ore ed ore , e sopprimevano ogni ombra di coscienza ; ridicole , insomma , tutte le esagerazioni dei romanzi cavallereschi . O come si vuole che un uomo imbevuto fino al midollo di coltura classica , e dotato di un buon senso a tutta prova , avesse a contemplare e rappresentare questo mondo senza mai prorompere in uno scoppio di riso ? E infatti il Bojardo ride , e si studia di far ridere ; anche in mezzo alle narrazioni più serie esce in frizzi e facezie ; e più d ' una volta egli crea scene , che si potrebbero credere trovate dal Cervantes per beffare là cavalleria ed i suoi eroi ” . Il Rajna crede di difendere così il Bojardo da una ingiustizia . Il suo torto e gli è stato rilevato alla ristampa del libro dal Cesareo ( vedi in Critica militante , Messina , Trimarchi , 1907 , lo studio La fantasia dell ' Ariosto , pubbl . prima su la Nuova Antologia ).) è quello di trattare la questione dei rapporti tra il Bojardo e l ' Ariosto senza una adeguata preparazione estetica . Eppure , già il De Sanctis , trattando della poesia cavalleresca in un corso di lezioni all ' Università di Zurigo , aveva avvertito maravigliosamente : “ La facoltà poetica per eccellenza è la fantasia : ma il poeta non lavora solo con le facoltà estetiche , tutte le facoltà cooperano : il poeta non è solo poeta ; mentre la fantasia forma il fantasma , l ' intelletto e i sensi non rimangono inerti . Un poeta può avere potente virtù estetica ed esser povero d ' immaginazione , commettere errori nel disegno o spropositi storici e geografici : questi difetti non toccano l ' essenza della poesia . Ma se un poeta che ha in alto grado queste alte facoltà , che ha un bel disegno ed una perfetta esecuzione meccanica , ha debole fantasia , non saprà render vivente quanto vede : la mancanza di fantasia è la morte del poeta . Ecco la distinzione da farsi . Fin qui non avete diritto di mettere in quistione l ' ingegno poetico del Bojardo ; i difetti , che abbiamo enumerato , dipendono da altre facoltà . Per venire ad esaminarlo come poeta , bisogna dunque vedere fino a qual punto abbia la potenza formativa del fantasma . Ha una grande inventiva : è stato il poeta italiano che ha raccolto il più vasto e vario materiale di poesia ; non solo per quantità ma anche per qualità . L ' inventiva è già una prima condizione del poeta ; e per tal riguardo il Bojardo è superiore al Pulci . Ma , non che basti , è poca cosa : l ' invenzione nell ' arte è il meno . Dumas lascia ai suoi segretarii l ' incarico di raccogliere i materiali , ne ' quali si riserba d ' infonder poi la vita . Raccolto il materiale , il Bojardo lo sa lavorare ? Ecco la quistione . Non lo lascia nudo ed arido come il Pulci ; ha la facoltà del concepimento , dà ad ogni fatto e personaggio le determinazioni necessarie perché acquisti una fisionomia propria . Non gli basta l ' abbozzare un personaggio ; e anzi , egli è uno dei principali disegnatori della poesia italiana . Pochi sanno dar con più sicurezza i lineamenti ad un carattere ... Che resta da fare al poeta ? Mostrar vivo il personaggio . Chi ha dato tal forma e tal carattere , lo deve far vivere . Bisogna che la concezione diventi situazione . Anche i più appassionati non sono sempre appassionati . Volendo mettere in opera le determinazioni , bisogna scegliere tali circostanze che , mediante di esse , possano manifestarsi le forze interne d ' un personaggio . V ' è situazione estetica quando il personaggio è posto nelle condizioni più favorevoli , perché possa rivelarsi . Ma il Bojardo non sa mutar la concezione in situazione ” . Il Cesareo , che svolge ampiamente e precisa nel suo studio su La fantasia dell ' Ariosto questa stupenda intuizione del De Sanctis , nota a questo punto che , in verità ” quando una creatura vive nella fantasia d ' un poeta , ella si rivelerà intera in qualunque circostanza si trovi . Il poeta non ha da sceglier nulla , perché quella creatura è libera , autonoma , fuori del poeta medesimo e non si può trovare se non in quelle situazioni a cui la sospinge il suo carattere in contrasto coi caratteri circostanti . Le situazioni vengon da sé , non le sceglie il poeta ; il quale deve soltanto curare che in ciascuna situazione , anche la meno drammatica , il personaggio apparisca tutto , con tutte le sue determinazioni interiori . E allora una sola situazione basterà a farci conoscere quella creatura ; e noi sapremo a un dipresso ciò che ella farà in situazioni “ più favorevoli " . Il carattere di Farinata è già tutto ne ' primi sei versi co ' quali ei si volge a Dante ; quello d ' Amleto è già tutto nella scena dell ' udienza a Corte ; quello di don Abbondio è già tutto nella sua passeggiata in vista de ' bravi . Certo , la successione delle situazioni accresce intensità ed evidenza al carattere ; ma qualunque situazione è una situazione estetica ” . Per il Cesareo , al Bojardo manca per l ' appunto la visione completa del carattere ; ed io son d ' accordo con lui . Su un altro punto io dissento dal De Sanctis , cioè là dove egli dice che il Bojardo “ per intenzioni pedantesche , ha voluto fare seriamente quanto è sostanzialmente ridicolo ” . Codeste intenzioni pedantesche nel Bojardo veramente non so vederle , come non so vedere ch ' egli abbia voluto esser serio e che soltanto “ per la forza dei tempi ” sia riuscito ridicolo . Se , come dice lo stesso De Sanctis , egli ” ride delle sue invenzioni ” , non ha voluto esser serio . Secondo me , anzi , il torto del Bojardo è proprio là dove il Rajna crede di difenderlo da una ingiustizia : che egli , cioè , nobile cavaliere , animato da una profonda simpatia per i costumi cavallereschi , cioè per l ' amore , la gentilezza , il valore , la cortesia , non ha voluto esser serio , come per il sentimento suo poteva e come per il rispetto alle condizioni serie dell ' arte doveva . E , non volendo esser serio , egli non ha saputo ridere , perché a quella materia solo un riso ormai conveniva , quello della forma , e la forma sopra tutto manca al Bojardo . Dice bene il Rajna che “ non ci vuol molto ad accorgersi che tra il Bojardo ed il mondo da lui preso a rappresentare , c ' è un vero contrasto , dissimile soltanto per grado e per tono da quello che impediva al Pulci d ' immedesimarsi colla sua materia ” . Ma l ' inferiorità del Bojardo rispetto al Pulci e all ' Ariosto è appunto qui , nel grado e nel tono del suo riso . Egli volle badar soltanto a sollazzare sé e gli altri , e non intese che , volendo sollevar dal popolo quella materia e non volendo più farne deliberatamente la parodia , come aveva fatto il Pulci , si dovevano rispettare le condizioni serie dell ' arte , come l ' Ariosto le rispettò . Non è affatto vero che il poeta del Furioso con sorriso incredulo sciolga in fumo l ' edificio del Bojardo e trasformi in fantasmi i personaggi dell ' Innamorato . Al contrario ! Egli dà anzi a quell ' edificio e a quei personaggi ciò che loro mancava : consistenza e fondamento di verità fantastica e coerenza estetica . Bisogna bene intendersi sul non credere del poeta al mondo che canta o che , comunque , rappresenta . Ma si potrebbe dire che non solo per l ' artista , ma non esiste per nessuno una rappresentazione , sia creata dall ' arte o sia comunque quella che tutti ci facciamo di noi stessi e degli altri e della vita , che si possa credere una realtà . Sono , in fondo , una medesima illusione quella dell ' arte e quella che comunemente a noi tutti viene dai nostri sensi . Pur non di meno , noi chiamiamo vera quella dei nostri sensi , finta quella dell ' arte . Tra l ' una e l ' altra illusione non è però questione di realtà , bensì di volontà , e solo in quanto la finzione dell ' arte è voluta , voluta non nel senso che sia procacciata con la volontà per un fine estraneo a sé stessa ; ma voluta per sé e per sé amata , disinteressatamente ; mentre quella dei sensi non sta a noi volerla o non volerla : si ha , come e in quanto si hanno i sensi . E quella dunque è libera , e questa no . E l ' una finzione è dunque immagine o forma di sensazioni , mentre l ' altra , quella dell ' arte , è creazione di forma . Il fatto estetico , effettivamente , comincia solo quando una rappresentazione acquisti in noi per sé stessa una volontà , cioè quando essa in sé e per sé stessa si voglia , provocando per questo solo fatto , che si vuole , il movimento ( tecnica ) atto ad effettuarla fuori di noi . Se la rappresentazione non ha in sé questa volontà , che è il movimento stesso dell ' immagine , essa è soltanto un fatto psichico comune ; l ' immagine non voluta per sé stessa ; fatto spirituale - meccanico , in quanto non sta in noi volerla o non volerla ; ma che si ha in quanto risponde in noi a una sensazione . Abbiamo tutti , più o meno , una volontà che provoca in noi quei movimenti atti a creare la nostra propria vita . Questa creazione , che ciascuno fa a sé stesso della propria vita , ha bisogno anch ' essa , in maggiore o minor grado , di tutte le funzioni e attività dello spirito , cioè d ' intelletto e di fantasia , oltre che di volontà ; e chi più ne ha e più ne mette in opera , riesce a creare a sé stesso una più alta e vasta e forte vita . La differenza tra questa creazione e quella dell ' arte è solo in questo ( che fa appunto comunissima l ' una e non comune l ' altra ) : che quella è interessata e questa disinteressata , il che vuol dire che l ' una ha un fine di pratica utilità , l ' altra non ha alcun fine che in sé stessa ; l ' una è voluta per qualche cosa ; l ' altra si vuole per sé stessa . E una prova di questo si può avere nella frase che ciascuno di noi suoi ripetere ogni qual volta , per disgrazia , contro ogni nostra aspettativa , il proprio fine pratico , i proprii interessi siano stati frustrati : “ Ho lavorato per amore dell ' arte ” . E il tono con cui si ripete questa frase ci spiega la ragione per cui la maggioranza degli uomini , che lavorano per fini di pratica utilità e che non intendono la volontà disinteressata , suoi chiamare matti i poeti veri , quelli cioè in cui la rappresentazione si vuole per sé stessa senz ' altro fine che in sé medesima , e tale essi la vogliono , quale essa si vuole . Non ricorderò qui la domanda del cardinale Ippolito a Messer Lodovico . Il quale però , per tutta risposta , avrebbe potuto rileggergli quell ' ottava del canto ove si narra del viaggio di Astolfo alla Luna : Non sì pietoso Enea , né forte Achille Fu , com ' è fama , né sì fiero Ettorre ; E ne son stati e mille e mille e mille Che lor si puon con verità anteporre : Ma i donati palazzi e le gran ville Dai discendenti lor , gli ha fatto porre In questi senza fin sublimi onori Dall ' onorate man degli scrittori ... Dal che si può vedere come anche in un grandissimo poeta un sentimento almeno in parte non disinteressato poté macchiar l ' opera e mortificarla . Fortunatamente questo avvenne per una parte soltanto del poema . In qualche altro punto si può notare che la riflessione più che il sentimento , muova la rappresentazione ; la quale allora perde l ' azione spontanea , d ' essere organico e vivente , e acquista un movimento rigido e quasi meccanico . È là dove il poeta dimostra d ' essersi proposto a freddo il rispetto delle condizioni serie dell ' arte , là cioè dove non le rispetta più istintivamente , ma per intenzione preconcetta . Citerò per esempio le personificazioni di Melissa e di Logistilla . Ma là dove il poeta rispetta istintivamente le condizioni serie dell ' arte , cessa l ' ironia ? riesce il poeta a perder la coscienza della irrealità della sua creazione ? e come s ' immedesima egli con la sua materia ? Questo è il punto da chiarire e che richiede l ' analisi più sottile . È qui il segreto dello stile dell ' Ariosto . Nella lontananza del tempo e dello spazio , il poeta vede innanzi a sé un mondo meraviglioso che in parte la leggenda , in parte le capricciose invenzioni dei cantori han costruito attorno a Carlo Magno . Egli vede l ' Imperatore non già come quella cosa oscura del Pulci , che passeggia per la mastra sala impaurito dei formidabili eserciti dei Saracini o , più spesso , delle minacciate vendette dei Paladini per i tradimenti di Gano , che lo mena per il naso a sua posta : né lo vede come il Bojardo , Carlone rimbambito , che s ' indugia a parlar con Angelica , affocato in volto e con gli occhi lustri , poiché si sente toccar l ' ugola anche lui . Egli comprende che è da farsa o da teatrino di marionette un imperatore così fatto . Rida il volgo , ridano i fanciulli dei fantocci . Il riso è facile quando con burlesca grossolanità si sconci una figura o si faccia comunque ridicola violenza alla realtà . Questo non può voler l ' Ariosto ; e questo lo pone già di gran lunga sopra ai suoi predecessori , non solo , ma tanto alto forse , che quantunque egli poi si sforzi o di dissennarsi o di tirar su fino alla sua altezza quella materia essa , per ciò che ha in sé di irriducibile ormai , gli resta in parte di troppo inferiore . Egli la domina da assoluto padrone e secondo l ' imprevedibile capriccio della sua meravigliosa fantasia creatrice combina e separa , associa e dissocia tutti gli elementi ch ' essa gli fornisce . Con questo giuoco , che maraviglia e incanta per la sua prodigiosa agilità , egli riesce a salvar sé e la materia . Dov ' egli può , cioè in quel che han di eterno i sentimenti umani e le umane illusioni , egli s ' immedesima tutto , fino a dar la stessa consistenza della realtà alla sua rappresentazione ; dove non può , dove agli occhi suoi stessi si scopre la irrealità irreparabile di quel mondo , egli dà invece alla rappresentazione una leggerezza , quasi di sogno , che si ilara tutta d ' una sottilissima ironia diffusa , che non rompe quasi mai l ' incanto né di questa o di quell ' opera di magia rappresentata , né quello assai più meraviglioso che opera la magia del suo stile . Ecco , ho detto la parola : la magia dello stile . Il poeta ha compreso che a un solo patto si poteva dar coerenza estetica e verità fantastica a quel mondo , ove appunto la magia ha tanta parte : a patto che il poeta diventasse un mago a sua volta , e il suo stile dalla magia prendesse qualità e virtù . E c ' è l ' illusione che il poeta crea a noi , e talvolta anche a sé stesso , immedesimandosi nel giuoco fino ad abbandonarvisi tutto . Ah , quel giuoco tanto gli par bello , che bramerebbe crederlo realtà : non è , pur troppo ! Tanto che , di tratto in tratto , il velo sottilissimo si squarcia ; attraverso lo squarcio la realtà vera , del presente , si scopre , e allora l ' ironia diffusa si raccoglie d ' un subito e con improvviso scoppio s ' appalesa . Questo scoppio però non stride , non urta mai troppo : si presente sempre . E oltre alle illusioni che il poeta crea a noi e a sé stesso , ci son quelle che i personaggi si creano e quelle che a loro creano i maghi e le fate . E tutto un giuoco d ' illusioni , fantasmagorico . Ma la fantasmagoria non è tanto nel mondo rappresentato , che ha sovente , ripeto , la consistenza stessa della realtà ; quanto nello stile e nella rappresentazione del poeta , il quale con meraviglioso accorgimento ha compreso , che così soltanto , rivaleggiando cioè con la stessa magia , poteva salvar gli elementi irriducibili della materia e renderli con tutto il resto coerenti . Ne vogliamo una prova ? Il poeta rivaleggia con la magia d ' Atlante , nel canto XII : il mago ha innalzato un castello , ove i cavalieri si travagliano invano a cercar le loro donne ch ' essi vi credono rapite ; tre , Orlando , Ferraù e Sacripante , vi cercano la finta immagine d ' Angelica , che essi credon vera . Ebbene , il poeta , più mago d ' Atlante , fa che Angelica viva e vera entri in quel castello . Angelica che può rendersi vana come quella vana immagine creata da Atlante per magia . Quivi entra , che veder non la può il Mago ; E cerca il tutto , ascosa dal suo anello ; E trova Orlando e Sacripante vago Di lei cercar invan per quello ostello . Vede come fingendo la sua imago Atlante usa gran fraude a questo e a quello . Chi tor debba di lor molto rivolve Nel suo pensier , né ben se ne risolve . … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … L ' anel trasse di bocca , e di sua faccia Levò dagli occhi a Sacripante il velo . Credette a lui sol dimostrarsi , e avvenne Ch ' Orlando e Ferraù le sopravvenne . … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … Corser di par tutti alla donna , quando Nessun incantamento gl ' impediva ; Perché l ' anel ch ' ella si pose in mano Fece d ' Atlante ogni disegno vano . È una magia che entra in un ' altra . Il poeta si avvale di quest ' elemento , lo fa anzi siffattamente suo , che in un momento innanzi agli occhi nostri illusi la realtà diventa magia e la magia realtà : appena Angelica si scopre , la realtà d ' un subito avventa e crolla l ' incanto ; sparisce mercé l ' anello , ed ecco il castello d ' Atlante assumer quasi consistenza reale innanzi a noi . Che stupenda finezza in questo giuoco ! E giuoco di magia ; ma la magia vera è quella dello stile ariostesco . Che ne volete più di quei poveri cavalieri ? Volgon pel bosco or quinci or quindi in fretta Quelli scherniti la stupida faccia . Chi li fa andare incontro a questi scherni e a guai anche peggiori ? Ma l ' amore , signori miei , che se non è proprio proprio una pazzia , tante pur ne fa fare , jeri come oggi , e tante ne farà fare domani e sempre ! Chi mette il piè su l ' amorosa pania , Cerchi ritrarlo , e non v ' inveschi l ' ale ; Ché non è in somma Amor se non insania A giudizio de ' savi universale : E sebben come Orlando ognun non smania , Suo furor mostra a qualch ' altro segnale . E quale è di pazzia segno più espresso , Che , per altri voler , perder sé stesso ? Vari gli effetti son ; ma la pazzia E tutt ' una però , che li fa uscire . Gli è come una gran selva , ove la via Conviene a forza , a chi vi va , fallire . In questi due ultimi versi il poeta dà una perfetta immagine del suo poema , che poggia per tanta parte su quest ' amore che dissenna . Fontane , giardini , castelli incantati ? Ma si ! Se sono oggi per noi larve inconsistenti , furono come realtà per le pazzie che l ' Amore fece far jeri , là in quel mondo lontano ; ridetene , se vi piace ; ma pensate che altre fallaci immagini crea oggi e creerà domani con l ' eterna magia delle sue illusioni l ' Amore , a scherno e a tormento degli uomini . Se voi ridete di quelli , potreste ugualmente ridere di voi . Frate , tu vai L ' altrui mostrando , e non vedi il tuo fallo . Sotto la favola è la verità . Vedete : il poeta non ha che a gravare un tantino la mano , perché la favola gli si muti in allegoria . E la tentazione è forte , e qua e là egli difatti vi casca ; la , fantasia però subito lo risolleva , per fortuna , e lo richiama al giusto grado e al giusto tono , in cui fin da principio s ' era messo : Dirò d ' Orlando , Che per amor venne in furore e matto D ' uom che sì saggio era stimato prima ; Se da colei che tal quasi m ' ha fatto , Che ' l poco ingegno ad ora ad or mi lima , Me ne sarà però tanto concesso Che mi basti a finir quanto ho promesso . E fin da principio lo stile ha virtù magica . Tutto il primo canto è , nella rappresentazione , fantasmagorico , corso da lampi , d ' apparizioni fugaci . E questi lampi non spiazzano per abbagliar soltanto i lettori , ma anche gli attori della scena . Ecco : ad Angelica balza innanzi Rinaldo ; a Ferraù , che cerca l ' elmo , l ' Argalia ; a Rinaldo , Bajardo ; a Sacripante , Angelica ; a tutt ' e due , Bradamante , e poi il messaggero , e poi Bajardo di nuovo e poi di nuovo Rinaldo . E questi lampi , dopo il rapidissimo guizzo , si estinguono comicamente , con la frode dell ' illusione improvvisa . Il poeta esercita , cosciente , questa sua magia ; non dà mai tempo ; lascia questo e prende quello ; sbalordisce e sorride dello sbalordimento altrui e de ' suoi stessi personaggi . Non va molto Rinaldo che si vede Saltare innanzi il suo destrier feroce : Ferma , Bajardo mio , deh ferma il piede ! Ché l ' esser senza te troppo mi nuoce . Per questo il destrier sordo a lui non riede , Anzi più se ne va sempre veloce . Segue Rinaldo , e d ' ira si distrugge , Ma seguitiamo Angelica che fugge . Figurarsi se Bajardo voleva fermarsi ! Il suo padrone è innamorato , dunque è matto . E Quel destrier , ch ' avea ingegno a meraviglia , capisce quel che il suo padrone nón può capire . Ecco : il senno che l ' Amore toglie agli uomini è dato dal poeta a una bestia . Nel c . II ( s . 20 ) dice , a mo ' d ' aggiunta , “ il destrier ch ' avea intelletto umano ” . Umano , sì , ma intendiamoci non d ' uomo innamorato ! Non giurerei proprio che qui non ci sia una punta di . satira . L ' ironia del poeta è una sottilissima sega , che ha tanti denti , e anche quello della satira , che morde un po ' tutti , fino fino , sotto sotto , a cominciar dal cardinale Ippolito , suo padrone . Oh gran bontà dei cavalieri antiqui ! Vi par che qui l ' ironia consista soltanto nel fatto che Ferraù e Rinaldo , dopo essersi picchiati a quel modo che sapete , cavalchino insieme , come se nulla fosse stato ? Il Rajna dice che i romanzi francesi recano in buona fede molti esempii di siffatte magnanime cortesie , e tre ne reca dal Tristan per concludere : “ Questa è la cortesia e la lealtà dei cavalieri di Brettagna ” . Benissimo ! Ma non già dei due cavalieri dell ' Ariosto , che non dimostrano ombra di cavalleria . Per intenderlo , bisogna pensare a che cosa avrebbe potuto rispondere Ferraù alla proposta di Rinaldo di smettere il duello : “ io non combatto per una preda , io combatto per difendere una donna che m ' invoca ajuto ; e se io son riuscito a difenderla , non ho combattuto invano ” . Un buon cavaliere antico , veramente nobile , avrebbe risposto cosa . Ma tanto Rinaldo quanto Ferraù non vedono in Angelica che una preda da appropriarsi , e poiché questa è uscita lor di mano , s ' ajutano entrambi a rintracciarla con un criterio molto positivo e pochissimo cavalleresco . Quella esclamazione dunque “ oh gran bontà dei cavalieri antiqui ! ” è veramente ironica e suona irrisione . Tanto è vero , che poco dopo , nel c . II , ripetendosi la medesima situazione del duello interrotto per la stessa ragione , Rinaldo lascia Sacripante a piedi : E dove aspetta il suo Bajardo , passa , E sopra vi si lancia , e via galoppa ; Né al cavalier , ch ' a piè nel bosco lassa , Pur dice addio , non che lo ' nviti in groppa . Ripetete sul serio , se vi riesce , dopo questo : Oh gran bontà dei cavalieri antiqui ! Il poeta scherza , e con quel povero re di Circassia , “ quel d ' amor travagliato Sacripante ” , lo scherzo del poeta è veramente crudele e passa la parte . Già , come lo dipinge : “ Un ruscello ? Parean le guance , e ' l petto un Mongibello ! ” Gli pone accanto , benigna , colei per cui si duole ( è curioso veramente il notare a quali aberrazioni poté essere condotto il Rajna dalla smania di sorprendere a ogni costo il poeta del Furioso con le mani nel sacco altrui . A proposito di questo episodio di Sacripante e Angelica , cita nientemeno che 12 esemplari , che l ' Ariosto avrebbe dovuto aver presenti . E non si accorge ch ' è stupido senz ' altro il ravvicinamento di queste pretese fonti , poiché nell ' Ariosto , invece del solito cavaliere che ascolta furtivo i lamenti , abbiamo Angelica , proprio lei in persona . Ma questo ha il coraggio di notare il Rajna “ è una differenza di sommo momento per Sacripante , ma secondaria per noi ” . Già ! come dire che , se veramente il Tasso ebbe presente il battesimo di Sorgalis nei Chétifs a proposito del battesimo di Clorinda , è differenza secondaria che Tancredi battezzi Clorinda in luogo di un altro cavaliere qualsiasi ! Sapete quali sono invece le parti sostanziali ? Erba , alberi , acqua , se è giorno o notte , e simili altre amenità . Come se Angelica non fosse nel bosco fin dal principio del canto ! Avrebbe potuto risparmiarsi il Rajna tanto sfoggio di erudizione e venir senz ' altro all ' episodio di Prasildo nel Bojardo . La differenza però rimane sempre sostanziale . L ' Ariosto prende un verso al Bojardo : Che avria spezzato un sasso di pietade ; ma glielo corregge così : Che avrebbe di pietà spezzato un sasso . Ecco tutto ) . Poi , sotto gli occhi di Angelica , lo fa buttare in terra miseramente da un cavaliere che passa di corsa ; e Angelica non ha ancor finito di confortarlo con fine ironia , attribuendo cioè , al solito , la colpa della caduta al cavallo , che gli fa dare il calcio dell ' asino da quel messaggero che sopravviene afflitto e stanco su un ronzino : Tu déi saper che ti levò di sella L ' alto valor d ' una gentil donzella . C ' è da morirne ! Ma non basta : ecco Rinaldo ; Angelica fugge ; e il povero Sacripante , re di Circassia , resta scornato , bastonato e a piedi . Ma alla fin fine può consolarsi , che non avvengono soltanto a lui simili disgrazie . Ad altri ne occorrono anche di peggiori . Ce n ' è per tutti ! Il poeta si spassa a rappresentar la frode delle varie illusioni e a frodar anche i maghi che le frodi ordiscono . È un mondo in balia dell ' amore , della magia , della fortuna ; che ne volete ? E come dell ' amore le pazzie e della magia gl ' inganni , egli rappresenta della fortuna la mutabilità . Ferraù , staccatosi al bivio da Rinaldo , gira gira , si ritrova ” onde si tolse ” , e poiché non spera di ritrovar la donna , si scorda le botte date e ricevute , la tenzone differita , e si rimette a cercar l ' elmo che gli era caduto nell ' acqua . Or se fortuna ( quel che non volesti Far tu ) pone ad effetto il voler mio , Non ti turbar , gli grida l ' Argalia emerso dalle onde con l ' elmo in mano , l ' elmo caduto a Ferraù giusto dove il cadavere dell ' Argalia era stato gittato . Un tratto che a noi non suona comicamente , ma che forse poteva sonar comico a coloro che avevan dimestichezza col poema e i personaggi del Bojardo , è nei versi che dipingono l ' orrore di Ferraù all ' apparir dell ' ombra d ' Argalia : Ogni pelo arricciosse E scolorosse al Saracino il viso . Ora Ferraguto era stato raffigurato dal Bojardo , Tutto ricciuto e ner come carbone . Gli si poteva arricciare il pelo e scolorir il viso ? Non giuoca forse anche qui , dunque , il poeta ? L ' altro contendente , Rinaldo , spedito da Carlo in Bretagna per ajuti e distolto così d ' andar cercando Angelica Che gli avea il cor di mezzo il petto tolto , arrivato a Calesse , lo stesso giorno , Contro la volontà d ' ogni nocchiero , Pel gran desir che di tornare avea , Entrò nel mar ch ' era turbato e fiero ; ma , sissignori , spinto dal vento nella Scozia , si scorda di Angelica , si scorda di Carlo e della gran fretta che avea di ritornare , e s ' affonda solo nella gran Selva Caledonia , facendo ora una , ora un ' altra via Dove più aver strane avventure pensa . E capitato a una badia , prima mangia , poi domanda all ' abbate come si possano ritrovare queste avventure per dimostrarsi valente . E “ i monachi e l ' Abbate ” : Risposongli , ch ' errando in quelli boschi , Trovar potria strane avventure e molte : Ma come i luoghi , i fati ancor son foschi ; Ché non se n ' ha notizia le più volte . Cerca , diceano , andar dove conoschi Che l ' opre tue non restino sepolte , Acciò dietro al periglio e alla fatica Segua la fama , e il debito ne dica . Il Rajna qua si compiace nel notare che “ mai un barone del ciclo di Carlo Magno fu convertito così espressamente in Cavaliere Errante come in questo caso ” , ma non può non avvertire che “ le parole degli ospiti dànno tuttavia a conoscere come lo spirito della cavalleria romanzesca sia ormai svanito ” poiché sempre per i principali tra gli Erranti la modestia è uno dei primissimi doveri , tal che nulla è tanto difficile , quanto indurli a confessarsi autori di qualche opera gloriosa , e anche quando essi si trovano dinanzi a migliaja di spettatori , procurano di celarsi con ignote divise ; cavalcano quasi sempre sconosciuti , mutando spesso di insegne , e nascondendosi molte volte anche agli amici più cari e più fidi . E allora ? Non dobbiamo arguire che qui ci sia un ' intenzione satirica , e che anzi questa intenzione sia stata così forte nel poeta , da farlo venir meno una volta tanto alle condizioni serie dell ' arte , che pure egli più di tutti suoi rispettare ? L ' incoerenza estetica , difatti , nella condotta di Rinaldo è lampantissima e inescusabile , il personaggio non apparisce libero , ma soggetto all ' intenzione dell ' autore . Ho voluto notar questo perché mi sembra che troppo si tenda , da qualche tempo in qua , a sforzare i termini dell ' immedesimazione del poeta con la sua materia . Certo è difficilissimo vederli netti e precisi , questi termini . Ma non li vede affatto , secondo me , o ha ben poco chiaro il lume del discorso , chi , riconoscendo com ' è giusto l ' immedesimazione del poeta col suo mondo , nega l ' ironia o in gran parte la esclude o gli dà poca importanza . Bisogna riconoscere l ' una cosa e l ' altra l ' immedesimazione e l ' ironia poiché nell ' accordo , se non sempre perfetto quasi sempre però raggiunto , d ' entrambe queste cose a prima vista contrarie , sta , ripeto , il segreto dello stile ariostesco . L ' immedesimazione del poeta col suo mondo consiste in questo , che egli con la fantasia potente vede , digrossato , finito anzi in ogni contorno , preciso , limpido , ordinato e vivo , quel mondo che altri aveva messo insieme grossolanamente e aveva popolato di esseri , che , o per la loro goffaggine o per la loro sciocchezza o per la puerile loro incoerenza , ecc . non potevano in alcun modo esser presi sul serio neppure dai loro stessi autori ; e poi di maghi e di fate e di mostri che , naturalmente , ne accrescevano la irrealità e la inverosimiglianza . Il poeta toglie questi esseri dal loro stato di fantocci o di fantasmi , dà loro consistenza e coerenza , vita e carattere . Obbedisce fin qui alla propria fantasia , istintivamente . Poi subentra la speculazione . C ' è , ho detto , un elemento irriducibile in quel mondo , un elemento cioè che il poeta non riesce a oggettivar seriamente , senza mostrar coscienza della irrealità di esso . Con quel meraviglioso accorgimento , di cui ho fatto parola più su , egli però s ' industria di renderlo coerente con tutto il resto . Ma non sempre in questo giuoco la fantasia lo assiste . E allora egli s ' ajuta con la speculazione : la vita perde il movimento spontaneo , diventa macchina , allegoria . E uno sforzo . Il poeta intende di dare una certa consistenza a quelle costruzioni fantastiche , di cui sente la irrealità irriducibile , per mezzo di una dirò così impalcatura morale . Sforzo vano e malinteso , perché il solo fatto di dar senso allegorico a una rappresentazione dà a veder chiaramente che già si tien questa in conto di favola che non ha alcuna verità né fantastica né effettiva , ed è fatta per la dimostrazione di una verità morale . C ' è da giurare che al poeta non prema affatto la dimostrazione d ' alcuna verità morale , e che quelle allegorie siano nel poema suggerite dalla riflessione , per rimedio . Quello era il mondo ; quelli , gli elementi , ch ' esso offriva . L ' elemento della magia , del meraviglioso cavalleresco non si poteva in alcun modo eliminare senza snaturare al tutto quel mondo . E allora il poeta o cerca di ridurlo a simbolo , o senz ' altro lo accoglie , ma naturalmente con un sentimento ironico . Un poeta può , non credendo alla realtà della propria creazione , rappresentarla come se ci credesse , cioè non mostrare affatto coscienza della irrealità di essa ; può rappresentar come vero un suo mondo affatto fantastico , di sogno , regolato da leggi sue proprie , e , secondo queste leggi , perfettamente logico o coerente . Quando un poeta si mette in codeste condizioni , il critico non deve più vedere se quel che il poeta gli ha posto innanzi è vero o è sogno , ma se come sogno è vero ; poiché il poeta non ha voluto rappresentare una realtà effettiva , ma un sogno che avesse apparenza di realtà , s ' intende di sogno , fantastica , non effettiva . Ora questo non è il caso dell ' Ariosto . In più d ' un punto , come abbiamo già notato , egli mostra apertamente coscienza della irrealità della sua creazione , la mostra anche dove all ' elemento meraviglioso di quel mondo dà valore morale e consistenza logica , non fantastica . Il poeta non vuol creare e rappresentare come vero un sogno ; non è preoccupato soltanto della verità fantastica del suo mondo , è preoccupato anche della realtà effettiva ; non vuole che quel suo mondo sia popolato di larve o di fantocci , ma di uomini vivi e veri , mossi e agitati dalle nostre stesse passioni ; il poeta in somma vede , non le condizioni di quel passato leggendario divenute realtà fantastica nella sua visione , ma le ragioni del presente , trasportate e investite in quel mondo lontano . Ora naturalmente , allorché esse vi trovano elementi capaci di accoglierle , la realtà fantastica si salva ; ma allorché non li trovano , per la irriducibilità stessa di quegli elementi , l ' ironia scoppia , inevitabile , e quella realtà si frange . Quali sono queste ragioni del presente ? Sono le ragioni del buon senso , di cui il poeta è dotato ; sono le ragioni della vita entro i limiti della possibilità naturale : limiti che in parte la leggenda , in gran parte il capriccioso arbitrio di rozzi e volgari cantatori aveva balordamente , goffamente o grottescamente violati ; sono le ragioni del tempo , in fine , in cui il poeta vive . Abbiamo veduto Ferraù e Rinaldo a cavallo insieme , guidati com ' ho detto da un criterio molto positivo e pochissimo cavalleresco ; abbiamo ascoltato il consiglio dell ' abbate a Rinaldo in cerca d ' avventure ; tant ' altri esempii potremmo recare ; ma basterà senz ' altro quello della volata di Ruggiero su l ' ippogrifo . Anche quando il poeta con la magia dello stile riesce a dar consistenza di realtà a quell ' elemento meraviglioso , levandosi poi a un volo troppo alto in questa realtà fantastica , tutt ' a un tratto , quasi temesse d ' averne lui stesso o chi l ' ascolta il capogiro , precipita a posarsi su la realtà effettiva , rompendo così l ' incanto della fantastica . Ruggiero vola sublime su l ' ippogrifo ; ma anche dalla sublimità di quel volo il poeta avvista in terra le ragioni del presente , che gli gridano : Cala ! cala ! Non crediate , Signor , che però stia Per sì lungo cammin sempre su l ’ ale : Ogni sera all ' albergo se ne gìa Schivando a suo poter d ' alloggiar male . E quest ' ippogrifo è vero ? proprio vero ? Lo rappresenta cioè il poeta senza mostrare affatto coscienza dell ' irrealità di esso ? Lo vede la prima volta calar dal castello d ' Atlante sui Pirenei , con in groppa il mago , e dice che – si – il castello , come castello , non era vero , era finto , opera di magia ; ma l ' ippogrifo no , l ' ippogrifo era vero e naturale . Proprio vero ? proprio naturale ? Ma sì , generato da un grifo e da una giumenta . Sono animali che vengono nei monti Rifei . Ah sì ? proprio proprio ? e come va che non se ne vedono mai ? Oh Dio ; ne vengono , ma rari ... Quest ' attenuazione , prettamente ironica , mi fa pensare a quella farsa napoletana , ove un impostore si lagna delle sue sciagure , e tra le altre , di quella del padre , che , prima di morire , penò tanto , ridotto a vivere , poveretto , non so per quanti mesi senza fegato : all ' osservazione , che senza fegato non si può vivere , concede che sì , ne aveva , ma poco , ecco ! Così gl ' ippogrifi ; ne vengono ; ma rari ! Proprio da impostore , il poeta non vuol passare . Ha l ' aria di dirvi : Signori miei , di codeste fole io non posso farne a meno , bisogna pure che c ' entrino , nel mio poema ; e bisogna che io , fin dove posso , mostri di crederci . Ecco qua la gran muraglia che cinge la città d ' Alcina : … Par che la sua altezza a ciel s ' aggiunga E d ' oro sia dall ' alta cima a terra . Ma come ? Una muraglia di tal fatta , tutta d ' oro ? Alcun dal mio parer qui si dilunga E dice ch ' ella è alchimia ; e forse ch ' erra , Ed anco forse meglio di me intende : A me par oro , poiché sì risplende . Come ve lo deve dir meglio il poeta ? Sa come voi che ” non è tutt '.pro, quel che luce ” ; ma a lui oro deve parere , ” poiché si risplende ... ” . Per intonarsi quanto più può con quel mondo , fin da principio s ' è dichiarato matto come il suo eroe . È tutto un giuoco di continui accomodamenti per stabilir l ' accordo tra sé e la materia , tra le condizioni inverosimili di quel passato leggendario e le ragioni del presente . Dice : Chi va lontan dalla sua patria , vede Cose da quel che già credea , lontane ; Che narrandole poi , non se gli crede , E stimato bugiardo ne rimane ; Ché ' l sciocco vulgo non gli vuol dar fede , Se non le vede e tocca chiare e piane . Per questo io so che l ' inesperienza Farà al mio canto dar poca credenza . Poca o molta ch ' io ci abbia non bisogna Ch ' io ponga mente al vulgo sciocco e ignaro . A voi so ben che non parrà menzogna Che ' l lume del discorso avete chiaro . Qui ” aver chiaro il lume del discorso ” significa ” saper leggere sotto il velame dei versi ” . Siamo nel canto d ' Alcina : e il poeta ci suggerisce : “ S ' io dico Alcina , s ' io dico Melissa , s ' io dico Erifilla , s ' io dico l ' iniqua frotta , o Logistilla , Andronica o Fronesia o Dicilla o Sofrosina , voi intendete bene a che cosa io voglia alludere ” . È un altro espediente ( non felice ) per stabilir l ' accordo , ma che pure , come tutti gli altri , scopre l ' ironia del poeta , cioè la coscienza della irrealità della sua creazione . Dove l ' accordo non si può stabilire , questa ironia però non scoppia mai stridula o stonata , appunto perché l ' accordo è sempre nell ' intenzione del poeta , e quest ' intenzione d ' accordo è per sé stessa ironica . L ' ironia è nella visione che il poeta ha , non solo di quel mondo fantastico , ma della vita stessa e degli uomini . Tutto è favola e tutto è vero , poiché è fatale che noi crediamo vere le vane parvenze che spirano dalle nostre illusioni e dalle passioni nostre ; illudersi può esser bello , ma del troppo immaginare si piange poi sempre la frode : e questa frode ci appare comica o tragica secondo il grado della partecipazione nostra ai casi di chi la subisce , secondo l ' interesse o la simpatia che quella passione o quell ' illusione ci suscitano , secondo gli effetti che quella frode produce . Così avviene che noi vediamo il sentimento ironico del poeta mostrarsi anche sotto un altro aspetto nel poema , non più spiccato ed evidente , ma attraverso la rappresentazione stessa , in cui è riuscito a trasfondersi per modo che essa così si senta e così si voglia . Il sentimento ironico , in somma , oggettivato , spira dalla rappresentazione stessa anche là dove il poeta non mostra apertamente coscienza della irrealità di essa . Ecco qua Bradamante in cerca del suo Ruggiero : per salvarlo , ha corso rischio di perire per mano del maganzese Pinabello ; il poeta le fa soffrire insieme coi lettori il supplizio di sentirsi predire e di vedersi mostrare a dito dalla maga Melissa tutti gl ' illustri suoi discendenti ; e poi va , va per monti inaccessibili , sale balze , traversa torrenti , arriva al mare , trova l ' albergo ov ' è Brunello ( e qui non dice se ella vi mangia ) ; riprende la via Di monte in monte e d ' uno in altro bosco , e si riduce fin sui Pirenei ; s ' impadronisce dell ' anello ; lotta con Atlante ; riesce a romper l ' incanto ; scioglie in fumo il castello del mago ; e , sissignori , dopo aver corso tanto , dopo essersi tanto affannata e travagliata , si vede portar via dall ' ippogrifo il suo Ruggiero liberato . Non le resta che ricevere le congratulazioni di coloro ch ' ella non s ' era curata di liberare ! Ma neanche queste , perché : Le donne e i cavalier si trovar fuora Delle superbe stanze alla campagna E furon di lor molte a cui ne dolse ; Che tal franchezza un gran piacer lor tolse . L ' Ariosto non aggiunge altro . Un vero umorista non si sarebbe lasciata sfuggire la stupenda occasione di descrivere gli effetti nelle donne e nei cavalieri dell ' improvviso sciogliersi dell ' incanto , del ritrovarsi alla campagna , e il dolore del perduto bene della schiavitù per una libertà che dal bel sogno li faceva piombare nella realtà nuda e cruda . La descrizione manca affatto . Il poeta si compiace in un ' altra descrizione , invece , come già Atlante si compiaceva di scherzare coi cavalieri che venivano a sfidarlo ; voglio dire nella descrizione comica di tutti quei liberati , che vorrebbero impadronirsi dell ' ippogrifo , il quale li mena per la campagna : Come fa la cornacchia in secca arena Che seco il cane or qua or là si mena . Perché manca quell ' altra descrizione ? Ma perché il poeta si è posto fin da principio , rispetto alla sua materia , in condizioni del tutto opposte a quelle in cui si sarebbe messo un umorista . Egli schiva il contrasto e cerca l ' accordo tra le ragioni del presente e le condizioni favolose di quel mondo passato : lo ottiene sì , ironicamente , perché , com ' ho detto , è per sé stessa ironica quell ' intenzione d ' accordo ; ma l ' effetto è che quelle condizioni non si affermano come realtà nella rappresentazione , si sciolgono , per dirla col De Sanctis , nell ' ironia , la quale , distruggendo il contrasto , non può più drammatizzarsi comicamente , ma resta comica , senza dramma . Si affermano invece le ragioni del presente trasportate e investite negli elementi di quel mondo lontano capaci d ' accogliere , e allora possiamo anche avere il dramma , ma seriamente e finanche tragicamente rappresentato : Ginevra , Olimpia , la pazzia d ' Orlando . I due elementi comico e tragico non si fondono mai . Si fonderanno in un ' opera , nella quale il poeta , ben lungi dal mostrar coscienza della irrealità di quel mondo fantastico ; ben lungi dal cercar con esso l ' accordo , che di necessità non è possibile se non ironicamente , palesata in tanti modi la coscienza di quella irrealità ; ben lungi dal trasportare in quel mondo fantastico le ragioni del presente per investirne gli elementi capaci d ' accoglierle ; darà a questo mondo fantastico del passato consistenza di persona viva , corpo , e lo chiamerà Don Quijote , e gli porrà in mente e gli darà per anima tutte quelle fole e lo porrà in contrasto , in urto continuo e doloroso col presente . Doloroso , perché il poeta sentirà viva e vera entro di sé questa sua creatura e soffrirà con essa dei contrasti e degli urti . A chi cerca contatti e somiglianze tra l ' Ariosto e il Cervantes , basterà semplicemente por bene in chiaro in due parole le condizioni in cui fin da principio il Cervantes ha messo il suo eroe e quelle in cui s ' è messo l ' Ariosto . Don Quijote non finge di credere , come l ' Ariosto , a quel mondo meraviglioso delle leggende cavalleresche : ci crede sul serio ; lo porta , lo ha in sé quel mondo , che è la sua realtà , la sua ragion d ' essere . La realtà che porta e sente in sé l ' Ariosto è ben altra ; e con questa realtà in sé , egli è come sperduto nella leggenda . Don Quijote , invece , che ha in sé la leggenda , è come sperduto nella realtà . Tanto è vero che , per non vaneggiar del tutto , per ritrovarsi in qualche modo , così sperduti come sono , l ' uno si mette a cercar la realtà nella leggenda ; l ' altro , la leggenda nella realtà . Come si vede , son due condizioni al tutto opposte . Sì : vi dice Don Quijote , i molini a vento son molini a vento , ma sono anche giganti : non io , Don Quijote , ho scambiato per giganti i molini a vento ; ma il mago Freston ha cangiato in molini a vento i giganti . Ecco la leggenda nella realtà evidente . Sì : vi dice l ' Ariosto , Ruggiero vola su l ' ippogrifo : il mago Freston , cioè la stramba immaginazione dei miei antecessori , ha cacciato dentro a questo mondo anche bestie siffatte , e bisogna ch ' io ci faccia volar su il mio Ruggiero : però vi dico che ogni sera egli se ne va all ' albergo e schiva a suo potere d ' alloggiar male . Ecco nella leggenda evidente la realtà . Ma intanto , altro è fingere di credere , altro è credere sul serio . Quella finzione , per sé stessa ironica , può condurre a un accordo con la leggenda , la quale , o si scioglie facilmente nell ' ironia , come abbiamo veduto , o con un procedimento inverso a quello fantastico , cioè con una impalcatura logica , si lascia ridurre a parvenza di realtà . La realtà vera , invece , se per un momento si lascia alterare in forme inverosimili dalla contemplazione fantastica d ' un maniaco , resiste e rompe il naso , se questo maniaco non si contenta più di contemplarla a suo modo da lontano , ma viene a darvi di cozzo . Altro è abbattersi a un castello finto , che si lascia a un tratto sciogliere in fumo , altro a un molino a vento vero , che non si lascia atterrare come un gigante immaginario . Mire vuestra merced , grida Sancho al suo padrone , que aquellos que allí se parecen , no son gigantes , sino molinos de viento , y lo que en ellos parecen brazos son las aspas , que volteadas del viento hacen andar la piedra del molino . Ma Don Quijote volge uno sguardo compassionevole al suo panciuto scudiero , e grida ai molini : - Pues aunque moveis mas bragos que los del gigante Briareo , me lo habeis de pagar . La paga lui , ohimè . E noi ridiamo . Ma il riso che qua scoppia per quest ' urto con la realtà è ben diverso di quello che nasce là per l ' accordo che il poeta cerca con quel mondo fantastico per mezzo dell ' ironia , che nega appunto la realtà di quel mondo . L ' uno è il riso dell ' ironia , l ' altro il riso dell ' umorismo . Allorché Orlando urta anche lui contro la realtà e smarrisce del tutto il senno , getta via le armi , si smaschera , si spoglia d ' ogni apparato leggendario , e precipita , uomo nudo , nella realtà . Scoppia la tragedia . Nessuno può ridere del suo aspetto e de ' suoi atti ; quanto vi può esser di comico in essi è superato dal tragico del suo furore . Don Quijote è matto anche lui ; ma è un matto che non si spoglia ; è un matto anzi che si veste , si maschera di quell ' apparato leggendario e , così mascherato , muove con la massima serietà verso le sue ridicole avventure . Quella nudità e questa mascheratura sono i segni più manifesti della loro follia . Quella , nella sua tragicità , ha del comico ; questa ha del tragico nella sua comicità . Noi però non ridiamo dei furori di quel nudo ; ridiamo delle prodezze di questo mascherato , ma pur sentiamo che quanto vi è di tragico in lui non è del tutto annientato dal comico della sua mascheratura , così come il comico di quella nudità è annientato dal tragico della furibonda passione . Sentiamo in somma che qui il comico è anche superato , non però dal tragico , ma attraverso il comico stesso ( applico qui la formula del Lipps che definisce appunto l ' umorismo : ” Erhabenheit in der Komik und durch dieselbe ” , vedi op . cit . , pag . 243 . Ma come si spiega questo superamento del comico attraverso il comico stesso ? La spiegazione che dà il Lipps non mi sembra accettabile per quelle stesse ragioni che infirmano tutta la sua teoria estetica . Vedi su questa la critica del Croce nella seconda parte della sua Estetica , pag . 434 ) . Noi commiseriamo ridendo , o ridiamo commiserando . Come è riuscito il poeta a ottenere questo effetto ? Per conto mio , non so proprio capacitarmi che l ' ingegnoso gentiluomo Don Quijote sia nato en un lugar de la Mancha , e non piuttosto in Alcalá de Henares nell ' anno 1547 . Non so capacitarmi che la famosa battaglia di Lepanto , che doveva , come tante magnanime imprese della cavalleria , strepitosamente apparecchiate , cader nel vuoto , così che l ' arguto Gran Visir di Selim poté dire ai cristiani : “ Noi vi abbiamo tagliato un braccio prendendovi l ' isola di Cipro ; ma voi che ci avete fatto , distruggendoci tante navi subito ricostruite ? La barba , che ci è rinata il giorno dopo ! ” non so capacitarmi , dicevo , che la famosa battaglia di Lepanto , di cui i confederati cristiani non seppero trarre alcun profitto , non sia qualcosa come la espantable y jamds imaginada aventura de los molinos de viento . Questa è dice Don Quijote al suo fido scudiero questa è , Sancho , buona guerra , e gran servizio a Dio toglier tanto mal seme dalla faccia della terra ! Non vedeva dunque il turbante turco Don Quijote in capo a quei giganti , che al buon Sancho parevano molini a vento ? Forse erano , per la Spagna . L ' isola di Cipro poteva premere ai signori veneziani , una guerra contro i Turchi poteva premere a Pio V , fiero papa domenicano , nelle cui vecchie vene fremeva ancor caldo il sangue della giovinezza . Ma a que ' bei dì di primavera , quando il Torres giunse in Ispagna , inviato dal Papa a patrocinar la causa de ' Veneziani , Filippo II moveva verso i festeggiamenti sontuosi di Cordova e di Siviglia : molini a vento , le navi del Gran Visir ! Non per Don Quijote , però : dico per il Don Quijote , non della Mancha , ma di Alcali . Eran giganti veri per lui , e con che cuore di gigante mosse incontro a loro . Gli avvenne male , ahimè ! Ma all ' evidenza , come ad alcun nemico , come alla sorte ingrata , egli non volle arrendersi mai ! E disse allora che le cose della guerra van soggette più delle altre a continui mutamenti : pensò , e gli parve la verità , che il tristo incantatore suo nemico , il mago Freston , colui che gli aveva tolto i libri e la casa , aveva cangiato i giganti in molini per togliergli anche il vanto della vittoria . Questo soltanto ? Anche una mano gli tolse , il tristo mago . Una mano , e poi la libertà . Molti han voluto cercar la ragione per cui Miguel Cervantes de Saavedra , prode soldato , reduce di Lepanto e di Terceira , piuttosto che cantare epicamente , come alla sua natura eroica sarebbe meglio convenuto , le gesta del Cid o i trionfi di Carlo V , o la stessa giornata di Lepanto o la spedizione delle Azzorre , poté concepire un tipo come il Cavaliere dalla Trista Figura e comporre un libro come il Don Quote . E si è voluto finanche supporre che il Cervantes creasse il suo eroe per la stessa ragione per cui più tardi il nostro buon Tassoni il suo Conte di Culagna . Qualcuno , è vero , si è spinto fino a dire che la vera ragione del lavoro sta nel contrasto , costante in noi , fra le tendenze poetiche e quelle prosaiche della nostra natura , fra le illusioni della generosità e dell ' eroismo e le dure esperienze della realtà . Ma questa che , se mai , vorrebbe estere una spiegazione astratta del libro , non ci dà la ragione per cui fu composto . Scartate come inammissibili le vedute del Sismondi e del Bouterwek , tutti , o più o meno , si sono attenuti a ciò che lo stesso Cervantes dichiara nel prologo della prima parte del suo capolavoro e nella chiusa del secondo volume : che il libro cioè non ha altro fine che quello d ' arrestare e di distruggere l ' importanza che hanno nel mondo e presso il volgo i libri di cavalleria , e che il desiderio dell ' autore altro non è stato che quello di abbandonare all ' esecrazione degli uomini le false stravaganti storie della cavalleria , le quali , colpite a morte da quella del suo vero Don Quijote , non camminano più se non traballando e hanno indubbiamente a cadere del tutto . Ora noi ci guarderemo bene dal contradire allo stesso autore ; tanto più che è noto a tutti qual potere avessero a quei dì in Ispagna i libri di cavalleria e come il gusto per siffatta letteratura avesse assunto il grado della follia . Ci avvarremo anzi anche noi di queste parole e ci serviremo dell ' autore stesso e della stessa storia della sua vita per dimostrare la vera ragione del libro e quella , più profonda , dell ' umorismo di esso . Come nasce al Cervantes l ' idea di coglier vivo e vero nel suo paese e nel tempo suo , anziché lontano , in Francia , al tempo di Carlomagno , l ' eroe da celebrare con quell ' intento espresso nelle parole del prologo ? Quando e dove gli nasce quest ' idea e perché ? Non è senza ragione il favore straordinario per la letteratura epica e cavalleresca in quel tempo : è l ' incubo del secolo del poeta la lotta fra Cristianità e Islamismo . E il poeta , fin dall ' infanzia anche lui sotto il fascino dello spirito cavalleresco , povero , ma altero discendente d ' una nobile famiglia da più secoli devota alla monarchia e alle armi , fu per tutta la vita uno strenuo difensore della sua fede . Non aveva dunque bisogno d ' andarlo a cercar lontano , nella leggenda , l ' eroe , cavaliere della fede e della giustizia : lo aveva presente in sé . E quest ' eroe combatte a Lepanto ; quest ' eroe tien testa per cinque anni , schiavo in Algeri , ad Hassan , il feroce re berbero ; quest ' eroe combatte in tre altre campagne per il suo re contro a Francesi e Inglesi . Come mai , tutt ' a un tratto , gli si mutano in molini a vento queste campagne , e l ' elmo che ha in testa in un vil piatto da barbiere ? Ha avuto molta fortuna una considerazione del Sainte - Beuve , che cioè nei capolavori del genio umano viva nascosta una plusvalenza futura , la quale si svolge di per sé sola , indipendentemente dagli autori medesimi , come dal germe si svolgono il fiore ed il frutto senza che il giardiniere abbia fatto altro se non avere zappato bene , rastrellato , innaffiato il terreno , e dato ad esso tutte quelle cure e conferito quegli elementi che meglio valessero a fecondarlo . Di questa considerazione avrebbero potuto farsi forti tutti coloro che nel medio evo scoprivano non so che allegorie nei poeti greci e latini . Era anche questo un modo di sciogliere in rapporti logici le creazioni della fantasia . Certo , quando un poeta riesce veramente a dar vita a una sua creatura , questa vive indipendentemente dal suo autore , tanto che noi possiamo immaginarla in altre situazioni in cui l ' autore non pensò di collocarla , e vederla agire secondo le intime leggi della sua propria vita , leggi che neanche l ' autore avrebbe potuto violare ; certo , questa creatura , in cui il poeta riuscì a raccogliere istintivamente , ad assommare e a far vivere tanti particolari caratteristici e tanti elementi sparsi qua e là , può divenir poi quel che suoi dirsi un tipo , ciò che non era nell ' intenzione dell ' autore nell ' atto della creazione . Ma si può dir questo veramente del Don Quote del Cervantes ? Si può dire e sostenere sul serio che l ' intenzione del poeta nel comporre il suo libro era solamente quella di toglier con l ' arma del ridicolo ogni autorità e prestigio che avevan nel mondo e presso il volgo i libri di cavalleria , a fine di distruggerne i mali effetti , e che il poeta non si sognò mai di porre in quel suo capolavoro tutto quello che ci vediamo noi ? Chi è Don Quijote , e perché è ritenuto pazzo ? Egli in fondo non ha e tutti lo riconoscono che una sola e santa aspirazione : la giustizia . Vuol proteggere i deboli e atterrare i prepotenti , recar rimedio agli oltraggi della sorte , far vendetta delle violenze della malvagità . Quanto più bella e più nobile sarebbe la vita , più giusto il mondo , se i propositi dell ' ingegnoso gentiluomo potessero sortire il loro effetto ! Don Quijote è mite , di squisiti sentimenti , prodigo e non curante di sé , tutto per gli altri . E come parla bene ! Quanta franchezza e quanta generosità in tutto ciò che dice ! Egli considera il sacrificio come un dovere , e tutti i suoi atti , almeno nelle intenzioni , son meritevoli d ' encomio e di gratitudine . E allora la satira dov ' è ? Noi tutti amiamo questo virtuoso cavaliere ; e le sue disgrazie se da un canto ci fanno ridere , dall ' altro ci commuovono profondamente . Se il Cervantes voleva far dunque strazio dei libri di cavalleria , per i mali effetti che essi producevano negli animi de ' suoi contemporanei , l ' esempio ch ' egli reca con Don Quijote non è calzante . L ' effetto che quei libri producono in Don Quijote non è disastroso se non per lui , per il povero Hidalgo . Ed è così disastroso , solo perché l ' idealità cavalleresca non poteva più accordarsi con la realtà dei nuovi tempi . Orbene , questo appunto , a sue spese , aveva imparato don Miguel Cervantes de Saavedra . Com ' era stato egli rimeritato del suo eroismo , delle due archibugiate e della perdita della mano nella battaglia di Lepanto , della schiavitù sofferta per cinque anni in Algeri , del valore dimostrato nell ' assalto di Terceira , della nobiltà dell ' animo , della grandezza dell ' ingegno , della modestia paziente ? che sorte avevano avuto i sogni generosi , che lo avevan tratto a combattere sui campi di battaglia e a scrivere pane immortali ? che sorte le illusioni luminose ? S ' era armato cavaliere come il suo Don Quijote , aveva combattuto , affrontando nemici e rischi d ' ogni sorta per cause giuste e sante , s ' era nutrito sempre delle più alte e nobili idealità , e qual compenso ne aveva avuto ? Dopo aver miseramente stentato la vita in impieghi indegni di lui ; prima scomunicato , da commissario di proviande militari in Andalusia ; poi , da esattore , truffato , non va forse a finire in prigione ? E dov ' è questa prigione ? Ma lì , proprio lì nella Mancha ! In un ' oscura e rovinosa carcere della Mancha , nasce il Don Quijote . Ma era già nato prima il vero Don Quijote : era nato in Alcalá de Henares nel 1547 . Non s ' era ancora riconosciuto , non s ' era veduto ancor bene : aveva creduto di combattere contro i giganti e di avere in capo l ' elmo di Mambrino . Lì , nell ' oscura carcere della Mancha , egli si riconosce , egli si vede finalmente ; si accorge che i giganti eran molini a vento e l ' elmo di Mambrino un vil piatto da barbiere . Si vede , e ride di sé stesso . Ridono tutti i suoi dolori . Ah , folle ! folle ! folle ! Via , al rogo , tutti i libri di cavalleria ! Altro che plusvalenza futura ! Leggete nello stesso prologo alla prima parte ciò che il Cervantes dice all ' ozioso lettore : “ Io non ho potuto contravvenire all ' ordine naturale che vuole che ogni cosa generi ciò che le somiglia . E così , che cosa poteva mai generare lo sterile e mal coltivato ingegno mio , se non la storia d ' un figlio rinsecchito , ingiallito e capriccioso , pieno di pensieri varii non mai finora da alcun altro immaginati ; generato com ' ei fu in una carcere , dove ogni angustia siede ed ha stanza ogni tristo umore ? ” Ma come si spiegherebbe altrimenti la profonda amarezza che è come l ' ombra seguace d ' ogni passo , d ' ogni atto ridicolo , d ' ogni folle impresa di quel povero gentiluomo della Mancha ? E il sentimento di pena che ispira l ' immagine stessa nell ' autore , quando , materiata com ' è del dolore di lui , si vuole ridicola . E si vuole così , perché la riflessione , frutto d ' amarissima esperienza , ha suggerito all ' autore il sentimento del contrario , per cui riconosce il suo torto e vuol punirsi con la derisione che gli altri faranno di lui . Perché Cervantes non cantò il Cid Campeador ? Ma chi sa se nell ' oscura e rovinosa carcere l ' immagine di quest ' eroe non gli s ' affacciò veramente , a destargli un ' angosciosa invidia ! Tra Don Quijote , che nel suo tempo volle vivere come , non già nel loro , ma fuori del tempo e fuori del mondo , nella leggenda o nel sogno dei poeti avevano vissuto i cavalieri erranti , e il Cid Campeador che , ajutando il tempo , poté facilmente far leggenda della sua storia , non avvenne in quella carcere , alla presenza del poeta , un dialogo ? Presso le altre genti il romanzo cavalleresco aveva creato a sé stesso personaggi fittizii , o meglio , il romanzo cavalleresco era sorto dalla leggenda che si era formata intorno ai cavalieri . Ora la leggenda che fa ? Accresce , trasforma , idealizza , astrae dalla realtà comune , dalla materialità della vita , da tutte quelle vicende ordinarie , che creano appunto le maggiori difficoltà nell ' esistenza . Perché un personaggio non più fittizio , ma un uomo che prenda a modello le smisurate immagini ideali messe su dall ' immaginazione collettiva o dalla fantasia d ' un poeta , riesca a riempir di sé queste grandiose maschere leggendarie , ci vuole non solo una grandezza d ' animo straordinaria , ma anche il tempo che ajuti . Questo avvenne al Cid Campeador . Ma Don Quijote ? Coraggio a tutta prova , animo nobilissimo , fiamma di fede ; ma quel coraggio non gli frutta che volgari bastonate ; quella nobiltà d ' animo è una follia ; quella fiamma di fede è un misero stoppaccio ch ' egli si ostina a tenere acceso , povero pallone mal fatto e rappezzato , che non riesce a pigliar vento , che sogna di lanciarsi a combattere con le nuvole , nelle quali vede giganti e mostri , e va intanto terra terra , incespicando in tutti gli sterpi e gli stecchi e gli spuntoni , che ne fanno strazio , miseramente . VI . UMORISTI ITALIANI Non è mia intenzione tracciare , neppure per sommi capi , pi , la storia dell ' umorismo presso le genti latine e segnatamente in Italia . Ho voluto soltanto , in questa prima parte del mio lavoro , oppormi a quanti han voluto sostenere che esso sia un fenomeno esclusivamente moderno e quasi una prerogativa delle genti anglo - germaniche , in base a certi preconcetti , a certe divisioni e considerazioni , arbitrarie le une , sommarie le altre , come mi sembra di aver dimostrato . La discussione intorno a queste divisioni arbitrarie e considerazioni sommarie , se forse mi ha fatto ritardare alquanto il cammino , che mi ero proposto più spedito , trattenendomi a osservar da presso certi particolari aspetti , certe particolari condizioni nella storia della nostra letteratura ; tuttavia non mi ha disviato mai dall ' argomento principale , che del resto vuol essere trattato con sottile penetrazione e minuta analisi . Vi ho girato attorno , ma per circuirlo sempre più e penetrarlo meglio da ogni parte . A qualcuno che forse avrà creduto di trovare una contradizione tra il mio assunto e gli esempii finora recati di scrittori italiani , nei quali non ho riconosciuto la nota del vero umorismo , ricorderò che io ho parlato in principio di due maniere d ' intenderlo , e ho detto che il vero nodo della questione è appunto qui : cioè , se l ' umorismo debba essere inteso nel senso largo con cui comunemente si suole intendere , e non in Italia soltanto ; o in un senso più stretto e particolare , con peculiari caratteri ben definiti , che è per me il giusto modo d ' intenderlo . Inteso in quel senso largo ho detto se ne può trovare in gran copia nella letteratura così antica come moderna d ' ogni paese ; inteso in questo senso stretto e per me proprio , se ne troverà parimenti , ma in molto minor copia , anzi in pochissime espressioni eccezionali , così presso gli antichi come presso i moderni d ' ogni paese , non essendo prerogativa di questa o di quella razza , di questo o di quel tempo , ma frutto di una specialissima disposizione naturale , d ' un intimo processo psicologico che può avvenire tanto in un savio dell ' antica Grecia , come Socrate , quanto in un poeta dell ' Italia moderna , come Alessandro Manzoni . Non è lecito però assumere a capriccio questo o quel modo d ' intendere e applicar l ' uno a una letteratura , per concludere che essa non ha umorismo , e applicar l ' altro a un ' altra per dimostrare che l ' umorismo vi sta di casa . Non è lecito sentir soltanto negli stranieri , a causa della lingua diversa , quel particolar sapore , che per la familiarità dello stesso strumento espressivo non si avverte più nei nostri , ma nei quali intanto gli stranieri a lor volta lo avvertono . Così facendo , noi saremo i soli a non riconoscer traccia d ' umorismo nella nostra letteratura , mentre vedremo gl ' Inglesi , ad esempio , porre a capo della loro un umorista , il Chaucer , il quale , se mai , può esser considerato per tale , ove si assuma l ' umorismo nel senso più largo , in quel senso cioè per cui può esser considerato quale umorista anche il Boccaccio e tanti altri scrittori nostri con lui . Nessuna contradizione , dunque , da parte nostra . La contradizione invece è in coloro che , dopo aver affermato che l ' umorismo è un fenomeno nordico e una prerogativa delle genti anglo - germaniche , quando poi vogliono recare due esempii mirabili del più schietto e compiuto umorismo , citano Rabelais e Cervantes , un francese e uno spagnuolo ; oppure il Rabelais e il Montaigne ; e citando il Rabelais non hanno occhi per vedere in casa loro il Pulci , il Folengo , il Berni ; e , citando il Montaigne , che è il tipo dello scettico sereno , non avido di lotte , sorridente , senza impeti , senza ideali da difendere , senza virtù da seguire , lo scettico che tollera tutto senza aver fede in nulla , che non ha né entusiasmi né aspirazioni , che si serve del dubbio per giustificare l ' inerzia con la tolleranza , che dimostra una percezione della vita serena , ma sterile , indice di egoismo e di decadenza di razza , giacché il libero esame che non spinge all ' azione può meglio che salvare dalla schiavitù , accettare , o rendersi complice del dispotismo , non s ' accorgono , dico , che le ragioni per cui han negato a tanti scrittori italiani non solo la nota umoristica , ma anche la possibilità d ' averla , sono appunto queste che dicono d ' aver prodotto l ' umorismo del Montaigne . Un peso , come si vede , e due misure . Noi vedremo che , in realtà , l ' avere una fede profonda , un ideale innanzi a sé , l ' aspirare a qualche cosa e il lottare per raggiungerla , lungi dall ' essere condizioni necessarie all ' umorismo , sono anzi opposte ; e che tuttavia può benissimo essere umorista anche chi abbia una fede , un ideale innanzi a sé , un ' aspirazione , e lotti a suo modo per raggiungerla . Un ideale qualsiasi , in somma , per sé stesso , non dispone affatto all ' umorismo , anzi ostacola questa disposizione . Ma l ' ideale può ben esserci ; e se c ' è , l ' umorismo , che deriva da altre cause , certamente prenderà qualità da esso , come del resto da tutti gli altri elementi costitutivi dello spirito di questo o di quell ' umorista . In altre parole : l ' umorismo non ha affatto bisogno d ' un fondo etico , può averlo o non averlo : questo dipende dalla personalità , dall ' indole dello scrittore ; ma , naturalmente , dall ' esserci o dal non esserci , l ' umorismo prende qualità e muta d ' effetto , riesce cioè più o meno amaro , più o meno aspro , pende più o meno o verso il tragico o verso il comico , o verso la satira , o verso la burla , ecc . Chi crede che sia tutto un giuoco di contrasto tra l ' ideale del poeta e la realtà , e dice che si ha l ' invettiva , l ' ironia , la satira , se l ' ideale del poeta resta offeso acerbamente e sdegnato dalla realtà ; la commedia , la farsa , la beffa , la caricatura , il grottesco , se poco se ne sdegna e delle apparenze della realtà in contrasto con sé è piuttosto indotto a ridere più o meno fortemente ; e che infine si ha l ' umorismo , se l ' ideale del poeta non resta offeso e non si sdegna , ma transige bonariamente , con indulgenza un po ' dolente , mostra d ' avere dell ' umorismo una veduta troppo unilaterale e anche un po ' superficiale . Certo molto dipende dalla disposizione d ' animo del poeta ; certo l ' ideale di questo in contrasto con la realtà può o sdegnarsi o ridere o transigere ; ma un ideale che transige non dimostra in verità d ' esser molto sicuro di sé e profondamente radicato . E consisterà l ' umorismo in questa limitazione dell ' ideale ? No . La limitazione dell ' ideale sarà , se mai , non causa , ma conseguenza di quel particolar processo psicologico che si chiama umorismo . Lasciamo star dunque una buona volta gl ' ideali , la fede , le aspirazioni e via dicendo : lo scetticismo , la tolleranza , il carattere realistico , che le nostre lettere assunsero fin quasi dal loro inizio , furon bene disposizioni e condizioni favorevoli all ' umorismo ; l ' ostacolo maggiore fu la retorica imperante , che impose leggi e norme astratte di composizione , una letteratura di testa , quasi meccanicamente costruita , in cui gli elementi soggettivi dello spirito eran soffocati . Infranto il giogo , abbiamo detto , di questa poetica intellettualistica dalla ribellione appunto degli elementi soggettivi dello spirito , che caratterizza il movimento romantico , l ' umorismo si affermò liberamente , massime in Lombardia che del romanticismo italiano fu il campo . Ma questo così detto romanticismo fu l ' ultima e clamorosa levata di scudi della volontà e del sentimento ribelli all ' intelletto ; in tanti altri periodi , in tanti altri momenti della storia letteraria d ' ogni nazione avvennero di tali ribellioni , e ci furon sempre solitarie anime ribelli , e ci fu sempre il popolo che si espresse nei varii dialetti senza imparare a scuola regole e leggi . Fra questi scrittori solitarii ribelli alla retorica , fra i dialettali bisogna cercar gli umoristi e , in senso largo , ne troveremo in gran copia , fin dagli inizii della nostra letteratura , segnatamente in Toscana ; nel senso vero e proprio pochi ne troveremo , ma non se ne trovano di più certo nelle letterature degli altri paesi , né questi pochi nostri son da meno dei pochi stranieri , che a confusione nostra ci son messi innanzi di continuo , e son sempre quelli , se ben s ' avverte , da contarli su le dita d ' una mano . Solo che il valore e il sapor dei nostri , noi non lo abbiamo saputo mai né metter bene in rilievo , e pregiare , né avvertire e distinguere a dovere , perché alle loro singole e specialissime individualità la critica , guidata nella maggior parte delle nostre storie letterarie da pregiudizii che non hanno nulla che vedere con l ' estetica o , comunque , da criterii generali , non ha saputo a volta a volta adattarsi e piegarsi , e ha giudicato come errori , eccessi o difetti quelli che eran caratteri peculiari . Dico questo soltanto : chi sa che giudizio troveremmo nelle nostre storie letterarie d ' un libro come la Vita e opinioni di Tristram ShandY , se scritto in italiano , da uno scrittore italiano , chi sa che capolavoro d ' umorismo sarebbero , ad esempio , la Circe o I capricci di Giusto Bottajo , se scritti in inglese , da uno scrittore inglese , o magari la stessa Vita di Cicerone di Gian Carlo Passeroni ! Discorrevo , qualche anno fa , appunto di questo , con un cultissimo signore inglese , conoscitore profondo della letteratura italiana . Neanche nel Machiavelli ? mi domandava egli con meraviglia quasi incredula . I vostri critici non riconoscono umorismo neanche nel Machiavelli ? neanche nella novella di Belfagor ? Ed io pensavo alla grandezza nuda di questo Sommo nostro , che non andò mai a vestirsi nel guardaroba della retorica ; che come pochi comprese la forza delle cose ; a cui la logica venne sempre dai fatti ; . che contro ogni sintesi confusa reagì con l ' analisi più arguta e più sottile ; che ogni macchina ideale smontò coi due strumenti dell ' esperienza e del discorso ; che ogni esagerazione di forma distrusse col riso ; pensavo che nessuno ebbe maggiore intimità di stile di lui e più acuto spirito d ' osservazione ; che poche anime furono come la sua disposte all ' apprensione dei contrasti , a ricevere più profondamente l ' impressione delle incongruenze della vita ; pensavo che , parendo a molti un carattere dell ' umorismo quella certa cura delle minuzie e una - come dice il D ' Ancona “ a giudicarla astrattamente e a prima vista , trivialità e volgarità ” , anch ' egli , il Machiavelli , alla moltitudine talvolta si mescolò fino alla volgarità , tanto che scrisse : “ Così involto tra questi pidocchi , traggo il cervello di muffa , e sfogo questa malignità di questa mia sorte , sendo contento mi calpesti per questa via per vedere se la se ne vergognassi ” ; ma anche : Però se alcuna volta io rido o canto Facciol perché non ho se non quest ' una Via da sfogare il mi ' angoscioso pianto ; pensavo anche a un ' acuta osservazione del De Sanctis , che cioè : “ il Machiavelli adopera la tolleranza che comprende e assolve : non già la tolleranza indifferente dello scettico , dell ' ebete , dello sciocco ; ma la tolleranza dello scienziato , che non sente odio contro la materia ch ' egli analizza e studia , e la tratta coll ' ironia dell ' uomo superiore alle passioni e dice : ti tollero , non perché ti approvi , ma perché ti comprendo ” pensavo a tutti questi elementi che , a farlo apposta , se li mettiamo in fila , son proprio quelli che gl ' intenditori delle letterature straniere riconoscono proprii dei veri e più celebrati umoristi ( s ' intende , inglesi o tedeschi ) , e Dio me lo perdoni non sapevo più se piangere o ridere di tutte le meraviglie che questi intenditori han sempre detto ... che so ? delle Lettere d ' un drappiere e degli altri scritti politici del decano Gionata Swift ! A questi intenditori , che delle letterature straniere ci pongono innanzi i soliti cinque o sei scrittori umoristi , basta dare della letteratura nostra un giudizio così fatto : “ L ' opera d ' arte è scherzo geniale di fantasia , è riso fugace d ' impressione destato dalle immagini , non dalle cose , gajezza accademica di ricordi , erudita ilarità ; manca il sentimento profondo della famiglia ( e ne aveva tanto lo Swift , difatti ! ) , della natura , della patria ; o meglio manca in quella forma gaja e ne assume un ' altra , acre e violenta ( e che miele , difatti , nello Swift ! ) , che ricorda Persio e Giovenale . Non fo nomi ; basti accennare che le tradizioni classiche , lo spirito d ' imitazione , la lingua ristretta nel vocabolario , schiva del popolo , impedirono nell ' arte la libertà di atteggiamenti , di forma , di stile indispensabile all ' humour : come altri ostacoli , il Papato , la dominazione straniera , le discordie intestine , la boria regionale e le accademie e le scuole impedirono la libertà politica , religiosa , scientifica . Ne affligge antico male ; in scienza pedanti , in arte retori , nella vita attori , solenni sempre o gravi , insofferenti di analisi , corrivi alle grandi idee , sdegnosi delle modeste e lente esperienze , cercatori di tesi e di antitesi , vaporosi o empirici , atei o mistici , manierati o barbari . La nostra coltura é a strati , e non sempre nazionale ; lo straniero persiste dentro a noi ; le forme letterarie hanno tipi fissi ; una generazione fa il testo , altre parecchie fanno le note ; così si pensa e sente per riflesso , per reminiscenza o per fantasia ; così ne sfugge il senso reale della vita , si ottunde quella libertà di percezione e di attitudini che crea l ' umorismo ; e si riproduce il circolo vizioso ; gli scrittori umoristi non sorgono perché mancano le condizioni adatte , e queste non mutano perché mancano gli scrittori . Il difetto é alla radice ; poco sviluppato lo spirito di curiosità ; fioca la nota intima . L ' humour vuole l ' uno e l ' altra ; vuole il pensatore e l ' artista ; ma l ' arte e la scienza presso noi son divise tra loro e divise dalla vita ” ( vedi Arcoleo , op . cit . , pag . 94-95 ) . Ho citato il Machiavelli . Citerò , a questo proposito , un altro piccolo nostro che non ebbe quella “ libertà di atteggiamenti , di forma , di stile indispensabile all ' humour ” , a cui “ il Papato ... le accademie e le scuole impedirono la libertà politica , religiosa e scientifica ” , un insofferente d ' analisi , pedante in iscienza e retore in arte , uno che ebbe poco sviluppato lo spirito di curiosità , ecc . : Giordano Bruno , se permettete , academico di nulla academia , autore , tra l ' altro , dello Spaccio de la Bestia trionfante , della Cabala del Cavallo Pegaseo , dell ' Asino Cillenico e del Candelajo ; colui che ebbe per motto , come tutti sanno : In tristitia hilaris , in hilaritate tristis , che pare il motto dello stesso umorismo . E la candela di quel suo candelajo “ potrà chiarir alquanto certe ombre dell ' idee , le quali invero spaventano le bestie ” , dice egli stesso ; e dice anche : “ Considerate chi va , chi viene , che si fa , che si dice , come s ' intende , come si può intendere ; ché certo , contemplando quest ' azioni e discorsi umani col senso d ' Eraclito , o di Democrito , avrete occasion di molto o ridere o piangere ” . Per conto suo , l ' autore le ha contemplate col senso di Erarlito e di Democrito a un tempo . “ Qua Giordano parla per volgare , nomina liberamente , dona il proprio nome a chi la natura dona il proprio essere ; non dice vergognoso quel che fa degno la natura ; non copre quel ch ' ella mostra aperto , chiama il pane pane , il vino vino , il piede piede , et altre parti di proprio nome ; dice il mangiare mangiare , il dormire dormire , il bere bere , e così gli altri atti naturali significa con proprio titolo ” . Questo , nella Epistola esplicatoria che precede lo Spaccio de la Bestia trionfante . Apriamo un po ' questo Spaccio e sentiamo che cosa Mercurio dice di Giove . Ecco qua : “ Ha ordinato che oggi a mezzogiorno doi meloni tra gli altri , nel melonajo di Fronzino , sieno perfettamente maturi : ma che non sieno colti se non tre giorni a presso , quando non saran giudicati buoni a mangiare . Vuole che al medesimo tempo de la iviuma che sta a le radici del monte di Cicala , in casa di Gioan Bruno , trenta iviomi sieno perfetti colti , e diecesette cadano scalmati in terra , quindici siano rosi da ' vermi ; che Nasta , moglie d ' Albenzio , mentre si vuole increspar li capegli de le tempie , vegna , per aver troppo scaldato il ferro , a bruciarsene cinquantasette , ma che non si scotte la testa , e per questa volta non biastemi quando sentirà il puzzo , ma con pazienza la passe ; che dal sterco del suo bove nascano dugento cinquanta doi scarafoni , de ' quali quattordici sieno calpestati e uccisi per il pie ' di Albenzio , vinti sei muojano di rinversato , vinti doi vivano in caverna , ottanta vadano in peregrinaggio per il cortile , quaranta doi si retirino a vivere sotto quel ceppo vicino a la porta , sedici vadano isvoltando le pallotte per dove meglio li vien comodo , il resto corra a la fortuna ... Che Ambrogio ne la centesima e duodecima spinta abbia spaccio et ispedito il negozio con la mogliera , e che non la ingravide per questa volta , ma ne l ' altra volta , con quel seme in cui si convertisce quel porro cotto che mangia al presente con sapa e pane miglio ” . E questo per dimostrare a Sofia che s ' inganna se pensa che ai celesti non sieno a cura così le cose minime , come le più grandi . Come si chiama questo ? Dice di sé Giordano nell ' Antiprologo del Candelajo : “ L ' autore , se voi lo conoscete , direste ch ' have una fisionomia smarrita ; par che sempre sia in contemplazione de le pene de l ' inferno ; par sia stato a la pressa , come le barrette ; un che ride , sol per far come fan gli altri . Per il più lo vedrete fastidito , restio e bizzarro : non si contenta di nulla , ritroso come un vecchio d ' ottant ' anni , fantastico come un cane ” . E Dedalo si chiama ” circa gli abiti dell ' intelletto ” nella proemiale epistola al De l ' infinito Universo et Mondi , e come Momo , dio del riso , s ' introduce nello Spaccio . “ Lo stile del Bruno , osserva nel suo studio mirabile su Tre commedie italiane nel Cinquecento il Graf ( vedi in Studii drammatici , Torino , Loescher , 1878; le tre commedie sono La Calandria , La Mandragola , Il Candelajo ) lo stile del Bruno è l ' immagine viva della mente onde muove . Ad un ' amplissima varietà di forme , di figurazioni e di processi , s ' accoppia in esso un ' efficacia impareggiabile . Pien di vitale fervore esso non si adagia ne ' simmetrici spartimenti retorici , ma si devolve per effluente , organica funzione . Di natura proteiforme , con pari agevolezza s ' adegua al più arduo pensiero della mente disquisitiva , e al più volgar sentimento di un ' anima abjetta . Le parole vi si affrontano in riscontri impensati , e dal cozzar loro erompe sfavillando nuova luce d ' idee . Esso è un vivo fermento di peregrini concetti , d ' immagini epifaniche , di clausole feconde . La lingua copiosa , proporzionata alla varietà e al numero delle cose che per essa si debbono significare , non conosce , o disprezza , i ritegni e le leggi dell ' accademica purità , e s ' impingua di elementi tratti così da ' ripositorii più augusti dell ' eloquenza classica , come dagli ultimi fondi della parlata vernacola . Un istrumento sì fatto era necessario ad un ingegno che , senza smarrire mai l ' equilibrio , trascorre tutti i gradi dell ' essere , dagli imi termini del reale ai supremi dell ' ideale . Sia che raffronti , e associi o sceveri i termini del pensiero , sia che narri o descriva , la virtù sua rimane sempre uguale a sé stessa ” ( Certe tropologie del Bruno sono di un ' efficacia senza pari ; così , quando di un inetto ragionatore dice che è venuto armato di parole e scommi che si muojono di fame e di freddo . Certe comparazioni scolpiscono , come là dove di due presuntuosi sapienti dice che l ' uno parea il conestabile de la gigantessa dell ' orco , l ' altro l ' amostante de la dea reputazione . Nella Cabala del Cavallo Pegaseo così è descritto Don Cocchiarone , mistiriarca filosofo : “ Don Cocchiarone pien d ' infinita e nobil meraviglia sen va per il largo de la sua sala , dove rimosso dal rude ed ignobil volgo , se la spasseggia , e rimenando or quinci or quindi de la litteraria sua toga le fimbrie , rimenando or questo or quell ' altro piede , rigettando or verso il destro or verso il sinistro fianco il petto , con il testo commento sotto l ' ascella , e con gesto di voler buttar quel pulce ch ' ha tra le due prime dita , in terra , con la rugata fronte cogitabondo , con erte ciglia et occhi arrotondati , in gesto d ' un uomo fortemente maravigliato , conchiudendola con un grave et enfatico sospiro , farà pervenire a l ' orecchio de ' circostanti questa sentenza : Hucusque alii Philosophi non pervenerunt ” ) . Le contradizioni innegabili che il Graf in questo suo studio scopre nella mente del filosofo panteista , per cui confessa di non intendere “ come si generi in essa il momento del riso ” si spiegano , secondo me , perfettamente con quell ' intimo e particolar processo psicologico in cui consiste appunto l ' umorismo e che implica per sé stesso queste e tant ' altre contradizioni . Del resto , il Graf stesso soggiunge : “ Può darsi che la contradizione tragga la origine da una certa disformità preesistente fra l ' intelletto e l ' indole da una parte , e fra la virtù apprensiva e la raziocinativa da un ' altra ” . Ma io non posso indugiarmi a discorrere su ogni scrittore che mi avvenga di nominare in questa rapida corsa . Debbo limitarmi a fuggevoli accenni , rimandando a miglior tempo uno studio compiuto e un ' antologia degli umoristi italiani , che qui , dato il mio compito , sarebbe fuor di luogo . Basterà porre in vista alcuni pochi nomi ; e due ne abbiamo già citati di sommi , e un terzo di più modesto scrittore , che fu di popolo e artigiano , uso , come disse egli stesso ” tutto il giorno a combattere con la forbice e con l ' ago : cose che se bene sono strumenti da donne , e le muse son donne , non si legge però ch ' elle fussino mai adoperate da loro ” : Giambattista Gelli , voglio dire , che nei giardini del Rucellai si pascolò di filosofia e diede fuori quella Circe e quei Capricci di Giusto Bottajo , che ripeto chi sa che capolavori d ' umorismo sembrerebbero , se scritti in inglese , da scrittore inglese . Ma sul serio , se son considerati umoristi in Inghilterra il Congreve , lo Steele , il Prior , il Gay , non troveremo noi nella letteratura nostra da contrapporre altri nomi di scrittori , che noi , per conto nostro , non ci siamo mai sognati di chiamare umoristi , anche del Settecento , e anche di due e di tre secoli innanzi ? Ma quanti bizzarri e gaj ingegni tra quei bajoni nostri del Cinquecento ! E il Cellini ? Sul serio , se ci vediamo porre innanzi The Dunciad del Pope , non abbiamo da prendere a piene mani , per seppellirla , tutta una letteratura , di cui sogliamo vergognarci , a cominciar dai Mattaccini del Caro ? Mancassero guerre d ' inchiostro tra i letterati nostri d ' ogni tempo , giù giù dai sonetti di Cecco Angiolieri contro Dante , all ' Atlantide di Mario Rapisardi ! Riso anche questo , sicuro , gajezza mala , umore , cioè fiele , collera fredda e secca , come la chiama Brunetto Latini , o malinconia nel senso originario della parola : la malinconia appunto dello Swift libellista . Penso al Franco , all ' Aretino e , più qua , a quel terribile monsignor Lodovico Sergardi . A questi soltanto ? Ma a ben più d ' uno è forza ch ' io riguardi , Il qual mi grida e di lontano accenna E priega ch ' io noi lasci nella penna , vedendo con quanta larghezza gli altri imbarchino scrittori su questo Narrenschiff dell ' umorismo ! Ma sì , perché no ? anche tu , Ortensio Lando , se pur volontariamente non pazzeggi come Bruto per aver diritto di vivere e di parlare con libertà , come disse Carlo Tenca ; monta anche tu , autore dei Paradossi e del Commentario delle cose mostruose d ' Italia e d ' altri luoghi , tu che , non foss ' altro , avesti il coraggio di dare ai tuoi dì dell ' animalaccio ad Aristotile . Io , per me , ti lascerei a terra con tutti gli altri , a terra col Doni , a terra col Boccalini , Tacito proconsolo nell ' isola di Lesbo , a terra col Dotti , a terra con tanti prima e dopo di te , il Caporali e il Lippi e il Passeroni ; ma non vorrei essere io solo così rigoroso , massime quando vedo dalla barca uno che ha il diritto di starvi , incontestabile , Lorenzo Sterne , far cenni e invitar quell ' ultimo dei nostri che ho nominati , a montarvi . E Alessandro Tassoni ? si deve lasciare a terra anche lui ? Nelle recenti feste in suo onore , parecchi han voluto veder stoffa d ' umorista vero in questo acuto e acerbo derisore , anzi disprezzatone del suo tempo . Se fosse inglese o tedesco , sarebbe già da un pezzo nella barca anche lui e degno di starvi a giudizio de ' savi universale . Siamo sempre lì : in che senso si deve intendere l ' umorismo ? L ' Arcoleo , su la fine della sua seconda conferenza , dichiara dì non essere incline a quella critica che , rispetto a forme letterarie , dispensa facilmente scomuniche e ostracismi ; e dice che non sono molto complesse le ragioni per le quali in Italia ebbe poca vita la forma umoristica , e che egli non vuol profanare quest ' argomento che merita studio speciale . Quali sieno queste ragioni molto complesse , che al lume degli stessi esempii recati dall ' Arcoleo appajono qua e là contradittorie , abbiamo già veduto : da noi non c ' è spirito d ' osservazione né intimità di stile , siamo pedanti e accademici , siamo scettici e indifferenti , non aspiriamo a nulla . Contro queste accuse , noi abbiamo citato parecchi nomi , che mai , neppure in un lampo , sono sorti in mente all ' Arcoleo . Una sola volta , parlando del Heine in fin di vita , che ride del suo dolore , pensa , per combinazione , al Leopardi che si sentiva anche lui “ un tronco che pena e vive ” e al Brighenti scriveva : “ Io sto qui deriso , sputacchiato , preso a calci da tutti , di maniera che se vi penso mi fa raccapricciare . Tuttavia mi avvezzo a ridere e ci riesco ” . Sì , ma “ restò lirico ” , osserva , “ l ' educazione classica non gli permise di essere umorista ! ” Ma scrisse anche certi dialoghi , se non c ' inganniamo , e certe altre prosette ... Restò lirico anche lì ? L ' educazione classica ... Ma almeno la tendenza romantica avrà permesso al Manzoni di essere umorista ? Che ! Il suo don Abbondio “ non aspira a nulla , litiga tra il dovere e la paura ; è ridicolo senz ' altro ” . Non è questo un modo abbastanza spiccio di giudicare e mandare ? Ma questo modo , veramente , tiene l ' Arcoleo dal principio alla fine delle due conferenze : l ' argomento è trattato così , a sprazzi , per sentenze inappellabili . Umorismo : fuoco d ' artifizio di scoppiettanti definizioni ; poi , prima fase : dubbio e scetticismo “ ridere del proprio pensiero ” Amleto ; seconda fase , lotta e adattamento “ ridere del proprio dolore ” Don Giovanni . E tra gli umoristi della prima fase son citati due francesi , Rabelais e Montaigne , e due inglesi , Swift e Sterne ; tra gli umoristi della seconda , due tedeschi , Richter e Heine , tre inglesi , Carlyle , Dickens , Thackeray e poi ... Marco Twain . Come si vede , nessun italiano . E dire che arriviamo fino a Marco Twain ! L ' Arcoleo conclude così : “ Lo spirito comico rimase avviluppato nell ' embrione della commedia dell ' arte o nella poesia dialettale ; e molto e ricco sviluppo ebbero invece e in poesia e in prosa , in poemi , novelle , romanzi e saggi , l ' ironia e la satira . Basta confondere con queste forme l ' humour , perché n ' esca giudizio opposto al mio , o perché io sembri esagerato e ingiusto . Non intendo parlare di tentativi o abbozzi ; si trovano facilmente in ogni storia artistica e di ogni forma : ma io non so vedere fra noi una letteratura umoristica e all ' uopo non avrei che a fare un paragone tra l ' Ariosto e Cervantes ” . Questo paragone l ' abbiamo fatto noi , e con un giudizio non opposto a quello ch ' egli avrebbe dato , se avesse fatto il paragone . Tra parentesi però , Cervantes - come Rabelais , come Montaigne è un latino ; e non crediamo che la Riforma propriamente in Spagna ... Lasciamo andare ! Veniamo in Italia . Noi non vogliamo affatto confondere lo spirito comico , l ' ironia , la satira con l ' umorismo : tutt ' altro ! Ma non si deve neanche confondere l ' umorismo vero e proprio con l ' humour inglese , cioè con quel tipico modo di ridere o umore che , come tutti gli altri popoli , hanno anche gl ' Inglesi . Non si pretenderà , che gl ' Italiani o i Francesi abbiano l ' humour inglese ; come non si può pretendere che gl ' Inglesi ridano a modo nostro o facciano dello spirito come i Francesi . L ' avranno magari fatto , qualche volta ; ma ciò non vuol dire . L ' umorismo vero e proprio è un ' altra cosa , ed è anche per gl ' Inglesi un ' eccentricità di stile . Basta confondere l ' una cosa e l ' altra - diciamo anche noi a nostra volta perché si venga a riconoscere una letteratura umoristica a un popolo e a negarla a un altro . Ma una letteratura umoristica si può avere a questo solo patto , cioè di far questa confusione ; e allora ogni popolo avrà la sua , assommando tutte le opere in cui questo tipico umore si esprime nei più bizzarri modi ; e noi potremmo cominciar la nostra , ad esempio , con Cecco Angiolieri , come gl ' Inglesi la cominciano col Chaucer , e non direi che la comincino bene , non per il valore del poeta , ma perché egli mostra di aver mescolato alla bevanda nazionale un po ' del vino che si vendemmia nel paese del sole . Altrimenti , una letteratura umoristica vera e propria non è possibile , presso nessun popolo : si possono avere umoristi , cioè pochi e rari scrittori in cui per natural disposizione avviene quel complicato e speciosissimo processo psicologico che si chiama umorismo . Quanti ne cita l ' Arcoleo ? Certamente , l ' umorismo nasce da uno speciale stato d ' animo , che può , più o meno , diffondersi . Quando un ' espressione d ' arte riesce a conquistare l ' attenzione del pubblico , questo si dà subito a pensare e a parlare e a scrivere secondo le impressioni che ne ha ricevuto ; di modo che quella espressione , sorta dapprima dalla particolare intuizione d ' uno scrittore , penetrata rapidamente nel pubblico , è poi da questo variamente trasformata e diretta . Così avvenne per il romanticismo , così per il naturalismo : diventarono le idee del tempo , quasi un ' atmosfera ideale ; e molti fecero per moda i romantici o i naturalisti , come molti per moda fecero gli umoristi in Inghilterra nel sec . ' XVIII , e molti furon degli umidi nel Cinquecento in Italia , e degli arcadi nel Settecento . Uno stato d ' animo si può creare in noi e divenir coerente o rimaner fittizio , secondo che risponda o no alla speciale fisionomia dell ' organismo psichico . Ma poi le idee del tempo mutano , cangia la moda , i pòmpili seguaci si mettono appresso ad altre navi . Chi resta ? Restano quei pochi , da contar su le dita , quei pochi che ebbero , primi , l ' intuizione straordinaria , o in cui quello speciale stato d ' animo divenne così coerente , che poteron creare un ' opera organica , resistente al tempo e alla moda . Sul serio poi l ' Arcoleo crede che nella nostra letteratura dialettale non ci sia altro che spirito comico ? Egli è siciliano , e certamente ha letto il Meli , e sa quanto sia ingiusto il giudizio di arcadia superiore dato della poesia di lui , che non fu sonata soltanto su la zampogna pastorale , ma ebbe anche tutte le corde della lira e si espresse in tutte le forme . Non c ' è vero e proprio umorismo in tanta parte della poesia del Meli ? Ma basterebbe citar soltanto La cutuliata per dimostrarlo ! Tic tic ... chi fu ? Cutuliata . E non c ' è umorismo , vero e proprio umorismo , in tanti e tanti sonetti del Belli ? E senza parlare delle figure del Maggi , il Giovannin Bongee , il Marchionn di gamb avert di Carlo Porta non son due capolavori d ' umorismo ? E , poiché si parla di tipi rimasti imperituri , il Monsù Travet del Bersezio , Il Nobilomo Vidal del Gallina ? E un altro scrittore dialettale abbiamo , finora quasi del tutto ignoto , grandissimo : umorista vero , se mai ce ne fu , e a farlo apposta meridionalissimo , di Reggio Calabria : Giovanni Merlino , rivelato or son parecchi anni , in una conferenza da Giuseppe Mantica ( vedi Giovanni Merlino , umorista , Napoli , Pierro , 1898 ) , suo conterraneo , che sarebbe stato anche lui un forte scrittore umorista se , nel breve corso della sua esistenza , la politica non lo avesse troppo presto distratto dalle lettere . Scrisse il Merlino i suoi libri per 55 lettori , che nomina uno per uno e divide in quattro categorie , imponendo a ciascuna di esse alcuni speciali obblighi in ricompensa del piacere loro procurato . Uno de ' suoi volumi , ancora tutti inediti , è detto : Miscellanea di varie cose sconnesse e piacevoli , “ fatta per coloro che , avendo poco cervello , vogliono istruirsi sul modo più acconcio per perderlo interamente ” ; gli altri sono Memorie utili ed inutili ai posteri , ossia la vita di Giovanni Merlino del quondam Antonino di Reggio , principiata a 27 decembre 1789 e proseguita fino al 1850 , composta di sette volumi . Vorrei poter citare per disteso il lungo Dialogo alla calabrese tra Domine Dio e Giovanni Merlino o il Conto con Domine Dio per dimostrare che umorista fosse il Merlino . Nell ' attesa che gli eredi lo rendano a tutti noto pubblicando i volumi , rimando alla pubblicazione che il Mantica fece di questi due impareggiabili Dialoghi , con la traduzione a fronte . Questo , per la letteratura dialettale . Non scopre poi sul serio altro che ironia e satira l ' Arcoleo negli scrittori italiani ? Io penso a un certo Socrate immaginario d ' un certo abbate del Settecento ; penso al Didimo chierico del Foscolo ; ad alcune volate in prosa del Baretti ; penso ai Promessi Sposi del Manzoni , tutto infuso di genuino umorismo ( vedi nella seconda parte la dimostrazione dell ' umorismo di don Abfiondio , che all ' Arcoleo sembra una figura ridicola o comica senz ' altro ) ; penso al Sant ' Ambrogio del Giusti , vera poesia umoristica , unica forse tra le tante satiriche o sentimentali ; penso a quei certi dialoghi e a quelle certe prosette del Leopardi ; penso all ' Asino e al Buco nel muro del Guerrazzi ; penso al Fanfulla del D ' Azeglio ; penso a Carlo Bini ; penso a quella tal cucina nel castello di Fratta delle Confessioni d ' un ottuagenario del Nievo ; penso a Camillo De Meis , al Revere ; e , poiché l ' Arcoleo arriva fino a Marco Twain , penso al Re umorista , al Demonio dello stile , all ' Altalena delle antipatie , al Pietro e Paola , a Scaricalasino , all ' Illustrissimo del Cantoni ; al Demetrio Pianelli del De Marchi ; penso ai poeti della scapigliatura lombarda e a tante note di schietto e profondo umorismo nelle liriche del Carducci e del Graf ; penso ai tanti personaggi umoristici che popolano i romanzi e le novelle del Fogazzaro , del Farina , del Capuana , del Fucini , e anche ad alcune opere di più giovani scrittori , da Luigi Antonio Villari all ' Albertazzi , al Panzini ... ed ecco , la Lanterna di Diogene di quest ' ultimo vorrei porre in una mano all ' Arcoleo e nell ' altra la candela del Candelajo del Bruno : son sicuro che parecchi scrittori umoristi scoprirebbe nella letteratura italiana antica e nuova . Parte seconda . ESSENZA , CARATTERI E MATERIA DELL ' UMORISMO I . Che cosa è l ' umorismo ? Se volessimo tener conto di tutte le risposte che si son date a questa domanda , di tutte le definizioni che autori e critici han tentato , potremmo riempire parecchie e parecchie pagine , e probabilmente alla fine , confusi tra tanti pareri e dispareri , non riusciremmo ad altro che a ripetere la domanda : - Ma , in somma , che cos ' è l ' umorismo ? Abbiamo già detto che tutti coloro , i quali , o di proposito o per incidenza , ne han parlato , in una cosa sola si accordano , nel dichiarare che è difficilissimo dire che cosa sia veramente , perché esso ha infinite varietà e tante caratteristiche che , a volerlo descrivere in generale , si rischia sempre di dimenticarne qualcuna . Questo è vero ; ma è vero altresì che da un pezzo ormai avrebbe dovuto capirsi che partire da queste caratteristiche non è la via migliore per arrivare a intendere la vera essenza dell ' umorismo , poiché sempre avviene che una se ne assuma per fondamentale , quella che si è riscontrata comune a parecchie opere o a parecchi scrittori studiati con predilezione ; di modo che tante definizioni si vengono infine ad avere dell ' umorismo , quante sono le caratteristiche riscontrate , e tutte naturalmente hanno una parte di vero , e nessuna è la vera . Certamente , dalla somma di tutte queste varie caratteristiche e delle conseguenti definizioni si può arrivare a comprendere , così , in generale , che cosa sia l ' umorismo ; ma se ne avrà sempre una conoscenza sommaria ed esteriore , appunto perché fondata su queste sommarie ed esteriori determinazioni . La caratteristica , ad esempio , di quella tale peculiar bonarietà o benevola indulgenza che scoprono alcuni nell ' umorismo , già definito dal Richter “ malinconia d ' un animo superiore che giunge a divertirsi finanche di ciò che lo rattrista ” , quel “ tranquillo , giocondo e riflesso sguardo su le cose ” , quel “ modo d ' accogliere gli spettacoli divertenti , che sembra , nella sua moderazione , soddisfare il senso del ridicolo e domandar perdono di ciò che v ' è di poco delicato in tal compiacimento ” , quella tale ” espansione degli spiriti dall ' interno all ' esterno incontrata e ritardata dalla corrente contraria d ' una specie di benevolenza pensosa ” , di cui parla il Sully nel suo Essai sur le rire ( Paris , Alcan , 1904 , pag . 276 ) , non si trovano in tutti gli umoristi . Alcuni di questi tratti , che al critico francese , e non a lui soltanto , pajono principali dell ' umorismo , si troveranno in alcuni , in altri no ; e in certuni anzi si troverà il contrario , come ad esempio nello Swift , che è malinconico nel senso originario della parola , cioè pieno di fiele ; e del resto noi vedremo un po ' più innanzi , parlando del don Abbondio del Manzoni , a che cosa in fondo si riduca quella peculiar bonarietà o simpatica indulgenza . Al contrario , quella “ acre disposizione a scoprire ed esprimere il ridicolo del serio e il serio del ridicolo umano ” , di cui parla il Bonghi , calzerà allo Swift e a umoristi al pari di lui beffardi e mordaci ; non calzerà ad altri ; né del resto , come osserva il Lipps , opponendosi alla teoria del Lazzarus , che considera anch ' esso l ' umorismo soltanto come una disposizione d ' animo , questo modo di considerarlo è compiuto . Né compiuto sarà quello del Hegel che lo dice “ attitudine speciale d ' intelletto e di animo onde l ' artista si pone lui stesso al posto delle cose ” , definizione che , a non porsi bene a guardare da quel solo lato da cui lo Hegel lo guarda , ha tutta l ' aria d ' un rebus . Caratteristiche più comuni , e però più generalmente osservate , sono la “ contradizione ” fondamentale , a cui si suol dare per causa principale il disaccordo che il sentimento e la meditazione scoprono o fra la vita reale e l ' ideale umano o fra le nostre aspirazioni e le nostre debolezze e miserie , e per principale effetto quella tal perplessità tra il pianto e il riso ; poi lo scetticismo , di cui si colora ogni osservazione , ogni pittura umoristica , e in fine il suo procedere minuziosamente e anche maliziosamente analitico . Dalla somma , ripeto , di tutte queste caratteristiche e conseguenti definizioni si può arrivare a comprendere , così , in generale , che cosa sia l ' umorismo , ma nessuno negherà che non ne risulti una conoscenza troppo sommaria . Che se accanto ad alcune determinazioni affatto incompiute , come abbiamo veduto , altre ve ne sono indubbiamente più comuni , l ' intima ragione di esse non è poi veduta affatto con precisione né spiegata . Rinunzieremo noi a vederla con precisione e a spiegarla , accettando l ' opinione di Benedetto Croce che nel Jouurnal of comparative Literature ( fasc . III , 1903 ) dichiarò indefinibile l ' umorismo come tutti gli stati psicologici , e nel libro dell ' Estetica lo annoverò tra i tanti concetti dell ' estetica del simpatico ? . “ L ' indagine dei filosofi egli dice si è a lungo travagliata intorno a questi fatti , e specialmente intorno ad alcuni di essi , come , in prima linea , il comico , e poi il sublime , il tragico , l ' umoristico e il grazioso . Ma bisogna evitar l ' errore di considerarli come sentimenti speciali , note del sentimento , ammettendo così delle distinzioni e classi di sentimenti , laddove il sentimento organico per sé stesso non può dar luogo a classi ; e bisogna chiarire in che senso possano dirsi fatti misti . Essi dan luogo a concetti complessi , ossia di complessi di fatti , nei quali entrano sentimenti organici di piacere e dispiacere ( o anche sentimenti spirituali - organici ) , e date circostanze esterne che forniscono a quei sentimenti meramente organici o spirituali - organici un determinato contenuto . Il modo di definizione di questi concetti è il genetico : Posto l ' organismo nella situazione a , sopravvenendo la circostanza b , si ha il fatto c . Questo e simili processi non hanno col fatto estetico nessun contatto : salvo quello generale che tutti essi , in quanto costituiscono la materia o la realtà , possono essere rappresentati dall ' arte ; e l ' altro , accidentale , che in questi processi entrino talvolta dei fatti estetici , come nel caso dell ' impressione di sublime che può produrre l ' opera di un artista titano , di un Dante o di uno Shakespeare , o di quella comica del conato di un imbrattatele o di un imbrattacarte . Anche in questi casi il processo è estrinseco al fatto estetico : al quale non si lega se non il sentimento del piacere e dispiacere , del valore e disvalore estetico , del bello e del brutto ” . Innanzi tutto , perché sono indefinibili gli stati psicologici ? Saranno forse indefinibili per un filosofo , ma l ' artista , in fondo , non fa altro che definire e rappresentare stati psicologici . E poi se l ' umorismo è un processo o un fatto che dà luogo a concetti complessi , ossia complessi di fatti , come diventa poi esso un concetto ? Concetto sarà quello a cui l ' umorismo dà luogo , non l ' umorismo . Certamente se per fatto estetico deve intendersi quel che intende il Croce , tutto diviene estrinseco ad esso , non che questo processo . Ma noi abbiamo dimostrato altrove e anche nel corso di questo lavoro , che il fatto estetico non è né può essere quel che il Croce intende . E , del resto , che significa la concessione che “ questo e simili processi non hanno col fatto estetico nessun contatto , salvo quello generale che tutti essi , in quanto costituiscono la materia o la realtà , possono essere rappresentati dall ' arte ” ? L ' arte può rappresentare questo processo che dà luogo al concetto di umorismo . Ora , come potrò io , critico , rendermi conto di questa rappresentazione artistica , se non mi rendo conto del processo da cui risulta ? E in che consisterebbe allora la critica estetica ? “ Se un ' opera d ' arte , osserva il Cesareo nel suo saggio su La critica estetica appunto , ha da provocare uno stato d ' animo , appar manifesto che tanto più pieno sarà l ' effetto finale , quanto più intense e concordi vi coopereranno tutte le singole determinazioni . Anche in estetica la somma è in ragion delle poste . L ' esame di tutte a una a una le particolari espressioni ci darà la misura dell ' espressione totale . Or come la perfetta riproduzione d ' uno stato d ' animo , in cui per l ' appunto consiste la bellezza estetica , è un fatto emozionale che può risultare soltanto dalla somma d ' alcune rappresentazioni sentimentali , così l ' analisi psicologica d ' un ' opera di poesia è il necessario fondamento di qualsiasi valutazione estetica ” . Parlando di questo mio saggio su la sua rivista La Critica ( vol . VII , a . 1909 , pagg . 219-23 ) , il Croce , a proposito dello studio del Baldensperger Les definitions de l ' humour ( in Études d ' histoire littéraire , Paris , Hachette , 1907 ) , Si compiace di dire che il Baldensperger ricorda anche le ricerche del Cazamian , edite nella Revue germanique del 1906 : Pourquoi nous ne pouvons definir l ' humour , in cui l ' autore , seguace del Bergson , sostiene che l ' umorismo sfugge alla scienza , perché gli elementi caratteristici e costanti di esso sono in piccolo numero e sopra tutto negativi , laddove gli elementi variabili sono in numero indeterminato . Per cui , il compito della critica è di studiare il contenuto e il tono di ogni umore , e cioè , la personalità di ciascun umorista . Il ny a pas d ' humour , il ny a que des humouristes , dice il signor Baldensperger . E il Croce s ' affretta a concludere : La questione è così esaurita . Esaurita ? Torniamo e torneremo sempre a domandare come mai , se l ' umorismo non c ' è , né si sa , né si può dire che cosa sia , ci sieno poi scrittori , di cui si possa sapere e dire che sono umoristi . In base a che cosa si saprà e si potrà dire ? L ' umorismo non c ' è ; ci sono scrittori umoristi . Il comico non c ' è ; ci sono scrittori comici . Benissimo ! E se un tale , sbagliando , afferma che un tale scrittore umorista è un comico , come farò io a chiarirgli lo sbaglio , a dimostrargli che è un umorista e non un comico ? Il Croce pone innanzi la pregiudiziale metodica circa la possibilità di definire un concetto . Io gli pongo innanzi questo caso , e gli domando come potrebbe egli dimostrare , per esempio , all ' Arcoleo , il quale afferma che il personaggio di don Abbondio è comico , che invece no , quel personaggio è umoristico , se non avesse ben chiaro in mente che cosa sia e che debba intendersi per umorismo . Ma egli dice , in fondo , di non muover guerra alle definizioni , e che anzi il suo modo di rifiutarle tutte , filosoficamente , è l ' accettarle tutte , empiricamente . Anche la mia ; che del resto non è , né vuol essere una definizione , ma piuttosto la spiegazione di quell ' intimo processo che avviene , e che non può non avvenire , in tutti quegli scrittori che si dicono umoristi . L ' Estetica del Croce è così astratta e negativa , che applicarla alla critica non è assolutamente possibile , se non a patto di negarla di continuo , com ' egli stesso fa , accettando questi così detti concetti empirici che , cacciati dalla porta , gli rientrano dalla finestra . Ah , una bella soddisfazione , la filosofia ! II Vediamo dunque , senz ' altro , qual è il processo da cui risulta quella particolar rappresentazione che si suoi chiamare umoristica ; se questa ha peculiari caratteri che la distinguono , e da che derivano : se vi è un particolar modo di considerare il mondo , che costituisce appunto la materia e la ragione dell ' umorismo . Ordinariamente , ho già detto altrove ( vedi nel mio volume già citato Arte e scienza il saggio Un critico fantastico ) , e qui m ' è forza ripetere l ' opera d ' arte è creata dal libero movimento della vita interiore che organa le idee e le immagini in una forma armoniosa , di cui tutti gli elementi han corrispondenza tra loro e con l ' idea - madre che le coordina . La riflessione , durante la concezione , come durante l ' esecuzione dell ' opera d ' arte , non resta certamente inattiva : assiste al nascere e al crescere dell ' opera , ne segue le fasi progressive e ne gode , raccosta i varii elementi , li coordina , li compara . La coscienza non rischiara tutto lo spirito ; segnatamente per l ' artista essa non è un lume distinto dal pensiero , che permetta alla volontà di attingere in lei come in un tesoro d ' immagini e d ' idee . La coscienza , in somma , non è una potenza creatrice , ma lo specchio interiore in cui il pensiero si rimira ; si può dire anzi ch ' essa sia il pensiero che vede sé stesso , assistendo a quello che esso fa spontaneamente . E , d ' ordinario , nell ' artista , nel momento della concezione , la riflessione si nasconde , resta , per casi dire , invisibile : è , quasi , per l ' artista una forma del sentimento . Man mano che l ' opera si fa , essa la critica , non freddamente , come farebbe un giudice spassionato , analizzandola ; ma d ' un tratto , mercé l ' impressione che ne riceve . Questo , ordinariamente . Vediamo adesso se , per la natural disposizione d ' animo di quegli scrittori che si chiamano umoristi e per il particolar modo che essi hanno di intuire e di considerar gli uomini e la vita , questo stesso procedimento avviene nella concezione delle loro opere ; se cioè la riflessione vi tenga la parte che abbiamo or ora descritto , o non vi assuma piuttosto una speciale attività . Ebbene , noi vedremo che nella concezione di ogni opera umoristica , la riflessione non si nasconde , non resta invisibile , non resta cioè quasi una forma del sentimento , quasi uno specchio in cui il sentimento si rimira ; ma gli si pone innanzi , da giudice ; lo analizza , spassionandosene ; ne scompone l ' immagine ; da questa analisi però , da questa scomposizione , un altro sentimento sorge o spira : quello che potrebbe chiamarsi , e che io difatti chiamo il sentimento del contrario . Vedo una vecchia signora , coi capelli ritinti , tutti unti non si sa di quale orribile manteca , e poi tutta goffamente imbellettata e parata d ' abiti giovanili . Mi metto a ridere . Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere . Posso così , a prima giunta e superficialmente , arrestarmi a questa impressione comica . Il comico è appunto un avvertimento del contrario . Ma se ora interviene in me la riflessione , e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo , ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s ' inganna che , parata così , nascondendo così le rughe e la canizie , riesca a trattenere a sé l ' amore del marito molto più giovane di lei , ecco che io non posso più riderne come prima , perché appunto la riflessione , lavorando in me , mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento , o piuttosto , più addentro : da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario . Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l ' umoristico . “ Signore , signore ! oh ! signore , forse , come gli altri , voi stimate ridicolo tutto questo ; forse vi annojo raccontandovi questi stupidi e miserabili particolari della mia vita domestica : ma per me non è ridicolo , perché io sento tutto ciò ... ” Così grida Marmeladoff nell ' osteria , in Delitto e Castigo del Dostojevski , a Raskolnikoff tra le risate degli avventori ubriachi . E questo grido è appunto la protesta dolorosa ed esasperata d ' un personaggio umoristico contro chi , di fronte a lui , si ferma a un primo avvertimento superficiale e non riesce a vederne altro che la comicità . Ed ecco qua un terzo esempio , che per la sua lampante chiarezza , si potrebbe dir tipico . Un poeta , il Giusti , entra un giorno nella chiesa di Sant ' Ambrogio a Milano , e vi trova un pieno di soldati , Di que ' soldati settentrionali , Come sarebbe boemi e croati , Messi qui nella vigna a far da pali ... Il suo primo sentimento è d ' odio : quei soldatacci ispidi e duri son lì a ricordargli la patria schiava . Ma ecco levarsi nel tempio il suono dell ' organo : poi quel cantico tedesco lento lento , D ' un suono grave , flebile , solenne che è preghiera e pare lamento . Ebbene , questo suono determina a un tratto una disposizione insolita nel poeta , avvezzo a usare il flagello della satira politica e civile : determina in lui la disposizione propriamente umoristica : cioè , lo dispone a quella particolar riflessione che , spassionandosi del primo sentimento , dell ' odio suscitato dalla vista di quei soldati ; genera appunto il sentimento del contrario . Il poeta ha sentito nell ' inno la dolcezza amara Dei canti uditi da fanciullo : il core , Che da voce domestica gl ' impara , Ce li ripete i giorni del dolore . Un pensier mesto della madre cara , Un desiderio di pace e d ' amore , Uno sgomento di lontano esilio ... E riflette che quei soldati , strappati ai loro tetti da un re pauroso , A dura vita , a dura disciplina , Muti , derisi , solitari stanno , Strumenti ciechi d ' occhiuta rapina , Che lor non tocca e che forse non sanno . Ed ecco il contrario dell ' odio di prima : Povera gente ! lontana da ' suoi , In un paese qui che le vuol male ... Il poeta è costretto a fuggir dalla chiesa perché Qui , se non fuggo , abbraccio un caporale , Colla su ' brava mazza di nocciuolo Duro e piantato li come un piuolo . Notando questo , avvertendo cioè questo sentimento del contrario che nasce da una speciale attività della riflessione , io non esco affatto dal campo della critica estetica e psicologica . L ' analisi psicologica di questa poesia è il necessario fondamento della valutazione estetica di essa . Io non posso intenderne la bellezza , se non intendo il processo psicologico da cui risulta la perfetta riproduzione di quello stato d ' animo che il poeta voleva suscitare , nella quale consiste appunto la bellezza estetica . Vediamo ora un esempio più complesso , nel quale la speciale attività della riflessione non si scopre casi a prima giunta ; prendiamo un libro di cui abbiamo già discorso : il Don Quijote del Cervantes . Vogliamo giudicarne il valore estetico . Che faremo ? Dopo la prima lettura e la prima impressione che ne avremo ricevuto , terremo conto anche qui dello stato d ' animo che l ' autore ha voluto suscitare . Qual è questo stato d ' animo ? Noi vorremmo ridere di tutto quanto c ' è di comico nella rappresentazione di questo povero alienato che maschera della sua follia sé stesso e gli altri e tutte le cose ; vorremmo ridere , ma il riso non ci viene alle labbra schietto e facile ; sentiamo che qualcosa ce lo turba e ce l ' ostacola ; è un senso di commiserazione , di pena e anche d ' ammirazione , si , perché se le eroiche avventure di questo povero hidalgo sono ridicolissime , pur non v ' ha dubbio che egli nella sua ridicolaggine è veramente eroico . Noi abbiamo una rappresentazione comica , ma spira da questa un sentimento che ci impedisce di ridere o ci turba il riso della comicità rappresentata ; ce lo rende amaro . Attraverso il comico stesso , abbiamo anche qui il sentimento del contrario . L ' autore l ' ha destato in noi perché s ' è destato in lui , e noi ne abbiamo già veduto le ragioni . Ebbene , perché non si scopre qui la speciale attività della riflessione ? Ma perché essa frutto della tristissima esperienza della vita , esperienza che ha determinato la disposizione umoristica nel poeta s i era già esercitata sul sentimento di lui , su quel sentimento che lo aveva armato cavaliere della fede a Lepanto . Spassionandosi di questo sentimento e ponendovisi contro , da giudice , nella oscura carcere della Mancha , ed analizzandolo con amara freddezza , la riflessione aveva già destato nel poeta il sentimento del contrario , e frutto di esso è appunto il Don Quijote : è questo , sentimento del contrario oggettivato . Il poeta non ha rappresentato la causa del processo come il Giusti nella sua poesia ne ha rappresentato soltanto l ' effetto , e però il sentimento del contrario spira attraverso la comicità della rappresentazione ; questa comicità è frutto del sentimento del contrario generato nel poeta dalla speciale attività della riflessione sul primo sentimento tenuto nascosto . Ora , che bisogno ho io d ' assegnare un qualsiasi valore etico a questo sentimento del contrario , come fa Theodor Lipps nel suo libro Komik und Humor ? Cioè intendiamoci bene al Lipps veramente non si affaccia mai questo sentimento del contrario . Egli , da un canto , non vede che una specie di meccanismo così del comico come dell ' umore : quello stesso che il Croce nella sua Estetica cita come un esempio di spiegazione accettabile di siffatti “ concetti ” : “ Posto l ' organismo nella situazione a , sopravvenendo la circostanza b , si ha il fatto c ” . E , dall ' altro canto , s ' impaccia di continuo di valori etici , poiché per lui ogni godimento artistico ed estetico in genere è godimento di qualcosa che ha valore etico : non già come elemento di un complesso , ma come oggetto dell ' intuizione estetica . E tira continuamente in ballo il valore etico della personalità umana , e parla di positivo umano e di negazione di esso . Egli dice : “ Dass durch die Negation , , die am positiv Menschlichen geschieht , dies positiv Menschliche uns näher gebracht , in seinem Wert offenbarer und fühlbarer gemacht wird , darin besteht , wie wir sahen , das allgemeinste Wesen der Tragik . Ebendarin besteht auch das allgemeinste Wesen des Humors . Nur dass hier die Negation anderer Art ist als dort , nämlich komische Negation . Ich sagte vom Naivkomischen , dass es auf dem Wege liege von der Komik zum Humor . Dies heisst nicht : die naive Komik ist Humor . Vielmehr ist auchhier die Komik als solche das Gegenteil des Humors . Die naive Komik entsteht , indem das vom Standpunkte der naiven Persönlichkeit aus Berechtigte , Gute , Kluge von unserem Standpunkte aus im gegenteiligen Lichte erscheint . Der Humor entsteht umgekehrt , indem jenes relativ Berechtigte , Gute , Kluge aus dem Prozess der komischen Vernichtung wiederum emportaucht , und nun erst recht in seinem Werte einleuchtet und genossen wird ” . E poco più oltre : “ Der eigentliche Grund und Kern des Humors ist überall und jederzeit das relativ Gute , Schöne , Vernünftige , das auch da sich findet , wo es nach unseren gewöhnlichen Begriffen nicht vorhanden , ja geflissentlich negiert erscheint ” . Dice anche : “ in der Komik nicht nur das Komische in nichts zergeht , sondern auch wir in gewisser Weise , mit unserer Erwartung , unserem Glauben an eine Erhabenheit oder Grösse , den Regeln oder Gewohnheiten unserer Denkens u . s . w . " zu nichte " werden . Über dieses eigene Zunichtewerden erhebt sich der Humor . Dieser Humor , der Humor , den wir angesichts des Komischen haben , besteht schliesslich ebenso wie derjenige , den der Träger des bewusst humoristischen Geschehens hat , in der Geistesfreiheit , der Gewissheit des eigenen Selbst und des Vernünftigen , Guten und Erhabenen in der Welt , die bei aller objektiven und eigenen Nichtigkeit bestehen bleibt , oder eben darin zur Geltung kommt ” . Ma è poi costretto a riconoscere egli stesso che “ nicht jeder Humor diese höchste Stufe erreicht ” e che vi ha “ neben dem versöhnten , einen entzweiten Humor ” . Ma che bisogno ho io , ripeto , di dare un qualsiasi valore etico a quello che ho chiamato il sentimento del contrario , o di determinarlo a priori in alcun modo ? Esso si determinerà da sé , volta per volta , secondo la personalità del poeta o l ' oggetto della rappresentazione . Che importa a me , critico estetico , di sapere in chi o dove stia la ragion relativa e il giusto e il bene ? Io non voglio né debbo uscire dal campo della fantasia pura : Io mi pongo dinanzi qualunque rappresentazione artistica , e mi propongo soltanto di giudicarne il valore estetico . Per questo giudizio , ho bisogno innanzi tutto di sapere lo stato d ' animo che quella rappresentazione artistica vuol suscitare : lo saprò dall ' impressione che ne ho ricevuto . Questo stato d ' animo , ogni qual volta mi trovo innanzi a una rappresentazione veramente umoristica , è di perplessità : io mi sento come tenuto tra due : vorrei ridere , rido , ma il riso mi è turbato e ostacolato da qualcosa che spira dalla rappresentazione stessa . Ne cerco la ragione . Per trovarla , non ho affatto bisogno di sciogliere l ' espressione fantastica in un rapporto etico , di tirare in ballo il valore etico della personalità umana e via dicendo . Trovo questo sentimento del contrario , qualunque esso sia , che spira in tanti modi dalla rappresentazione stessa , costantemente in tutte le rappresentazioni che soglio chiamare umoristiche . Perché limitarne eticamente la causa , oppure astrattamente , attribuendola , ad esempio , al disaccordo che il sentimento e la meditazione scoprono fra la vita reale e l ' ideale umano o fra le nostre aspirazioni e le nostre debolezze e miserie ? Nascerà anche da questo , come da tantissime altre cause indeterminabili a priori . A noi preme soltanto accertare che questo sentimento del contrario nasce , e che nasce da una speciale attività che assume nella concezione di siffatte opere d ' arte la riflessione . III Teniamoci a questo ; seguiamo questa attività speciale della riflessione , e vediamo se essa non ci spiega a una a una le varie caratteristiche , che si possono riscontrare in ogni opera umoristica . Abbiamo detto che , ordinariamente , nella concezione d ' un ' opera d ' arte , la riflessione è quasi una forma del sentimento , quasi uno specchio in cui il sentimento si rimira . Volendo seguitar quest ' immagine , si potrebbe dire che , nella concezione umoristica , la riflessione è , sì , come uno specchio , ma d ' acqua diaccia , in cui la fiamma del sentimento non si rimira soltanto , ma si tuffa e si smorza : il friggere dell ' acqua è il riso che suscita l ' umorista ; il vapore che n ' esala è la fantasia spesso un po ' fumosa dell ' opera umoristica . A questo mondo c ' è giustizia finalmente ! grida Renzo , il promesso sposo , appassionato e rivoltato . Tant ' è vero che un uomo sopraffatto dal dolore non sa più quel che si dica , commenta il Manzoni . Ecco la fiamma là del sentimento , che si tuffa qua e si smorza nell ' acqua diaccia della riflessione . La riflessione , assumendo quella sua speciale attività , viene a turbare , a interrompere il movimento spontaneo che organa le idee e le immagini in una forma armoniosa . E stato tante volte notato che le opere umoristiche sono scomposte , interrotte , intramezzate di continue digressioni . Anche in un ' opera così armonica nel suo complesso come I Promessi Sposi , è stato notato qualche difetto di composizione , una soverchia minuzia qua e là e il frequente interrompersi della rappresentazione o per richiami al famoso Anonimo o per l ' arguta intrusione dell ' autore stesso . Questo , che ai critici nostri è sembrato un eccesso per un verso , un difetto per l ' altro , è poi la caratteristica più evidente di tutti i libri umoristici . Basta citare il Tristram Shandy dello Sterne , che è tutto quanto un viluppo di variazioni e digressioni , non ostante che l ' autobiografo si proponga di narrar tutto ab ovo , punto per punto , e cominci dall ' alvo di sua madre e dalla pendola che il signor Shandy padre soleva puntualmente caricare . Ma se questa caratteristica è stata notata , non se ne son vedute chiaramente le ragioni . Questa scompostezza , queste digressioni , queste variazioni non derivano già dal bizzarro arbitrio o dal capriccio degli scrittori , ma sono appunto necessaria e inovviabile conseguenza del turbamento e delle interruzioni del movimento organatore delle immagini per opera della riflessione attiva , la quale suscita un ' associazione per contrarci : le immagini cioè , anziché associate per similazione o per contiguità , si presentano in contrasto : ogni immagine , ogni gruppo d ' immagini desta e richiama le contrarie , che naturalmente dividono lo spirito , il quale , irrequieto , s ' ostina a trovare o a stabilir tra loro le relazioni più impensate . Ogni vero umorista non è soltanto poeta , è anche critico , ma si badi - un critico sui generis , un critico fantastico : e dico fantastico non solamente nel senso di bizzarro o di capriccioso , ma anche nel senso estetico della parola , quantunque possa sembrare a prima giunta una contradizione in termini . Ma è proprio così ; e però ho sempre parlato di una speciale attività della riflessione . Questo apparirà chiaro quando si pensi che se , indubbiamente , una innata o ereditata malinconia , le tristi vicende , un ' amara esperienza della vita , o anche un pessimismo o uno scetticismo acquisito con lo studio e con la considerazione su le sorti dell ' umana esistenza , sul destino degli uomini , ecc . possono determinare quella particolar disposizione d ' animo che si suol chiamare umoristica , questa disposizione poi , da sola , non basta a creare un ' opera d ' arte . Essa non è altro che il terreno preparato : l ' opera d ' arte è il germe che cadrà in questo terreno , e sorgerà , e si svilupperà nutrendosi dell ' umore di esso , togliendo cioè da esso condizione e qualità . Ma la nascita e lo sviluppo di questa pianta debbono essere spontanei . Apposta il germe non cade se non nel terreno preparato a riceverlo , ove meglio cioè può germogliare . La creazione dell ' arte è spontanea : non è composizione esteriore , per addizione d ' elementi di cui si siano studiati i rapporti : di membra sparse non si compone un corpo vivo , innestando , combinando . Un ' opera d ' arte , in somma , è , in quanto è ” ingenua ” ; non può essere il risultato della riflessione cosciente . La riflessione , dunque , di cui io parlo , non è un ' opposizione del cosciente verso lo spontaneo ; è una specie di projezione della stessa attività fantastica : nasce dal fantasma , come l ' ombra dal corpo ; ha tutti i caratteri della “ ingenuità ” o natività spontanea ; è nel germe stesso della creazione , e spira in fatti da essa ciò che ho chiamato il sentimento del contrario . Ben per questo ho soggiunto che l ' umorismo potrebbe dirsi un fenomeno di sdoppiamento nell ' atto della concezione . La concezione dell ' opera d ' arte non è altro , in fondo , che una forma dell ' organamento delle immagini . L ' idea dell ' artista non è un ' idea astratta ; è un sentimento , che divien centro della vita interiore , si impadronisce dello spirito , l ' agita e , agitandolo , tende a crearsi un corpo d ' immagini . Quando un sentimento scuote violentemente lo spirito , d ' ordinario , si svegliano tutte le idee , tutte le immagini che son con esso in accordo : qui , invece , per la riflessione inserta nel germe del sentimento , come un vischio maligno , si sveglian le idee e le immagini in contrasto . E la condizione , è la qualità che prende il germe , cadendo nel terreno che abbiamo più su descritto : gli s ' inserisce il vischio della riflessione ; e la pianta sorge e si veste d ' un verde estraneo e pur con essa connaturato . A questo punto si fa avanti il Croce con tutta la forza della sua logica raccolta in un cosicché , per inferire da quanto ho detto più su , ch ' io contrappongo arte e umorismo . E si domanda : “ Vuol egli dire che l ' umorismo non è arte , o che esso è più che arte ? E , in questo caso , che cosa è mai ? Riflessione sull ' arte , e cioè critica d ' arte ? Riflessione sulla vita , e cioè filosofia della vita ? O una forma sui generis dello spirito , che i filosofi , finora , non hanno conosciuta ? Il P . , se l ' ha scoperta lui , avrebbe dovuto , a ogni modo , dimostrarla , assegnarle un posto , dedurla e farne intendere la connessione con le altre forme dello spirito . Il che non ha fatto , limitandosi ad affermare che l ' umorismo è l ' opposto dell ' arte ” . Io mi guardo attorno sbalordito . Ma dove , ma quando mai ho affermato questo ? Qui sta tra due : o io non so scrivere , o il Croce non sa leggere . Come c ' entra la riflessione sull ' arte che è critica d ' arte , e la riflessione sulla vita che è filosofia della vita ? Io ho detto che ordinariamente , in generale , nella concezione d ' un ' opera d ' arte , cioè mentre uno scrittore la concepisce , la riflessione ha un ufficio che ho cercato di determinare , per poi venire a determinare quale speciale attività essa assuma , non già sull ' opera d ' arte , ma in quella speciale opera d ' arte che si chiama umoristica . Ebbene , perciò l ' umorismo non è arte , o è più che arte ? Chi lo dice ? Lo dice lui , il Croce , perché vuol dirlo , non perché io non mi sia espresso chiaramente , dimostrando . che è arte con questo particolar carattere , e chiarendo da che cosa le provenga , cioè da questa speciale attività della riflessione , la quale scompone l ' immagine creata da un primo sentimento per far sorgere da questa scomposizione e presentarne un altro contrario , come appunto s ' è veduto dagli esempii recati e da tutti gli altri che avrei potuto recare , esaminando a una a una le più celebrate opere umoristiche . Non vorrei ammettere un ' ipotesi quanto mai ingiuriosa per il Croce , che cioè egli creda che un ' opera d ' arte si componga come un qualunque pasticcio con tanto d ' uova , tanto di farina , tanto di questo o di quell ' altro ingrediente , che si potrebbe anche mettere o lasciar fuori . Ma pur troppo mi vedo costretto da lui stesso ad ammettere una siffatta ipotesi , quand ' egli “ per farmi toccare con mano che l ' umorismo come arte non si può distinguere dalla restante arte ” pone questi due casi circa alla riflessione , di cui io secondo lui vorrei fare carattere distintivo dell ' arte umoristica , quasi che fosse lo stesso dire così , in generale , la riflessione e parlare com ' io faccio , d ' una speciale attività della riflessione , più come processo intimo , immancabile nell ' atto della concezione e della creazione di tali opere , che come carattere distintivo che per forza debba mostrarsi . Ma lasciamo andare . Pone , dicevo , questi due casi : che cioè , la riflessione “ o entra come componente nella materia dell ' opera dell ' arte e , in questo caso , tra l ' umorismo e la commedia ( o la tragedia o la lirica , e via dicendo ) , non vi ha differenza alcuna , giacché in tutte le opere d ' arte entra , o può entrare , il pensiero e la riflessione ; ovvero rimane estrinseca all ' opera d ' arte , e allora si avrà critica e non mai arte , e neppure arte umoristica ” . È chiaro . Il pasticcio ! Recipe : tanto di fantasia , tanto di sentimento , tanto di riflessione ; impasta e avrai una qualunque opera d ' arte , perché nella composizione di una qualunque opera d ' arte possono entrare tutti quegli ingredienti , e anche altri . Ma domando io : come c ' entra questo pasticcio , questa composizione d ' elementi come materia dell ' opera d ' arte , qualunque e comunque sia , con quello che io ho detto più su e che ho fatto vedere , punto per punto , parlando per esempio del Sant ' Ambrogio del Giusti , quando ho mostrato come la riflessione , inserendosi come un vischio nel primo sentimento del poeta , che è d ' odio verso quei soldatacci stranieri , generò a poco a poco il contrario del sentimento di prima ? E forse perché questa riflessione , sempre vigile e specchiante in ogni artista durante la creazione , non segue qua il primo sentimento , ma a un certo punto gli s ' oppone , diventa perciò estrinseca all ' opera d ' arte , diventa perciò critica ? Io parlo d ' una attività intrinseca della riflessione , e non della riflessione come materia componente dell ' opera d ' arte . È chiaro ! E non è credibile che il Croce non l ' intenda . Non vuole intenderlo . E ne è prova quel suo voler far credere che siano imprecise le mie distinzioni e che io le ripeta e le modifichi e le temperi di continuo e che , quando altro non sappia , ricorra alle immagini ; mentre invece negli esempii ch ' egli cita di queste mie pretese ripetizioni e modificazioni e soccorrevoli immagini , sfido chiunque a scoprire il minimo disaccordo , la minima modificazione , il minimo temperamento della prima asserzione , e non piuttosto una più chiara spiegazione , una più precisa immagine ; sfido chiunque a riconoscere con lui il mio imbarazzo , poiché i concetti , a suo dire , mi si sformano tra mano quando li prendo per porgerli altrui . Tutto questo è veramente pietoso . Ma tanto può sul Croce ciò che una volta egli s ' è lasciato dire : che cioè dell ' umorismo non si debba , né si possa parlare . Andiamo avanti . IV Per spiegarci la ragione del contrasto tra la riflessione e il sentimento , dobbiamo penetrar nel terreno in cui il germe cade , voglio dire nello spirito dello scrittore umorista . Che se la disposizione umoristica per sé sola non basta , perché ci vuole il germe della creazione , questo germe poi si nutre dell ' umore che trova . Lo stesso Lipps che vede tre modi d ' essere dell ' umore , cioè : a ) l ' umore , come disposizione , o modo di considerar le cose ; b ) l ' umore , come rappresentazione ; c ) l ' umore obiettivo ; conclude poi che in verità l ' umore è soltanto in chi lo ha : soggettivismo e oggettivismo non sono altro che un diverso atteggiamento dello spirito nell ' atto della rappresentazione . La rappresentazione cioè dell ' umore , che è sempre in chi lo ha , può essere atteggiata in due modi : subiettivamente od obiettivamente . Quei tre modi d ' essere si presentano al Lipps perché egli limita e determina eticamente la ragione dell ' umorismo , il quale è per lui , come abbiamo già veduto , superamento del comico attraverso il comico stesso . Sappiamo che cosa egli intenda per superamento . Io , secondo lui , ho umore , quando : “ ich selbst bin der Erhabene , der sich Behauptende , der Träger des Vernünftigen oder Sittlichen . Als dieser Erhabene , oder im Lichte dieses Erhabenen betrachte ich die Welt . Ich finde in ihr Komisches und gehe betrachtend in die Komik ein . Ich gewinne aber schliesslich mich selbst , oder das Erhabene in mir , erhöht , befestigt , gesteigert wieder ” . Ora questa per noi è una considerazione assolutamente estranea , prima di tutto , e poi anche unilaterale . Togliendo alla formula il valore etico , l ' umorismo poi con essa riman considerato , se mai , nel suo effetto , non nella causa . Per noi tanto il comico quanto il suo contrario , sono nella disposizione d ' animo stessa ed insiti nel processo che ne risulta . Nella sua anormalità , non può esser che amaramente comica la condizione d ' un uomo che si trova ad esser sempre quasi fuori di chiave , ad essere a un tempo violino e contrabbasso ; d ' un uomo a cui un pensiero non può nascere , che subito non gliene nasca un altro opposto , contrario ; a cui per una ragione ch ' egli abbia di dir sì , subito un ' altra e due e tre non ne sorgano che lo costringono a dir no ; e tra il sì e il no lo tengan sospeso , perplesso , per tutta la vita ; d ' un uomo che non può abbandonarsi a un sentimento , senza avvertir subito qualcosa dentro che gli fa una smorfia e lo turba e lo sconcerta e lo indispettisce . Questo stesso contrasto , che è nella disposizione dell ' animo , si scorge nelle cose e passa nella rappresentazione . È una speciale fisionomia psichica , a cui è assolutamente arbitrario attribuire una causa determinante ; può esser frutto d ' una esperienza amara della vita e degli uomini , d ' una esperienza che se , da un canto , non permette più al sentimento ingenuo di metter le ali e di levarsi come un ' allodola perché lanci un trillo nel sole , senza ch ' essa la trattenga per la coda nell ' atto di spiccare il volo , dall ' altro induce a riflettere che la tristizia degli uomini si deve spesso alla tristezza della vita , ai mali di cui essa è piena e che non tutti sanno o possono sopportare ; induce a riflettere che la vita , non avendo fatalmente per la ragione umana un fine chiaro e determinato , bisogna che , per non brancolar nel vuoto , ne abbia uno particolare , fittizio , illusorio , per ciascun uomo , o basso o alto ; poco importa , giacché non è , né può essere il fine vero , che tutti cercano affannosamente e nessuno trova , forse perché non esiste . Quel che importa è che si dia importanza a qualche cosa , e sia pur vana : varrà quanto un ' altra stimata seria , perché in fondo né l ' una né l ' altra daranno soddisfazione : tanto è vero che durerà sempre ardentissima la sete di sapere , non si estinguerà mai la facoltà di desiderare , e non è detto pur troppo che nel progresso consista la felicità degli uomini . Tutte le finzioni dell ' anima , tutte le creazioni del sentimento vedremo esser materia dell ' umorismo , vedremo cioè la riflessione diventar come un demonietto che smonta il congegno d ' ogni immagine , d ' ogni fantasma messo su dal sentimento ; smontarlo per veder com ' è fatto ; scaricarne la molla , e tutto il congegno striderne , convulso . Può darsi che questo faccia talvolta con quella simpatica indulgenza di cui parlan coloro che vedono soltanto un umorismo bonario . Ma non c ' è da fidarsene , perché se la disposizione umoristica ha talvolta questo di particolare , cioè questa indulgenza , questo compatimento o anche questa pietà , bisogna pensare che esse son frutto della riflessione che si è esercitata sul sentimento opposto ; sono un sentimento del contrario nato dalla riflessione su quei casi , su quei sentimenti , su quegli uomini , che provocano nello stesso tempo lo sdegno , il dispetto , l ' irrisione dell ' umorista , il quale è tanto sincero in questo dispetto , in questa irrisione , in questo sdegno , quanto in quell ' indulgenza , in quel compatimento , in quella pietà . Se così non fosse , si avrebbe non più l ' umorismo vero e proprio , ma l ' ironia , che deriva come abbiamo veduto da una contradizione soltanto verbale , da un infingimento retorico , affatto contrario alla natura dello schietto umorismo . Ogni sentimento , ogni pensiero , ogni moto che sorga nell ' umorista si sdoppia subito nel suo contrario : ogni sì in un no , che viene in fine ad assumere lo stesso valore del sì . Magari può fingere talvolta l ' umorista di tenere soltanto da una parte : dentro intanto gli parla l ' altro sentimento che pare non abbia il coraggio di rivelarsi in prima ; gli parla e comincia a muovere ora una timida scusa , ora un ' attenuante , che smorzano il calore del primo sentimento , ora un ' arguta riflessione che ne smonta la serietà e induce a ridere . Così avviene che noi dovremmo tutti provar disprezzo e indignazione per don Abbondio , per esempio , e stimar ridicolissimo e spesso un matto da legare Don Quijote ; eppure siamo indotti al compatimento , finanche alla simpatia per quello , e ad ammirare con infinita tenerezza le ridicolaggini di questo , nobilitate da un ideale così alto e puro . Dove sta il sentimento del poeta ? Nel disprezzo o nel compatimento per don Abbondio ? Il Manzoni ha un ideale astratto , nobilissimo della missione del sacerdote su la terra , e incarna questo ideale in Federigo Borromeo . Ma ecco la riflessione , frutto della disposizione umoristica , suggerire al poeta che questo ideale astratto soltanto per una rarissima eccezione può incarnarsi e che le debolezze umane sono pur tante . Se il Manzoni avesse ascoltato solamente la voce di quell ' ideale astratto , avrebbe rappresentato don Abbondio in modo che tutti avrebbero dovuto provar per lui odio e disprezzo , ma egli ascolta entro di sé anche la voce delle debolezze umane . Per la naturale disposizione dello spirito , per l ' esperienza della vita , che gliel ' ha determinata , il Manzoni non può non sdoppiare in germe la concezione di quell ' idealità religiosa , sacerdotale : e tra le due fiamme accese di Fra Cristoforo e del Cardinal Federigo vede , terra terra , guardinga e mogia , allungarsi l ' ombra di don Abbondio . E si compiace a un certo punto di porre a fronte , in contrasto , il sentimento attivo , positivo , e la riflessione negativa ; la fiaccola accesa del sentimento e l ' acqua diaccia della riflessione ; la predicazione alata , astratta , dell ' altruismo , per veder come sì smorzi nelle ragioni pedestri e concrete dell ' egoismo . Federigo Borromeo domanda a don Abbondio : “ E quando vi siete presentato alla Chiesa per addossarvi codesto ministero , v ' ha essa fatto sicurtà della vita ? V ' ha detto che i doveri annessi al ministero fossero liberi da ogni ostacolo , immuni da ogni pericolo ? O v ' ha detto forse che dove cominciasse il pericolo , ivi cesserebbe il dovere ? O non v ' ha espressamente detto il contrario ? Non v ' ha avvertito che vi mandava come un agnello tra i lupi ? Non sapevate voi che c ' eran de ' violenti , a cui potrebbe dispiacere ciò che a voi sarebbe comandato ? Quello da Cui abbiam la dottrina e l ' esempio , ad imitazione di Cui ci lasciam nominare e ci nominiamo pastori , venendo in terra a esercitarne l ' uffizio , mise forse per condizione d ' aver salva la vita ? E per salvarla , per conservarla , dico , qualche giorno di più sulla terra , a spese della carità e del dovere , c ' era bisogno dell ' unzione santa , della imposizion delle mani , della grazia del sacerdozio ? Basta il mondo a dar questa virtù , a insegnar questa dottrina . Che dico ? oh vergogna ! il mondo stesso la rifiuta : il mondo fa anch ' esso le sue leggi , che prescrivono il male come il bene ; ha il suo vangelo anch ' esso , un vangelo di superbia e d ' odio ; e non vuol che si dica che l ' amore della vita sia una ragione per trasgredire i comandamenti . Non lo vuole ed è ubbidito ! E noi ! noi figli e annunziatori della promessa ! Che sarebbe la Chiesa se codesto vostro linguaggio fosse quello di tuttii vostri confratelli ? Dove sarebbe , se fosse comparsa nel mondo con codeste dottrine ? ” . Don Abbondio ascolta questa lunga e animosa predica a capo basso . Il Manzoni dice che lo spirito di lui “ si trovava tra quegli argomenti , come un pulcino negli artigli del falco , che lo tengono sollevato in una regione sconosciuta , in un ' aria che non ha mai respirata ” . Il paragone è bello , quantunque a qualcuno l ' idea di rapacità e di fierezza che è nel falco sia sembrata poco conveniente al Cardinal Federigo . L ' errore , secondo me , non è tanto nella maggiore o minor convenienza del paragone , quanto nel paragone stesso , per amore del quale il Manzoni , volendo rifar la tavoletta d ' Esiodo , s ' è forse lasciato andare a dir quello che non doveva . Si trovava don Abbondio veramente sollevato in una regione sconosciuta tra quegli argomenti del Cardinal Borromeo ? Ma il paragone dell ' agnello tra i lupi si legge nel Vangelo di Luca , dove Cristo dice appunto agli apostoli : “ Ecco , io mando voi come agnelli tra i lupi ” . E chi sa quante volte dunque don Abbondio lo aveva letto ; come in altri libri chi sa quante volte aveva letto quegli ammonimenti austeri ; quelle considerazioni elevate . E diciamo di più : forse lo stesso don Abbondio , in astratto , parlando , predicando della missione del sacerdote , avrebbe detto su per giù le stesse cose . Tanto vero che , in astratto , egli le intende benissimo : Monsignore illustrissimo , avrò torto , risponde infatti ; ma s ' affretta a soggiungere : Quando la vita non si deve contare , non so cosa mi dire . E allorché il Cardinale insiste : E non sapete voi che il soffrire per la giustizia è il nostro vincere ? E se non sapete questo , che cosa predicate ? di che siete maestro ? qual è la buona nuova che annunziate ai poveri ? Chi pretende da voi che vinciate la forza con la forza ? Certo non vi sarà domandato , un giorno , se abbiate saputo fare stare a dovere i potenti ; ché a questo non vi fu dato né missione , né modo . Ma vi sarà ben domandato se avrete adoprati i mezzi ch ' erano in vostra mano per far ciò che v ' era prescritto , anche quando avessero la temerità di proibirvelo . Anche questi santi son curiosi , pensa don Abbondio : in sostanza , a spremerne il sugo , gli stanno più a cuore gli amori di due giovani , che la vita d ' un povero sacerdote . E poiché il cardinale è rimasto in atto di chi aspetti una risposta , risponde : Torno a dire , monsignore , che avrò torto io ... Il coraggio , uno non se lo può dare . Il che significa appunto : Sissignore , ragionando astrattamente , la ragione è dalla parte di Vossignoria Illustrissima ; il torto sarà mio . Però Vossignoria Illustrissima parla bene , ma quelle facce le ho viste io , le ho sentite io quelle parole . E perché dunque , gli domanda in fine il Cardinale , vi siete voi impegnato in un ministero che v ' impone di stare in guerra con le passioni del secolo ? Oh , il perché noi lo sappiamo bene : il Manzoni stesso ce l ' ha detto fin da principio ; ce l ' ha voluto dire e poteva anche farne a meno : don Abbondio , non nobile , non ricco , coraggioso ancor meno , s ' era accorto , prima quasi di toccare gli anni della discrezione , d ' essere , in quella società , come un vaso di terra cotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro . Aveva quindi , assai di buon grado , ubbidito ai parenti , che lo vollero prete . Per dir la verità , non aveva gran fatto pensato agli obblighi e ai nobili fini del ministero al quale si dedicava : procacciarsi di che vivere con qualche agio e mettersi in una classe privilegiata e forte , gli eran sembrate due ragioni più che sufficienti per una tale scelta . In lotta dunque con le passioni del secolo ? Ma se egli s ' è fatto prete per guardarsi appunto dagli urti di quelle passioni e col suo sistema particolare di scansar tutti i contrasti ! Bisogna pure ascoltare , signori miei , le ragioni del coniglio ! Io immaginai una volta che alla tana della volpe , o di Messer Renardo , com ' essa si suol chiamare nel mondo delle favole , accorressero a una a una tutte le bestie per la notizia che tra loro s ' era sparsa di certe controfavole che la volpe avesse in animo di comporre in risposta a tutte quelle che da tempo immemorabile gli uomini compongono , e da cui esse bestie han forse motivo di sentirsi calunniate . E tra le altre alla tana di Messer Renardo veniva il coniglio a protestare contro gli uomini che lo chiamano pauroso , e diceva : “ Ma ben vi so dire per conto mio , Messer Renardo , che topi e lucertole e uccelli e grilli e tant ' altre bestiole ho sempre messo in fuga , le quali , se voi domandaste loro che concetto abbiano di me , chi sa che cosa vi risponderebbero , non certo che io sia una bestia paurosa . a che forse pretenderebbero gli uomini che al loro cospetto io mi rizzassi su due piedi e movessi loro incontro per farmi prendere e uccidere ? Io credo veramente , Messer Renardo , che per gli uomini non debba correre alcuna differenza tra eroismo e imbecillità ! ” Ora , io non nego , don Abbondio è un coniglio . Ma noi sappiamo che Don Rodrigo , se minacciava , non minacciava invano , sappiamo che pur di spuntare l ' impegno egli era veramente capace di tutto ; sappiamo che tempi eran quelli , e possiamo benissimo immaginare che a don Abbondio , se avesse sposato Renzo e Lucia , una schioppettata non gliel ' avrebbe di certo levata nessuno , e che forse Lucia , sposa soltanto di nome , sarebbe stata rapita , uscendo dalla chiesa , e Renzo anch ' egli ucciso . A che giovano l ' intervento , il suggerimento di Fra Cristoforo ? Non è rapita Lucia dal monastero di Monza ? C ' è la lega dei birboni , come dice Renzo . Per scioglier quella matassa ci vuol la mano di Dio ; non per modo di dire , la mano di Dio propriamente . Che poteva fare un povero prete ? Pauroso , sissignori , don Abbondio ; e il De Sanctis ha dettato alcune pagine meravigliose esaminando il sentimento della paura nel povero curato ; ma non ha tenuto conto di questo , perbacco : che il pauroso è ridicolo , è comico , quando si crea rischi e pericoli immaginarci : ma quando un pauroso ha veramente ragione d ' aver paura , quando vediamo preso , impigliato in un contrasto terribile , uno che per natura e per sistema vuole scansar tutti i contrasti , anche i più lievi , e che in quel contrasto terribile per suo dovere sacrosanto dovrebbe starci , questo pauroso non è più comico soltanto . Per quella situazione non basta neanche un eroe come Fra Cristoforo , che va ad affrontare il nemico nel suo stesso palazzotto ! Don Abbondio non ha il coraggio del proprio dovere ; ma questo dovere , dalla nequizia altrui , è reso difficilissimo , e però quel coraggio è tutt ' altro che facile ; per compierlo ci vorrebbe un eroe . Al posto d ' un eroe troviamo don Abbondio . Noi non possiamo , se non astrattamente , sdegnarci di lui , cioè se in astratto consideriamo il ministero del sacerdote . Avremmo certamente ammirato un sacerdote eroe che , al posto di don Abbondio , non avesse tenuto conto della minaccia e del pericolo e avesse adempiuto il dovere del suo ministero . Ma non possiamo non compatire don Abbondio , che non è l ' eroe che ci sarebbe voluto al suo posto , che non solo non ha il grandissimo coraggio che ci voleva ; ma non ne ha né punto né poco ; e il coraggio , uno non se lo può dare ! Un osservatore superficiale terrà conto del riso che nasce dalla comicità esteriore degli atti , dei gesti , delle frasi reticenti ecc . di don Abbondio , e lo chiamerà ridicolo senz ' altro , o una figura semplicemente comica . Ma chi non si contenta di queste superficialità e sa veder più a fondo , sente che il riso qui scaturisce da ben altro , e non è soltanto quello della comicità . Don Abbondio è quel che si trova in luogo di quello che ci sarebbe voluto . Ma il poeta non si sdegna di questa realtà che trova , perché , pur avendo , come abbiamo detto , un ideale altissimo della missione del sacerdote su la terra , ha pure in sé la riflessione che gli suggerisce che quest ' ideale non si incarna se non per rarissima eccezione , e però lo obbliga a limitare quell ' ideale , come osserva il De Sanctis . Ma questa limitazione dell ' ideale che cos ' è ? è l ' effetto appunto della riflessione che , esercitandosi su quest ' ideale , ha suggerito al poeta il sentimento del contrario . E don Abbondio è appunto questo sentimento del contrario oggettivato e vivente ; e però non è comico soltanto , ma schiettamente e profondamente umoristico . Bonarietà ? Simpatica indulgenza ? Andiamo adagio : lasciamo star codeste considerazioni , che sono in fondo estranee e superficiali , e che , a volerle approfondire , c ' è il rischio che ci facciano anche qui scoprire il contrario . Vogliamo vederlo ? Sì , ha compatimento il Manzoni per questo pover ' uomo di don Abbondio ; ma è un compatimento , signori miei , che nello stesso tempo ne fa strazio , necessariamente . In fatti , solo a patto di riderne e di far rider di lui , egli può compatirlo e farlo compatire , commiserarlo e farlo commiserare . Ma , ridendo di lui e compatendolo nello stesso tempo , il poeta viene anche a ridere amaramente di questa povera natura umana inferma di tante debolezze ; e quanto più le considerazioni pietose si stringono a proteggere il povero curato , tanto più attorno a lui s ' allarga il discredito del valore umano . Il poeta , in somma , ci induce ad aver compatimento del povero curato , facendoci riconoscere che è pur umano , di tutti noi , quel che costui sente e prova , a passarci bene la mano su la coscienza . E che ne segue ? Ne segue che se , per sua stessa virtù , questo particolare divien generale , se questo sentimento misto di riso o di pianto , quanto più si stringe e determina in don Abbondio , tanto più si allarga e quasi vapora in una tristezza infinita , . ne segue , dicevamo , che a voler considerare da questo lato la rappresentazione del curato manzoniano , noi non sappiamo più riderne . Quella pietà , in fondo , è spietata : la simpatica indulgenza non è così bonaria come sembra a tutta prima . Gran cosa come si vede , avere un ideale religioso , come il Manzoni ; cavalleresco , come il Cervantes per vederselo poi ridurre dalla riflessione in don Abbondio e in Don Quijote ! Il Manzoni se ne consola , creando accanto al curato di villaggio Fra Cristoforo e il Cardinal Borromeo ; ma è pur vero che , essendo egli sopra tutto umorista , la creatura sua più viva è quell ' altra , quella cioè in cui il sentimento del contrario s ' è incarnato . Il Cervantes non può consolarsi in alcun modo perché , nella carcere della Mancha , con Don Quijote come egli stesso dice genera qualcuno che gli somiglia . V È un considerar superficialmente , abbiamo detto , e da un lato solo l ' umorismo , il vedere in esso un particolar contrasto tra l ' ideale e la realtà . Un ideale può esserci , ripetiamo ; questo dipende dalla personalità del poeta ; ma se c ' è , ecco , è per vedersi decomposto , limitato , rappresentato a questo modo . Certamente , come tutti gli altri elementi costitutivi dello spirito d ' un poeta , esso entra e si fa sentire nell ' opera umoristica , le dà un particolar carattere , un particolar sapore ; ma non è condizione imprescindibile : tutt ' altro ! ché anzi è proprio dell ' umorista , per la speciale attività che assume in lui la riflessione , generando il sentimento del contrario , il non saper più da qual parte tenere , la perplessità , lo stato irresoluto della coscienza . E quest ' appunto distingue nettamente l ' umorista dal comico , dall ' ironico , dal satirico . Non nasce in questi altri il sentimento del contrario ; se nascesse , sarebbe reso amaro , cioè non più comico , il riso provocato nel primo dall ' avvertimento di una qualsiasi anormalità ; la contradizione che nel secondo è soltanto verbale , tra quel che si dice e quel che si vuole sia inteso , diventerebbe effettiva , sostanziale , e dunque non più ironica ; e cesserebbe lo sdegno o , comunque , l ' avversione della realtà che è ragione d ' ogni satira . Non che all ' umorista però piaccia la realtà ! Basterebbe questo soltanto , che per poco gli piacesse , perché , esercitandosi la riflessione su questo suo piacere , glielo guastasse . Questa riflessione s ' insinua acuta e sottile da per tutto e tutto scompone : ogni immagine del sentimento , ogni finzione ideale , ogni apparenza della realtà , ogni illusione . Il pensiero dell ' uomo , diceva Guy de Maupassant “ tourne comme une mouche dans une bouteille ” . Tutti i fenomeni , o sono illusorii , o la ragione di essi ci sfugge , inesplicabile . Manca affatto alla nostra conoscenza del mondo e di noi stessi quel valore obiettivo che comunemente presumiamo di attribuirle . È una costruzione illusoria continua . Vogliamo assistere alla lotta tra l ' illusione , che s ' insinua anch ' essa da per tutto e costruisce a suo modo ; e la riflessione umoristica che scompone a una a una quelle costruzioni ? Cominciamo da quella che l ' illusione fa a ciascuno di noi , dalla costruzione cioè che ciascuno per opera dell ' illusione si fa di sé stesso . Ci vediamo noi nella nostra vera e schietta realtà , quali siamo , o non piuttosto quali vorremmo essere ? Per uno spontaneo artificio interiore , frutto di segrete tendenze o d ' incosciente imitazione , non ci crediamo noi in buona fede diversi da quel che sostanzialmente siamo ? E pensiamo , operiamo , viviamo secondo questa interpretazione fittizia e pur sincera di noi stessi . Ora la riflessione , si , può scoprire tanto al comico e al satirico quanto all ' umorista questa costruzione illusoria . Ma il comico ne riderà solamente , contentandosi di sgonfiar questa metafora di noi stessi messa su dall ' illusione spontanea ; il satirico se ne sdegnerà ; l ' umorista , no : attraverso il ridicolo di questa scoperta vedrà il lato serio e doloroso ; smonterà questa costruzione , ma non per riderne solamente ; e in luogo di sdegnarsene , magari , ridendo , compatirà . Il comico e il satirico sanno dalla riflessione quanta bava tragga dalla vita sociale il ragno dell ' esperienza per comporre la ragna della mentalità in questo e in quell ' individuo , e come in questa ragna resti spesso avviluppato ciò che si chiama il senso morale . Che cosa sono , in fondo , i rapporti sociali della così detta convenienza ? Considerazioni di calcolo , nelle quali la moralità è quasi sempre sacrificata . L ' umorista va più addentro , e ride senza sdegnarsi scoprendo come , anche ingenuamente , con la massima buona fede , per opera d ' una finzione spontanea , noi siamo indotti a interpretar come vero riguardo , come vero sentimento morale , in sé , ciò che non è altro , in realtà , se non riguardo o sentimento di convenienza , cioè di calcolo . E va anche più in là , e scopre che può diventar convenzionale finanche il bisogno d ' apparir peggiori di quello che si è realmente , se l ' essere aggregati a un qualsiasi gruppo sociale importi che si manifestino idealità e sentimenti che sono proprii a quel gruppo , e che tuttavia a chi vi partecipa appariscono contrarii e inferiori al proprio intimo sentimento ( mi avvalgo qui di alcune acute considerazioni contenute nel libro di Giovanni Marchesini , Le finzioni dell ' anima , Bari , Gius . Laterza e figli , 1905 ) . La conciliazione delle tendenze stridenti , dei sentimenti ripugnanti , delle opinioni contrarie , sembra più attuabile su le basi d ' una comune menzogna , che non su la esplicita e dichiarata tolleranza del dissenso e del contrasto ; sembra , in somma , che la menzogna debba ritenersi più vantaggiosa della veracità , in quanto quella può unire , laddove questa divide ; il che non impedisce che , mentre la menzogna è tacitamente scoperta e riconosciuta , si assuma poi a garanzia della sua efficacia associatrice la veracità stessa , facendosi apparire come sincerità l ' ipocrisia . La ritenutezza , il riserbo , il lasciar credere più di quanto si dica o si faccia , il silenzio stesso non scompagnato dalla sapienza dei segni che lo giustifichi oh , indimenticabile Conte Zio del Consiglio segreto , sono arti che si usano di frequente nella pratica della vita ; e cosa pure il non dare occasione che si osservi ciò che si pensa , il lasciar credere che si pensi meno di quanto si pensa effettivamente , il pretendere di essere creduti differenti da ciò che in fondo si è : “ Un parlare ambiguo , un tacere significativo , un restare a mezzo , uno stringere d ' occhi che esprimeva : non posso parlare ; un lusingare senza promettere , un minacciar in cerimonia ; tutto era diretto a quel fine ; e tutto , o più o meno , tornava in prò . A segno che fino un : io non posso niente in questo affare , detto talvolta per la pura verità , ma detto in modo che non gli era creduto , serviva ad accrescere il concetto , e quindi la realtà , del suo potere : come quelle scatole che si vedono ancora in qualche bottega di speziale , con su certe parole arabe , e dentro non c ' è nulla : ma servono per mantenere il credito alla bottega ” . Notava il Rousseau nell ' Émile : “ Si può fare ciò che si è fatto e non si doveva fare . Poiché un interesse maggiore può far sì che si violi una promessa che si era fatta per un interesse minore , ciò che importa è che la violazione avvenga impunemente . Il mezzo a questo fine è la menzogna , che può essere di due specie , potendo riguardare il passato , onde ci si dichiara autori di ciò che in realtà non facemmo , o essendone autori dichiariamo di non essere ; e potendo riguardare il futuro , come avviene quando ci facciamo promesse che si ha in animo di non mantenere . E evidente che la menzogna , nell ' uno e nell ' altro caso , sorge dai rapporti della convenienza , come mezzo a conservar l ' altrui benevolenza e ad accaparrarsi l ' altrui soccorso ” . Quanto più difficile è la lotta per la vita , e più è sentita in questa lotta la propria debolezza , tanto maggiore si fa poi il bisogno del reciproco inganno . La simulazione della forza , dell ' onestà , della simpatia , della prudenza , in somma , d ' ogni virtù massima della veracità , è una forma d ' adattamento , un abile strumento di lotta . L ' umorista coglie subito queste varie simulazioni per la lotta della vita ; si diverte a smascherarle ; non se n ' indigna : è così ! E mentre il sociologo descrive la vita sociale qual ' essa risulta dalle osservazioni esterne , l ' umorista armato del suo arguto intuito dimostra , rivela come le apparenze siano profondamente diverse dall ' essere intimo della coscienza degli associati . Eppure si mentisce psicologicamente come si mentisce socialmente . E il mentire a noi stessi , vivendo coscientemente solo la superficie del nostro essere psichico , è un effetto del mentire sociale . L ' anima che riflette sé stessa è un ' anima solitaria ; ma non è mai tanta la solitudine interiore che non penetrino nella coscienza le suggestioni della vita comune , con gl ' infingimenti e le arti trasfigurative che la caratterizzano . Vive nell ' anima nostra l ' anima della razza o della collettività di cui siamo parte ; e la pressione dell ' altrui modo di giudicare , dell ' altrui modo di sentire e di operare , è risentita da noi inconsciamente : e come dominano nel mondo sociale la simulazione e la dissimulazione , tanto meno avvertite quanto più sono divenute abituali , così simuliamo e dissimuliamo con noi medesimi , sdoppiandoci e spesso anche moltiplicandoci . Risentiamo noi stessi quella vanità di parer diversi da ciò che si è , che è forma consustanziata nella vita sociale ; e rifuggiamo da quell ' analisi che , svelando la vanità , ecciterebbe il morso della coscienza e ci umilierebbe di fronte a noi stessi . Ma quest ' analisi la fa per noi l ' umorista , che si può dar pure l ' ufficio di smascherare tutte le vanità , e di rappresentar la società , come fa appunto il Thackeray , quale una Vanity Fair ( lo stesso ufficio si dà il Thackeray anche nel Libro degli Snobs e in quella “ Novella senza eroi , o vanità illuminate con le candele stesse dell ' autore ” ) . E l ' umorista sa bene che anche la pretesa della logicità supera spesso di gran lunga in noi la reale coerenza logica , e che se ci fingiamo logici teoreticamente , la logica dell ' azione può smentire quella del pensiero , dimostrando che è una finzione il credere alla sua sincerità assoluta . L ' abitudine , l ' imitazione incosciente , la pigrizia mentale concorrono a crear l ' equivoco . E quand ' anche poi alla ragione rigorosamente logica si aderisca , poniamo , col rispetto e l ' amore verso determinati ideali , è sempre sincero il riferimento che facciamo di essi alla ragione ? E sempre nella ragione pura , disinteressata , la sorgente vera e unica della scelta degli ideali e della perseveranza nel coltivarli ? O invece non è più conforme alla realtà il sospettare che essi siano talora giudicati non già con un criterio obiettivo e razionale , ma piuttosto a seconda di speciali impulsi affettivi e di oscure tendenze ? Le barriere , i limiti che noi poniamo alla nostra coscienza , sono anch ' essi illusioni , sono le condizioni dell ' apparir della nostra individualità relativa ; ma , nella realtà , quei limiti non esistono punto . Non soltanto noi , quali ora siamo , viviamo in noi stessi , ma anche noi , quali fummo in altro tempo , viviamo tuttora e sentiamo e ragioniamo con pensieri e affetti già da un lungo oblio oscurati , cancellati , spenti nella nostra coscienza presente , ma che a un urto , a un tumulto improvviso dello spirito , possono ancora dar prova di vita , mostrando vivo in noi un altro essere insospettato . I limiti della nostra memoria personale e cosciente non sono limiti assoluti . Di là da quella linea vi sono memorie , vi sono percezioni e ragionamenti . Ciò che noi conosciamo di noi stessi , non è che una parte , forse una piccolissima parte di quello che noi siamo ( vedi nel libro di Alfredo Binet Les altérations de la personnalité quella rassegna di meravigliosi esperimenti psico - fisiologici , da cui queste e tant ' altre considerazioni si possono trarre , come notava già G . Negri nel libro Segni dei tempi ) . E tante e tante cose , in certi momenti eccezionali , noi sorprendiamo in noi stessi , percezioni , ragionamenti , stati di coscienza , che son veramente oltre i limiti relativi della nostra esistenza normale e cosciente . Certi ideali che crediamo ormai tramontati in noi e non più capaci d ' alcuna azione nel nostro pensiero , su i nostri affetti , sui nostri atti , forse persistono tuttavia , se non più nella forma intellettuale , pura , nel rostrato loro , costituito dalle tendenze affettive e pratiche . E possono essere motivi reali di azione certe tendenze da cui ci crediamo liberati , e non aver per l ' opposto efficacia pratica in noi , se non illusoria , credenze nuove che riteniamo di possedere veramente , intimamente . E appunto le varie tendenze che contrassegnano la personalità fanno pensare sul serio che non sia una l ' anima individuale . Come affermarla una , difatti , se passione e ragione , istinto e volontà , tendenze e idealità , costituiscono in certo modo altrettanti sistemi distinti e mobili , che fanno si che l ' individuo , vivendo ora l ' uno ora l ' altro di essi , ora qualche compromesso fra due o più orientamenti psichici , apparisca come se veramente in lui fossero più anime diverse e perfino opposte , più e opposte personalità ? Non c ' è uomo , osservò il Pascal , che differisca più da un altro che da sé stesso nella successione del tempo . La semplicità dell ' anima contradice al concetto storico dell ' anima umana . La sua vita è equilibrio mobile ; è un risorgere e un assopirsi continuo di affetti , di tendenze , di idee ; un fluttuare incessante fra termini contradittorii , e un oscillare fra poli opposti , come la speranza e la paura , il vero e il falso , il bello e il brutto , il giusto e l ' ingiusto e via dicendo . Se d ' un tratto si disegna nell ' immagine oscura dell ' avvenire un luminoso disegno d ' azione , o vagamente brilla il fiore del godimento , non tarda ad apparire , vindice dei diritti dell ' esperienza , il pensiero del passato , non di rado cupo e triste ; o interviene a infrenare la briosa fantasia il senso riottoso del presente . Questa lotta di ricordi , di speranze , di presentimenti , di percezioni , d ' idealità , può raffigurarsi come una lotta d ' anime fra loro , che si contrastino il dominio definitivo e pieno della personalità . Ecco un alto funzionario , che si crede , ed è , poveretto , in verità , un galantuomo . Domina in lui l ' anima morale . Ma un bel giorno , l ' anima istintiva , che è come la bestia originaria acquattata in fondo a ciascuno di noi , spara un calcio all ' anima morale , e quel galantuomo ruba . Oh , egli stesso , poveretto , egli per il primo , poco dopo , ne prova stupore , piange , domanda a sé stesso , disperato : Come , come mai ho potuto far questo ? Ma , sissignori , ha rubato . E quell ' altro là ? Uomo dabbene , anzi dabbenissimo : sissignori , ha ucciso . L ' idealità morale costituiva nella personalità di lui un ' anima che contrastava con l ' anima istintiva e pure in parte con quella affettiva o passionale ; costituiva un ' anima acquisita che lottava con l ' anima ereditaria , la quale , lasciata per un po ' libera a sé stessa , è riuscita ' d ' improvviso al furto , al delitto . La vita è un flusso continuo che noi cerchiamo d ' arrestare , di fissare in forme stabili e determinate , dentro e fuori di noi , perché noi già siamo forme fissate , forme che si muovono in mezzo ad altre immobili , e che però possono seguire il flusso della vita , fino a tanto che , irrigidendosi man mano , il movimento , già a poco a poco rallentato , non cessi . Le forme , in cui cerchiamo d ' arrestare , di fissare in noi questo flusso continuo , sono i concetti , sono gli ideali a cui vorremmo serbarci coerenti , tutte le finzioni che ci creiamo , le condizioni , lo stato in cui tendiamo a stabilirci . Ma dentro di noi stessi , in ciò che noi chiamiamo anima , e che è la vita in noi , il flusso continua , indistinto , sotto gli argini , oltre i limiti che noi imponiamo , componendoci una coscienza , costruendoci una personalità . In certi momenti tempestosi , investite dal flusso , tutte quelle nostre forme fittizie crollano miseramente ; e anche quello che non scorre sotto gli argini e oltre i limiti , ma che si scopre a noi distinto e che noi abbiamo con cura incanalato nei nostri affetti , nei doveri che ci siamo imposti , nelle abitudini che ci siamo tracciate , in certi momenti di piena straripa e sconvolge tutto . Vi sono anime irrequiete , quasi in uno stato di fusione continua , che sdegnano di rapprendersi , d ' irrigidirsi in questa o in quella forma di personalità . Ma anche per quelle più quiete , che si sono adagiate in una o in un ' altra forma , la fusione è sempre possibile : il flusso della vita è in tutti . E per tutti però può rappresentare talvolta una tortura , rispetto all ' anima che si muove e si fonde , il nostro stesso corpo fissato per sempre in fattezze immutabili . Oh perché proprio dobbiamo essere così , noi ? ci domandiamo talvolta allo specchio , con questa faccia , con questo corpo ? Alziamo una mano , nell ' incoscienza ; e il gesto ci resta sospeso . Ci pare strano che l ' abbiamo fatto noi . Ci vediamo vivere . Con quel gesto sospeso possiamo assomigliarci a una statua ; a quella statua d ' antico oratore , per esempio , che si vede in una nicchia , salendo per la scalinata del Quirinale . Con un rotolo di carta in mano , e l ' altra mano protesa a un sobrio gesto , come pare afflitto e meravigliato quell ' oratore antico d ' esser rimasto lì , di pietra , per tutti i secoli , sospeso in quell ' atteggiamento , dinanzi a tanta gente che è salita , che sale e salirà per quella scalinata ! In certi momenti di silenzio interiore , in cui l ' anima nostra si spoglia di tutte le finzioni abituali , e gli occhi nostri diventano più acuti e più penetranti , noi vediamo noi stessi nella vita , e in sé stessa la vita , quasi in una nudità arida , inquietante ; ci sentiamo assaltare da una strana impressione , come se , in un baleno , ci si chiarisse una realtà diversa da quella che normalmente percepiamo , una realtà vivente oltre la vista umana , fuori delle forme dell ' umana ragione . Lucidissimamente allora la compagine dell ' esistenza quotidiana , quasi sospesa nel vuoto di quel nostro silenzio interiore , ci appare priva di senso , priva di scopo ; e quella realtà diversa ci appare orrida nella sua crudezza impassibile e misteriosa , poiché tutte le nostre fittizie relazioni consuete di sentimenti e d ' immagini si sono scisse e disgregate in essa . Il vuoto interno si allarga , varca i limiti del nostro corpo , diventa vuoto intorno a noi , un vuoto strano , come un arresto del tempo e della vita , come se il nostro silenzio interiore si sprofondasse negli abissi del mistero . Con uno sforzo supremo cerchiamo allora di riacquistar la coscienza normale delle cose , di riallacciar con esse le consuete relazioni , di riconnetter le idee , di risentirci vivi come per l ' innanzi , al modo solito . Ma a questa coscienza normale , a queste idee riconnesse , a questo sentimento solito della vita non possiamo più prestar fede , perché sappiamo ormai che sono un nostro inganno per vivere e che sotto c ' è qualcos ' altro , a cui l ' uomo non può affacciarsi , se non a costo di morire o d ' impazzire . È stato un attimo ; ma dura a lungo in noi l ' impressione di esso , come di vertigine , con la quale contrasta la stabilità , pur così vana , delle cose : ambiziose o misere apparenze . La vita , allora , che s ' aggira piccola , solita , fra queste apparenze ci sembra quasi che non sia più per davvero , che sia come una fantasmagoria meccanica . E come darle importanza ? come portarle rispetto ? Oggi siamo , domani no . Che faccia ci hanno dato per rappresentar la parte del vivo ? Un brutto naso ? Che pena doversi portare a spasso un brutto naso per tutta la vita ... Fortuna che , a lungo andare , non ce n ' accorgiamo più . Se ne accorgono gli altri , è vero , quando noi siamo finanche arrivati a credere d ' avere un bel naso ; e allora non sappiamo più spiegarci perché gli altri ridano , guardandoci . Sono tanti sciocchi ! Consoliamoci guardando che orecchi ha quello e che labbra quell ' altro ; i quali non se n ' accorgono nemmeno e hanno il coraggio di ridere di noi . Maschere , maschere ... Un soffio e passano , per dar posto ad altre . Quel povero zoppetto là ... Chi è ? Correre alla morte con la stampella ... La vita , qua , schiaccia il piede a uno ; cava là un occhio a un altro ... Gamba di legno , occhio di vetro , e avanti ! Ciascuno si racconcia la maschera come può la maschera esteriore . Perché dentro poi c ' è l ' altra , che spesso non s ' accorda con quella di fuori . E niente è vero ! Vero il mare , sì , vera la montagna ; vero il sasso ; vero un filo d ' erba ; ma l ' uomo ? Sempre mascherato , senza volerlo , senza saperlo , di quella tal cosa ch ' egli in buona fede si figura d ' essere : bello , buono , grazioso , generoso , infelice , ecc . ecc . E questo fa tanto ridere , a pensarci . Sì , perché un cane , poniamo , quando gli sia passata la prima febbre della vita , che fa ? mangia e dorme : vive come può vivere , come deve vivere ; chiude gli occhi , paziente , e lascia che il tempo passi , freddo se freddo , caldo se caldo ; e se gli dànno un calcio se lo prende , perché è segno che gli tocca anche questo . Ma l ' uomo ? Anche da vecchio , sempre con la febbre : delira e non se n ' avvede ; non può fare a meno d ' atteggiarsi , anche davanti a sé stesso , in qualche modo , e si figura tante cose che ha bisogno di creder vere e di prendere sul serio . L ' ajuta in questo una certa macchinetta infernale che la natura volle regalargli , aggiustandogliela dentro , per dargli una prova segnalata della sua benevolenza . Gli uomini , per la loro salute , avrebbero dovuto tutti lasciarla irrugginire , non muoverla , non toccarla mai . Ma sì ! Certuni si sono mostrati così orgogliosi e stimati così felici di possederla , che si son messi subito a perfezionarla , con zelo accanito . E Aristotile ci scrisse sopra finanche un libro , un leggiadro trattatello che si adotta ancora nelle scuole , perché i fanciulli imparino presto e bene a baloccarcisi . E una specie di pompa a filtro che mette in comunicazione il cervello col cuore . La chiamano LOGICA i signori filosofi . Il cervello pompa con essa i sentimenti dal cuore , e ne cava idee . Attraverso il filtro , il sentimento lascia quanto ha in sé di caldo , di torbido : si refrigera , si purifica , si i - de - a - liz - za . Un povero sentimento , così , destato da un caso particolare , da una contingenza qualsiasi , spesso dolorosa , pompato e filtrato dal cervello per mezzo di quella macchinetta , diviene idea astratta generale ; e che ne segue ? Ne segue che noi non dobbiamo affliggerci soltanto di quel caso particolare , di quella contingenza passeggera ; ma dobbiamo anche attossicarci la vita con l ' estratto concentrato , col sublimato corrosivo della deduzione logica . E molti disgraziati credono di guarire così di tutti i mali di cui il mondo è pieno , e pompano e filtrano , pompano e filtrano , finché il loro cuore non resti arido come un pezzo di sughero e il loro cervello non sia come uno stipetto di farmacia pieno di quei barattolini che portano su l ' etichetta nera un teschio fra due stinchi in croce e la leggenda : VELENO . L ' uomo non ha della vita un ' idea , una nozione assoluta , bensì un sentimento mutabile e vario , secondo i tempi , i casi , la fortuna . Ora la logica , astraendo dai sentimenti le idee , tende appunto a fissare quel che è mobile , mutabile , fluida ; tende a dare un valore assoluto a ciò che è relativo . E aggrava un male già grave per sé stesso . Perché la prima radice del nostro male è appunto in questo sentimento che noi abbiamo della vita . L ' albero vive e non si sente : per lui la terra , il sole , l ' aria , la luce , il vento , la pioggia , non sono cose che esso non sia . All ' uomo , invece , nascendo è toccato questo triste privilegio di , sentirsi vivere , con la bella illusione che ne risulta : di prendere cioè come una realtà fuori di sé questo suo interno sentimento della vita , mutabile e vario . Gli antichi favoleggiarono che Prometeo rapi una favilla al sole per farne dono agli uomini . Orbene , il sentimento che noi abbiamo della vita è appunto questa favilla prometèa favoleggiata . Essa ci fa vedere sperduti su la terra ; essa projetta tutt ' intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce , di là dal quale è l ' ombra nera , l ' ombra paurosa che non esisterebbe , se la favilla non fosse accesa in noi ; ombra che noi però dobbiamo purtroppo creder vera , fintanto che quella ci si mantiene viva in petto . Spenta alla fine dal soffio della morte , ci accoglierà davvero quell ' ombra fittizia , ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione , o non rimarremo noi piuttosto alla mercé dell ' Essere , che avrà rotto soltanto le vane forme della ragione umana ? Tutta quell ' ombra , l ' enorme mistero , che tanti e tanti filosofi hanno invano speculato e che ora la scienza , pur rinunziando all ' indagine di esso , non esclude , non sarà forse in fondo un inganno come un altro , un inganno della nostra mente , una fantasia che non si colora ? Se tutto questo mistero , in somma , non esistesse fuori di noi , ma soltanto in noi , e necessariamente , per il famoso privilegio del sentimento che noi abbiamo della vita ? Se la morte fosse soltanto il soffio che spegne in noi questo sentimento penoso , pauroso , perché limitato , definito da questo cerchio d ' ombra fittizia oltre il breve àmbito dello scarso lume che ci projettiamo attorno , e in cui la vita nostra rimane come imprigionata , come esclusa per alcun tempo dalla vita universale , eterna , nella quale ci sembra che dovremo un giorno rientrare , mentre già ci siamo e sempre vi rimarremo , ma senza più questo sentimento di esilio che ci angoscia ? Non è anche qui illusorio il limite , e relativo al poco lume nostro , della nostra individualità ? Forse abbiamo sempre vissuto , sempre vivremo con l ' universo ; anche ora , in questa forma nostra , partecipiamo a tutte le manifestazioni dell ' universo ; non lo sappiamo , non lo vediamo , perché purtroppo quella favilla che Prometeo ci volle donare ci fa vedere soltanto quel poco a cui essa arriva . E domani un umorista potrebbe raffigurar Prometeo sul Caucaso in atto di considerare malinconicamente la sua fiaccola accesa e di scorgere in essa alla fine la causa fatale del suo supplizio infinito . Egli s ' è finalmente accorto che Giove non è altro che un suo vano fantasma , un miserevole inganno , l ' ombra del suo stesso corpo che si projetta gigantesca nel cielo , a causa appunto della fiaccola ch ' egli tiene accesa in mano . A un solo patto Giove potrebbe sparire , a patto che Prometeo spegnesse la candela , cioè la sua fiaccola . Ma egli non sa , non vuole , non può ; e quell ' ombra rimane , paurosa e tiranna , per tutti gli uomini che non riescono a rendersi conto del fatale inganno . Così il contrasto ci si dimostra inovviabile , inscindibile , come l ' ombra dal corpo . Noi l ' abbiamo veduto , in questa rapida visione umoristica , allargarsi man mano , varcare i limiti del nostro essere individuale , ov ' ha radice , ed estendersi intorno . Lo ha scoperto la riflessione , che vede in tutto una costruzione o illusoria o finta o fittizia del sentimento e con arguta , sottile e minuta analisi la smonta e la scompone . Uno dei più grandi umoristi , senza saperlo , fu Copernico , che smontò non propriamente la macchina dell ' universo , ma l ' orgogliosa immagine che ce n ' eravamo fatta . Si legga quel dialogo del Leopardi che s ' intitola appunto dal canonico polacco . Ci diede il colpo di grazia la scoperta del telescopio : altra macchinetta infernale , che può fare il pajo con quella che volle regalarci la natura . Ma questa l ' abbiamo inventata noi , per non esser da meno . Mentre l ' occhio guarda di sotto , dalla lente più piccola , e vede grande ciò che la natura provvidenzialmente aveva voluto farci veder piccolo , l ' anima nostra , che fa ? salta a guardar di sopra , dalla lente più grande , e il telescopio allora diventa un terribile strumento , che subissa la terra e l ' uomo e tutte le nostre glorie e grandezze . Fortuna che è proprio della riflessione umoristica il provocare il sentimento del contrario ; il quale , in questo caso , dice : Ma è poi veramente così piccolo l ' uomo , come il telescopio rivoltato ce lo fa vedere ? Se egli può intendere e concepire l ' infinita sua piccolezza , vuol dire ch ' egli intende e concepisce l ' infinita grandezza dell ' universo . E come si può dir piccolo dunque l ' uomo ? Ma è anche vero che se poi egli si sente grande e un umorista viene a saperlo , gli può capitare come a Gulliver , gigante a Lilliput e balocco tra le mani dei giganti di Brobdingnag . VI Da quanto abbiamo detto finora intorno alla speciale attività della riflessione nell ' umorista , appare chiaramente quale dell ' arte umoristica necessariamente sia l ' intimo processo . Anch ' essa l ' arte , come tutte le costruzioni ideali o illusorie , tende a fissar la vita : la fissa in un momento o in varii momenti determinati : la statua in un gesto , il paesaggio in un aspetto temporaneo , immutabile . Ma , e la perpetua mobilità degli aspetti successivi ? e la fusione continua in cui le anime si trovano ? L ' arte in genere astrae e concentra , coglie cioè e rappresenta così degli individui come delle cose , l ' idealità essenziale e caratteristica . Ora pare all ' umorista che tutto ciò semplifichi troppo la natura e tenda a rendere troppo ragionevole o almeno troppo coerente la vita . Gli pare che delle cause , delle cause vere che muovono spesso questa povera anima umana agli atti più inconsulti , assolutamente imprevedibili , l ' arte in genere non tenga quel conto che secondo lui dovrebbe . Per l ' umorista le cause , nella vita , non sono mai così logiche , così ordinate , come nelle nostre comuni opere d ' arte , in cui tutto è , in fondo , combinato , congegnato , ordinato ai fini che lo scrittore s ' è proposto . L ' ordine ? la coerenza ? Ma se noi abbiamo dentro quattro , cinque anime in lotta fra loro : l ' anima istintiva , l ' anima morale , l ' anima affettiva , l ' anima sociale ? E secondo che domina questa o quella , s ' atteggia la nostra coscienza ; e noi riteniamo valida e sincera quella interpretazione fittizia di noi medesimi , del nostro essere interiore che ignoriamo , perché non si manifesta mai tutt ' intero , ma ora in un modo , ora in un altro , come volgano i casi della vita . Sì , un poeta epico o drammatico può rappresentare un suo eroe , in cui si mostrino in lotta elementi opposti e repugnanti ; ma egli di questi elementi comporrà un carattere , e vorrà coglierlo coerente in ogni suo atto . Ebbene , l ' umorista fa proprio l ' inverso : egli scompone il carattere nei suoi elementi ; e mentre quegli cura di coglierlo coerente in ogni atto , questi si diverte a rappresentarlo nelle sue incongruenze . L ' umorista non riconosce eroi ; o meglio , lascia che li rappresentino gli altri , gli eroi ; egli , per conto suo , sa che cosa è la leggenda e come si forma , che cosa è la storia e come si forma : composizioni tutte , più o meno ideali , e tanto più ideali forse , quanto pio mostrare pretesa di realtà : composizioni ch ' egli si diverte a scomporre ; né si può dir che sia un divertimento piacevole . Il mondo , lui , se non propriamente nudo , lo vede , per così dire , in camicia : in camicia il re , che vi fa così bella impressione a vederlo composto nella maestà d ' un trono con lo scettro e la corona e il manto di porpora e d ' ermellino ; e non componete con troppa pompa nelle camere ardenti su catafalchi i morti , perché egli è capace di non rispettar neppure questa composizione , tutto questo apparato ; è capace di sorprendere , per esempio , in mezzo alla compunzione degli astanti , in quel morto lì , freddo e duro , ma decorato e in marsina , un qualche borboglio lugubre nel ventre , e d ' esclamare ( poiché certe cose si dicono meglio in latino ) : - Digestio post mortem . Anche quei soldatacci austriaci della poesia del Giusti , di cui ci siamo occupati in principio , son veduti in fine dal poeta come tanti poveri uomini in camicia : sono spogliati cioè di quelle loro uniformi odiose , nelle quali il poeta vede un simbolo della schiavitù della patria . Quelle uniformi compongono nell ' animo del poeta una rappresentazione ideale , della patria schiava ; la riflessione scompone questa rappresentazione , spoglia quei soldati e vede in essi una torma di poveretti addogliati e derisi . “ L ' uomo è un animale vestito dice il Carlyle nel suo Sartor Resartus la società ha per base il vestiario ” . E il vestiario compone anch ' esso , compone e nasconde : due cose che l ' umorismo non può soffrire . La vita nuda , la natura senz ' ordine almeno apparente , irta di contradizioni , pare all ' umorista lontanissima dal congegno ideale delle comuni concezioni artistiche , in cui tutti gli elementi , visibilmente , si tengono a vicenda e a vicenda cooperano . Nella realtà vera le azioni che mettono in rilievo un carattere si stagliano su un fondo di vicende ordinarie , di particolari comuni . Ebbene , gli scrittori , in genere , non se n ' avvalgono , o poco se ne curano , come se queste vicende , questi particolari non abbiano alcun valore e siano inutili e trascurabili . Ne fa tesoro invece l ' umorista . L ' oro , in natura , non si trova frammisto alla terra ? Ebbene , gli scrittori ordinariamente buttano via la terra e presentano l ' oro in zecchini nuovi , ben colato , ben fuso , ben pesato e con la loro marca e il loro stemma bene impressi . Ma l ' umorista sa che le vicende ordinarie , i particolari comuni , la materialità della vita in somma , così varia e complessa , contradicono poi aspramente quelle semplificazioni ideali , costringono ad azioni , ispirano pensieri e sentimenti contrarii a tutta quella logica armoniosa dei fatti e dei caratteri concepiti dagli scrittori ordinarii . E l ' impreveduto che è nella vita ? E l ' abisso che è nelle anime ? Non ci sentiamo guizzar dentro , spesso , pensieri strani , quasi lampi di follia , pensieri inconseguenti , inconfessabili finanche a noi stessi , come sorti davvero da un ' anima diversa da quella che normalmente ci riconosciamo ? Di qui , nell ' umorismo , tutta quella ricerca dei particolari più intimi e minuti , che possono anche parer volgari e triviali se si raffrontano con le sintesi idealizzatrici dell ' arte in genere , e quella ricerca dei contrasti e delle contradizioni , su cui l ' opera sua si fonda , in opposizione alla coerenza cercata dagli altri ; di qui quel che di scomposto , di slegato , di capriccioso , tutte quelle digressioni che si notano nell ' opera umoristica , in opposizione al congegno ordinato , alla composizione dell ' opera d ' arte in genere . Sono il frutto della riflessione che scompone . ” Se il naso di Cleopatra fosse stato più lungo , chi sa quali altre vicende avrebbe avuto il mondo ” . E questo se , questa minuscola particella che si può appuntare , inserire come un cuneo in tutte le vicende , quante e quali disgregazioni può produrre , di quanta scomposizione può esser causa , in mano d ' un umorista come , ad esempio , lo Sterne , che dall ' infinitamente piccolo vede regolato tutto il mondo ! Riassumendo : l ' umorismo consiste nel sentimento del contrario , provocato dalla speciale attività della riflessione che non si cela , che non diventa , come ordinariamente nell ' arte , una forma del sentimento , ma il suo contrario , pur seguendo passo passo il sentimento come l ' ombra segue il corpo . L ' artista ordinario bada al corpo solamente : l ' umorista bada al corpo e all ' ombra , e talvolta più all ' ombra che al corpo ; nota tutti gli scherzi di quest ' ombra , com ' esca ora s ' allunghi ed ora s ' intozzi , quasi a far le smorfie al corpo , che intanto non la calcola e non se ne cura . Nelle rappresentazioni comiche medievali del diavolo , troviamo uno scolare che per farsi beffe di lui gli dà ad acchiappare la propria ombra sul muro . Chi rappresentò questo diavolo non era certamente un umorista . Quanto valga un ' ombra l ' umorista sa bene : il Peter Schlemihl di Chamisso informi .