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> autore_s:"Valli Bernardo" > anno_i:[1970 TO 2000}
Le due anime dell'America ( Valli Bernardo , 1999 )
StampaQuotidiana ,
Henry Kissinger è un classico . Zbigniew Brzezinski è , al contrario , un romantico . Il primo , un americano nato in Baviera da una famiglia ebrea tedesca sfuggita al nazismo , è fedele alla tradizione europea basata sull ' equilibrio delle potenze . Il secondo , un americano di origine cattolica polacca , è vincolato all ' ideologia ed è più brutale , al tempo stesso più innovatore . Da queste posizioni , i due grandi intellettuali , tanto utili per capire i rapporti degli Stati Uniti con il resto del mondo , esprimono ovviamente giudizi assai diversi sulla crisi balcanica . KISSINGER critica le democrazie occidentali ( vale a dire Clinton ) per avere proposto a Rambouillet una soluzione inaccettabile per i serbi e paventa il vuoto che aprirebbe la scomparsa della Serbia dallo scacchiere dei Balcani . All ' opposto Brzezinski è interventista : anche perché ( con slancio polacco ) al di là di Milosevic impegnato a reprimere i kosovari vede il russo Eltsin che ha fatto altrettanto in Cecenia , ed altresì il regime bielorusso " ammiratore di Hitler " , e perciò tanto solidale con quello jugoslavo di Belgrado . Entrambi , Kissinger e Brzezinski , prevedono l ' impiego delle truppe di terra . Kissinger lo considera una conseguenza ineluttabile della campagna in corso : la quale , una volta cominciata , non può più essere sospesa e ancor meno chiusa prima di avere raggiunto l ' obiettivo . La posta in gioco è ormai troppo alta : è in ballo la sopravvivenza della Nato , spina dorsale dell ' impero in un ' area essenziale quale è l ' Europa : quindi irrinunciabile . Anche Brzezinski vede in un eventuale cedimento di fronte a Milosevic il funerale della Nato , ma per lui la discesa degli occidentali al suolo non è la fatale conseguenza dell ' intervento , è un atto dovuto : è il passaggio da una strategia cauta e graduale , insomma insufficiente sul piano militare , a una strategia intensiva e massiccia , la sola risposta appropriata " al genocidio e alla pulizia etnica cui stiamo assistendo " . Mi pare implicita in Brzezinski la condanna definitiva di Milosevic . Come si può trattare con il responsabile di un genocidio ? Egli va del resto oltre suggerendo la confisca dei beni jugoslavi in Occidente al fine di risarcire gli abitanti del Kosovo . Traspare invece in Kissinger la preoccupazione del vuoto che si può creare in Serbia . Il suo vocabolario è comunque più castigato . Dietro questi giudizi sul primo conflitto " caldo " in Europa dal 1945 , si intravedono due visioni del ruolo degli Stati Uniti nel mondo postcomunista , in cui sono rimasti la sola superpotenza in esercizio . Due visioni basate su esperienze dirette circa le possibilità e i limiti dell ' azione americana , essendo sia Kissinger sia Brzezinski due professori universitari , due analisti , due politologi , che hanno lavorato nei meccanismi del potere : il primo come segretario di Stato con Nixon ; il secondo come consigliere per la sicurezza con Carter , e poi consigliere di Reagan durante la crisi polacca , che ha preceduto il crollo dell ' Unione Sovietica ( e , in quello stesso periodo , alleato - complice di Papa Wojtyla : il quale , adesso , nella crisi balcanica , si trova invece sull ' opposto fronte pacifista ) . Potrei certo ricorrere ad altri intellettuali americani con un ' esperienza del genere alle spalle . Penso a James Schlesinger , ex segretario alla Difesa ed ex capo della Cia , autore di Fragmentation and Hubris . A Shaky Basis for American Leadership : in cui si descrive un ' America più dedita agli interessi particolari che agli interessi nazionali , e indifferente alle sorti del mondo , nonostante il potere , la Casa Bianca , gli dedichi appassionati discorsi . Penso anche a Richard Haass , ex collaboratore del National Security Council , autore di Reluctant Sheriff . The United States after the Cold War " : in cui è analizzata proprio la ripugnanza americana a intervenire militarmente con il rischio di perdite umane . Ripugnanza , secondo Haass , che limita e rende effimera l ' egemonia americana . Kissinger e Brzezinski hanno espresso tuttavia con maggior chiarezza , per noi europei , la loro visione in due opere recenti : il primo in Diplomacy , il secondo in The Grand Chessboard : e il fatto che nel suo libro Kissinger abbia soprattutto analizzato con fredda intelligenza il passato e Brzezinski abbia affrontato con geniale passione il futuro , rende ancora più interessanti i loro discorsi . I quali , alla fine , guidati entrambi dalla Storia , sostanzialmente convergono . Kissinger ci presenta il carattere ambivalente degli Stati Uniti : da un lato il paese isolazionista , la cui vocazione si limita ad essere un esempio per il resto dell ' umanità ; dall ' altro il paese interventista , la cui vocazione non si riduce all ' esempio e vuole salvare attraverso l ' azione il resto dell ' umanità diffondendo la democrazia e dunque la pace . Le due anime hanno un ' aspirazione comune : quella di vedere il pianeta adottare i valori universali incarnati dall ' America ; ed entrambe sono riluttanti , anzi rifiutano di confondere gli Stati Uniti con altri paesi , di metterli sullo stesso piano , fosse anche in una posizione da primus inter pares , nel quadro di un equilibrio multipolare . Kissinger resta fedele alla formula classica dell ' impero e dell ' equilibrio , alla quale non c ' è per lui alternativa . Per questo è stato paragonato , non senza ironia , al Metternich del Congresso di Vienna ( 1815 ) . Nel dopo guerra - fredda si è reso conto che il mondo non è diventato , come si pensava , unipolare e con una sola incontrastata superpotenza , e quindi che la geopolitica postcomunista non esentava dalla tradizionale ricerca di un equilibrio tra gli Stati che contano . Si è creata una situazione multipolare che impone come nel passato una serie di pazienti calcoli tendenti a una convivenza tra l ' impero e gli altri . Calcoli a cui l ' America è refrattaria . Kissinger riconosce ovviamente la sua supremazia , ma gli sembra più relativa di quel che appare . Più fragile di quel che si dice . Vede affiorare altri centri di potere , di cui non si conosce ancora il peso e l ' orientamento ( la Cina , il Giappone , l ' Europa , la Russia , forse l ' India ) : li vede delinearsi , con forme ancora incerte , da studiare col tempo . Il gran fracasso dei mass media è come una nebbia che cancella i dettagli e lascia vedere soltanto una sagoma rudimentale della realtà in mutazione . L ' idealismo americano è per sua natura contrario a una politica di puro equilibrio : eppure la diplomazia classica è indispensabile all ' impero che esercita la sua egemonia in un mondo multipolare . Il giudizio di Kissinger sulla crisi balcanica è coerente a questo principio . L ' Occidente ( in sostanza Clinton ) non ha applicato il metodo appropriato alla situazione . Ha trascurato la Russia ; l ' universo ortodosso che si sente solidale con la Serbia ; si pensi alla Grecia , paese della Nato in questa congiuntura ancor più contrapposto alla Turchia , altro pilastro dell ' alleanza ; e agli altri paesi dei Balcani . E le conseguenze per la Nato ? Il professor Kissinger può distribuire bacchettate . La visione di Brzezinski è più americana . è più dinamica , scavalca la nozione statica dell ' equilibrio tra le potenze ; è anche più ottimista , nel senso che contempla la trionfante egemonia degli Stati Uniti ; egemonia che , pur essendo insidiata dal mondo multipolare , sarà superata col tempo soltanto da un ordine cooperativo mondiale . In sostanza gli Usa sono l ' ultimo impero universale , grazie alla superiorità senza rivali in tutti i campi : economico , tecnologico , culturale e militare . è tuttavia un impero di tipo nuovo : simile al suo sistema interno . Vale a dire che implica una struttura complessa , articolata in modo da provocare il consenso e attenuare gli squilibri e i disaccordi . " Così la supremazia globale americana riposa su un sistema elaborato di alleanze e di coalizioni che copre , in concreto , l ' intero pianeta " . Ne risulta per Brzezinski la necessità di una doppia politica : una tesa a mantenere , per almeno un ' altra generazione , l ' egemonia degli Stati Uniti ; l ' altra tesa ad incoraggiare gli alleati e gli ex avversari ad entrare in un sistema che prepari appunto un governo mondiale , facendo in modo che i partner non diventino troppo indipendenti . L ' Europa costituisce la testa di ponte della democrazia , dunque dell ' America , sul continente euroasiatico . È bene favorire la sua unità , sulla base dell ' intesa franco - tedesca , evitando però che conquisti un ' autonomia eccessiva . Il capitolo dedicato alla Russia ha un titolo esplicito : " Il buco nero " : l ' americano polacco sottolinea il pericolo che costituisce l ' ex superpotenza : non si tratta di distruggerla o di escluderla ma di impedirle di ridiventare un impero minaccioso per i vicini . Per questo si devono curare i rapporti con i paesi limitrofi ( la Cina , ma anche la Turchia , l ' Iran , l ' Ucraina , l ' Azerbajdzhan e l ' Uzbekistan ) : e favorire gli investimenti americani nell ' Eldorado petrolifero sul Mar Caspio per evitare che la Russia ne approfitti . Sulla severità di Brzezinski nell ' analizzare la crisi balcanica pesa anche il sospetto che Mosca ne possa trarre prestigio e comunque vantaggi : sia come punto di riferimento per il mondo slavo ortodosso frustrato , sia come capitale intermediaria tra Milosevic e l ' Occidente . Un compromesso su quest ' ultima base sarebbe un ' umiliazione inaccettabile per la Nato . Siamo ben lontani dagli equilibri di Kissinger . Ma anche il " discepolo di Metternich " sostiene , in queste ore , che , se vuole sopravvivere , la Nato deve vincere in modo netto . Avverte tuttavia , nella sua ultima opera , che una delle profonde differenze tra l ' analista politico e l ' uomo di Stato risiede nel fatto che il primo è padrone del proprio tempo quando decide una conclusione ; mentre il secondo è sottoposto in permanenza a una corsa contro l ' orologio . Inoltre uno non rischia nulla , mentre l ' altro può rischiare tutto . Insomma , se partecipasse ancora al potere , Zbigniew Brzezisnki avrebbe altri impulsi , o modererebbe quelli che ha .
Esplode la gioia di Teheran ( Valli Bernardo , 1979 )
StampaQuotidiana ,
Teheran , 16 . Reza Pahlevi se n ' è andato . Alle 13.08 l ' aereo imperiale si è involato , puntando sull ' Egitto . Alle 16 non c ' erano più statue dello Scià sui piedistalli , nella capitale in festa . La folla abbatte i monumenti della dinastia Pahlevi , come se la monarchia fosse finita . Quando la radio ha dato la notizia della partenza , trenta minuti dopo il decollo , gli automobilisti hanno acceso i fari e hanno cominciato a suonare i clacson . In tutti i quartieri si sono formati cortei . « Il nemico del popolo è fuggito » , « Lo Scià ha raggiunto lo sposo infedele Jimmy Carter » , « Dopo la fuga dello scià quella degli americani » : questi sono gli slogan ancora scanditi per le strade , a tarda sera , mentre si avvicina l ' ora del coprifuoco , che oggi rischia di non essere rispettato . Nella capitale centinaia di migliaia di persone si salutano con l ' indice e il medio tesi , in segno di vittoria , si abbracciano , invocano il ritorno di Khomeini , il capo religioso disarmato , che in un anno , lanciando proclami dall ' esilio , ha costretto Reza Pahlevi ad abbandonare il trono . L ' esercito si è ritirato nelle caserme , lasciando qualche unità davanti all ' ambasciata americana ( la sola ad essere protetta ) , ai ministeri e al Parlamento . La folla pensa che il sovrano non ritornerà mai più . Lo Scià ha cercato di imporre alla sua partenza ritmi non troppo affrettati . Il protocollo è stato rispettato . Venticinque anni fa , incalzato da Mossadeq , il primo ministro che gli imponeva il rispetto della Costituzione , Reza Pahlevi fuggì con la moglie d ' allora , Soraya , a bordo di un piccolo aereo , prima a Baghdad e poi a Roma . Questa volta , prima di lasciare in elicottero la residenza di Niavaran , il suo « palazzo d ' inverno » , ha salutato i nove membri del Consiglio di reggenza , i cortigiani e persino i cuochi . Più tardi , ai piedi della scaletta del Boeing 727 , c ' erano il primo ministro Sciapur Bakhtian , il ministro di corte Ardalan , il presidente della Camera Djavad Said . I pochi giornalisti iraniani ammessi nel recinto dell ' aeroporto hanno descritto Reza Pahlevi e Farah Diba pallidi , tesi , vestiti con abiti sobri . Rispettando la tradizione , lo Scià e la moglie sono passati sotto il Corano , tenuto da un cortigiano per augurare buon viaggio . Prima di entrare nell ' aereo , il sovrano avrebbe afferrato il libro sacro dell ' Islam e l ' avrebbe baciato , trattenendo a stento le lacrime . Ad eccezione dei pochi fedeli che hanno assistito alla partenza , nessuno ha visto lo scià « andarsene in vacanza » . La televisione non ha diffuso le immagini del sovrano che lascia l ' Iran . Sugli schermi appaiono stasera soltanto alberi coperti di neve o film di repertorio . Soltanto la radio ha trasmesso le ultime parole pronunciate da Reza Pahlevi , prima del decollo : « Come avevo annunciato dieci giorni or sono , sono stanco e parto per riposarmi , dopo che il governo ha ricevuto il voto di fiducia del Parlamento . Spero che il nuovo governo riesca a riparare le ferite del passato e preparare il futuro . Dobbiamo essere uniti al fine di preparare un avvenire migliore . Il paese deve salvarsi grazie al patriottismo del popolo » . « Quanto tempo resterà all ' estero ? » gli ha chiesto il radiocronista . « Sono molto stanco . Fino a quando non mi sarò rimesso , resterò all ' estero . La prima tappa sarà Assuan » . La Sciabanu Farah Diba è stata ancora più laconica : « Credo nella saggezza e nella forza del popolo » . A questo punto , mentre i motori del Boeing erano già accesi , il cronista è scoppiato in singhiozzi e ha detto : « Speriamo che lei ritorni presto » . Sono le sole parole di augurio al sovrano che ho udito oggi a Teheran . Ecco alcune immagini che ho raccolto in questa giornata , non ancora conclusa , nella capitale invasa da una folla sempre più densa . Sulla piazza Pahlevi , mentre la radio trasmette ancora la voce spezzata dello Scià , un centinaio di giovani divelgono la sua statua . Si forma un corteo . Il monumento viene trascinato con un cavo di ferro per le strade del quartiere settentrionale della città . La folla si infittisce e grida : « Impicchiamo lo scià » . Mezz ' ora dopo la statua penzola da un cavalcavia . Sulla via Hafez una pattuglia militare si allontana di gran fretta , appena spunta un piccolo corteo con una bandiera rossa in testa . La sola che ho visto , per alcuni istanti , prima che sparisse per iniziativa di non so chi . I soldati hanno ricevuto l ' ordine di rientrare nelle caserme al più presto , per evitare scontri con i manifestanti . Un militare non riesce ad avviare il motore e abbandona il camion in mezzo alla strada . Un ' altra unità lascia su un viale un piccolo rimorchio , per non perdere tempo ad agganciarlo ad una jeep . È come se temesse di essere travolto dall ' acqua di una diga infranta . Ma molti soldati , durante la precipitosa ritirata , vengono sommersi dalla folla che li abbraccia , li riempie di fiori e caramelle , li obbliga ad accettare i ritratti di Khomeini . Sulla via Reza scià , una delle vie principali di Teheran , gruppi di ragazzi mi mostrano banconote da venti rials ( duecento lire ) dalle quali hanno ritagliato l ' immagine dello scià . Reza Pahlevi è partito da poco più di un ' ora e le edizioni straordinarie dei giornali sono già in vendita , con titoli neri , corvini , enormi sulle prime pagine . Il re se n ' è andato . Accanto alla notizia della partenza imperiale ci sono gli ordini che Khomeini avrebbe impartito dall ' esilio parigino . Un amico iraniano li traduce : 1 ) i deputati al Parlamento e i membri del Consiglio di reggenza devono dimettersi ; 2 ) i contadini non devono vendere il grano agli stranieri che vogliono affamare il paese ; 3 ) i soldati devono impedire che gli americani portino via le armi sofisticate , al fine di indebolire l ' esercito ; 4 ) venerdì dovrà essere organizzata la più grande manifestazione della storia dell ' Iran . I quotidiani , sotto un titolo vistoso , parlano della morte di un colonnello americano , Arthur Haynhot , indicato come il capo dei consiglieri militari . L ' ufficiale sarebbe stato trovato appeso ad una corda nel suo appartamento . La polizia pensa sia stato impiccato . Stamane i giornali parlavano di un altro cittadino USA assassinato a Kerman : era il responsabile della Parsons - Jordan Company e « un veterano della guerra del Vietnam » . Il cronista non è in grado di controllare le notizie . I ministeri , gli uffici pubblici sono chiusi e i telefoni suonano invano . Sulla piazza Ferdosi , la statua del poeta iraniano è coperta di ritratti di Khomeini . A cavalcioni del monumento , un giovane cerca di dirigere il traffico con un altoparlante . Ma nessuno lo ascolta . La gente balla di gioia tra le automobili , alle quali sono avvinghiati grappoli umani . Non si vede un poliziotto . Teheran sembra abbandonata a se stessa . Il ronzio degli elicotteri ricorda tuttavia chel ' esercito è intatto e che i generali dello scià non perdono d ' occhio i cortei , per ora non violenti . Milioni di iraniani festeggiano « la fine » di 37 anni di regno di Reza Pahlevi , meglio i 53 anni della dinastia , poiché anche i ritratti e le statue di Reza Khan , padre del sovrano in vacanza , vengono strappati e abbattuti . Teheran stasera assomiglia a Lisbona , dopo mezzo secolo di salazarismo . Quel che resta del regime è adesso formalmente affidato al Consiglio di reggenza , presieduto da un astronomo ottantenne , Jallal Teharani , che non dispone ancora di un ufficio . L ' opposizione lo ha già definito « un gruppo di cortigiani e di vegliardi » . Gli uomini forti del Consiglio sono il generale Gharabaghy , capo di Stato Maggiore delle Forze armate , e il primo ministro Bakhtiar , che stamane , poco prima della partenza dello scià , ha ricevuto il voto di fiducia della Camera , dopo aver ottenuto ieri quello del Senato . Da stasera il sessantaduenne Bakhtiar è in sostanza solo , schiacciato tra la folla ubbidiente agli ordini di Khomeini e l ' esercito ubbidiente ai generali . L ' ala moderata dell ' opposizione ha già rivolto un appello alla calma ( « non affrettiamo i tempi » ) , al fine di evitare le reazioni dei militari e di frenare i gruppi rivoluzionari . Ma questo non significa che i partigiani di una svolta indolore siano pronti a trattare con Bakhtiar . Tutti temono la scomunica di Khomeini , che dovrebbe annunciare la composizione del suo governo provvisorio e del suo Consiglio rivoluzionario . E che , forse , sta studiando il rientro in patria , dopo quindici anni di esilio , ora che il suo rivale è partito .
Sadat a Gerusalemme ( Valli Bernardo , 1977 )
StampaQuotidiana ,
Gerusalemme , 19 . L ' incontro impossibile è avvenuto . L ' egiziano Sadat ha lasciato per davvero le sponde del Nilo per stringere la mano all ' israeliano Begin . Il capo di una nazione araba ha messo piede per la prima volta sul territorio dello Stato ebraico . È accaduto alle 18.59 ( ora italiana ) di stasera all ' aeroporto di Tel Aviv presidiato dall ' esercito , illuminato dai riflettori , tra i suoni delle fanfare e le salve di cannone . Affiancati l ' uno all ' altro , quasi a sfiorarsi , il volto color cuoio del presidente egiziano , figlio di un arabo e d ' una nubiana , e quello asciutto , leggermente abbronzato , del primo ministro israeliano , nato in una famiglia askenazi di Brest - Litwosk , sono rimbalzati in milioni di case arabe e musulmane , sui teleschermi , accendendo speranze e timori . Perché da quest ' appuntamento precipitoso e al tempo stesso solenne può infatti nascere una pace inedita , o una nuova tragedia . Ai piedi della scaletta dell ' aereo presidenziale , Sadat è stato accolto dal capo dello Stato Ephraim Katzir e da Begin . I tre si sono stretti la mano , quindi - mentre la banda intonava gli inni dei due paesi - hanno passato in rassegna la guardia d ' onore . Sadat aveva il viso grave , ma subito dopo l ' atmosfera s ' è fatta più distesa . Il Rais ha chiesto di Ariel Sharon ( il generale che nel '73 circondò la Terza armata egiziana ) , e quando questi s ' è fatto avanti gli ha stretto la mano . Altre strette di mano con Dayan , con Golda Meir , con Eban , quindi Sadat e Begin hanno preso posto nell ' automobile che li ha condotti a Gerusalemme . Il dialogo era cominciato . Il cronista stenta a distinguere tra gli appunti , le dichiarazioni e le emozioni , le incertezze e i miraggi degli uni e degli altri . L ' impazienza è unanime , mentre viene annunciato il decollo dell ' aereo dal territorio egiziano . I minuti scanditi sulla pista d ' arrivo a Tel Aviv nell ' attesa che il jet di Sadat giunga a portata dei riflettori . I dubbi e i trionfalismi . I sorprendenti discorsi sulla « tradizionale fraternità giudeo - araba » . L ' amico egiziano euforico e poi smarrito che dice : « La pace è a portata di mano . Ma come raggiungerla ? » . L ' amico israeliano che sogna già « un ' alleanza Egitto - Israele , capace di colmare il vuoto lasciato dal crollo dell ' impero ottomano settant ' anni fa » . È la tristezza , le perplessità degli arabi dei territori occupati che denunciano il tradimento e al tempo stesso sognano , come gli altri , la pace . Infine lo sportello che si spalanca . La sfida di Sadat comincia . Prima di ritirarsi nell ' appartamento reale dell ' hotel King David , dove dormì Richard Nixon , il presidente egiziano ha già avuto un primo colloquio con Begin . Essi tentano con impazienza , senza aspettare , le prime analisi . Non vi è alcun dubbio che Sadat , domani , davanti al Parlamento d ' Israele , chiederà il ritiro totale degli israeliani dai territori occupati nel 1967 , durante la Guerra dei sei giorni . Cosa potrà promettere Begin in cambio per non ferire irrimediabilmente l ' insperato interlocutore arabo ? Lasciarlo partire a mani vuote sarebbe condannarlo politicamente a morte . Forse negoziati per il Sinai o per il Golan . Ma la Cisgiordania , necessaria per risolvere il dramma palestinese , sembra irrinunciabile per Gerusalemme . Carter ha telefonato più volte in questi giorni a Sadat e a Begin per raccomandare la prudenza . E non ha risparmiato i consigli : niente intese separate , non escludere del tutto i sovietici senza i quali nulla può essere risolto stabilmente , attenzione ai palestinesi che costituiscono una carica esplosiva impossibile da disinnescare . La natura dei due uomini , Sadat e Begin , e le trasformazioni che essi hanno attuato nei rispettivi paesi hanno contribuito a rendere possibile quest ' incontro . I loro predecessori rappresentavano quasi religiosamente storie inconciliabili . Erano appesantiti da carismi diversi per origine e specie . Gamal Nasser era prigioniero di un socialismo panarabo puritano , era ingabbiato in un dogmatismo al quale non sfuggivano neppure Golda Meir , sionista vincolata ai principi socialdemocratici mitteleuropei , e chi poi occupò la sua poltrona di primo ministro a Gerusalemme . Hanno molti più punti in comune i nazionalismi meno sofisticati e quindi più pragmatisti di Menahem Begin , ex terrorista dell ' Irgun e sostenitore del « grande Israele » , e di Anuar Sadat , ufficiale musulmano e repubblicano che quasi svenne per l ' emozione nel 1952 , accompagnando il destituito monarca Faruk sulla nave dell ' esilio . Anzitutto Sadat e Begin hanno demolito in gran fretta le istituzioni o i sogni socialisti che ancora sopravvivevano nelle loro capitali . Il nazionalismo grezzo che li anima rende possibile un dialogo su basi irrazionali , che i loro predecessori respingevano a priori . Nella storia contemporanea non era mai accaduto che il capo di una nazione , senza aver posto fine allo stato di guerra , visitasse ufficialmente il nemico tra suoni di fanfare e discorsi fraterni . E questo è già paradossale . È un gesto riassunto in un ' ingenua scritta araba ben visibile su un muro della vecchia Gerusalemme : « Evviva Sadat messaggero di pace e dio della guerra » . È un gesto al tempo stesso drammatico e disperato . Israele in queste ore esulta ma trattiene anche il respiro non riuscendo a capire quel che accadrà nell ' immediato futuro , una volta partito Sadat . Sente il brontolio del mondo arabo in preda a convulsioni , forse meno gravi del previsto ma suscettibili di deflagrazioni delle quali è difficile oggi immaginare le dimensioni . Questi sentimenti contraddittori sono palpabili nei territori occupati , nella Cisgiordania che il primo ministro Begin chiama Giudea e Samaria , considerandole biblicamente province dello Stato ebraico . Anche là , come a Tripoli e a Damasco , ma sottovoce , Sadat viene accusato di spezzare il fronte arabo e molti sindaci cristiani e musulmani si asterranno domani dal rendere omaggio al presidente egiziano , davanti alla moschea di Al Aqsa , dove si recherà per la preghiera di primo mattino . I sindaci musulmani o cristiano - progressisti festeggeranno la ricorrenza del « sacrificio » di Abramo nelle loro città con ufficiale mestizia . Ma l ' ordine di sciopero , lanciato dalle massime organizzazioni palestinesi è rimasto inascoltato , le botteghe si sono aperte stamane come al solito e non soltanto perché le autorità di Gerusalemme avevano minacciato le abituali sanzioni contro i commercianti insubordinati . Mi ha detto con severa tristezza un esponente palestinese : « Anche noi vogliamo la pace come Sadat , ma non al prezzo richiesto dai suoi amici israeliani » . E dalle sue parole trapelava un ' emozione in cui non c ' era soltanto lo sdegno dei manifesti clandestini . Affiorava anche una certa speranza . « Sadat osa molto . Chissà dove vuole arrivare » .