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> categoria_s:"Saggistica" > autore_s:"CALDERONI MARIO"
Saggistica ,
[ Introduzione ] - La controversia che ai dì nostri si agita fra quella che suolsi chiamare scuola " positiva " del diritto penale e la scuola detta " classica " non è che il riflesso nel campo del diritto di un dissidio assai più vasto che si manifesta in tutto quanto il campo delle discipline filosofiche e morali . La negazione del libero arbitrio , e , secondo i seguaci della nuova scuola , la conseguente negazione di ogni responsabilità morale ; la tesi loro che in diritto penale occorra abbandonare la considerazione astratta del reato come entità a sé , e sia necessario invece studiare il delinquente nelle sue particolarità fisiologiche , psicologiche ed antropologiche , il delitto nelle sue cause sì individuali che sociali ; la loro tendenza ad erigere il diritto penale su basi utilitarie ; tutte le innovazioni insomma sì teoriche che pratiche di cui la scuola positiva si fa propugnatrice si presentano come corollari di quelli che sono i principî del movimento scientifico moderno ; movimento di cui il " positivismo " vuol considerarsi come la più genuina manifestazione . Il positivismo moderno , da altri designato sotto il nome di filosofia della esperienza , non fu , com ' è noto , eretto a sistema filosofico che dal Comte , ma rintraccia le sue origini assai più addietro , e può considerarsi , nella sua espressione generale , come una fondamentale tendenza dello spirito umano . Due furono in ogni tempo le vie per cui l ' uomo tentò di accrescere la sfera della propria conoscenza : ora ripiegandosi sopra sé stesso , traendo dalle profondità della propria mente e dalla contemplazione delle idee la parte maggiore dello scibile ; ora invece volgendo lo sguardo attento allo svolgersi dei fatti nel mondo reale , registrandoli con pazienti osservazioni e confronti , per ridurli a formole via via più schematiche e più generali . All ' una corrisponde la tendenza aprioristica o speculativa , all ' altra quella positiva , empirica o sperimentale . Queste due tendenze si sono in ogni tempo divise il campo del pensiero filosofico , e nella filosofia greca le vediamo principalmente rappresentate , l ' una da Platone , l ' altra da Aristotile . Ma vi sono state epoche , in cui l ' una o l ' altra delle due ha sembrato prender decisamente il sopravvento . Così il prevalere della prima tendenza ha contrassegnato in genere le epoche di profondo fervore mistico e religioso , atto a distogliere l ' attenzione dell ' uomo dal mondo delle realtà terrene , per rivolgerla a mondi ideali , più razionali e perfetti di quello nel quale la nostra vita si svolge ; mentre l ' osservazione dell ' effettivo prodursi ed avvicendarsi dei fenomeni ha contrassegnato invece piuttosto quelli d ' intensa attività ed interesse pratico . È così che sono opera principalmente del pensiero teologico quegli abusi e quelle esagerazioni del metodo astratto ed aprioristico che hanno viziato in modo così singolare la scienza del Medio Evo , e che hanno senza dubbio contribuito potentemente a provocare quella reazione contro la scolastica e la " metafisica " che dura tuttora , e di cui il positivismo moderno è la più recente espressione . Alla scolastica il positivismo si contrappone sì come metodo che come dottrina . - Era infatti appunto la credenza mistica in una realtà diversa e superiore a quella sensibile , e quindi non raggiungibile per mezzo dell ' osservazione e dello sperimento , e di ogni ragionamento che da questi prendesse le mosse , era la credenza in una realtà " trascendentale " per accedere alla quale solo potevano valere le facoltà superiori dell ' intelletto e della ragione pura , quella che giustificava l ' uso troppo esclusivo , tanto nei sistemi metafisici che in quelli teologici , del raziocinio astratto e speculativo . Per lungo tempo credettero gli uomini che i fenomeni conosciuti per mezzo della osservazione sensibile fossero la parte più caduca , più transitoria , e meno degna di fede , del nostro sapere . Mentre essa non può fornirci che le apparenze puramente passeggiere del " mondo dell ' esperienza " , la nostra ragione , il nostro intelletto , l ' intuizione , o addirittura la rivelazione " soprannaturale " ci mettono in presenza dell ' Immutabile , dell ' Assoluto , del Necessario , in quanto si contrappongono al Variabile , al Relativo , al Contingente , - di quelle verità eterne ed imperiture che " trascendono " la sfera della esperienza . Senza tener conto di questa credenza in una realtà trascendentale che precedette loro , credo sia impossibile il giudicare rettamente della funzione e del valore di molti sistemi filosofici , passati e moderni . Comunque , era la realtà trascendentale l ' oggetto di quella che fu detta " metafisica " , e fu per essa che la metafisica fu considerata non solo come la parte più nobile ed elevata , ma anche come la parte più " verace " del nostro sapere . Col progresso del pensiero si produsse , com ' è noto , un vasto movimento che fece perdere alle investigazioni metafisiche il favore originariamente tributato loro . Il cammino trionfale delle scienze fisiche , le conquiste del metodo sperimentale , la coscienza dell ' infecondità di quel tipo di speculazione che consiste nel preoccuparsi quasi esclusivamente del concatenamento logico delle idee senza fermarsi a verificare le premesse , giustificazione ultima di ogni ragionamento ; infine la grande rivoluzione metodologica che è associata col nome di Bacone ; tutto ciò contribuì ad estendere la sfera d ' influenza della " fisica " e ad esaltarla di fronte alla " metafisica " . Il primo a formulare nettamente l ' opposizione fra il positivismo , come sistema filosofico distinto , e la metafisica , fu il creatore della parola stessa " positivismo " e il fondatore del sistema : Augusto Comte . Colla sua legge dei tre stadi della conoscenza umana , di cui il terzo solo è compatibile secondo lui con la verità scientifica , egli condannava inesorabilmente ad un tempo le dottrine ed i metodi metafisici . Chi legge le prime pagine del suo Cours de Philosophie positive , scorge subito come per lui il rinnovamento del metodo non sia che la conseguenza logica di un modo radicalmente nuovo di considerare l ' universo ed i suoi rapporti con la conoscenza dell ' uomo . Ciò che distingue lo stadio positivo dallo stadio teologico e da quello metafisico " il quale in fondo non è che una modificazione del primo " , è che in esso " la mente umana , riconoscendo l ' impossibilità d ' ottenere delle nozioni assolute , rinunzia a ricercare l ' origine e la destinazione dell ' universo , e a conoscere le cause intime dei fenomeni per applicarsi solo alla scoperta , mediante l ' uso ben combinato del ragionamento e dell ' osservazione , delle loro leggi effettive , vale a dire delle loro relazioni invariabili di successione e di similitudine . La spiegazione dei fatti , ridotta allora a dei termini reali , non è più quindi che il legame stabilito fra i diversi fenomeni particolari e alcuni fatti generali , di cui il progresso tende sempre più a diminuire il numero " . Ora , se osserviamo questo periodo , come pure gli altri che lo accompagnano vediamo che è facile riscontrare in esso due elementi distinti , sebbene messi in stretto rapporto fra di loro . Oltre all ' elemento metodologico - l ' ammonimento da tener conto della realtà positiva , a usare con sobrietà del raziocinio allo scopo di evitare il pericolo di equivoci , sofismi , spiegazioni verbali o altri errori ; - vi si scorge l ' idea di una vera e propria limitazione della conoscenza umana . Non può l ' uomo conoscere le " cause intime " dei fenomeni e deve abbandonare la vana pretesa di penetrare fino alle " essenze " alle " sostanze " delle cose , di risalire alle loro origini o ricercare il loro fine . La sua conoscenza è puramente relativa ; una vasta porzione della realtà deve rimanere per lui in eterno un mistero , un campo per le ipotesi più svariate , tutte egualmente destituite di ogni possibilità di verificazione . È questa la teoria detta della " relatività della conoscenza " , la quale ha prestato allo Spencer gli argomenti per la sua celebre dottrina dell ' Inconoscibile , ma che si riconnette storicamente e logicamente alle classiche ricerche di Locke , Hume , Berkeley e finalmente Kant , sulla natura e le funzioni della nostra conoscenza . Quale sia la portata di tali ricerche è noto : esse ebbero per oggetto l ' analisi dei nostri concetti più elevati ed astratti , lo studio della origine delle nostre idee , e dimostrarono la natura sensoriale " empirica " di ogni conoscenza , la dipendenza di ciò che diciamo " mondo esteriore " dalle nostre rappresentazioni , il contenuto sperimentale dei nostri concetti di causa e di sostanza . A torto o a ragione , da tali ricerche scaturì una vena di scetticismo e d ' agnosticismo che ancora oggi domina gran parte del pensiero filosofico , e risalta evidente negli scritti dei più fra i positivisti . Il positivismo è da questi concepito come una dottrina critica e demolitrice , che rovesci , per la sola virtù del suo modo di concepire la conoscenza umana , tutto un mondo di antiche idee e credenze di cui dimostra irrevocabilmente la falsità . Tutti quegli oggetti del pensiero , cui si accompagnava nella mente dei " metafisici " qualche credenza effettivamente resa inaccettabile dalla nuova teoria della conoscenza ( p . es . la credenza ch ' essi facessero parte della realtà " trascendentale " ) , sono per ciò solo dichiarati " entità metafisiche " , destituite pertanto d ' ogni valore e significato e da scartarsi senza ulteriore esame . Non è qui il luogo di mostrare quali danni alla correttezza del pensiero filosofico può aver recato tal maniera di ragionare . Avremo occasione di tornare varie volte su questo argomento , specialmente a riguardo del modo con cui molti positivisti considerano la libertà e la volontà , designate da loro quali entità metafisiche . Di questo elemento scettico si risente in parte l ' attitudine assunta dal " positivismo " moderno di fronte alle questioni morali e giuridiche . Ma qui bisogna inoltre tener conto dell ' apparente antagonismo fra la concezione " scientifica " delle cose e quella che e morale e diritto hanno considerato finora come essenziale alla propria esistenza e a cui il positivismo quella vorrebbe sostituire . La scienza tende a concepire i fenomeni come svolgentisi gli uni dagli altri secondo leggi fisse e costanti , fornite del carattere della necessità ; mentre la morale e il diritto li considerano come atti a mutarsi e trasformarsi docilmente sotto la mano dell ' uomo , dotato di volontà e libertà . Di qui un dissidio che , apparente o reale che sia , ha ad ogni modo fatto credere esservi fra i risultati della scienza ed i postulati della morale un ' insanabile contraddizione , ogni progresso dell ' una dovendo segnare una restrizione ed un abbassamento dell ' altra . È questo il problema omai secolare del libero arbitrio , la discussione del quale dal positivismo sembra avere ricevuto nei tempi recenti nuovo incitamento e importanza più grave , e che può considerarsi altresì come il pernio attorno al quale si aggira la controversia da esso sollevata a riguardo del diritto penale . - Consideriamo ora più specialmente la " scuola positiva del diritto penale " . Anche qui vediamo la proposta di un metodo , nuovo e diverso , fondata su un modo nuovo e diverso di concepire la base e la natura del diritto di punire . Come il positivismo in genere dichiara " antiscientifici " i metodi della metafisica in nome di una nuova teoria della conoscenza , così pure noi vediamo nella scuola " positiva " come contrapposta alla scuola classica , la pretesa di inaugurare un metodo nuovo , più " scientifico " di quello finora prevalso nelle discipline penali . L ' indirizzo prevalente del diritto penale , sia per le sue origini che risalgono a quel generoso movimento di reazione che si produsse nel secolo XVIII contro gli abusi e gli arbitrii che viziavano l ' amministrazione della giustizia , e quindi nel razionalismo individualistico degli enciclopedisti ; - sia anche per le tendenze psicologiche e le opinioni individuali degli scrittori che più hanno influito su di essa ; - ma soprattutto , diciamolo sin d ' ora , per le esigenze imprescindibili della materia penale , si è sempre attenuto , e si attiene tuttora , ad un metodo essenzialmente astratto . Non questo o quell ' individuo autore del reato , ma il reato stesso è l ' oggetto del diritto penale : e il reato considerato non come fatto concreto , ma come ente astratto , come mero rapporto di contraddizione fra l ' atto dell ' uomo e la legge dello stato . È al reato così inteso che viene commisurata la pena , indipendentemente da ogni effetto d ' emenda o di ravvedimento che sia a presumersi abbia ad avverarsi nell ' autore del fatto lesivo , indipendentemente dalla pericolosità speciale dell ' individuo quale può risultare dall ' esame particolare di lui , indipendentemente infine da ogni idea di esemplarità ulteriore della pena sui male intenzionati . - Per i positivisti , un tale metodo si trova in contraddizione colle regole più utili e feconde del metodo sperimentale ; esso è per loro un metodo " metafisico " , come è una " entità metafisica " per loro il reato quale è dalla scuola classica considerato e studiato . Ma non solo il metodo : i principii stessi su cui si fonda secondo i classici , il diritto di punire sono per loro " metafisici " . È questo anzi il punto in cui più si manifesta il carattere critico e demolitore delle nuove dottrine , analogo a quello che abbiamo riscontrato nel positivismo in generale . Qui come là , la riforma del metodo si annunzia come la conseguenza logica della mutazione nelle dottrine ; cosicché un giudizio completo nel metodo non potrà aversi se non dopo un esame , per quanto sommario , di queste sue basi teoriche , e della questione se e fino a qual punto il metodo possa considerarsene come una logica derivazione . Due sono i punti teorici fondamentali nei quali la scuola positiva si pone come avversaria alla classica . L ' uno è rappresentato dalla questione del libero arbitrio , l ' esistenza del quale la scuola " classica " postula come fondamento della imputabilità , mentre è dall ' altra scuola negata . L ' altro punto è la " giustificazione " del diritto di punire , che l ' una pone nella giustizia , l ' altra nell ' utilità , nella necessità in cui si trova la società di difendersi dai suoi nemici . Come è facile vedere , queste premesse trascendono la sfera speciale del diritto punitivo per avere una portata addirittura sul modo di concepire la morale . - Coll ' identificarla col calcolo utilitario , esse tendono a toglierle esistenza distinta ; come , negando la libertà , esse le tolgono la " condizione pratica " per la sua possibilità . Per ciò che riguarda il diritto penale , piuttosto che a produrre una riforma di esso , tali dottrine , se considerate nella loro espressione estrema , sembrano atte piuttosto a scalzarne addirittura le basi . I diversi argomenti dei positivisti sono concatenati fra loro . Ragionano i positivisti : negato il libero arbitrio , su cui poggiavano l ' idea di responsabilità , di merito e demerito , idee necessarie così alla morale come al diritto , ne viene di conseguenza che il diritto di punire , nel senso più comune di questo vocabolo , non è più ammissibile né nella società , né negli individui , e sola rimane la necessità per la società di difendersi da chi ne lede il benessere e la tranquillità , di porlo nell ' impossibilità di nuocere altrimenti , di rimuovere le cause per cui egli fu condotto a ciò fare . A questo fine unico mezzo è lo studio accurato dei precedenti del colpevole , la ricerca di tutti i coefficienti che cooperarono alla produzione necessaria del male , e ciò col duplice intento di rimuovere le cause individuali e sociali del delitto , di curare nell ' individuo l ' irresistibile impulso a commetterlo ; nonché di mettere , nel modo più opportuno e su di lui efficace , il reo nella pratica impossibilità di tradurlo in atto , per tutto il tempo che l ' impulso dura . La verità è che , ammessi tali principî , si avrà una medicina od una profilassi individuale o sociale ; si avrà un complesso di riforme per prevenire in modo diverso il delitto ; ma di un vero e proprio diritto penale non si potrà parlare . Comunque , è da tali premesse che si traggono le conseguenze surriferite intorno al metodo in diritto penale . Non più la considerazione astratta del reato , ma lo studio concreto del delinquente e di tutte le cause che lo spinsero a delinquere . Solo così potrà ottenersi una efficace difesa e rigenerazione sociale . Il metodo da adottarsi , secondo i positivisti , non è diverso da quello invalso per lo studio dei fenomeni naturali : mediante l ' osservazione e lo sperimento acquistare una conoscenza chiara del modo di prodursi e di svolgersi dei fenomeni , delle leggi fatali che li governano : allo scopo di poter poi agire , modificando gli antecedenti , sui conseguenti , e di accrescere così il nostro potere sulla natura . Fino a che punto tale concezione è essa legittima ? Fino a che punto i principî del positivismo come sistema filosofico , se veri in generale , sono applicabili alla sfera più particolare del diritto penale ? E quali sono le conseguenze legittime di una tale applicazione ? A nostro parere , se la tendenza generale segnata dal positivismo è giusta , come quella che rappresenta la maturità scientifica dei tempi nostri ; bisogna però guardarsi da certe intemperanze ed eccessività , frequenti negli scritti dei positivisti , ma che del vero e proprio metodo positivo costituiscono la più flagrante violazione . Se molte delle premesse che la scuola positiva in diritto penale fa sue , sono tali che nessuno potrebbe con cognizione di causa negar loro la propria adesione ; pure molte delle illazioni che essa ne trae sono inesatte od errate , o non tengono conto di elementi pure imprescindibili dell ' oggetto loro . Per chiarir ciò , converrà prima prendere in esame la questione del libero arbitrio : per poi passare alle altre questioni implicate dal nostro argomento . LIBERO ARBITRIO ED IMPUTABILITÀ MORALE . La teoria , che per la prima volta io comprendeva rettamente , cessava di essere scoraggiante , e , oltre al sollievo che ne venne al mio spirito , io cessai di soffrire sotto al peso , così grave per chi mira ad essere un riformatore delle altrui opinioni , di reputare una dottrina come vera , e la dottrina contraria come moralmente benefica . [ MILL , Autobiography , , 1873 , p . 170 ] . - Se noi ricerchiamo qual ' è la ragione dell ' interesse e della passione di cui la questione del libero arbitrio è stata in ogni tempo l ' oggetto , non ci sarà difficile vedere ch ' essa sta principalmente nell ' enorme importanza pratica del problema della Responsabilità . L ' intima connessione fra questo e la libertà del volere è insieme un dato del senso comune , un risultato della riflessione filosofica , e un prodotto dell ' evoluzione del diritto dalle forme più brutali di reazione violenta e senza misura contro la causa , qualunque essa sia , del danno ricevuto , a quelle rigorosamente misurate e strettamente personali delle civiltà più progredite . Una conveniente trattazione del tema della responsabilità non potrebbe quindi andar disgiunta da una discussione , per quanto sommaria , della celebre questione detta del " libero arbitrio " . Questa , com ' è noto , sembra essere una delle questioni più ribelli che abbiano mai affaticato l ' ingegno umano ; e da più secoli ch ' essa è controversa , non sembra ancora aver mosso il passo decisivo verso la sua soluzione . Oggi ancora per alcuni il libero arbitrio è " un ' illusione " per altri esso è una verità evidente , un " fatto " che non ha bisogno neppure di dimostrazione . Per quasi tutti poi , l ' affermazione o la negazione del libero arbitrio è un dilemma gravissimo , onde dipendono conseguenze teoriche e pratiche di incalcolabile valore . Si tratta infatti di sapere " se l ' uomo possa determinarsi da sé ad agire in un modo piuttosto che in un altro , se possa scegliere liberamente il male ed il bene , e se perciò possa essere ritenuto responsabile dei propri atti " . Il consenso comune è sempre stato per il verdetto affermativo , mentre la filosofia , che col senso comune non di rado si trova in conflitto , ha dato per bocca di molti fra i suoi più eminenti cultori responso contrario . Secondo l ' opinione più generale , la questione " se l ' uomo possa determinarsi ad agire " si identifica con quella della causalità nelle umane azioni : se cioè all ' uomo , in quanto è dotato della facoltà di volere , sia applicabile il principio di causalità . L ' uomo solo , dicono alcuni , sfugge alla " legge di necessità " che governa tutti quanti gli altri esseri . Niuna regola lo costringe , niuna legge fatale gli addita in anticipo la via da seguirsi . Egli solo perciò è veramente libero ; libero non " relativamente " , come lo possono essere alcuni agenti della natura di fronte ad altri , ma " assolutamente " . A tali affermazioni rispondono altri , facendosi forti di tutto il movimento scientifico moderno ed asserendo l ' impero della causalità anche nel campo dell ' umane azioni , donde essa sembrava voler essere per sempre esclusa . Essi si credono perciò anche in diritto di negare che le azioni umane possano dirsi libere , e ne traggono argomento per rifiutar loro la responsabilità , così morale che giuridica . È un dilemma dal quale sembra non esservi scampo : da una parte una esigenza suprema della morale e del sentimento , dall ' altra l ' autorità della scienza , oggi sempre crescente . Delle due tesi alternative , la prima ci conduce alla concezione di una volontà quasi nata per miracolo , distaccata da ogni suo antecedente , non atta ad essere studiata nelle sue origini , nelle sue cause , non suscettibile cioè di alcuna conoscenza scientifica ( scire est per causas scire ) ; l ' altra sembra por capo ad un fatalismo più o meno larvato ( poiché nessuno , come ben osserva il Mill , è coerentemente fatalista ) . E mentre il fatalismo ci ripugna , ed è d ' altra parte contrario all ' intuitiva coscienza e all ' orgoglio dell ' uomo , l ' ammettere una soluzione assoluta della continuità naturale fra gli antecedenti tutti quanti della volontà e la volontà stessa , un abisso attraverso il quale non sia possibile tendere alcun filo logico di prevedibilità , è cosa non meno contraria , per altri rispetti , alle nostre esigenze pratiche ed intellettuali . Come la morale sembra postulare l ' affermazione del " libero arbitrio " , così tutta quanta la scienza dell ' uomo sembra postularne la negazione . Entrambe le alternative sono insomma , per dirla col James , postulati di razionalità , la scelta fra i quali non può non riuscirvi per un lato od un altro , dolorosa . Nel fatto , sulla inevitabilità di questo dilemma sorgono gravi dubbi . È evidente , che se una necessità inesorabile costringesse gli uomini ad agire in determinate guise e non altrimenti ; se l ' uomo fosse condannato ad assistere , spettatore inerte , automa cosciente , allo svolgersi degli avvenimenti predeterminati ab aeterno da un fato contro cui ogni resistenza è vana , la nostra credenza nella responsabilità sua sarebbe un imperdonabile errore . Questa è la tesi del fatalismo logico e coerente . Ma il fatalismo come dottrina implica l ' impotenza della volontà umana dinanzi a forze che la trascinano suo malgrado : esso pone queste forze come estrinseche alla volontà , come fattori a lei esterni che entrano in lotta con lei e finalmente la dominano vittoriosamente . Per il fatalista , la volontà esiste come entità distinta , già completamente formata ; esiste l ' impulso ad agire , la tendenza al bene o al male , il dolore e il piacere , il desiderio , l ' aspirazione , l ' ideale ; tutto quel complesso di elementi che contribuiscono alla costituzione di una volontà risoluta ; solo che tutte queste forze rimangono senza alcun effetto . " Ducunt volentem fata , nolentem trahunt " , è l ' espressione tipica del modo fatalistico di concepir la vita : nel quale la volontà ed il fato sono rappresentati come potenze antagonistiche , l ' una però destinata a soggiacere eternamente all ' altra . La questione del libero arbitrio però , com ' è generalmente intesa , non si limita a considerare soltanto la volontà in rapporto alle forze che ne possono limitare o contrastare l ' effetto . Se infatti noi ci domandiamo quali sono le cause che hanno prodotta una determinata volizione , oppur discutiamo in astratto se cause siffatte esistono o sono discopribili , consideriamo la volontà non più ne ' suoi effetti , ma nel processo stesso della sua formazione . Posso benissimo conoscere l ' atto volontario e saperlo distinguere nel caso pratico dagli atti di diversa natura , attribuire alla volontà la sua più piena efficacia ; e nello stesso tempo rimanere dubbioso intorno a qualche qualità propria dell ' atto volontario stesso . Così posso pormi la questione , alla quale più propriamente si riduce la controversia del determinismo : fra le proprietà che distinguono l ' azione volontaria da quella che non è tale , si trova anche la proprietà di fare eccezione al principio di causalità ? Si differenzia essa dalle non volontarie per una maggiore indeterminatezza , o per una indeterminatezza assoluta ? Questa seconda questione è assai diversa dalla prima , se cioè gli atti umani dipendano o non dipendano dalla volontà . Mentre quella portava essenzialmente sulla volontarietà delle umane azioni , questa porta sulla loro prevedibilità ; mentre quella verteva sulla possibilità per noi di agire in un modo piuttosto che in un altro , questa verte piuttosto sulla possibilità per gli altri di influire su di noi : mentre infine la soluzione di quella può decidere della fiducia che possiamo avere in noi , questa decide piuttosto della fiducia che in noi possono avere gli altri . L ' insistere sulla radicale diversità dei due problemi non è , come alcuno potrebbe ritenere , l ' enunciare un truismo : tale diversità è atta ad essere stranamente trascurata . Molti la riconoscono in principio , per poi dimenticarsene nell ' ulteriore svolgimento delle loro dottrine , mentre altri adoperano un linguaggio che lascia incerto quale dei due problemi intendano trattare . Ciò produce uno stato di confusione e d ' equivoco da cui è assai difficile liberarsi , anche per le menti più avvezze alla critica logica . - Chi nega il libero arbitrio è raro che con ciò voglia negare il carattere di volontarietà che hanno alcune fra le nostre azioni . Interrogato , è anzi probabile ch ' egli protesti contro una supposizione siffatta . " Chi ha mai contestato , egli dirà , l ' esistenza di volizioni e la loro relativa efficacia ? Ciò sarebbe puerile . Sono i nostri avversari che ci fraintendono . Per costoro , la volontà sorge dal nulla ; è un vero miracolo ; è un concetto che si trova nel contrasto più aperto colla concezione scientifica , " positiva " del mondo ; è infine una " entità metafisica " che noi ci sentiamo in diritto di scartare sdegnosamente . Ma altra cosa è affermare che le nostre relazioni son " necessarie " e altra cosa affermare che non possiamo fare ciò che vogliamo . Questa è la libertà fisica , mentre noi ci riferiamo alla libertà " morale " , fondata nell ' assurdo concetto di una volontà senza cause . È soltanto nel concetto di volontà che differiamo dai nostri avversari ; alla loro concezione metafisica noi sostituiamo la sola concezione positiva " . A tal discorso non potremmo rispondere se non che su ciò possiamo essere in parte d ' accordo con loro , e che il solo argomento di discussione sarà fino a qual punto certe ulteriori loro affermazioni siano conformi alla premessa così enunciata . Quando si muta il concetto di una cosa , quando , in altre parole , non si fa che negarle certe proprietà e attribuirgliene certe altre , occorre star bene attenti a distinguere dalle proprietà che se ne vanno quelle che rimangono , per non attribuire a tal mutamento di concetto conseguenze maggiori di quelle che veramente ne derivano . Quando neghiamo agli atti umani l ' attributo della libertà , occorre essere ben cauti a sapere di qual libertà si parla . Per lungo tempo si è creduto che " l ' essenza " della libertà consistesse nell ' indipendenza da quel principio di causalità che regge la natura esteriore ; perciò chi pretende estendere il principio di causalità alle azioni umane si è creduto in diritto di negare che queste si possano dir " libere " . Lo stesso è a dirsi dell ' attributo della " volontarietà " : se i nostri atti volontari sono quelli che fuggono ad ogni vincolo causale , ciò significa che non v ' è attività umana che meriti veramente il nome di volontaria . Il male si è che le parole " volontario " e " libero " hanno , nel linguaggio ordinario , un significato determinato ed ormai consacrato dall ' uso . Venti volte al giorno io dico : voglio , e mi sento libero di eseguire la mia volontà . Se qualcuno mi viene a dire che tale mia persuasione è frutto di una " illusione " , il mio buon senso si ribella , e sono inclinato a dar del mistificatore al mio interlocutore . Che se poi le sue ragioni mi convincono , io ne risento un effetto deprimente , e propendo verso una concezione fatalistica della vita . È che la violazione dell ' uso corrente delle parole non avviene quasi mai impunemente ; tosto o tardi la confusione si produce , con danni teorici e pratici talora gravissimi . È come se qualcuno spacciasse monete con valore effettivo inferiore al loro valor nominale , e credesse d ' essere scevro di ogni responsabilità , e di avere evitato ogni inconveniente , per non essersene egli valso se non per il loro valore effettivo , dichiarando oltre a ciò il valore stesso alla persona ricevente . A parte la possibilità della frode e di illecito guadagno per quest ' ultima , è certo che vi sarà tosto o tardi chi prenderà le monete per il loro valore nominale , se qualcuno non ne arresta il corso denunziando l ' inganno . Non altrimenti avviene per le parole adoperate in un senso troppo diverso dall ' usuale . Il linguaggio ha un valore essenzialmente sociale , quasi direi pubblico , e a nessun singolo è lecito farlo variare arbitrariamente . Ogni parola desta in noi , occorre non dimenticarselo , una folla di associazioni , che solo in parte soggiacciono al nostro controllo cosciente . Le " questioni di parola " che generalmente sono considerate come disquisizioni sterili ed oziose , hanno invece una importanza grande appunto per ciò : che una parola , a meno che non sia coniata ex novo , porta seco una moltitudine di rappresentazioni associate che è vano il volere assolutamente sopprimere negli altri , e perfino in noi . Il chiedersi se ad un dato oggetto sia applicabile un dato nome equivale praticamente a chiedersi se tale oggetto possegga le qualità che da tal nome sono o debbono essere rappresentate ed evocate , se cioè tale oggetto debba farsi registrare nella " classe di oggetti " che il nome designa . Ogni questione di parola pertanto , coinvolgendo più o meno direttamente una questione di classificazione , è nello stesso tempo anche una questione di pensiero : la sola differenza fra essa e la " questione di fatto " consistendo in ciò , che mentre in quest ' ultima si tratta di vedere se esista un determinato oggetto o quali sono i suoi rapporti con altri , nella prima si discute se quei rapporti ( ad es . di somiglianza ) che abbiamo constatati fra più oggetti e che vengono connotati da un nome si estendano anche ad un altro oggetto : il che si esprime dicendo che questo oggetto deve o non deve essere chiamato in quel dato modo . Non si meravigli quindi alcuno se ravviserà nella presente discussione del problema del libero arbitrio i caratteri propri della " questione di parola " . È appunto solo sollevando una " questione di parola " che le nostre idee sul libero arbitrio e i suoi rapporti colla responsabilità morale e giuridica potranno farsi chiare ; ed è dal non averla sollevata per tempo che dipende , in gran parte , lo sterile dispendio di forze intellettuali che intorno a questa questione si è prodotto . L ' inconveniente , che rende difficili tutte le questioni del genere di questa del libero arbitrio , non è , come alcuno ha creduto , ch ' esse non abbiano per oggetto l ' esperienza accessibile e che perciò offrano soluzioni le une e le altre egualmente indimostrabili come vere ; ma che i concetti e le idee sono in esse rappresentate da parole il cui significato , volgare o filosofico , ha variato storicamente e non è oggi facile a definirsi , e che quindi recano implicazioni intellettuali o sentimentali aventi coi concetti maestri , per così dire , un semplice rapporto di contiguità e non di dipendenza logica . Vedremo ciò meglio or ora . Ma è così che spesso gli avversari discutono come se asserissero cose irreconciliabilmente opposte , mentre in realtà fanno affermazioni che potrebbero benissimo sussistere l ' una accanto all ' altra senza nuocersi : ed avviene altresì che ciascuno di essi , trasportato dalla foga della disputa e dallo spirito di scuola , nonché tratto in inganno dal suono stesso delle proprie parole , trascura di fare le necessarie distinzioni e si rifiuta di ammettere quelle parti della dottrina avversaria , spesso le più fondamentali , alle quali egli non avrebbe di per sé alcuna obbiezione da fare . Avviene pertanto che l ' errore di ciascuno consista piuttosto in ciò che ognuno indebitamente nega dell ' altro , anziché in ciò ch ' egli afferma di cognizione propria ; e nelle conseguenze ch ' egli da questa indiscriminata negazione trae . - È generalmente nota la distinzione fra quei giudizii che il Kant chiama analitici e quelli ch ' egli chiama sintetici , e che furono per lo addietro designati come proposizioni essenziali e proposizioni accidentali . Mentre colle proposizioni sintetiche , che possono anche essere chiamate proposizioni reali ( Mill ) , intendiamo asserire qualche cosa di nuovo nell ' oggetto designato da un nome , che perciò non era implicato nel significato del nome stesso , nelle proposizioni analitiche , che possono essere considerate come verbali , noi " asseriamo di una cosa sotto ad un nome determinato solo ciò che è asserito di essa per il semplice fatto di averla chiamata con quel nome " ( Mill ) . Tale distinzione non ha forse quell ' importanza che le venne da alcuni attribuita , per il fatto che praticamente riesce assai difficile il riconoscere quali sono le proposizioni analitiche e quali le sintetiche . Le parole non conservano il medesimo significato da tempo a tempo , né da individuo ad individuo . Esse vanno ora estendendo il loro senso a proprietà che prima erano fuori dalla loro sfera d ' applicazione , ora abbandonandone altre che prima in essa rientravano . Onde non sempre le proposizioni sono sintetiche o analitiche per tutti : certe proprietà , che per alcuni sono pure e semplici implicazioni del significato di una parola , per altri , più ignoranti o meno riflessivi , sono elementi nuovi , su cui la loro attenzione va espressamente richiamata . " Le parole , scrive un arguto filosofo , che sono l ' intermediario indispensabile fra il mio pensiero e l ' altrui , hanno ben l ' aria di essere un intermediario inutile ed incomodo fra il pensiero e il suo oggetto . Il pensiero per sua natura è dinamico e vivente ; esso non è , ma diventa , è un progresso , non una cosa ; esso è un organismo di cui le immagini rappresentano le cellule , con questa differenza , che " ogni cellula occupa un punto determinato del corpo , mentre un ' idea veramente nostra riempie tutto il nostro organismo " ( Bergson ) . Le immagini si avviluppano , si generano , si penetrano fra di loro ; esse formano un tessuto vivente . Questo tessuto , il linguaggio lo lacera , lo mette in brandelli , poi ch ' esso esige che " noi stabiliamo fra le nostre idee le medesime distinzioni nette e precise , la medesima discontinuità che fra gli oggetti materiali " ( Bergson ) . Come l ' arcobaleno sulla cascata permane colla sua gamma di vivaci colori nonostante il fluire incessante delle molecole liquide che ne sono quasi il sostegno materiale , come il corpo umano si mantiene colle sue fattezze pressoché inalterate attraverso al perenne rinnovarsi della materia organica che lo compone , così , mentre il pensiero si trova in uno stato di plasticità e di fluidità continue , le forme del linguaggio che servono ad esprimerlo hanno la fissità dei solidi che non mutano d ' aspetto se non per la lenta corrosione degli elementi esteriori . Parole rimaste quasi inalterate a traverso i secoli sono passate a poco a poco per infinite sfumature di significato , in modo da trovarsi alla fine della loro evoluzione a contatto , per così dire , con pensieri diversissimi da quelli ch ' esse rappresentavano originariamente . La storia delle scienze e della filosofia ci offre innumerevoli esempi di questa attitudine del pensiero a scivolare sotto alle parole . E ciò che si verifica per i popoli si verifica pure per gli individui . Per il medesimo individuo , nei diversi stadi della sua vita , a seconda dei diversi gradi della sua educazione e della sua esperienza , il significato di una parola cambia . Così pure se ci volgiamo a considerare i rapporti degli uomini fra di loro , vediamo che per quanto i diversi individui adoperino gli stessi termini a designare a un dipresso i medesimi oggetti , dietro a tale uso abbastanza uniforme si celano differenze notevoli nel senso dei termini stessi . In altre parole , numerose espressioni , pure avendo per tutti la medesima estensione , non hanno per tutti la medesima comprensione : non altrimenti che gli oggetti sul mercato , vendutivi ad un prezzo ch ' è eguale all ' incirca per tutti , possono rappresentare per gl ' individui che se li scambiano gradi diversissimi di valore subbiettivo , cioè di " utilità marginale " . " Ciò dipende , dice il succitato scrittore , dal modo in cui facciamo la conoscenza delle parole . È a forza di veder attribuire le medesime parole ad una quantità di oggetti differenti che si arriva ad indovinarne il senso , se pur ci si arriva : poiché di rado si osserva , e mai con grande precisione , e qualche volta non si osserva affatto ciò che tutti questi oggetti hanno in comune . Così " un fratello sa chi sono i suoi fratelli e le sue sorelle , molto tempo prima di avere una nozione qualsiasi della natura dei fatti implicati nel significato di tali nomi ( MILL , System of logic , I , 1 , Ch . II ) " . " Per provare che qualche fraintendimento esiste sempre in fondo alle conversazioni , basta considerarne parecchie che si succedono sul medesimo argomento . Il malinteso , impercettibile a prima vista , diventa allora patente e colpisce le menti anche meno accorte . È così che la storia si converte in leggenda . Il sistema filosofico più intelligibile in sé e più chiaramente esposto , se si propaga e si estende , è atto a diventare una raccolta di formole vane od una nuova dottrina . Esso non è più compreso o è mal compreso . E in tal modo che nel Medio Evo ogni commento alla filosofia di Aristotile è un traviamento oppure un pensiero originale . Ora la scolastica è un fatto di tutti i tempi : essa compare nell ' antichità , e il Rinascimento l ' ha appena rovesciata ch ' esso la ristabilisce sotto altra forma " . Comunque , è il fatto che le parole non hanno eguale comprensione per tutti coloro che le adoperano , quello che rende quasi impossibile stabilire quali siano le proposizioni sintetiche e quali le analitiche . Così si suol addurre generalmente , seguendo il Kant , come esempio di proposizione analitica la frase : i corpi sono estesi , mentre quest ' altra : i corpi sono pesanti , sarebbe una proposizione sintetica . Ora ciò non è esatto , poiché se chi ha studiato nei libri di fisica , dove corpo è generalmente definito come ciò che occupa dello spazio , è probabile pensi che l ' estensione è un attributo assai più direttamente implicato in tal nome ; d ' altra parte può darsi che l ' operaio o il contadino , che assai più spesso ha sentito la pesantezza dei corpi di quel che non abbia ragionato sulla loro estensione , troverà più naturale attribuir loro la prima che la seconda . È vero che mentre tutti i corpi " occupano dello spazio " , vi sono dei corpi che non pesano pel braccio che li solleva ; ma se per pesante s ' intende semplicemente soggetto alla gravità , si vedrà che la frase : i corpi sono pesanti , è non meno analitica dell ' altra . Il principio d ' inerzia , o di conservazione dell ' energia , e quello della conservazione della materia ci appajono oggi così evidenti che sono da alcuno in ciò equiparati agli assiomi della aritmetica . Eppure vi è stato un tempo in cui tali verità erano apertamente disconosciute , in cui si credeva che il movimento si esaurisse e la materia svanisse senza lasciar traccia di sé , ed è solo attraverso ad una lunga serie di sforzi intellettuali che gli uomini sono arrivati a convincersi del contrario . Il principio che la materia " non si crea né si distrugge " , è asceso al grado di giudizio analitico solo in tempi relativamente recenti . In tesi generale il cammino della scienza tende ad aumentare il numero delle proposizioni che sono , o possono essere per chi le enuncia , analitiche . - Le leggi scientifiche formulano rapporti invariabili di coesistenza e successione fra fatti e proprietà ; il che ci permette di dedurre dalla presenza di un fatto o di una proprietà una catena sempre più lunga di fatti o proprietà . - Ora le proprietà di un oggetto sono quelle che servono alla sua definizione - un oggetto è un insieme di proprietà costantemente legate fra loro . - Ciò che ci dà il concetto di un oggetto non è che l ' insieme delle sue proprietà essenziali : e tali sono quelle appunto che intendo attribuirgli quando gli assegno quel dato nome . E quando io affermo di un oggetto una di queste proprietà le quali sono , o possono essere contenute nella sua definizione , io enuncio una proposizione analitica . Ora la scienza accresce il numero delle proprietà legate fra loro in modo , che la presenza di una di essa sia indizio certo della presenza delle altre . - Tutte le proposizioni generali ch ' essa enuncia sono sintetiche per chi le ode per la prima volta , ma sono atte a divenir analitiche per chi è familiare con esse . Se tutti gli oggetti designati da un nome posseggono invariabilmente , oltre alle proprietà sin qui conosciute come costituenti la connotazione del nome stesso , anche altre proprietà ciò vorrà dire che basterà d ' ora in poi semplicemente aver applicato il nome stesso ad un oggetto per intendere che questo possiede , oltre a quelle , anche queste . " La scienza , scrive il Dugas , è un linguaggio ben fatto , e questo linguaggio è l ' espressione , ognora più abbreviativa e più semplice , di una realtà meglio conosciuta nei suoi particolari e nella sua complessità " . Ma se pertanto col progredire della scienza il numero dei giudizi analitici tende a crescere , talora per avventura accade che una proprietà , fino a un certo momento ritenuta " essenziale " ad un dato oggetto , si scopra non esser tale , sia perché si trovano altri oggetti , pur aventi tale comunanza di proprietà con quello da costringerci a chiamarlo collo stesso nome , ma mancanti di quella proprietà in particolare ; sia perché una nuova corrente di pensiero porti a negare quell ' opinione finora generale . In breve , anche nel cammino della scienza bisogna tener conto dell ' errore possibile . Che avverrebbe se domani si verificasse un caso ben constatato di annullamento della materia ? - Quando si scopre l ' errore , cioè si riconosce che una data proprietà non è affatto , come si credeva , caratteristica di un dato oggetto , una scelta si impone : o si mantiene il nome di prima a quel gruppo d ' oggetti , rifiutando d ' ora innanzi la definizione che se ne dava mediante quella proprietà ; o si seguita a ritenere quella proprietà essenziale all ' applicabilità del nome , affermando così che il tal gruppo di oggetti non " merita " più tal nome . Ad ogni modo tutto ciò mette sempre capo ad un rifiuto o ad una sostituzione di definizione . Tale rifiuto o sostituzione non interessa gli oggetti reali se non per ciò che riguarda quella o quelle determinate proprietà . Gli oggetti rimangono integri pel rimanente , né apprendiamo nulla sulla loro esistenza o meno . Non sempre però di ciò si tien conto . Accade , abbiamo visto , che coloro i quali sono avvezzi a sentir definire l ' oggetto mediante quella proprietà particolare , si rifiutino d ' ora innanzi ad applicare il nome di quell ' oggetto al complesso di proprietà rimanenti , o , ciò che è lo stesso si rifiutino di ammettere l ' esistenza di oggetti a cui quel nome sia applicabile , col pretesto che quelli che esistono " mancano delle proprietà necessarie per potere essere così chiamati " . Che cosa ne deriva ? che siccome invece nel linguaggio ordinario il nome indica anche la presenza delle altre proprietà , il loro rifiuto è male interpretato , si crede che " l ' oggetto " sia addirittura negato , e se ne desumono delle conseguenze che sono altrettante erronee quanto difficili a dimostrarsi tali . Infatti la premessa onde si parte , il rifiuto di applicare un dato nome , può esser giusta ; ma secundum quid , vale a dire secondo la definizione particolare che del nome è stata data . D ' altra parte le conseguenze sono tratte da quel rifiuto preso sic et simpliciter , come riguardante il nome nella sua più completa ed usuale connotazione . Ci troviamo quindi dinnanzi ad un sofisma , che spesso si cela sotto le pieghe di una sottilissima e complicatissima dialettica , ma che non è per questo meno fecondo di danni . - Se ora consideriamo più particolarmente la questione del " libero arbitrio " vediamo subito come ad essa si applichi tutto ciò che abbiamo detto sin qui sulla influenza di un linguaggio poco preciso nel rendere pressoché insolubili certi problemi . - La fusione del problema del fatalismo con quello della " causalità delle umane azioni " è stata ed è prevalentemente favorita dalla non sufficiente accuratezza nell ' accertare che cosa si intende dire colle parole causa , necessità , libertà , quando si afferma che anche le volizioni umane sono necessarie , che di esse si potrebbero determinare le cause con altrettanta sicurezza come a riguardo di qualunque fenomeno naturale ; che l ' uomo pertanto non è " libero " . Senza tener conto di ciò , rimarrà sempre inesplicabile come la conciliazione fra i concetti di libertà e necessità appaia agli uni così semplice ed evidente , mentre ad altri essa appare addirittura una cosa " enorme " . - Alla domanda : esiste il libero arbitrio ? - si potranno dare risposte in apparenza contraddittorie , in realtà suscettibili di essere nello stesso tempo vere e false , fintanto che non si è data una soluzione alla prima questione : che cosa cioè s ' intenda , o si debba intendere per libero arbitrio . Originariamente , liberum arbitrium non poteva voler dire altro che la facoltà di scegliere volontariamente fra le diverse azioni quella che si preferisca , e di menare ad esecuzione il verdetto della volontà . Libero arbitrio e volontà non potevano avere significato diverso , e questione del libero arbitrio non poteva rappresentare se non la questione se e fino a che punto l ' uomo possa volere ciò che fa . Solo più tardi questa - se l ' uomo possa volere ciò che fa e fare ciò che vuole - venne considerata come la questione semplicemente della libertà fisica , - questione facilmente risolubile in senso affermativo ; mentre la questione detta del " libero arbitrio " fu trasportata in una sfera più alta , quella della " libertà metafisica " in cui pur si stimò conservasse gran parte della sua importanza pratica e morale e seguitasse ad essere il fondamento della responsabilità etica ed anche giuridica . Tale libertà metafisica poi fu fatta consistere nell ' indipendenza più assoluta da ogni vincolo di causalità . Per comprender per qual processo psicologico sia avvenuto tale trapasso , occorre considerare che per lungo tempo , specialmente sotto l ' influsso del pensiero teologico , fu creduto che l ' indipendenza dalla causalità costituisse effettivamente l ' " essenza " dell ' atto volontario , e la proprietà fondamentale per cui questo potesse dirsi libero e quindi responsabile . La parola libertà poteva dunque per tutto questo tempo " connotare " indifferentemente l ' attributo della volontarietà e quello della mancanza di causalità . Ma quando cambiò il modo di considerar la natura dell ' azione volontaria ; quando si suppose o si credette dimostrato che anche di essa potevano rintracciarsi le cause ; ne venne che chi al nome libertà faceva corrispondere soprattutto il secondo degli attributi si credette poter affermar legittimamente che l ' uomo non fosse libero , e conseguentemente anche che non fosse neppur responsabile delle proprie azioni . Ne nacque quindi la credenza che alla responsabilità morale nell ' uomo non bastasse la libertà fisica , pratica , ch ' egli asserisce ad ogni istante della sua vita dicendo : io voglio , - ma fosse necessaria una libertà più elevata e recondita , di cui fu fatto un problema a parte . Ora è intorno a questo concetto di una libertà " superiore " che verte tutta la questione . L ' estensione della parola libertà a quest ' ulteriore problema è cosa legittima , e tale da non ingenerare equivoci ? Ed è proprio questa la libertà in cui ha suo fondamento il concetto dell ' umana responsabilità ? La nostra opinione è che il problema della libertà è uno solo . Ed è il problema della volontarietà . Ogni indagine avente per oggetto una libertà " ulteriore " , più profonda e verace di questa implica un impiego abusivo di termini atto a traviare il pensiero filosofico , e pertanto da scartarsi . Quando , nella discussione intorno al libero arbitrio , gli uni asseriscono che l ' uomo non è libero , l ' importo vero della loro asserzione è che l ' uomo non possa dirsi libero secondo la definizione speciale data del liberum arbitrium indifferentiae dai loro avversari . Senza tener conto di ciò ogni apprezzamento della loro dottrina e delle sue conseguenze riescirà malsicuro . Essi intendono semplicemente negare che delle volizioni umane sia assolutamente impossibile rintracciare le cause , e di " negare " quindi quel concetto di libertà che in tale assenza di cause la faceva consistere . Ma la parola libertà , come le altre che occorrono in questa questione , " causa " , " necessità " , e simili , hanno - giova ripeterlo - un significato ormai consacrato dall ' uso . La distinzione fra atti liberi e non liberi è una distinzione che ci serve continuamente nelle vicissitudini quotidiane . Tutti noi profferiamo continuamente giudizi sulla libertà nostra o l ' altrui , valutiamo l ' innocenza o la colpevolezza di questo o quell ' individuo , ne ricerchiamo le scuse , le attenuanti o le aggravanti , senza mai aver ragionato se le nostre affermazioni implichino la negazione della causalità e senza il più delle volte sospettare neppure di trattar come risolto " un problema metafisico della più alta importanza e difficoltà " . Prendiamo le parole così come ci vengono presentate dall ' uso volgare , e le applichiamo , senza troppo esitare , ai casi pratici ogni qualvolta in essi ravvisiamo certi caratteri , certi segni , che sono , logicamente parlando , quelle che si chiamano le note dei nostri concetti , e formano la connotazione delle parole . Determinare quali sono queste note , e qual è pertanto il contenuto dei giudizi che tutti noi , uomini incolti e scienziati , confusi nelle esigenze della vita pratica , dieci e dieci volte al giorno profferiamo , è compito d ' importanza , non solo psicologica , ma anche logica e filosofica grandissima . Esso è anzi lo scopo di gran parte dell ' indagine filosofica passata e presente . Non altrimenti vanno considerate tutte le speculazioni che soglionsi raggruppare sotto il nome di teoria della conoscenza . Le classiche ricerche di Berkeley sul concetto di realtà , di Hume sul concetto di causa , per tacer d ' altre , non hanno , come venne da molti creduto , lo scopo di rispondere alla domanda " se la realtà esista " o " sia conoscibile " se si possano o no ritrovare le cause vere dei fenomeni ; ma piuttosto di analizzare il contenuto di tali concetti , da dirci che cosa intendiamo dire quando enunciamo giudizi sulla realtà dei fenomeni e sulle loro cause . Sarebbe assurdo il pensare che tali giudizi siano privi di senso , e che i termini corrispondenti meritino addirittura di essere cancellati dal nostro vocabolario " scientifico " . Si potrà discutere quali siano i caratteri su cui si basa la distinzione fra atti liberi e non liberi , non già rifiutarla senz ' altro . Alcune distinzioni , specie se create artificialmente dallo scienziato in vista di certe differenze fra i fatti , possono bensì essere scartate senza scrupolo e abbandonate per sempre , ove si riconosca inesistente la differenza su cui si fondavano : ma altre invece - che troppo di frequente ci servono nel linguaggio parlato e che è lecito quindi presumere siano basate su differenze reali fra i fenomeni , se anche generiche e difficili a determinarsi - non possono esserlo senza gravi inconvenienti . " Si potrebbe dire , scrive il Vailati , che la tattica più opportuna da adottarsi dal filosofo e dallo psicologo , di fronte ad una parola che , dalla tradizione o dal linguaggio comune , gli venga presentata con significato indeciso o viziato da pericolose associazioni , sia quella consigliata dal vangelo rispetto al peccatore : " non si deve desiderare la morte ma ch ' essa si converta e viva " ; che cioè essa , spogliata e purificata da ogni indeterminatezza od ambiguità , entri a far parte del linguaggio tecnico assumendo un senso quanto meno è possibile disforme da quello che vagamente e quasi istintivamente il linguaggio comune le attribuisce " . Se ora interroghiamo l ' uso popolare ; se ci domandiamo che cosa vogliamo dire quando diciamo di essere liberi di scegliere questo piuttosto che quel corso d ' azione , vediamo che in ogni caso ci riferiamo alla nostra facoltà di volere una cosa piuttosto che un ' altra , e di eseguire la nostra determinazione volontaria . Qualunque sia il risultato dei moderni studi di psicologia e di fisiologia sulla volontà ; qualunque sia la risposta che la scienza moderna sarà per dare a quell ' altro e " più elevato " problema : se le nostre azioni siano o no determinate da cause ; resterà sempre per noi ridubitata l ' esistenza di un ' azione volontaria come distinta dall ' azione involontaria . Spetterà allo psicologo , al fisiologo , al filosofo il determinare su che si basi tal distinzione , lo spinger quindi più innanzi l ' indagine intorno alla natura dei fatti implicati nel nostro discorso quando diciamo di volere . Ma il fatto che talora vogliamo , e talora non vogliamo agire , che talora la nostra volontà resta senza efficacia , talora invece sortisce il suo pieno effetto , non potrà essere distrutto da alcuno sforzo di dialettica . Avremo fatto un gran passo innanzi quando ci saremo convinti che ciò che il senso comune ha in ogni tempo postulato non è la libertà " metafisica " , consistente nell ' esser sciolti da ogni vincolo di " causalità " , ma è la libertà pratica , " fisica " di fare ciò che vogliamo . - Aggiungiamo che a questo riguardo il responso della scienza e della filosofia non può essere che la piena giustificazione di quello del senso comune . L ' uomo è dotato di aspirazioni sentimentali ed ideali , di una ragione capace di guidar la sua mano nella scelta dei fini e dei mezzi , di una mente cioè , nella quale si rispecchia l ' avvenire e dalla quale l ' avvenire è in parte plasmato ; ciò sarà sempre vero , sia che la mente stessa segua ne ' suoi processi una tal qual regolarità che ci permetta un giorno di determinarne le leggi , sia che questo debba restar in eterno vietato agli sforzi degli psicologi . Poiché tale è la sola pretesa legittima che possano vantare i " deterministi " . E se essi hanno così spesso palesata la tendenza a negare o almeno a deprezzare l ' efficacia direttiva della nostra ragione sulle nostre azioni , nel che consiste propriamente la volontà e così pure la libertà , ciò dipende oltre a tutto dal persistere in loro di un concetto della causalità e della necessità , che essi stessi poi magari in altre occasioni professano di rigettare . - È ciò che osserva il Mill in un celebre capitolo del suo Sistema di logica . " Molti non credono affatto , egli dice , e pochissimi sentono praticamente che non v ' è nella causalità nulla oltre ad una invariabile , certa ed incondizionale successione . Pochi sono coloro ai quali la semplice costanza di successione appaia un vincolo di unione abbastanza stringente per un rapporto di natura così speciale come quello di causa ed effetto . - Anche se la ragione lo ripudia , l ' immaginazione conserva il sentimento di una connessione più intima , di un qualche strano legame o misteriosa costrizione esercitata dall ' antecedente sul conseguente . Ora è appunto ciò che , considerato in applicazione alla umana volontà , confligge colla nostra coscienza e rivolta i nostri sentimenti . - Siamo certi , che nel caso delle nostre religioni una tal costrizione misteriosa non esiste " . " Coloro che credono che le cause traggano seco i loro effetti per un mistico legame hanno ragione di credere che la relazione fra le volizioni e i loro antecedenti sia d ' altra natura . Ma essi dovrebbero fare un passo innanzi , e riconoscere che questo è anche vero del rapporto di ogni altro effetto col suo antecedente . Se un tal vincolo è considerato come implicato dalla parola necessità , la dottrina non è vera delle azioni umane ; ma neppure è essa allora vera degli oggetti inanimati . Sarebbe assai più corretto il dire , che la materia non è vincolata da necessità , che l ' affermare ciò della mente " . La cosa apparirà anche più chiara ove si rifletta all ' origine psicologica di questo concetto di un legame più intimo e stringente fra i fenomeni della natura esteriore che non fra quelli del nostro mondo interno . A dirimere i rapporti fra gli elementi della natura esteriore è necessario un certo sforzo . - Cosicché l ' affermazione che una cosa è causa di un ' altra viene ad essere il più delle volte anche l ' espressione della nostra impotenza , assoluta o relativa , di impedire che , data la causa , l ' effetto si produca ; il che esprimiamo dicendo che è necessario , che è inevitabile , che il tal fatto si produca , che non sta in nostro potere di modificare il rapporto fra esso e i suoi antecedenti , o che per far ciò si richiede da parte nostra la spesa di una certa somma di energia . I rapporti del concetto popolare della causalità col sentimento dello sforzo furono a torto trascurati dal Hume e dal Mill . È evidente che lo sforzo non è altro che l ' indice che qualche cosa si oppone all ' esecuzione della nostra volontà . Se la necessità indica sforzo , relativa impotenza , allora necessità e volontarietà sono termini antagonistici . Azioni volontarie sono quelle che per eccellenza stanno nel nostro potere . Non è peraltro l ' estensione alle azioni volontarie di questa causalità o necessità in senso più stretto quella che i deterministi possono volere , poiché essa implicherebbe una contraddizione nei termini . - Essi non possono affermare se non che anche della produzione delle azioni volontarie è possibile stabilire le leggi . Ma legge qui non indica se non prevedibilità . Ogni legge stabilisce che dati certi elementi della realtà , se ne potranno prevedere certi altri . Essa presuppone altresì che altri elementi nel caso contrario non vengano a disturbare il rapporto così stabilito . La combinazione di più elementi dà luogo ad effetti che sarebbe stato impossibile argomentare a priori dall ' esame di ciascun elemento separato ma che , data la combinazione , si possono con ogni certezza prevedere . Onde se si conoscessero le leggi dell ' azione combinata di tutti gli elementi presenti in un dato oggetto , ad un istante dato , sarebbe possibile dedurne con tutta sicurezza ciò che avverrà nel momento successivo . Nella sfera della volontà , ciò significa che se all ' istante che precede immediatamente l ' azione io conoscessi tutti gli elementi presenti , potrei predire infallibilmente l ' azione che seguirà . Quest ' asserzione teorica non fa del resto che mostrarci la quasi - impossibilità pratica che tale predizione avvenga . - Ben lungi dal convincere l ' agente della inevitabilità delle proprie azioni , essa deve fargli presente che ogni suo pensiero , ogni sua considerazione - quella " se esista o no il libero arbitrio " compresa - introduce per ciò solo un nuovo elemento al complesso di cause che determineranno l ' evento . I rapporti di causalità che lo studioso avrà riscontrati fra i fatti del suo pensiero e le sue azioni non saranno mai per riprodursi indisturbati ogni qualvolta egli vorrà servirsene per predire il corso del proprio pensiero o della propria attività nel momento prossimo successivo ; e questo perché ? perché il semplice fatto di conoscere tutto ciò in anticipo rende deforme la realtà concreta dalle premesse delle leggi da lui stabilite : tale conoscenza può fornire motivi nuovi ed inaspettati ad una delle alternative possibili . - E così via all ' infinito . Come si vede , si può ammettere la possibilità di determinare le leggi dell ' azione volontaria e nello stesso tempo affermare nell ' uomo il potere più assoluto di modificare a suo talento il corso delle proprie azioni , dichiarando antiscientifica e contraddittoria ogni concezione fatalistica della volontà . Nulla di più può essere postulato dai moralisti più rigorosi ed esigenti , per ciò che riguarda la pratica possibilità della morale , la quale sarebbe certamente nulla ove l ' uomo non potesse disporre dei suoi atti a suo talento . Ogni esame degli scritti loro , non meno che ogni indagine della coscienza popolare , ci convincerà che ciò che è veramente necessario alla morale terrena è l ' esistenza di quella libertà che alcuni hanno chiamata , con frase inesatta ed equivoca , libertà fisica . " L ' uomo , scrive il Carrara , ha la facoltà di determinarsi nelle sue azioni , preferendo a proprio talento il fare e il non fare dietro i calcoli del proprio intelletto . Questa potenza è quella che costituisce la sua libertà d ' elezione . È in virtù di tale facoltà che gli si chiede conto degli atti a cui si determina " . " Il magistrato trova in un individuo la causa materiale di un atto e gli dice : tu facesti : imputazione fisica . Trova quell ' individuo con volontà intelligente e gli dice : tu facesti volontariamente : imputazione morale " . " La morale , scrive il Brusa , insegna che l ' uomo ha , fra i previsti , l ' obbligo di renderne reale uno , il quale possa ragionevolmente adattarsi come degno de ' suoi fini ideali . La morale dice e dirà sempre all ' uomo finché essa sussisterà : tu devi . Ora se tu devi , gli è che tu puoi " . Orbene , che cosa v ' è in una libertà così concepita , che cozzi veramente contro l ' ammissione di un vincolo di causalità fra la volontà e i suoi antecedenti , quale siamo venuti delucidando ? Dobbiamo andar più oltre , e col Ihering , il grande filosofo del diritto , non certo sospetto di non aver stimato al suo giusto valore la funzione della volontà nelle opere individuali e sociali dell ' uomo , che senza una qualche causalità riesce difficile addirittura il concepire la volontà ? " Senza ragion sufficiente , egli dice , un movimento della volontà è altrettanto impensabile quanto il movimento della materia : la libertà del volere nel senso , che la volontà si possa mettere in moto spontaneamente senza alcuna causa impulsiva , è qualche cosa di simile al barone di Münchhausen , traente sé stesso per i capelli fuor della palude " . Comunque , il moralista non ha bisogno , per concepir la possibilità della morale fra gli uomini , di suppor risolta in senso negativo la questione " se le nostre azioni obbediscano o no al principio di causalità " . Quand ' anche fosse dimostrato irrevocabilmente che la legge di causalità non soffre eccezione alcuna neppure nella sfera dell ' attività umana , rimarrebbe sempre indiscussa l ' esistenza di azioni volontarie distinte da quelle che tali non sono . Non è quindi nella negazione del " libero arbitrio " , nel senso tradizionale di questa espressione , che possa fondarsi logicamente la negazione della responsabilità dell ' uomo di fronte al suo simile per le azioni commesse ; ed ogni affermazione dei positivisti come di altri la quale implichi una tal premessa è pertanto inammissibile . - Noi abbiamo fin qui parlato della volontarietà delle nostre azioni come sufficiente a costituire il fondamento della responsabilità dell ' uomo di fronte ai propri simili . Con questo non abbiamo voluto affermare ch ' essa sia sufficiente ad altre esigenze , principalmente a quelle del sentimento religioso . Ciò che basta a stabilire la responsabilità dell ' uomo di fronte ad un altro uomo può non bastare a stabilirne la responsabilità di fronte a Dio . Per farsi una idea di come sia sorta e si sia radicata l ' opinione che alla possibilità di una imputazione morale sia necessaria una libertà consistente nell ' indipendenza da ogni causalità , bisogna tener conto della parte importantissima rappresentata dal " problema del libero arbitrio " nella teologia cristiana . È noto infatti com ' esso costituisca , per così dire , il pernio delle questioni più gravi e difficili che abbiano agitato il pensiero teologico : la predestinazione , la grazia , il peccato originale , la redenzione , la stessa bontà , preveggenza , e onnipotenza divina ; e sia stato nel seno della chiesa , dai tempi primitivi fino ai nostri giorni , una delle più vivaci sorgenti d ' eresie e di scismi . Il sentimento religioso è fenomeno oltremodo complesso , composto di elementi morali ed intellettuali che spesso si trovano in conflitto fra loro . Qualunque sia esso stato al suo inizio : sia esso stato il frutto del primo svegliarsi della curiosità scientifica , abbia esso avuto origine nel sentimento di terrore dell ' uomo primitivo dinnanzi ai paurosi fenomeni della natura , oppure nelle prime e malcerte esigenze del suo senso morale , il certo si è che nelle nostre religioni più evolute si riscontra la presenza di questi vari elementi , per quanto trasformati e sublimati . La divinità è anzitutto concepita come " spiegazione " suprema dell ' universo , come suprema verità , ed è considerata come la causa prima ed il sostrato essenziale di tutti i fenomeni . Le sue attribuzioni sono l ' infinità e l ' eternità , l ' onnipotenza e l ' onniveggenza ; ogni limite imposto alla personalità divina ripugna alla coscienza religiosa dei tempi moderni . Ma nello stesso tempo la divinità personifica e rappresenta il principio e la sanzione morale suprema , il fine di ogni esistenza , la sua giustificazione . Affinché il sentimento religioso sia pienamente soddisfatto , affinché una religione sia veramente tale ( religio ? ) , occorre che la divinità , oltreché pensata , possa essere anche venerata ed amata . Il valore delle religioni non sta tanto nell ' essere esse una spiegazione dell ' universo , quanto nell ' essere una spiegazione ottimistica , consolatrice , confortante . In questa loro missione sentimentale va ravvisata una delle principali ragioni della loro forza . Ma per ciò , bisogna che la divinità possa apparirci come immensamente giusta ed immensamente buona , come la raddrizzatrice di ogni torto , la compensatrice della infelicità della vita , come quella che risolve , insomma , il problema del male : in essa deve convergere non la sola fede , ma anche la speranza e la carità degli uomini . Fino a che punto è possibile l ' accordo fra queste esigenze del sentimento religioso ? Il problema non ha mai cessato di agitare la mente dei credenti . Esso è , per così dire , il problema teologico per eccellenza . Se Dio è causa di tutte le cose , come spiegare la presenza , d ' altronde incontestabile , di tanto dolore e di tanta perversità nell ' universo ? Se Dio è onnipotente ed onniscente , come non ammetterlo nello stesso tempo o indifferente , o addirittura malevolo a nostro riguardo ? Come sopratutto ammettere in lui il diritto di castigare l ' uomo per aver commesso un fallo la cui responsabilità ultima risalirebbe a lui ? " L ' ultimo autore di tutte le nostre volizioni , scrive Hume , fu il creatore del mondo , che per il primo impresse il movimento a questa immensa macchina e pose tutti gli esseri in quella posizione particolare , dalla quale ogni evento successivo doveva risultare per una inevitabile necessità . Le azioni umane possono dunque o non contenere malizia alcuna , come quelle che procedono da una causa così perfetta , oppure , se ne contengono , debbono coinvolgere il creatore nel biasimo che meritano , dal momento che si riconosce ch ' egli ne è la causa ultima e il vero autore . Perocché come un uomo che ha appiccato il fuoco ad una mina , è responsabile di tutte le conseguenze di questo atto , tanto se la miccia è lunga come se è corta , - così , dovunque si trovi una catena continua di modificazioni necessarie , l ' Essere , finito o infinito , che ha prodotto la prima deve essere considerato anche come l ' autore di tutte le altre " . Di qui l ' ipotesi del libero arbitrio , secondo la quale la volontà è essa stessa un anello terminale nella catena delle cause , è essa stessa una causa prima . La necessità di tale ipotesi s ' impose ai dottori della chiesa sin dai tempi più antichi . " Né gli elogi , né i supplizi , dice Clemente d ' Alessandria , sono fondati in giustizia , se l ' anima non ha il libero potere di desiderare e d ' astenersi , e se il vizio è involontario " . Ma subito aggiunge : affinché per quanto è possibile Dio non sia la causa dei vizî degli uomini . I Manichei , che , com ' è noto , negavano il " libero arbitrio " , erano costretti ad ammettere un altro principio del male ( Hylè ) . Essi furono combattuti vivacemente da Sant ' Agostino , il quale peraltro credette risolvere la questione concludendo che l ' uomo non ha avuto il " libero arbitrio " se non prima della caduta , ma che da allora in poi , divenuto preda del peccato , non ha più da sperare la propria salvezza se non dalla predestinazione e dalla redenzione . Ad un grado maggiore di maturità è giunta la controversia con S . Tommaso d ' Aquino . L ' uomo è dotato di libero arbitrio " alioquim frustra essent consilia , exhortationes , praecepta , prohibitiones , praemia et poenae " . Il libero arbitrio però v ' è identificato colla volontà , e la distinzione fra volontario ed involontario v ' è fondata sulla definizione datane da Aristotile . Dio è sempre la causa prima di tutte le cose , e naturali , e volontarie . Ma " come per le cause naturali egli non toglie , movendole , che i loro atti siano naturali , così , movendo le cause volontarie non toglie che le azioni loro siano volontarie , ma piuttosto ciò produce in loro , poiché opera in ciascuna cosa secondo la proprietà sua " . S . Tommaso ammette dunque la predestinazione : tuttavia egli la concilia colle esigenze opposte mediante la dottrina delle cause contingenti . Tale dottrina ha una importanza immensa nella concezione cosmologica del medio evo , in cui fra le altre cose , serviva a spiegare la presunta influenza degli astri sul corso della vita umana , come appare anche in Dante . Secondo questa concezione , che risale alle dottrine d ' Aristotile sulla materia e sulla forma - sebbene vi sia chi discute ch ' essa sia una riproduzione genuina del pensiero di lui - l ' ordine che regge l ' universo e che emana da Dio non è costante in tutte le sue parti . Il mondo ci presenta una gerarchia digradante da una maggiore ad una minor perfezione , regolarità , ed uniformità .. Il tipo della uniformità e della regolarità era la sfera esteriore del Cosmo , l ' Aplanes ( Empireo ) coll ' innumerabil genere delle stelle fisse incastonate in esso , eterna e sempre in moto nella medesima orbita circolare , per necessità della sua stessa natura , e senza alcuna potenzialità di fare altrimenti . Ma la terra e i corpi elementari , organici ed inorganici , sotto alla sfera lunare e nell ' interno del Cosmo , apparivano di perfezione inferiore e di natura diversa . Erano invero in parte governati e pervasi dal movimento e dall ' influenza della sostanza celestiale nella quale erano comprese , e dalla quale prendevano in prestito la loro forma implicata colla materia , col principio cioè di potenzialità , di trasformazione , di mutabilità , di irregolarità , di generazione e distruzione . Vi sono dunque nei corpi sublunari e tendenze fisse e tendenze variabili . Le tendenze costanti sono quelle che costituiscono la natura , la quale sempre aspira al bene , o alla perpetua rinnovazione di forme perfette al massimo grado , per quanto impedita in quest ' opera dalle influenze avverse , e perciò atta a non produr mai se non individui difettosi e destinati a perire ( per ch ' a risponder la materia è sorda ) . La parte variabile è costituita dalla " spontaneità " o " caso " i quali costituiscono un agente indipendente che accompagna inseparabilmente la natura , sempre modificandone pervertendone , frustrandone i propositi . Inoltre , i diversi agenti naturali di frequente reagiscono gli uni sugli altri , mentre le tendenze irregolari agiscono alla loro volta su essi tutti . Nella misura in cui agisce la natura , in ciascuno dei suoi agenti distinti , i fenomeni sono regolari e prevedibili : tutto ciò ch ' è uniforme , o che , senza essere del tutto uniforme , ricorre naturalmente e frequentemente , è opera sua . Ma , oltre ed accanto alla natura , vi è l ' influenza del caso e della spontaneità , che è essenzialmente irregolare e imprevedibile : sotto questa influenza vi sono possibilità tanto pro che contro : di due eventi alternativi , tanto l ' uno che l ' altro possono egualmente prodursi . [ Grote , Aristotle , I , pp . 164-165 ] . Per noi , che siamo oggi portati a vedere nella apparente assenza di cause determinanti piuttosto un segno della nostra ignoranza che non dell ' irregolarità della natura , tale concetto di una irredimibile contingenza può non parere accettabile . La parola contingenza , se rimanesse nel nostro vocabolario filosofico , non designerebbe se non quei fatti che , per la complessità e il numero delle loro cause , per la remota disparità degli elementi che concorrono a formarli , per la loro attitudine a modificarsi per ogni più piccola influenza sopravveniente , ci è impossibile , allo stato attuale delle nostre cognizioni , di prevedere . - Essa starebbe cioè a rappresentarci piuttosto la presenza di leggi molteplici , intreccianti i loro effetti , la esistenza cioè di un ordine più complicato , che non la mancanza di ogni legge . La contingenza in questo senso non sarebbe che relativa , non assoluta . Se per causa s ' intende non il complesso degli elementi necessari e sufficienti alla produzione di un fenomeno , ma anche quelli semplicemente necessari , causa contingente significherà quel fattore che può dar luogo a prodotti diversi a seconda della diversità degli altri fattori con cui si trova in combinazione ; così il sole sarebbe una causa contingente rispetto all ' esistenza della vita organica sui pianeti . - Così intesa , la distinzione fra cause necessarie e contingenti può riescire di qualche utilità , ed è forse ad averla trascurata che sono dovuti alcuni errori che si sono accreditati e diffusi nel mondo scientifico moderno . In questo senso - nel senso di una maggior complessità di cause - si può dire , senza timore di sollevare contestazioni , che le azioni volontarie rientrano nella contingenza . Ma oggi in generale , per la nostra educazione scientifica , siamo poco disposti ad ammettere che vi sia una porzione dell ' universo ove la legge e l ' ordine non estendano il loro dominio : una contingenza come quella di S . Tommaso ci ripugna ed urta contro tendenze ormai inveterate in noi . Giova osservare però che non mancano tentativi , anche modernissimi , di ripristinare un concetto di contingenza analogo a quello di S . Tommaso ; e ciò sempre , osserviamolo , per fini e mire essenzialmente teologiche . Certo si è che la contingenza in senso assoluto rappresenta pur sempre quella soluzione di continuità nella catena causale , che è indispensabile per evitar di concepire il male come una emanazione della divinità . Il male allora non sorge e si sviluppa se non in quella parte dell ' universo ove domina la contingenza . Il dualismo inerente ad ogni religione positiva qui si fa manifesto : da una parte Dio e la " natura " che , " obbedendo all ' istinto a lei dato che la porta " , aspira alla perfezione ; dall ' altra una potenza avversa , sia essa il caso , la materia , la volontà umana od uno spirito maligno , il demonio . Fino a qual punto la teologia sia riescita a togliere la contraddizione fra l ' infinità e l ' onnipotenza di Dio e la presenza di questa potenza avversa , è questione troppo grave per esser qui discussa ; tanto più che contraddizioni siffatte , insuperabili dalla fredda ragione , possono benissimo essere superate ove intervenga un atto di fede . In ultima analisi , per la teologia il problema della predestinazione si risolve coll ' ammettere si tratti di un mistero : è imperscrutabile il giudizio per cui la divinità permette talvolta il trionfo del male . Alla provvidenza spetta , secondo S . Tommaso , permettere alcuni difetti nelle cose , e l ' apparente ingiustizia della giustizia divina non è che una conseguenza della limitatezza della nostra ragione . " Niente , osserva il Vailati , prova meglio la inevitabilità dell ' ipotesi del libero arbitrio per i teologi , quanto il constatare le enormi assurdità in cui furono costretti a cadere ogni qualvolta tentarono di rigettarla . Così , per esempio .... dalla negazione del libero arbitrio Lutero fu costretto ad ammettere la credenza , moralmente mostruosa , che la salvezza o la dannazione eterna degli uomini non dipendesse affatto dalla loro condotta , ma solo dal beneplacito ( grazia ) di Dio , il quale creandole sapeva già che una parte di essi era irrevocabilmente destinata alle pene dell ' inferno . Per adoperare la sua immagine , ingenua e cinica nello stesso tempo : quando Dio nei sacri libri esorta gli uomini al ben fare , fa come quei genitori che , ai loro bambini non ancora abili a camminare , dicono di venir verso di loro , ben sapendo che non lo possono fare onde essi sian costretti ad invocare il loro aiuto " . Insomma , " fu soprattutto la difficoltà di conciliare l ' esistenza troppo evidente del male nel mondo , colla credenza , troppo preziosa , nella prescienza e nella giustizia divina , quella che rese necessaria l ' introduzione di un ' ipotesi che , come questa del libero arbitrio , sgravasse da una parte il creatore dalla taccia di aver creato un mondo imperfetto e pieno di miserie di ogni genere , e dall ' altra attribuisse a queste il carattere di " punizioni " o " espiazioni " provocate e rese necessarie dalle disubbidienze e dai peccati degli uomini . I metafisici che credono che la questione del libero arbitrio possa continuare ad avere un senso qualunque all ' infuori di ogni implicazione teologica rassomigliano a quegli amputati che si illudono di sentir ancora dei dolori e delle trafitture nel membro che non hanno più ; essi sono dei teologi . con una gamba di legno " . - Una cosa infatti altamente degna di nota è che il " problema del libero arbitrio " , nella forma in cui è oggi comunemente inteso , pare fosse totalmente sconosciuto ai grandi pensatori dell ' antichità . I più fra essi , è vero , sembrano aver ammesso insieme con Aristotile un elemento di spontaneità e di variazione irregolare nell ' universo , ma questa era per loro una veduta puramente cosmologica . Consideravano la causalità e la volontarietà delle umane azioni come due questioni differenti , da trattarsi separatamente e irrilevanti l ' una per l ' altra ; non le raggruppavano insieme in un solo problema globale , per così dire , pressoché insolubile se non per mezzo di un mistero . Ciò è tanto vero che secondo alcuni di essi , p . es . Epicuro , la volontà , governata dai motivi , non rientra affatto nella cerchia , pur da loro ammessa , dei fenomeni essenzialmente irregolari e spontanei . Questa mancanza del problema " del libero arbitrio " nella filosofia antica è quella che fa far le alte maraviglie allo Schopenhauer , e gli ispira anzi per essa un certo qual disprezzo . " Gli antichi , egli scrive , non sono da consultarsi su tale questione , perché la loro filosofia , per così dire ancora allo stato d ' infanzia ( ? ) , non si era ancora fatta un ' idea adeguata dei due più profondi o più gravi problemi della filosofia moderna , quello cioè del libero arbitrio e quello della realtà del mondo esteriore , ossia del rapporto fra l ' ideale e il reale . Quanto al grado di chiarezza e di comprensione al quale avevano portata la questione del libero arbitrio , è ciò di cui si può rendersi conto in modo soddisfacente coll ' Etica a Nicomaco di Aristotile ( III , c . 1-8 ) ; si riconoscerà che il suo giudizio a questo proposito non concerne essenzialmente che la libertà fisica ed intellettuale , ed è perciò ch ' egli non parla che dell ' ekousion e dell ' akousion , confondendo gli atti volontari cogli atti liberi . Il problema assai più difficile della libertà morale non gli si è ancora presentato , sebbene a momenti il suo pensiero si estenda fino a questo punto , sopratutto in un punto dell ' Etica a Nicomaco ( II , 2 e III , 7 ) , ma egli commette l ' errore di dedurre il carattere dalle azioni , anziché queste da quello " . Ebbene ciò non fa , a nostro parere , che far risaltare in questo la superiorità di Aristotile sul filosofo tedesco . La sua concezione è assai più positiva - se per positivo s ' intende chi possiede una visione netta della realtà ed i suoi problemi e chi sa di questi discernere gli elementi essenziali da quelli puramente accessori - di quella dello Schopenhauer . La ragione per cui Aristotile , in un ' opera di morale , non fa parola del " problema del libero arbitrio " è ch ' esso , - inteso come lo intenderebbe lo Schopenhauer , - non è neppur veramente un problema nel senso proprio della parola . Il trasporto della questione della causalità delle umane azioni volontarie - problema cosmologico e teologico - nel campo della morale , e l ' applicazione alla questione così trasportata del nome di libero arbitrio , hanno fatto credere che nella morale esista un problema là dove veramente non ne esiste nessuno . Quando il moralista ha constatato che esiste una volontà e che questa è pienamente efficace , tutte le sue esigenze sono soddisfatte . E questo è il solo significato legittimo , a nostro parere , della parola libertà . L ' immaginare una libertà ulteriore , la sola " verace " , consistente nella " possibilità di volere diversamente da come abbian voluto , pur rimanendo costanti tutti quanti gli antecedenti della nostra volizione " ; libertà che non sia quella di cui si parla ogni giorno quando si afferma di esser liberi perché sì può far ciò che si vuole , ma da cui dipendano nondimeno tutte le conseguenze che soglionsi generalmente far dipendere da quella ; - il sostituire insomma al concetto " pratico " della libertà un presunto concetto " trascendentale " ; - equivale a voler a tutti i costi considerare come non risolta una questione che già lo è . Sarebbe difficile trovare un sintomo più caratteristico di quella che i tedeschi chiamano Grübelsucht , e che consiste in una tendenza insaziabile a dubitar di tutto , della propria esistenza , della esistenza degli oggetti che ci circondano , della nostra capacità a pensare , a sapere , a volere ; mentre è evidente che , se la parola certezza ha un significato qualsiasi , essa è applicabile a questi casi della nostra esperienza più immediata e giornaliera . Quelli che lo Schopenhauer chiama " i due più profondi e gravi problemi della filosofia moderna " non hanno altra origine . Alla " realtà del mondo esteriore " abbiamo accennato in un altro scritto , parlando della teoria della " relatività della conoscenza " . Abbiamo osservato , che l ' affermazione di una siffatta " relatività " non implica alcuna diminuzione della nostra certezza riguardo alla realtà delle cose ; ciò deriva da una errata interpretazione del valore e della funzione delle indagini del Berkeley . Tali indagini non avevano per scopo di dirci se le cose esteriori esistano , di insegnarci cioè qualchecosa sulla veridicità della nostra conoscenza , ma solo di analizzare la natura del nostro giudizio nell ' esistenza delle cose , che cosa intendiamo dire quando diciamo : la tal cosa esiste . Così il problema dei rapporti fra l ' ideale ed il reale non può essere che il tentativo di stabilire su che si basi tale distinzione . Vi è una parte della realtà che noi crediamo particolarmente legata al nostro io , un ' altra che crediamo " indipendente " da esso . Vi è una parte più apparente della realtà ( le parvenze sensibili delle cose ) , un ' altra più recondita , a conoscer la quale giungiamo per mezzo del ragionamento ( di cui argomentiamo l ' esistenza ) . Così l ' astronomo giunge a determinare per mezzo del calcolo i movimenti reali degli astri , in contrapposto ai loro movimenti apparenti sulla volta celeste . È questo - e non altro - ciò che volevano dire gli antichi coll ' antitesi fra i nooumena ( le cose come reali ) e i phainomena ( le cose apparenti ) ; ma un concetto qual è quello del noumeno Kantiano non era ancor venuto loro in mente . O la distinzione fra il fenomeno e il noumeno serve a discernere alcuni fra gli oggetti della nostra conoscenza da altri , ed allora ha un senso , e può essere utile : o serve a designare il rapporto fra tutta quanta la nostra conoscenza , ( cioè tutto il nostro mondo ) reale e possibile , e una presunta realtà al di fuori di essa , ed allora essa è addirittura un non senso . Lo stesso può dirsi della " libertà trascendentale " . Questa , si chiami essa libertà d ' indifferenza o libero arbitrio , sta precisamente alla libertà nel senso comune della parola , come il noumeno , la realtà trascendentale sta a quella cui possiam pervenire mediante le operazioni ordinarie del nostro intelletto . I teorici della conoscenza , Berkeley , Hume , Kant hanno , si dice , dimostrato l ' inconoscibilità di una realtà siffatta . Bisogna andar più oltre , e dichiarare l ' inesistenza di essa , come rappresentata da una nozione assurda , contraddittoria e quindi inconcepibile . Non facendo ciò , si trarranno sempre da tali teorie conseguenze illegittime in senso scettico : si crederà cioè , esservi una porzione della realtà esistente che sia stata da tali studi dichiarata inaccessibile alla mente umana , mentre non si è fatto che abolire un concetto , e più che un concetto , una parola la quale , essendo vuota di senso , non è applicabile ad alcunché di reale . Per convincersi che simile è il caso per la libertà metafisica o morale , basta considerare le definizioni che se ne sogliono dare , sia che essa si affermi , sia ch ' essa venga negata . È impossibile definire questa libertà senza dare artificialmente a tutte le parole della definizione un senso diverso dall ' usuale ; un senso " trascendentale " . " Per libertà morale o libertà volitiva o libero arbitrio , scrive il Ferri , si intende : la facoltà per cui l ' uomo può volere una determinata cosa piuttosto che un ' altra , indipendentemente da ogni causa o motivo , esterno o interno , che lo determini necessariamente a quella data volizione o decisione della volontà . Questa è appunto la libertà che forma l ' oggetto della tanto dibattuta questione , e si esprime così : io posso voler fare questa cosa o quella , a mio piacere , all ' infuori ed in opposizione ad ogni motivo , a qualsiasi causa necessaria , fisica o psichica , esterna od interna " . A chi ben guardi questo periodo , apparrà chiaro che il suo contesto si presta egualmente bene ad indicare quel genere di libertà che è semplicemente implicato dalla volontarietà delle nostre azioni . Il Ferri parla di un uomo che può agire a suo piacere , indipendentemente da qualsiasi causa o motivo , senza vincolo di sorta , esterno od interno , che lo determini necessariamente . Sembra dunque che , secondo tale definizione la libertà che il Ferri combatte postuli la presistenza di un qualchecosa che si chiama uomo con un " piacere " suo proprio , e ne implichi la indipendenza di fronte ad altre cause , i motivi , siano essi esterni ( ? ) od interni . Ora la facoltà di poter perseverare nella propria volontà a dispetto di motivi ulteriori , è certo uno dei dati della credenza comune nella libertà . Il negare questo potere ; postulare l ' uomo esistente come forza , qualunque ne sia l ' origine , ed immaginare questa forza annichilita , impotente di fronte ad altre forze da lei distinte , non è questa la concezione del fatalismo ? È appunto la negazione di questa libertà così definita che può condurre i lettori ( e gli scrittori stessi ) a conseguenze prettamente fatalistiche . Ma tale invece non era il pensiero di chi questa definizione enunciava : le parole , inadatte ad esprimere cose tanto elevate , lo hanno tradito . Il potere di agire a piacer nostro , di cui qui si tratta , non è quel potere , che tutti sappiamo di possedere , di agire come ci pare opportuno , utile , buono , perché questa è la libertà fisica , su cui non v ' è discussione aperta . La libertà " morale " è qualchecosa di molto più elevato , e si libra in una sfera ove la debolezza dell ' umana ragione può invano sperare di raggiungerla . Essa non è la libertà di fare ciò che si vuole , perché questa viene sdegnosamente rigettata come libertà fisica ; non è la libertà consistente nel volere questa o quella cosa , e neppure , checché se ne dica , quella consistente nel voler volere , - poiché anche gli sforzi dell ' attenzione , l ' ostinazione a persistere in un proposito a dispetto di tutto e di tutti , l ' acciecamento volontario sono suscettibili di una spiegazione " deterministica " . Che cosa è dunque questa libertà ? Essa è una creatura vaporosa , che sparisce appena facciamo il gesto di mettervi sopra la mano , che si dilegua in alto , sempre più in alto , che precede l ' inseguitore come l ' ombra precede il corpo , indefinitamente . La libertà , secondo Malebranche , è un " mistero " . Ora per lo scienziato , che studia il problema della libertà come gli vien posto dal senso comune , la libertà non può essere un mistero . Un problema deve essere almeno concepibile perché egli tenti di darne una soluzione . Egli può studiare il problema della volontarietà delle umane azioni , e può studiare il problema della causalità delle umane azioni . Sono due problemi differenti . Ma il problema della " libertà " è uno solo . La parola libertà , come tutte le altre parole del nostro linguaggio , è stata creata dagli uomini per il loro uso e consumo . Essa è fatta per essere riempita di buona e solida sostanza , tolta al mondo nel quale viviamo e a conoscere il quale si affaticano le nostre intelligenze ; non per essere vuotata pneumaticamente di ogni contenuto sensibile e respirabile e poi conservata e ammirata con superstiziosa venerazione , come se ancor contenesse qualche essenza preziosa . Le parole nostre tutte hanno un senso determinato ( o determinabile ) ed umano , né ci è lecito , per capriccio , dar loro un preteso senso trascendentale che - per il fatto che siamo noi stessi uomini - non potrebbe essere se non un vero e proprio non senso . Di tali non sensi , prodotti da parole che restano campate in aria dopo che loro fu tolto ogni valore assegnabile , ve ne sono stati nella storia del pensiero assai più di quanto non parrebbe possibile a prima vista . È compito dello scienziato e del filosofo lo scoprirli appena si formano e toglierli di mezzo , e questo suo lavoro è tutt ' altro che privo di importanza , vista la facilità che hanno gli uomini a cadere nelle forme più svariate di psittacismo . Ma quello che giova notare , è che la negazione di " concetti " consimili , nulli ab initio , per così dire , per la presenza di elementi contraddittori , non è da confondersi affatto coll ' affermazione dell ' inapplicabilità dei concetti veri a determinati oggetti o alla realtà in genere : tale negazione non è che la constatazione , rispetto ai primi , della loro intima ed essenziale nullità . Il loro annientamento non lascia quindi alcun vacuum nel mondo del pensiero , alcuna limitazione di esso , che possa dare adito a scetticismo di sorta ; la loro forma è già subito riempita efficacemente , né alcuna soluzione di continuità resta a segnare il luogo ove essi già furono . Risulta così illegittimo ogni dubbio sulla nostra libertà non meno che sulla esistenza o realtà in genere delle cose . Come , quando ho debitamente constatato , con tutti i mezzi di prova che come uomo ho a mia disposizione , la presenza di un oggetto , la mia credenza nell ' esistenza di esso ha ogni grado immaginabile e desiderabile di certezza , né v ' è luogo a dubbio ulteriore - tutte le conseguenze teoriche e pratiche che decorrono da tale credenza sono d ' ora innanzi legittime ; - così , quando ho constatato di trovarmi nella condizione di poter scegliere a mia volontà fra più azioni possibili , non mi è lecito dubbio alcuno sulla libertà mia . Concludendo dunque il dilemma che il più delle volte si crede posto dalla " questione del libero arbitrio " - quello cioè fra la credenza nell ' assoluta imprevedibilità degli atti volontari , e l ' accettazione di un fatalismo deprimente e distruttore di ogni morale responsabilità , - è un falso dilemma . L ' analisi logica della questione ci ha condotto a ravvisarvi due problemi distinti , suscettibili ciascuno di soluzioni opposte , ma indipendenti fra loro . Da una parte , la questione se le nostre azioni dipendano dalla nostra volontà ; o meglio - poiché è evidente che ve ne sono alcune che ne dipendono - quali sono le azioni che ne dipendono ; fino a che punto cioè siamo liberi , e pertanto responsabili . Rientrano in tale questione tutti quegli studi sulla psicologia e la patologia della volontà che sono di tanta utilità così al sociologo , come al moralista e al giurista . Dall ' altra parte , la questione più " elevata " forse , ma certo praticamente meno importante , e ad ogni modo irrilevante per l ' altra , se alle nostre azioni sia o no applicabile il principio di causalità . Chi tale applicabilità nega , intende asserire che i fenomeni della nostra mente , che sono gli antecedenti dell ' azione volontaria , posseggono una fondamentale ed irrimediabile irregolarità : che cioè una previsione sicura dei loro effetti , come non si ha ora , non si potrà mai avere . Essi pretendono in altre parole segnare sin d ' ora un limite insuperabile alla psicologia della volontà . Quale delle due opinioni contrarie sia la vera è cosa assai ardua a decidersi allo stato presente delle nostre cognizioni . Certo si è che col progredire della scienza si vanno scoprendo di continuo nuovi casi di uniformità e regolarità fra i fenomeni , e non sfuggono a questa sorte i fenomeni psichici , per quanto in modo meno spiccato degli altri . Molta della contingenza Aristotelica o Tomistica si è ormai dileguata ai nostri occhi ; e la materia , che per Aristotile rappresentava il principio della irregolarità , oggi , mutato significato , è venuta ad apparirci come la sede delle leggi più fisse e sicure che signoreggiano l ' Universo , - le meccaniche , le fisiche e chimiche . Fin qui , la natura si è mostrata abbastanza docile ai nostri desideri : i fatti suoi si sono lasciati a poco a poco ridurre in leggi , plasmare ad una forma più razionale di quella che ci vien presentata dal crudo ordine dell ' esperienza ; ed è ciò che ha permesso all ' uomo di tanto estendere il suo potere sulle forze naturali , che ha prodotto le meraviglie del vapore e dell ' elettricità , dell ' industria , dell ' igiene e della terapia moderne . Ma " fino a che punto , per dirla con un acuto pensatore americano , la natura si mostrerà così plastica nell ' avvenire , nessuno può dire . Il nostro solo mezzo di saper ciò è di metterla alla prova " . Intanto a questa lotta dell ' uomo contro l ' oscura potenza del caso e del disordine possiamo assistere con una certa serena tranquillità , sicuri che , qualunque ne sia l ' esito , esso non potrà essere fatale ad alcuno dei supremi postulati della nostra vita morale . Se fosse vero che dall ' esito di questa lotta dipende per noi la possibilità di applicare il concetto di responsabilità , ogni progresso della fisiologia e della psicologia dovrebbe segnare una restrizione della sfera della morale . Ogni motivo per agire dovrebbe costituire un ' attenuante dell ' azione commessa . Fortunatamente , non è dell ' assenza di motivi e di cause che il diritto e la morale hanno bisogno : la loro base in tal caso sarebbe davvero troppo malsicura e ristretta . Essi hanno soltanto bisogno che l ' atto sia l ' emanazione del carattere e della personalità cosciente dell ' individuo che valuta i motivi , in altre parole della sua ragione . La suscettibilità al motivo , l ' attitudine cioè ad agire in modo diverso a seconda della previsione delle conseguenze dei nostri atti , ben lungi dall ' essere un argomento contro la libertà e la responsabilità , è piuttosto la prova di essa . Nella vita , le persone di maggior volontà non sono quelle che persistono in un modo d ' agire , sordi ad ogni voce in contrario , ma quelli che meglio si lasciano convincere dalla bontà degli argomenti ; non i più impulsivi , ma i più riflessivi nell ' azione : non quelli che seguono la randagia associazione delle idee , ma le regole della logica . Per meglio chiarire tutto ciò , non sarà male il far parola dei caratteri distintivi dell ' atto volontario , e della natura dei fatti implicati in esso . Ne derivano infatti conseguenze per la morale ed il diritto che meritano forse di essere segnalate . LA VOLONTÀ . - Che cos ' è un atto volontario ? E perché l ' atto volontario solo è atto responsabile ? " Atto volontario , dice Aristotile , sembra esser l ' atto il cui principio è nell ' agente stesso , che sa in particolare tutte le condizioni che l ' atto suo coinvolge " . " La parola volontario designa , propriamente parlando , ciò che noi facciamo senza esservi costretti da una necessità qualsiasi . Involontarie sono quelle cose che noi facciamo per forza maggiore o per ignoranza " . " Una cosa fatta per forza maggiore è quella la cui causa è esteriore , e di tal natura che l ' essere che agisce e che soffre non contribuisca in nulla a questa causa : per esempio , quando siamo trascinati da un vento irresistibile , o da gente che si è impadronita della nostra persona " . Tali definizioni d ' Aristotile , quantunque non si discostino dall ' uso volgare delle parole , ed esprimano ciò a cui tutti siamo disposti a consentire , hanno forse bisogno di esser completate . Molti movimenti del nostro corpo sembrano aver il loro principio in " noi " senza per questo meritare il nome di volontari , nel senso più ristretto secondo il quale ci reputiamo responsabili per averli commessi . La nostra vita psichica reagisce continuamente sulla nostra vita fisica e fisiologica ; essa produce in noi i movimenti riflessi ed istintivi , tutto quel complesso di reazioni svariate che costituiscono le emozioni , eppure questi fatti rientrano in una categoria ch ' è di somma importanza il poter distinguere da quella degli atti propriamente volontari . Di certi impulsi , di certi atti che hanno la loro sorgente nell ' oscuro meccanismo della nostra vita reflessa e istintiva noi non sogliamo ritenerci responsabili se non nella misura in cui potevamo impedirli : cosicché la responsabilità , degradando poco a poco , svanisce addirittura quando tali impulsi superino un certo grado di intensità , che li rende " irresistibili " . Come ed in che senso le passioni , che pur costituiscono tanta parte della nostra individualità , possono rappresentare una limitazione alla volontà , ponendosi di fronte a questa come potenze a lei avverse ? Lo stesso Aristotile sembra imbarazzato a rispondere a questa domanda : " Così , egli scrive , non si possono a buon dritto chiamare involontari gli atti che ci fanno commettere la collera e il desiderio . Una prima ragione si è che , ciò ammesso , ne verrebbe di conseguenza che nessun essere all ' infuori dell ' uomo , agirebbe volontariamente , neppure i bambini . Possiamo dire che noi non facciamo niente di nostra piena e libera volontà , nelle cose della collera e del desiderio ? Oppur dobbiamo far qui una distinzione , ed ammettere che noi facciamo il bene volontariamente e il male involontariamente ? ma non sarebbe ridicolo di ammettere una distinzione simile , dal momento che non vi è che un solo e medesimo agente che cagiona tutti questi atti ? " . Gli è che tali impulsi , istinti e passioni sono bensì fra i coefficienti della volontà , fra gli elementi che combinandosi dànno origine al fatto complesso della volizione , e senza i quali anche quegli atti che posseggono nel grado più eminente il carattere della volontarietà sarebbero inintelligibili . - Ma i movimenti che questi impulsi producono possono considerarsi come volontari o no a seconda del contenuto intellettuale , per così dire , della nostra mente al momento in cui si eseguiscono e che su di essi infierisce . Mentre infatti fra gli scienziati e i filosofi non manca chi consideri tutta quanta la nostra vita impulsiva ed attiva , impulsi e stati sentimentali come manifestazioni della volontà ( Schopenhauer ) , il linguaggio ordinario sembra riserbare la designazione di volontari a quelli fra gli impulsi che siano preceduti o accompagnati da una chiara e lucida coscienza dell ' atto che sta per seguire , con una visione più o meno netta , più o meno penetrante , delle sue conseguenze . Questa coscienza è quella che permette ad altri impulsi , atti a controbilanciare il primo , di sorgere : che permette , cioè , il fatto dell ' inibizione , senza la possibilità della quale non vi è atto propriamente volontario . Fermiamoci un momento a considerare che cos ' è implicato da ciò . Non è raro di trovare scrittori che definiscono gli atti volontari come quelli a determinare i quali contribuiscono le nostre idee , le nostre rappresentazioni . Un tal modo di esprimersi non è tuttavia del tutto esatto . - Per adoprare una frase cara ad alcuni deterministi , non è vero che " ogni determinismo interno rappresenti una determinazione volontaria " . Le nostre idee e rappresentazioni possono produrre numerose reazioni che pur non sono volontarie . Se , per esempio , estendo il dito indice della mia mano , e ad occhi chiusi mi sforzo di rappresentarmi , più vivacemente che sia possibile , di tenere un revolver in mano e di premere il grilletto , mi avverrà certamente di sentire il mio dito a tremare per la tendenza a contrarsi ; e , se fosse connesso con un apparecchio registratore , esso certamente tradirebbe il suo stato di tensione col segnare movimenti incipienti . Questi non avvengono perché io so di non avere in mano la rivoltella , e quindi io inibisco la tendenza iniziale . Ma quei movimenti incipienti tengono dietro ad una rappresentazione mia , e pur non sono volontari , anzi si compiono contro la volontà mia . Altro esempio sono tutti i movimenti " incoscienti " che si compiono quando alcuno di noi è internamente assorto nella meditazione o nella fantasticheria ( rêverie ) , come il parlar da soli accompagnandosi col gesto : e tanti altri . Per spiegare la produzione dell ' azione volontaria bisogna dunque specificare maggiormente e ricorrere a fatti di natura più particolare . - Esiste una categoria di fatti psichici che è opportuno classificare a parte dalle semplici " rappresentazioni " , o " idee " , e sono le nostre credenze , i giudizi che formuliamo sulle cose . Ora è di somma importanza notare che è solo a quegli atti su cui hanno influito vere e proprie credenze nostre , che diamo il nome di volontari . - Se prima io non ho premuto il grilletto , è perché ben sapevo che il grilletto non esisteva che nella mia immaginazione . Il premere un grilletto immaginario è cosa assurda , e perciò non ho voluto far ciò . - Così è : altra cosa è rappresentarsi un albero , altra cosa il credere nella sua esistenza , il giudicare : l ' albero è . Ogni giudizio presuppone l ' esistenza di rappresentazioni , ma queste sono distinte da quello e possono anche esistere senza di esso . Nello stato anteriore alla determinazione volontaria , lo stato di deliberazione , ciò che si svolge nella nostra mente non è il conflitto di semplici idee contraddittorie , richiamantisi l ' una l ' altra secondo le leggi dell ' associazione per contiguità o per similarità : ma quello fra più giudizi sull ' atto che si compie o sta per compiersi , e le sue conseguenze certe o probabili . - Perché vi sia atto volontario , occorre che tali giudizi figurino fra le cause dell ' atto stesso : ch ' essi cioè abbiano la facoltà di sospenderne o di modificarne la produzione . Se ben si considera , è proprio questo il criterio differenziale fra le azioni volontarie e le involontarie . - Se io sto per prendere una grave determinazione , per esempio , quella di commettere il suicidio gettandomi dalla finestra , fino ad un certo momento , ogni considerazione nuova sopravveniente ha la capacità di sospendere l ' esecuzione dell ' atto : il dolore che proveranno i congiunti e gli amici , la condizione in cui rimarranno gli altri componenti la famiglia , la possibilità di porre rimedio alle cause della mia disperazione , l ' irrevocabilità dell ' atto , o semplicemente il male fisico della caduta sono considerazioni che possono , anche quando ho già scavalcata la ringhiera , indurmi a non condurre a termine l ' azione incominciata . Perciò io dico che tale azione dipende dalla mia volontà . Ma da un certo momento in poi : da quando il punto di appoggio è perduto e l ' individuo si è abbandonato , ogni ulteriore considerazione è inutile : se ad un certo punto della discesa l ' individuo è colto dal pensiero ch ' egli si sfracellerà immancabilmente le ossa sul marciapiede , ciò non gli impedirà di seguitare a cadere secondo la legge inesorabile della gravità : l ' atto non dipende più dal suo volere . Lo stesso avviene quando spesso la nostra volontà si trova in lotta con le leggi del nostro organismo . Vi sono certi movimenti che si possono bensì non cominciare , ma che una volta cominciati non si possono interrompere . In altri l ' impulso ad eseguirle cresce colla ripetizione degli atti : ad un certo momento della vita esso diventa realmente irresistibile . In altri ancora l ' atto è irresistibile sin da principio quando l ' agente si trovi in determinate condizioni ; a lui non è possibile che evitare le condizioni stesse . È così che nascono , com ' è noto , la maggior parte dei vizi di cui l ' uomo si fa poi schiavo ; è su ciò che è fondata la massima pedagogica : principiis obsta . Tutto ciò rientra nella questione dei limiti della volontà , lo studio della quale è d ' importanza capitale per il pedagogo , il moralista , il sociologo , il giurista . Nella natura infatti i fenomeni che godono di questa singolare proprietà , per noi oltremodo preziosa , di poter esser modificati dalle nostre credenze e dai nostri giudizi , dalle considerazioni cioè che facciamo sul loro modo di svolgersi , sono in numero relativamente ristretto . Degli altri noi siamo spettatori , ma non motori . Le loro successioni e le loro coesistenze , i loro divorzi e i loro connubi sono stabiliti da vincoli così tenaci che possiamo bensì conoscerli , ma non possiamo infrangerli . Conosciuti , tali vincoli fra i fenomeni saranno gli elementi della nostra concezione scientifica dell ' Universo , la base sempre più larga , sulla quale si erigerà quella possibilità di previsione delle conseguenze degli atti nostri , che è atta a renderci sempre più potenti nella nostra relativa impotenza di fronte all ' immensa natura . Ma la nostra influenza su di essi non sarà che indiretta : se vogliamo renderci propizie le loro forze , se vogliamo piegarle ai nostri fini , non possiamo farlo se non per mezzo di quella parte della realtà , che realmente si mostra obbediente al semplice fiat nostro . Che una parte siffatta della realtà esista , è indubitabile : tutti coloro che hanno come noi identificato la libertà colla volontarietà delle azioni , hanno considerato la libertà come un fatto evidente . Hanno avuto torto però alcuni di essi di considerare questo fatto come un attestato diretto della coscienza . Ciò che ci dice che un dato atto , un dato movimento terrà dietro ad una determinata nostra credenza , è , non meno che per quelli che tengono dietro direttamente agli stimoli " esteriori " , l ' esperienza . Desidero che domani piova , e la pioggia non cade per questo : stimo invece opportuno che il mio braccio si muova per prendere quell ' oggetto , che la mia bocca articoli certi suoni , che la mia penna scriva le presenti parole , ed ecco ! la cosa è fatta . Nel formulare il mio desiderio , io ben sapevo che esso si sarebbe realizzato nel primo caso , che non si sarebbe realizzato nel secondo . Onde io dal semplice esame del mio stato d ' animo posso dire a priori se esso sarà efficace o no a diventare , secondo l ' espressione del Kant , la causa dell ' esistenza del proprio oggetto ; se quindi , io potrò formularlo nella forma risoluta : " io voglio " , o dovrò limitarmi a quella più mite e modesta : " io desidero " , o " io spero . " - Ma ciò non è che un prodotto delle ripetute esperienze fatte , per mezzo delle quali ho potuto constatare " quali movimenti tengano dietro a quali pensieri . " Tanto è vero che nel caso di paralisi il rapporto di successione normale è rotto , l ' esperienza deve rifarsi da capo : in un paralitico di data recente , vi hanno tutti gli antecedenti dell ' azione volontaria , compresa la certezza che l ' azione seguirà - ma l ' azione invece questa volta non si produce : il braccio non si alza , le labbra non si muovono ad articolare il suono , le gambe si rifiutano al comando che vien loro impartito col consueto vigore . È questo uno stato di cose a cui presto tien dietro la convinzione della propria impotenza ; sparisce il vero e proprio carattere di volizione , e subentra il semplice desiderio , distinto dalla volontà vera e propria in quanto per questa è necessaria la previsione dell ' atto . - Un essere adunque che non avesse avuto esperienza anteriore non potrebbe , nel senso proprio della parola , volere . Tutte le reazioni sue agli stimoli di ogni sorta sarebbero di natura inaspettata per lui . " I movimenti volontari , scrive il James , debbono essere funzioni secondarie , non primitive , del nostro organismo . È questo il primo punto che deve essere capito nella psicologia della volontà . I movimenti reflessi , istintivi , emozionali sono tutti fatti primarii : i centri nervosi sono organizzati in modo che certi stimoli fanno scattare certe parti esplosive ; e la creatura che assiste per la prima volta ad una di tali esplosioni , fa una esperienza nuova . Un giorno assistevo insieme ad un bambino all ' arrivo rumoroso di un treno diretto nella stazione . Il bambino che si trovava assai vicino ad una piattaforma si scosse e si mise a piangere , divenne pallido col respiro affannoso , e gridando corse a me a nascondersi il viso . Sono convinto che quel piccolo essere non era meno maravigliato per il proprio contegno che per l ' arrivo del treno , e certo più di quanto fossi io , che assistevo alla scena . Naturalmente , se una tale reazione si ripetesse spesso , sapremmo presto che cosa ci dobbiamo aspettare da noi stessi , e potremmo prevedere la nostra condotta , pur rimanendo questa involontaria ed incontrollabile come prima . Ma se , nell ' azione volontaria propriamente detta , l ' azione volontaria deve essere preveduta , ne consegue che nessuna creatura che non abbia un potere divinatorio potrà mai eseguire per la prima volta un atto volontario . Ora noi non siamo forniti di un potere di visione profetica dei movimenti che possiamo fare , più che delle sensazioni che possiamo avere . Come dobbiamo aspettare che le sensazioni ci si presentino , così dobbiamo aspettare che i nostri movimenti si siano compiuti involontariamente , prima di formarci l ' idea di ciò che sono l ' uno o l ' altro di questi due processi . Noi impariamo per la via della esperienza tutte le possibilità che possediamo : quando un movimento particolare avvenuto una volta in modo casuale , reflesso e involontario ha lasciato una traccia di sé nella nostra memoria , il movimento può essere di nuovo desiderato , può essere proposto come fine , può essere deliberatamente voluto . Ma è impossibile vedere in qual modo avrebbe potuto essere voluto altrimenti . Una provvista di idee dei vari movimenti possibili , formatasi nella memoria , per l ' esperienza fatta compiendoli involontariamente , è pertanto il primo requisito della vita volontaria " . Vediamo dunque come le azioni reflesse ed istintive , che alcuni sogliono contrapporre alla volontà come qualchecosa di irreducibilmente diverso , siano invece il materiale onde la volontà si vale e senza il quale sarebbe impossibile comprendere i suoi movimenti . Inoltre , ben lungi dal rappresentare antiche azioni volontarie rese incoscienti , o subcoscienti , dalla lunga ripetizione , esse sono qualchecosa di anteriore alla volontà , qualchecosa che può bensì esservi senza che esista una vera e propria volontà , ma senza di cui una volontà qualsiasi è inintelligibile . Se ora forse molte delle nostre reazioni istintive sono azioni volontarie diventate automatiche , ciò vuol dire che prima ancora vi dovevano essere altre azioni automatiche , se anche diverse dalle attuali . La volontà presuppone quella che il Bain chiama attività spontanea del sistema nervoso , per la quale a certi determinati stimoli , esteriori od interiori , rispondono determinate reazioni . " Si può paragonare il sistema nervoso a un organo i cui mantici sono costantemente tesi e pronti a scaricarsi in tutti i sensi a seconda dei tasti che preme l ' organista . Lo stimolo delle nostre sensazioni e dei nostri sentimenti ( feelings ) non dà la forza interna , ma determina il punto ove si produrrà la scarica e come essa si produrrà . Questa attività diremo così automatica del nostro sistema nervoso è la base di tutta quanta la nostra vita emozionale , sentimentale , affettiva . La vista di certi oggetti , di certi aggruppamenti di linee e di colori , il contatto di certi corpi , l ' audizione di certi suoni , ogni sensazione insomma fa nascere nel nostro organismo certe reazioni determinate , piacevoli o dolorose , certe preferenze o repulsioni , certi impulsi ad agire , che non possono altrimenti chiamarsi se non istintivi . E nella vita istintiva hanno la loro radice , più o meno direttamente , tutti i nostri sentimenti , dai più elementari e volgari , ai più complessi , elevati e raffinati . - La vita istintiva fornisce alla volontà , oltreché , come abbiamo visto , i suoi materiali , anche ogni fine , ogni ragione in vista della quale essa si determina . I grandi fini , ai quali si vogliono talora ricondurre tutti gli altri subordinati : la nostra conservazione , la conservazione della specie , la felicità o il piacere ; quelle tendenze che possono orientare tutta quanta la vita di un uomo , l ' amore , il sentimento familiare o patriottico , la bramosia di sapere , la passione artistica , l ' aspirazione umanitaria , che cosa sono in ultima analisi , se non grandi istinti , più degli altri " fondamentali " ? E nel dire ch ' essi sono istinti , noi non intendiamo affatto deprezzarli . Il fatto che un istinto , una nostra tendenza è " cieca " , che è impossibile " giustificarla " con una " ragione " qualsiasi non dice nulla infatti sulla opportunità o meno per gli uomini di seguirla ; imperocché ciò è vero di tutte le nostre maggiori tendenze . Una nostra tendenza , una nostra preferenza , non può giustificarsi se non mediante un ' altra tendenza , un ' altra preferenza ; onde è forza pur far capo ad una tendenza , ad una preferenza che non ha bisogno di essere ulteriormente giustificata , ad un qualche cosa cioè , la cui preferibilità ci sembri perfettamente ovvia e naturale . Ogni sentimento , nel fatto , basta a sé stesso ; e alla domanda di un perché non si può rispondere , nella massima parte dei casi , se non : perché è così . La ragazza piace al suo innamorato non per alcun fine indiretto o remoto , ma semplicemente perché gli piace : s ' egli la sposa , anche per altri motivi per la sua posizione sociale o i suoi danari , s ' egli ciò facendo crede di servire la patria , o , avendo una vena filosofica , è convinto di servire all ' alto fine della conservazione della razza , tutti questi sentimenti sono elementi estranei all ' amore , che possono bensì rinforzarlo e magari sostituirlo , ma che non possono essere , agli occhi dell ' innamorato , la giustificazione della propria passione . Il bisogno di giustificare ai propri occhi un sentimento è già una prova ch ' esso incomincia a vacillare . Presso l ' uomo non meno che presso gli animali esiste un certo numero di tendenze che non hanno altra giustificazione all ' infuori della propria esistenza . Nel gatto la vista del topo fuggente , nella gallina la vista delle uova , nel cane l ' odore di un buon boccone provocano l ' impulso ad una serie di atti , il fine dei quali può benissimo essere conosciuto dall ' animale in questione , ma che si compierebbero egualmente anche ove tale conoscenza mancasse . La gallina che ha già covato e veduti i pulcini , il gatto ed il cane che sanno ormai per esperienza qual complesso di raffinate sensazioni rappresentino il topo acchiappato e il boccone furato , alla vista degli oggetti stessi non provano più quel semplice e cieco impulso ad agire della prima volta : prima ancora di essersi mossi è sorta in loro la rappresentazione ( previsione ) degli effetti dei loro movimenti , e questi effetti possono presentarsi come desiderabili alla loro volta , cioè rinforzare l ' impulso primitivo , oppure come dolorosi , e quindi neutralizzarlo . Nel caso del cane , accanto alla delizia del boccone può sorgere il ricordo e la previsione delle frustate del padrone . Dal momento in cui nasce la possibilità che un impulso sia frenato dalla previsione di conseguenze ulteriori , l ' azione comincia a meritarsi il nome di volontaria . Intanto l ' azione si compierebbe egualmente anche senza quella nozione delle conseguenze desiderabili dell ' atto , che costituisce ciò che ìmpropriamente chiamasi " l ' idea del fine " . Per la gallina il desiderio di covare le uova è altrettanto finale quanto lo è per noi quello di mangiare quando abbiamo fame . Le uova le vengono presentate , ed essa vi si adagia sopra , né essa sa perché , se non che la cosa l ' attrae e la seduce . Le uova sono per lei una fonte di emozioni , e l ' oggetto di un forte sentimento , le cui ragioni trascendono di gran lunga le sue capacità intellettuali , e che per lei è cosa più naturale di questo mondo . Così parteciperanno per lei di questa tinta emozionale , per così dire , tutti quegli oggetti ch ' essa giungerà ad associare colle uova stesse : le uova saranno suscettibili di diventar fine per una quantità di atti ad esse relativi , atti in sé magari spiacevoli , ma eseguiti in vista del piacere dato dalle uova stesse . Abbiamo dunque veduto che cosa contraddistingua la volontà : l ' influenza sui nostri atti dei giudizi che formuliamo intorno agli atti stessi . Abbiamo veduto altresì come ciò presupponga l ' esistenza di impulsi , di tendenze , di preferenze per così dire automatiche del nostro organismo ; i quali fatti costituiscono una terza categoria di fenomeni altrettanto distinta dalle credenze ( giudizi ) quanto queste lo sono dalle rappresentazioni . Essi sono la base di ogni nostra vita sentimentale ed affettiva , sia essa di natura inferiore come la vegetativa , o superiore come quella estetica e morale . - Possiamo ora giungere a conseguenze di qualche importanza a riguardo del concetto di responsabilità . Se le azioni volontarie sono solo quelle e tutte quelle , su cui influiscono i nostri giudizi sulle conseguenze loro , ne consegue che solo l ' azione volontaria potrà essere impedita dalla previsione di un male vicino o lontano che sia per derivarne a qualcuno ( propria , persona , famiglia , amici , patria , umanità ) . Solo su di essa potrà agire il motivo , egoistico od altruistico . Ora giova notare che non è la specie , la qualità di tale influenza che importa alla responsabilità . Se io , dopo aver accertato tutte le conseguenze , sicure o probabili , dei miei atti ; dopo aver veduto con perfetta lucidità che agendo in una determinata guisa produrrò un determinato danno alla tal persona o alla tal cosa la integrità della quale è sancita dal senso morale pubblico : pur nondimeno persisto nel mio disegno semplicemente perché questa considerazione non mi fa alcuna impressione e mi lascia freddo ed indifferente , vale a dire se persisto nel mio disegno per deficienza d ' impulso al ben fare , io non sono meno responsabile per questo . In altre parole , la deficienza sentimentale non è di per sé sola una minorante della responsabilità . È questo un punto che merita di richiamare la nostra attenzione poiché costituisce , per così dire , il nodo della questione della responsabilità . Il principio che abbiamo enunciato è atto ad essere trascurato ai giorni nostri , in cui taluni sembrano credere che il non aver sentito che bisognava agire in un dato modo sia una scusa sufficiente per non aver fatto il proprio dovere . Eppure il principio è irrecusabile anche dal punto di vista deterministico . Ciò che intendiamo biasimare in un individuo è appunto questa mancanza dei sentimenti , nella quale si rivela la sua personalità . Affinché un individuo possa essere ritenuto responsabile occorre che l ' azione fosse in suo potere . Ma " essere in suo potere " che cosa implica , se non " l ' assenza di ogni ostacolo insuperabile eccetto la mancanza di spinta al bene ? " È precisamente in questo caso che la punizione e l ' espressione della disapprovazione morale sono anche utili per fornire la forza impulsiva deficiente . La presenza di un sentimento malvagio , la mancanza di un sentimento buono , non alterano adunque la misura della responsabilità di un individuo . La preponderanza di un sentimento qualsiasi è sempre necessaria all ' azione . Se quindi , per dichiarare uno responsabile , bisognasse constatare che i sentimenti buoni e malvagi si controbilanciano in lui ; ne deriverebbe la pratica inapplicabilità del concetto di responsabilità . Solo quando un sentimento acquista tale un sopravvento da invadere tutto quanto il campo della coscienza , togliendole quella lucidità ch ' è necessaria per agire volontariamente : solo quando il sentimento degenera in passione , e più che in passione , in monomania , precludendo addirittura la via al sorgere di ogni considerazione a sé contraria , dando così alle reazioni dell ' individuo qualche cosa della natura cieca e pressoché irresistibile dell ' azione riflessa : solo allora potrà parlarsi di una diminuzione di responsabilità . Ma finché l ' organismo intellettuale rimane inalterato e rimane quindi la possibilità che sorgano impulsi contrari alla passione dominante , la responsabilità persiste inalterata . Qual ' è il punto in cui si produce il tracollo , in cui la preponderanza della passione cioè diviene irresistibile ? È questo il problema pratico della responsabilità , quello a cui si trova di fronte il giudice e il moralista nei singoli casi concreti . Risolverlo astrattamente è cosa impossibile . I limiti del potere d ' inibizione si spostano di continuo col crescere della civiltà col perfezionarsi della educazione . Vi è sempre un certo punto , in cui la coscienza generale quasi istintivamente riconosce che , crescendo più oltre l ' impulso , esso diviene tale che nessuno dei consociati in circostanze determinate saprebbe resistergli . Si crea così una certa norma , una certa media intorno alle quali oscillano i limiti della responsabilità . Come tali , esse sono necessariamente imperfette , e necessariamente creano talora nel loro conflitto colla realtà delle cose , particolari ingiustizie e crudeltà come indebite indulgenze . Ma ciò è inevitabile , data la origine sociale del concetto di responsabilità . Solo potrebbe essere un giudice infallibile di sé l ' individuo stesso , ove fosse imparziale , oppure una divinità omnisciente . Strettamente legata colla questione dei limiti della responsabilità è quella di stabilire quali sono gli oggetti su cui la volontà estende il proprio potere . Non manca chi pretende restringere gli effetti della volontà a quegli eventi che possono essere prodotti dalle contrazioni muscolari . Ora è certo che questi costituiscono la parte più ovvia ed evidente della sfera della volontà . Ma una parte non meno importante soprattutto moralmente è costituita dai cambiamenti che possiamo provocare nel corso dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti . Se ciò avvenga con o senza il concorso del nostro sistema muscolare è questione non risoluta del tutto , ma che ad ogni modo non toglie l ' importanza del fatto in sé . Possiamo entro certi limiti dominare e dirigere i nostri pensieri ed i nostri sentimenti , specialmente mediante l ' attenzione volontaria . Ed a proposito dell ' attenzione è bene avvertire che anche a suo riguardo è impossibile concludere a priori la possibilità di una spiegazione " deterministica " . Anche qui possiamo ripetere ciò che abbiamo detto in generale della volontà . Vi sono degli oggetti che attraggono quasi automaticamente la nostra attenzione ( oggetti brillanti , nuovi insoliti , cose in sé piacevoli , ecc . ) , in modo da farci concentrare nella loro contemplazione , in piena dimenticanza di ogni altra realtà . Ma l ' attenzione può svegliarsi , per qualche fine remoto , e appuntarsi in oggetti in sé privi di qualunque attrattiva : allora nasce propriamente l ' attenzione volontaria , accompagnata da quel sentimento di sforzo nel quale alcuni hanno voluto vedere a tutti i costi un argomento in favore dell ' indeterminismo assoluto . Ma se noi persistiamo in una occupazione mentale anche a dispetto degli ostacoli oppostici dalla nostra stessa costituzione cerebrale , stanchezza ecc . , ciò sarà sempre per qualche ragione ( perché crediamo sia utile , necessario , doveroso far ciò ) . Anzi la differenza fra l ' attenzione volontaria ed involontaria starà tutta qui : che nel primo caso sappiamo perché stiamo attenti alle cose , nel secondo no . Restano infine fra gli effetti della volontà le alterazioni che possiamo produrre sulle nostre abitudini e le nostre future tendenze all ' azione , per mezzo delle quali possiamo quasi , per così dire , rinnovare la nostra personalità . Nell ' educazione non sarà mai troppa l ' attenzione attribuita a questa terza categoria d ' effetti . Lo scopo principale dell ' educazione è di rendere l ' individuo un " fascio di abitudini " buone , in modo che lo sforzo ch ' egli dovrà fare per tener la via retta d ' azione sia quanto più lieve è possibile . Allora , quando l ' individuo in sé stesso , o altri su di lui hanno ottenuto questo scopo , l ' azione volontaria stessa diviene una cosa molto più semplice , in quanto ormai più non si rivolge che all ' esterno : l ' individuo non ha più bisogno di diffidare delle sue forze interne , dei suoi impulsi : è giunto il momento in cui l ' educatore può rivolgere al suo pupillo le parole di Virgilio a Dante , giunto in cima alla bella montagna del Purgatorio : Tratto ti ho qui con ingegno e con arte ; Lo tuo piacere omai prendi per duce ; Fuor sei dell ' erte vie , fuor se ' dell ' arte . .... .... .... .... .... .... .... .... .... .... .... .... .. Non aspettar mio dir più , né mio cenno : Libero , dritto e sano è lo tuo arbitrio , E fallo fòra non fare a suo senno ; Perch ' io te sopra te corono e mitrio . ( Purg . , XXVII , 130-132,139-142 ) . - Perché - qualcuno potrebbe chiedere - questa digressione sulla natura e i caratteri della volontà , dal momento che tutti sappiamo distinguere un atto volontario da un atto involontario ? Ciò basta perfettamente per ogni bisogno pratico , ed è soltanto dal lato pratico che la volontà è considerata dal moralista e dal giurista . La volontà è una delle cose a noi più direttamente note , e , anziché aver bisogno di esser " definita " , può essa stessa servirci a definire una moltitudine di cose . Il meglio quindi da farsi per il moralista , il giurista e il sociologo è di assumere la volontà come un dato , lasciando allo psicologo e al metafisico le ulteriori indagini , che per i primi non hanno alcun interesse diretto . Rispondiamo , che se tale è la conclusione a cui si dovrebbe arrivare , non è per questo men vero che spesso non ne vien tenuto conto , ed è abbastanza , generale la convinzione che la scienza possa in qualche modo negare la volontà o qualcuno de ' suoi attributi essenziali alle esigenze pratiche : ed il rilevare , per quanto in modo sommario , i principali caratteri per cui , anche secondo la scienza psicologica più recente , si distingue il processo delle nostre volizioni , serve quindi ad evitare certi errori assai comuni , che tendono ad attribuire alla scienza stessa un aspetto assai più " rivoluzionario " di quanto in realtà non abbia . Le conclusioni a cui siamo giunti non sono del tutto irrilevanti per una esatta comprensione della posizione della morale e del diritto di fronte alle scienze propriamente dette . Anzi tutto , abbiamo visto che ogni descrizione del processo volitivo è incompleta , la quale non rilevi come precedenti causali caratteristici della volizione siano le nostre credenze , vale a dire i giudizi che facciamo intorno alle cose , strettamente o lontanamente connesse coll ' atto che stiamo per compiere . Abbiamo osservato d ' altra parte , che ciò presuppone anche nel nostro organismo un ' attività automatica , per la quale tali credenze siano impulsive , facciano cioè nascere in noi tendenze a determinate azioni ; e come le tendenze stesse costituiscono tutta la nostra vita istintiva , emozionale , affettiva , e sono perciò la base di ogni nostra preferenza , di ogni nostro apprezzamento sulla desiderabilità delle diverse azioni possibili che , nello stato di deliberazione volontaria , si presentano come alternative . Vediamo ora in che questo possa interessarci . Che la credenza , e non la semplice rappresentazione in quanto da essa si distingue , sia il precedente causale dell ' atto volontario , ci mostra subito che della produzione di questo nessuna meccanica di rappresentazioni , susseguentisi per via di semplice associazione , potrebbe render esatta ragione . La psicologia associazionistica inglese , e quella intellettualistica di Herbart non teneva abbastanza conto di ciò : essa tentava di derivare tutti quanti i processi mentali dalle rappresentazioni e dai loro rapporti . Nella psicologia più recente invece si manifesta la tendenza a mantener distinti da quelle sì i fatti di credenza come gli stati emozionali e volitivi , gli uni e gli altri indefinibili per mezzo delle sole rappresentazioni . Ora le nostre credenze , i nostri giudizi , sebbene non siano per nulla indipendenti dalle leggi per cui si susseguono fra loro le rappresentazioni ( leggi dell ' associazione psicologica ) , soggiacciono ad altre leggi loro particolari che da quelle non possono in alcun modo dedursi . Tali leggi , che sono quelle per cui la evidenza ( la credibilità ) di un giudizio scaturisce da quella di un altro giudizio , e su cui pertanto sono fondati tanto il processo di spiegazione che quello di dimostrazione , formano la base della logica umana . Resta perciò salvato quello che può dirsi il carattere razionale della volontà , carattere a cui per uno strano equivoco si è creduto che la " scienza " potesse in qualche modo attentare , e che viene implicato nelle definizioni che i moralisti più rigorosi ed esigenti dànno della facoltà di volere e quindi della libertà . Affermare poi che la volontà presuppone altresì quegli stati emozionali e affettivi che costituiscono un terzo elemento irreducibile della nostra vita mentale , equivale a rilevare un ' altra qualità della volontà che i deterministi sono troppo spesso portati a trascurare o a negare : voglio dire quella che potrebbe chiamarsi la sua spontaneità ed originalità ; qualità che anch ' essa pertanto non ha nulla di contraddittorio con un determinato bene inteso . Da nessuna combinazione di rappresentazioni o credenze potrebbe dedursi quale sarà l ' atto seguente ove non si conosca quale sarà il sentimento , nel senso più ampio della parola , ch ' esse determineranno : in altre parole , quale sarà l ' azione che l ' agente preferirà . Ora , come nelle leggi che regolano le nostre credenze va ricercato il fondamento della logica , così in altre leggi particolari secondo cui si svolgono le nostre preferenze , le nostre emozioni , va ricercato il fondamento psicologico sì dell ' estetica come della morale propriamente detta . Scopo della morale è di determinare i fini che l ' uomo deve proporsi nell ' operare . Ora tutto ciò che vogliamo , lo vogliamo come fine o come mezzo ad un fine . Il fine stesso poi può apparirci a sua volta come mezzo ad un fine ulteriore , e così via ; vale a dire che possiamo via via " giustificare " le nostre azioni o i nostri proponimenti col riferirli a fini sempre superiori , creando così una scala od una gerarchia di fini gli uni agli altri subordinati . Ma - ritornando su ciò che abbiamo detto a proposito degli istinti in questo procedimento non potremo andare all ' infinito : vi sarà un certo numero di fini che ci apparranno degni di essere desiderati innanzi a tutto e per sé stessi ; la cui bontà o preferibilità ci apparrà così evidente da non aver bisogno di ulteriore " giustificazione " . Ora , come nel decidere della rispettiva desiderabilità dei diversi fini , così nel decidere di questi fini ultimi il nostro " senso morale " è giudice inappellabile . Ogni tentativo di sfuggire in modo definitivo al suo verdetto è assurdo : non si farà che spostare la questione , per tornare , quando si tratti di deciderla , alla medesima autorità a cui abbiam voluto sottrarci . Insomma , senza qualchecosa di desiderabile in sé , senza un termine finale , la cui desiderabilità giustifichi le altre ma non abbia bisogno di essere giustificata ; senza un " imperativo categorico " di qualche sorta , non vi è morale , né altra scienza pratica che sia possibile . L ' " INDIPENDENZA " DELLA MORALE . - Da tutto ciò che abbiamo detto fin qui vediamo balzare in piena luce un principio spesso implicitamente od esplicitamente violato da scienziati e filosofi , che è merito della scuola criticista francese , fondata dal Renouvier , di avere strenuamente rivendicato , e che forma il cardine , per così dire , di quella filosofia . Vogliam parlare di quello che fu detto " principio della indipendenza della morale " . Ciò che fin qui abbiamo detto può non considerarsi che come una illustrazione del medesimo principio . Sono due i modi con cui l ' attività scientifica ( comprendendo con questa tutti i tentativi di spiegazione generale o speciale dei fenomeni , e quindi anche i sistemi metafisici le religiosi ) hanno sembrato minacciare l ' esistenza autonoma della morale : l ' uno consiste nella negazione della libertà , " condizione pratica " della morale ; l ' altro in una tendenza più o meno conscia a non considerare più come inappellabile il giudizio del senso morale , e nella corrispondente opinione che la scienza possa in certo qual modo sostituirlo nella determinazione di ciò che è bene di fare . Per ciò che riguarda il primo punto , crediamo di aver dimostrato che il timore , che la scienza possa in alcun modo scalzare le basi della morale e del diritto , essere privo di fondamento . La negazione del " libero arbitrio " , in quanto questo si confonde colla inapplicabilità del principio di causalità alle umane azioni , non implica la negazione della libertà umana . Alla credenza dell ' uomo nella propria libertà noi attribuiamo , con Aristotile e Cartesio , con Cousin e Mill tutta la forza di una verità scientifica . Non sempre ed in ogni caso - ma in generale e nella normalità - le nostre credenze hanno il potere di influenzare le nostre azioni ; quel complesso di giudizi sulla realtà delle cose , come sono e come saranno in seguito al nostro atto , congiunto all ' apprezzamento etico che ne facciamo , ha per la massima parte di noi e in gran parte degli eventi della nostra vita , la facoltà di tradursi negli atti nostri . E in tale facoltà è ravvisata l ' attuazione più piena e completa della libertà , quale è postulata dalla morale e dal diritto . Ogni altro senso della parola libertà è invero illegittimo e atto a traviare il pensiero . Andiamo dunque più oltre di coloro , i quali ritengono dover noi mantener la libertà come postulato supremo della morale e del diritto sol perché la credenza nella libertà è ancor generale fra gli uomini , e la morale ed il diritto , avendo uno scopo essenzialmente sociale , debbono tener conto della opinione della maggioranza e non di quella di solitari pensatori . Noi al contrario siamo convinti che la negazione della libertà quale base della morale e del diritto sia fondata su un vero e proprio sofisma , che scientificamente non regge . Essa ha , come abbiamo osservato , lo stesso valore della " negazione della realtà esteriore " e simili tesi in cui pur troppo si è spesso smarrita l ' alta filosofia . Come a chi negava la realtà delle cose esteriori fu da taluno risposto col dare un calcio ad una pietra ; come a chi negava il moto fu risposto col mettersi a camminare , così è lecito a chiunque confutare un filosofo negatore della libertà col compiere la più insignificante delle azioni volontarie . - La prova che egli così fornisce non è soltanto in pieno accordo col senso comune : essa è del tutto conforme allo spirito scientifico e consona ai più rigidi canoni del metodo sperimentale . A riguardo del secondo punto , qualche altra osservazione è forse necessaria . Che la scienza possa dimostrare " l ' assurdità " di un ideale etico è opinione oggidì ancora comune , com ' è ancora opinione comune che essa dimostri essere " illusioni " intere categorie di parvenze sensibili degli oggetti . È tutt ' altro che raro , per esempio , il trovare fra gli scienziati chi vi affermi che quei fatti di special natura sui quali la scienza moderna ha attratto di preferenza l ' attenzione degli studiosi , quali le vibrazioni degli atomi materiali , costituiscono la sola " realtà " , mentre quelle apparenze , che assumono i corpi in quanto cadono sotto questo o quel senso , rientrano nel mondo delle " illusioni " . Così il fisico vi dirà : noi crediamo di veder rosso o turchino , ci immaginiamo di udire una determinata nota , di provare una data sensazione , poniamo , di calore ; ma in realtà non esistono che certe vibrazioni dell ' aria o dell ' etere che colpiscono i nostri organi del senso . Tali affermazioni , che possono anche non avere un senso errato , implicano ad ogni modo un uso equivoco della parola illusione . Chi ci dice così non si accorge che anche quelle vibrazioni cui egli accenna , non ci sarebbero note affatto se non possedessimo in qualche altro senso il mezzo di percepirle , direttamente o indirettamente - senza o con l ' aiuto di strumenti e del raziocinio . Egli non ha dunque alcun diritto di chiamare illusione alcuna delle percezioni stesse . Egli crede di dar la preferenza , sulla realtà che appare ai nostri sensi , ad una realtà diversa e più reale . - Nel fatto invece egli non fa che posporre una parte della realtà che gli appare ai sensi , ad un ' altra parte della medesima realtà . Parimenti lo scienziato , il quale si rifiuta di ammettere come giusto un ideale etico col pretesto che la scienza ne ha dimostrata la assurdità , è sovente vittima di un ' illusione sulla natura delle proprie ricerche . Egli crede in certo qual modo di potersi emancipare dai pregiudizi del bene e del male , uscir dalla sfera della morale , ma invece vi si trova sempre e necessariamente di nuovo rinchiuso . Egli potrà bensì eseguire tutte le operazioni che vuole sostituendo un fine etico ad un altro , ma nel far questo egli compie pur sempre opera di moralista e non di scienziato , e la sua posizione sarà altrettanto " poco scientifica " quanto prima . In altri termini , la scienza non può creare " valori etici " , come non può neppure creare valori estetici . " L ' osservazione ed il ragionamento scientifico , scrive il Vailati , non possono condurci che a prevedere le conseguenze delle nostre azioni o a determinare i mezzi per arrivare a questo o quello scopo . Le conclusioni alle quali si giunge possono essere poste sotto questa forma : se si vuole , o non si vuole , la tal cosa , si deve volere la tale o tal altra cosa . Ma con nessuno sforzo di alchimia dialettica potrebbesi giungere a conclusioni della forma seguente : si deve volere , o non si deve volere , la tale o tal altra cosa " . - È notevole l ' analogia fra quella che chiamasi " giustificazione " nel mondo morale , e la " spiegazione " o " dimostrazione " nel mondo scientifico . Allo stesso modo come si " spiega " un fatto ed una legge mostrando che si può dedurre da un altro fatto o da un ' altra legge , così non si può " giustificare " un atto od una norma ( un modo generale di agire che ci par desiderabile ) se non deducendola ( mostrando ch ' essa ne è un presupposto necessario ) da un altro atto o da un altra legge . - Ma ciò con cui si " spiega " , si dimostra , si prova un fatto ( una credenza ) non può essere che un altro fatto ( un ' altra credenza ) ; così ciò con cui si " giustifica " una norma d ' agire , e qualunque nostra aspirazione in genere , non può essere che un ' altra norma d ' agire , un ' altra nostra aspirazione . Non si potrà mai " giustificare " un ideale etico per mezzo di una semplice credenza , come non si può spiegare nessun fatto per mezzo di semplici rappresentazioni . Ora , il numero delle cose verso le quali proviamo una specie di tendenza impulsiva che ci appar così naturale da non aver bisogno di giustificarsi , è notevole . - Ci riferiamo a quello che abbiamo detto degli istinti . - Ogni istinto , con tutte le emozioni e gli affetti corrispondenti , è atto a costituire un fine in sé . E nell ' uomo gli istinti , ben lungi dall ' essere più scarsi che negli altri animali , sono assai più numerosi o svariati , ed è questa una delle ragioni della sua superiorità . Il bisogno di una " giustificazione " nasce solo allorquando fra i diversi impulsi , fra le diverse tendenze si produce un conflitto : quando cose di per sé indifferenti o ripulsive acquistano la capacità di muoverci verso di loro per i rapporti di dipendenza che giungiamo a stabilire fra esse e le cose che sono oggetto diretto delle nostre aspirazioni e desideri . Se la cosa è indifferente , allora ad essa si trasmette , intatto , il suo valore emozionale ; ma se la cosa invece ha un contenuto emozionale già di per sé , allora questo concorre ad accrescere o a diminuire lo stimolo che ci porta all ' azione . Per raggiungere un fine , occorre passare sopra ad una quantità di mezzi sgradevoli o ripugnanti : vi è un punto però , nel quale la sgradevolezza dei mezzi supera il limite , e la loro adozione non è più " giustificata " dal fine . È così che si " costituisce il bilancio " , per così dire , dei pro e dei contro di un determinato genere di condotta : se l ' attivo supera il passivo , le azioni si compiono ; altrimenti l ' uomo si astiene dall ' agire . Alla " costituzione del bilancio " la scienza concorre , ed abbiamo visto come : per opera sua la catena delle conseguenze prevedibili si accresce ogni giorno di preziosi anelli ; ma ciascuno di questi anelli è , sin dalla sua comparsa , subito valutato dal sentimento , ed in questa valutazione la " scienza " non ha nulla che vedere e deve dichiararsi incompetente . Osserviamo ancora che la principale funzione del processo di giustificazione si ha nei rapporti degli uomini fra loro . Nonostante che ciascuno di noi abbia una quantità di fini separati che gli appaiono di per sé desiderabili ; nonostante che vi sono per me e gli altri innumerevoli cose il cui perseguimento è assolutamente disinteressato e che si ricercherebbero egualmente anche se fosse assolutamente impossibile trovar per loro la più piccola " giustificazione " ; nondimeno gli uomini sono continuamente in cerca di fini , che essendo universalmente riconosciuti come degni di essere appetiti , possano servire di giustificazione degli atti dei singoli di fronte ai consociati . La tendenza all ' unificazione esiste tanto nella morale quanto nella scienza . Anche fra le credenze ve ne è un certo numero che per ciascuno di noi non ha bisogno di essere né spiegata , né dimostrata vera : ma ciò non toglie che il conoscerne la spiegazione , la dimostrazione mi mette in grado di convincere chi era restio ad ammetterla , col mostrargli ch ' essa è una conseguenza de ' principii che a lui e a me sono comuni o di fatti ch ' egli stesso non può rifiutarsi di riconoscere come veri . - Così in morale sarebbe certamente desiderabile il trovare un principio etico , riconosciuto universalmente come giusto , un fine supremo a cui si potesse dimostrare che tutti gli altri corrispondono . Ciò è forse un ' utopia : ma ad ogni modo , ogni qualvolta si riesce a dimostrare che un dato fatto , oltre a soddisfare ad un dato fine , soddisfa anche ad un fine ulteriore , che oltre ad essere desiderato per sé può anche essere desiderato in vista di un altro bene , io faccio un effettivo passo innanzi verso quella possibilità di convincere tutti della opportunità di un dato corso d ' azione , verso quella concordia su ciò che è bene ( in concreto ) , che è stata , in ogni tempo l ' aspirazione suprema della morale . I tentativi ordinari di unificazione degli scopi morali non corrispondono peraltro , troppo spesso , che apparentemente a tale aspirazione . Essi ( come , p . es . per citare quello che appare il più plausibile , l ' utilitarismo ) o non sono che delle unificazioni puramente verbali ( in quanto che quando si tratti di definire , poniamo , il preteso scopo unico , il bene della società , questo finisce collo scindersi in una quantità di beni desiderabili ciascuno per proprio conto ) , oppure equivalgono ad un ' arbitraria mutilazione delle aspirazioni morali dell ' uomo , e ad una " ingiustificabile " soppressione o dedignificazione dei suoi più nobili impulsi eccettuato uno solo , - come se non fosse meglio , di questi , averne a disposizione uno di più piuttosto che uno di meno . Il torto loro è di tendere , non a mostrare , che la bontà , per esempio , di certe cose o di tutte le cose buone , è accompagnata dalla loro utilità ; e che quindi convenga compierle anche a chi la loro bontà direttamente non sente ; ma a mostrare che la sola giustificazione legittima delle cose è la loro utilità ; nel che dicono , o una cosa ovvia di per sé , e quindi irrilevante , o addirittura basata sul falso . LA " GIUSTIFICAZIONE " DEL DIRITTO DI PUNIRE - La controversia fra i positivisti e i classici nel diritto penale verte , come abbiamo accennato , oltreché sul libero arbitrio , anche sulla giustificazione della pena . Dopo ciò che è stato detto sul processo di giustificazione non sarà troppo difficile il chiarire questo secondo punto . La posizione assunta dalla scuola positivistica di fronte a quella classica , per ciò che riguarda il diritto di punire , è nettamente utilitaria . Essa pretende bandire dalle proprie considerazioni ogni idea di merito o di demerito , si propone di fare astrazione da ogni fine etico , e pretende di fondare la necessità della pena nel solo criterio della pericolosità del delinquente , convertendo quindi il diritto di punire nella semplice necessità o utilità per la società , simile in questo a qualsiasi organismo vivente nella natura , di difendersi da chi ne minaccia l ' esistenza od il benessere . Se ben si guardi in fondo a questo proponimento di " evitar la morale " si vedrà la principale , se non la sola ragione sua sta nella premessa negazione del libero arbitrio . Ogni giudizio di merito presuppone l ' imputabilità morale . Questa essendo , secondo i positivisti , dimostrata insostenibile per la negazione del libero arbitrio , ne deriva che il principale argomento in favore della loro tesi utilitaria è dato dall ' impossibilità di dare altra base al diritto di punire . Un tale argomento però , crediamo di averlo dimostrato , non regge alla critica . La negazione del " libero arbitrio " lascia impregiudicata ogni questione di morale umana e sociale . Ma anche se ciò non fosse - ed è strano che i positivisti e gli altri sostenitori della loro tesi non l ' avvertano - ; anche se la negazione del libero arbitrio portasse seco di necessità " l ' impossibilità della morale " , e bene e male , virtù e vizio , merito e demerito , ricompensa e castigo dovessero essere d ' ora innanzi nomi vani e senza subbietto ; ciò avverrebbe ad ogni modo per essere stato dimostrato che sia per l ' uomo impossibile proporsi qualunque fine ed attuarlo ; non soltanto i fini morali in particolare . Non solo il bene morale , ma anche l ' utile dovrebbe essere bandito dal campo delle giustificazioni ; la parola stessa " giustificazione " cesserebbe anzi di aver qualsiasi significato . Niente può servire meglio di queste conseguenze enormi come riduzione all ' assurdo delle tesi fatalistiche che si annidano spesso più o meno inconsciamente nelle dottrine che assumono la negazione del libero arbitrio come loro punto di partenza . Ai soli argomenti che soglionsi in generale addurre a favore dell ' utilitarismo sono dunque ridotti coloro che vogliono sostituire la " difesa della società " senz ' altro ad ogni altra base del diritto penale . La verbalità di questa sostituzione colpisce subito lo sguardo . Sarebbe difficile invero trovare una espressione più vaga ed indeterminata , che meglio si adatti a tutti i gusti e meglio si presti a tutte le interpretazioni ed illazioni più svariate . Anzitutto , osserviamo che si tratta di un fine etico , non meno " trascendentale " di qualunque altro fine . Si presuppone come dimostrato che la " Società " sia desiderabile in sé , e debba avere la prevalenza indiscussa su tutti gli altri fini possibili . Oppure si suppone che scopo e giustificazione della società sia di essere la miglior condizione per l ' attuazione di questi ultimi ; - ed in questo secondo caso torna ad affacciarsi il problema : quali sono essi ? E fino a che punto , credendo di fare il " bene della società " si corre il rischio di offendere questi fini ? - E ci troviamo altrettanto lontani da una soluzione soddisfacente del problema quanto lo eravamo prima di introdurre il concetto della difesa della società . Che rimane dunque di tal concetto ? Una frase equivoca , che dà addito al pericolo continuo di violazioni e soprusi nell ' esercizio del magistero penale , per l ' impossibilità di determinare che cosa si debba intendere per bene della società e la conseguente probabilità che qualche furbo l ' identifichi con questo o quell ' interesse transitorio e particolare . Nel fatto , se la " difesa della società " come giustificazione del diritto di punire si presenta con un aspetto così plausibile , è appunto in grazia della sua grande elasticità . Se interpretata con sufficiente larghezza , tutti , compresi i classici , si possono trovare daccordo nell ' accettarla . Ma la dottrina " classica " ci offre , a mio avviso , una concezione assai più maturata , una definizione assai più rigorosa e scientifica di qual genere di difesa sociale sia quella a cui serve il diritto penale ; e tale da non essere affatto in contraddizione inconciliabile con ciò che forma la parte sostanziale del positivismo moderno . Nel mentre ch ' essa ci dà un ' approssimazione assai maggiore alla vera natura e funzione del magistero punitivo , non pregiudica d ' altra parte , col suo principio della tutela giuridica , alla questione dei fini a cui più specialmente questo deve servire , lasciando la determinazione loro a chi ne ha veramente la competenza , al moralista cioè e alla coscienza pubblica , manifestatasi per mezzo degli organi a ciò designati . " Il delitto come fatto , scrive il Carrara , ha origine dalle umane passioni , le quali spingono l ' uomo a ledere il diritto del proprio simile malgrado la legge che proibiva di farlo . Il delitto come ente giuridico ha origine dalla natura della società civile . L ' associazione ( che all ' uomo è imposta dalla legge eterna come mezzo di conservazione e di progresso intellettuale ) , non sussisterebbe né risponderebbe ai suoi fini , se ciascuno dei consociati avesse libera ogni sua volontà , anche ingiusta e dannosa ad altrui . Di qui la necessità , di proibire certi atti che turberebbero l ' ordine esterno , e decretare che qualora si commettano saranno considerati come delitti " . Il bisogno della difesa del diritto rende necessaria l ' autorità dello Stato . " La tutela giuridica , scrive egli nella mirabile introduzione alla parte speciale del suo Programma , non potrebbe convenientemente esercitarsi mercè la sola azione disgregata degli individui , nella quale non sempre sarebbesi trovata , razionalità , uniformità e potenza ; per lo che avrebbe mancato del più necessario dei suoi elementi : la certezza di sé . Così la costituzione della autorità sociale e il rispetto alla medesima è un precetto imposto all ' uomo dalla stessa legge di natura , perché la forza umana alla quale è consegnato il mantenimento della sovranità del diritto si eserciti in modo razionale , uniforme e potente . Tranne per questo fine la costituzione dell ' impero sui consociati non sarebbe che un abuso di forza " . " Riconosciuta così nell ' autorità sociale la potestà legittima di esercitare una coazione efficace sugli individui per la conservazione della legge giuridica , lo esercizio di tale coazione piuttosto col mezzo del castigo che col mezzo della prevenzione diretta altro non è che la consguenza di uno stato di fatto che rende necessaria quella forma piuttosto che questa . Essendo umanamente impossibile anche ad una autorità sociale , per quanto potentemente armata , fermare in precedenza il braccio del micidiale e dell ' avido che muove alla violazione del diritto , la forza tutelatrice bisogna che si eserciti mediante la coazione morale . La necessità della coazione morale legittima la minaccia della pena . E poiché la minaccia della pena non sarebbe minaccia efficace ma vana parola , se allo avvenimento di una violazione la pena non cogliesse realmente il violatore ; la necessità e legittimità della minaccia porta seco la necessità e la legittimità della irrogazione effettiva del castigo " . Difficile è davvero comprendere in che cosa una concezione siffatta possa essere stata reputata in contraddizione formale coi portati della scienza moderna . In ogni stadio di civiltà vi è stato un certo numero di azioni che gli uomini stimarono non doversi permettere , un certo numero di fini , individuali e sociali , il cui raggiungimento dovesse essere garantito . Di questi , che non hanno mai rappresentato tutti quanti i fini a cui gli uomini aspirano , ma solo la parte più essenziale , una specie di minimum di moralità sociale reputato indispensabile alla vita in comune , fu stimato necessario rilasciare la protezione all ' autorità sociale , qualunque essa fosse ; e sono quelli precisamente che quando sono raccolti a sistema costituiscono ciò che viene chiamato il diritto di un popolo . La determinazione di questi fini , come già più volte affermammo , non spetta allo scienziato , e neppure al giurista in quanto egli li trova già elaborati dalla coscienza popolare , dal " senso morale " generale . Questi può talora , come legislatore , come interprete ed ispiratore della coscienza popolare , assumere anche in parte questa funzione - è nota la funzione che ebbero i giureconsulti e i magistrati nello svolgimento storico del giure romano ; ma , in quanto egli determina non che cosa è ma che cosa deve essere , non è la semplice scienza che parla in lui , ma la voce della coscienza morale sua o per mezzo suo quella generale del popolo . Tali fini , sebbene dal vivere sociale elaborati e resi sempre più chiari collo svilupparsi del senso morale e giuridico , pure rappresentano alla loro volta in molta parte la ragione stessa per cui il vivere sociale si è costituito ; sono quindi sotto molti rispetti la giustificazione della società , qualchecosa di più " fondamentale " ancora di essa , e che può essere considerata come ad essa anteriore . La " società " adunque , negli organi che la rappresentano o sono creduti rappresentarla , si " difende " contro l ' azione che viola quei principî ch ' essa ritiene indispensabile siano rispettati . Ma la difesa della società , se così chiamar si vuole , non si esercita contro un uomo libero ( dotato di volontà ) allo stesso modo con cui si eserciterebbe contro un pericolo naturale , un animale furioso , un pazzo infrenabile . Contro questi agenti la sola maniera di provvedere è di porre impedimenti fisici all ' effettuazione del danno . Ma sull ' uomo libero , suscettibile di essere influenzato da motivi , capace pertanto di astenersi da una azione in vista delle conseguenze che questa porterà su lui o su altri , è possibile agire per via morale . Nuovi motivi possono essere presentati od imposti alla sua considerazione per astenersi da atti che egli altrimenti avrebbe compiuti . Questi motivi possono essere considerazioni intorno all ' immoralità o inciviltà dell ' azione stessa , fornitigli per mezzo della persuasione e alimentati in lui dal fatto stesso che la coscienza sociale colpisce l ' azione con una pena ( vedi Brusa , Proleg . , p . 135 ) e simili ; ma possono anche consistere nella minaccia di un male effettivo per l ' agente , la quale chiami a raccolta , ove i sentimenti socievoli ed altruistici non bastino , anche i sentimenti egoistici a distogliere l ' individuo dalla violazione del diritto . Così nasce la necessità della pena , la quale può essere definita in genere come quel complesso di conseguenze dolorose artificialmente annesse a date azioni volontarie dalla legge o dalla pubblica opinione allo scopo di diminuirne il numero e di tranquillare la coscienza sociale . La pena dunque , ripetiamo , può essere considerata come un modo di " difesa " ; ma essa è un modo di difesa speciale , diretto contro speciali pericoli e speciali nemici . Il giustificare quindi la pena colla difesa della società può anche non implicare un errore ; ma a condizione di non significare se non ciò che altri , con locuzione più precisa , chiamano " tutela giuridica " . - Ove ben si consideri , tutte le altre dottrine che sono state escogitate per render ragione del diritto di punire sono deficienti per non aver tenuto conto di tutti i dati del problema , per aver contemplato un solo lato , se anche vero , della questione , facendo più o meno astrazione dalle esigenze pratiche alle quali soggiace in ogni suo stadio il diritto , ed in qualche modo dimenticando che il diritto è un organismo concreto , la cui vitalità ed il cui retto funzionamento dipendono dal soddisfacimento di condizioni molteplici , fuor dalle quali esso corre il rischio di venir meno al suo fine ; - per aver mancato , pertanto , di senso " positivo " , nel significato più proprio di questa parola . La teoria della giustizia assoluta - della espiazione - della pena fondata puramente ed assolutamente sulla proporzione fra il male e la colpa da compensarsi e retribuirsi col male del castigo , se si basa puramente sul giudizio del merito e demerito del colpevole e non viene in pratica limitata da altre considerazioni , mette capo , nonché ad una indebita confusione del diritto colla morale , ad un esagerato subiettivismo . Allo speculatore astratto essa si presenta come idealmente giusta , ed anche come idealmente efficace . Che cosa può meglio contribuire a far sì che gli uomini perseverino nella retta via , dell ' idea che saranno puniti esattamente in proporzione del loro merito , tenuto conto di tutto ciò che può alleviare , di tutto ciò che può aggravare la loro responsabilità ? Ma un tal giudizio richiede un giudice onniveggente ed infallibile , quale solo può ritrovarsi in una divinità . Non per nulla i sistemi religiosi hanno sempre avuta la tendenza ad accettare senza restrizioni la dottrina dell ' espiazione . Nel fatto , siccome la giustizia terrena è amministrata da uomini atti ad ingannarsi ed a peccare , la teoria del perfetto adattamento del castigo al demerito è stata la fonte dei peggiori abusi . Essa è quella , che , abbandonando al giudice una discrezione illimitata , è stata uno dei più validi sostegni del sistema inquisitorio di procedura . La teoria della esemplarità della pena , d ' altra parte , è esposta ad obbiezioni analoghe . Essa urta anzitutto contro il nostro sentimento di giustizia , poiché non sarebbe ammissibile che , solo per dare un esempio agli altri fosse punito gravemente chi ha commesso un fatto , la responsabilità per il quale sia per molti riguardi mitigata . Intesa in questo senso , la teoria della esemplarità potrebbe legittimare anche la condanna del pazzo e di chi ha agito per forza maggiore , e perfino quei giudizi contro gli animali e le cose che furono comuni nel Medio Evo . Vero è che la maggior parte dei seguaci di tale dottrina la intendono in un modo assai più razionale : poiché , si può obbiettare , l ' esempio non è efficace se non quando la punizione si applica a chi agisce in condizioni simili alle nostre , onde chi è , normalmente o per accidente , privo della facoltà di astenersi volontariamente da una azione , non deve esserne colpito . Ma allora si può rispondere che , con tali ed altre specificazioni , l ' elemento della esemplarità trova il suo posto anche nella teoria " classica " della tutela giuridica . È ovvio che la ragione per cui alla minaccia della pena è indispensabile far seguire effettivamente la pena che altrimenti mancherebbe l ' esempio . Lo stesso Carrara novera l ' esemplarità fra i requisiti della pena ; ma nello stesso tempo pone in guardia contro la cattiva interpretazione e la indebita estensione del criterio della esemplarità . " La pena , egli scrive , deve essere esemplare : tale cioè che ingeneri nei cittadini la persuasione che il reo ha patito un male . La mancanza del primo requisito ( l ' afflittività ) fa cessare l ' efficacia della pena rispetto al reo ; la mancanza di questo secondo la fa cessare rispetto a tutti gli altri ; e così nei buoni come nei malvagi per diversa ragione . Ma la esemplarità che richiedesi nelle pene non devesi riguardare come il fine precipuo a cui essa deve servire : ciò condurrebbe alla falsa dottrina della intimidazione . Deve piuttosto intendersi come una condizione esteriore della pena nella sua irrogazione . Ma non deve spingersi all ' effetto di aggiungere alla pena tormenti oltre alla giusta misura sotto il pretesto di renderla più esemplare . La esemplarità , in una parola , deve essere un risultato che si deve ottenere dalla punizione , senza che , per ottenerla , se ne alteri la misura oltre il rapporto della giustizia " . L ' emenda del reo è pure incontestabilmente uno degli scopi a cui sarebbe desiderabile che corrispondesse la pena . Ma si può essa stabilire come criterio supremo , a cui tutti gli altri debbano cedere ? Essa viola l ' esigenza che la pena sia certa , nonché l ' altra ch ' essa sia spiacevole e dolorosa . L ' emenda non potrebbe ottenersi se non coi buoni trattamenti : il risultato d ' altra parte sarebbe nella maggior parte dei casi problematico . Il fine dell ' emenda dovrà dunque , fino a che la pena sarà destinata sopra ed anzitutto a guarentire la tranquillità dei consociati , sempre considerarsi come un fine subordinato . Finalmente , la teoria dei " positivisti " . È curioso notare come questa , per quanto si attenga sempre al semplice diritto di difesa sociale , pure quando si tratta di interpretarlo si presenti piuttosto come una dottrina eclettica , che fa larga parte alle diverse esigenze delle altre scuole , e mentre ora sembra accostarsi alle forme più utilitarie di difesa ( colla giustificazione perfino della pena di morte ) , ora si accosta piuttosto alla dottrina dell ' emenda , ed ora invece , col dar maggior rilievo all ' elemento subiettivo nell ' esame del delinquente , ai medesimi risultati cui mette capo la teoria dell ' espiazione . Secondo il Florian , gli scopi della pena sono tre : a ) porre il delinquente nella impossibilità materiale di nuocere ( pura difesa ) ; b ) cercare che il delinquente non ricada nel delitto e che in lui si destino sentimenti ed attitudini sociali ( emenda ) ; c ) trattenere gli altri dal delitto mediante la minaccia e l ' intimidazione . Nella dottrina però dei positivisti è notevole la sfiducia rispetto a quest ' ultimo fine , cioè all ' efficacia della minaccia della pena a distogliere i male intenzionati dal delinquere . Se basata sulla negazione assoluta del " libero arbitrio " , tale sfiducia è , come abbiamo visto , del tutto infondata ; se invece derivata dal concetto della irresistibilità di certi impulsi per certe categorie d ' individui , sordi perciò alla coazione morale , la questione è ben lungi dall ' essere definitivamente risolta , ma si presenta come plausibile e di immenso interesse . Le ricerche e le intuizioni geniali del Lombroso non hanno , e non dovrebbero avere , altro scopo che di stabilire se esistano tali categorie d ' individui , quali siano e come riconoscerle . Tali ricerche possono portare a risultati preziosi , di grandissima importanza anche per il diritto penale , ma certamente non pare che il materiale di fatti sin qui accumulato sia sufficiente per poter ancora considerar la teoria come scientificamente provata . Troppo è ardua tale questione per poterla qui discutere : essa è di competenza dello psichiatra , del fisiologo e dell ' antropologo più che del giurista , il quale si deve limitare ad accettare i portati dei loro studi ove abbia sufficienti garanzie ch ' essi sono solidamente fondati . Non si tratta ad ogni modo - ed è questo il punto di massima importanza per la presente dissertazione - di una questione di assoluta affermazione o negazione , ma di una questione di misura . La teoria del delinquente nato non può pretender di essere estesa a tutti quanti gli umani delinquenti . La tesi dell ' inefficacia assoluta della pena a prevenire il delitto mi par troppo contraria alla coscienza generale e alla esperienza particolare che ciascuno di noi sì è fatta della natura umana , per poter esser vera . - Le manca inoltre una base di fatto , poiché nessuno ha osato sperimentare che cosa diverrebbe la società ove per quindici giorni si decretasse l ' impunità assoluta per ogni sorta di delitti . - Ma l ' efficacia della pena ha certamente dei limiti - lo prova il fatto stesso che , a malgrado delle pene anche severissime , il delitto non ha mai cessato completamente d ' esistere - ; ed è di sommo interesse il conoscere quali sono questi limiti . Non è quindi l ' irresponsabilità in generale , ma sono alcuni casi di irresponsabilità che la nuova scuola farebbe risaltare ; ed in questo la sua posizione è , a priori , inoppugnabile . Rimane l ' affermazione della scuola positiva di voler fare astrazione da ogni concetto di merito o demerito , di retribuzione . Qui ancora , tale affermazione , se fondata nella negazione del libero arbitrio , è insostenibile . Il principio della difesa sociale non può d ' altra parte fornirle appoggio di sorta . La nostra coscienza morale , come ci addita quali sono i fini che debbono essere protetti contro eventuali violazioni , così pure ci addita i limiti entro cui tale protezione , si designi essa come difesa sociale o tutela giuridica , va mantenuta - l ' individualità umana , per la simpatia naturale che desta , costituendo di per sé stessa un fine che va rispettato . Vi sarà quindi un punto in cui il fine della sicurezza pubblica , la cui necessità è tanto più urgente quanto è più grave il male minacciato , non basta più a giustificare il sacrifizio dell ' individualità - in cui la pena ( che , per essere una restrizione della personalità , è in sé un male ) sembra un mezzo troppo increscioso per ottenere il risultato voluto . Quale è questo punto ? Quello in cui la pena cessa di essere giusta , perché sproporzionata al demerito del colpevole . Nel determinare questo punto , la nostra coscienza morale sarà giudice inappellabile : dopo ciò che abbiamo detto nel suo corso di giustificazione non ci pare che ciò abbia bisogno di essere ulteriormente dimostrato . Ecco dunque come il concetto del merito , di ciò che è giusto subisca il delinquente come conseguenza del suo operato , è concetto che non si può assolutamente evitare , perché esso è un elemento che entra continuamente nei nostri giudizi . Che se poi invece l ' affermazione dei positivisti di voler fare astrazione da tale idea indica il proponimento di escludere dal diritto penale le considerazioni d ' indole più strettamente etica , allora questo è un principio già ammesso nella distinzione rigorosa fra diritto e morale , in quanto quello riguarda un numero minore di azioni e si astiene , per motivi di garanzia individuale , da ogni ingerenza nella nostra personalità subiettiva . Anche a questo riguardo dunque possiamo dire che la nuova scuola , combattendo la scuola " classica " , ha un po ' combattuto " contro i mulini a vento " . È forse il caso di ripetere ancora una volta che molte controversie si potrebbero evitare , se chi combatte una dottrina si proponesse sul serio di comprenderla completamente , e se , anziché scegliere questa o quell ' affermazione , staccata di questo o quell ' autore , per aver facile giuoco di demolirla , si curasse di considerare la teoria avversa nella sua coerenza logica e nella sua forma più accettabile ; se insomma invece di prendere le teorie per il loro lato più debole , si prendessero dal loro lato più vero . È così che troppo spesso uno si maraviglia della facilità colla quale può sbaragliare un avversario creduto formidabile , mentre non si accorge che quella che ha dinanzi a sé non è l ' avversario in carne ed ossa , ma una immagine impagliata , per così dire , del medesimo , posta inoltre nella maniera più acconcia per essere colpita . Un esame più attento gli avrebbe tosto chiarito l ' inganno . Spesso fatti e cose , che a prima vista ci appaiono illogici ed assurdi , cessano poi di apparirci tali appena uno studio più accurato e una conoscenza più precisa della complessa realtà ci forzano a riconoscere un fondamento ed una giustificazione che prima ci erano sfuggiti solo in grazia di ingenuo semplicismo e , diciamolo pure , di un ' ignoranza da dilettanti . La lezione che ci dànno i fatti è spesso una lezione di modestia . È assai frequente , ed in special modo di fronte al diritto , un certo atteggiamento di fastidiosa impazienza e d ' intolleranza , che dipende dall ' incapacità di afferrare la ragione della molteplicità , della complicanza e sottigliezza delle esigenze a cui deesi piegare chi lavora in un campo pratico . Il diritto è un prodotto essenzialmente " storico " , frutto di sforzi protratti per secoli in vista di risultati pratici di grande interesse ma di enorme difficoltà : esso ha dovuto nel suo svolgimento tener conto di innumerevoli esigenze talora contraddittorie , preferire spesso fra più mali il minimo , cercare il contemperamento delle varie tendenze , dei vari bisogni , delle varie idealità : e rappresenta quindi l ' accumulazione di una sapienza che spesso è di difficile comprensione al profano , e presta facilmente il fianco alle obbiezioni superficiali di un immaturo senso comune . Così chi guarda soprattutto all ' esigenza di far giustizia mal comprenderà perché il giudice sia inceppato da leggi che pretendono fissare anticipatamente la misura della responsabilità del colpevole . Chi guarda invece piuttosto all ' emenda si stupisce della barbarie dei mezzi adoperati nella repressione del delitto , che sono in contraddizione con tutte le teorie moderne sull ' educazione . Chi infine guarda alla necessità di difendere la società , ove non interpreti tale concetto con sufficiente larghezza , si maraviglierà di certe debolezze e condiscendenze , dell ' inefficacia dei mezzi escogitati , oppure vorrà un adattamento della difesa al pericolo concreto , troppo superiore a quanto non permetta la necessità di determinare legalmente la pena prima che la violazione effettiva si sia avverata . Le medesime considerazioni si possono fare , a parer nostro , anche intorno a quell ' altra questione che ci interessa : quella cioè che più specialmente riguarda il metodo del diritto penale . IL METODO DEL DIRITTO PENALE . - La questione del metodo può dirsi il nodo della controversia fra i positivisti ed i " classici " . Il metodo di cui i positivisti propugnano l ' adozione anche nelle discipline penali è , com ' è noto , quello stesso delle scienze naturali , " positive " ; cioè l ' osservazione e , entro i limiti del possibile , lo sperimento , che mettano in luce le vere cause del delitto , rimovendo le quali soltanto si può sperar di sopprimere il delitto stesso . " Il reato è un fatto dell ' uomo , che si verifica in società e che alla società riesce dannoso ; è quindi , un fenomeno individuale e sociale insieme . Or dunque è necessario prima di parlare del reato , studiare l ' uomo che ha commesso il reato e l ' ambiente , nel quale si produsse . Di qui l ' indagine dei caratteri , che si mostrano propri della massa dei delinquenti , da un lato ; dall ' altro , l ' esame delle peculiari condizioni dell ' ambiente fisico e sociale , nel quale la delinquenza fiorisce . Appariva quindi evidente fin dagli esordi del nuovo indirizzo , che il reato , una volta studiato nelle sue manifestazioni reali e quotidiane , era il prodotto e il resultato di un triplice ordine di fattori : antropologici od individuali ( fisici e psichici ) , fisici e sociali . Ora , che un tale studio possa essere fecondo di utili ed interessanti risultati , è cosa evidente . E appunto notiamo che l ' ipotesi del liberum arbitrium indifferentiae colla conseguente impossibilità di ogni studio scientifico del delitto , aveva per tal riguardo un effetto deprimente . Chi invece nega il libero arbitrio ha la speranza di poter un giorno fondare una scienza completa dell ' uomo in tutte le manifestazioni della sua attività morale e materiale , e quindi anche di poter rintracciare tutte quelle cause molteplici che possono aver posto un individuo nella triste " necessità " del delitto . Ma un tale studio , se offre un interesse scientifico e pratico grandissimo , può considerarsi come un metodo accettabile in diritto penale , e tale da poter essere utilmente sostituito al metodo finora prevalente ? Anzitutto , occorre scartare una opinione , che più volte nel corso del presente lavoro abbiamo dichiarata errata : quella cioè che un ' organizzazione , qual è quella del diritto , che ha per scopo la determinazione ed il raggiungimento di fini , possa aver per base unica l ' osservazione della realtà . Se una cosa debba o non debba essere è questione in cui la " scienza " non ha nulla che fare . Se una pena sia o no conveniente , giusta , opportuna è cosa che solo il nostro " sentimento " può decidere . Una pena potrebbe apparirci come la sola efficace a estirpare il delitto e pur essere scartata come quella che urta contro il nostro senso morale . La osservazione della realtà può dirci qual è il risultato dell ' applicazione di una data pena : il nostro sentimento , se il provvedimento della pena comporti un grado di desiderabilità tale da essere adottato per raggiungere questo risultato . In altre parole , anche dopo che la scienza , l ' uso del metodo positivo , ci ha mostrati i mezzi necessari ove si voglia raggiungere il fine , resta sempre adito al giudizio etico se valga la pena di adottarli in vista del medesimo . Perciò , sia che si tratti di elaborare il diritto o di stabilire le sanzioni per la sua violazione , l ' uso esclusivo del metodo " positivo " è addirittura una impossibilità . Ma se tutto ciò è vero , si dirà : se è vero che la sola osservazione oggettiva della realtà non può bastare né al giurista , né al moralista ; pur nondimeno è sempre su un materiale concreto , di fatto , che deve esercitarsi il giudizio nostro , se anche contiene elementi etici ; e quindi quanto più la pena sarà stabilita caso per caso , quanto più essa terrà conto dei molteplici e variabili elementi che possono concorrere a modificare l ' opportunità e la misura del gastigo , tanto più il nostro metodo sarà " positivo " nel senso più proprio della parola ; poiché questo non disconosce la funzione del nostro senso etico nella determinazione del fine , ma richiama l ' attenzione sulla impossibilità di raggiungere un fine qualsiasi senza conoscere la realtà sulla quale si deve operare . Rispondiamo che tali osservazioni sarebbero perfettamente giuste se l ' uso dell ' astrazione non trovasse a sua volta la sua giustificazione nelle esigenze pratiche della materia . È impossibile evitar l ' uso dell ' astrazione nella scienza ; tanto meno sarà possibile evitarlo in morale e diritto . Anche per ciò che riguarda la scienza , i fatti concreti esorbitano sempre dalle categorie nette e precise ch ' essa pone , e contengono sempre dei residui e degli elementi da essa non contemplati . Ciò è vero tanto delle scienze astratte quanto di quelle che si propongono espressamente di studiare i fatti . Il fatto della scienza non è il fatto della natura . E le scienze stesse che hanno per oggetti i fatti procedono per due vie principali : la constatazione delle somiglianze e la determinazione di medie : processi nei quali l ' astrazione si trova continuamente implicata . Se non vi fossero anche nei fatti delle somiglianze e delle ripetizioni accanto alle loro diversità , non solo la scienza storica sarebbe impossibile , ma sarebbe perfino impossibile riferire un fatto qualsiasi per mezzo delle parole ; non avremmo che una successione d ' impressioni indefinibili . " L ' ordine generale dei fatti non esclude certi disordini , né la regolarità certe irregolarità . Lo storico che generalizza , classifica , riassume , deve rendersi conto di ciò ch ' egli fa ; egli deve vedere che la complessità e la varietà del reale sorpassano ogni immaginazione e sfidano ogni sforzo di analisi completa ; egli deve guardarsi dal negare la diversità col pretendere di ricondurla tutta quanta alle unità ch ' egli constata . Nella morale poi , ed a più forte ragione nel diritto , per l ' indole sociale di queste discipline , la necessità di una certa astrazione si presenta come inevitabile . - La morale sociale è certamente più astratta della morale individuale , quale può elaborarsi in un animo generoso , preoccupato della inevitabile insufficienza di tutte le soluzioni generali e a grandi linee dei problemi etici . Ogni precetto categorico , quando sia considerato dalla coscienza individuale desiosa di realizzare il minimo possibile di ingiustizia e d ' immoralità , è atto ad apparir difettoso nel senso che vi sono dei casi rispetto ai quali esso non raggiunge assolutamente più il suo fine . La complicatezza e la sottigliezza della casistica etica è pressoché infinita . Ne consegue pur troppo inevitabilmente , che ogni sistema dogmatico e assoluto di morale , ogni precettistica astratta , ogni " codificazione " delle nostre norme di condotta non può alla lunga non apparire insoddisfacente ed incompleta alle anime più nobili e raffinate , che sono senza posa alla ricerca del massimo bene e del minimo male , ed atta a patire , nei casi reali , di numerose eccezioni . Se alcune norme eterne di morale ci appajono universalmente giuste , come per esempio quella di non fare agli altri ciò che non vorremmo fatto a noi ; ciò dipende e soprattutto dal fatto ch ' esse esprimono piuttosto la condizione d ' animo in cui si deve porre colui che vuol giudicare della via più retta nelle evenienze pratiche , che non una vera e propria regola pratica d ' azione . Ma appena dall ' indeterminatezza ideale si scende nel campo delle pratiche realtà per porre una regola definita da non derogarsi mai nelle vicissitudini della vita , allora nasce tosto il conflitto fra le più delicate aspirazioni dell ' anima individuale e la grossolana rigidità della morale tradizionale e legale . E così l ' opinione pubblica è in genere indulgente verso quelle grandi personalità che dànno , a torto o a ragione , maggiori garanzie di veder meglio e più lontano dagli altri , permettendo loro di violare , in vista di un resultato determinato , i canoni più indiscussi della morale costituita ; è così anche che vediamo talvolta le persone veramente buone e generose mettersi in contrasto coi modi di pensare della società ove vivono , perdonando dove altri condannerebbe , e valersi della loro conoscenza del mondo morale per trovare giustificazioni ed attenuanti prima insospettate alle azioni dei loro simili , ammaestrandoci a guardare più benevolmente la vita degli altri e ad astenerci da ogni giudizio fondato su criteri troppo esclusivi , generali ed assoluti . " De même que la grace est parfois plus belle que la beauté , de même il y a une chose encore plus juste que la justice : la bonté " . Un tal modo di pensare peraltro , ove si generalizzasse in epoche di senso morale malfermo ed incerto , ove non fosse usato con una certa diffidenza e mantenuto in una cerchia , per così dire , tutta individuale e morale , sarebbe certo assai pericoloso . Il permesso di contravvenire alle norme riconosciute di condotta in vista di un fine superiore , se dispensato con troppa larghezza , può condurre , ai peggiori abusi : i risultati della morale gesuitica sono lì per ammaestrarcene . Ogni società richiede per conservarsi e prosperare che un certo numero di regole pratiche di condotta siano universalmente osservate dai consociati , e che la facoltà di violarle in singoli casi non sia abbandonata all ' arbitrio individuale . Il numero di queste regole varia coi tempi , ed è presumibile che diminuisca col crescere della civiltà e col perfezionarsi del senso morale . Intanto possiamo vedere che già si cammina per certi riguardi in questo senso . Nelle vecchie società a base consuetudinaria ed autoritaria un numero enorme di atti , quale oggi a grande stento riusciamo a rappresentarci , era sottratto all ' arbitrio individuale e regolato secondo precetti rigidi e fissi , valevoli per ogni tempo ed ogni circostanza sanzionati da pene severissime ed inflessibili . In tali stadi di civiltà sembra , come osserva il Bagehot , essere stato profondamente , se non consapevolmente sentito che per i popoli ancora all ' inizio della propria evoluzione è meglio il seguire una norma purchessia , che il non seguirne alcuna . Oggi invece siamo in un ' epoca di piena discussione : vediamo l ' individuo ergersi colla propria ragione e col proprio sentimento di fronte alla collettività , senza tollerare altre ingerenze nella sua facoltà di crearsi una vita secondo le proprie aspirazioni e di gudicare della opportunità dei proprii atti nelle singole circostanze , all ' infuori di quelle più strettamente necessarie . La libertà , non solo di fronte alle leggi , ma anche di fronte alla pubblica opinione e alle consuetudini , la reciproca tolleranza in fatto di pensiero e di moralità , tutta questa maggior fluidità e plasticità di tutto l ' ambiente sociale sono sintomi della maggior fiducia riposta nell ' individuo e della corrispondente diffidenza verso le regole di viver sociale di carattere troppo fisso , troppo asssoluto e troppo durevole . Ma che siamo ben lontani ancora dall ' epoca in cui si potrà fare a meno di ogni regola fissa , ce lo mostrano d ' altra parte tutte le nuove leggi sorte in epoca recente allo scopo di guarentire precisamente questa libertà individuale contro i soprusi e gli arbitrii dei singoli , tutti i complicati organi del diritto pubblico odierno , col loro meccanismo di freni e contrappesi , di reciproca vigilanza e controllo , che costituiscono uno dei caratteri delle moderne democrazie . Onde è a dirsi che si tratti piuttosto di una sostituzione di norme piuttosto che di una vera e propria loro diminuzione , e che si è in cerca di regole che contemperino il massimo di libertà e indipendenza individuale , il massimo di fluidità sociale , con quella regolarità e con quell ' equilibrio necessario alla vita di una società ; non del modo di poter fare a meno di qualunque norma ; - tesi quest ' ultima che solo gli anarchici , nel loro incoercibile ottimismo , possono aver l ' audacia di sostenere . Tali norme pertanto , che la loro sanzione sia semplicemente esercitata dall ' opinione ( morale ) , o dallo stato ( diritto ) , non possono in qualche modo non partecipare della natura dell ' astrazione : il diritto non può , per la sua stessa natura di disciplina sociale , piegarsi ai fatti particolari nella loro complessità talora formidabile . È così che nasce il conflitto fra la legge e l ' equità , fra il jus strictum e il jus equum , fra il diritto civile e il naturale , fra il diritto e la giustizia . Il diritto , come disse il Vico , ha bisogno anzitutto del certo ; ora il certo non si può ottenere se non fissando dei limiti e delle categorie generali ed astratte , che , appunto come tali , hanno qualche cosa in sé dell ' arbitrario . Di questi inconvenienti - e come potrebbe essere diversamente ? - partecipa anche il diritto penale . La pena accompagna il precetto giuridico come sua sanzione , precede quindi la violazione del precetto medesimo e non può pertanto non essere astrattamente commisurata , in base a ciò che per una misura media appar giusto , utile . E ciò per una necessità difficilmente evitabile senza andare incontro ad inconvenienti maggiori . È necessario che ogni cittadino conosca che cosa lo attende ov ' egli commetta questa o quella azione lesiva del diritto . È necessario veder guarentito l ' individuo contro l ' arbitrio personale del giudice , contro l ' impeto momentaneo del sentimento pubblico , contro il prevalere di considerazioni estranee al magistero penale . L ' individualità moderna è troppo gelosa della propria integrità per esporla al capriccio variabile e alla mutevole forza del sentimento . Fra le garanzie reclamate oggidì dall ' individuo , la principale è senza dubbio quella consacrata dall ' art . 1 del codice penale nostro , il principio cioè che nessuno possa essere punito per una azione che non sia stata nelle debite forme e anteriormente al suo compimento , dichiarata reato . Nullum delictum , nulla peona sine praevia lege poenali . Come il giudice di un fatto deve essere designato prima che il fatto sia compiuto , così prima del fatto deve essere stabilito che esso costituisce delitto e qual ' è la pena sua . Onde il grave pericolo insito in ogni pena indeterminata . La pena quindi deve essere eseguita quale fu stabilita dalla legge , e non in base ad una presunta temibilità del reo , argomentata dai suoi caratteri particolari . " La pena , scrive il Carrara , non può essere che una pena . Mite sì ; giusta . Ma adeguata al passato ; e inamovibile per fatti posteriori " . Ed ecco la semplice e naturale giustificazione di quel metodo astratto che considera il reato come ente giuridico , contro al quale i positivisti sollevano tante obbiezioni . Ma a prescindere dal suo " sapor metafisico " , non poco irritante forse per i positivisti più profondamente penetrati dallo spirito di scuola , nella espressione ente giuridico non è a vedersi se non l ' espressione della necessità di una determinazione legale del delitto , del valore comparativo dei delitti fra loro e colle rispettive pene , - e ciò puramente a scopo di pubblica garanzia . Fissar la pena prima del resto vuol dire necessariamente fissarla per mezzo di dati astratti , di generalizzazioni , ed in base ad una media : quindi esporla ad essere nei casi concreti , malgrado la discrezione limitata concessa al giudice , ora troppo severa , ora troppo mite . Ma come evitar ciò ? È un ' imperfezione pressoché inevitabile in ogni istituzione sociale ch ' essa non debba tener conto di certe esigenze individuali , e consideri le grandi linee e le grandi masse ; ciò a cui dobbiamo mirare essendo che di queste ingiustizie ve ne sia il minor numero possibile . - Intanto i seguaci della nuova scuola , col voler ridurre senz ' altro il giudizio penale ad un libero esame della temibilità dell ' individuo , tolgono , senza essere forse abbastanza consci della gravità ciò che propongono , una delle più valide garanzie di libertà individuale , una di quelle più faticosamente acquistate in epoche recenti . D ' accordo in ciò colle dottrine in apparenza più discordi dalle loro , come , p . es . , quella della espiazione , essi tendono in pratica a rinnovare le forme più schiette del procedimento inquisitorio , col subbiettivismo , coll ' arbitrio eccessivo del giudice , colla pena indeterminata e straordinaria e la confusione delle parti in giudizio , che a questo sistema sono inerenti . Qualunque sia il nostro parere sulla desiderabilità di ovviare agli inconvenienti che oggi si verificano , non si può negare l ' importanza di simili considerazioni e la necessità di non mai perderle di vista , nel tentar qualunque riforma . Anche per ciò che riguarda il metodo nel diritto penale , possiamo dunque dire che le affermazioni dei positivisti , a meno , che non siano corrette da numerose restrizioni , sono eccessive o peccano di unilateralità , non tenendo sufficiente conto di esigenze e pericoli pratici per volgere l ' attenzione di preferenza a uno solo dei dati del complesso problema della giustizia pratica . Anche qui , possiamo dire che peccano di semplicismo ed ottimismo , mancando pertanto di senso " positivo " . - Tutto ciò ci mostra qual ' è la funzione possibile , e nello stesso tempo quali sono i limiti , del " metodo positivo " nel diritto penale . Non vogliamo dire che le nuove dottrine non rappresentino una tendenza giusta e vera , che il metodo astratto non sia la fonte , in molti casi concreti , di deplorevoli inconvenienti , che la corrente di pensiero scientifico , la quale ha influito così potentemente nel trasformare tutte le condizioni di vita nell ' epoca presente , debba restare senza un efficace infiusso nel diritto penale . Ben diverso è il nostro pensiero . Crediamo piuttosto , che se i positivisti forse non hanno recato tutto il vantaggio che possono recare , se si sono attirata da parte dei " classici " un ' antipatia e una ripulsione eccessiva , ciò è dovuto al fatto ch ' essi non hanno saputo sempre discernere la parte sana delle loro dottrine , ch ' essi hanno interpretato il " positivismo " in un modo troppo angusto e parziale , traendone conseguenze affrettate ed estreme e mancando di quello spirito conciliativo ed equanime , senza il quale ogni collaborazione scientifica è impossibile . Qualunque sia l ' opinione a cui si arrivi sulla necessità di introdurre questa o quella riforma nell ' indirizzo prevalente nel diritto penale , indirizzo che risale al Beccaria , ciò che non gli si può contestare è l ' amore verso la libertà umana ed i diritti individuali , a cui sono ispirati i suoi principi . - Ogni giudizio su di esso che non tenesse conto delle sue origini nel grande movimento razionalistico del secolo XVIII correrebbe il rischio di essere ingiusto e manchevole . Come reazione a tutto un sistema , inveterato da secoli di soprusi e d ' arbitrii , per cui l ' individuo era continuamente minacciato di pene oscure ed incerte , motivate dall ' argomento senza repliche della ragione di stato , niuna meraviglia ch ' essa abbia talora forse anche trapassato il segno in senso contrario . Vediamo infatti il movimento di riforma accennarsi in sulle prime nel Beccaria stesso con forme che a noi parrebbero eccessivamente dogmatiche ed intransigenti , spiegabili in lui per il fatto ch ' egli si era trovato a contatto col sistema , contro il quale combatte , in tutta la sua crudità , mentre non era naturalmente in grado di misurare gli eventuali danni del sistema opposto . Sono caratteri della dottrina del Beccaria : l ' intolleranza assoluta di ogni interpretazione della legge penale , non giustificabile neppure con giudici peggiori di quelli del tempo suo ; un ossequio alla legge e alla certezza della pena portato fino all ' acciecamento di non volerne saper neanche del diritto di grazia ; la mancanza di ogni senso storico . Tolto quindi assolutamente l ' arbitrio del giudice ; e alle pene arbitrarie sostituite pene assolutamente determinate e fisse . " Chi potrebbe lagnarsi della proclamazione di questi principi , osserva il Brusa riferendosi alla nuova legislazione criminale , per ciò solo che di un tratto essi non tennero conto di certe esigenze ulteriori della giustizia pratica ? Se il diritto criminale avesse dovuto attendere la propria risurrezione prima dallo spirito storico che non da quello speculativo , neanche la riforma leopoldina e le altre contemporanee avrebbero potuto precorrere la rivoluzione del 1849 . Chi può anzi dire se , per esempio , l ' obbrobrioso mercato della giustizia che profittava a giudici e sovrani avrebbe altrimenti allora cessato , insieme all ' abuso delle mitigazioni per motivi futili ed indegni , come quella che il bigamo avesse , sposando una meretrice , elevato questa ad una vita onorata ? " . La stessa giustificazione utilitaria del diritto di punire , la stessa dottrina del contratto sociale , per quanto oggi si possano riconoscere i loro difetti come teorie generali , hanno nella mente del Beccaria e dei suoi contemporanei una funzione ed un valore che sarebbe ingiusto disconoscere . Essi rappresentano la negazione degli abusi di un sistema anteriore : la teoria utilitaria , come quella che vuol rattenere la pena entro i limiti della necessità di reprimere solo le azioni che veramente turbano l ' ordine e la tranquillità sociale ; la teoria del contratto sociale come quella che denuncia le ineguaglianze stridenti , non più fondate nella reciprocità dei servigi e contrarie al sentimento di giustizia . Oggi la pratica delle legislazioni è venuta introducendo via via quelle limitazioni ai principii assoluti , che apparvero necessarie ad un migliore contemperamento delle varie tendenze . - Al giudice si è concesso quell ' arbitrio che è indispensabile al retto esercizio delle sue funzioni ; entro i limiti fissati dalla legge egli può graduare la pena adattandola quanto è più possibile alla particolare gravità del fatto . Per ciò che riguarda il convincimento , il sistema delle prove morali , sostituito a quello delle prove legali , nel quale massima è la diffidenza verso la personalità del giudice , già segna un passo grandissimo in una direzione nella quale si può molto avanzare . Perocché quando è lasciata al giudice la facoltà di condannare od assolvere secondo il proprio convincimento , sì può intravedere anche la possibilità di lasciargli secondo il proprio convincimento graduare le pene . E l ' istituzione stessa dei giurati , per quanto la si voglia limitata al puro giudizio del fatto , pure è un segno della medesima tendenza . In pratica , i giurati sono i rappresentanti della coscienza popolare anche per ciò che riguarda la valutazione del fatto come delitto o no , e perciò forniscono un avvicinamento , per quanto limitato , alla " individualizzazione " della pena . Ma in tutto ciò il canone più indicato del metodo positivo è di procedere gradatamente , senza sacrificare nulla di ciò che si è ottenuto , in vista di risultati che possono essere problematici ed incerti . La " individualizzazione della pena " non è l ' aspirazione esclusiva di nessuna scuola speciale , ma la tendenza naturale del progresso ; la sola questione da discutersi essendo fino a qual punto essa si possa conciliare con garanzie essenziali di libertà contro gli arbitrii di qualunque specie . Tale questione è troppo grave per essere discussa nel presente lavoro , che pretende più che altro esporre alcune osservazioni pregiudiziali sulle questioni che più spesso si discutono intorno al diritto punitivo ; - la forma stessa in cui tale questione è da noi enunciata , mostra d ' altra parte come riteniamo essere impossibile risolverla così a priori ed in generale . Trattandosi essenzialmente di una questione di misura , essa si presterà a soluzioni sempre varie coll ' avanzare del tempo e col progredire della civiltà , e secondo le divergenze nel carattere e nell ' educazione dei popoli . Nello stabilire il valore comparativo dei reati fra loro e la proporzione loro colle pene , una legge ben fatta dovrà avvicinarsi quanto più è possibile alla realtà delle cose , ed essere quanto più possibile particolareggiata , creando distinzioni e categorie che realmente corrispondano a quelle che si riscontrano nelle cose stesse . Ma ciò non deve considerarsi come un sovvertimento delle basi su cui fin qui posava il diritto penale . - Al contrario , il movimento positivistico deve piuttosto considerarsi come un tentativo di completare ed integrare l ' indirizzo fin qui prevalente nel diritto penale , di spingerlo più velocemente in una direzione già presa , di additarne certe lacune e di colmarle , senza per questo rinunciare ai benefizi dall ' indirizzo prevalente presi più specialmente di mira . - Esso non può propugnare la sostituzione assoluta del " metodo positivo " al metodo astratto : ciò sarebbe , come abbiam visto , non aver intesa del tutto la natura del metodo positivo , e disconoscere quella del diritto stesso : ma nello stesso tempo ci dà un avvertimento di tener conto , più di quanto non lo si sia fatto forse per il passato , dei risultati dell ' osservazione positiva , e soprattutto insiste su alcuni fatti e leggi nuove scoperte o intravedute dalla scienza moderna , che possono condurci a vedere un po ' diversamente la natura dell ' uomo , oggetto del diritto penale , e la società . - Ciò può portare una trasformazione , nella legge stessa , nel senso di darle una maggior specializzazione , nonché nell ' ufficio del giudice , aumentando la sua discrezione , perché egli possa tener conto di quella relatività , che tutti i fenomeni posseggono , e che non si può trascurare senza lacerare in qualche modo la giustizia come la verità . Ed è qui che si manifesta una delle pieghe caratteristiche del pensiero moderno , che merita attenzione . La " negazione del libero arbitrio " , nel senso tradizionale , non è , come abbiam visto , una dottrina così sovversiva come alcuni hanno voluto farla apparire : e non è che in base ad un equivoco che si può sostenere ch ' essa scalzi le basi del diritto e della morale . Ciò non ostante non è a negarsi l ' influenza che deve esercitare il nuovo modo di concepire la libertà sulle concezioni etiche e giuridiche . Il " liberum arbitrium indifferentiae " come solo ed indispensabile fondamento della libertà e della responsabilità , portava a far concepire queste come qualità fisse ed inalterabili dell ' uomo in ogni condizione di tempo e di cose ; eccesso a cui doveva contrapporsi quello di considerare ogni causa ed ogni condizione assegnabile come una minorante della responsabilità . Ogni ricerca sulle condizioni obbiettive della responsabilità dichiarata pericolosa , o scoraggiata come impossibile . Il " negatore del libero arbitrio " che non sia vittima di equivoci sul valore di tal negazione , sarà portato invece a vedere nella libertà e responsabilità , qualità esistenti nell ' uomo , ma analoghe alle altre , atte cioè ad essere studiate nella loro genesi e nella loro evoluzione , suscettibili di gradazioni infinite , e subordinate alla presenza di certe condizioni e concomitanti , a concepire in altri termini la responsabilità piuttosto dinamicamente ed evoluzionisticamente , che staticamente . Ed in questo senso gli studi nuovi sulla responsabilità possono portare un contributo prezioso , come al sociologo , così al legislatore e al giurista . Col mostrarci quali delle nostre azioni veramente dipendano dalla nostra volontà , fino a che punto siamo effettivamente liberi di compiere una data azione , e fino a che punto invece la responsabilità dei nostri atti vanisca dinanzi all ' influenza di cause prepotenti , essa può rivelarci nuovi casi di irresponsabilità , come anche di responsabilità finora inaspettate ( ipnotismo , suggestione ) . Né il giurista deve guardare con sospetto e diffidenza la corrente dei nuovi studi come se ogni risultato di questi dovesse segnare un ' offesa alla integrità del diritto e della morale . L ' idea di un antagonismo fra gli studi " positivi " in genere e le nostre aspirazioni etiche è un concetto falso , contro il quale è stato nostro intento di combattere in tutto il corso del presente lavoro . Abbiamo dunque visto a che cosa si riduca la possibilità per gli studi scientifici di modificare il nostro concetto di responsabilità : non nella negazione di questa , ma nell ' avvertimento che la responsabilità è qualche cosa di più fuggitivo , di meno palpabile , di assai più legato al fatto particolare nella sua complessità , di quanto forse non lo supponessero le vecchie scuole di morale , sta l ' importanza della nuova scuola anche nel campo del diritto penale . Ed è questo anzi , a mio parere , ciò che dovrebbe renderla sopra ogni altra cosa simpatica . Essa tende a mostrarci sempre più che anche nel campo dell ' infamia e del delitto sono numerosi i disgraziati , coloro che hanno assai più bisogno di essere educati , ajutati e curati che d ' essere minacciati di punizione . Nonostante le intemperanze e gli errori incontestabili che ne hanno segnato il sorgere , la nuova scuola desta attenzione e interesse per il nuovo soffio di simpatia che da essa nccessariamente , quasi a dispetto di certe sue premesse utilitarie , spira verso coloro che furono condotti al delitto e all ' abbrutimento da cause strapotenti . Essa ci addita , se non l ' impossibilità , la terribile difficoltà di sfuggire a certi impulsi quando tutto nella vita concorre a togliere stimolo e potenza alla difesa contro di essi . Essa ci mostra , anche nel campo della morale , l ' esistenza di una schiera di privilegiati , che compiono il bene senza fatica , poiché tutto in loro , condizioni fisiologiche , psicologiche e sociali , cospira a far loro vedere il lato buono delle cose , che godono una specie di " rendita di situazione " morale , mentre per altri la medesima condotta non potrebbe mantenersi se non a prezzo di indicibili sforzi e sacrifizi . Onde un grande e benefico impulso a tutte le riforme sociali , che tendono a togliere le cause della delinquenza , in modo da render quanto meno necessario è possibile il provvedimento increscioso ed imperfetto dell ' applicazione della pena . La pena non è il miglior modo di difesa sociale , o di tutela giuridica che dir si voglia . La sua efficacia è limitata : è presto raggiunto il punto oltre il quale un aumento nella severità di essa non produce più una diminuzione corrispondente negli attentati al diritto . La sicurezza sociale non è perciò da essa se non imperfettamente ristabilita : il senso morale , se non imperfettamente soddisfatto . Ogni giorno , coll ' ingentilirsi dei costumi , cresce la ripugnanza per i mezzi fisici di repressione ; ogni giorno , si sente maggiormente il bisogno di trovare mezzi più potenti e più civili di prevenire il delitto . Sotto un certo aspetto , la pena può considerarsi come il sintomo dell ' impotenza della società a provvedere altrimenti ai mali che la travagliano . Troppo forse si è creduto per lo addietro che i mezzi penali fossero la panacea per tutte le correnti delittuose che serpeggiano nella società . Gli studi positivi moderni , psicologici , antropologici e sociali , hanno se non altro il merito di aver fatto concepire in un modo più relativo la natura e la funzione del diritto penale . La controversia fra la scuola positiva e la scuola classica può dirsi pertanto un prodotto , più che di divergenze reali di dottrine , di tendenze e di aspirazioni . Eccessivamente ostile è stata forse finora l ' attitudine sì da una parte che dall ' altra ; ed è venuto , parmi , il momento in cui alle lotte ed alle polemiche , in parte almeno sterili , debba succedere il riconoscimento dei rispettivi limiti , il contemperamento delle tendenze , e la serena collaborazione . - " Se nel secolo XVI , scrive Carlo Cattaneo in alcune sue mirabili pagine , che fu il primo dell ' era moderna , la ragione individuale aveva ardito farsi a discutere popolarmente li arcani religiosi , e nel XVII li asserti delle scuole filosofiche , nel XVIII ella estese quell ' aspro sindacato a tutte le istituzioni civili . Sommo divenne il contrasto fra la vita delli uomini e i loro pensieri . Vivendo in mezzo all ' intreccio dei vincoli sociali , quelle menti animate dai geometri e acuite dal calcolo mercantile osarono domandare se , e come , e quanto ciascuna istituzione giovasse ad ogni individuo partecipe della civile aggregazione . Tutto si valutò dunque col giudicio individuale e giusta l ' individuale interesse . Si considerò la società come un patto fra eguali ; si domandò la revisione del patto , il ritorno all ' uguaglianza primitiva , la restituzione dello stato naturale del genere umano . Le predilezioni delle scuole e l ' inesplicabile eccellenza delle arti e delle lettere antiche sospinsero ad immaginare un mondo primitivo , educato nelle lingue , nelle arti , nelle scienze , nelle leggi da una serie di geni benefici , l ' opera dei quali sotto lo sforzo della superstizione e della violenza fosse venuta oscurandosi successivamente fino alle caligini del Medio Evo , ma potesse coll ' opera d ' altri geni rivocarsi in breve , e quasi di repente , al nativo splendore . Vi fu perfino chi preferì ad una fittizia civiltà , ingombra dei ruderi d ' ogni tempo e piena di ingiustizie e di corruttele , la semplice e pura vita , che li uomini dovevano aver gioito prima del patto sociale in seno alla primigenia selva della terra . Adunque lo sforzo capitale del pensiero umano nello scorso secolo XVIII era una generale censura delle istituzioni del tempo , nel senso di ogni individuo , e all ' intento di ristaurare il regno della logica naturale e della personale indipendenza . Nel secolo presente vi fu quasi riflusso del pensiero umano in contrario verso . Si trovò che l ' utile di ogni individuo scaturiva dal complesso dell ' azienda sociale , né poteva avverarsi mai nella solitudine o nel dissociamento . Le più complicate istituzioni apparvero necessari effetti del consorzio civile e forme della sua esistenza . Si vide che certe consuetudini erano scala e preparazione ad altre migliori , alle quali i popoli non potevano giungere altrimenti ; e così si vennero spiegando e giustificando certi ordinamenti transitori , che in faccia ad una logica immediata sembravano assurdi e barbari . Viceversa s ' intravvide sotto lo splendore delle libertà antiche l ' oppressione e la servitù delle moltitudini , e nella dolorosa ruina di quelle meravigliose civiltà si riconobbe un evento che poteva condurre all ' emancipazione degli oppressi . La consolante dottrina del progresso si svolse dal seno della istoria si vide il genere umano elevarsi dalla ferocia del vivere ferino , attraverso alla guerra , alla schiavitù , alle devastazioni , alle tirannidi , ai supplici , alle torture , sino all ' effezione graduale dell ' utile , del giusto , dell ' equo , del bello , del vero , della pace , della carità . Allora si rallentò quella inesorabile censura , spinta dai nostri padri nel diretto interesse dell ' individuo ; ed in quella vece si promosse un ' interpretazione benigna , benigna forse oltre misura , di tutte le transazioni scalari e successive della civil società : si giustificò il senso comune dei popoli , che aveva sancito e venerato ciò che era rispettivamente opportuno ai luoghi ed ai tempi ; e le leggi più celebri apparvero piuttosto frutti di una certa graduale maturanza d ' interessi e di opinioni , che liberi decreti della mente individua dei legislatori . Perloché la tendenza più comune del pensiero istorico in questo secolo XIX è una generale spiegazione delle eccessive forme civili , in quanto promuovono gradualmente lo spontaneo sviluppo dell ' individuo ed il suo bene , nello sviluppo e nel bene della intera società . Questo comune movimento delle dottrine filosofiche e istoriche nell ' età nostra si diramò poi per molte strade assai divergenti . Li uni , mettendosi a tutta carriera nella idea delle successive evoluzioni sociali , vollero stringere un corso di secoli in poche giornate , e s ' appresero di slancio al sogno di un incivilimento nuovo ed inaudito , senza famiglia , senza eredità , senza proprietà . Altri al contrario acquietandosi nella generale giustificazione dei fatti , e confidando nel genio naturale delle moltitudini , e nella forza ingenita che spinge le cose al compimento di un ordine prestabilito , ricadono nel fatalismo dell ' oriente , e maledicendo alla virtù infelice santificano la vittoria e adorano la forza . Altri fraintesero la giustificazione istorica del passato , e vi supposero la necessità di ritornare le cose ai loro principi ; e vanamente additarono , come mèta ad un viaggio retrogrado dell ' umanità , ora l ' un ora l ' altra delle età già consumate . In mezzo a queste aberrazioni , i più veggenti sanno congiungere la fiducia nel progresso alla paziente accettazione delle lente e graduate sue fasi , e alla critica proporzionale e perseverante , ch ' è pur necessaria a promuoverlo . Essi sanno discernere le istituzioni transitorie e caduche da quelle senza cui l ' umano consorzio non regge . Essi nutrono la generosa persuasione che l ' individuo non è sempre cieco strumento del tempo , ma una forza libera e viva , la quale tratto tratto può far trapiombare la dubia bilancia delle umane cose . Questa scuola pratica , che studia il campo della libertà umana nel seno della necessità e del tempo , deve librarsi tra la violenza logica delle dottrine passate , e l ' indolente e servile ottimismo delle dottrine che si levarono sulla ruina di quelle " . Sarebbe difficile invero immaginare un quadro più eloquente e più vero di ciò che è stato il grande movimento scientifico del secolo testé trascorso e un cenno più chiaro e riassuntivo di quelli che sono veramente , a parer nostro , i caratteri essenziali delle tendenze positive moderne . In un altro nostro scritto , abbiamo tentato di dare al " positivismo " un significato più vasto , e nello stesso tempo meno radicale e dogmatico di quello che gli attribuiscono molti dei sostenitori dei " sistemi " positivistici ; di mostrare cioè come sia vano il voler restringere questo all ' accettazione ed alla applicazione di pochi principi teorici e metodologici , e come si tratti , piuttosto che di un brusco mutamento nella direzione del pensiero scientifico , dello sviluppo graduale di una specie di facoltà nuova , così variata e complessa nei suoi diversi aspetti che è pressoché impossibile di darne una definizione che sia insieme e completa e precisa . Chi potrebbe , per esempio , formulare esattamente i principi su cui si fonda il senso storico , quella delicata facoltà di comprendere ogni epoca sotto il suo vero colore , facoltà che è uno dei tratti più caratteristici della società intellettuale contemporanea ? È qualche cosa di simile a ciò che si chiama , nella vita sociale , la inestimabile qualità del " tatto " del " saper vivere " - qualche cosa che non s ' insegna , ma che s ' impara bensì , frequentando certe persone , vivendo in certi ambienti , respirando , come si suol dire , una certa atmosfera . " Se osserviamo - dicevamo - la differenza fra la scienza e la filosofia moderna e quelle che hanno per lo più prevalso nel passato , vediamo che ciò che più nettamente caratterizza questa in confronto a quella è lo spirito nuovo di cui questa è animata . Vediamo in essa , da un lato , una maggior circospezione nelle osservazioni e nelle esperienze , una conoscenza più esatta dei mezzi più atti a raggiungere un determinato risultato scientifico , una maggior prudenza nella generalizzazione e nella deduzione , un più completo disinteresse , per così dire , nella aspirazione alla verità , un ' unità più completa nella sua ricerca , e infine una indipendenza maggiore da considerazioni estranee alla scienza ; dall ' altra parte , un perfezionamento dello spirito critico , la tendenza a non accontentarsi di spiegazioni puramente verbali e formali di fenomeni , ad analizzare i nostri concetti e a scomporre ne ' suoi elementi ogni nostra cognizione . Finalmente , bisogna tener conto della influenza profonda esercitata in tutti i rami dello scibile dal nuovo elemento di recente introdotto nelle speculazioni filosofiche e scientifiche : la teoria della evoluzione . Mentre prima v ' era la tendenza a considerare ogni cosa " sub specie aeternitatis " , oggi tutto invece ci appare in preda ad un perpetuo lavorio di trasformazione e siamo portati a considerare tutti gli eventi piuttosto da un punto di vista dinamico che statico . Si è propagato fra noi un sentimento oltremodo vivace della relatività di tutti i fenomeni concreti al momento , cosmologico o storico , in cui si producono ; onde una reazione contro i modi troppo astratti e semplicisti di concepire la realtà , i quali troppo trascuravano il " coefficiente del tempo " , e contro la filosofia razionalista del secolo XVIII ; è la propagazione del metodo storico comparativo in tutte le scienze " . È a torto che alcuni hanno voluto vedere in questo complesso di tendenze , frutto della maturità scientifica dei tempi nostri , l ' indicazione di una limitazione effettiva del nostro sapere ad una porzione ristretta della realtà , mentre un vasto campo di questa , tutto ciò ché riferisce all ' al di là dei fenomeni , sia per sempre sottratto alle nostre indagini . L ' Agnosticismo sistematico è anzi ciò che vi può esser di più estraneo alla scienza moderna . Se si è creduto il contrario , ciò dipende dall ' influenza che nella filosofia moderna hanno avuto le teorie della conoscenza di Hume , Berkeley , Kant . Ma tali dottrine , qualunque sia la nostra opinione sulla loro intrinseca accettabilità e giustezza , qualunque sia stata l ' opinione dei loro stessi creatori , non giustificano , come è stato mostrato , alcuna delle conseguenze agnostiche e scettiche che alcuni ne hanno tratto . Il loro scopo , non è , abbiamo detto , di dare un giudizio sulla possibilità o l ' attendibilità della nostra conoscenza , ma di definirla e spiegarla ; di dirci che cosa intendiamo dire quando affermiamo che la tal cosa esiste , che la sua causa è la tal altra cosa , etc . , non di dirci se tali nostri giudizi siano veri o no . Delle parole causa , sostanza , realtà e simili esse ci forniscono definizioni nuove e diverse dalle antiche ; ma non ne segue che per ciò solo alcuna porzione della realtà sia sottratta alle nostre ricerche come non ne segue neppure che debba prevalere questo o quel metodo di ricerca ad ogni altro . Se oggi sappiamo imporre dei limiti ad una troppo impaziente curiosità scientifica , se ci atteniamo di preferenza , ove ciò sia possibile , al metodo induttivo o sperimentale , piuttosto che all ' astratto e razionale ; ciò non che per la nostra esperienza intellettuale più matura , la quale ci ha insegnato la via più economica e sicura per giungere alla scoperta del vero , ed a guardarci da certe intemperanze ed errori in cui troppo spesso caddero i pensatori del passato . Concludendo adunque , il positivismo più che un sistema nuovo e radicalmente diverso da quelli che lo hanno preceduto , rappresenta un complesso di tendenze che si sono formate a poco a poco in un grande secolo di indefesso lavoro pratico ed intellettuale , di incessante discussione e di inesorabile critica : il sorgere delle scuole storiche ed evoluzionistiche , la visione sempre più netta della relatività e della complessità dei fenomeni , la ripugnanza a concepire qualsiasi campo della realtà come non soggetto a leggi " naturali " sono tutte manifestazioni del medesimo movimento . Di queste tendenze generali del mondo moderno dovevano inevitabilmente risentirsi anche la morale ed il diritto , e ciò naturalmente non poteva avvenire senza un periodo di crisi , contrassegnato dalla eccessiva baldanza demolitrice degli uni , da eccessivi timori e ingiustificati scoraggiamenti degli altri . Per ciò che riguarda il diritto penale , abbiam visto come ciò si palesasse soprattutto nella pretesa demolizione del concetto di responsabilità , e nelle offese all ' autonomia del nostro senso morale nel determinare l ' esistenza e la ragione del " diritto di punire " . Ma abbiam visto pure , come ciò derivasse da una errata interpretazione dei principii supremi su cui il movimento positivo si reputa fondato . Resta dunque , come sola legittima e veramente feconda , la tendenza rappresentata da tutti i moderni studi psicologici e sociali , criminologici e antropologici . Nello stesso tempo , abbiamo rilevato come ciò possa portare a limitazione e sostituzioni parziali del diritto punitivo con altri mezzi migliori . Non già però in forza della enunciazione di alcuni principii , ma per opera dei risultati a cui eventualmente i nuovi studi metteranno a capo . Fino a che punto ciò potrà portare ad una trasformazione profonda del presente indirizzo nel diritto penale , è impossibile determinare sin d ' ora , solo un avvenire di studi , d ' esperienze e d ' ulteriore maturazione scientifica e morale potrà dare gradualmente a questa domanda una completa risposta . Gennaio - Ottobre 1901