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> categoria_s:"Saggistica" > autore_s:"GENTILE GIOVANNI"
IL PENSIERO ITALIANO DEL RINASCIMENTO ( GENTILE GIOVANNI , 1940 )
Saggistica ,
DEDICA ALLA MEMORIA DE ' MIEI POVERI FRATELLI GAETANO E ROSINA MIEI COMPAGNI D ' AMORE E DI SOGNI NELLA FANCIULLEZZA ENTRAMBI CADUTI SULLA SOGLIA DELLA VITA AVVERTENZA Alla Conferenza sul Bruno qui ristampata con poche aggiunte e modificazioni ( poiché gli studi più recenti non hanno scosso menomamente la mia tesi ) seguiva nel 1907 un ' Appendice , che insieme con altri scritterelli bruniani verrà ora compresa in altro mio volume che seguirà Prossimamente a questo , e gli servirà quasi di complemento . Alla vecchia conferenza ho preferito piuttosto unire vari miei studi posteriori ( qui riveduti o ampliati ) , riguardanti taluni dei problemi fondamentali che si agitarono dallo stesso Bruno e dagli altri pensatori nel nostro Rinascimento , e che , studiati così , tutti insieme , riverberano una viva luce sul pensiero del Bruno e di tutta quell ' età di cui egli è il martire . Roma , 1920 . G . G . In questa nuova edizione , che s ' avvantaggia sulla precedente di non poche aggiunte e di tutto un nuovo capitolo sul Campanella , ho creduto opportuno riordinare tutta la materia per rendere più evidente il concetto da cui tutti gli studi qui raccolti sono animati e organicamente connessi , benché maturati via via in così lungo lasso di tempo , come apparisce dalla seguente , Nota bibliografica . Roma , 8 gennaio 1925 G . G . Nelle due precedenti edizioni questo libro era intitolato : Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento , poiché il nucleo originario di esso era costituito da una conferenza del 1907 sul filosofo di Nola . Ma le aggiunte posteriori hanno via via allargato così il campo degli studi raccoltivi , che quello scritto più antico ha finito col non essere più il centro del libro ne la parte che Potesse sembrare più meritevole di rilievo . E s ' è reso perciò necessario un titolo più comprensivo , quantunque i tre nuovi capitoli della presente edizione ( il primo , il quinto e il sesto ) e le aggiunte introdotte qua e là e i ritocchi ed aggiornamenti suggeriti in qualche punto dal progresso degli studi consentano ancora di ritenere che l ' essenziale della raffigurazione storica del Rinascimento , in cui fu già vista campeggiare la figura del Bruno , conservi anche oggi tutta la sua verità . Anche ora il libro ha il carattere composito e frammentario di una raccolta di scritti nati in vari tempi lungo più d ' un trentennio ; una raccolta in cui taluni argomenti tornano naturalmente ad essere trattati più d ' una volta , e certe ripetizioni sono inevitabili . Non è , pur troppo , il libro che un tempo , a conclusione di molte mie ricerche , pensavo di scrivere con ricchezza di concreti particolari e sviluppo di concetti aderenti alla folta e varia moltitudine degli uomini , dei loro sistemi , delle loro passioni e lotte . Non è il libro che in cuore desideravo di dedicare ai pensatori che avevan dato luce e calore alla mia anima , e ai quali in dalla prima giovinezza avevo guardato con reverenza ed amore come a ' miei fratelli maggiori nella grande famiglia della filosofia italiana . Ma , lo ripeto anche questa volta , un organismo nel libro , com ' è nato e cresciuto , c ' è ; e ogni lettore che lo legga tutto , lo vede facilmente . Ne credo di peccare di superbia se , continuando a pensarci su e a seguire il movimento degli studi , ritengo sei ? apre più questo libro un contributo che nessuno studioso del Rinascimento potrà per un pezzo ignorare o trascurare , sia che voglia penetrare nel segreto di certe anime dominanti , sia che voglia orientarsi rispetto ai Problemi e ai concetti fondamentali di quella età . Forte dei Marmi , 16 agosto 1939­XVII . G . G . NOTA BIBLIOGRAFICA Degli undici capitoli di questo volume il I venne la prima volta pubblicato nel Giornale dantesco , XXXVIII , 1937; e fu un Discorso per l ' inaugurazione della Mostra umanistica nella Biblioteca di Leo S . Olschki in Firenze ( 18 aprile 1937 ) ; il II nella Cultura del De Lollis , del 15 luglio 1920 , estratto d ' un Corso di lezioni tenuto nella Università di Roma nel 7918 . - - Il III Cap . , insieme con i numeri I e III dell ' Appendice , nel Giornale Stor . Di letteratura ital . nel 1976 . - - Il IV Cap . fu una conferenza tenuta nel Lyceum di Roma il 19 maggio 1919; e quindi pubbl . nella Nuova Antologia del 1° giugno dello stesso anno . - - Il V Cap . è la parte essenziale di una conferenza tenuta il 28 aprile di quest ' anno nella sala di Luca Giordano , in occasione della Mostra Medicea ( inedita ) . - - Il VI Cap . prima uscì nella pref . al vol . G . GALILEI , Frammenti e lettere con note di G . Gentile , Livorno , Giusti , 1917 ( 2 ed . 1925 , ora presso la Sansoni di Firenze ) . Qui si ripresenta con qualche aggiunta . - - L ' VIII Cap . nel volumetto . G . Bruno nella Storia della cultura , Palermo , Sandron , 1907 . - - Il IX Cap . nella Critica , a . X ( 1912 ) . - - Il X negli Scritti vari di erudizione in onore di R . Renier , Torino , Bocca , 1912 . - - Il Cap . XI è la Commemorazione del Campanella tenuta a Stilo il 19 ottobre 1924 , e pubblicata nel Giorn . critico della filos . italiana , a . V , 1924 . Quando fu dato in luce nel 1907 lo scritto che forma il cap . VIII , vi fu premessa la seguente avvertenza : « Questo scritto non vuol essere né una biografia , né un ' esposizione del pensiero di Giordano Bruno ; ma solo un saggio intorno al significato di lui nella storia della cultura : e quindi una illustrazione delle ragioni peculiari della sua condanna e della sua morte mercè lo studio delle sue idee intorno al rapporto della filosofia con la religione , e del suo atteggiamento verso la Riforma e verso l ' Inquisizione . « Per giustificare la speciale determinazione dell ' argomento e la forma dello scritto , dirò che questo nacque per una conferenza , tenuta in Palermo il 20 marzo di quest ' anno , per invito della Sezione locale della Federazione nazionale degli Insegnanti medi . La quale volle in questo modo riparare all ' omissione ( non di certo approvabile , quale che ne sia stato il motivo ) onde , sette anni fa , la gloriosa ricorrenza centenaria del rogo di Bruno parve opportuno non fosse in alcun modo ricordata nelle nostre scuole ; dove pure ogni anno , a giorno fisso , tutti i maestri , da un capo all ' altro d ' Italia , sono invitati a interrompere il corso delle lezioni per commemorazioni improvvise , prive spesso d ' ogni valore didattico ed educativo , di eroi grandi e piccoli della nostra storia civile e letteraria . E a me pare ottimo segno dei tempi , - - da non lasciar passare senza richiamarvi sopra l ' attenzione del paese , - - che gl ' insegnanti dei nostri ginnasi e licei si ricordassero essi del Bruno , come di nome che appartenga a loro , cioè alla scuola italiana , focolare della cultura nazionale . E non del Bruno ora da un paio di decennii noto alle moltitudini come vittima dell ' intolleranza religiosa e segnacolo in vessillo di rivendicazioni anticlericali ; ma del Bruno , che essi appresero a conoscere nella storia : il grande filosofo e martire della nostra Rinascenza . « Tra tanto schiamazzo , pro e contro Bruno , fatto nello scorso febbraio da tutti i politicastri rossi e neri d ' Italia ; i quali avranno forse tutte le loro buone ragioni di schiamazzare , ma non ne hanno certo nessuna , di non dover risparmiare la pace dello sventurato scrittore né pur a tre secoli dalla sua morte ; è veramente titolo d ' onore pei professori di Palermo questa loro idea di stringersi a difesa intorno alla memoria del filosofo , segno D ' inestinguibil odio E d ' indomato amor ; di restituire al Bruno la sua dignità storica di filosofo e martire della filosofia ; di sottrarre il suo nome alla mischia profanatrice dei partiti politici , che l ' esaltano o lo combattono , esaltando o combattendo i loro fini e le loro passioni , a cui il Bruno fu ed è estraneo ; di risollevarlo per gli spiriti colti in quell ' aer sereno , a cui si elevò con la vigoria del suo pensiero , della sua stessa poetica , fantasia e con l ' ideale virilità del suo grande animo in quell ' aer sereno , dove tutte le passioni tacciono i fini pratici e i contrasti , da essi generati , sono superati , e sopravvive solo quello spirito di eterna verità , a cui tutti i partiti umani , perché umani , s ' inchinano » . I UMANESIMO E INCUNABOLI I A chi abbia la fortuna di trovarsi a una mostra di incunabuli , accade di provare uno di quei grandi godimenti intellettuali che soltanto le più vivaci rievocazioni del passato possono procurare . Dal prezioso patrimonio librario della nuova cultura quattrocentesca pare sorga e si affolli intorno allo studioso una moltitudine di umanisti . Sono umanisti scrittori , umanisti editori , umanisti stampatori , poiché in quell ' età l ' industre dottrina degli umanisti e l ' ardore del loro entusiasmo suscitato per i documenti letterari del pensiero antico presero con la nuova arte meravigliosa dei tipi mobili a moltiplicare e diffondere i nuovi testi discoperti nelle polverose librerie degli ignari conventi e gli antichi restaurati e ravvivati dalla sagace scienza dei dotti . E si videro con ammirazione questi monumenti dell ' arte nuova del torchio : monumenti della ispirazione estetica , a cui stampatori e letterati obbedivano , e dell ' accorgimento critico con cui gli uni e gli altri , prima di stampare i testi , attesero a purgarne la lezione guasta e corrotta da tradizioni di ignoranti amanuensi . Ma monumenti altresì di una più alta storia ; la quale nella riproduzione manoscritta o tipografica non soltanto si rispecchia , ma si compie e si realizza . Poiché il gusto squisito e la critica filologica a cui questi venerandi incunabuli sono informati , non è qualche cosa di estrinseco ed accessorio allo spirito degli umanisti , che collaborarono a queste prime prove gloriose della stampa . Anzi sono da considerare una manifestazione dell ' essenza dell ' umanesimo , che non sarebbe compiutamente conosciuta dallo storico che si limitasse a studiarne lo spirito così come esso può definirsi o individuarsi in pochi concetti astratti , trascurando le forme in cui questi concetti si incarnarono e furono effettiva realtà storica . II L ' umanesimo infatti fu filologia ; e filologia nel primo senso del vocabolo . Fu amore della parola in tutte le sue forme , da quella ideale , che si attua nella fantasia dove la potenza creatrice dello spirito sgorga nel segreto dell ' uomo , a quella scritta , in cui pare che l ' interna intuizione si esteriorizzi e prenda corpo : tra le cose materiali ; è alla stampata , in cui la parola scritta si stilizza e moltiplica . Fu quindi vagheggiamento delle belle parole armoniose che dagli antichi grandi , si apprese a formare ; fu ricerca appassionata dei manoscritti dove quelle parole si conservavano e potevano sempre tornarsi a leggere ( oh il superbo vanto del Petrarca contro quei presuntuosi barbassori dell ' averroismo veneto , per il gran codice platonico che egli si trovava a possedere nella sua biblioteca ! ) ; fu studio acuto , diretto a restituire al pristino splendore quelle parole offuscate da barbariche patine di ripetitori inesperti e inintelligenti ; quelle parole pur sempre parlanti col loro schietto suono all ' orecchio e all ' intelletto addottrinato da una familiarità sicura con l ' antico linguaggio dei padri , ossia col loro pensiero e con le consuete forme ond ' esso si rivestiva . E in ogni caso era fiducia nel proprio sapere , come essi se l ' eran foggiato grazie a una diretta e intensa conoscenza degli scrittori antichi . I quali erano stati celebrati ed esaltati come maestri d ' ogni scienza ed arte nel Medio Evo , ma conosciuti i più soltanto per fama e indirettamente , per traduzioni e traduzioni di traduzioni , anche dai maggiori intelletti , come un Alberto Magno , un Tommaso d ' Aquino , un Dante Alighieri , dottissimi spiriti orientati tutti verso l ' antico , e troppo legati tuttavia ed involti nei presenti interessi religiosi , filosofici , politici od artistici . Fiducia nel proprio sapere e nell ' ingegno , ossia nella personalità , che attraverso questo nuovo sapere si esercitava e formava ; da quando i nuovi interessi , acuiti e quasi aguzzati dalla gioia delle scoperte degli antichi scrittori celebri ma sconosciuti , e dalla soddisfazione più viva procurata dall ' apprendimento del greco , da secoli non più noto all ' Occidente latino , e quindi dalla lettura di tante opere invano già desiderate da ' dotti d ' un tempo , ebbero straniato l ' uomo cólto dal presente ; dai contrasti e dai problemi attuali , dal pratico della vita , in cui è la famiglia , lo Stato , e perfino la Chiesa con i suoi tempii , con i suoi riti e con i suoi ministri , per farlo coetaneo degli antichi e partecipe del loro mondo . Che meraviglia se a momenti quest ' uomo nuovo si sentisse in petto le passioni d ' un repubblicano di Roma e sognasse con Pomponio Leto una repubblica praticamente impossibile ? Ed era ovvio che , tutto preso in questa visione dell ' antico risorto e vivo nella fantasia , egli a tratti riprovasse quel sentimento del divino che ogni mortale porta nel suo mondo , e si riaffacciasse quasi cogli stessi occhi di un Virgilio a quella intuizione religiosa , che ogni cristiano condannava da secoli come credenza negli dèi falsi e bugiardi . Paganesimo , che era per altro compatibile con la fede ricevuta dai padri e che anche l ' umanista accoglieva nell ' animo in cui pur sempre rimaneva legato alla famiglia e allo Stato , ai figli , agli amici , al principe , alla città e insomma alla vita attuale e dei vivi , da cui egli si sequestrava soltanto a quel modo che ogni poeta , ogni artista , obbedendo a una sua segreta e personale ispirazione , astrae dalla realtà circostante e spazia felice nell ' astratto mondo della sua fantasia . III Le discussioni recenti sul carattere pagano o cristiano dell ' umanesimo si aggirano , io temo , intorno ad un equivoco . A proposito del quale non so trattenermi dal ricorrere col pensiero alla bella lettera scritta dal Machiavelli a Francesco Vettori dalla sua villa presso San Casciano mentre andava meditando il Principe . Ricordate ? Dopo desinare se ne tornava all ' osteria , a trovare l ' oste , un beccaio , un mugnaio e due fornaciai ; e con costoro amava ingaglioffarsi « per tutto dì giocando a cricca , a tric ­ trac » ; e nascevano mille contese e infiniti dispetti di parole ingiuriose , e il più delle volte si combatteva un quattrino , e le grida si sentivano da San Casciano . Questo durante il giorno . Ma , calato il sole , il Machiavelli si ritirava . « Mi ritorno a casa , e entro nel mio scrittoio ; e in sull ' uscio mi spoglio quella veste cotidiana , piena di fango e di loto , e mi metto panni reali ecuriali ; e rivestito condecentemente , entro nelle antique corti degli antiqui uomini , dove , da loro ricevuto amorevolmente , mi pasco di quel cibo , che solum è mio , e ch ' io nacqui per lui ; dove io non mi vergogno parlare con loro ; e domandoli della ragione delle loro actioni , e quelli per loro umanità mi rispondono ; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia , sdimentico ogni affanno , non temo la povertà , non mi sbigottisce la morte ; tutto mi transferisco in loro » . Parole stupende , che non si tornano mai a leggere senza viva commozione . C ' è l ' animo del Machiavelli , e c ' è , in pieno Rinascimento , l ' animo dell ' umanista che , almeno per quattro ore della sua giornata . è portato a transferirsi tutto negli antichi , per non sentire più la noia , dimenticare ogni affanno , non temere la povertà , e non essere sbigottito più dalla morte : per vivere cioè la vita beata dello spirito che dal tempo e dalle cose finite si eleva all ' eterno e infinito delle idee o dei fantasmi che hanno virtù di affratellare ed unificare gli uomini di tutti i luoghi e di tutti i tempi . Lo studioso che voglia intendere il significato storico dell ' umanesimo deve guardare a quelle quattro ore dell ' umanista , quando il Machiavelli lascia l ' osteria e il tric ­ trac , e scrive il Principe ; quando insomma è Machiavelli , creatore di una scienza che con le sue ombre e con le sue luci agiterà cuori e cervelli nell ' avvenire ; il Machiavelli dato sempre per morto dagli avversari , e pur sempre vivo e presente a turbare la pace delle loro anime , a farsi leggere , a far pensare . In quelle quattro ore Machiavelli è tutto negli antichi , pagano com ' essi , o più esattamente con l ' animo aperto ad accogliere attraverso e malgrado le forme diverse , l ' umanità comune , e , a modo suo , l ' unica religione che già il Cusano ( partecipe anche lui del nuovo concetto umanistico ) additava in varietate rituum , Giacché una delle conquiste definitive dell ' umanesimo , specialmente di quello che in Firenze si sviluppò per opera del Ficino e de ' suoi « complatonici » , fu un concetto generato dalla logica sincretistica del platonismo , che faceva di Platone un cristiano avant la lettre e di ogni filosofo cristiano , da sant ' Agostino in poi , un autentico platonico . Un concetto , che sarà più profondamente teorizzato dal Campanella , e che in Inghilterra un amico del Campanella e seguace del platonismo di Cambridge , derivato da quello dell ' Accademia di Firenze , proclamerà col nome che farà fortuna , di religione naturale , Concetto che oggi noi criticheremo per la sua astrattezza razionalistica , ma difenderemo sempre , e praticamente vien adottato dall ' universale come principio di quella religiosità umana senza la quale non c ' è religione positiva di sorta . La religione naturale , per altro , è un aspetto dell ' umanità profonda e fondamentale che l ' umanista scopre in questo suo trasferirsi in un mondo ammirabile e pur lontano dalla effettiva realtà in cui gli uomini vivi sono ( legati all ' attualità determinata e alla struttura infrangibile del presente . Intanto è un ' umanità che ha valore in quanto si scioglie dalle contingenze della vita , in cui l ' uomo non può essere immediatamente padrone di sé , vincolato com ' è al costume e alla legge , che egli trova già in essere quando deve conformarvisi ; vincolato alla realtà della natura , in cui egli nasce e muore per un destino che non è in lui , ma sopra di lui ; e in cui vive stretto incessantemente dalla necessità di adattarsi col pensiero e con l ' azione a dati di fatto meccanicamente posti a limitare dentro determinate condizioni l ' attività dello spirito umano . Se ne scioglie , attratto da una realtà che è tutta una conquista dell ' uomo , dottrina sua e frutto di una propria acquisita esperienza ; ond ' egli si eleva al di sopra dell ' uomo comune , e si riscatta da ' suoi limiti e dalle sue miserie , e afferma quindi la propria indipendenza , che è potere infinito , creatività e cioè libertà . Di questa libertà , diversissima , da quella promessa dalla teologia cristiana che la sua fa sperare soltanto dall ' intervento d ' un potere affatto superiore all ' umana natura laddove questa è conquista possibile all ' uomo di lettere mercè le sue proprie forze ; di questa libertà l ' umanista ha una coscienza che in forma più o meno sistematica riempie la letteratura moralistica e filosofica del tempo , dagli scrittori più bonari e modesti come il buon Giannozzo Manetti fino ai pensatori più audaci e metafisici come Tommaso Campanella . Coscienza ancora oscura e non scevra di contraddizioni ; poiché il concetto della libertà presuppone una filosofia dello spirito , da cui l ' Umanesimo e lo stesso Rinascimento sono ancora lontani ; ma tale coscienza si pianterà alla radice delle convinzioni più salde dell ' uomo moderno ; atmosfera in cui si continuerà poi sempre a respirare per vivere . IV Vi sono oggi scrittori che innanzi a tali caratteristiche dell ' umanesimo adombrano e ammoniscono che non si deve attribuire a quell ' età nulla di ciò che è maturato più tardi ; e con invidiabile candore vengono inculcando che l ' umanesimo va raffigurato nelle sue fattezze storiche senza nulla aggiungervi del nostro . A questi scrittori bisogna pur ricordare il motto del gran savio antico : respice finem , o il proverbio popolare che la pianta si conosce dal frutto , o l ' altro , se si vuole , che l ' uomo si giudica dopo morte ; e insomma ogni storia è intelligibile alla luce d ' un modo di concepire la vita , che non può essere se non proprio della mentalità dello storico . Il che non vuol dire relativismo storico e scetticismo . Quasi che ogni storico potesse ad arbitrio scegliere un suo punto di vista senza obbligo di averne a rendere conto a chicchessia . Anzi il relativismo , con le sue conseguenze scettiche , è proprio della storiografia ingenua che , non giustificando i presupposti che essa pure adopera ancorché inconsapevolmente , non può offrire se non una delle tante possibili rappresentazioni della realtà storica . Tant ' è vero che lo scetticismo è stato sempre stretto congiunto del dommatismo . Comunque , il significato storico di un ' idea o di un movimento spirituale è nella sua fecondità ; e la misura del suo significato va perciò ricercata negli eventi posteriori all ' apparire di quell ' idea e allo sviluppo di quel movimento . L ' Umanesimo , che alle sue origini , nel Petrarca e negli scolari fiorentini del Petrarca e nei loro immediati seguaci o avversari , è moto italiano , ma che dall ' Italia nel Quattro e nel Cinquecento si espande a tutta l ' Europa più civile , deve spiegarci il Rinascimento , la Riforma e la Controriforma , la filosofia empiristica e razionalistica del Sei e Settecento e lo Stato liberale ; deve spiegarci l ' Illuminismo e il Romanticismo e il secolo decimonono . Spiegarci tutto questo , s ' intende , in quanto in tutti questi movimenti dell ' età moderna ci sono elementi che provengono dal risveglio umanistico dell ' uomo . Nel Rinascimento quel vigoroso affermarsi dell ' individualità che ci fa intendere la fioritura meravigliosa dell ' arte , come forma d ' umanità a cui volgesi ansiosa e bramosa tutta la società , e la formazione del principato paragonabile esso stesso ad opera d ' arte . Nella Riforma l ' analoga individualità che astrattamente tenta di farsi valere nella Chiesa che polverizza fino all ' assurdo , ma non invano richiama la fede all ' intimità profonda della coscienza , e la fede esalta come rigenerazione radicale dello spirito . Nella Controriforma lo sforzo di contemperare lo slancio originale dell ' individualità o libertà con le formazioni storiche ( Chiesa e Stato ) in cui l ' uomo viene spiegando e attuando in modo concreto la sua natura . Nella filosofia moderna da Bacone e Descartes a Locke e Leibniz , lo studio di umanizzare la verità ossia di concepire il mondo in guisa che l ' uomo possa vederlo come il suo mondo : il mondo di cui egli abbia ad essere certo poiché lo raccoglie dalla sua esperienza o lo costruisce con la sua ragione . Nello Stato liberale , dal giusnaturalismo allo storicismo dell ' Ottocento , la tendenza a risolvere ogni dualismo tra l ' autorità e la legge da una parte e la libertà umana dall ' altra . Nell ' Illuminismo il bisogno di negare i residui del dommatismo impenetrabile alla ragione dell ' uomo ; e nel Romanticismo , di approfondire e compiere il concetto dell ' individualità , non pur ragione tutta spiegata ma , come avvertì primo il gran precursore di esso , G B .. Vico , oscuro sentire prima che ragione , e poesia e religione , e soprattutto storia , ché è senso comune , società . V Certo , a spiegare tutta la ricchezza della coscienza moderna nella sua complessa e varia natura l ' Umanismo da solo non basta . C ' è la scienza dei Greci , c ' è il diritto di Roma e l ' universalità dello Stato come Roma la sentì ; c ' è l ' unità del divino e dell ' umano , come il Cristianesimo la intuì e la definì , e quindi la vita umana , non più sterile contemplazione della natura già esistente e asservimento dell ' umano volere alle leggi naturali , ma azione creatrice o ricreatrice , potenza morale e produttiva del vero mondo , che è mondo dello spirito . Tutto questo c ' è nel patrimonio della moderna Europa , che è come dire del mondo moderno ; e non è Umanesimo . Ma c ' è pure un lievito che fermenta in questo mondo e feconda l ' eredità spirituale dell ' età antica e della media ; ed è questa coscienza o dicasi senso , inquieto e pur profondo , che l ' uomo ha del suo potere e della sua conseguente responsabilità nel mondo che è il vero mondo : mondo morale , estetico , religioso , teoretico , umano . L ' uomo al centro dell ' universo , e l ' universo tutto colorato dalla luce che si sprigiona dallo spirito umano , tutto vibrante dell ' ansia dell ' umano pensiero . L ' universo dell ' umanista ha dapprima un breve raggio ; pure è esso medesimo già universo , tutto , infinito . Poiché il mondo in cui egli spazia , non è la realtà che possa dirsi storica e naturale , questa divina realtà che ci abbraccia al nascere e ci sostiene in vita e ci riaccoglie al morire madre benigna e pia , principio e fine di tutto l ' essere nostro . L ' universo dell ' umanista è una realtà spirituale , tutta ideale , che s ' adegua pertanto all ' essenza dell ' arte , in cui luomo crea una realtà sua , in sé perfetta , ma irreale al confronto di quela in cui si vive e si muore . Ma , com ' è proprio d ' ogni ideale realtà che abbia potere di attrarre lo spirito col suo valore , per limitata che possa apparire o addirittura illusoria dal punto di vista pratico o filosofico , il mondo della poesia , e così quello dell ' umanista , ha carattere di totalità ; e però lo spirito vi si può muovere dentro senza urtare mai in un limite , senza sospettare mai che oltre questo mondo ideale e diafano ce ne sia un altro solido , opaco , massiccio , che è il mondo in cui pur bisogna a volta a volta svegliarsi a lavorare , a lottare , a soffrire . Dal rispetto pratico o filosofico , gli umanisti con la loro erudizione , coi loro sogni , con le loro luminose memorie , con la baldanza e con l ' orgoglio del loro sapere privilegiato , e insomma col mondo che portano nel loro cervello , sono ancora semplici letterati , non uomini interi . Se si paragona per questo rispetto la personalità del Petrarca , prototipo dell ' Umanesimo , a quella di Dante , poeta ­ profeta perché uomo intero , con la sua robustissima fede religiosa e politica dentro alla sua possente poesia , non si può non sentire un divario enorme tra i due uomini , e quasi una disperante decadenza umana dalla Commedia al Canzoniere , Dante è un uomo ; e Petrarca è un letterato ; artista sì , e grandissimo , ma in forza di questa sua capacità di chiudersi in un ristretto mondo , tutto suo , che è , sì , il suo universo , ma non è il grande universo divino per cui si apre all ' alto volo la fantasia dell ' Alighieri . Dal Petrarca potrà venire lo spirito del grande Rinascimento , che si riverserà splendente di fantasmi immortali sull ' Europa meravigliata ; ma verrà anche l ' arida progenie del letteratume accademizzante , classicizzante , linguaiolo , rettorico , erudito , anemico dell ' età barocca . Ebbene , convien pure considerare che , oltre la letteratura , verrà l ' antiletteratura e contro l ' accademia l ' antiaccademia di Giordano Bruno , che cogli altri filosofi naturalisti del tempo , movendo dallo stesso Umanesimo , si sforzerà di allargare il petto dell ' uomo all ' ampio respiro della natura infinita , e di fare insomma dell ' uomo la natural tutta la natura , animata e fondamentalmente umana ; dell ' universo angusto e particolare del letterato l ' universo , tout court , poiché dall ' umanista letterato deriva tanto l ' accademia quanto l ' antiaccademia . Dopo Dante si può dire che si cominci da capo ; si riprenda a costruire l ' uomo . Il quale inizialmente è un uomo che , pur di incamminarsi al suo nuovo ideale , si rannicchia in se stesso , ma dentro di se stesso trova finalmente se medesimo : l ' umanità che è potenza costruttiva e libertà . E quindi ardimento e fede nelle proprie forze ; e senso di non so che divino che è principio di grandezza e appello a cose grandi : è ispirazione di genialità creatrice e stimolo a volere gagliardo , a vincere la fortuna con la virtù , come l ' intenderanno l ' Alberti e il Machiavelli . Ci vorrà tempo perché in se stesso l ' uomo si convinca di poter cercare e trovare veramente tutto , e perciò il vero se stesso ; che non è sola letteratura , e neppur sola poesia , e non consente perciò all ' uomo di dividere la letteratura dalla vita , la fantasia dalla fede , la scienza dalla patria , dalla famiglia , da Dio . Ci vorrà tempo perché venga a maturità la coscienza che l ' uomo deve avere della propria essenza come essenza del tutto ; ma il seme di questo processo che riempie la storia dell ' uomo moderno è nell ' umanesimo . E chi non sa vedere nel germe il frutto che il tempo , cioè tutto il lavoro spirituale e il travaglio delle generazioni educate in Europa alla scuola degli umanisti , ne trassero , è un bastardo volontario che ignora i suoi genitori perché non si dà la pena di ricercarli . Negl ' incunabuli della tipografia , in cui si riversò l ' anima di tanti umanisti , sono pure gl ' incunabuli dell ' uomo moderno . II IL CARATTERE DEL RINASCIMENTO I L ' Umanesimo è la preparazione o , se si vuole , l ' inizio del Rinascimento . Può andare compreso sotto lo stesso nome , se si vuol designare tutto come Rinascimento quel periodo dello sviluppo del pensiero europeo occidentale , che , cominciato in Italia e dilatatosi quindi in tutte le altre nazioni civili , segna il distacco dell ' età moderna dal Medio Evo ; quel periodo , che fu per lungo tempo , finché prevalse la considerazione tutta ; estrinseca dei fatti storici che con la diagnosi dei sintomi più appariscenti presumeva di assegnare l ' origine e il significato storico degli avvenimenti , caratterizzato dal rifiorire degli studi intorno alle due letterature classiche . In questo stesso volume , dove prenderemo a indagare il concetto dell ' uomo nel Rinascimento , s ' intende includere in questa epoca anche l ' Umanesimo che infatti non se nel distingue per ciò che riguarda il concetto dell ' uomo . Ma l ' orientamento generale del pensiero nel Rinascimento propriamente detto è diverso da quello dell ' Umanesimo ; e ognuno che abbia familiarità , non dico con la filosofia , ma con la stessa letteratura italiana che va dalla seconda metà del sec . XIV alla prima del XVII , sente , magari oscuramente , il profondo divario che c ' è tra un Petrarca , un Bruni , un Valla o un Poliziano da una parte , e un Ariosto , un Aretino , un Tasso o un Bruno dall ' altra . C ' è di mezzo un mutamento spirituale , che si manifesta principalmente nell ' estensione della sfera d ' interesse intellettuale e morale ; onde l ' umanista pare si restringa tutto nello studio e nella celebrazione di quello che è strettamente umano , nel suo animo stesso o nella memoria e nella tradizione a cui egli ama affacciarsi per ingrandire e rinvigorire il suo animo ; laddove l ' uomo del Rinascimento gira intorno lo sguardo fuori dell ' uomo , e abbraccia con l ' intelletto la totalità del mondo a cui l ' uomo appartiene e in cui gli tocca di vivere . Il punto di vista umano diventa punto di vista naturale o cosmico , che è lo stesso punto di vista di prima , ma ampliato , in guisa da ricomprendere nel suo orizzonte la natura . II Per intendere questo allargarsi dell ' orizzonte proprio dell ' Umanesimo , conviene rendersi conto con precisione del significato dell ' Umanesimo di fronte al pensiero medievale precedente . E poiché l ' Umanesimo è un fatto della storia dell ' Occidente di Europa , quivi è pure da cercare la situazione spirituale a cui gli Umanisti si oppongono . La quale può essere definita , nel secolo XIII e XIV , quando il movimento spirituale filosofico , artistico e religioso culmina nei più celebri sistemi scolastici , nella istituzione dei grandi Ordini mendicanti e dell ' Inquisizione e nella Divina Commedia , come la cristallizzazione definitiva del pensiero cristiano primitivo e l ' arresto di quello sviluppo che , prendendo le mosse dalle intuizioni originarie di Gesù e di Paolo , aveva dato luogo all ' elaborazione teologica dei Padri mediante le forme del pensiero classico greco . Il germe di vita proprio del Cristianesimo era stato ( il concetto dello spirito , come vera realtà , che non è oggetto di conoscenza , ma di fede e di amore : dello spirito come realtà che l ' uomo non presuppone a se stesso , ma realizza , o fa essere nel proprio animo in quanto l ' afferma e vuole . Lo spirito non fu più concepito come intelletto , o spirito che conosce il mondo da cui è condizionato ; ma come volontà , o spirito che non conosce altro mondo all ' infuori di quello che esso crea . Ma altro è intuire una verità come questa , che il Cristianesimo annunziò infatti come la sua buona novella ; altro è pensare sistematicamente la verità stessa , e difenderla contro le filosofie che la disconoscono perché inferiori tuttavia al nuovo punto di vista . E il Cristianesimo , coi Padri , si trovò subito nella necessità di prender posizione , al di sopra della semplice intuizione del suo vero , tra le scuole filosofiche , per difendersi e attaccare con le armi stesse degli avversari . Il vino nuovo , così , contro il precetto del Vangelo , fu messo nelle vecchie botti . E tutti i teologi o filosofi cristiani platonizzarono o aristotelizzarono : sforzandosi di trattare la nuova realtà che il Cristianesimo , si può dire , aveva scoperta , con l ' antico metodo intellettualistico : lasciandosi sfuggire che l ' intelletto è lo spirito che non conosce e non può conoscere altro che la realtà naturale , cioè appunto quella a cui il cristiano non avrebbe più dovuto guardare , se non per negarla , e instaurare , al di sopra di essa , la sua , il regno dello spirito . È noto che i Logici furono i primi libri aristotelici entrati nella biblioteca dei filosofi cristiani . E prima ancora , già le origini della speculazione cristiana s ' erano intrecciate con lo svolgimento della filosofia platonica alessandrina . Ma è anche noto che la logica aristotelica , analitica e deduttiva , è la logica del pensiero che presume la cognizione dei principii , e implicita in essa la cognizione di tutto ciò che è razionalmente conoscibile ; e però non s ' adatta se non a una forma di verità , che sia precostituita di qua dal processo del pensiero ; e sia quindi immediata , e perciò trascendente . E il platonismo , nuovo od antico , che è poi il fondamento ultimo della logica aristotelica , era infatti la concezione della realtà come trascendente lo spirito , e quindi immediata . Ma ogni realtà immediata o che trascenda lo spirito , non è altro che natura . E invero tutta la filosofia greca si esaurì nel naturalismo . E la filosofia cristiana , che sforzò di concepire la realtà come spirito , e di portare la mediazione nel seno stesso dell ' Assoluto , in conclusione tornò alla trascendenza , e non riuscì a superare il naturalismo greco poiché ebbe consentito di porsi a con tatto di esso e d ' incontrarsi con esso sullo stesso terreno . La realtà trascende l ' uomo , in quanto l ' uomo è essere naturale , finito . Questa è la posizione platonica ; e questa è pure la posizione cristiana medievale . Coesiste , certamente , con essa un elemento contradittorio . poiché , prima di tutto , Dio ( questa natura che ci trascende ) è spirito . Poi , se molti filosofi , anzi la maggior parte , quelli dell ' indirizzo che finisce col prevalere , dicono che Dio si conosce con l ' intelletto , altri , che riaccendono negli spiriti di tempo in tempo la fiamma della fede cristiana , si oppongono a cotesta pagana pretesa , e proclamano la necessità di appellarsi all ' amore . Poi lo stesso Tommaso d ' Aquino , che è dei più rigidi intellettualisti e , senza dubbio , il più genuino rappresentante della sistematica cristiana , oppugna con grande vigore la forma più caratteristica e più veramente platoneggiante della concezione della trascendenza , come s ' era annidata nella dottrina averroistica dell ' intelletto ( concepito come unico nella sua universalità oggettiva , e sottratto pertanto ad ogni intrinseco nesso con la personalità concreta dell ' uomo ) , e in questa polemica mette in luce , quanto gli era consentito dalla sua filosofia , l ' immanenza innegabile del divino nello spirito umano . Ma lo spirito , in generale , era orientato verso la trascendenza ; e quello spirito che è Dio , era vagheggiato come uno spirito che non si realizza in noi , ed è perciò , rispetto a noi , natura ; e lo stesso misticismo della direzione agostiniana , dei Vittorini , e del nostro Bonaventura da Bagnorea , non celebra l ' amore come principio positivo della realtà spirituale dell ' uomo , anzi come negativo di questa realtà destinata a risolversi nella realtà trascendente di Dio . E tutti gli sforzi di Tommaso e degli altri filosofi cristiani che combattono l ' averroismo , urtano , infine , nel concetto aristotelico dell ' atto puro , che è condizione e presupposto di ogni divenire , e dello stesso divenire dell ' umano intelletto . Quindi è che l ' averroismo , ufficialmente combattuto e perseguitato , diventa nel secolo XIII cadente e nel successivo la filosofia degli spiriti forti , che vanno audacemente incontro alle conseguenze necessarie dell ' aristotelismo , e se , con la dottrina dell ' eternità della natura , negano la creazione , e spiantano così dalle radici il concetto cristiano dell ' infinità o realtà assoluta dello spirito , con quella dell ' intelletto unico accrescono le fila dei così detti « epicurei » di Dante e d ' altri scrittori e pensatori medievali , « che l ' anima col corpo morta fanno » . D ' altra parte , il volontarismo misticizzante di Duns Scoto mette capo al nominalismo e al terminismo di Occam , che , come ogni negazione del valore dell ' universale , è anch ' esso pretto naturalismo , materialistico . Ma , si dica naturalismo o astratto teismo , l ' intuizione fondamentale è sempre quella : la negazione dello spirito nella sua realtà attuale e concreta , che si realizza nell ' atto stesso dell ' uomo che afferma o nega , e in generale nell ' uomo , nella sua effettuale individualità . Sia che si neghi questa individualità propria dell ' uomo nella natura materiale , da cui l ' uomo è circondato , di qua dalla sua nascita e di là dalla sua morte , ovvero di là dalla coscienza in cui egli si sente talvolta quasi racchiuso , come per l ' epicureo che nega l ' immortalità dell ' anima ; sia che questa individualità si neghi insieme con tutta la natura finita , oggetto dell ' esperienza , nella realtà che trascende tutta la sfera dell ' esperienza , la conclusione è identica per ciò che riguarda la realtà , la potenza e il valore dell ' uomo : il quale , per attribuire a sé una realtà , e quindi una potenza e un valore , avrebbe bisogno di affermarsi e di fronte alla natura esteriore , da cui , se afferma se stesso , gli conviene pure distinguersi , e di fronte a ogni realtà che distingua da sé . Comunque , in ambo i casi , l ' individuo perde di vista se medesimo , la propria umanità , il proprio valore ; o per affisarsi in questo mondo naturale che non contiene infatti nulla di umano , se per umano s ' intende la vita spirituale ; o per rivolgersi a un mondo ultra ­ naturale che , quantunque definito spirituale , non contiene nulla né della natura , né dello spirito ( che in tal caso si considera innestato nella stessa natura ) : nulla , cioè , dell ' uomo per ciò che è il suo travaglio e la sua grandezza , quella spoglia naturale da cui egli deve a grado a grado svestirsi per attuare laboriosamente la sua intima essenza spirituale . III Questo naturalismo medievale , che si concentra nella filosofia , si stende nelle forme religiose , nelle forme dell ' arte e della stessa concreta vita politica . Il secolo XIII è il secolo di Domenico di Guzman e di Francesco d ' Assisi . La dottrina della povertà è una concezione negativa dello spirito , che è lavoro , e perciò ricchezza ; ed è lavoro come individualità , forza che si spiega consapevolmente nella concretezza dei suoi rapporti . Lo spirito che la fa nascere è eminentemente cristiano , e prelude perciò a suo modo al Rinascimento ; ma la forma in cui questo spirito s ' adagia , riaccosta il concetto degli Ordini mendicanti all ' ideale del Buddha o di Antistene , di cui niente si può concepire che sia più opposto all ' anima del Cristianesimo . Giacché questo è fede nella potenza creatrice dello spirito ; e quello è conseguenza della sfiducia assoluta nello spirito , che allora toccherebbe la cima della perfezione quando rinunziasse ad ogni pretesa di azione e si chiudesse nella negativa coscienza del suo nulla . L ' inquisizione dei domenicani e degli stessi francescani è il corollario del concetto dommatico della verità trascendente , che l ' individuo riceve , e non può che ricevere , e deve perciò limitarsi a ricevere . Negazione anch ' essa , pertanto , dell ' individualità , e perciò dello spirito , conforme alla logica della domma della Chiesa come società autocratica e , in ultima analisi , teocratica , in cui la verità , e però la legge , scende dall ' alto . L ' arte non si può giustificare se non per l ' allegoria : in quanto deve servire non all ' espressione del sentimento , che è l ' individualità dell ' artista , ma alla rappresentazione attraente di quella stessa verità che forma il valore della religione , e della filosofia . Il poeta , secondo l ' ideale dantesco del Convivio , poi pienamente incarnato nel Poema , che è veramente il più grande monumento dello spirito medievale , è esso stesso teologo , come ripeterà il Boccaccio : nuttius dogmatis expeys , come lo vorrà Giovanni del Virgilio . Cioè , la poesia non può attingere valore se non dalla fonte , che è l ' unica fonte d ' ogni valore all ' occhio dell ' uomo medievale : da quella realtà , che non è nello spirito umano , né in virtù del suo operare ; ma di là da esso , in quello Spirito che solo è atto : atto che crea il mondo , e in esso l ' uomo ; atto che fa piovere nel mondo ogni germe di vita , e nell ' umana intelligenza ogni raggio di luce , di verità , di bene . Certo , Dante non è nell ' allegorismo della Commedia ; ma in quanto noi svestiamo il poema del suo apparato allegorico , e di là dal simbolo andiamo incontro al suo animo vibrante della passione sua , Dante si solleva al di sopra del suo tempo , e di tutti i tempi , al pari di ogni poeta , per sublimarsi nell ' eterno . E c ' è di più . Dove noi sentiamo battere il suo cuore , lì è Dante con la sua forte personalità , nel nerbo del suo individuale potente carattere . Ma non è al rilievo di questa sua individualità che mira il poeta : anzi a raccogliere dentro alla sua vasta anima il cielo e la terra : e dottrine di teologi e memorie di storici sono industriosamente adunate e chiamate al gran lavoro , che tanto cresce di pregio agli occhi di Dante , quanto più riflette in sé di verità universale ed eterna e di coscienza del genere umano . E se l ' uomo moderno ammira l ' alta fantasia che spiega in sé e trae nel suo volo così vasta materia di pensiero e di fatti , solo guardando al vigore onde questa fantasia infonde la vita nelle sue creature , Dante protende tutto il suo animo con ansiosa fatica alla dottrina che s ' asconde sotto il velame dei versi . Il suo interesse è lì . E se la sua fibra è così robusta da reggere al peso enorme , a lui non cale tanto della libertà del suo movimento , quanto piuttosto dell ' ardua soma che si compiace di addossarsi . Poeta sì , ma poeta vate : maestro di verità , che il dolce stile d ' amore che detta dentro , assoggetta al bello stile di Virgilio , « il savio gentil che tutto seppe » . E appunto perché l ' arte trae il suo valore dal sapere , la poesia è allegorica ; ed essa che per sua natura è la più libera espressione , anzi celebrazione della libertà dello spirito nella sua individualità , si sommerge nell ' universalità di un sapere , che all ' uomo s ' impone , o si comunica , con la legge che egli osserva perché non egli la promulga . IV Attorno a Dante , mentre la pubblicistica dotta discute la dottrina classica dell ' origine dello Stato , e , tra imperialisti e curialisti , non vede altra possibile fonte all ' autorità politica che la sorgente stessa d ' ogni realtà , ossia la volontà trascendente di Dio , tumultua nel fervore d ' una vita nuova pullulante dallo sviluppo spontaneo delle reali forze economico ­ sociali la storia del Comune una storia che Dante non intende . Ma il Comune stesso non supera i limiti del Medio Evo , e non sa ancora concepire Stato o una qualunque forza politica , che sia la manifestazione e l ' effetto dell ' attività individuale . Al di sopra dell ' individuo è il popolo che si difende contro i signori del contado ; al di sopra del cittadino la corporazione , in cui l ' individuo si spoglia del suo volere particolare per essere assorbito in un interesse di classe , che , nel suo valore meramente economico , è ancora al di qua della realtà propriamente politica . Quando , per vincere l ' antagonismo delle classi e fondare l ' unità dello Stato nella coesione degl ' interessi discordi , dal Comune sorge la Signoria , il Medio Evo tramonta , e si fa innanzi nella piena luce della storia la potenza dell ' individuo , come spirito che non presuppone la legge , ma la crea . Giustamente è stato detto che la Signoria , come sforzo personale per comporre armonicamente con la forza del proprio volere gli elementi di uno Stato in potenza organica corrispondente a un disegno , è trattata da quelle forti personalità che campeggiano in Italia dal secolo di Dante a quello di Machiavelli , come un ' opera d ' arte . E la caratteristica è più profonda che non si sia pensato . Giacché veramente tutta la politica italiana che mette capo praticamente a Cesare Borgia , autore del maggior capolavoro di quell ' arte di fare lo Stato , e scientificamente a Niccolò Machiavelli , autore del ritratto ideale più coerente , e come tale , più vero d ' un principe capace di creare una tale opera d ' arte , è una politica che si può definire estetica nel senso stretto di questa parola ; come estetico è , in generale , il concetto della realtà umana che l ' Umanesimo afferma contro il naturalismo medievale . E soltanto da questo punto di vista è agevole intendere perché la civiltà italiana del Rinascimento rifulse di luce si viva in tutta Europa , mentre l ' Italia soggiaceva alla prepotenza straniera , e s ' avviava rapidamente a quel decadimento , con cui pagò l ' alto onore d ' aver dato così potente impulso a tutta la civiltà moderna . V Ma bisogna , prima di tutto , rendersi conto di quel che sia propriamente l ' atteggiamento estetico dello spirito . L ' arte non è un elemento , ma una forma , o un momento , della vita spirituale . E come forma , non coesiste con altre possibili forme , ma investe totalmente la vita dello spirito , in guisa da imprimere il suo sigillo alla personalità intera dell ' uomo . Il quale , se è artista , raccoglie e risolve nella sua arte tutti i suoi sentimenti e le sue idee , e il suo concetto del passato e il disegno del suo avvenire , quale egli lo concepisce , vagheggia e promuove . La sua scienza o la sua filosofia diventa materia da fondere nel fuoco della sua fantasia ; tutta la sua vita interiore confluisce e sbocca nella sua arte , che dà la nota fondamentale e il tono al suo carattere . Onde accade che , anche quando non si propone precisamente di compiere un lavoro d ' arte , il suo carattere estetico agisce egualmente e informa di sé il suo pensiero e la sua volontà . poiché non è da credere che l ' artista come tale sia un semplice contemplatore inerte di sogni che non hanno realtà di sorta . Già non ci sono mai sogni , che siano così fuori d ' ogni realtà , come volgarmente si crede . Anche il sogno ha , a suo modo , realtà in quella sola realtà che l ' uomo realizzi , e in cui l ' uomo viva : la realtà spirituale della sua stessa persona . E non v ' è situazione spirituale , in cui l ' uomo si limiti alla parte di semplice spettatore ; poiché non è possibile mai contemplare altro che l ' opera da noi stessi instaurata col vigore della nostra interna attività lavorante sempre alla costruzione del proprio mondo . L ' artista , dunque , canti o combatta per dare corpo , ossia una più piena e viva e sana realtà , al mondo del suo sogno , in ogni caso opera ; e però artista può essere , ed è , anche in quella vita pratica che l ' uomo medio , da cui l ' artista si distingue per il peculiar rilievo delle sue attitudini estetiche , l ' uomo cioè che ha coscienza di una più complessa vita che non sia quella , entro alla quale l ' animo dell ' artista tende a ritirarsi e quasi a chiudersi , e insieme con quest ' uomo medio il filosofo contrappongono al sogno del poeta . Il filosofo , insieme con l ' uomo che senza una concezione sistematica della realtà vede e sente la differenza tra la vita qual ' è e la vita idealizzata dall ' arte , ha l ' occhio a una realtà che differisce da quella dell ' artista perché la contiene ; a quello stesso modo che la realtà della veglia contiene in sé quella del sogno . La contiene , perché l ' artista non conosce se non ciò che Amore o altro dio gli detta dentro : conosce cioè solo quel tanto della vita , che egli sente immediatamente vibrare nell ' intimo dell ' animo suo , e che si dice il suo sentimento , ed è propriamente il momento individuale o soggettivo della vita dello spirito : il momento dell ' astratta individualità e soggettività , che si oppone all ' universalità del mondo oggettivamente pensato . Il filosofo , invece , guarda a questo termine obbiettivo , verso il quale necessariamente gravita il soggetto , e pel quale l ' individuo si fa universale , e la libertà si determina nella legge ; e nell ' universale e nella legge si spiega la storia , che è la positività attuale dell ' individuo e della libertà . Il filosofo pertanto riconosce bensì che la realtà è spirito , e che spirito è libertà e individualità : ma questo spirito concepisce come storia . Ond ' egli , cioè lo stesso spirito , realizzando la propria individualità , la vien determinando in un pensiero che è logica , scienza , catena o norma inderogabile del pensare ; e realizzando insieme la sua libertà , la attua come legge che è realtà ferrea , da cui l ' uomo non si può staccare e ritrarre senza condannarsi all ' arbitrario vano conato di vivere fuor della vita , e quasi cercare se stesso fuor di se stesso ( di quel se stesso , che è storia , e si dica natura , società , mondo , o come altrimenti si denomini ) . Il filosofo tien conto di quel momento religioso dello spirito , che l ' artista si lascia sfuggire . Non che l ' artista riesca effettivamente a chiudersi dentro al suo astratto momento individualistico . Ciò non è possibile , appunto perché vivere spiritualmente è uscire da questo momento , e universalizzarsi , pensare , liberarsi dall ' immediatezza della stessa libertà . E poiché ciò non è possibile , l ' artista filosofeggia anche lui , a suo modo , e non attribuisce mero valore soggettivo e astrattamente individuale ai suoi fantasmi ; anzi li tratta con quello stesso spirito religioso con cui l ' uomo si volge all ' oggetto riconosciuto come tale , alla Realtà che si ritrova innanzi come trascendente il potere della sua finita personalità . Ma l ' artista , non conoscendo altra soggettività che quella immediata , né altro individuo che quello astratto , e non cogliendo la storicità del soggetto e dell ' individuo , onde , attraverso la sua mediazione oggettiva , il soggetto è tanto più soggetto quanto più si oggettiva , e tanto più potente è l ' individualità dell ' individuo quanto più essa si universalizza , non s ' affisa se non in un ' oggettività anch ' essa immediata , avulsa perciò dalla realtà storica , che è la realtà del filosofo . E perciò egli è artista . Si estrania , si può dire usando il linguaggio comune , si sequestra dal mondo , e si fa , sì , anch ' egli un mondo , in cui vive , ma un mondo suo , tutto suo , chiuso nella sua fantasia . La quale non è altro che il suo pensiero , in questa posizione astrattamente individuale o immediata . Ecco che l ' artista , perduto il contatto col mondo che limita la sua libertà , assorto egli medesimo nel suo mondo , vi si sente in possesso di una libertà infinita , in cui può celebrare senza ostacoli , senza dolori , anzi con la gioia del creatore , la propria natura : esser lui , dominatore irresistibile , perché solo , e sottratto , nella sua infinita solitudine , alla possibilità d ' ogni resistenza e contrasto . In verità , la libertà dell ' artista non è maggiore di quella del pensatore , poiché effettivamente egli stesso non fa altro che pensare . Non è maggiore , se alla condizione del pensatore , da cui l ' artista ama distinguersi , si guarda dal punto di vista dello stesso pensatore che , riconoscendo l ' oggetto , ma come l ' oggetto che è suo , ossia la stessa realtà piena e concreta del suo sé , non sente limite di sorta intorno alla sua libera potenza . Ma l ' artista che non riconosce quest ' intimità dell ' oggetto storicamente determinato , e vede perciò nella realtà dello spirito religioso e della filosofia una massiccia barriera destinata a fiaccare la forza spirituale dell ' individuo , ritraendosi nel suo mondo non sa d ' altra possibile libertà oltre quella che egli quivi si gode . E in verità , di contro a quella obiettiva realtà , ove storicamente essa siasi configurata in forma di Realtà trascendente , e la filosofia siasi ridotta a concepirla e a presentarla come toto caelo opposta e remota dal naturale sviluppo dell ' individuo nella spontanea affermazione ch ' egli fa di sé , finché non siasi trasformato questo concetto della Realtà , la vita dello spirito non ha rifugio , dove possa ritrovare la propria libertà , all ' infuori dell ' arte . VI Tali considerazioni , se il lettore ha avuto la pazienza di , seguirci , ci spiegano come in certi momenti storici , al modo stesso che in certe situazioni particolari degl ' individui , anche la filosofia sia arte , e l ' arte assuma il valore che è proprio della filosofia . Ci spiegano perché allora gli artisti riescono a condurre la più efficace polemica contro i sistemi filosofici , e determinano la crisi di una concezione speculativa della mondo . Ci spiegano perché chi voglia intendere come mai dalla scolastica del sec . XIII si passi al naturalismo del Rinascimento , e quindi all ' empirismo e al razionalismo con cui s ' inizia l ' età moderna , debba guardare all ' Umanesimo della seconda metà del Trecento e del secolo seguente . Il Petrarca , Leonardo Bruni , lo stesso Valla , e l ' Alberti , e Leonardo , e il Machiavelli , messi sullo stesso piano e accanto a Tommaso d ' Aquino , come filosofi , non possono fare se non una magra figura . Nella polemica che il Petrarca , il padre dell ' Umanesimo , conduce instancabilmente contro gli averroisti e i dialettici , ossia gli occamisti , si sente il letterato , che non avevano poi tutti i torti quelle male lingue dei naturalisti veneti a trattare da ignorante . Eppure chi miri allo sviluppo della filosofia e alle ragioni che resero possibile nella seconda metà del Quattrocento la filosofia del Ficino , e poco stante quella di Leone Ebreo , e poi l ' ardita negazione , di così alto valore speculativo , di Pomponazzi , e poi la nuova intuizione di Telesio , di Bruno e Campanella , senza di cui , incontro alla scolastica , che mai non scomparve dalle scuole , non sarebbe mai sorta la filosofia moderna , non può non riconoscere un alto significato , anche nella storia della filosofia , al poeta di Laura , e metterlo nel progresso dello spirito umano al di sopra , non pure di quegli spiriti forti che erano gli averroisti da lui canzonati nel De sui ipsius et multorum ignorantia , ma della stessa aquila elle Scuole , il grande Tommaso . Oltre , insomma , la filosofia dei filosofi c ' è la filosofia dei non filosofi . I quali non sono filosofi di professione ; e non sono filosofi perché non sono in grado di istituire una critica dei sistemi del loro tempo che sia all ' altezza degli stessi sistemi ; e non intendono neppure tutto il linguaggio dei filosofi di professioni Ma hanno un motivo di non volerne sapere di questo linguaggio ; e questo loro motivo ha già un valore filosofico , è un atteggiamento critico . Così la posizione del Petrarca ha un ' importanza storica di prim ' ordine : del Petrarca ispiratore e maestro della scuola umanistica fiorentina dei giovani che stanno intorno al Salutati , e che promoveranno con l ' esempio e l ' insegnamento lo slancio dell ' Umanesimo rinnovatore di tutta la cultura e dello spirito italiano del Quattrocento . Si volgano essi , sulle tracce dello stesso Petrarca , a Platone , che ardentemente si brama conoscere e volgarizzare per farne un controaltare all ' Aristotele degli scolastici e della tradizione , o si volgano a Lucrezio , che si discopre e mette in circolazione e si imita ; vagheggino una prosa classica eloquente come quella di Cicerone , o arguta piuttosto come quella di Quintiliano ; e gareggino comunque a studiare e illustrare gli antichi scrittori di Grecia e di Roma che il Medio Evo aveva dimenticati o non conosciuti da vicino ; lo spirito che li anima è uno : contrapporre una scienza nuova a quella che s ' era formata nelle scuole medievali . E della quale non era possibile disfarsi senza sostituirvi una scienza superiore , senza scoprire e additare un nuovo mondo , che la dottrina tradizionale non aveva giudicato , poiché l ' aveva ignorato : un mondo libero , aperto a una vita nuova dello spirito , e in cui questo potesse avanzare con la gioia di chi scopre , e non ha legami da rispettare . Il mondo nuovo non è , ben inteso , l ' antico , che era più vecchio del medievale : non è il classicismo pagano e precristiano , la cui restaurazione sarebbe stato regresso e non progresso . È l ' antico , ma disseppellito ; è questa nuova opera , quest ' entusiasmo di indagine e di scoperta , questa nuova cultura che si suscita dai vecchi codici , creando una filologia che i dottori delle scuole invano avevano desiderata ( essi che nel Dugento , per leggere i loro testi aristotelici , avevan dovuto ricorrere all ' aiuto di ignoranti frati non ignari di greco ) ; e nella filologia , e per essa , una conoscenza nuova e più vasta , che mai non si fosse posseduta , dell ' antico , dell ' antica arte e dell ' antico pensiero di quel pensiero che , a definirlo quale fu , in Platone e nello stesso Aristotele , studiati direttamente nel testo , tradotti e commentati col sussidio degli antichi interpreti , non costringe più i nuovi studiosi al paragone degl ' insegnamenti antichi coi dommi cristiani , e non richiede lo studio di quella grave e soffocante teologia , in cui s ' era irretita la scienza degli ultimi secoli . Permette insomma a questi studiosi di moversi liberamente nello sconfinato campo di un ' indagine scevra d ' ogni preoccupazione estrinseca o pratica . L ' umanista , distaccandosi dallo spirito di quella che per : lui diviene età di mezzo , limita questa età e la chiude , e celebra la rivendicazione dello spirito umano da quel concetto del trascendente , in cui la stessa filosofia cristiana era caduta : celebra la libertà del filosofare , a cui lo spirito non vorrà mai più rinunziare ; e che sorge col Valla come un modo di quella libertà generale dello spirito che riafferma , come può , immediatamente , il proprio valore di fronte alla scienza tradizionale , e al suo principio trascendente . Si apparta da quella scienza , e vive nell ' antico che ricrea nella sua intelligenza , nel suo mondo , tanto diverso da quello in cui pure i suoi coetanei vivono , e così remoto dalla realtà storica , e dal suo sapere assodato , dal suo domma e dalla sua legge , che egli può spaziarvi sicuro di non incontrarvi giammai ostacoli e limiti . Quest ' affermazione di sé come realtà spirituale , individualità e libertà , ancorché astratta , è una filosofia , in quanto la filosofia non è altro che l ' affermazione della realtà universale ; e l ' umanista , raccogliendosi e concentrandosi nel suo astratto mondo , non conosce altra realtà fuori di questo . Quella vita , in cui pur gli tocca praticamente di vivere , ha perduto ogni valore a ' suoi occhi ; e , vi si conformi materialmente o ribelli , il suo spirito non è lì , ma in quel mondo che si agita nel suo cervello . Se ordisce una congiura politica , come quella di Pomponio Leto , essa non sarà propriamente un ' azione politica , perché non s ' inserisce nella realtà storica contemporanea , ma una costruzione letteraria dell ' uomo che s ' è fatto nell ' animo suo contemporaneo degli antichi Romani . La sua stessa religione non lo fa uscire da quel mondo della sua immaginazione , in cui le memorie della felice antichità lo trasportano e ritengono e Pier Paolo Boscoli , che ha cospirato contro i Medici per ardore dell ' antica libertà , quando il suo sogno s ' infrange contro la muraglia delle cose effettuali e gli tocca di morire e , sul punto estremo , è confortato da Luca della Robbia a riabbracciarsi alla fede del suo tempo e de ' suoi , a quella religione da cui lo aveva distolto l ' ammirazione delle cose classiche , egli sente l ' abisso che separa il suo cuore d ' artista dal mondo della storia : « Deh , Luca , cavatemi dalla testa Bruto , acciò ch ' io faccia questo passo interamente cristiano ! » . VII Paganesimo ? No . L ' Umanesimo , in quanto tale , non è pagano , e non è neppur cristiano nel senso del Pastor . È lo spirito che può parere scettico , ma ha la sua fede . Può parere indifferente , ma indifferente non è se non verso le credenze , le speranze e i timori della religione professata attorno ad esso , eredità del passato . È stato anche detto deista ; e certamente il deismo di Campanella è preparato dalla speculazione sincretistica , a cui i dotti del Quattro e Cinquecento si abbandonano , pareggiando in una comune considerazione tutte le fedi e tutte le filosofie , alle quali volgesi con insaziabile curiosità intellettuale , piuttosto che con spirito di vera e propria religiosità . Ma l ' Umanesimo effettivamente riprende , come può , il problema cristiano , che la filosofia medievale aveva piuttosto soppresso che risoluto ; torna alla primitiva ispirazione cristiana della realtà da intendere come spirito ; e gettando la base della concezione a cui si lavorerà in tutta la storia moderna della libertà , senza di cui non è spirito , sottrae , non potendo altro , l ' uomo , nella sua stretta individualità , al giogo di quella realtà che s ' è rappresentata come trascendente , e lo lancia nel libero mondo dell ' arte , in cui cotesta realtà non sarà mai per incontrarsi . Di qui l ' alto suo concetto dell ' uomo , della stia dignità , della sua potenza , che è una celebrazione nuova per il suo accento storico e il suo significato nella storia del pensiero moderno ; e rappresenta senza dubbio un passo innanzi di grandissima importanza verso quella interpretazione spiritualistica del mondo , teorica e pratica , che è la mira del Cristianesimo . sicché , infine , questi umanisti increduli e derisori di frati e cinicamente pronti a tutti gli accomodamenti con la Chiesa , hanno più sostanza di fede dei loro avversari , e sono , a dir vero , più profondamente e progressivamente cristiani . Con l ' Umanesimo si comincia in Italia a staccare l ' uomo dalla vita , e a trattare la vita , con tutto il suo contenuto ( religione , morale , politica ) , con quella indifferenza che è propria dello spirito estetico . Le grandi passioni , che avevano legato gli uomini medievali alla loro fede temprandone la fibra nelle lotte religiose e sociali o civili , decadono . Savonarola a Firenze sull ' estremo Quattrocento è vox clamantis in deserto : e il suo rogo e le triste parole dispregiative che getta sulla sua memoria il maggiore pensatore del suo tempo , mistico al par di lui , e già di lui caldo ammiratore , Marsilio Ficino , sono la dimostrazione evidente dell ' aperta e stridente opposizione tra il pensiero del Frate ferrarese e quello degli umanisti . I quali celebrano la potenza dell ' uomo , ma non dell ' uomo che nella sua individualità concentra e risolve la storia , sì dell ' uomo che si pone immediatamente di fronte alla storia , quindi anche alla così detta natura , e si fa centro di un mondo che si deve e si può tutto ricostruire . Così accade che , con questa indomita e ingenua fede nel potere dell ' uomo come astratto individuo , anche la politica diventa un ' arte estetica ; e il problema dello Stato si configura come problema dell ' individuo , del principe , che crea o mantiene lo Stato . Il quale si concepisce soltanto come creazione di una forte individualità , mediante la virtù , unità di forza e di talento : virtù , che prescinde da ogni limite della libertà individuale e da ogni legge , quasi vera e propria forza naturale , potenziata ma non trasformata dal pensiero , onde si arma : senza scrupoli , senza fede ; o meglio con lo scrupolo solo della propria coerenza , e con la sola fede nel proprio destino . È il problema degli umanisti della politica , capitani di ventura che si fanno lo Stato , o pensatori che lo costruiscono idealmente . Della virtù a cui si appellano , essi sentono di quando in quando l ' astrattezza ; e perciò parlano di « fortuna » , che è l ' imprevisto a cui la virtù non provvede : l ' ignoto , che si sospetta di là dalla sfera luminosa in cui l ' individuo si muove con l ' intelligenza e con l ' azione ; e che lo spirito dell ' Umanesimo spinge Machiavelli come l ' Alberti a considerare , con una fede che non può diventare concetto , destinata tuttavia ad esser vinta e soggiogata dal potere dell ' uomo . VIII Il dominio , in cui lo spirito dell ' Umanesimo , dato il suo limite , poteva trionfare , era uno solo : quello a cui lo portava il suo carattere specifico , l ' arte . E sulle rovine delle libertà comunali , nella prostrazione della robusta religiosità medievale , tra la spensieratezza e decadenza del costume individualistico , l ' Italia grandeggia e rifulge faro luminoso in tutta Europa per i suoi poeti e per i suoi artisti , letti e ammirati e cercati per tutto , sì che il nome d ' Italia e la sua lingua sono familiari e cari a tutti gli uomini colti , ancorché alla stima dell ' ingegno non s ' accompagni di là dalle Alpi quella del nostro carattere ; e si formi quasi per tutto la convinzione che gli Italiani siano meraviglia del mondo per l ' intelligenza , ma siano anche « vituperio del mondo » , al dire del Machiavelli , per la loro incapacità di battersi e far rispettare la loro terra , la loro vita , i loro interessi . Per chi voglia conoscere la prima radice della fiacchezza italiana , ecco gli ammonimenti dello stesso Machiavelli : « Credevano i nostri principi italiani , prima che egli assaggiassero i colpi delle oltramontane guerre , che ad un principe bastasse sapere negli scrittoi pensare una acuta risposta , scrivere una bella lettera , mostrare ne ' detti e nelle parole arguzia e prontezza , sapere tessere una fraude , ornarsi di gemme e d ' oro , dormire e mangiare con maggiore splendore che gli altri , tenere assai lascivie intorno , governarsi co ' sudditi avaramente e superbamente , marcirsi nell ' ozio , dare i gradi della milizia per grazia , disprezzare se alcuno avesse loro dimostro alcuna lodevole via , volere che le parole loro fussero responsi di oracoli ; né si accorgevano , i meschini , che si preparavano ad essere preda di qualunque gli assaltava . Di qui nacquero poi nel 1494 i grandi spaventi , le subite fughe e le miracolose perdite ; e così tre potentissimi Stati che erano in Italia sono stati più volte saccheggiati e guasti . Ma quello che è peggio , è che quelli che ci restano stanno nel medesimo errore , e vivono nel medesimo disordine » Altrove il Machiavelli dà un ' altra spiegazione della fiacchezza militare italiana ; ma quest ' altra spiegazione concorre nello stesso ordine di considerazioni a cui si riferisce il carattere estetico della cultura italiana del Rinascimento . Dice : « E pare sempre che in Italia la virtù militare sia spenta .... Qui è virtù grande nelle membra , quando la non mancassi ne ' capi . Specchiatevi ne ' duelli e ne ' congressi de ' pochi , quanto li Italiani sieno superiori con le forze , con la destrezza , con lo ingegno . Ma , come si viene alli eserciti , non compariscono . E tutto procede dalla debolezza de ' capi ; perché quelli che sanno non sono obediti , et a ciascuno pare di sapere , non ci sendo fino a qui alcuno che si sia saputo rilevare e per virtù e per fortuna che li altri cedino . Di qui nasce che , in tanto tempo , in tante guerre fatte ne ' passati venti anni , quando elli è stato uno esercito tutto italiano , sempre ha fatto mala pruova . Di che è testimone el Taro ; di poi Alessandria , Capua , Genova , Vailà , Bologna , Mestri » . Uno de ' più profondi conoscitori della storia italiana e de ' più seri pensatori che vi abbiano meditato su , Gino Capponi , ricercando le cause della vittoria riportata nel Cinquecento dagli Spagnuoli sui Francesi , osservava che « innanzi Condé si può dire che i francesi fossero migliori soldati che capitani . Conducevano la guerra sempre a modo dei tempi feudali , disdegnavano le nuove arti dagli Spagnuoli insegnate , e che non bene si confacevano alla generosità cavalleresca ch ' è propria della nazione .... L ' astuzia fredda , la costanza e il durare , la pazienza d ' aspettare l ' occasione e fare consumare da se stesse le forze troppo avventate , queste arti diedero la vittoria agli spagnuoli . Li Italiani , maestri invecchiati di politica , si tenevano sapienti in quelle arti , ed essi ne tenevano in casa la viva scuola ; ma quella scuola tendeva a perdere , non a salvare l ' Italia . Non la politica antiveggenza , ma le virtù popolari e il vigore degli ingegni illustrarono le città libere , e di queste era passato il tempo ; e tutte le grandezze provinciali essendo oggimai compresse o in limite angusto confinate , altri e più vasti concetti si chiedevano alla comune salute : l ' antica maestria fatta impotente era ludibrio allo straniero . Allora li Italiani si dettero a professarla ne ' libri , e il successo , convien dirlo , non faceva onore all ' insegnamento » . Si tratta sempre di quell ' individualismo , che è l ' atteggiamento proprio dell ' arte . Il rapporto tra la cultura artistica e la debolezza militare degli Italiani divenne nel Cinquecento proverbiale . Baldassarre Castiglione , per esempio , diceva : « Non vorrei già che qualche avversario mi adducesse gli effetti contrari , ... allegandomi , gli Italiani col lor saper lettere aver mostrato poco valor nell ' arme da un tempo in qua . Il che pur troppo è più che vero ; ma certo ben si porìa dir , la colpa d ' alcuni pochi aver dato , oltre al grave danno , perpetuo biasmo a tutti gli altri ; e la vera causa delle nostre ruine e della virtù prostrata , se non morta , negli animi nostri , esser da quelli proceduta : ma assai più a noi saria vergognoso il pubblicarla , che a ' Franzesi il non saper lettere ,...» . E il Montaigne : « L ' estude des sciences amollit et effemine les courages plus qu ' il ne les fermit et aguerrit .... Je trouve Roma plus vaillante avant qu ' elle feust sgavante . Les belliqueuses nations , en nous jours , sont les plus grossières et ignorantes .... Quand les Gots ravagèrent la Grece , ce qui sauva toutes les librairies d ' estre passées au feu , ce feu un d ' entre eulx qui sema cette opinion , qu ' il falloit laisser ce meuble entier aux ennemis , propre à les destourner de l ' exercice militaire et s ' amuser à des occupations sedentaires et oysifves . Quand nostre roy Charles huictiesme , quasi sans tirer l ' espée du fourreau , se veit maistre du royaume de Naples et d ' un bonne partie de la Toscane , les seigneurs de sa suitte attribuèrent cette inesperée facilité de conqueste , à ce que les princes et la noblesse d ' Italie s ' amusoient plus à se rendre ingenieux et savants , que vigoreux et guerriers » . Secondo il Montaigne , gli stessi Italiani scherzavano intorno a questa riputazione d ' imbelli , che s ' erano fatti in Europa . Racconta infatti : « Un seigneur italien tenoit une fois ce propos en ma presence , au desadvantage de sa nation : Que la mobtilité des Italiens et la vivacité de leurs conceptions estoit si grande , qu ' ils preveoyvoint les dangiers et accidents qui leur pouvoient advenir , de si loing , qu ' il ne falloit pas trouver estrangé si on les veoyoit souvent à la guerre prouveoir à leur seureté , voire avant que d ' avoir recogneu le peril ; que nous et les Espagnols , qui n ' estions pas si fins , allions plus oultre , et qui nous falloit faire veoir à l ' oeil et toucher à la main le dangier , avant que de nous en effroyer » . E già in Italia uno dei più dotti umanisti del secolo , Lilio Gregorio Giraldi ( 1479­1552 ) , traeva argomento anche dallo scetticismo del suo amico e protettore Giovan Francesco Pico ( l ' autore dell ' Examen vattitatis doctrinae gentiunt et veritatis Christianae disciplittae ) per teorizzare la tesi della decadenza dei popoli come effetto delle lettere e delle arti , nel suo Progymnasma adversus literas et literatos ( pubbl . nel 1540 ) . Dove si incontrano p . es . queste curiose osservazioni , degne di un Rousseau : « Res populi Romani , ut ab iis incipiamus , qui fere toto orbi terrarum gloriose imperitarunt , tam diu fioruere et auctae sunt , quousque philosophos , poetas , oratores , huiusmodique hominum reliquum genus literarum umbras et otium sectantium pepulere , factis etiam et promulgatis contra eos senatusconsultis . Ubi vero non solum in partem urbis recepti ac ipsa urbe caeterisque praemiis donati , sed et iis quoque iuventus Romana instituenda ac eorum artibus imbuenda est tradita , tum , cum non multo post Senatu et Curia admissi versipelles ipsi et inconstantes fuissent , continuo factiones et partes urbem invasere ; paulatimque primo Res ipsa publica ab optimatibus et principibus urbis ad unius dominationem et potestatem devenit , mox penitus ad externos duces et imperatores , ac demum tandem funditus extincta est , ita ut nunc , ex multo tempore , [ non ] nisi nomen populi Romani restet .... Ad haec autem usque tempora , ut audio , Scythae imperium tenent suum , quoniam ab ipso primordio nunquam istos literarum sapientes in consortium admiserunt . Possem et cum iis multas alias barbaras nationes hoc loco in medium afferre , quae eundem tenorem ac institutum servaverunt et adhuc servant , quibus [ quae ? ] contra literas ad scribendum tantum epistolas et in deorum suorum quibusdam laudibus in usu habent : quam rem nec nos improbamus . Venetorum rempublicam intelligo tam diu floruisse , quo mercibus comparandis et convehendis , necnon versuram faciendo navigationique quam literis magis operam dederunt opes aut facultates auxisse , urbem locupletasse , ditionem longe lateque terra marique protulisse . Ubi literis et literatis locum fecere et in senatu admisere , pene ad nihilum redactam esse nos ipsi vidimus . Illud certe adhuc faciunt , ut non nisi vernaculo et quotidiano sermone in senatu utantur . Vide quoque nationes , quae hoc tempore plurimum rerum et imperio potiuntur , parvi literas et earum professores facere , eorum minimam rationem habere » . IX Gl ' Italiani , per rialzare l ' uomo oppresso sotto la trascendenza antica , avevano dovuto chiudere l ' animo al vecchio mondo , e rifare in sé la fede dell ' uomo in se stesso , mediante l ' intelligenza . Avevano dovuto , per sé e per gli altri , alzare lo stendardo della libertà , aprire e allenare le menti a un concetto immanentistico della realtà ; e s ' erano chiusi perciò nell ' astratto regno del pensiero . Senza questa autolimitazione iniziale , il mondo moderno , che è il vero mondo cristiano , non sarebbe mai nato . All ' Umanesimo ( e al Rinascimento ) italiano si contrappone fuori d ' Italia la Riforma , che in Italia non poté metter radici mai . La Riforma è sì liberazione dell ' individuo dalla tirannia esterna della Chiesa ; è proclamazione anch ' essa dell ' infinito valore dell ' individuo , cui si restituisce il « privato esame » della propria verità religiosa ; ma l ' individuo così posto anche dalla Riforma nella sua immediata e astratta soggettività non è più coraggiosamente , virilmente , come dall ' Umanesimo italiano , abbandonato alle sue forze , al suo destino , alla necessità di farsi egli il mondo che non può valere se non è il mondo che egli s ' è fatto ; anzi viene misticamente gittato in braccio a una Realtà trascendente . E in un nuovo fervore dell ' intuizione agostiniana della grazia che sola può dare l ' umanità all ' uomo , la Riforma lo inchioda a un sentimento profondo di sfiducia nelle proprie forze , con la dottrina de servo arbitrio . Nulla più contrario all ' individualismo italiano ; e nulla può meglio spiegare perché gli umanisti , padri del futuro razionalismo , siano stati più ostili alla Protesta che alla vecchia Chiesa , che essi passivamente accettavano . X L ' Umanesimo divenne il Naturalismo del Rinascimento , quando si passò non già dal concetto della realtà come realtà umana al concetto di una realtà diversa , concepita come natura : ma quando lo stesso concetto dell ' uomo si trasformò in un concetto più profondo dello stesso uomo ; e per vincere l ' antitesi della virtù e della fortuna , che era pure l ' antitesi del platonismo di Ficino e dell ' aristotelismo di Pomponazzi , moventisi entrambi intorno al problema dell ' immortalità dell ' anima , l ' uno per affermarla e l ' altro per negarla , si slargò il concetto della « virtù » , immedesimando uomo e natura . sicché dei due termini se ne fece un solo ; il quale fu bensì tutto natura , ma natura spirituale ed umana , che non ha niente che vedere con la natura dei Presocratici . E come prima l ' uomo nella sua astratta immediatezza , per l ' Umanesimo , era stato il tutto , la realtà universale , così la filosofia del Rinascimento si sforzò di concepire immanentisticamente la natura , come un tutto chiuso , intelligibile iuxta propria principia , La natura di Telesio , di Bruno e di Campanella non è né avversa all ' uomo , come la natura del pessimismo cristiano o leopardiano , né inferiore all ' uomo , come quella del materialista . È una natura che ha in sé non solo il moto e la vita , ma il senso , il pensiero e la virtù . Il « calore » telesiano , attraverso lo sviluppo di tutta la natura , è principio di tutte le forme della vita , - - fino alle più alte manifestazioni umane - - a eccezione di quelle , onde l ' uomo partecipa a una vita soprannaturale ; e nell ' universale catena degli esseri naturali l ' uomo si ricongiunge agli esseri inferiori non per abbassarsi al loro livello , anzi per innalzare gli altri esseri tutti fino a quella natura che egli scopre in se stesso . Onde Bruno , sollevandosi al concetto dell ' infinito , non la natura materiale , figurata e figurabile , che si spande nello spazio , intende come infinita , bensì quella natura che è Uno , indivisibile e immoltiplicabile , tutta in tutto , identità di contrari , di massimo e di minimo , e che si sorprende infatti nel minimo , effettivamente semplice e impartibile , dentro al pensiero dell ' uomo , quando la mente si profonda in se stessa , come dice il Bruno , come suo centro e monade . E Campanella approfondisce anche più questo concetto della interiorità propria della natura , che è perciò tutta posse , - - e quindi essere , - - ma essendo nosse e vello ; il cui essere è notitia sui : ma non semplice conoscenza passiva , anzi potenza effettiva e realizzatrice . Cioè appunto spirito . Non l ' uomo dunque si è fatto natura ; ma la natura , nel pensiero dell ' umanista esaltatore della divinità dell ' uomo , è divenuta essa uomo . La natura è divenuta uomo , e l ' uomo così è cresciuto ai suoi propri occhi ; e celebra con maggior profondità di sentimento e sicurezza di coscienza la propria infinità e divinità . È l ' eroico furore di Bruno . Nella sua stessa infinità per altro l ' uomo del Rinascimento è lo stesso uomo dell ' umanista : individualità ancora astratta e immediata , quindi senza storia e senza legge . Il filosofo , come Bruno , accetta la legge - - che è Stato ed è religione - - come una necessità pratica ; ma non l ' incontra nel suo mondo , nell ' uomo che è la stessa infinita natura . Quando costruisce , come Campanella , il suo Stato , cade nell ' utopia , che è Stato concepito esteticamente , da un punto di vista astratto ; e la stessa religione gli si trasforma in religione naturale ; che , per essere naturale , non è più religione . Qual meraviglia se Bruno finisce sul rogo ? È la conclusione necessaria della sua filosofia : concetto di un infinito , fuori del quale rimane la storia , in cui dovrebbe pur vivere l ' uomo che s ' affisa in tale infinito . E qual meraviglia che Campanella , con quella fede ardente nella sua forte individualità e nell ' audace disegno della sua Città del sole , dovesse cadere sotto la potenza degli Spagnuoli , e a stento , con l ' astuzia e la forza d ' animo , scampare dalla forca , ma per trascinare di prigione in prigione per ventisett ' anni la sua vita di tumultuosa passione e di dolorante pensiero ? Qual meraviglia se a Roma poi avranno in sospetto il suo zelo religioso e il suo « trionfato ateismo » , e costringeranno lui , già vecchio e infermo , a cambiare cielo e andare ( 1634 ) a morire in Francia , dove anni prima era stato suppliziato il Vanini ? Ma in Campanella il Rinascimento , come vedremo , comincia ad essere superato ; e in Francia il pensiero di Campanella , come anche quello di Vanini , troverà continuatori anche più che in Italia ; e la filosofia italiana del Rinascimento darà l ' abbrivo alla moderna filosofia europea . III IL CONCETTO DELL ' UOMO NEL RINASCIMENTO « Basterebbe questa sola conquista per imporci un obbligo di eterna riconoscenza verso gli uomini del Rinascimento » . BURCKHARDT , Civ . Rinasc . ital . , tr . it . , II , 95 . I La conquista , che il Burckhardt ascrive a grande merito degli uomini del nostro Rinascimento , è quella che essi fecero del concetto intorno al valore proprio dell ' uomo e alla sua superiorità sulla natura . Noto abbastanza è come tale concetto si sia fatto strada a grado a grado nella coscienza degli uomini di quell ' età ; ma finora non è stata studiata la forma filosofica che assunse ben prestò , e con cui vigorosamente si spiegò nelle menti dei maggiori pensatori . Il problema filosofico concerne , da una parte , la posizione dell ' uomo di fronte a Dio inteso come principio trascendente della realtà ; e riceve nel Rinascimento una soluzione naturalistica , poiché si assegna alla vita umana un fine immanente . Ma , dall ' altra , riguarda la posizione dell ' uomo di fronte alla natura , con la quale egli era dalla filosofia antica mescolato e confuso ; e riceve per questo rispetto una soluzione opposta alla prima ; una soluzione , che rivendica l ' autonomia dell ' uomo di fronte alla natura inferiore , ricollegandolo alla divinità trascendente . Onde per un verso si nega , ma per l ' altro si è condotti a riaffermare l ' immortalità .. E si hanno due diversi e talvolta opposti indirizzi di filosofare ; i quali concorrono nella speculazione di Tommaso Campanella , che ben si può considerare come il frutto più maturo del Rinascimento italiano . Uno dei più notevoli sonetti del Campanella , innanzi ai quali lo studioso della storia del pensiero si ferma colpito da lampi di intuizioni profonde , è quello segnato col n . 34 della Scelta pubblicata da Tobia Adami nel 1622 , e quindi scritto anteriormente , come io credo , al 1607 . È intitolato : Che la malizia in questa vita e nell ' altra ancora è danno , e che la bontà bea qua e là ; e vuole perciò esprimere il concetto che non occorra una vita oltre mondana per assicurare il premio alla virtù e il castigo alla colpa ; e combattere pertanto implicitamente la vecchia teodicea , che ricava una prova dell ' immortalità dell ' anima dal concetto dell ' assoluta giustizia di Dio . Il sonetto dice : Seco ogni colpa è doglia , e trae la pena nella mente o nel corpo o nella fama : se non repente , a farsi pian pian mena la robba , il sangue , o l ' amicizia grama . Se contra voglia seco ella non pena , vera colpa non fu : e se ' l tormento ama , eh ' è amaro a Cecca e dolce a Maddalena , per far giustizia in sé , virtù si chiama . La coscienza d ' una bontà vera basta a far l ' uom beato ; ed infelice la finta ed ignorante , ancor ch ' altèra . Ciò Simon Piero al mago Simon dice , quando volessim dir che l ' alma pèra , ch ' altre pur vite e sorti a sé predice . Il Campanella è convinto , come risulta dalle stesse poesie e da tutti i suoi scritti , che l ' anima infatti predica a sé un ' altra vita oltre a questa , in cui pare che soffra il giusto e l ' ingiusto goda ; un ' altra vita , in cui le parti s ' invertiranno , come molti filosofi e tutti i teologi dicono . Ma nel suo naturalismo , in cui la natura tutta , compreso l ' uomo , si spiega iuxta Propria Principia , senza ricorso a nulla di trascendente , crede che la giustizia s ' adempia già perfettamente in questa vita , e il castigo sia immanente alla colpa stessa , come il premio alla virtù ; o , come oggi si direbbe , che il valore è nella stessa volontà che lo realizza ; o ancora , come diceva Kant ( che pure continua anche lui a desumere dal concetto della giustizia la fede nell ' immortalità dell ' anima ) , che il bene supremo risieda appunto nella buona volontà . Seco ogni cola è doglia ; e le pene che essa trae con se , naturalmente , nell ' anima e nel corpo , nelle sostanze , nella famiglia , e anche nelle amicizie , sono conseguenze della stessa natura della colpa . La quale s ' accompagna con la coscienza di sé , e quindi col rimorso , col penar seco , E qui s ' arresta il ciclo della colpa . Che se il rimorso genera la contrizione , il tormento dolce alla penitente Maddalena ( « remittuntur ei peccata multa , quoniam dilexit multum » ) : allora , dice il Campanella , non è più colpa , anzi virtù : allora la volontà , quella stessa della colpa , fa giustizia in sé , Che è il ciclo della redenzione . Ché se manca la coscienza del male , il male non c ' è ; ma c ' è la miseria del male , giacché infelice è chi si stimi ignorando che sia bontà vera , come infelice chi finge d ' esser buono : mancando all ' uno e all ' altro quella bontà , nel cui possesso o nella cui coscienza consiste la beatitudine . Concetti , che il Campanella svolge anche nella Philosophia yealis . Dove insiste sulla tesi che « naturalis est punitio culpae » , perché ogni vizio è una violazione delle leggi di natura , ed è punito nelle sue conseguenze dalla stessa natura , che non può esser violata . « In questo modo » , è stato detto « il Campanella precedeva i moderni , e specialmente lo Spencer , benché non trasmodi al pari di costui , mantenendosi egli nei giusti limiti , che riguarda le reazioni naturali come l ' unico mezzo di disciplina morale » . Ma tra lo Spencer e il Campanella c ' è una gran differenza , tutta a vantaggio del filosofo italiano : ché per lo Spencer la reazione della natura è semplice reazione meccanica , alla quale non è necessaria la coscienza del male ; laddove pel Campanella senza dissidio interno non c ' è colpa . Ossia per l ' uno il male è un puro fatto o fenomeno naturale , laddove per l ' altro è sì anche un fatto naturale , poiché si oppone alle leggi della natura , ma si realizza nella volontà , e qui attinge il suo valore e la possibilità del proprio superamento . Se contro voglia seco ella non Pena , vera cola noia fu ! Anche nella teoria della conoscenza il filosofo italiano può parere un puro sensualista , della stessa risma dello Spencer : ma il senso , a cui egli riduce ogni forma del conoscere , non è pura passività , ma , com ' è stato notato , percezione della passività : è perciò intelletto e senso in uno . sicché il suo sensualismo , attentamente considerato , si rivela una forma di idealismo . Il concetto piuttosto dell ' immanente valore della volontà anticipa , senza dubbio , una delle più salde e fondamentali dottrine del kantismo . Ma negli ultimi versi del sonetto è ricondotto dall ' autore a un ' autorità che toglierebbe ad esso ogni importanza storica , facendolo apparire quasi opinione antichissima della stessa Chiesa cristiana , e , secondo il Campanella , dell ' età apostolica , quantunque poi sopraffatta dalla più diffusa e prevalente dottrina , che riconnette la giustizia divina all ' immortalità trascendente . A intendere l ' accenno dei vv . 12­13 giova leggere l ' esposizione che fa del sonetto lo stesso autore in questi termini : « Notabile sonetto per far conoscere che il male punisce l ' uomo da sé subito e che , quando non è vero male , non porta pena contro il volere . E che la coscienza netta può bear l ' uomo . E quantunque l ' alma fosse mortale , è più beato chi vive bene e puramente che gli malfattori . Questa sentenza è di san Piero in san Clemente Romano , dove risponde a Simon Mago , che dicea che con la speranza dell ' altra vita perdiamo la presente . E nell ' ultimo verso prova che sia immortale , perché essa alma ha tali sillogismi efficaci a provarlo ; e trovansi oltre le profezie e religione » . Così , nella seconda canzone della Salmodia meta fisicale , appartenente al periodo delle più dure sofferenze del povero prigioniero chiuso in un ' orribile fossa di Castel Sant ' Elmo , dice a Dio : Io con gli amici pur sempre ti scuso ch ' altro secolo in premio a tuo ' riserbi , e che i malvagi in sé sieno infelici sempre affliggendo gli animi superbi sdegno , ignoranza e sospetto rinchiuso ; e che di lor fortune traditrici traboccan sempre al fine . E nell ' esposizione commenta : « A ' buoni s ' aspetta un ' altra vita in premio . E che di più in questa vita gli tristi sono più puniti in verità , che gli buoni internamente , bench ' e ' non paia ; come pur disse san Piero a Simon mago ecc . » . Nello stesso tempo componeva quel trattato , così caratteristico , contro epicurei e machiavellisti , che diede nel 1607 manoscritto a Gaspare Scioppio , e fu da costui intitolato Atheismus triumphatus : il trattato che contiene tutta la teodicea del Campanella . Quivi nel cap . XVI rispondeva « quaestioni atrocissimae , vexanti mentes hominum , praecipue Epicureos et Machiavellistas » : alla domanda cioè di Geremia e di altri profeti : « Quare via impiorum prosperatur ? » . E la sua prima risposta è quella ortodossa : « Dico hoc contrarium esse ei , quod credunt . Quippe enim hoc certuni est argumèntum , quod homini conveniat alia melior vita , ut bene Athenagora argumentatur , et , post hanc , futura sit recompensatio bonorum et malorum .... Profecto , si tu credis providentiam et amorem Dei erga creaturas , hoc argumentum moraliter convincit quod nimirum altera sit vita » . Dove ognun vede che il Campanella ripete l ' argomento già addotto da tanti , ma non gli attribuisce nessun valore , poiché avverte che esso può creare una convinzione morale in chi già creda nella provvidenza , ma non vale per gli epicurei , che anche questa provvidenza negano . Quindi tutta la forza della sua polemica si restringe alla serie degli argomenti ( ai quali passa subito dopo ) desunti da considerazioni meramente naturali , o meglio naturalistiche . Basti la prima , che è questa : « Insupèr assèro , quod ètiam si haec non crèdis bonum erit operari bonum secundum naturam . Operari enim secundum naturam cuilibet sano iucundum est , dicunt physiologi . Ergo pravi homines operantur malum contra naturam et regulas eius ; ergo semper moesti sunt . Gaudium autem apparens est falsumque , quod subito perditur , sicut gaudium aegroti bibentis aquam contra legerri medici magna cum voluptate ; sed statini affert mortem ; et voluptas falsa fuit . Plus capit voluptatis qui in fame manducat panem caseumque , prout natura statuit , quam qui sine fame vitulum saginatum . Hoc nec Epicurus negat : ergo si famem expectes , non es minor rege in cibo potuque » . Ma più ci interessa qui la conclusione , dove si afferma che « Petrus Apostolus hoc arcanum docuit contra Simonem Magum , quod , etsi alia non superesset vita , conscientia recta in hac beatum facit hominem magis , quam quaecunque fortuna laeta incredulorum . Ecce ergo quia boni sunt beati undequaque . Et quidem qui non statuit vitae probitatem experimento proprio agnoscere , hanc philosophiam unquam agnoscet . Et ego testis sum , qui de omni vivendi modo examen feci . Scio etiam caros mihi puritate conscientiae ac vitae probitate longe magis gaudere , quam quibuscumque deliciis » . La discussione di san Pietro e Simon Mago intorno all ' immortalità dell ' anima , a cui dal Campanella s ' allude ripetutamente , è nelle Pseudo ­ clementine Ricognizioni , scritte , a quel che pare , al principio del sec . III , e che il Campanella poteva aver lette prima dell ' inizio della sua ventisettenne prigionia , e citare a memoria scrivendo le Poesie e l ' Atheismus , E benché egli potesse a ragione vantare una portentosa memoria , questa volta bisogna pur dire che gli sia fallita . Ivi infatti san Pietro dice a Simon Mago che è segno della bontà divina dare il suo sole e la sua pioggia egualmente ai giusti e agl ' ingiusti ; ma aggiunge subito : « Sed hoc videretur iniustum , si bonos malosque aequali sempre sorte censeret , et nisi frugum causa hoc faceret , quibus perfrui aequaliter omnes , qui in hoc mundo nati sunt , conveniret » . Se non che , egli osserva , a quel modo che la pioggia mandata da Dio nutre del pari le biade e il loglio , e poi , al tempo della raccolta , le granaglie vengono conservate , e la paglia e il loglio bruciati , così nel dì del giudizio i giusti entreranno nel regno di Dio e gl ' ingiusti verranno reietti , e allora alla bontà succederà la giustizia di Dio . Per san Pietro non si può negare che « si aequalis permaneret perpetuo malis et bonis , iam hoc non solum bonum non esset , sed et iniustum atque iniquum videretur » , perché non vi sarebbe più differenza di merito dal giusto all ' ingiusto . Al che Simon Mago naturalmente oppone : « Unum est , de quo mihi velim satisfieri , num immortalis sit anima : non enim possum onus subire iustitiae , nisi prius de immortalitate animae sciam , quae utique si immortalis non est , nec praedicationis tuae poterit stare professio » . Ma di ciò non può contentarlo Pietro , che solo dalla giustizia di Dio crede si possa dedurre l ' immortalità dell ' anima ; e poiché Simone insiste nel chiedere che si metta da parte la questione della divina giustizia , che egli non può concedere se prima non gli si provi quella vita immortale in cui essa si compirebbe , Pietro infine gli dichiara apertamente : « Audi . Nonnulli hominum blasphemantes Deum et omnem vitam suam iniustitiae voluptate ducentes , in lectulis suis defuncti sunt consecuti finem vitae inter suos et honorabilem sepulturam ; alii vero , Deum colentes et cum omni iustitia et sobrietate vitam suam in parsimonia conservantes pro iustitiae observantia , in desertis interiere , ita ut ne sepoltura quidem haberentur digni . Ubi est ergo iustitia Dei , si anima immortalis non est , quae vel , si impie egerit , poenas in futuro , vel , si pie ' et iuste , praemia consequatur ? » . Alla quale dichiarazione segue uno stringente dialogo in cui Simone dice : « Hoc utique est quod nos incredulos facit , quia multi bene agentes male pereunt ; et rursum , multi impie agentes longi temporis cum beatitudine vitam finiunt . - - Et Petrus : Hoc ipsum , inquit , quod te ad incredulitatem trahit , nobis certam fidem facit , quia iudicium erit . Etenim cum certum sit Deum iustum esse , necessarium et consequens est , aliud esse seculum , in quo unusquisque pro meritis recipiens iustitiam Dei probet . Quod si nunc omnes homines pro meritis suis reciperent , vere nos fallere videbamur dicentes futurum esse iudicium : et ideo hoc ipsum , quod in praesenti vita non redditur unicuique pro actibus suis , fidem indubitabilem facit scientibus Deum esse iustum , quia iudicium erit . - - Et Simon : Cur ergo mini non persuadetur ? - - Petrus ait : Quia verum prophetam non audisti , dicentem ( Matth . 6 ) : Quaerite primo iustitiam eius , et haec omnia adponentur vobis . - - Et Simon : Indulge , inquit mihi nolenti primo iustitiam quaerere ; antequam sciam an immortalis sit anima . - - Et Petrus : Et tu mihi hoc unum indulge , quod non possim facere aliter quam me Propheta veritatis edocuit . - - Tum Simon : Certum est , inquit , non posse te adserere , quod immortalis sit anima ; et hoc cavillaris , sciens , quod si mortalis probetur , radicitus convellatur religionis istius , quam conaris adserere , tota professio : et ideo laudo quidem prudentiam tuam non tamen probo persuasionem : multis enim persuades suscipere religionem et libidinis subire continentiam sub spe futurorum bonorum , quibus evenit ut neque pruesentibus perfruantur et decipiantur futuris . Simul enim ut mortuis fuerint , etiam anima pariter extinguetur » . La conclusione è quella che doveva essere : contro Simone , principia negantem , Pietro non ha modo di dimostrare né la giustizia divina , né l ' umana immortalità ; e finisce con lo sdegnarsi contro la sfrontatezza dell ' ateo . Nessun accenno , come si vede , all ' ardita tesi immanentistica che il Campanella credeva aver incontrata in quella discussione . Anzi , per lo scrittore delle , Ricognizioni , non v ' è giustizia senza un ' altra vita . Che è la recisa negazione della tesi svolta nel suo sonetto dal Campanella . Come la memoria del filosofo calabrese potesse in questo caso ingannarsi , non è difficile intendere ; e sarebbe inutile spendervi attorno parole . Certo , al ricordo di quella vivace discussione tra san Pietro e Simon Mago , che avevagli dovuto fare molta impressione , egli mescolava il ricordo d ' altre letture relative allo stesso argomento : letture bensì di scrittori molto recenti , poiché l ' idea d ' una giustizia immanente nello stesso mondo dell ' esperienza suppone la negazione o il dubbio intorno al mondo che trascende l ' esperienza , e insomma quella critica del concetto dell ' immortalità dell ' anima , che è propria del Rinascimento . Ancora nella , Theologia Platonica di Marsilio Ficino , composta tra il 1469 e il '74 , la felicità umana importa la vita oltremondana , e le prime parole dell ' opera sono queste : « Cum genus humanum , propter inquietudinem animi imbecillitatemque corporis et rerum omnium indigentiam , duriorem quam bestiae vitam agat in terris , si terminum vivendi natura illi eundem penitus atque ceteris animantibus tribuisset , nullum animal esset infelicius homine . Quoniam vero fieri nequit , ut homo , qui Dei cultu propius cunctis mortalibus accedit ad Deum beatitudinis authorem , omnino sit omnium infelicissimus ; solum autem post mortem corporis beatior effici potest ; necessariùm esse videtur animis nostris ab hoc carcere discedentibus lucem aliquam superesse » . Così , quando nel 1516 , nel suo De immortalitate animae , Pietro Pomponazzi con quelle stesse armi della filosofia aristotelica che erano state per tanti secoli adoperate a difesa dei dommi cristiani , ebbe impugnato l ' immortalità dell ' anima , si trovò subito innanzi all ' obbiezione , che allora o non c ' è un Dio a reggere il mondo , o ( ciò che è assurdo ) egli è iniquo . E il Pomponazzi , ispirandosi forse allo stoicismo , ma sopra tutto alla logica immanentistica e originale del suo pensiero , rispose « Neutrum sequi » . Nessun male rimane essenzialmente impunito , nessun bene irrimunerato ha un doppio modo d ' intendere la pena e il premio : un modo , per cui la pena o il premio è essenziale ed inseparabile ; e un altro , per cui , invece è accidentale e quindi separabile : « Praemium essentiale virtutis est ipsamet virtus , quae hominem felicem facit . Nihil enim maius natura humana habere potest ipsa virtute , quandoquidem ipsa sola hominem securum facit et remotum ab omni perturbatione . Omnia namque in studioso consonant : nihil timens , nihil sperans , sed in prosperis et adversis uniformiter se habens , sicut dicitur in fine Ethicorum , Et Plato in Critone dixit : ' Viro bono neque defuncto potest aliquod malum contingere ' . At opposito modo de vitio : poena namque vitiosi est ipsum vitium , quo nihil miserius , nihil infelicius esse potest . Quam autem perversa sit vita vitiosi et maxime fugienda manifestat Aristoteles VII Ethicorum , ubi ostendit quod vitioso omnia dissonant : nemini fidus , namque ipse sibi neque vigilans neque dormiens quiescit , diris corporis et animi cruciatibus angustiatur : vita infelicissima . Adeo quod nullus sapiens , quantumcumque egenus , corpore infirmus , a bonis fortunae destitutus , eligeret vitam tyranni , vel alicuius potentis vitiosi malletque sapiens in sua dispositione permanere . Itaque omnis virtuosus virtute sua et felicitate praemiatur . Quare Aristoteles , Problematum XI problemate , quo quaerit cur in certaminibus apponuntur praemia , at non in virtutibus et scientiis , dicit , hoc ideo contingere , quoniam virtus ipsa est praemium . Nam cum praemium debeat esse praestantius certamine , nihilque prudentia potest esse praestantius , sibi ipsi igitur praemium est . At contrarium de vitio contingit . Ideo nullus vitiosus impunitus relinquitur , quandoquidem vitium ipsum sibi vitioso sit poena » . Il premio che può mancare alla virtù è quello accidentale ; e lo stesso dicasi della pena che può mancare alla colpa ; e perciò soltanto rispetto a questi premi e pene accidentali si può dire che non ogni bene sia ricompensato e non ogni male punito . Neque hoc inconvenit , trattandosi di punti di vista , come oggi si direbbe , estranei alla natura intrinseca del bene e del male . Ma , nota il Pomponazzi , due cose sono da osservare : 1° che il premio essenziale è assai più perfetto dell ' accidentale , come la virtù , p . e . , del denaro ; e la pena della colpa è ben altra dal danno , con cui essa può essere punita ; 2° che il premio accidentale od estrinseco non si somma al pregio intrinseco della virtù ; anzi lo scema . « Exempli causa , si aliquis virtuose operatur sine spe praemii , alter vero cum spe praemii , actus secundi non ita virtuosus habetur sicut primi » . E maggiore quindi è il premio del virtuoso cui non tocchi nessun premio accidentale . E viceversa , il contrario può dirsi della pena : « cum poena damni adiungitur culpae , diminuit culpam » . sicché il Pomponazzi potrà conchiudere da ultimo : « Quod studiose operans , non expectans praemium aliud a virtute , longe virtuosius et magis ingenue videtur operari quam ille , qui ultra virtutem praemium aliquod expectat ; quique fugit vitium ob turpitudinem vitii , non propter timorem poenae debitae pro vitio , magis laudandus videtur quam qui evitat vitium propter timorem poenae . Quare perfectius asserentes animam mortalem melius videntur salvare rationem virtutis quam asserentes ipsam immortalem . Spes namque praemii et poenae timor videntur servilitatem quandam importare , quae rationi virtutis contrariatur » . Bisognerà venire fino a Spinoza , perché si senta ripetere , non per influsso del Campanella , né del Pomponazzi , ma forse del filosofo ebreo medievale Maimonide , e sopra tutto per una rigorosa elaborazione delle idee immanentistiche della filosofia neoplatonica , destinata a risolversi in schietto naturalismo , che « beatitudo non est virtutis praemium , sed ipsa virtus » (Eth., V , q.2 ) . Ma Spinoza , proiettando tutta la realtà dello spirito nel pensiero divino , che è la stessa realtà della natura , rende inconcepibile , senza libertà , questa virtù , che non sarà intesa nel suo valore assoluto prima di Kant . III È noto che un puro naturalista il Campanella non è ; come non è Bruno , e nessuno dei filosofi moderni prima dello Spinoza . Anche Campanella perciò ha bisogno dell ' immortalità trascendente dell ' anima : di un ' anima che non si spieghi come un risultato o un principio della stessa natura , ma la trascenda , e postuli una realtà superiore . La tendenza immanentistica del suo pensiero si palesa tuttavia anche nella sua maniera di argomentare l ' immortalità : fondata sulla osservazione della profonda differenza che separa l ' uomo dal mondo naturale , onde l ' uomo sovrasta a tutte le cose e celebra una natura analoga a quella di Dio , in quanto domina l ' universo , ne regge le forze e crea un mondo che è suo . Tra le poesie della Scelta una delle più belle è quella che canta con alta e commossa ispirazione la possanza dell ' uomo , e di cui si può vedere come il primo abbozzo nella primitiva redazione del De sensu rerum , Si leggano infatti queste rozze pagine vibranti di poesia : « L ' uomo nasce nudo , inerme , con poca industria , piangendo , senza sapere lattare , né mangiare , né aiutarsi ; e tutti gli altri animali vestiti di squamme , di piume , di pelo , armati di denti , di corna , di spine , d ' onghie , d ' artiglio , di rostro ; e sapeno subito caminare , mangiare e aiutarsi . E nondimeno l ' uomo fra poco tempo tutti gli animali vince , e si veste di loro pelli , e mangia la loro carne , e li doma , e cavalca , e se arma delle loro armi , usa la loro forza come sua , si veste di oro , d ' argento , di ferro ; e nuota in mare , vola in aria come Dedalo , corre per terra con li piedi suoi e d ' animale , e tutto il mondo cammina per acqua vincendo fonde superbissime e i fieri venti , come signore del mare ; e tutti gli metalli al suo uso doma , e stende . Adopera li alberi , fa navi , stanze sedie , casse , fuoco ; si mangia gli loro frutti , si serve delle foglie e fiori a spassi e a medicine ; usa le pietre , monti , selve , a suo gusto ; e pare essere il signore del mondo , non che dell ' animali . Ora , qual animale forte e sagace può fare quello che fa l ' uomo , inerme , nudo , debole e timido , né una minima parte di questo ? Ali dirai , l ' api si fanno repubblica , come l ' uomo ; l ' elefanti la religione , li ragni le reti così sottili che non fa l ' uomo , altri li nidi ; altri la guerra bene usare sanno . E ti dico , che tutte quante cose fanno gli altri animali fa l ' uomo , e assai più ; ché esso istituisce repubbliche , fa leggi e cittadi , tempii , religione a Dio ; medicina meglio che i cani ibici e ippopotamo , e se ognuno di loro ad una cosa sola , ed egli a mille è buono . Più , fa le rete per li uccelli come il ragno , le celle come l ' api , la milizia come grui e pesci , e da tutti piglia esempio , e migliora ogni loro arte e industria . E vince la forza dell ' elefante , che porta sopra una torre d ' uomini , lo doma e commanda ; e cossì al leone ; occide e mangia le balene . « Che si può dire più ? Nullo animale , benché abbia le mani , come la scimia e l ' orso , sa adoperare il fuoco , né toccare , né pigliarlo dal sole , cavarlo dalle pietre , accenderlo , mitigare con quello i metalli , gittare i monti , cuocere le vivande , e fare tuoni e lampi . Come Dio fa nell ' aria , così fa l ' uomo con l ' artiglieria ; e , quello che è cosa stupenda , fa di notte giorro con le candele e con ogli accesi , tanto mirabilmente , che si serve del fuoco come di cosa vile rispetto a lui . Or , se l ' uomo non avesse altra anima che dal fuoco , potria sprezzare sì nobilissima e potentissima natura , che gli animali non osano mirare , e molte nazioni l ' adorano ? L ' arte del fuoco è unica dell ' uomo . E dare senso alla scrittura , farla parlare , e che li orologi notino il tempo , e l ' uso della calamita che mira al polo , sono invenzioni d ' animo divino » . « Ma l ' astronomia mostra l ' uomo celeste , poiché mira in suso , e misura la grandezza delle stelle , numera i moti , e quello che non vede lo finge , con epicicli ed eccentrici ; e fa li conti suoi tanto giusti , non solo come cognoscitore , ma quasi come fabro del cielo . E in tanta varietà de opinioni del modello e principii delle cose , si mostra la divinità sua , che per tante vie camina alla conoscenza del Creatore . E quello che stupendo è , ha trovato quando si fanno l ' ecclissi de ' luminari , e le predice mille secoli inanti , e le congiunzioni ed aspetti de tutte le stelle , le nature e nomi , le comete , significati ed influssi , quello che fanno in terra , in acqua , in aria ; i tempi de solstizii ed equinozii , li mutamenti loro e dell ' apogeo ed eccentricitati , che riescono a capello ; e quando Dio varia qualche cosa in cielo , l ' uomo s ' accorge , e nota le anomalie e irregolarità sue ; e sempre fa nuove tavole e indici di cose lontanissime , e argomenta la morte e la vita non solo dell ' uomo , ma dell ' animali , delle repubbliche , de ' regni , anzi del mondo stesso , che ha da perire per fuoco » . Insomma , l ' uomo , come si canterà nelle Poesie , è un « secondo Dio » in virtù del suo pensiero . Concetto , che ritornerà in Giambattista Vico , e si può dire uno dei germi che schiuderanno nella Scienza Nuova , A tempo del Campanella , e per influsso molto probabilmente di lui , s ' incontra anche nel Galilei , malgrado il suo naturalismo . Chi non ricorda il celebre indiamento dell ' intelletto umano nella prima giornata del Dialogo dei massimi sistemi ? Quivi , distinti i due modi , intensivo ed estensivo , dell ' intendere , dice che « extensive , cioè quanto alla moltitudine degli intelligibili , che sono infiniti , l ' intender umano è come nullo , quando bene egli intendesse mille proposizioni , perché mille rispetto all ' infinità è come uno zero ; ma , pigliando l ' intendere intensive , in quanto cotal termine importa intensivamente , cioè perfettamente alcuna proposizione ... , l ' intelletto umano ne intende alcuna così perfettamente e ne ha così assoluta certezza , quanto se n ' abbia l ' istessa natura ; e tali sono le scienze matematiche pure , cioè la geometria e l ' aritmetica , delle quali l ' intelletto divino ne sa bene infinite proposizioni di più , perché le sa tutte . Ma di quelle poche intese dall ' intelletto umano credo che la cognizione agguagli la divina nella certezza obiettiva , poiché arriva a comprender la necessità , sopra la quale non par che possa essere sicurezza maggiore » . Anche il Galilei ha questo senso profondo della divinità dell ' intelligenza umana : « Anzi , quando io vo considerando quante e quanto maravigliose cose hanno intese , investigate ed operate gli uomini , pur troppo chiaramente conosco io ed intendo esser la mente umana opera di Dio , e delle più eccellenti » . Anche lui è ispirato quasi a cantare la potenza mirabile dell ' ingegno dell ' uomo : « Io son molte volte andato meco medesimo considerando , in proposito di questo che di presente dite , quanto grande sia l ' acutezza dell ' ingegno umano : e mentre io discorro per tante e tanto meravigliose invenzioni trovate dagli uomini , sì nelle arti come nelle lettere , e poi fo riflessione sopra il saper mio , tanto lontano dal potersi promettere non solo di ritrovarne alcuna di nuovo , ma anche di apprendere delle già trovate , confuso dallo stupore ed afflitto dalla disperazione , mi reputo poco meno che infelice . S ' io guardo alcuna statua delle eccellenti , dico a me medesimo : - - E quando sapresti levare il soverchio da un pezzo di marmo , e scolpire sì bella figura che vi era nascosta ? Quando mescolare e distendere sopra una tela o parete colori diversi , e con essi rappresentare tutti gli oggetti visibili , come un Michelangiolo , un Raffaello , un Tiziano ? - - S ' io guardo quel che hanno ritrovato gli uomini nel compartir gli intervalli musici , nello stabilir precetti e regole per potergli maneggiar con dilettò mirabile dell ' udito , quando potrò io finir di stupire ? Che dirò dei tanti e sì diversi strumenti ? La lettura dei poeti eccellenti di qual maraviglia riempie chi attentamente considera l ' invenzion de ' concetti e la spiegatura loro ? Che diremo dell ' architettura ? Che dell ' arte navigatoria ? Ma sopra tutte le invenzioni stupende , qual ' eminenza di mente fu quella di colui che s ' immaginò di trovar modo di comunicare i suoi più reconditi pensieri a qualsivoglia altra persona , benché distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo ? Parlare con quelli che son nell ' Indie ? parlare a quelli che non sono ancora nati , né saranno se non di qua a mille e dieci mila anni ? E con qual facilità ? con i vari accozzamenti di venti caratteruzzi sopra una carta ! Sia questo il sigillo di tutte le ammirande invenzioni umane » . Ma questo concetto della natura divina dell ' uomo nel Galilei evidentemente è una semplice eco , affiochita da questa espressione del sentimento personale della propria debolezza ; conseguenza , a sua volta , della posizione galileiana . Per Galileo infatti il divino è nella natura , fuori dell ' uomo , e la stessa grandezza umana apparisce perciò qualcosa di estraneo all ' uomo che l ' afferma e l ' ammira stupefatto , quasi la più alta meraviglia della divina natura . Pel Campanella invece è uno dei concetti centrali della sua speculazione . La quale ne trae argomento a quella vigorosa metafisica del divino , per cui il Campanella dal naturalismo telesiano si solleva a una filosofia naturalistica della religione ( poiché egli , e non Herbert di Cherbury , è il vero iniziatore della dottrina della religione naturale ) , e quindi alle sue rivoluzionarie idee , politiche e sociali , rappresentate nella utopia della Città del sole . Chi confronti col capitolo del De sensu rerum del Campanella , intitolato Della immortalità e divinità dell ' uomo , e col capitolo 7 , forse contemporaneo , del suo Atheismus tyiumphatus , inteso anch ' esso a provare « hominem animo divino immortalique donatum esse » , nonché col posteriore articolo introduttivo al cap . 2 del XIV libro della sua Metafisica , dove si adducono « de hominis excellentia super ammalia et divinitate eius animae rationes efficacissimae et sensatae » , il suo canto della possanza dell ' uomo , vi troverà lo spunto di una dimostrazione filosofica , dal Campanella più volte ripetuta , della natura divina e quindi immortale dell ' anima umana . L ' uomo , egli dice , non è un essere tra gli altri della natura , perché nessuno effetto si può sopra la sua causa elevare . « Ma noi veggiamo che l ' uomo non si ferma sotto la natura degli elementi , e del sole e della terra ; ma molto più sopra loro intende , desidera ; e opera , più che nullo effetto loro , altissimi effetti . Talché non pende da loro , ma da cagione molto più alta , che Dio s ' appella . Ecco che quando l ' uomo va cogitando , pensa sopra il sole , e poi sopra , e poi fuori del cielo , e più mondi , infinitamente , come escogitano pure gli Epicurei . Dunque , di qualche infinita causa ella è effetto , e non del sole e della terra , sopra li quali infinitamente trapassa » . E discorsi i titoli dell ' eccellenza e potenza dell ' uomo , tocca efficacemente la profonda radice della differenza tra l ' universal natura e l ' uomo : « Tutti gli animali stanno dentro il ventre del mondo , e l ' uomo con loro , come vermi dentro il ventre dell ' animale ; e pure solo gli uomini s ' accorgono che cosa è questo grande animale e i suoi principii , corsi , vita e morte . Dunque , l ' uomo sta non solo come verme , ma come ammiratore e luogotenente della causa architettrice d ' ogni cosa » . Il pensiero infatti è ciò che si oppone alla natura , distinguendola da sé e in sé contenendola . Di qui il significato storico della poesia del Campanella e di tutti gli altri luoghi , in cui egli tratta questo argomento della preminenza dell ' uomo . IV Ma si tratta di un argomento caro ai filosofi italiani del Rinascimento ; e potrebbe parere ereditato senz ' altro dagli scrittori classici . Dante , trattando nel Convivio della nobiltà dell ' uomo , ricorreva con la memoria al magnifico salmo biblico , che chiede a Dio : Quid est homo , quod memor es eius ? aut filius hominis , quoniam visitas eum ? Minuisti eum paulo minus ab angelis ; gloria et honore coronasti eum , et constituisti eum super opera manuum tuarum . Omnia subiecisti sub pedibus eius , oves et boves universas , insuper et pecora campi , volucres caeli , et pisces maris qui perambulant semitas maris . Ma il Salmista ne traeva solo argomento a celebrare con gratitudine la grandezza meravigliosa di Dio , terminando come aveva cominciato : Domine , Dominus noster , quam admirabile est nomen tuum in universa terra ! . I nostri scrittori del Rinascimento invece si compiacevano , come già Lattanzio , di leggere in Ovidio i celebri versi che nelle Metamorfosi ( I , 76­86 ) fan seguito alla descrizione della origine di tutte le cose naturali : Sanctius his animal mentisque capacius altae Deerat adhuc , et quod dominari in cetera posset . Natus est homo : sive hunc divino semine fecit Ille opifex rerum , mundi melioris origo , Sive recens tellus seductaque nuper ab alto Aethere cognati retinebat semina caeli ; Quam satus Iapeto mixtam fluvialibus undis Finxit in effigiem moderantum cuncta deorum ; Pronaque cum spectent animalia cetera terram , Os homini sublime dedit , caelumque videre Iussit et erectos ad sidera tollere vultus . Cicerone nel De legibus ( I , 9 ) aveva anch ' egli contrapposto l ' uomo alla natura con parole pur care ai nostri scrittori del Rinascimento : « Animal hoc providum , sagax , multiplex , acutum , memor , plenum rationis et consilii , quem vocamus hominem , praeclara quadam conditione generatum a supremo deo : solum enim est , ex tot animantium generibus atque naturis , particeps rationis et cogitationis , cum cetera sint omnia expertia . Quid est autem , non dicam in homine , sed in omni caelo atque terra , ratione divinius ? » . E nel De natura deorum ( II , 56 ) , per dimostrare « quantae res hominibus quamque eximiae tributae sint » , questa poneva a capo di tutte le prerogative degli uomini : « Quae ( providentia naturae ) eos humo excitatos celsos et erectos constituit , ut deorum cognitionem caelum intuentes capere possent . Sunt enim ex terra homines non ut incolae atque habitatores , sed quasi spectatores superarum rerum atque caelestium , quarum speculum ad nullum aliud genus animantium pertinet » . Dove le parole ricordano quelle del De sensu rerum campanelliano ; e il concetto stoico , qui riprodotto da Cicerone , è certamente la fonte da cui sgorga il remoto principio del pensiero del Campanella . Ma evidente è il divario tra quella che per Cicerone può dirsi una semplice differenza di grado , e l ' opposizione qualitativa che il Campanella scorge tra lo spettacolo e lo spettatore , la natura e la mente . Anche l ' esaltazione dell ' eccellenza umana era un motivo dell ' antica polemica , stoica prima e poi neoplatonica , in favore del concetto della finalità e della provvidenza divina contro il meccanismo epicureo . E in Cicerone ( De nat . deor . , II , 59 ) si ritrovano tanti dei colori adoperati nella poesia del Campanella sulla possanza dell ' uomo : l ' intelligenza di questo , l ' eloquenza , il linguaggio , le mani , « multarum artium ministrae » , l ' addomesticamento delle bestie , lo sfruttamento di tutti gli esseri e di tutte le forze della natura , e il dominio delle potenze più violente , del mare e dei venti : « Nos campis , nos montibus fruimur , nostri sunt omnes , nostri lacus , nos fruges serimus , nos arbores , nos aquarum inductionibus terris fecunditatem damus , nos flumina arcemus , derigimus , avertimus , nostris denique manibus in rerum natura quasi alteram naturam efficere conamur » . Che più ? la umana ragione è penetrata fino nel cielo . « Soli enim ex animantibus nos astrorum ortus , obitus cursusque cognovimus ; ab hominum genere finitus est dies , mensis , annus , defectiones solis et lunae cognitae praedictaeque in omne posterum tempus , quae , quantae , quando futurae sint . Quae contuens animus accedit ad cognitionem deorum .... » . Ma , se i colori son quelli prestati dagli scrittori antichi , nel Rinascimento c ' è uno spirito nuovo , derivante dalla riscossa dell ' uomo , che ripiglia l ' antico tema della sua preminenza nel mondo per contrapporsi a questo , nella sua autonomia , quasi centro , come più tardi si svelerà , d ' una nuova concezione della vita . V Questa opposizione dello spirito alla natura non è opera del rigido naturalismo del Pomponazzi e del Telesio , ma del platonismo fiorentino , che è l ' altro affluente , per dir così , della filosofia del Campanella , e senza dubbio la diretta sorgente de ' suoi pensieri sulla dignità , ed eccellenza dell ' uomo . È noto in qual conto egli teneva il Pico ; ed è celebre l ' orazione De hominis dignitate , che il Pico scrisse nel 1486 . E pensava di pronunziarla a Roma prima della discussione delle sue tesi anche più celebri . In questa orazione il mirandolano comincia dall ' accennare alle lodi dell ' umana natura fatte da altri , e trova che nessuno finora ha mai colpito nel segno : « Magna haec quidem , sed non principalia , id est , quae summae admirationis privilegium sibi iure vindicent » . Gli altri per esempio , avevan rivolto la loro attenzione alle proprietà che l ' uomo ha comuni con gli angeli , posti anch ' essi dal platonismo alessandrino tra mezzo la natura e Dio . Ma , si chiede il Pico , perché la nostra ammirazione non si rivolge piuttosto agli angeli dei cori celesti ? Il vero , l ' unico miracolo del mondo , è l ' uomo . Perché ? Creato il mondo , parve a Dio necessario un essere « qui tanti operis rationem perpenderet , pulchritudinem amaret , magnitudinem admiraretur » . C ' era , insomma , la natura , oggetto del pensiero , mancava il pensiero . E pure tutto pareva già fosse stato creato : « nec erat in archetypis unde novam sobolem effingeret , nec in thesauris quod novo filio haereditarium largiretur , nec in subselliis totius orbi ubi universi contemplator iste sederet . Iam plena omnia summis , mediis infimisque ordinibus fierant distributa » . Stupenda immagine , in cui si raffigura la situazione propria del naturalismo , che , lasciandosi alle spalle lo spirito , non trova lacuna di sorta nel reale ; sicché , quando si sforza di concepire lo stesso spirito , lo degrada e disumanizza , facendolo rientrare nel quadro generale del meccanismo della natura . Ed ecco la soluzione del Pico che assegna , secondo lui , il vero valore specifico dell ' uomo , mettendolo al di sopra della stessa natura angelica . All ' uomo non fu dato da Dio nulla di proprio ; venne bensì conferito « commune quidquid privatum singulis fuerat » . Messolo in mezzo al mondo , compendio ed epilogo di tutto , Dio avrebbe indicato ad Adamo la sua prerogativa , come l ' essenza stessa della libertà . L ' uomo non ha una natura specifica sua , e non ha perciò leggi a cui soggiaccia , né limiti entro cui si restringa necessariamente la sua attività , salvo quelli ch ' egli stesso s ' imponga liberamente . Egli non è né celeste né terreno , né immortale né mortale : libero creatore di se medesimo ( « sui ipsius quasi arbitrarius honorariusque plastes et fictor » ) , sarà quel che vorrà . Può tralignare abbrutendosi , e potrà rigenerarsi in Dio « ex sui animi sententia » . E questa è la felicità , questa la grandezza dell ' uomo : essergli dato d ' ottenere quanto desidera , farsi quello che vuole . I bruti , da una parte , e le nature celesti , dall ' altra , sono immediatamente quello che saranno sempre . L ' uomo sul nascere non porta seco se non i germi di tutte le vite : dei quali germoglieranno e daran frutto quelli che saranno da lui coltivati . Tale la vera analogia tra l ' uomo e Dio , il Pico dirà nell ' Heptaplus ( V , 6 ) , a commento del biblico « Faciamus hominem ad imaginem nostram » . Non è la mente , secondo il Pico , che assomiglia l ' uomo a Dio , perché le proprietà di essa « quanto in angelis sunt quam in nobis potiora et contrariae minus naturae adenixta , tanto cum divina natura plus similitudinis et cognationis habentia » . Anche nell ' Ettaplo osserverà , che fa d ' uopo cercare un che di peculiare nell ' uomo , ond ' egli sia simile a Dio , e che non abbia in comune con nessun ' altra creatura . « Id quid esse aliud potest , quam quod hominis substantia omnium in se naturarum substantias et totius universitatis plenitudinem re ipsa complectitur ? » . E insisterà sul « re ipsa » , notando che in ciò consiste appunto la differenza tra gli angeli e qualunque essere intelligente da una parte , e l ' uomo dall ' altra : ché anche quelli contengono le forme e le ragioni di tutto , in quanto ognuno è intelletto che conosce tutto . « At vero , quemadmodum Deus non solum ob id quod omnia intelligit , sed quia in se ipso ita verae rerum substantiae perfectionem totam unit et colligit ; ita et homo .... ad integritatem suae substantiae omnes totius mundi naturas corrogat et counit » . Le forme che si raccolgono nell ' intelletto sono , conforme alla dottrina aristotelica , prive di quella realtà della sostanza , che implica la materia : onde la mente , in cui Pico non trova la peculiare natura dell ' uomo , è l ' intelletto astratto , che ha fuori di sé la realtà ; l ' intelletto aristotelico , quel motore immobile , che non poteva concepirsi creatore del mondo , poiché questo è materia oltre che forma , ed esso è pura forma . La mente invece , che si può attribuire in proprio all ' uomo e a Dio , sarebbe attività non contemplatrice , bensì creatrice , realizzatrice dell ' essere della sostanza ( « perfectionem totam substantiae » ) : lo spirito , insomma , concepito non più secondo l ' intellettualismo greco , per cui la mente ha la realtà di contro a sé ; ma secondo l ' idealismo cristiano , pel quale la vera realtà è opera dello stesso spirito . VI Il Pico tuttavia era stato preceduto dalla vasta speculazione ficiniana intorno alla natura dell ' anima , e propriamente intorno alla natura divina e immortale di essa : argomento , com ' è noto , della già citata Theologia platonica . Marsilio Ficino aveva letto nello pseudoplatonico Assioco questo luogo , che nella stessa traduzione ficiniana fu certamente sotto gli occhi del Campanella , e pare se ne ricordi nella sua poesia sulla possanza dell ' uomo : « At haec multae sunt perpulchraeque de animi immortalitate rationes . Neque enim mortalis natura in tam varias res attollere sese posset , ut contemneret ingenium ferarum , conderet urbes , respublicas constitueret , respiceret etiam in caelum et astrorum videret revolutiones cursusque , solis et lunae ortus item et occasus , defectus , celeritatem , distantias , aequinoctiaque et duplices conversiones , Pleiadum etiam et hiemis atque aestatis ventos , imbriumque casus et horrendos turbinum raptus , ut comprehensos quoque mundi labores saeculis traderet , nisi divinus quidam mentibus nostris spiritus inesset , quo complexum notitiamque tantarum attingeret rerum » . Ma in un capitolo della Theologia Platonica ( XIII , 3 ) , che si direbbe la fonte diretta del Campanella , lo spunto dell ' Assioco è svolto in una delle pagine più belle della storia del concetto della libertà e della potenza dello spirito umano : « Cetera animalia vel absque arte vivunt , vel singula una quadam arte , ad cuius usum non ipsa se conferunt , sed fatali lege trahuntur : cuius signum est , quod ad operis fabricandi industriam nihil proficiunt tempore . Contra homines artium innumerabilium inventores sunt , quas suo exequuntur arbitrio : quod significatur ex eo , quod singuli multas exercent artes , mutant et diuturno usu sunt solertiores » . Il solo uomo insomma ha una storia , perché è libero . La legge fatale della natura inferiore è l ' immutabilità ; la libertà umana invece è mutazione e progresso . L ' uomo perciò è creatore d ' un mondo suo , giacché , quel che è più mirabile , « humanae artes fabricant per se ipsas quaecumque fabricat ipsa natura , quasi non servi simus naturae , sed aemuli » . L ' uomo non solo imita le opere della natura , ne ' suoi dipinti , p . e . , e in tutte le opere d ' arte che paion vive e naturali ; ma invade il campo della stessa natura con le sue costruzioni magnifiche , e con le sue officine di metalli e di vetri « naturae inferioris opera perficit , corrigit et emendat » . « Similis ergo ferme vis hominis est naturae divinae , quandoquidem homo per se ipsum , idest per suum consilium atque artem , regit seipsum a corporalibus naturae limitibus minime circumscriptum , et singula naturae altioris opera aemulatur . Et tanto minus quam bruta naturae inferioris eget subsidio quanto pauciora corporis munimenta sortitus est a natura quam bruta , sed ipsemet illa sua copia construit alimenta , vestes , strumenta , habitacula , suppellectilia , arma . Ideo cum ipse sua facultate se fulciat , fulcit uberius quam bestias ipsa natura » . A cominciare dai piaceri dei sensi , che l ' ingegno umano moltiplica sempre , laddove « bruta brevissimis naturae claustris concluduntur » , per venire a tutto ciò che di utile inventa di continuo , fino alle opere più alte della sua attività disinteressata , dalle quali non pure non s ' attende vantaggio di sorta , ma riceve spesso incomodi e molestie . « In iis artificiis animadvertere licet , quemadmodum homo et omnes et undique tractat mundi materias , quasi homini omnes subiciantur . Tractat , inquam , elementa , lapides , metalla et plantas et animalia , e in multas traducit formas atque figuras , quod nunquam bestiae faciunt . Neque uno est elemento contentus aut quibusdam , ut bruta , sed utitur omnibus , quasi sit omnium dominus . Terram calcat , sulcat aquam , altissimis turribus conscendit in aerem , ut pennas Daedali vel Icari praetermittam . Accendit ignem , et foco familiariter utitur et delectatur praecipue ipse solus . Merito caelesti elemento solum caeleste animal delectatur . Caelesti virtute ascendit caelum , atque metitur ; super caelesti mente trascendit caelum . Nec utitur tantum elementis homo , sed ornat , quod nullum facit brutorum . Quam mirabilis per omnem orbem terrae cultura ! Quam stupenda aedificiorum structura et urbium ! Irrigatio aquarum quam artificiosa Vicem gerit Dei , qui omnia elementa habitat colitque omnia et terrae praesens non abest ab aetere . Atqui non modo elementis , verum etiam elementorum animalibus utitur omnibus , terrenis , aquatilibus , volatilibus ad escam , commoditatem et voluptatem ; supernis caelestibusque ad doctrinam magiaeque miracula . Nec utitur brutis solum , sed et imperat . Fieri quidem potest , ut armis quibusdam a natura acceptis bruta nonnulla quandoque vel impetum in hominem faciant , vel hominis effugiant impetum ; homo autem , acceptis a se ipso armis et vitat ferarum impetum et fugat et domat . Quis vidit unquam homines ullos sub bestiarum imperio detineri , quemadmodum ubique vidimus tam immanissimarum ferarum quam mitium armenta per omnem vitam parere hominibus ? Non imperat bestiis homo crudeliter tantum , sed gubernat etiam illas , fovet et docet . Universalis providentia Dei , qui est universalis causa , propria est ; homo igitur , qui universaliter cunctis et viventibus et non viventibus providet , est quidam Deus : Deus est procul dubio animalium , qui utitur omnibus , imperat cunctis , instruit plurima . Deum quoque esse constitit elementorum , qui habitat colitque omnia ; Deum denique omnium materiarum , qui tractat omnes , vertit et format » . Da tutte queste prove della divinità dell ' anima anche il Ficino conchiude : « Qui tot tantisque in rebus corpori dominatur et immortalis Dei gerit vicem , est procul dubio immortalis » . Pure ci son prove di gran lunga superiori della sublime natura dell ' uomo . Il quale , non pago delle arti che si riferiscono al dominio del mondo materiale , si solleva a una forma più spirituale del divino mediante l ' esercizio della sua potenza morale , che si dispiega sulla volontà propria od altrui ; giacché egli solo tra gli animali s ' innalza al dominio di se medesimo , e quindi degli altri , nella famiglia , nello Stato , nel genere umano . Egli solo tra gli animali è capace di sacrificarsi per il pubblico bene , fino ad incontrare la morte , « utpote qui singula haec mortalia despicit bona , communis aeternique boni firmitati confisus » . E dimostra poi anche più evidentemente la sua divina natura con le scienze pure e le arti belle , che non si possono in nessun modo considerare indirizzate alla soddisfazione di bisogni terreni , e nelle quali l ' anima sdegna di già il ministero del corpo . Né basta : « Unum illud est in primis animadvertendum , quod artificis solertis opus artificiose constructum non potest quilibet , qua ratione quove modo sit constructum discernere , sed solum qui eodem pollet artis ingenio . Nemo enim discerneret qua via Archimedes sphaeras constituit aeneas , eisque motus motibus caelestibus similes tradidit , nisi simili esset ingenio praeditus . Et qui propter ingenii similitudinem discernit , is certo posset easdem constituere , postquam agnovit , modo non deesset materia . Cum igitur homo caelorum ordinem , unde moveantur , quo progrediantur , et quibus mensuris quidve pariant , viderit , quis neget eum esse ingenio , ut ita loquar , pene eodem quo et author ille caelorum ? ac posse quodammodo caelos facere , si instrumenta nactus fuerit materiamque caelestem , postquam facit eos nunc , licet ex alia materia , tamen persimiles ordine ? » . Con che il Ficino ha toccato da maestro il fondo della questione , enunciando chiaramente , come già in altro luogo della stessa Teologia , il concetto del conoscere come attività costruttiva del conosciuto ; quel concetto , da cui prenderà le mosse la speculazione del Vico più di due secoli dopo , e che sarà fissato dal filosofo napoletano nel celebre motto : « verum et factum convertuntur » . Né anche qui il Ficino ammette l ' identità tra la mente umana e la divina ; e non era possibile l ' ammettesse ; e perciò si arresta a quello stesso scetticismo , a cui s ' arresterà anche il Vico . Ma quella certa somiglianza che scorge tra le due menti , era il più alto segno del divino che si potesse scorgere nello spirito umano finché restava una natura fuori di esso , e un cielo di Dio cotanto diverso da quello di Archimede , come solo possibile termine di ragguaglio . VII Dal Ficino , dal Pico e dagli scritti ermetici già recati in latino per opera del Ficino dipende l ' esaltazione che si fa dell ' uomo nell ' ultimo dialogo della Circe pubblicata nel 1549 in Firenze dal filosofo calzaiuolo Giambattista Gelli . Basta leggerne alcuni periodi , dove dice della dignità che dà all ' uomo la sua « volontà libera » : dignità tanto meravigliosa , che « quei primi sapienti di Egitto lo chiamaron solamente per questo il gran Miracolo de la natura . Perché tutte le altre creature hanno avuto una certa legge , per la quale elle non possono compiere altro fine che quello che è stato ordinato loro dalla natura : né possono uscire in modo alcuno da que ' termini che ella ha assegnato loro . E l ' uomo , per avere questa volontà libera , può acquistarne uno più degno e uno meno degno , come pare a lui , o inchinandosi inverso quelle cose che sono inferiori a lui , o rivolgendosi inverso quelle che gli sono superiori . Imperocché se egli si darà tutto al ventre , tenendo sempre la bocca e la faccia fitta ne la terra , egli diventerà stupido e simile a le piante , e se egli s ' immergerà troppo nella dilettazione sensitiva , diverrà simile ai bruti . Ma se egli , voltando la faccia al cielo , considererà filosofando la bellezza dei cieli e il maraviglioso ordine de la natura ; e se egli si muterà di terreno in animale celeste ; e se egli , sprezzati tutti gli impedimenti del corpo , attenderà a contemplare le cose divine , si farà quasi uno Iddio .... Egli può farsi tutto quello che egli vuole » . E anche nella dedica della stessa Circe a Cosimo de ' Medici , il Gelli aveva scritto : « In potestà de l ' uomo è stato liberamente posto il potersi eleggere quel modo nel quale più gli piace vivere , e quasi come un nuovo Proteo trasformarsi in tutto quello che egli vuole , prendendo , a guisa di camaleonte , il color di tutte quelle cose a le quali egli più si avvicina con l ' affetto ; e finalmente , o farsi terreno o divino , e a quello stato trapassare che a la elezione del libero voler suo piacerà più » . Il concetto dei neoplatonici fiorentini sarà ripreso nello Spaccio della bestia trionfante ( 1584 ) da Giordano Bruno , che se né gioverà a rivendicare , contro la concezione antistorica dell ' età dell ' oro , il valore della libertà e del lavoro onde l ' uomo crea a se stesso il suo destino e la sua civiltà . Dice Giove ( e nel dialogo riferisce Sofia ) : « che gli dei aveano donato a l ' uomo l ' intelletto e le mani , e l ' aveano fatto simile a loro , donandogli facoltà sopra gli altri animali , la qual consiste non solo in poter operar secondo la natura ed ordinario , ma ed oltre , fuor le leggi di quella ; acciò , formando o possendo formar altre nature , altri corsi , altri ordini con l ' ingegno , con quella libertade , senza la quale non arrebe detta similitudine , venesse a serbarsi dio de la terra . Quella certo , quando verrà ad essere ociosa , sarà frustratoria e vana , come indarno è l ' occhio che non vede , e mano che non apprende . E per questo ha determinato la Providenza , che vegna occupato ne l ' azione per le mani , e contemplazione per l ' intelletto , de maniera che non contemple senza azione e non opre senza contemplazione . Ne l ' età dunque de l ' oro per l ' ocio gli uomini non erano più virtuosi , che sin al presente le bestie son virtuose ; e forse erano più stupidi , che molte di queste . Or , essendo tra essi per l ' emulazione d ' atti divini e adattazione di spirituosi affetti nate le difficultadi , risorte le necessitadi , sono acuiti gl ' ingegni , inventate le industrie , scoperte le arti ; e sempre di giorno in giorno , per mezzo de l ' egestade , da la profondità de l ' intelletto umano si eccitano nove e maravigliose invenzioni . Onde , sempre più e più per le sollecite ed urgenti occupazioni allontanandosi dall ' esser bestiale , più altamente s ' approssimano a l ' esser divino » . Qui Bruno addita sicuramente il valore dell ' uomo come , spirito creatore del suo mondo nella storia ; e torna ad adombrare quel concetto del progresso che già era lampeggiato alla sua mente nella Cena de le ceneri . Qui prenunzia Vico . Al quale pure prelude Cesare Cremonini , di Cento ( 1552­1631 ) , il celebre professore aristotelico padovano amico di Galileo , filosofo e scrittore troppo più famoso che conosciuto . In una prolusione , letta a Padova il 26 gennaio 1597 , egli contrappone l ' uomo alla natura , e la filosofia fa consistere nella conoscenza di se , come epilogo del reale , e mirabile potenza di libera attività , così come farà G . B . Vico nella prima delle sue Orazioni inaugurali . VIII Ma questa speculazione intorno al valore dell ' uomo , che è il valore dello spirito di fronte alla natura , salita nel Ficino , nel Pico e nel Bruno a così alte cime , era stata iniziata in Firenze stessa un ventennio prima del Ficino , e rispondeva a un generale movimento dello spirito del Quattrocento italiano . Uno de ' suoi storici più acuti ha scritto : « Jadis , alors que la cité de Dieu se prolongeait sur la terre , l ' homme , exilé d ' un jour dans une vallée de larmes , ne gardait d ' autre noblesse queson origine et n ' avait d ' autre mission qu ' à préparer par le jeiine et la repentance son avenir . Aujourd ' hui , dans la realité presente de la joie et de la beauté , l ' homme est tout . Il n ' est plus esclave , il est maître , il n ' est plus membre , il est chef . Il n ' est plus clerc , docteur , baron , drapier , guelfe , gibelin , chrétien : il est lui . Il s ' est fait lui ­ même : - - Je me suis fait moi ­ même , - - disait Pontano . Son but est lui ­ même : li homat faiz tour luimeisme , disait Latini » . Già la polemica dantesca contro la definizione che Federico li aveva dato della nobiltà , era stata uno dei primi segni del risveglio della coscienza umana . Ma per gli umanisti la questione sulla natura della nobiltà fu uno dei temi favoriti , e i molti dialoghi e trattati che se ne scrissero , sono tra i più eloquenti segni del tempo . Il Bruni , il Poggio , il Piccolomini , il Platina , il Landino , il Filelfo , lo stesso Ficino dicono a una voce , che nobili non si nasce , ma si diventa con le proprie opere . Ecco , per esempio , quel che scriveva il Platina con quel vivo senso della dignità umana che l ' Umanesimo promoveva : « Frustra nituntur qui , omissa virtute , nobilitatem tanquam haereditarium munus a maioribus expetant . Quis enim generosum hunc dixerit , qui indignus genere et praeclaro nomine tantum insignis ? Nobilitas enim virtutis socia et comes , proprio labore quaesita , non alieno , cum vitiis stare nullo modo potest . Unde verum illud Senecae tragici est : ' Qui genus iactat suum , aliena laudat ' . Gloriari quidem possumus nos a claris maioribus sanguinem , artus , viscera accepisse : nobilitatem vero nequaquam , quae tota ex animis nostris prudet , et non aliunde venit , ne ignarum vulgus sequamur , qui persaepe in maximos errores dilabitur , cuiusque opinio raro cum sapientia convenit » . Lo stesso concetto stoicizzante del valore creativo e della assoluta autonomia della volontà umana si fa strada nella discussione intorno al potere della fortuna ; contro la quale , per bocca di Leon Battista Alberti , l ' uomo afferma vigorosamente la propria potenza come sorgente della propria fortuna . Tutti gli scritti morali di quest ' uomo così rappresentativo dello spirito del Rinascimento sono una rivendicazione della libertà dell ' uomo dalla cieca forza della natura esterna e del caso , e un continuo incitamento all ' uomo perché vegga nella sua vita l ' effetto delle proprie azioni . Ne ' giovanili Intercenali rappresenta egli la vita umana come un fiume , e mentre vede correre alla morte chi si affida alla corrente , addita la saviezza di quelli che fanno piuttosto assegnamento sulle proprie forze : « Meliori idcirco in sorte sunt hi qui , ab ipsis primordiis fisi propriis viribus , nando hunc ipsum vitae cursum peragunt namque cum illis praeclare quidem agitur , qui , natandi peritia freti atque adiuti , modo otiosi parumper commorari peneque sequentem naviculam aut tabulas fluvio devectas praestolari , modo item maximis viribus ut scopulos evitent , contendere atque ad litus usque pro laude advolare didicere » . Contro chi attribuisce alla fortuna l ' ingiusta largizione dei comodi e degli onori ai malvagi , e quindi contro la vecchia dottrina teologica che rinvia a un ' altra vita l ' adempimento della divina giustizia , scrive : « Quis putarit fortunam vi sua malos extollere , ubi palam est , eos fere omnes , qui vulgo fortunati dicuntur , hominum improbitate aut stultitia crevisse ? Tolle cupiditates , tolle ignaviam , susteleris imperium , si , quod illi attribuendum est , fregeris vini , neglexeris impetum furentis fortunae . - - Est profecto , ut dicis , atque ideo mortalium sorti vel potius ingeniis condolendum est , qui vel nesciant , vel nequeant consilio , prudentia aut virtute integra perfrui » . Più tardi nel proemio al trattato Della famiglia tornava a notare più chiaramente : « Da molti veggo la fortuna più volte essere senza vera cagione incolpata . E scorgo molti , per loro stultizia scorsi ne ' casi sinistri , biasimarsi della fortuna e dolersi d ' essere agitati da quelle - - fluttuosissime sue onde , nelle quali , stolti ! se stessi precipitarono . E così molti inetti , de ' suoi errati , dicono , altrui forza funne cagione . Ma se alcuno , con diligenza qui vorrà investigare qual cosa molto estolla e accresca le famiglie , qual ' anche le mantenga in sublime grado d ' onore e di felicità , costui apertamente vedrà gli uomini aversi d ' ogni suo bene cagione e d ' ogni suo male ... Non è potere della fortuna ; non è , come alcuni sciocchi credono , così facile vincere chi non voglia esser vinto . Tiene giogo la fortuna solo a chi sé gli sottomette » . La virtù , non la fortuna , è il principio dell ' umana grandezza : una virtù , che non è grazia celeste , ma umana volontà : quella virtù appunto che predicherà il Machiavelli . « Così adunque si può statuire , la fortuna essere invalida e debolissima a rapirci qualunque nostra minima virtù : e dobbiamo giudicare la virtù sufficiente a contendere e occupare ogni sublime e eccelsa cosa , amplissimi principati , supreme laudi , eterna fama e immortal gloria . E conviensi non dubitare che cosa qual si sia , ove tu la cerchi e ami , non t ' è più facile ad averla e ottenerla , che la virtù . Non ha virtù se non chi non la vuole » . E più arditamente , nel terzo libro Della tranquillità dell ' animo : « Voglio ne ' tuoi mali invochi aiuto da Dio ; ma non voglio in questo t ' abbandoni , e diati a intendere non potere in te di te quello che tu puoi . Resta , quando che sia , sollecitare gl ' Iddii con tanti tuoi voti e chieste . Eccita in te la tua virtù : sat sit mens sana in corpore sano , La mente nostra sarà sana quando lavorremo esser sana » . La stessa virtù dunque , che il Machiavelli contrapporrà alla fortuna ricercando nei Discorsi « quale fu più cagione dello imperio che acquistarono i Romani , o la virtù o la fortuna » ; e combattendo Livio perché « rade volte è che facci parlare ad alcuno romano , dove ei racconti della virtù , che non vi aggiunga la fortuna » . « la qual cosa » , egli soggiunge , « io non soglio confessare in alcun modo , né credo ancora che si possa sostenere » . E un ' altra eco dell ' Alberti sarà nel Principe , dove si ammonisce che la fortuna « dimostra la sua potenza dove non è ordinata virtù a resistere » . Questo concetto della potenza , che ha radice nella volontà dell ' uomo , è la fede del Machiavelli . Perciò anche nell ' Asino d ' oro scriverà : Creder che senza te , per te contrasti Dio , standoti ozioso e ginocchioni , Ha molti regni e molti Stati guasti . E ' son ben necessarie l ' orazioni , E matto al tutto è quel ch ' al popol vieta Le ceremonie e le sue divozioni Perché da quelle in ver par che si mieta Union e buono ordine , e da quello Buona fortuna poi dipende e lieta . Ma non sia alcun di sì poco cervello , Che creda , se la sua casa ruina , Che Dio la salvi senz ' altro puntello ; Perché e ' morrà sotto quella ruina . E bisogna riferirsi a quella sua indomita fede per intendere l ' ispirazione profonda così dei Discorsi e del Principe come dell ' Arte della guerra , poiché anche in Italia , diventata per la sua fiacchezza nelle armi , come s ' è visto , « il vituperio del mondo » , la stessa fibra dell ' uomo si sarebbe potuto rifare pur che si fosse voluto . E però nel Capitolo sull ' ambizione ( vv . 109­117 ) ammoniva : E quando alcun colpasse la natura Se in Italia , tanto afflitta e stanca , Non nasce gente sì feroce e dura ; Dico che questo non iscusa e franca L ' Italia nostra , perché può supplire L ' educazion dove natura manca . Questa l ' Italia già fece fiorire E di occupar il mondo tutto quanto La fiera educazion le diede ardire . Concetto più realistico del rapporto tra virtù e fortuna , ma non minor coscienza della umana autonomia , espresse il Guicciardini : « Non si può in questo mondo eleggere il grado in che l ' uomo ha a nascere , non le faccende e la sorte con che l ' uomo ha a vivere ; però , a laudare o riprendere gli uomini , s ' ha a guardare non la fortuna in che sono , ma come vi si maneggiano dentro ; perché la laude o biasimo degli uomini ha a nascere da ' portamenti loro , non dallo stato in che si truovano , come una commedia o tragedia . Non è più in prezzo chi porta la persona del padrone e del re , che chi porta quella di uno servo ; ma solamente si attende chi la porta meglio » . IX Questo nuovo concetto dell ' uomo entrò modestamente , quasi umilmente , nella speculazione filosofica per opera di un fiorentino coetaneo dell ' Alberti , di Giannozzo Manetti ( 1386­1459 ) , il dotto e dignitoso cittadino e uomo di Stato , che tanti servigi rese alla patria , e fu costretto dalle fazioni a morirne fuori : l ' oratore magnifico della sua repubblica presso i Genovesi e i Veneziani , il Papa , l ' imperatore Federico III e re Alfonso , alla cui corte visse gli ultimi anni : il discepolo di Ambrogio Traversari , e come lui tra i più sinceri cristiani degli umanisti , così amorosamente dipintoci da Vespasiano da Bisticci nel suo appassionato amore degli studi : esperto dell ' ebraico , da cui tradusse i Salmi , e del greco , donde trasportò in italiano tutte le Etiche di Aristotele o a lui attribuite , e il Nuovo Testamento : il buon Giannozzo , il solo umanista che non si compiacque mai delle invettive , in cui tutti gli altri si accanivano . Il suo De dignitate et excellentia hominis , in quattro libri , scritta per invito di Alfonso d ' Aragona e condotto a termine nel 1452 , fu pubblicato nel 1532; eppure è presso che dimenticato dagli storici dell ' Umanesimo , quantunque di questo sia una delle espressioni più caratteristiche . L ' autore ricorda nella sua dedica a re Alfonso l ' occasione del suo scritto , e ne racconta quindi brevemente la storia . Trovavasi a Napoli legato e oratore del popolo fiorentino , quando venne alla luce un opuscolo di quell ' erudito quanto elegante scrittore che fu Bartolomeo Fazio , dedicato al pontefice Niccolò V . E , poco dopo , discorrendo con lui re Alfonso , come soleva , a Torre del Greco , dei più illustri studiosi contemporanei , cadde il discorso su quell ' opuscolo . Alla cui materia prese interesse il re , che infatti mostrò desiderio che anche il Manetti ne scrivesse , e dedicasse a lui l ' opera . Alla quale si accinse Giannozzo per obbedirgli ; ma non poté presto condurla a termine e presentarla ad Alfonso prima di lasciar Napoli . La riprese poi , e l ' avrebbe finita senz ' altro , se l ' arrivo repentino dell ' imperatore Federico III non lo avesse costretto a rinviarla , poiché egli ebbe incarico dalla Repubblica fiorentina di andare a Roma alla sua incoronazione . Al ritorno bensì da questa legazione , il lavoro interrotto era stato ripreso e finito . Ed ecco adempiuta la promessa . Il De excellentia ac , Praestantia hominis di B . Fazio , scritto probabilmente nel 1448 , non ha importanza notevole per la storia delle idee del Rinascimento . La superiorità dell ' uomo , secondo il Fazio , consiste tutta nella sua destinazione alla beatitudine celeste , della quale l ' umanista ligure si compiace discorrere distesamente , attingendo alle autorevoli testimonianze dei libri sacri . E ben s ' intende perché non ne restasse soddisfatto re Alfonso ; e perché un recente studioso , paragonando al trattato del Fazio quello del Manetti , senta qui subito « di essere in un ambiente ravvivato , compenetrato d ' idee nuove » . La tesi stessa di Giannozzo lo trasse , lui così buon cattolico , a sorpassare il segno ; e il suo libro per alcuni luoghi da espurgare fu proibito nell ' Indice dell ' Inquisitore Generale di Spagna del 1584 . Si presenta bensì anch ' esso con l ' aspetto di una esercitazione rettorica , quasi centone di citazioni da celebrati scrittori della letteratura classica e cristiana ; ma chi segua lo svolgimento del pensiero , che le citazioni son introdotte a confortare , lo vede pervaso da uno spirito originale e rispondente all ' avviamento nuovo del pensiero contemporaneo , che metterà capo ai platonici ficiniani , e , lungo una tradizione non più interrotta , al Campanella . Giova perciò alla storia delle idee farne una compiuta analisi e riferirne qualche estratto . Dei quattro libri del trattato il primo è dedicato alla descrizione delle doti privilegiate del corpo umano ; il secondo dimostra le prerogative della nostra anima razionale ; il terzo la superiorità e la destinazione di tutto l ' uomo ; e il quarto confuta le dottrine pessimistiche antiche e recenti circa la miseria della vita e il pregio della morte . Basterebbe la tesi che l ' autore si propone di provare nel quarto libro a mettere in chiara luce lo spirito nuovo del trattato . E da esso infatti conviene prender le mosse per intendere questo nuovo spirito , che trae il Manetti nel primo libro a riprodurre molte vecchie pagine di Lattanzio e di Cicerone . Giacché di tutti i pensatori così del Rinascimento , come di questo suo preludio , che è l ' Umanesimo , è sempre da avvertire che i vecchi materiali che gli scrittori scavano e disseppelliscono dal passato , vengono adoperati a nuove costruzioni , che recano l ' impronta d ' un animo nuovo . Nello svolgimento del tema proprio all ' ultimo libro il Manetti si attiene allo stesso ordine con cui sono disposti i tre libri antecedenti . Riferisce quindi e confuta , sommariamente , quanto è stato addotto : 1 ) intorno alla fragilità del corpo umano ; 2 ) intorno alla ignobile natura dell ' anima ; 3 ) intorno alla misera condizione di tutto l ' uomo . Uomini gravi e dotti , egli dice , han lamentato che il corpo , che la natura ha dato all ' uomo , sia nudo ed inerme , e così debole e caduco , da non potere senza danno sopportare i rigori del freddo e gli eccessi del caldo , la fatica , la fame , la sete . Hanno osservato che se l ' uomo si dà all ' ozio e all ' inerzia , vien meno ogni suo vigore , s ' ammala egli e marcisce . Quello stesso che lo diletta , e di cui si direbbe non possa far a meno , per lo più gli riesce molesto e funesto . Un suono troppo forte e repentino , una luce eccessiva , un odore pestilenziale , un sapore amaro e un aspro contatto inducono stanchezza e turbamento . La veglia e il sonno , il cibo e la bevanda cagionano talvolta la morte . Basta una sensazione o troppo forte e improvvisa , o dolorosa , un subito cambiamento in quello che si beve o nell ' aria circostante , a ledere gli organi e produrre gravi danni nel nostro corpo . Aristotele , Seneca , Cicerone , Plinio e molti altri scrittori greci e latini , sacri e profani , ne hanno parlato a lungo in molti luoghi dei loro libri . Plinio ne conchiude naturam potius novercam , quam matrem nostram extitisse . Ma chi più di proposito trattò e amplificò siffatto argomento è il pontefice Innocenzo III nel suo De miseria humanae vitae , che contrappose la terra , da cui fu tratta la materia per la fabbrica degli uomini e degli altri animali terrestri , a quei più nobili elementi onde furon fatte le altre creature di Dio ; il fuoco degli astri , l ' aria dei venti , l ' acqua dei pesci ; e a vituperio della stirpe umana mostrò che , se l ' uomo ha con tutti gli altri animali comune la sorte del nascere , dall ' istante però del concepimento a quello della nascita corre un suo particolare e più vile destino ; ché soltanto gli umani embrioni « in materno utero ex sanguine menstruo educantur et nutriantur » . In quanto all ' anima , c ' è stato un certo numero di filosofi , come Talete , Anassimandro , Anassimene , Anassagora , Diogene , Leucippo , Democrito , Eraclito , Empedocle , Ippia , Archelao , Zenone , Aristosseno , Varrone e forse anche altri , persuasi che ella fosse un che di corporeo . Né son mancati di quelli che la negassero del tutto , come Dicearco , pel quale era un nome irrito e vano . Molti poi , pur negando che l ' anima sia materiale , ritengono tuttavia che essa naturalmente , o extra duce , come dicono i teologi , risulti dalla potenza della stessa materia , e credono pertanto abbia una volta a morire insieme col corpo . E così è che , come si parla delle malattie del corpo , si parla anche delle passioni e dei morbi da cui sarebbe dentro di sé lacerata , travagliata e annientata l ' anima stessa . E quei medesimi filosofi che misero una differenza di sostanza tra l ' anima e il corpo , ritennero fosse ella soggetta alle passioni durante la congiunzione sua col corpo ; e non sapendo immaginare come potesse starne disgiunta , pensarono che da un corpo non si staccasse se non per entrare in un altro , d ' uomo o d ' altro animale , senza potersi sottrarre giammai ai dolorosi turbamenti della vita corporea . E qual meraviglia se quest ' uomo , composto di due sostanze così misere , risenta in sé della natura de ' componenti ? Fragile , caduco , ignobile , esposto a molte e presso che infinite sorte di malattie , fisiche e morali , egli è stato argomento delle più disperate querimonie intorno all ' infelicità umana . E Valerio Massimo racconta del cirenaico Egesia , al quale il re Tolomeo dovette proibire di più oltre insegnare , poiché così eloquente era la sua dipintura delle miserie della vita , che i suoi scolari correvano a privarsene . E Cicerone c ' informa di filosofi e retori , che scrissero anch ' essi in lode della morte liberatrice dai mali intollerabili della vita . E lo stesso Tullio nel suo De consolatione trattò così efficacemente questa materia da non far desiderare ai lettori , come uno ha detto , nulla di più che abbandonar questo mondo . E Plinio , nella Storia naturale , lamenta che la sorte degli uomini sia più grave assai che quella dei bruti , a cagione dei bisogni spirituali che hanno quelli e non questi , e delle angustie che essi procurano , ignote agli animali inferiori . La storia di Cleobi e Bitone , narrata da Erodoto , e le preghiere di Trofonio e Agamede ad Apollo , e la favola di Sileno che insegna a Mida non nasci homini longe optimum esse , Proximum autem quam Primum mori , e sentenze di Euripide e di tanti altri poeti greci , e ricordi della classica antichità si confondono coi lamenti di Salomone sulla vanità della vita e sulla superiorità del dì della morte a quel della nascita , col pianto di Giobbe che vede la brevità e rapidità della vita concessa all ' uomo come a mercenario straniero del mondo , ombra fugace che non può intendere il perché del suo nascere ; con la trattazione sistematica di S . Ambrogio De bono mortis , e con quella anche più fosca di papa Innocenzo . Il quale , dopo , aver accennato a quella vile e putrida condizione dell ' embrione , continua osservando che la prima espressione del dolore ond ' è assalito l ' uomo in sul nascere , è il pianto con cui egli s ' annunzia . E il verso che allora cantavasi ( « vulgarem illum et decantatum versum » ) Dicentes heu vel ha quotquot nascuntur ab Eva gli pare una conferma di questo pensiero , e gli suggerisce una curiosa etimologia dello stesso nome di Eva , che avrebbe meritato di così chiamarsi quasi unione delle due interiezioni del dolore ( heu , ha ! ) . Su questi e simili fondamenti , dice con bonaria ironia il buon Giannozzo , solidi e ottimi , come a lui sembravano , buttati lì comunque , papa Innocenzo costruisce : per nuditatem , per periculos , per senectutem , per varios mortalium labores doloresque procedit . Il Manetti risponde ai singoli capi di questa pessimistica dottrina dell ' uomo . E comincia dal richiamare l ' insegnamento di tutti i dottori cattolici , che dicono il corpo umano essere stato fatto di fango , perché nell ' uomo ci fosse il principio della morte e della immortalità , e morire egli quindi potesse se avesse peccato , come avvenne . sicché la morte e tutte le sofferenze fisiche non appartengono in proprio alla natura del corpo , poiché dipendono dal peccato : l ' uomo , pur che avesse voluto , avrebbe potuto non morire . E dunque , « omnes prophanorum et sacrorum scriptorum conquestiones et lamentationes de laudatione et bono mortis et de reliquis incommoditatibus suis deficere cessareque deberent » . La morte è sì un male ; ma un male voluto dall ' uomo . È vero che ciò non toglie che , da quando nasce , l ' uomo sia sottoposto a questa legge della morte e delle tribolazioni che la preannunziano ; ma bisogna pur riconoscere che la somma dei piaceri supera nella vita la somma dei dolori . « Nulla est enim , mirabile dictu , hominis operatio , si diligenter et accurate eius naturam adverterimus , ex qua ipse saltem non mediocriter oblectetur » . Non c ' è senso , il cui esercizio non sia fonte di godimento ; e diletto arrecano l ' immaginazione , il giudizio , la memoria , l ' intelligenza , pur che si sappia goderne , e profittare degli antidoti che la stessa natura ci offre a tutte le cause di dolore : la provvida natura , che col piacere attrae noi , come gli animali , all ' adempimento di tutte quelle funzioni che servono alla conservazione degl ' individui e della specie . Debole certamente e fragile il nostro corpo ; ma , nella sua delicata ammirabile complessione , quale si conveniva al ricettacolo dell ' anima . Che importa che l ' elemento , onde fu tratto il corpo dell ' uomo , sia da meno di quelli che fornì la materia alle altre creature ? Tutte le altre sono inanimate o appena dotate di senso . E l ' uomo , questo animale ragionevole , provvido , sagace , mostra di possedere materia ben più nobile d ' ogni altra animata creatura e delle stesse stelle del cielo , poiché nel suo corpo possiede lo strumento più adatto a fare , a parlare , a pensare , a tutto ciò a cui quegli altri esseri non pervengono : materia tanto più nobile , quanto più vile essa è per se medesima , e nobilitata quindi ed esaltata dal corpo umano che essa entra a formare . E basta tale risposta all ' addebito mosso alla natura del nostro corpo . Quanto all ' anima , a quegli « ebeti » e quasi « corpulenti e pingui » filosofi , che la vogliono morta col corpo , il Manetti si contenta di ricordare ciò che nel secondo libro ha detto a dimostrazione dell ' immortalità , aggiungendovi qualche altro luogo delle Tusculane , per affrettarsi quindi a rispondere a ciò che si dice dell ' uomo in complesso . E per cominciare dal contrapporre autorità ad autorità , gli par convenga prima di tutto rammentare quelle parole della Scrittura , che dicono valde bona tutte le cose create da Dio : poiché il meglio del mondo è l ' uomo ; e non è possibile perciò che ei non sia nel migliore stato che si possa desiderare . E ciò è confermato da quell ' osservazione di Agostino : « Sicut melior est natura sentiens etiam cum dolet , quam lapis qui dolere nullo modo potest ; ita rationalis natura praestantior etiam misera , quam illa quae rationis vel sensus est expers , et ideo in ea non cadit miseria . Quod cum ita sit huic naturae , quae in tanta execellentia creata est , ut licet sit ipsa mutabilis , inhaerendo tamen incommutabili bono , id est summo bono , beatitudinem consequatur , nec expleat indigentiam suam nisi utique beata sit , eique explendae non sufficiat nisi Deus , profecto non illi adhaerere vitium est » . Socrate , Cleombroto , Catone furono indotti al dispregio della vita non dal senso delle sue calamità , sì dalla speranza dell ' immortalità . Se così non fosse , non sarebbero da vero da lodare : ché sfuggire e sottrarsi alle difficoltà e ai dolori non è da uomo forte e magnanimo , anzi da molle e snervato . E alle tristi parole di Salomone nell ' Ecclesiaste , poiché secondo le diverse condizioni degli uomini egli si è espresso diversamente , sono da opporre quelle che egli pure dice dell ' uomo in calce a quel libro : « Ibit in domum aeternitatis suae .... et spiritus redeat ad Deum , qui dedit illum » . Così , se una volta ei loda più i morti che i vivi , e più felice stima chi non è ancor nato e non ha visto i mali che son sotto il sole , ecc . , altre volte invece scrive che è meglio un cane vivo che un leone morto , ovvero : « Vade ergo , et comede in laetitia panem tuum , et bibe cum gaudio vinum tuum , quia placent Deo opera tua » . Contraddizioni , che fecero dubitare gli antichi dottori della chiesa ebraica , se l ' Ecclesiaste fosse da accogliere nel canone delle sacre scritture ; e poco mancò non venisse bruciato . Le lamentazioni di Giobbe poi sono dal sapiente Elia redarguite così da cedere alle affermazioni contrarie . E se sant ' Ambrogio e altri dottori della Chiesa si compiacquero in abbassare di tanto la condizione della vita e lodare la morte , ciò fecero per esaltare lo stato delle anime buone dopo morte . Messe pertanto da parte le autorità , si può venire alle ragioni di Innocenzo III . Ma quelle tali fondamenta del suo edificio fanno venire sulle labbra al Manetti parole poco rispettose verso il pontefice : « Quae profecto talia sunt ut , nisi me debita summi Pontificis reverentia , quemadmodum ait poeta noster , contineret , levia quaedam et puerilia et a pontificia et apostolica gravitate longe aliena esse contenderem » . E dimostra in quali spropositi il papa sia incorso nello spiegare il nome di Eva e il suo primo nome virago , traduzione dell ' ischa ebraico , per essere affatto digiuno di quella lingua e non avere né pure attentamente badato al modo tenuto da Girolamo nel tradurre questi luoghi del Genesi ( II , 23 e III , 20 ) . Della minuta confutazione , che il Manetti imprende a fare degli argomenti papali , basterà per altro qualche esempio . Le erbe e gli alberi , aveva detto Innocenzo , producono fiori , fronde e frutta ; e tu , uomo , che produci ? « Lendes , pediculos et lumbrices ! » . Dalle piante si ricava olio , balsamo ; e da te , invece , sputi e peggio ; onde quelle spiran di sé odori soavi , e tu mandi fetore abbominevole . - - E così , dice il Manetti , « in reliqua huiusmodi spurcitiis foeditatibusque referta procedens late copioseque prosequitur , quae decoris honestastisque gratia impraesentiarum omittamus » . Ma a queste né belle né pulite obbiezioni si può rispondere che il paragone è assurdo ; perché d ' ogni albero il frutto proprio è quello che egli produce per la sua stessa natura . « At proprii hominis fructus non sunt foeda illa et superflua spurcitiarum et foeditatum genera superius allegata , sed potius multiplices intelligendi et agendi operationes fructus habentur et sunt , ad quas homo , sicut arbor ad fructificandum , naturaliter nascitur » . Lo stesso idealistico concetto della umana natura informa la risposta del Manetti all ' altro gran lamento d ' Innocenzo e di tanti circa la brevità della vita . Questa , egli osserva , è lunga quant ' è necessario affinché l ' uomo adempia i fini della sua natura . Più lunga fu nei primi tempi dell ' umanità , quando tutto il mondo quasi era ancora da formare : le stirpi da propagare , le città da edificare , le scienze e le arti da trovare . poiché questo mondo umano ci fu , la vita dell ' uomo cominciò a poco a poco a decrescere , in guisa tuttavia che sempre bastasse , e sempre basti al compimento del suo destino . « Satis enim ad nostra propria intelligendi et agendi officia , et ad bene beateque ivendum , superque satis et olim vivebamus et nunc vivimus » . A tutti i mali , infine , che affliggono il corpo dell ' uomo , il Manetti , di fronte al pontefice e di fronte a ogni buon cristiano , ha ragione di opporre lo stato di perfezione che a tutti i corpi competerà in virtù della finale risurrezione e , da ultimo , la visione dei gaudii celesti che ci attendono al di là di questa vita mortale . Visione che , per altro , e questo è il nuovo del Manetti , non alletta e non attrae così fortemente l ' animo dell ' uomo , da fargli perdere il gusto di questa vita terrena , e da impedirgli l ' intendimento del valore immanente di essa . Ma giova soltanto a giustificargliene i difetti , e a rendergli possibile un razionale apprezzamento non pur del principio spirituale dell ' uomo , astrattamente concepito , bensì di tutto l ' uomo , spirito e corpo : che non è più la bruta materia , la carne e il fango del medio evo , ma il corpo dell ' uomo , lo strumento delicato e complicato delle sue privilegiate funzioni spirituali . Quel che preme sopra tutto allo scrittore , è di cancellare dall ' idea dell ' uomo ogni nota di debolezza e d ' inferiorità , che possa comunque offuscare l ' alta coscienza ch ' egli ha , e che deve avere , della sua posizione nel mondo , al di sopra di tutta la natura . X A raffigurare l ' uomo in questa sua eminente signoria sugli esseri naturali anche il Manetti si rifà , nel primo libro , dalla statura eretta dell ' uomo e dai versi di Ovidio , che introduce con le parole stesse con cui allo stesso proposito li aveva citati Lattanzio . E per descrivere la mirabile struttura delle singole parti del corpo non crede si possa far meglio che riferire le pagine in cui questo argomento avevano già trattato quei due divini uomini e luminari della lingua latina , Cicerone e Lattanzio . Ma riprende quindi per proprio conto il motivo iniziale , per correggere quasi il classico significato trascendente dell ' opposizione tra il corpo dell ' uomo e quello degli altri animali , osservando : « Figura ceterarum omnium nobilissima ita intuentibus apparet ut de ea nullatenus ambigi dubitarive possit . Nam sic rigida et recta est , ut , cunctis aliis animantibus terram pronis depressis , quasi solus eorum omnium dominus et rex et imperator in universo terrarum orbe non immerito dominari ac regnare et imperare videatur » . La filosofia stessa fa consistere l ' essenza o forma dell ' uomo nell ' intelligenza ; e questa esigeva che gli organi dei sensi più sagaci e più nobili , vista e udito , in servigio delle superiori funzioni dell ' anima fossero collocati in posizione più elevata , donde più largamente potessero spaziare sulla circostante natura . Giacché ben altra è la capacità naturale dell ' uomo da quella degli animali . E qui spunta il concetto che riapparirà in Pico , dell ' uomo che solo fra tutti gli esseri naturali è atto a ogni arte che ei voglia . Di che sono strumento e segno naturale nel suo corpo le mani : « Pleraque animalia ad alicuius sive artis sive artificii participationem naturali quodam instinctu inclinata feruntur , quod in araneis et apibus atque hirundinibus et aliis quibusdam solertibus animantibus manifeste deprehenditur . Hoc autem rationale idcirco a natura ita factum itaque institutum esse creditur , ut ad cuiuslibet artis , non ad unius solius perceptionem , aptius habiliusque oriretur : si enim homo ad certam quandam artem , ceu de araneis et apibus dicitur , a natura instinctus accepisset , profecto quemadmodum illis animalibus contigisse videmus , ceteris pene omnibus exercitiis et professionibus caruisset . Et vero ei datae et exhibitae fuerunt manus , ut per huiusmodi non inanimata , sed quasi viva instrumenta et , ut inquit Aristoteles , organorum organa , varia diversarum artium iam perceptarum opera et officia exercere et exequi posset » . Segue una particolareggiata rassegna delle singole parti del corpo , e di ciascuna il Manetti dimostra la corrispondenza mirabile tra funzione e struttura , per conchiudere che ben a ragione gli antichi pagani e i moderni cristiani non hanno saputo meglio rappresentarci la divinità che nelle forme umane ; e ben fu detto microcosmo dai greci questo corpo dell ' uomo , che rispecchia in sé la provvidenziale armonia del mondo . Nel secondo libro il buon Manetti non si sente davvero la forza di affrontare la questione della natura dell ' anima , sbigottito quasi da quel che leggeva nel suo Lattanzio : « Quid autem sit anima , nondum inter philosophos convenit , nec fortasse unquam conveniet » . Si limita quindi a riferire una serie di opinioni attinte al De anima di Aristotele e alle Tusculane , non senza aver notato fin da principio che dopo aver riferito e sommariamente ( leviter ) confutato , occorrendo , le cose dette dai filosofi appoggiati alle sole loro forze naturali , si sarebbe rifugiato presso i teologi ( cui questi misteri si sa che sono stati da Dio rivelati ) , tanquam in unum hunianae salactis Portum , Maggiore interesse ha per noi , la sua maniera di dimostrare l ' immortalità dell ' anima , ch ' egli confida di provare con argomenti razionali , autorità di poeti e filosofi , e « adamantine » testimonianze della Scrittura . Gli argomenti scelti ( pauca e multis , tanquam aliis probabiliora ) sono cinque ; e i primi quattro saranno ripetuti dal Campanella . Il primo è ricavato dall ' uso del fuoco concesso soltanto agli uomini : « Ceterae animantes tribus dumtaxat elementis , quasi ponderosis ac terrestribus , utuntur ; solus vero homo ignem , utpote leve et sublime ac caeleste elementum , sine quo vivere non posset , in quotidianum vitae suae usum adsumit : quo ideo non exiguum , ut ait quidam , immortalitatis argumentum videri debet , quoniam Deum , qui singula quaeque bruta ignis utilitate privavit , hominibus vero tantummodo largitus est , nihil temere ac frustra facere ac operari intelligimus : praesertim cum ad generales quasdam aliquorum , nedum ad cunctas omnium animalium species intendere ac prospicere videatur . Sed cum cetera animalia mortalia efficeret , per hiusmodi elementorum discretionem quae ad viventium usum utilitatemque creaverat , ea ut revera inter se discreverat , ita per hunc diversarum naturarum modum ab invicem discreta , ab illis intelligi voluit , qui subtili ingenio praediti paulo altius a terrenis cogitationibus elevarentur » . Il secondo , tratto da Cicerone , concerne l ' istintiva cura che gli uomini hanno della vita , stimando che essa perdurerà oltre la morte del corpo : « Si omnes viventes homines longe post mortem prospicere ac futuris seculis magnis cum laboribus nec minoribus sumptibus naturali quodam desiderio allecti et instigati , quantum possunt semper prodesse conantur , partim crebris procerarum arborum consitionibus , partim diuturnis magnorum aedificiorum constructionibus , partim continuis filiorum procreationibus , partim denique , ne cuncta in hoc loco complectamur , perpetuis liberalium artium et ingenuarum sententiarum conscriptionibus , ut sunt varia diversorum hominum ingenia , quae omnia Cicero in Tusculanis [ I , 14 ] suis multo latius et uberius prosecutus est , quemadmodum luce clarius constare et apparere dignoscimus , profecto eorum animam immortalem fore iure dubitare et ambigere non possumus ; praesertim cum huiusmodi desiderium cunctis hominibus vel potius humano generi ab ipsa natura , rerum omnium parente , inditum fuisse videafus . Quoniam aliter sequeretur ut innatae eorum animalium , quae Deus prae ceteris nobilitata condidisset , cupiditates appetitionesque evanescerent » . Il terzo si fonda sulla naturale aspirazione dell ' uomo alla felicità , che non può né anch ' essa ritenersi vana : « Eosdem quoque homines , natura duce , felicitatem appetere videmus , quam nullatenus nisi per animae dumtaxat immortalitatem adipisci et assequi possent ; nam , si omnino extingueretur , quonam modo felices viderentur , intelligere excogitareque nequimus : praesertim cum in hac vita mortali , ob singularem quamdam eius varietatem , nullatenus beati esse valeamus . Itaque similiter vana et stulta naturae cupiditas et appetitio resultaret » . E il quarto sull ' innato desiderio universale della immortalità : « Omnes insuper naturali et innata voluntate immortales fore exoptamus et cupimus ; sed huiusmodi nostra voluntas , quam philosophi appetitum cum ratione definierunt , omnino falli decipive non potest . Quod si eveniret , in idem utique inanis cupiditatis naturalis absurdum laberemur . Quae quidem quoniam impossibilia sunt ac naturae ipsi plane et aperte repugnare cernuntur , profecto animas una cum corporibus interire , falsum esse convincitur » . A questi argomenti il Manetti aggiunge quell ' altro della tradizionale teodicea , che sarà combattuto dal Pomponazzi e che il Campanella , come abbiamo visto , potrà quindi considerare accessorio : « Quod si fieri potuisset , ut animae simul cum corporibus interirent , porro Deum iniustum fuisse manifeste concluderetur . Nam magna quaedam perditis hominibus quorumcunque malorum facinorum praemia , vel divitias vel honores ac potentatus et regna , indignissime simul atque iniquissime largiretur : viris vero probis atque optimis , qui cuncta haec quae bona appellare solemus , frivola et inania contempserunt , autque inediam , parsimoniam , verbera , aculeos et singula quaeque corporum tormenta sponte sua susceperunt , ut caelestem illam ac beatam et immarcescibilem vitam nanciscerentur , non modo dignam laborum mercedem non praeberet , sed pro operibus iustis glorioseque gestis cunctas huius humanae vitae miserias , cruciatus , neces tribueret : quo quid absurdius dici excogitarive possit nequaquam intelligere valemus » . Tralasciamo pure le testimonianze profane e sacre atte a confortare questa fede nell ' anima immortale . Guardiamo piuttosto alle manifestazioni terrene e attuali della potenza superiore di questa spirituale natura dell ' uomo . Tra i miracoli dell ' umana possanza il Campanella esalterà quello della navigazione ; e il Manetti un secolo e mezzo prima di lui scriveva : « Ut a levioribus incipiamus , quanto et quam mirabili ingenio praeditum Iasonem Argonautarum principem fuisse existimamus , quando primum illud navigiurn construxit , quo Argonautae eius collegae vecti horrisonum mare ingredi atque horribiles saevi pelagi fluctus secure et intrepide , incredibile dictu , transire ausi sunt ? Id cuique ita mirabile videri poterat , ut unumquemque videntem in sui admirationem compulisset ceu ille apud Actium poetam pastor , qui navem nunquam antea vidisset , ut procul divinum et novum illud vehiculum ex alto conspexit , perterritus et admirabundus hoc modo loquebatur : tanta moles labitur Fremebunda ex alto ingenti sonitu et strepitu Prae se undas evolvit , et reliqua . Huius modi navigandi artificium paulatim per multa temporum momenta , usque ad hanc nostram aetatem ita excrevisse videmus , ut in miraculum usque processerit . Nam non modo Britannicum et Glaciale Oceanum , ut inquit Poeta , quotidie navigare consueverunt , sed etiam in intimam pene Mauritaniam , ultra terminos antea navigabiles , nuper penetrare contenderunt , ubi plures cultas et habitatas insulas penitus antehac incognitas repertas fuisse audivimus » . Ricorda il Manetti le più grandi e celebri opere dell ' arte umana : per es . le piramidi d ' Egitto e la cupola del Brunelleschi ; e poi quegli stessi meravigliosi dipinti di antichi pittori , sui quali si rifarà con lo stesso intento , come s ' è visto , Marsilio Ficino : Zeusi , che ritrasse l ' immagine parlante di Elena ; Apelle che « equam canemque tales depinxerat , ut equi canesve transeuntes , viva quasi imagine capti allectique , interdum hinnire ac latrare cogerentur , quoniam ea animalia vera esse existimabant , quae in pariete picta in propatulo cernebantur » . Ed Eufranore , che con tant ' arte ritraeva sulla parete i grappoli d ' uva fresca , che gli uccelli andavano a battervi col becco . Ma insieme con questi antichi non esita a rammentare Giotto , le cui opere a Roma , a Napoli , a Venezia , a Firenze stanno a gareggiare con i capolavori più celebri dell ' antichità . E coi pittori ecco gli scultori ad attestare la sublime potenza dell ' ingegno umano ; giacché , per ricordarne uno , Prassitele , « Venerem in quodam Indorum templo marmore ita venuste expressit , ut vix a libidinosis transeuntium conspectibus tuta et pudica servaretur » . E per passare ad altiora et libeyaliora ingenuayum aytium monumenta , che dire dei grandi poeti greci e latini ( poiché da buon umanista il Manetti dimentica i moderni ) i cui poemi e le cui fantasie dovettero richiedere tanta forza d ' ingegno che non erano possibili sine aliquo caelestis mentis instinctu ? Aggiungi tanti celebri storici , oratori , giureconsulti e filosofi , scrutatori meravigliosi di tutti i segreti della natura , che consegnarono alle lettere greche e latine le loro acute sottili meditazioni . E tacciamo dei medici che soccorrono , coi loro ingegnosi trovati , ai corpi infermi . Ma quel che più colpisce il Manetti , come poi il Ficino e il Campanella , è la gran prova che l ' ingegno umano dà di sé nell ' astronomia , che lo solleva al cielo : « Astrologi insuper , motus conversionesque siderum , ortus obitusque signorum et planetarum magna cum attentione suspicientes , in tantam eorum cognitionem pervenerunt , ut varias Solis Lunaeque eclipses defectionesque multo ante praedicerent , et futuras frumentorum , olei , vini ubertates , inopiasque praenoscerent Quales multos et in primis Thalem Milesium , qui ob magnani quandam olei emptionem , cuius penuriam per astrologiam futuram esse praeviderat , ex paupere dives effectus est . Et Archimedem Syracusanum extitisse tradunt , quem diversos Lunae , Solis ac quinque errantium stellarum motus in sphaera nescio qua ab eo mirabiliter fabrefacta ita illigasse dicitur , ut omnes eorum dissimillimos motus , mirabile dictu , una regeret conversio . De quo Lactantius eleganter in secundo Divinarum Institutionum libro ( cap . 5 ) verba haec ponit : ' An , Archimedes Siculus concavo aere similitudinem mundi ac figuram potuit machinari ? in quo ita Solem Lunamque composuit , ut inaequales motus et caelestibus similes conversionibus singulis quasi diebus efficerent , non modo accessus Solis ac recessus , vel incrementa diminutionesque Lunae , verum etiam stellarum errantium vel vagantium dispares cursus orbis ille dum vertitur exhiberet ' » . Anche pel Manetti però la più alta vetta che si tocchi dall ' ingegno dell ' uomo è la speculazione del divino , propria dei teologi ; i quali , giovandosi della rivelazione dei profeti , si addentrano nei più riposti misteri dell ' occulto invisibile e incomprensibile , in guisa da non lasciar dubbio che l ' animo loro debba rassomigliarsi a Colui che in cielo , in terra , in mare , per tutto ha creato questo mondo di cui essi posseggono la più alta dottrina . « Unde qui haec et cetera huiusmodi conspexisse putantur , hi profecto docuisse perhibentur similem animum suum Eius esse , qui ea sive in caelo sive in terra sive in mari totove mundo fabricatus esset » . Della stessa natura divina della nostra anima rendono testimonianza la memoria e la volontà . La memoria coi suoi portenti , onde son celebrati tanti illustri uomini antichi ; portenti possibili in vero per l ' arte dagli uomini stessi inventata a estendere e rafforzare il naturale potere della memoria ; onde l ' uomo può non solo tutto intelligere , ma cuncta quae intellecta essent meminisse , E la volontà con la sua libertà , onde l ' uomo può volgersi al bene e rifuggire dal male . Detto così della natura corporea e di quella spirituale dell ' uomo , il Manetti s ' è aperta la via a trattare del posto che spetta all ' uomo nel mondo . Con l ' origine del quale s ' intreccia quella dell ' uomo . E il Manetti sa quante dottrine materialistiche e panteistiche sono state professate da grandi filosofi , con le quali non sarebbe dato conciliare il suo concetto dell ' uomo . Ma a tutte le difficoltà derivanti dall ' alta filosofia egli si sottrae con una modesta dichiarazione di sincero credente : « Nos , quamquam homunculi et ignari simus , praesertim si cum tantis ac tam magnis philosophis comparemur , per Sacras tamen Scripturas caelitus edocti et divino quodam splendore illuminati , contra falsam gentilium ethnicorumque virorum sapientiam dicere ac disserere praesumentes , mundum ab omnipotenti Deo ex nihilo creatum et gratia hominis constitutum asserere et confirmare non dubitamus » . Non si ferma per altro a dire che crede perché crede . La stessa struttura razionale di questo mondo svela al suo sguardo una finalità . Ora , non si dirà che il mondo sia fatto per se stesso . Perché nel mondo , cioè nella natura , non c ' è senso ; e senza senso non c ' è bisogno cui sia da soddisfare . Né si può dire che il mondo sia stato fatto per Dio ; perché questi avrebbe potuto e potrebbe fare a meno del mondo , come , si sa , ne fece a meno prima della creazione . La natura bruta è indirizzata all ' anima , e quindi al più alto degli esseri animati , al quale tutti gli altri servono di strumento : « Relinquitur ergo , animarum causa mundum esse constructum , cum rebus ipsis ex quibus constat animantes ipsas uti videamus , quatenus , per praedictum earum rerum usum sese conservare , ac per hunc modum degere et vivere valeant . Si ceteras igitur animantes hominis tantummodo causa factas esse apparent , mundum utique hominis dumtaxat gratia a Deo factum et constitutum fuisse concluderetur , quoniam ipsum propter animantes factum et eas propter hominem factas dicimus . At hoc ipsum ex eo certum esse declaratur , quod omnia quaecunque facta sunt , soli homini deservire ac mirum in modum famulari , meridiana ( ut dicitur ) luce clarius conspicimus : quo quidem probato vereque concesso , hominem cuius gratia mundum creatum confitemur , utique a Deo factum fuisse manifestum est » . Nell ' uomo , l ' opera più perfetta di Dio , si rispecchia la divinità dell ' artefice . Si rispecchia nella sua natura , nel suo ufficio , nel fine al quale è destinato . La natura dell ' uomo , invero , compendia in sé e riassume tutte le bellezze sparse ne ' vari ordini dell ' universo ; ma si appalesa nella sua potenza creatrice , che è la virtù mirabile del suo ingegno , Il mondo , sì , è creato da Dio ; ma dopo primam illana novam ac rudem mundi creationena , si può dire che tutto sia opera e trovato dell ' acume stupendo dell ' umana mente . Onde il vero mondo è nostro : « Nostra namque , hoc est humana , sunt , quomam ab hominibus effecta , quae cernuntur : omnes domus , omnia oppida , omnes urbes , omnia denique orbis terrarum aedificia , quae nimirum tanta et talia sunt , ut potius angelorum quam hominum opera , ob magnam quandam eorum excellentiam , iure censeri debeant . Nostrae sunt picturae , nostrae sculpturae , nostrae sunt artes , nostrae scientiae , nostrae ( vel volentibus vel invitis Academicis , qui nihil omnino a nobis , nescientia , ut ita dixerim , dumtaxat excepta , sciri posse arbitrabantur ) sapientiae . Nostrae sunt denique , ne de singulis longius disseramus , cum prope infinita sint , omnes adinventiones , nostra omnia diversarum linguarum ac variarum literarum genera , de quarum necessariis usibus quanto magis magisque cogitamus , tanto vehementius admirari et obstupescere cogimur » . La lingua non è un dono naturale che sia stato fatto all ' uomo , secondo il Manetti : bensì « subtile quoddam et acutum artificium » : creazione umana , al pari della scrittura che l ' uomo inventò quando ebbe bisogno di comunicare i propri pensieri agli assenti . La inventò al pari di tutti i prodotti svariati della tecnica : « Nostra sunt denique omnia machinamenta , quae admirabilia et pene incredibilia humani vel divini potius ingenii acies ac acrimonia singulari quadam ac praecipua solertia moliri fabricarique constituit . Haec quidem et cetera huiusmodi tot ac talia undique conspiciuntur , ut mundus et eius ornamenta ab omnipotenti Deo ad usus hominum primo inventa institutaque , et ab ipsis postea hominibus gratanter accepta , multo pulchriora mulloque ornatiora ac tonge politiora effecta fuisse videantur » . Così intendiamo perché i primi popoli adorassero come dèi i primi inventori delle arti . Essi infatti continuano l ' opera della creazione divina e portano a perfezione e compimento il mondo uscito dalle mani di Dio . Né l ' uomo si limita quasi a sopraedificare sul fondamento della natura . Con la sua sapienza ordina e governa e volge a ' propri fini le stesse creature naturali : « Homines enim , velut omnium domini , terraeque cultores , variis eam diversisque operibus suis mirum in modum coluerunt , atque agros et insulas littoraque terris et urbibus distinxerunt . Quae si ut animis , ita oculis videre atque conspicere valeremus , nemo cuncta uno aspectu intuens , ullo unquam tempore admirari atque obstupescere desisteret » . E come da una parte la sapienza si volge con le virtù speculative a Dio , oggetto supremo d ' ogni sapere , così con le virtù pratiche si riversa sui naturali appetiti dell ' anima , e fonda e regge il mondo morale . La umana volontà , d ' altra parte , non si chiude nel dominio tutto spirituale della vita morale , ma si afferma anch ' essa sulle cose di natura e fa del mondo una cosa , una proprietà dell ' uomo . Giacché nostre son tutte le regioni della terra , le montagne e le valli , le piante e gli animali , le fonti e i fiumi , i laghi e i mari : tutte le creature innumerevoli che con le loro svariate infinite differenze , proporzionate ad ogni sorta di nostri eventuali bisogni , stanno anch ' esse a parlarci di quella Provvidenza , che gli Epicurei si argomentano di negare . L ' uomo , in conclusione , unctis quae creata sunt sua voluntate uti propriaque voluntate dominasi et imperare potest , umana signoria alla quale il Manetti non dimentica di annettere , come il Campanella , quei poteri magici e miracolosi e soprannaturali , che la religione riconosce nei santi e nei suoi ministri . Questo il carattere che distingue la prima forma del concetto del regnum hominis , tutta propria del nostro Rinascimento , dalla forma in cui lo stesso concetto riapparirà e si farà valere per opera di Bacone . Giacché pel filosofo inglese questa signoria dell ' uomo è conquistata per mezzo del sapere scientifico , che conferisce all ' uomo il dominio delle forze naturali : laddove pel Campanella , come pel Manetti , questa posizione privilegiata dell ' uomo è ancora un regno per grazia di Dio , il quale conferisce all ' uomo immediatamente così l ' uso delle forze naturali come quello delle soprannaturali . Un regno , in cui si comincia a intravvedere l ' iniziativa creatrice e autonoma dell ' uomo ; di questo quidam mortalis deus , come , con frase ciceroniana , dice anche il buon Giannozzo ; ma orientata sempre verso la realtà trascendente , a cui l ' uomo con la virtù e colla conoscenza deve tornare : poiché il suo fine è sempre di là dalla stessa vita , dove si celebra questa sua divina natura in cui il pensatore della Rinascenza si esalta . L ' uomo ( è ancora il Manetti che parla ) non ha il suo fine in Dio , ma in se stesso ; e mal si può credere in questa parte a Lattanzio , che Dio abbia fatto , come il mondo per l ' uomo , così l ' uomo per Dio , « tanquam divini templi antistitem , spectatorem operum rerumque caelestium » . Né meglio ha pensato Agostino « quippe Deum ob immensam eius bonitatem , non sua utilitate ( scriptum est enim , quoniam bonorum nostrorum non eget ) sed potius hominis causa hominem fecisse putat » . Ma , quando si va a vedere come viene poi inteso questo fine umano dell ' uomo , ecco il buon Giannozzo sfuggire con gran premura ogni contatto coi peripatetici , coi platonici , cogli stoici e quanti altri filosofi d ' altro indirizzo ci sono stati ( tanquam nocturnos quosdam obscurae et abstrusae veritatis indagatores ) . Eccolo a rifugiarsi sollecito nell ' unico porto tranquillo e sicuro che ci sia , per sottrarsi ai flutti della tempesta : « Fecit igitur Deus hominem , ut per quandam admirabilium operum suorum intelligentiam certamque cognitionem eorum opificem recognosceret et coleret » . Sarà anche la soluzione di Marsilio e di questa corrente filosofica , alla quale pure si deve la scoperta del valore dell ' uomo , fino al Campanella . IV LEONARDO I Modello dell ' uomo vagheggiato e teorizzato dagli uomini del Rinascimento , nella sua ricca e possente personálità , tutta forza e intelligenza , governata da un supremo ideale d ' arte , fu nel maggior fiore del Rinascimento stesso Leonardo : il « divino Leonardo » degli scrittori del Cinquecento . Noi lo considereremo qui come filosofo , nei concetti dominanti della sua grande personalità . Certo , se per filosofo s ' intende chi abbia scritto dei libri per dare una soluzione almeno di qualcuno dei problemi filosofici , o una trattazione sistematica d ' una dottrina appartenente al sistema della filosofia , Leonardo non fu un filosofo . Nei suoi manoscritti non si troverebbero insieme due pagine di argomento filosofico . - - Se per filosofo s ' intende chi , come il Socrate di Platone , sdegnando quei discorsi muti e quasi morti che sono consegnati alle carte e vi restano muti , incapaci di rispondere alle inattese difficoltà e alle sempre nuove domande del lettore , non abbia mai scritto di filosofia , ma abbia tuttavia suscitato con l ' insegnamento vivo una scuola , che ne ha perpetuato e fecondato il pensiero , promovendo così un moto spirituale , che da lui ripeta la sua prima origine , Leonardo non fu un filosofo . I suoi scolari ammirarono in lui l ' artista , il sommo artista ; il movimento filosofico del Cinquecento , non solo non fa capo a Leonardo , ma ne ignora il nome . - - Se per filosofo s ' intende chi , senza scrivere o insegnare una dottrina filosofica , viva seco stesso d ' un pensiero concentrato nella speculazione dell ' essere , tormentato dal senso del mistero , incurioso di quanto possa distoglierlo da questo senso , o non giovi ad appagare il suo bisogno d ' un concetto universale della vita , Leonardo non fu un filosofo . Il suo spirito è dominato da molti interessi teoretici e speculativi , anzi si può dire attratto da tutti i problemi della scienza , ma è retto nel profondo dall ' istintiva vocazione dell ' artista , dal desiderio sempre inesausto della visione pittorica , dei colori e delle linee , dalle quali traluce l ' anima umana . Se in fine per filosofo s ' intende chi , comunque , venga incontro al bisogno che tutti ci assale quando cominciamo a riflettere sulle contraddizioni palesi di quel pensiero ( cui pure per solito ci abbandoniamo , sospinti dalla necessità di vivere rapidamente la nostra vita ) e , sentendone il doloroso disagio , aspiriamo a un concetto che componga e concilii i contrasti , e ci restituisca la pace interna , la fede e la forza della coscienza ; ci venga incontro , e ci dica una parola luminosa , rischiaratrice a noi di un nuovo orizzonte , Leonardo non fu un filosofo . Dalle sue carte non possiamo attingere il conforto che desideriamo dai filosofi , quando , per esempio , ci accorgiamo di vivere ora presupponendo che tutto si riduca a questo mondo materiale che ci sta innanzi , e che non sappiamo concepire se non come un mondo meccanico in cui niente accada senza una causa , né c ' è causa che possa non produrre comunque il suo effetto ; ora osservando che nel mondo ci sono pure gli uomini , ci siamo noi , che non possiamo affermare il valore della nostra personalità con le sue esigenze imprescindibili e coi suoi ideali imperituri ed eterni senza attribuirci una libertà che ripugna all ' universale meccanismo dianzi ammesso ; - - o quando avvertiamo la coesistenza nel nostro petto di due anime radicalmente opposte tra loro , con una delle quali ci par di vivere una vita che rifletta , attraverso le mille e mille sensazioni affollantisi a ogni istante nella nostra coscienza , il turbinio delle forze circostanti , e con l ' altra di crearci da noi la nostra vita spirituale , d ' infamia o d ' eroismo , di godimento o di sacrifizio , di senso brutale o di sublime aspirazione a un ideale infinito ; - - o quando , svegliatici a un tratto da quel quasi sogno che è la ingenua vita dell ' uomo pratico , notiamo che questa vita ondeggia di continuo tra un concetto secondo il quale tutto trapassa e muore , non solo le cose che mutano incessantemente sotto i nostri occhi , ma noi stessi , che ci sentiamo ad ora ad ora venir meno di dentro i nostri affetti , le nostre passioni , le nostre convinzioni , tutto l ' esser nostro corrente dalla nascita alla morte , come onda dell ' oceano destinata a infrangersi sul lido , - - e un altro concetto , onde noi , nel nostro essere più profondo , contempliamo tutte queste cose della sterminata natura trasmutabile per tutte guise e lo stesso animo nostro in movimento continuo dall ' alba della prima infanzia al meriggio dell ' età matura e al mesto crepuscolo della nostra sera , noi con la nostra santa verità , con la bellezza eterna dei nostri fantasmi , col frutto immarcescibile della buona volontà che è nostra , non possiamo perire , perché partecipi dell ' immortalità delle cose divine . Ebbene , quando noi sostiamo innanzi a questi angosciosi problemi , e ci domandiamo : ma dunque , che cosa dobbiamo pensare di questa vita , che viviamo di conserva , noi e le cose , in una società , in un tutto , dal quale non potremmo mai uscire ? e come dobbiamo vivere , sotto qual legge , e con quale fede ? - - , alle nostre domande non troveremo in Leonardo risposta . Non la troveremo , se non vorremo contentarci d ' una semplice affermazione , e cercheremo piuttosto una dimostrazione la quale ci liberi dal sospetto che non sia per avventura da preferirsi l ' alternativa opposta . II Leonardo , dunque , non ha lasciato né opere filosofiche , né una scuola di filosofia ; non è vissuto sotto il dominio sovrano dell ' interesse filosofico , indirizzando a quel segno la somma de ' suoi pensieri . Perciò non ha potuto risolvere nessuno dei problemi , che i filosofi si propongono . Per tutti questi rispetti può dirsi a ragione che Leonardo non appartenga alla storia della filosofia . Ma , soggiungo subito , nello stesso senso né anche Machiavelli , e né anche Galileo , a rigore , vi appartengono ; per prendere due nomi che per vario motivo vanno storicamente congiunti con quello di Leonardo , e che pure si è soliti d ' incontrare nelle storie della filosofia ; poiché tanta infatti è l ' importanza storica del loro pensiero , quantunque entrambi abbiano propriamente atteso a problemi scientifici speciali , estranei al complesso sistematico di quelli che si possono dire propri della filosofia . In verità , la filosofia cesserebbe di esser filosofia , concetto sintetico o , come Platone avrebbe detto , sinottico della realtà in cui si vive , se potesse effettivamente ridursi a lavoro speciale , professionale , di una sola classe degli uomini : dei professori , o magari , degli scrittori di filosofia ! ; se fosse davvero possibile che anime sovrane , geni capaci di svegliare negli uomini e far vibrare tutta la loro umanità , come Leonardo , Dante , Michelangelo , e per restare in Italia , Manzoni , Leopardi , non avessero anche loro , a modo loro , una filosofia ; se la filosofia , insomma , potesse affatto confondersi con tutte le altre scienze , che tali si dicono in senso stretto , e che , ad una ad una considerate , sono forme accidentali , perché avventizie dell ' umano pensiero ! Egli è che in ogni arte e disciplina , si può essere maestri e si può essere soltanto discepoli ; e che in arte , in filosofia , in religione saranno pochi i maestri , ma scolari siamo tutti . sicché in ogni tempo i maestri han potuto parlare , più o meno direttamente , al genere umano , ai dotti e agl ' indotti , ai grandi , cresciuti nella cultura e nella meditazione , e agli umili , ai semplici , ai parvoli : convenendo tutti , maestri e scolari , in una comune , quasi elementare , fondamentale , essenziale umanità ; per cui Platone è uno , ma tutti siamo in grado di leggerlo , e tutti così platonizziamo ( ciascuno , s ' intende , a suo modo , come dimostra il gran numero delle interpretazioni ) . E che varrebbe il sorriso di monna Lisa , se , dopo che fu visto da Leonardo e fermato perciò sulla tela innanzi agli occhi immortali dello spirito , quanti abbiamo occhi e anima , e siamo uomini , non fossimo capaci tutti di guardarlo , vederlo ed esserne conquisi ? egli , maestro , e noi , attorno al suo quadro , scolari , folla sterminata , tutti uno spirito solo , vibrante della medesima commozione , nella stessa intuizione ? Si può non essere maestri in filosofia ; ma non perciò si resta al di qua e al di fuori di essa . Si può , cioè , non essere originale in questa parte ; ma non si può non pensare , o pensare senza filosofia , se è vero che la filosofia non è altro che la forma stessa del pensiero , in cui la realtà , tutta la realtà , perviene alla coscienza di sé . Egualmente , si può non essere originali in arte , e non esser capaci di scrivere una tragedia sofoclea ; ma chi non intenderà il linguaggio di Antigone ? Leonardo in filosofia non è un maestro , come non è un maestro in filosofia Dante . Ma egli , al pari di ogni uomo , ha la sua filosofia ; al pari di Dante , ha una rigorosa filosofia dentro a quella forma in cui il suo spirito grandeggiò . Dante , poeta , è filosofo dentro alla sua poesia ; Leonardo , artista e scienziato , naturalista , matematico ; architetto e ingegnere , è filosofo dentro alla sua arte e alla sua scienza voglio dire che si comporta da artista e da scienziato di fronte al contenuto filosofico del proprio pensiero , che non svolge perciò in adeguata e congrua forma filosofica , ma intuisce con la genialità dell ' artista e afferma con la dommaticità dello scienziato . La sua filosofia , in questo senso , non è sistema , ma è quel complesso d ' atteggiamenti mentali e di idee , in cui si adagiò il suo spirito possente , creatore d ' un mondo di immagini , umane o naturali , e di ordegni e congegni , tutte egualmente espressivi di una ricca e commossa vita spirituale : è la cornice del quadro , in cui egli vide spiegarsi quella infinita natura che era esposta al suo avido occhio di indagatore e costruttore . Volete sorprendere l ' atteggiamento spirituale dell ' artista , che ha fatto della pittura la forma più alta della sua potenza ? Spiate l ' animo che detta quelle parole del Trattato della Pittura , in cui quest ' arte , l ' arte di Leonardo , è messa al paragone della musica . Guardate all ' animo , senza badare troppo al valore della sua dimostrazione : « Quella cosa è più degna , che satisfa a miglior senso ; adonque la pittura , satisfattrice al senso del vedere , è più nobile della musica , che solo satisfa all ' udito . Quella cosa è più nobile , che ha più eternità ; adonque la musica , che si va consumando mentre ch ' ella nasce , è men degna della pittura , che con vetri si fa eterna . - - Quella cosa , che contiene in sé più universalità e varietà di cose , quella fia detta di più eccellenzia ; adonque la pittura è da essere proposta a tutte le operazioni , perché è contenitrice di tutte le forme che sono e di quelle che non sono in natura ; è più da essere magnificata et esaltata che la musica , che solo attende alla voce . - - Con questa si fa i simulacri alli dii ; dintorno a questa si fa il culto divino , il quale è ornato con la musica a questa servente ; con questa si dà copia alli amanti della causa de ' loro amori , con questa si riserva le bellezze , le quali il tempo e la natura fa fugitive » . ce , nell ' infinità del suo universale dominio , delle forme che sono e di quelle che non sono , come si Conviene a una potenza veramente creatrice , che crea perché infinita , e libera nella sua operazione ; e degna perciò veramente di raffigurare all ' uomo la divinità , all ' amante l ' amata , allo spirito , in generale , ogni cosa grande e bella , che esso collochi al di sopra delle cose fuggitive della natura e del tempo . Quest ' arte - - che è per Leonardo la vera arte , la sua - - « tanto più supera » , com ' egli dice , « gl ' ingegni de li omini , che l ' induce ad amare et innamorarsi di pittura , che non rappresenta alcuna donna viva . E già intervenne a me fare una pittura , che rappresentava una cosa divina ; la quale comperata dall ' amante di quella , volle levarne la rappresentazione di tal deità , per poterla baciare senza sospetto . Ma , infine , la coscienza vinse li sospiri e la libidine ; e fu forza ch ' ei se la levasse di casa » . Se la levasse , perché quella che non era alcuna donna viva , ma idea di Leonardo , era pur bella e seducente non meno della più bella donna generata dall ' uomo e creata da Dio : irresistibile , da quanto la più privilegiata delle creature viventi ; miracolo , non della natura , ma dello spirito , come la donna ideale del poeta , l ' eterno femminino splendente alla fantasia dell ' artista e da questa raggiante nella luce di « una cosa divina » , degna che innanzi a lei si pieghino le ginocchia mortali . L ' arte insomma di Leonardo spazia universale con la potenza creatrice onde , attraverso lo spirito umano , Dio gareggia seco stesso , e si svela a se medesimo : svela , mercè l ' opera umana , alla mente degli uomini , come si svela per entro alle forme infinite della sua natura : egualmente possente , eccellente , eterno . Quest ' arte divina è quella di cui si gloria Leonardo : un ' arte , di cui a ragione in se stesso si esalta , come del privilegio attribuito dallo spirito creatore nall ' umana natura . Tale l ' atteggiamento , veramente religioso , del suo spirito artistico . E lo scienziato ? Udiamo da lui con quale animo si appressasse alla misteriosa spelonca nella quale egli , simbolicamente , si rappresenta la natura . « Non fa sì gran mughio il tempestoso mare , quando il settentrionale aquilone lo ripercuote con le schiumose onde fra Scilla e Cariddi , né Stromboli o Alongibello , quando le solfuree fiamme , essendo rinchiuse , per forza rompendo e aprendo il gran monte , fulminano per l ' aria pietre , terra , insieme coll ' uscita e vomitata fiamma ; né quando le infocate caverne di Mongibello , rivomitando il male tenuto elemento , spignendolo alla sua regione , con furia cacciano innanzi qualunque ostacolo s ' interpone alla sua impetuosa furia .... Tirato dalla mia bramosa voglia , vago di vedere la gran con ( fusione ) delle varie e strane forme fatte dalla artifiziosa natura , ragiratomi alquanto infra gli ombrosi scogli , pervenni all ' entrata d ' una gran caverna : dinanzi alla quale restato alquanto stupefatto , e ignorante di tal cosa , piegato le mie rene in arco , e ferma la stanca mano sopra il ginocchio , e colla destra mi feci tenebra alle abbassate e chiuse ciglia : e spesso piegandomi in qua e in là per vedere se dentro vi discernessi alcuna cosa . E questo vietatomi per la grande oscurità , che là dentro era , e stato alquanto , subito si destarono in me due cose , paura e desiderio : paura , per la minacciosa e oscura spilonca ; desiderio per vedere se là entro fusse alcuna miracolosa cosa » . Ecco la natura che Leonardo scruta , con paura e con desiderio : col desiderio di scoprirne i miracoli ; con la paura religiosa che suscita lo spettacolo delle sue forze indomite : stupefatto , piegato le reni in arco , ferma la mano sopra il ginocchio , protesa l ' anima e intenta dalla bramosa voglia . Questa la sua scienza : una ricerca instancabile , senza riposo ; una brama inesauribile di vedere , in uno sforzo costante sostenuto tutta la vita dal sentimento della propria ignoranza e del campo illimitato del sapere . Da una parte , dunque ; l ' artista orgoglioso della sua divina potenza di produrre e di popolare un mondo non meno vivo di questo , che egli trova innanzi a sé ; dall ' altra , lo scienziato che s ' affaccia con religioso terrore all ' entrata della gran caverna , in cui l ' occhio cerca se mai vi possa discernere alcuna cosa ; lo scienziato , nell ' umiltà della propria ignoranza , che è coscienza della vastità infinita dell ' oggetto da conoscere , e dell ' abisso che separa l ' uomo dalla natura . Perché egli lascia manoscritte e incomplete tutte le opere , in cui aveva fatto disegno di comporre in corpo di scienza tutte le sue speculazioni e le sue osservazioni ? Leonardo , l ' eterno insoddisfatto , l ' incontentabile , di cui parlano i suoi più prossimi biografi , è lì , all ' entrata della caverna , tormentato angosciosamente dalla sua bramosa voglia . È al cospetto di quella natura , che non si lascia chiudere in nessun libro , e che avvince piuttosto essa a se l ' uomo , e lo trascina di problema in problema , di ricerca in ricerca , per una via indefinita , dove l ' uomo più va , e più sente di doversi affrettare , sospinto dalla lunghezza del cammino , e non può dire mai : - - Ecco , ora , ho finito ! - - L ' amico , che segnò qualche suo verso smozzicato nei fogli del Codice Atlantico , gli domanda : O Lionardo , perché tanto penate ? Ma Leonardo si volge piuttosto a Dio con la sua Orazione : « Tu , o Iddio , ci vendi tutti li beni per prezzo di fatica » ; e s ' affretta e s ' adopra a spender bene la sua giornata ; alla fine della quale gli arride un lieto dormire , un lieto morire . Né in arte , né in scienza - - che già per lui sono una cosa sola - - egli concepisce forma perfetta , nella quale altri possa posare . « Tristo » , perciò , « è quel discepolo che non avanza il suo maestro » , ma tristo anche quel maestro che innanzi all ' opera sua s ' arresti , pago come innanzi all ' ideale divenuto reale . Son sue queste parole profonde : « Tristo è quel maestro , del quale l ' opera avanza il giudizio suo , e quello si dirizza alla perfezione de l ' arte , del quale l ' opra è superata dal giudizio » . E ancora , scoprendo anche meglio la disposizione d ' animo con cui egli guardava alle creature della sua fantasia e della sua mente indagatrice : « Quel pittore che non dubita , poco acquista . Quando l ' opra supera il giudizio de l ' operatore , esso operante poco acquista ; e quando il giudizio supera l ' opera , essa opera mai finisce di megliorare , se l ' avarizia non l ' impedisse » . E meglio ancora , additando l ' altezza dell ' ideale a cui mira sempre bramosamente : « Quando l ' opera sta pari col giudizio , quello è tristo segno in tal giudizio ; e quando l ' opera supera il giudizio , questo è pessimo , com ' acade a chi si maraviglia d ' avere sì bene operato ; e quando il giudizio supera l ' opera , questo è perfetto segno . E se gli è giovane in tal disposizione , senza dubbio questo fia eccellente operatore , ma fia componitore di poche opere ; ma fieno di qualità , che fermeranno gli uomini con admirazione a contemplar le sue perfezioni » . Poche opere , come accadde al pittore ; o forse nessuna , come doveva accadere allo scienziato , che vivamente sentì con la sua personale esperienza , e testimoniò , la verità del biblico detto , che trascrive nelle sue carte : « La verità fu sola figliola del tempo » . Donde Bacone , e assai più profondamente Bruno e Pascal trarranno ispirazione al concetto del progresso , o meglio della storicità del sapere e d ' ogni altro valore spirituale ; e che Leonardo , da parte sua , commenta altrove : « La sapienzia è figliola della sperienza » ; poiché il tempo che genera la verità è il tempo bene speso , impiegato nella esperienza intorno alla sterminata natura . Sterminata la natura ; irraggiungibile quindi l ' ideale della scienza , arte o speculazione che sia . Leonardo esprime con matematica precisione questo suo concetto dell ' irrealtà dell ' ideale , in cui consiste propriamente l ' idealità dello spirito : « Qual ' è quella cosa » , egli domanda , « che non si dà , e s ' ella si dessi non sarebbe ? Egli è lo infinito . Il quale , se si potessi dare , e ' sarebbe terminato e finito , perché ciò che si pò dare ha termine colla cosa che la circuisse ne ' sua stremi » . La stessa natura , dunque , è infinita in quanto potenza inesauribile , vita eterna e divina , che non è , né sarà mai tutta spiegata , quasi opera pervenuta al proprio compimento e conchiusa . Infinita la natura , infinita l ' arte , la scienza , lo spirito : ma come cose che non si danno . Non parlate dunque di capricci di Leonardo . Egli è trascinato dal suo genio a perseguire l ' infinito , che non si dà , né si tocca ; a inseguire l ' idea che lo fa penare ( « O Lionardo , perché tanto penate ? » ) , sospingendolo senza tregua a correr dietro a questa natura che fugge , e pure è sempre lì , o che egli in sé la ricrei con l ' alta fantasia suscitatrice di una sua natura più vasta , nella mobilità vibratile dell ' anima che la muove , o che studiosamente osservi e contempli quella che si scorge nella esperienza . III Cominciamo da questa , che ci condurrà alla prima . Chi non conosce le benemerenze di Leonardo nell ' esaltazione dell ' esperienza , strumento di certezza e di verità della cognizione , ond ' egli , senza dubbio , precorre a Galileo e Bacone ? E la sua esperienza è la esperienza sensibile . Sua la sentenza , quantunque , come tante altre da lui segnate ne ' suoi manoscritti , possa riflettere cose udite o lette : « Ogni nostra cognizione prencipia da ' sentimenti » . Certamente , alla esperienza sensibile egli si appella combattendo , come altri aveva fatto nel Quattrocento italiano , il principio d ' autorità ancora dominante nella scolastica contemporanea : E giova rileggere alcune note del Codice Atlantico , di significato evidente : « Molti mi crederanno ragionevolmente potere riprendere , allegando le mie prove esser contro all ' alturità d ' alquanti omini di gran reverenza a presso de ' loro inesperti iudizi , non considerando le mie cose essere nate sotto la semplice e mera sperienza , la quale è maestra vera . Queste regole son cagione di farti conoscere il vero dal falso ; la qual cosa fa che li omini si promettano le cose possibili , e con più moderanza ; che tu non ti veli di ignoranza ; che farebbe che , non avendo effetto , tu t ' abbi con disperazione a darti malinconia » . Questa semplice e mera esperienza , che fa discernere il vero dal falso , e insegna agli uomini a contenere le loro aspirazioni dentro i limiti del possibile , è organo di verità , che quasi presuppone una conoscenza da verificare . Ma altrove l ' esperienza ci viene innanzi come la prima maestra , che ci apprende ogni conoscere , ed è la fonte del sapere ; onde la mente , prescindendo da ogni argomento fattizio della tradizione scientifica , ossia da ogni autorità , che secondo la bella immagine del Campanella , è un toccare quasi per mano altrui , è presente , anzi aderisce immediatamente al primo generarsi del vero attraverso alla percezione dei sensi : « Se bene , come loro , non sapessi allegare gli altori molto maggiore e più degna cosa a leggere allegherò allegando la sperienza , maestra ai loro maestri . Costoro vanno sgonfiati e pomposi , vestiti e ornati , non delle loro , ma delle altrui fatiche ; e le mie a me medesimo non concedono . E se me inventore disprezzeranno , quanto maggiormente loro , non inventori , ma trombetti e recitatori delle altrui opere , potranno essere biasimati ! » . Ai recitatori e trombetti delle altrui opere , e insomma agli eruditi , che , fin dal suo tempo , l ' oscuro filosofo di Efeso aveva ammonito che la polimazia non dà l ' intelletto , Leonardo contrappone gli uomini « inventori e ' nterpreti » , che , al paragone dei primi , egli dice , sono quello che l ' obbietto fuori dello specchio è rispetto alla immagine che dell ' obbietto si riflette nello specchio medesimo : dove l ' obbietto è qualche cosa , e l ' immagine niente . L ' inventore , che nella freschezza ed originalità della sua scoperta realizza la cognizione , può dire ai dotti ripetitori del sapere altrui : - - Voi siete gente poco obbligata alla natura , perché l ' abito che portate , l ' umanità che vestite , non vi appartiene in proprio ; e ridotti al vostro , sareste da essere accompagnati fra gli armenti delle bestie . Qui la esperienza non è più la misura logica del conoscere , ma lo stesso conoscere ; il conoscere nella sua originalità , il conoscere certo , al quale si commisura la certezza d ' ogni conoscere secondario o derivato . In questo senso Leonardo combatte i filosofanti del suo tempo ( e d ' ogni tempo ) , che davano del meccanico al sapere partorito dalla esperienza . Ed egli ribatteva nella pagina più tecnicamente filosofica del Trattato della pittura : « Ma a me pare che quelle scienzie sieno vane e piene di errori , le quali non sono nate dall ' esperienza , madre di ogni certezza , e che non terminano in nota esperienzia ; cioè , che la loro origine e mezzo o fine non passa per nessuno de ' cinque sensi . E se noi dubitiamo della certezza di ciascuna cosa che passa per li sensi , quanto maggiormente dobbiamo noi dubitare delle cose ribelli a essi sensi , come dell ' essenzia di Dio e dell ' anima e simili , per le quali sempre , si disputa e contende ! E veramente accade , che sempre dove manca la ragione , suplisse le grida ; la qual cosa non accade nelle cose certe . Per questo , che dove si grida non è vera scienzia , perché la verità ha un sol termine ; il quale essendo publicato , il letigio resta in eterno distrutto ; e s ' esso letigio resurge , la ( è ) bugiarda e confusa scienzia , e non certezza rinata . Ma le vere scienzie son quelle , che la sperienzia ha fatto penetrare per li sensi e posto silenzio alla lingua de ' litiganti ; e che non pasce di sogno li suoi investigatori , ma sempre sopra li primi veri e noti principii procede successivamente e con vere seguenzie insino al fine » . Tralasciamo per ora questi veri e noti principii , da cui si possa procedere con vere « seguenzie » , deduttivamente , fino alla fine , per tutta l ' esposizione logica d ' un sistema scientifico . Vedremo or ora quest ' altro aspetto del sapere , che attrasse l ' attenzione di Leonardo . Intanto , nessun dubbio che intorno agli oggetti esposti al senso non v ' ha per lui , appena si abbandoni la esperienza , altro che sogno . L ' esperienza invece è cognizione vera e certa , perché ha in sé il suo proprio valore , né ha bisogno di essere giustificata e garentita da testimonianze di autorità ; e perché pone fine al litigio , al « grido » delle dispute nascenti dalla varietà delle dottrine , facendo convenire tutte le menti nelle medesime percezioni . L ' esperienza di Leonardo , dunque , non è l ' esperienza di Protagora e dell ' empirismo positivista , che , riducendo la cognizione sensibile alle soggettive impressioni dei sensi , non può ascriverle necessità ed universalità . Per Leonardo , non è sorto ancora il problema della fenomenalità del reale dato dall ' esperienza ; problema che verrà con Galileo . Egli non fa nessuna critica del concetto di esperienza . Ma questo sa chiaramente , che quell ' esperienza che può accertarci della verità , non dev ' essere semplice fatto , o dato accidentale , suscettibile d ' assumere le forme più svariate e di sottrarsi ad ogni possibile determinazione logica che lo fissi come verità . No , l ' esperienza di Leonardo , nella sua ingenua e dommatica oggettività , si solleva al di sopra della semplice contingenza del puro fatto sensibile per assumere carattere e valore razionale . Leggendo nel Codicetto Trivulziano : « I sensi sono terestri , la ragione sta for di quelli , quando contempla » , noi potremmo essere indotti a pensare a Kant , che l ' esperienza fa consistere nel sistema dei dati sensibili formato dall ' attività costruttiva razionale dello spirito , la quale interviene dal di fuori , in certo modo , nella materia fornita dalle semplici sensazioni : Il Prantl si ricordò della ragione o intelletto aristotelico , che parimenti sopraggiunge dal di fuori , date le rappresentazioni sensibili . In realtà , convien pensare - - ce ne avverte quel termine del « contemplare » - - a una dottrina platonica , la quale si ritrova , in una forma che a taluno parve prenunziare il kantismo , nel Teeieto . Ma più che a Platone , convien pensare ai Platonici , tradotti , commentati e resi familiari alla Firenze colta degli ultimi decennii del Quattrocento , dove si sviluppò e formò il genio e il pensiero di Leonardo ; a quei Platonici , che opposero ai sensi terrestri o materiali , e destinati a disfarsi col corpo onde si esercitano , la ragione contemplatrice di una realtà trascendente tutta quella natura corporea , con la quale i sensi ci mettono in comunicazione , e alla quale , per mezzo di essi , apparteniamo . Comunque , se Leonardo ripete cogli Scolastici , che ogni cognizione comincia dai sensi , egli non fa consistere la cognizione , tutta la cognizione , nella esperienza immediata del senso ; ma all ' esperienza immediata contrappone una forma di conoscenza , che chiama ragione , e che giustifica platonicamente , come ragione che è nostra in quanto , prima di tutto , ragione immanente nella stessa natura . Onde delle regole date al pittore può dire : « Queste regole fanno , che tu possiedi uno libero e bonò giudizio , imperocché ' l bono giudizio nasce dal bene intendere , e il bene intendere deriva da ragione tratta da bone regole , e le bone regole sono figliole della bona sperienzia , comune madre di tutte le scienze e arti » . Dunque , esperienza , regole e ragione , la quale dà quel bene intendere , che non si ha quando altri si arresti alla semplice esperienza . « Ricordati » , dice Leonardo a se medesimo ; « ricordati , quando comenti l ' acque , d ' allegar prima la sperienza e poi la ragione » . E nettamente distingue , in un luogo del Trattato della Pittura , il senso dal giudizio che il discorso deve esercitarvi su per avere scienza , mostrando come « li maestri non si fidano nel giudizio dell ' occhio , perché sempre inganna » , e come spetti alla mente di correggere le fallacie del senso . Che se Leonardo schernisce quel matto di filosofo che si trasse gli occhi per non distrarre la mente dalle speculazioni del suo discorso , non sarebbe neppure disposto a rinunziare al discorso della mente , al giudizio , alla ragione contemplatrice , per immergersi tutto nello spettacolo , che si apre agli occhi nella indefinita penombra della natura . « Se tu dirai , che ' l vedere impedisce la fissa e sottile cognizione mentale , co ' la quale si penetra nelle divine scienze ; e tale impedimento condusse un filosofo a privarsi del vedere ; a questo rispondo , che tal occhio , come signore de ' sensi , fa suo debito a dare impedimento alli confusi e bugiardi , non scienzie , ma discorsi , per li quali sempre con gran gridare e menare de mani si disputa ; e il medesimo dovrebbe fare l ' udito , il quale ne rimane più offeso , perché egli vorebbe accordo , del quale tutti i sensi s ' intricano . E se tal filosofo si trasse gli occhi per levare l ' impedimento alli suoi discorsi , or pensa , che tal atto fu compagno del cervello e de ' discorsi , perché ' l tutto fu pazzia . Or non potea egli serrarsi gli occhi , quando esso entrava in tal frenesia , e tanto tenerli serrati , che tal furore si consumasse ? Ma pazzo fu l ' uomo , e pazzo il discorso , e stoltissimo il trarsi gli occhi » . IV Trarsi gli occhi no ; ma né anche la mente , che appunto ci fa intendere sorpassando i confini della semplice esperienza . Questa ci mostra soltanto il fatto , l ' effetto , ma non la ragione per cui l ' effetto ha luogo e non può mancare ; e il fatto , senza la sua ragione , non è oggetto di vera e propria cognizione . La quale intende il fatto in quanto ne scorge la necessità . Talché il fatto è conosciuto davvero solo quando si presenti alla mente nella sua razionalità , come necessità operante nella natura . « La sperienza » , dice Leonardo , « non falla mai ; ma sol fallano i vostri giudizi , promettendosi di quella effetto tale che ne ' nostri esperimenti causati non sono . Perché , dato un principio , è necessario che ciò che séguita di quello , è vera conseguenza di tal principio , se già non fussi impedito ; e se pur séguita alcuno impedimento , l ' effetto , che doveva seguire del predetto principio , partecipa tanto più o meno del detto impedimento , quanto esso impedimento è più o meno potente del già detto principio » . Per lo meno dunque nel rapporto della causa con l ' effetto , per cui non può non seguire questo dove quella s ' avveri , è la necessità o ragione , a cui deve mirare la scienza , e senza la quale l ' effetto è un fatto misterioso e non per anco noto . Più chiaramente : « Ma farò alcuna esperienza avanti ch ' io più oltre procieda , perché mia intenzione è allegare prima la sperienza e poi colla ragione diimonstrare perché tale esperienzia è constrecta in tal modo ad operare . E questa è la vera regola , come li speculatori delli effecti naturali hanno a prociedere . E ancora che la natura cominci dalla ragione e termini nella esperienza , a noi bisogna seguitare in contrario , cioè cominciando ( come sopra dissi ) dalla sperienzia , e con quella investigare la ragione » . Infatti egli stesso osserva altrove , « nessuno effetto è in natura sanza ragione . Intendi la ragione , e non ti bisogna sperienza » . Non diranno , né vorranno di più gl ' idealisti più dominatici , che vagheggeranno una filosofia della natura . E perciò queste ultime parole di Leonardo ho creduto altrove di poter raccostare a quelle , in cui l ' autore della celebre Filosofia della natura , lo Schelling , formulò il concetto di una scienza a priori . La ragione in verità di cui parla Leonardo , è a priori per l ' appunto come l ' idea schellinghiana : da noi non attingibile se non attraverso l ' esperienza ; ma , una volta raggiunta , intelligibile soltanto come un antecedente dei fatti manifestati dall ' esperienza ; e quindi posseduta , anche da noi , come principio che la futura esperienza dovrà necessariamente confermare , ossia mostrare nella sua irresistibile efficacia , ne potrà smentire mai . La ragione di Leonardo non è prodotto , né anch ' essa , dell ' esperienza , bensì un presupposto , che attraverso la stessa esperienza perciò , si scopre come la sua intima sostanza : presupposto , che rende intelligibile la stessa esperienza . Anche Galileo penserà che la verità di cui il nostro intelletto è capace mercè l ' esperienza , è la stessa verità che è a base dell ' esperienza : la verità dell ' intelletto divino , l ' assoluta verità , o il pensiero che l ' uomo , guardando alla natura , e vedendone la razionalità e intelligibilità , è portato ad attribuire a Dio che la natura ha fatta , nella natura realizzando un suo disegno o pensiero . Anche per Galileo l ' intelletto umano , se non per estensione , certo per intensità , o qualità , coincide con l ' intelletto divino , pervenendo a quella ragione delle cose da cui le cose provengono . E poiché ho ricordato Schelling , per definire storicamente il pensiero del Vinci , dirò che così il filosofo tedesco , come Galileo , come Leonardo s ' incontrano in questo concetto di una ragione che è al principio delle cose naturali e al sommo delle investigazioni umane : pensiero , che si fa natura per giungere , da ultimo , alla coscienza di sé nell ' uomo e chiudere il circolo del mondo . Tutti tre appartengono , più o meno , a una medesima corrente ideale , che , come ho già rammentato , in Firenze , tra i coetanei ed amici di Leonardo , ebbe alcuni de ' suoi maggiori rappresentanti : all ' indirizzo platonico . Galilei accentuerà il motivo atomista e meccanicista , che non è estraneo neppure al platonismo originario ; ma tanto rimane lontano da quella forma ingenua di empirismo , che gli vorranno attribuire i positivisti del secolo scorso , da ripetere perfino quella teoria , così caratteristica del platonismo , che si dice delle idee innate . Schelling è propriamente spinozista ; ma Spinoza lo riconduce a Giordano Bruno ; e attraverso Spinoza e Bruno si ricollega al platonismo del nostro Rinascimento , e nella natura ; vede il pensiero come realtà inconsapevole di sé , e la realtà quindi come quel pensiero che la mente speculativamente ricostruisce come la verità eterna , l ' eterno presupposto della scienza , Dio stesso . A questo segno mira , a modo suo , da scienziato e da artista , alquanto oscuramente , anche Leonardo . E la sua « ragione » è determinatrice di quella necessità , che costringe , com ' egli dice , la natura in tutte le sue operazioni : di quella necessità , che « è maestra e tutrice della natura » « tema e inventrice della natura , freno e regola eterna » ; della natura , « costretta dalla ragione della sua legge , che in lei confusamente vive » . La nostra ragione mediante l ' esperienza , commenta la causa delle dimostrazioni , ossia degli effetti , della natura , le quali sono quelle che devono essere , perché costrette dalla sua legge ; e s ' impossessa quindi della ragione stessa infusa nella natura , e vi si immedesima . Nel discorso dell ' umana ragione è la stessa natura nella sua interiore necessità o razionalità : Dio che s ' è svelato all ' uomo - - come insegnavano i Neoplatonici , sopra tutti Pico della Mirandola , e come insegnerà non pure Bruno , ma Galileo nella Lettera alla Granduchessa madre - - per mezzo delle opere sue , nella natura , in cui l ' intelletto deve cercarne il vivo vestigio . Questa intuizione del divino naturale infiammerà gli eroici furori del Nolano , e accende lo sdegno di Leonardo contro gl ' ipocriti del suo tempo , congiurati a impedirgli o a screditare le indagini sue nuove intorno alle cose naturali : « Sono infra ' l numero delli stolti una certa setta , detti ipocriti , ch ' al continuo studiano d ' ingannare se ed altri , ma più altri che sé : ma invero ingannano più loro stessi , che gli altri . E questi son quelli che riprendono li pittori ( cioè Leonardo stesso ) , li quali studiano li giorni delle feste , nelle cose appartenenti alla vera cognizione di tutte le figure , c ' hanno le opere di natura , e con sollecitudine s ' ingegnano d ' acquistare la cognizione di quelle , quando a loro sia possibile . Ma tacciano tali reprensori ché questo è il modo di conoscere l ' Operatore di tante mirabili cose , e quest ' è il modo di amare un tanto Inventore ! Ch ' invero il grande amore nasce dalla gran cognizione della cosa che si ama [ amor Dei intellectualis , dirà Spinoza ! ] ; e se tu non la conoscerai , poco o nulla la potrai amare . E se tu l ' ami per il bene che t ' aspetti da lei , e non per la somma sua virtù , tu fai come il cane , che mena la coda e fa festa , alzandosi verso colui che li pò dar un osso . Ma se conoscesse la virtù di tale omo , l ' amerebbe assai più , se tal virtù fussi al suo proposito » . V Dio dunque , oggetto dell ' amore di Leonardo o della sua religione , è il Dio che si conosce nelle cose ( Deus in rebus ) , dove egli operando manifesta il suo essere . È quella ragione , intesa la quale non occorre esperienza ; e che s ' intende , anche per Leonardo , immedesimandosi con essa , come aveva insegnato prima Platone nel Convito e come con infinite variazioni continuarono a dimostrare i suoi seguaci . Non era un tema obbligato dei platonizzanti fiorentini , scolari , amici , ammiratori del Ficino ? Devono essere frasi còlte dalla bocca o dai libri dei neoplatonici contemporanei , da una delle loro teorie d ' amore intessute sulla trama del dialogo divino di Platone , queste che si leggono su un foglio del Codice trivulziano : « Muovesi l ' amante per la cosa amata come il sugetto colla forma , il senso col sensibile , e con seco s ' unisce e fassi una cosa medesima . - - L ' opera è la prima cosa che nasce dall ' unione : se la cosa amata è vile , l ' amante si fa vile . - - Quando la cosa unita è conveniente al suo unitore , li seguita dilettazione e piacere , e sadisfazione . - - Quando l ' amante è giunto all ' amato , lì si riposa . - - Quando il peso è posato , lì si riposa . - - La cosa sta , cognosciuta , col nostro intelletto » . C ' è tutta la teoria platonica dell ' amore , che converte l ' amante nell ' amato , e in questa conversione gli fa raggiungere la somma perfezione della sua natura nella gioia della sapienza , del pensiero . Per cui lo stesso Leonardo sarà tratto a fermare nello stesso manoscritto quella osservazione di Cornelio Celso : « Il sommo bene è la scienza , il sommo male è il dolore del corpo , imperò che , essendo noi composti di due cose , cioè d ' anima e di corpo , delle quali la prima è migliore , la peggiore è il corpo , la sapienza è dalla miglior parte , il sommo male è dalla peggior parte , e pessima . Ottima cosa è nell ' animo è la sapienza .... e niuna altra cosa è da a questa comparare » . Somma felicità , beninteso , irraggiungibile , e da aspirarvi appunto con quell ' amore che Platone nel Convito fece figlio di Penia , povertà , difetto incolmabile . « La somma felicità » , dice con grande profondità Leonardo , « sarà somma cagione della infelicità , e la perfezione della sapienza cagion della stoltizia » . E platonicamente infatti , ancorché possa non aver letto il Fedone ; raffigura in un suo disegno simbolico , inseparabilmente congiunti , e confusi in un solo tronco , piacere e dolore . E commenta : « Questo si è il piacere insieme col dispiacere ; e figuransi binati , perché mai l ' uno è staccato da l ' altro . Fannosi colle schiene voltate , perché son contrari l ' uno e l ' altro . Fannosi fondati sopra un medesimo corpo , perché hanno un medesimo fondamento , imperò che il fondamento del piacere si è la fatica col dispiacere , il fondamento del dispiacere si sono i vari e lascivi piaceri . E però qui si figura colla canna nella man destra , ch ' è vana e senza forza , e le punture fatte con quella son venenose » . Altrove egli stesso , Leonardo , ci ha detto che tutti i beni ci son venduti da Dio a prezzo di fatica . E la sua fronte , così luminosa , è pur sempre corrugata dal pensiero delle conquiste da fare , da quell ' interno giudizio , di cui egli si gloriava , sdegnoso d ' ogni mediocrità : da quel giudizio , che andava sempre al di là dell ' opera : virile , anzi gigantesco asceta dello spirito , che non conosce altra gioia all ' infuori di quella , che è la suprema , e che non si dà , perché infinita . E come in tutti gli asceti e mistici , platonizzanti o no , il suo occhio corre di là dalla vita , dalla natura , quantunque egli vegga , da uomo della Rinascenza , che di là non c ' è il dolore , ma né anche la gioia , sì la morte e il nulla . « Or vedi , la speranza e ' l desiderio del ripatriarsi e ritornare nel primo caos fa a similitudine de la farfalla al lume ; e l ' uomo , che con continui desiderii sempre con festa aspetta la nuova primavera , sempre la nuova state , sempre e nuovi mesi , e nuovi anni , parendogli che le desiderate cose venendo sieno troppo tarde ; e non s ' avede che desiderala sua disfazione . Ma questo desidèro è la quintessenza ( spirito degli elementi ) che , trovandosi rinchiusa per anima dello umano corpo , desidera sempre ritornare al suo mandatario . E vo ' che sappi , che questo desiderio è quella quinta essenza compagna della natura ; e l ' uomo è modello dello mondo » . Modello del mondo , o microcosmo , o ricapitolazione ed epilogo di tutto l ' essere dell ' universo , come lo concepiva ed esaltava il Pico , come l ' avevano rappresentato i platonici della tradizione ermetica . Pei quali tutti , l ' anima era pellegrina sulla terra , chiusa in carcere , agitata di continuo dalla inquieta nostalgia del mandatario , come qui ci ha detto Leonardo , o , comunque , della sua sede originaria ed eterna . Intorno all ' anima , come intorno a Dio , Leonardo non amerà troppo speculare , preferendo lasciarne il pensiero ai « frati , padri de ' popoli , li quali per ispirazione sanno tutti li segreti » e lasciando « star le lettere incoronate , perché son somma verità » . L ' anima egli pur ritiene sottratta , al pari di Dio , alla conoscenza umana , in quanto al pari di esso , « improvabile » , ossia non osservabile direttamente nell ' esperienza , da cui soltanto può muovere il nostro sapere . L ' anima , tuttavia , concepisce platonicamente non derivante dalla compagine organica , anzi di questa dominatrice come di semplice strumento ; e per conseguenza non destinata a soggiacere alla stessa fine del corpo , anzi partecipe , come cosa affatto divina , dell ' immortalità . « L ' anima » , leggiamo nel Codice Trivulziano , « mai si può corrompere nella coruzion del corpo ; ma fa nel corpo a similitudine del vento , ch ' è causa del sono de l ' organo ; che guastandosi , una canna , non resultava per quella voto del buono effetto » . E dove considera a parte a parte le meraviglie della natura nella costruzione del nostro corpo , ecco Leonardo smettere la freddezza dell ' anatomico , e rivolgersi all ' uomo con accento altamento umano : « E tu uomo , che consideri in questa mia fatica l ' opere mirabili della natura se giudicherai essere cosa nefanda il distruggerla , or pensa essere cosa nefandissima il torre la vita all ' omo . Del quale , se questa composizione ti pare di meraviglioso artifizio , pensa questa essere nulla rispetto all ' anima , che in tale architettura abita . E veramente , quale essa sia , ella è cosa divina ; sicché lasciala abitare nella sua opera a suo beneplacito , e non volere che la tua ira e malignità distrugga una tanta vita ; ché veramente chi non la stima non la merita » . Dio , dunque , e questa cosa divina , che è l ' anima umana , eccedono i limiti della nostra cognizione , perché non soggetti alla esperienza . Ma la natura stessa non si conosce tutta . Di essa si può conoscere soltanto quella ragione , alla cui scoperta ci conduce l ' osservazione dei suoi effetti : la legge che ne governa le esterne manifestazioni . Riecheggiando forse un pensiero che s ' incontra pure nella Teologia platonica del Ficino , e ricorda infatti un concetto di Socrate , ma che sarà ripreso approfondito e fecondato da Giambattista Vico , Leonardo , distinguendo tra l ' opera della natura e quella dell ' uomo , di questa , e solo di questa ammonisce doversi fare materia d ' indagine , ove si miri a indagarne il disegno : « O speculatore delle cose , non ti laldare di conoscere le cose , che ordinariamente per se medesima la natura conduce . Ma rallegrati di conoscere il fine di quelle cose che son disegnate dalla mente tua » . Una finalità , bensì , Leonardo attribuisce alla stessa natura , che è necessaria perché razionale , e razionale , come s ' è visto , in virtù della ragione che la regge , non perché meccanicamente operante . Tutto il filosofare dei Neoplatonici insisteva nel concetto della Provvidenza governatrice delle cose naturali ; e Leonardo ammira l ' economia ond ' è retta la vita del mondo , e non rifugge dall ' uso del concetto di finalità come criterio euristico d ' indagine di là dalle dirette testimonianze dell ' esperienza . Così , dove conchiude alla negazione del dolore e del senso alle piante , movendo dalla mancanza di bisogno che esse ne abbiano , dice : « Se la natura ha ordinato la doglia nell ' anime vegetative col moto , per conservare dell ' istrumenti , i quali pel moto si potrebbono diminuire e guastare , l ' anime vegetative senza moto non hanno a percotere né contr ' a sé posti obietti ; onde la doglia non è necessaria nelle piante , onde , rompendole , non sentano dolore come quelle dell ' animale » . Nella stessa corrispondenza tra causa ed effetto , in cui consiste la ragione che alla mente è dato scoprire nella natura , Leonardo vede , giustamente , il miracolo , ossia l ' opera dello spirito . Così , a proposito dell ' occhio , dirà : « Qui le figure , qui li colori , qui tutte le spezie delle parti dell ' universo son ridotte in un punto , e quel punto è di tanta meraviglia ! O mirabile , o stupenda necessità , tu costrigni , colla tua legge , tutti li effetti , per brevissima via , a partecipare delle lor cause . Questi son li miracoli ! Scrivi nella tua Notomia , come , in tanto minimo spazio , l ' immagine possa rinascere e ricomporsi nella sua dilatazione » . E la Natura sempre gli apparisce , dove si spinga il suo occhio a indagarla , provvidenza ordinatrice di mezzi ai fini ; fini insieme armonizzanti a comporre la vita del tutto . Così nell ' occhio dell ' uomo , così nelle narici dei cavalli , che gli stolti usavano tagliare « come se credessino la natura avere mancato ne ' necessarie cose , per le quali li omini abbiano a essere suoi correttori » ; così nella disposizione delle foglie negli ultimi rami delle piante ; così per tutto . Anche il male , per Leonardo , è strumento di bene . E una legge razionale , e ferrea perché tale , nella sua teleologia stringe il cosmo nelle sue parti infinite : « Naturalmente ogni cosa desidera mantenersi in suo essere » e « tutti li elementi , fori del loro naturale sito , desiderano a esso sito ritornare » ; e « il moto violento , quanto più s ' esercita più s ' indebolisce ; il naturale fa l ' opposto : liberamente , più obedisce » . VI Con questo concetto della natura siamo sulla via del naturalismo ; ma non del naturalismo scientifico di Galileo , bensì di quello metafisico di Bruno e di Campanella , che naturalizzano lo spirito , ma spiritualizzano la natura , come , dopo Platone e gli Stoici , aveva fatto la filosofia alessandrina , al cui risorgimento in Firenze Leonardo assistette e partecipò , senza attrattiva , di certo , pei problemi propriamente speculativi , anzi con qualche disdegno per le dispute e il gridio delle scuole filosofiche , ma pur respirando nell ' aria del suo tempo le idee già penetrate nella mente di tutti gli spiriti colti , con cui fu in contatto quotidiano . Da quelle idee egli , pittore , ma , come altri artisti del suo tempo , studioso profondo della tecnica della sua arte , e portato quindi dal genio possente e veloce alla scienza propriamente detta , in cui si risolve ogni tecnica , trasse l ' intuizione di quella natura , a cui rivolse il suo sguardo acutissimo e universale . Universale , com ' egli amava dire , non pensando all ' universo , che come infinito sapeva non esistere , ma all ' universalità della vita attraverso il numero inesauribile delle sue forme , e quindi alla necessità per l ' umano ingegno di non chiudersi dentro nessun limite , ma di spaziare liberamente , instancabilmente , sine lassitudine secondo un motto leonardesco . E lo stesso atteggiamento scientifico del suo spirito assumeva pertanto aspetto filosofico per i suoi presupposti ; e si scaltriva e confermava nella coscienza di alcuni canoni metodici fondamentali . Che sono sostanzialmente due : quello dell ' esperienza , base del conoscere , di cui abbiamo già detto ; e quello della matematica come determinazione esatta della ragione o legge naturale , accessibile mediante l ' esperienza . Concetto di cui Leonardo s ' impadronisce - - era nella scienza contemporanea e nella stessa filosofia , a cui , m ' è parso di doverlo riconnettere ; - - vi insiste con la forza ingenita e la perspicuità somma del suo intelletto ; e lo svolge ed assoda con una coscienza , che anticipa anche qui Galileo . La matematica a lui , come al grande Pisano e a Cartesio , rappresenta il tipo del vero sapere scientifico : che , partendo - - son sue parole - - da « li primi veri e noti principii , procede successivamente e con vere seguenzie insino al fine » . Questo è il processo , infatti , dell ' aritmetica e della geometria , « che trattano con somma verità della quantità discontinua e continua » . « Qui » , è sempre Leonardo che parla , « non si arguirà , che due tre facciano più o men che sei ; né che un triangolo abbia li suoi angoli minori di due angoli retti » ( l ' esempio che torna sempre sul labbro del più grande dei filosofi matematizzanti , Benedetto Spinoza ) ; « ma con eterno silenzio resta distrutta ogni arguizione , e con pace sono fruite dalli loro devoti : il che far non possono le bugiarde scienze mentali » . La matematica suggella l ' immagine della natura , che anch ' egli , col Rinascimento che già s ' avanza , vagheggia ed ama quale perfetta rivelazione dell ' eterno potere . Alla cui mente sovrana non ardisce alzare lo sguardo ; e contentandosi delle sue anatomie , si svolge sdegnoso contro gli stolti che « vogliono abbracciare la mente di Dio , nella quale s ' include l ' universo , come se l ' avessimo anatomizata . O stoltizia umana , non t ' avedi tu che se ' stata con teco tutta la tua età , e non hai ancora notizia di quella cosa che tu più possiedi , cioè della tua pazzia ! E volli a poi con la moltitudine dei soffistichi inganare te e altri , splezando le matematiche scienze , nelle qual si contiene la vera notizia delle cose .... ; e voi poi scorrere ne ' miracoli , e scrivere e dar notizia di quelle cose di che la mente umana non è capace , e non si posson dimostrare per nessun esemplo naturale » . VII La mente di Dio va cercata negli esempi naturali , così come l ' idea dell ' artista splende nell ' opera sua . La quale non è per Leonardo - - naturalista dunque , ma , ripeto , platonico - - la copia della natura sensibile , ma l ' effigie dell ' idea . Onde , esaltando la sua pittura , egli potrà dire con pienezza d ' intenzione filosofica : « Qual poeta con parole ti metterà innanzi , o amante , la vera effigie della tua idea con tanta verità , qual farà il pittore ? » . Il quale , perciò , non imita , ma crea . « Se ' l pittore voi vedere bellezze che lo innamorino , egli n ' è signore di generarle ; e se voi vedere cose mostruose che spaventino , o che sieno buffonesche e risibili , o veramente compassionevoli , ei n ' è signore e dio . E se voi generare siti e deserti , lochi ombrosi e freschi ne ' tempi caldi , esso li figura , e così lochi caldi ne ' tempi freddi . Se voi valli , se vole dalle alte cime de ' monti scoprire gran campagna , e se vole dopo quella vedere l ' orizzonte del mare , egli n ' è signore ; e se delle basse valli voi vedere gli alti monti , o de li alti monti le bassi valli e spiaggie . E in effetto , ciò ch ' è nell ' universo per essenzia , presenzia o immaginazione , esso lo ha prima nella mente , e poi nelle mani , e quelle sono di tanta eccellenza , che in pari tempo generano una proporzionata armonia di un solo sguardo , qual fanno le cose » . Questa potenza creatrice del pittore è quella divinità dell ' uomo , che il platonismo additava nell ' anima umana e quella per cui esso insegnò a tutto il Rinascimento ad esaltare la dignità e grandezza dell ' uomo nel mondo , di cui anche Leonardo ha detto l ' uomo modello . Leonardo , che , con l ' animo dell ' artista il quale ha tutto nella sua arte , vede nella pittura l ' apice dell ' umana eccellenza , e nell ' occhio , nel divino occhio mentale che scorre per l ' universo e lo idealizza , e si affisa nell ' idea che è sua , canta commosso questa potenza divina dell ' uomo centro e riassunto dell ' universo e signore della natura : lo canta nel Trattato della Pittura in una pagina che ricorda , anche nei particolari , la canzone di Tommaso Campanella in lode dell ' uomo « re , epilogo , armonia , fin d ' ogni cosa » . « Tanto più vale la pittura che la poesia , quanto la pittura serve a miglior senso e più nobile che la poesia . La qual nobiltà è provata esser tripla alla nobiltà di tre altri sensi , perché è stato eletto di volere piuttosto perdere l ' udito e odorato e tatto , che ' l senso del vedere ; perché chi perde il vedere perde la veduta e bellezza dell ' universo , e resta similitudine di un che sia chiuso in vita in una sepoltura , nella quale abbia moto e vita . Or non vedi , che l ' occhio abbraccia la bellezza di tutto il mondo ? Egli è capo dell ' astrologia . Egli fa la cosmografia . Esso tutte le umane arti consiglia e corregge ; muove Pomo a diverse parti del mondo . Questo è principe delle matematiche . Le sue scienzie sono certissime . Questo ha misurato l ' altezze e grandezze delle stelle ; questo ha trovato gli elementi e loro siti ; questo ha fatto predire le cose future mediante il corso delle stelle ; questo l ' architettura , e prospettiva , questo la divina pittura ha generata . O eccellentissimo sopra tutte l ' altre cose create da Dio , quali laudi fien quelle , ch ' esprimere possino la tua nobiltà ? quali popoli , quali lingue saranno quelle , che appieno possino descrivere la tua vera operazione ? « Questo è finestra dell ' umano corpo , per la quale l ' anima specula e fruisce la bellezza del mondo . Per questo l ' anima si contenta dell ' umano carcere ; e senza questo , esso umano carcere è suo tormento . E per questo l ' industria umana ha trovato il fuoco , mediante il quale l ' occhio riacquista quello , che prima li tolsero le tenebre . Questo ha ornato la natura coll ' agricoltura e dilettevoli giardini . « Ma che bisogna ch ' io m ' estenda in sì alto e lungo discorso ? Qual ' è quella cosa , che per lui non si faccia ? Ei move li omini da l ' oriente all ' occidente ; questo ha trovato la navigazione . E in questo supera la natura : che li semplici naturali sono finiti , e l ' opere , che l ' occhio commanda alle mani , sono infinite ; come dimostra il pittore nelle finzioni d ' infinite forme d ' animali et erbe , piante e siti » . Occhio , è chiaro , nella lingua di Leonardo è il pensiero dell ' uomo ; è l ' uomo , che ha riacquistato il senso profondo del suo valore , e splendidamente lo dimostra nello stesso Leonardo , creatore di bellezza immortale e fondatore di una molteplice scienza signoreggiatrice della natura . V LA FILOSOFIA A FIRENZE NELL ' ETÀ MEDICEA I La filosofia dell ' età medicea a Firenze è stata finora studiata più ne ' suoi tratti generali e nell ' estrinseco che nelle sue specifiche e determinate dottrine , nella interna generazione di queste , nel significato che esse ebbero nel loro formarsi e che conservano nella storia del pensiero europeo , per l ' azione che esercitarono in Italia e fuori d ' Italia ; come sarà pur necessario studiarla a volerla ritrarre con pienezza di rappresentazione storica , e come s ' è cominciato a studiarla in questi ultimi anni . Una efficace esposizione dovrebbe perciò procedere lenta per documentate analisi e ragionate dimostrazioni ; per le quali , non est hic locus . Qui io dovrò limitarmi a descrivere in modo succinto e sommario l ' immagine che mi son fatta io di questa filosofia . Immagine che avrà , s ' intende , il valore che avrà , e potrà essere accettata o respinta secondo le idee con cui altri si sarà accostato ad essa e le impressioni che quindi ne avrà ricevute ; segnatamente secondo il concetto che egli abbia del Rinascimento italiano ed europeo , che è poi come dire , niente meno , il concetto di tutta la storia moderna . E per incominciare , distinguo . Divido cioè l ' età medicea in due periodi , la cui profonda differenza credo sia da tener presente per intendere il diverso carattere del pensiero filosofico fiorentino nel Quattrocento e nei due secoli seguenti : - - il periodo creativo della potenza medicea , quando questi grandi mercanti si dimostrano stoffa di principi , di papi , di regine e con Cosimo il Vecchio padre della patria e con Lorenzo il Magnifico domano le fazioni cittadine che avevano impedito al Comune uno stabile assetto , una legge e un ' autorità , e creano lo Stato senza proclamarsene capi , anzi studiandosi di mantenere abito e forma di privati cittadini ; - - e il periodo granducale da Cosimo I a Giangastone , lungo tutta la parabola di splendore e di decadenza del nuovo stato , ormai costituito ma costretto a vivere destreggiandosi tra la Chiesa , la Repubblica Veneta e le grandi potenze straniere ; quando Firenze diventa la Toscana . Tra un periodo e l ' altro la crisi , in cui si chiude tragicamente il passato glorioso morte del Magnifico , calata di Carlo VIII , supplizio di Savonarola , lotta tra palleschi e piagnoni ; nuovi esilii e turbolenze ; finché gli stranieri intervengono a pacificare la città spegnendo le ultime faville della libertà antica e imponendo il Granducato . Di qua dall ' assedio di Firenze è tutta la vita suscitata nell ' età creativa del Comune e dei primi Medici dalle potenti energie dell ' operoso e geniale popolo fiorentino : ricco , attivo , meravigliosamente intelligente , sensibilissimo agli aspetti e alle suggestioni della bellezza e dell ' arte , e perciò veramente geniale e creatore . A codesto periodo che varca la fine del secolo del Magnifico e si protrae d ' un trentennio nel successivo , appartengono i grandi fiorentini , anche se vissuti a lungo nel secolo XVI : Machiavelli , nato nel 1469 , Leonardo , nato nel 1452 , e lo stesso Michelangiolo , nato nel 1475 : tutti spiriti temprati nella prima Firenze medicea . Nella quale convivono compartecipi dello stesso movimento spirituale medicei e anti ­ medicei , letterati e pensatori , umanisti e artisti , epicurei ed asceti , poeti della vita e del godimento e poeti platonizzanti ( basti ricordare Lorenzo stesso de ' Medici , che accoglie nell ' animo e contempera entrambe queste note discordanti ) , un Pulci ( 1432­1484 ) , un Poliziano ( 1454­1494 ) e un Ficino ( 1433­99 ) , un Pico ( 1463­94 ) e perfino un Savonarola , il più austero , il più intransigente spirito religioso dell ' epoca , e iniziatore d ' un moto di riforma interna della Chiesa cattolica e della società durato fino al secolo scorso e forse non ancora spento il più fiero osteggiatore e flagellatore della Firenze medicea , che gli spiriti più religiosi del tempo , Pico e lo stesso Ficino , entrambi ligi a Lorenzo , o non intesero a pieno , o acerbamente condannarono , con modi , o come quelli tenuti dal Ficino non degni d ' un filosofo , dopo che il gran Domenicano aveva scontato nel rogo quelle che agli occhi d ' un pallesco potevano apparire intemperanze d ' un santo fervore ; ma egli stesso , il Savonarola , non sarebbe più visibile nella luce che ne illumina la complessa figura se si staccasse dalla Firenze del Magnifico e del Machiavelli . Anche qui concordia discors . Identico problema , e soluzioni opposte in un contrasto assurdo se il problema , l ' ispirazione , il mondo in cui questi uomini vivono della loro passione e della loro fede , non fosse identico . Oh , se frate Girolamo fosse rimasto a Ferrara o a Bologna , avrebbe anche potuto essere un eloquente e fervido predicatore della riforma dei costumi , ma non sarebbe forse passato all ' azione politica e al supremo cimento con l ' autorità di Roma ! Come Machiavelli non s ' intende senza quel grande laboratorio di sperimentazione politica che è la città sua e lo spirito scientifico sbocciatovi dal fervore umanistico . Né Cosimo né Lorenzo avrebbero trovato altrove materia ed occasioni alla loro genialità politica . Egli è che l ' uomo non deve mai separare ciò che Dio ha unito ; e uomini ed ambienti ( città e tempi ) , concordi o discordi , fanno una sintesi , un ' unità indivisibile a chi ricerca nella storia la vita ond ' essa fu animata e si costituì . II La Firenze medicea è una città d ' intensa vita economica e quindi politica : quell ' inferma ( quale apparve agli occhi di Dante nei momenti pessimistici delle sue peregrinazioni dolorose di vinto e di esule ) quell ' inferma che non può trovare posa sulle piume ; e non la può trovare , perché è giovane , gagliarda , e sente il fiotto del sangue nelle vene , e si muove e cerca se stessa : il glorioso Comune , diviso , discorde , ma rigoglioso , operoso , potente , ricercato per tutto , apprezzato , ammirato . Come ogni giovane , cerca se stesso ; cerca e non trova la pace , l ' unità , lo Stato . Pure , chi cerca trova ; e il male non è non aver trovato , ma non cercare . E la città in cui Coluccio , il Bruni , il Niccoli , il Poggio , Ambrogio Traversari e Palla Strozzi hanno raccolto e continuano lo spirito del padre dell ' umanesimo , il Petrarca : scopritore d ' un nuovo mondo , che fa cadere in discredito la vecchia cultura medievale e la filosofia delle scuole ; e gli animi si rivolgono a un nuovo ideale , nel cui concetto è il segreto della storia di Firenze medicea , ossia dell ' Italia del Rinascimento . A questo ideale accenna il nuovo culto di Platone , dapprima conosciuto solo per fama , e pure amato ardentemente ( « com ' uom per fama s ' innamora » ) , superstiziosamente , a segno che un codice de ' suoi dialoghi nella lingua originale si costodisce come un tesoro inestimabile ancorché non si sappia ancora leggere e appena forse decifrare ; e nulla più si desidera che mettersi in grado di procurarsene una traduzione latina . poiché Platone , con l ' autorità conferitagli dagli alti elogi che se ne leggeva nei Padri della Chiesa e nei classici più pregiati , per es . Cicerone , avrebbe finalmente liberato le menti dal servaggio aristotelico proprio degli epigoni della filosofia scolastica e degli insegnamenti frateschi a cui al tempo di Dante ogni uomo aspirante a una cultura superiore era costretto a far capo . E poiché l ' aristotelismo della decadenza succeduto ai grandi sistemi del XIII secolo troppo indulgeva alle tendenze naturalistiche della filosofia araba da una parte e alle sottigliezze sterili e oziose o almeno prive d ' ogni afflato morale della così detta dialettica degli eterni lambiccatori di termini concettuali , la riscossa operata da Platone s ' intendeva dovesse essere risorgimento dello spirito e degli interessi profondi , morali e religiosi , del cuore umano . Il quale ha bisogno di una fede - - fede nello spirito , nella sua sostanzialità e quindi libertà ed immortalità , - - per poter credere che l ' uomo sia capace di cosa che valga . Questo virtuale platonismo , che è antiaristotelismo ( e , propriamente , antiaverroismo , antioccamismo ) , è nel Petrarca . Ed è l ' aspirazione degli umanisti fiorentini , che si mettono sulle sue orme e fanno scuola , anche fuori di Firenze , poiché , per citare uno dei nomi maggiori , Lorenzo Valla a Roma e a Napoli muove da loro . E imparano essi il greco ; e appena possono , se ne servono a tradurre Platone . Sono Platonici ? Sono scontenti della scienza tradizionale delle scuole ; e cercano altro . Cercano , perché tra l ' esperienza della vita vissuta intensamente , nell ' ade che li attrae e incanta o nel tumulto della vita cittadina dove ognuno tanto vale quanto è capace di farsi valere con l ' intelligenza e con la volontà , e tra l ' esempio e gli ammaestramenti del Petrarca sulla nuova via da lui aperta e trionfalmente percorsa per lungo tratto tra l ' ammirazione universale dell ' Europa colta per l ' eminente sua personalità e per il suo spirituale dominio , frutto non di superiori investiture o di privilegi naturali , ma dell ' attività , dell ' applicazione , dello studio dell ' intelligenza quindi addestrata e nobilitata , questi umanisti sentono , sebbene oscuramente , una grande verità : che l ' uomo è figlio di se stesso ; che vera nobiltà non è quella della nascita bensì quella delle opere ; che a torto gli uomini attribuiscono alla fortuna quel che , a ben riflettere , è sempre il frutto del loro operare ; e che insomma ognuno ha in se stesso il germe del mondo in cui aspira a vivere : purché voglia , purché pensi , e accumuli esperienze e dottrina , e legga perciò e metta a profitto più che può della sapienza dei secoli tramandata nei libri , eredità preziosa e sacra degli uomini che si sveglino dalla vita istintiva per partecipare al mondo proprio degli uomini . È che è il mondo della cultura : un mondo senza tempo , in cui tutti si ritrovano infatti concittadini della stessa città , i vivi con i morti , con gli antichi risorti a nuova vita per virtù del lettore ed interprete , che , ridando la vita ai trapassati , instaura un mondo immortale : quello dell ' uomo che in ogni tempo è sempre il medesimo , come il Sole e la Terra ; e agisce sempre a un modo ; con gli stessi vizi , le stesse virtù , lo stesso sentire e la stessa logica . Un mondo , a cui ci si solleva con l ' intelligenza , estraniandoci e liberandoci dai vincoli e limiti , e dai fastidi della vita reale e quotidiana . Un mondo ideale , ma più luminoso del mondo reale e più conforme perciò ai bisogni spirituali dell ' uomo . Mondo di libertà , in cui il petto dell ' uomo si apre infatti a un respiro infinito e sente in sé non so che divino . Giannozzo Manetti , il bonario Giannozzi , e pur uomo dottissimo e meditativo , potrà , varcata la cinquantina , esser costretto da esosi fiscalismi a lasciare la sua città ; a cui aveva resi tanti servigi come diplomatico esperto : ma porterà , a Roma ed a Napoli , la sua patria nel cuore e nella mente ; e quando , ad invito del re Alfonso d ' Aragona , scriverà il suo celebre trattato De dignilate et excellentia hominis ( 1452 ) , non farà che formulare la fede profonda dell ' umanesimo fiorentino . La Firenze medicea è infine la città del Concilio di Eugenio IV ( 1439 ) succeduto a quello di Ferrara dell ' anno prima : l ' uno e l ' altro per l ' unione delle due Chiese greca e romana . Un concilio che fallì allo scopo per cui era stato convocato , poiché se non impossibile sarà sempre difficile che si transiga in materia di dommi . Non fu però un fallimento per la storia dello spirito umano che se ne giovò per un ' unione non religiosa ma filosofica , che doveva produrre effetti di capitale importanza non pure nello svolgimento del pensiero speculativo , ma in tutto l ' indirizzo della moderna civiltà europea . Giacché quell ' occasione fece venire a Firenze filosofi greci , ossia bizantini , come Giorgio Gemisto ( il celebre Platone , che per amor di Platone si compiaceva di questo equivalente del suo cognome ) e il Bessarione : l ' uno fermo nella sua filosofia che , contaminando platonismo e neoplatonismo con dottrine zoroastriche , vagheggiava certo suo ideale di religione razionale sincretistica arieggiante a un ritorno al vecchio paganesimo greco ; l ' altro zelatore convinto della fusione delle due Chiese e tanto dotto nella filosofia di Platone come di Aristotele quanto sincero nella sua fede cristiana e aperto all ' intelligenza dello spirito della Chiesa latina , alla quale personalmente aderì e nella quale venne in grande autorità , nominato cardinale , universalmente stimato e diventato uno de ' più attivi promotori della cultura italiana della seconda metà del Quattrocento , con i suoi scritti e con tutta l ' opera sua : memorabile sopra tutto per la ricca collezione di manoscritti raccolta e donata a Venezia , prezioso nucleo originario della Marciana . Intorno a loro molti i dotti greci venuti a Firenze o in altre città d ' Italia per causa del Concilio o perché costretti a cercare l ' Occidente dopo la caduta di Costantinopoli in mano dei Turchi anch ' essi in varia guisa e misura efficaci collaboratori del nuovo orientamento della cultura italiana : l ' Argiropulo , Demetrio Calcondila , Costantino Lascaris , Giorgio da Trebisonda , Teodoro Gaza , Michele Apostolio . Essi resero familiare in Italia la cognizione del greco , agitarono questioni intorno alla interpretazione dei due maggiori filosofi greci : con le loro polemiche , con i loro insegnamenti , con le loro dispute appassionate ed appassionanti attrassero gli animi verso quel mondo luminoso , di cui di tratto in tratto solo qualche bagliore aveva solcato il cielo della cultura medievale . Gemisto parve a Firenze un redivivo Platone . Un suo biografo bizantino ricorda : « Di quanta ammirazione eran pieni i Romani in Firenze per la dottrina , la virtù , la forza dell ' eloquenza di quell ' uomo ! Egli riluceva in mezzo a loro più splendido del sole . Gli uni lo magnificavano come il dottore e il benefattore comune degli uomini , gli altri lo chiamavano Platone e Socrate » . Non importa che egli fosse il più risoluto e gagliardo avversario dell ' unione delle due Chiese : la dottrina , la gravità dell ' aspetto del sapiente vegliardo conquistavano gli animi . Ai circoli dove Platone disputava , accorrevano avidi di ascoltarlo i fiorentini che erano tutti come presi da una febbre di sapere , di scrutare , di scoprire il nuovo mondo misterioso che era stato loro additato come racchiudente il segreto della vita . Mai infatti una città ha avuto una classe colta così relativamente numerosa ; raffinata , scossa dai nuovi bisogni spirituali e ansiosa di luce . A quei circoli accorreva anche il primo dei cittadini di Firenze , Cosimo de ' Medici . E tanti anni dopo Marsilio Ficino nel dedicare la sua traduzione di Plotino a Lorenzo , rifacendo la storia del movimento platonico fiorentino , non poteva non ricordare Cosimo padre della patria , il quale quo tempore concilium inter Graecos atque Latinos sub Eugenio pontifice Florentiae tractabatur , Philosophum graecum nomine Gemistum , cognomine Platonem , quasi Platonem alterum , de mysteriis platonicis disputantem frequenter audivit . Ascoltava curioso l ' intelligente uomo quelle dispute ; e , da quello spirito pratico che era , veniva pensando che qualche cosa si doveva pur fare a Firenze a coronamento del vasto rinnovamento spirituale evidente in questa nuova Atene . Alla quale infatti mancava soltanto la gloria d ' un alto pensiero per potersi in tutto paragonare all ' antica , ma non mancavano certo né ingegni né fervore di studi . Bisognava creare una nuova accademia , una grande scuola capace di ridestare e riprendere l ' insegnamento del grande maestro ateniese , morto da tanti secoli e pur sempre vivo , di riaccendere quella gran luce di cui tanti sprazzi si riversavano nei dotti discorsi del venerando maestro ottantenne di Bizanzio . Allora , secondo il Ficino , si sarebbe formato nella mente di Cosimo il disegno della futura Accademia platonica di Firenze ; disegno che doveva attuare ventanni dopo , quando conobbe nel 1459 Marsilio stesso , giovane ventiseenne , figliuolo del suo medico e familiare Diotifeci , e gli parve la persona che per certi scritti platonici già pubblicati e pel suo buon avviamento nello studio della lingua greca facesse per lui . E volle confortarlo all ' impresa , prenderlo sotto la sua protezione , procurargli manoscritti , agevolargli in ogni modo gli studi a cui doveva dedicarsi , assicurargli materialmente una vita libera da cure e bisogni che potessero distrarlo e impedirgli di percorrere il cammino assegnatogli : tradurre e illustrare Platone e i suoi seguaci maggiori . Quale che sia il valore del racconto ficiniano - - del resto in tutto attendibile - - non si può contestare che il movimento ficiniano in cui sbocca , tutto il platonismo umanistico dal Petrarca a Leonardo Bruni , deriva pure dall ' azione esercitata da Gemisto sullo spirito dei dotti fiorentini a mezzo il secolo decimoquinto ; e che detto movimento con le sue conseguenza storiche che sono , come or ora diremo , di grande portata , è effetto dell ' incontro avvenuto in questo tempo a Firenze tra la estrema e vecchia speculazione bizantina e il giovane umanesimo italiano . Perché tra noi , a Firenze , Gemisto trovò preparato il terreno , anzi una pianta robusta e rigogliosa , in cui potesse innestarsi e riprender vigore , per nuovi germogli vitali , questo ramo stanco del sincretismo platonico che era la sua dottrina , destinata , invece , nella sua terra d ' origine a disseccarsi e inaridire . D ' altra parte , quell ' umanismo di stile petrarchesco che si ritrova ancora nel Manetti , poteva bensì ringagliardire nell ' uomo la coscienza della propria dignità e potenza ossia della sua libertà : ma in un modo tutto letteratura ed arte , e quindi reale bensì e capace di dare gioia agli uomini , ma astratto , parziale , insufficiente , incapace di dare una ragione a tutta la vita , non pure estetica , ma morale , e quindi politica , e religiosa . Platone aveva una fede ; aveva cioè una risposta ai problemi che tormentano l ' uomo , facendogli cercare un perché alla vita e alla morte , di là da quel mondo infinito e pur breve in cui egli può chiudersi e spaziare con l ' intelligenza e con l ' arte . La sua dottrina , razionale o fantastica , mista di idee e di miti , traeva comunque l ' uomo da sé dal suo mondo , e lo metteva di fronte a Dio : dalla luce magari lo traeva al mistero . Si , al mistero . Ma a quel mistero a cui non vale volger le spalle per contentarsi di quel tanto che possono dare ragione e fantasia . Questo mistero , questo divinum quid , è poi la serietà della vita , che prima o poi assale l ' uomo che s ' abbandoni alla tripudiante baldanza dell ' umanità contenta di sé , chiusa nella sua effimera gioia e trascorrente nel canto spensierato : Quant ' è bella giovinezza che si fugge tuttavia ! Chi vuol esser lieto , sia di doman non c ' è certezza .... Non fatica , non dolore ! Ciò c ' ha a esser , convien sia . Chi vuol esser lieto , sia ; di doman non c ' è certezza . Cotesto mistero , che costringe a pensare , e a pensare seriamente , nasce nella filosofia italiana , prima umanistica , letteraria , filologica , da questo incrocio bizantino che la Firenze medicea opera attraverso la filosofia ficiniana , che è ancora filologia , ossia interpretazione dei testi platonici e neoplatonici , ma è già piena ed intera filosofia , degna di un ' età eminentemente mistica ed energicamente religiosa com ' è quella della Firenze di Savonarola . Vi concorrerà Giovanni Pico della Mirandola , adunatore di ogni dovizia di pensiero e di mistero della greca , filosofia e della orientale , e nella sua breve vita agitatore d ' ogni umana sapienza intorno al mistero dell ' anima celante nel suo segreto un divino principio , infinito , immortale , creatore ; il Pico , signore di cortesia e di disputazione , cavaliere ardito e indomito , malgrado ogni minaccia , rampogna o condanna di questa filosofia tutta protesa nello sforzo di dare una vasta fede all ' uomo che pensa e riflette . Egli susciterà la meraviglia universale per l ' erudizione portentosa come per l ' audacia delle sue asserzioni . Attorno al Ficino studiosi provetti e giovani di elette inclinazioni speculative faranno corona , e con lui si esalteranno nel culto di Platone , come Ficino lo celebra , erede e rappresentante massimo d ' ogni più antica sapienza e maestro fedelmente seguìto nei secoli dai platonizzanti d ' ogni tempo , Greci e Latini , pagani e cristiani ; maestro di una sapienza comprovata nel volger dei tempi attraverso una tradizione tanto più salda di verità quanto più estesa nel tempo , con dottrine pur divergenti e divergenti credenze religiose . Grande Platone , maestro d ' una verità che è la rivelazione dell ' uomo a se stesso , per quel fondo comune di umanità per cui tutte le genti convengono in una sola religione , in una sola fede , in una sola filosofia . A questa , quale si viene delineando a mano a mano che il Ficino traduce e commenta Platone , Plotino , Porfirio , Proclo , Dionigi l ' Areopagita ed Ermete Trismegisto ( il più suggestivo e misterioso , se anche il meno puro dei pensatori neoplatonizzanti ) e ne svolge il pensiero in proemi , trattati e lettere , raccogliendo da ultimo il tutto nella sua opera maggiore della Theologia Platonica , si volgono tutte le menti anche dal resto d ' Italia , anche dai Paesi che oltr ' alpe l ' Umanesimo italiano aveva riscossi dal vecchio dogmatismo della cultura medievale da Parigi , dall ' Inghilterra , dalla Germania , dalla Boemia , dall ' Ungheria . « Virtus et sapientia tua » , scriveva da Parigi al Ficino il I ° settembre 1496 Roberto Gaguin , « Ficine , tanta in nostra Academia Parisiensi circumfertur , ut cum in doctissimorum virorum collegiis , tum in classibus etiam Puerorum tuum nomea ametur atque celebretur » . Il carteggio ficiniano , che una volta gli Italiani si risolveranno a leggere e a ristampare in una edizione critica ( richiesta dalle redazioni manoscritte che ce ne attestano la formazione ) apparirà qual ' è , uno dei più luminosi documenti dell ' impero spirituale dell ' Italia del Rinascimento sull ' Europa , e dimostrerà come largamente si sia diffusa l ' azione del Ficino fuori di Firenze e fuori d ' Italia . Esso ci fa intendere come e perché i nuovi problemi posti dal platonismo fiorentino - - religione naturale , innatismo , immortalità dell ' anima , centralità dell ' uomo , e cioè del pensiero , nel mondo , divinità del mondo rispecchiantesi nel microcosmo dello spirito umano - - siano diventati i problemi di Herbert di Cherbury , dei platonisti e mistici della scuola di Cambridge nel secolo diciassettesimo , e prima che di essi , di Telesio , Patrizi , Bruno , Campanella , e infine , come oggi tutti gli studiosi riconoscono , di Giambattista Vico : lievito potente di tutto il pensiero moderno , poiché senza la religione naturale di Herbert , anzi di Campanella , non s ' intende il razionalismo del Settecento ; senza l ' innatismo di Cambridge non s ' intende la critica di Locke , né quindi Leibniz e Kant . Senza il naturalismo del Ficino che si sviluppa in quello di Telesio , non si ha né Bruno ne Campanella ; né si crea l ' atmosfera di Cartesio e di Spinoza . Senza Vico rimane chiusa la via regia alla nuova filosofia come filosofia dello spirito . IV Ancora . Al cerchio del pensiero ficiniano non si sottraggono in Italia neanche pensatori che per la corrente e tradizionale storia della filosofia passano per i corifei dell ' indirizzo opposto alla metafisica ficiniana : Leonardo p . e . o Galileo , dei quali invece è da pensare che siano tra i maggiori intelletti che ebbero ispirazione e norma di pensare dal capo dell ' Accademia fiorentina . Leonardo , molto più giovane del filosofo , si formò per altro nella Firenze dei tempi stessi del Ficino . In un inedito poema incompiuto , posteriore alla morte del Ficino , uno scolaro di questo , Giovanni Nesi , autore di varie scritture platoniche , lo ricorda così : In carbon vidi già con arte intera Imago veneranda del mio Vinci Che in Delo e in Creta e Samo me ' non era Amico Leonardo del Nesi e forse del pari di Bernardo Canigiani e di Niccolò Capponi , anch ' essi complatonici , come si chiamavano , del Ficino ; familiari pertanto a lui certamente gli scritti e i pensieri dei platonici fiorentini . E come si potrebbe pensare quest ' uomo ardente di tutto vedere e sapere , indifferente a un movimento spirituale a cui tutti si interessano , filosofi e poeti , letterati e artisti , al suo tempo , nella sua città ? È stato già messo in chiaro quanto si siano allontanati dal vero gli storici che hanno scambiato il concetto vinciano della esperienza sensibili col concetto che ne hanno gl ' ingenui empiristi puri , antichi e moderni ; e come egli al di sopra della percezione sensitiva collochi un « giudizio » o « ragione » , che è organo di una cognizione superiore e necessaria , alla quale ogni esperienza deve chiedere il sigillo della verità . « Ricordati » dice egli a se stesso , « quando comenti l ' acque , d ' allegar prima la sperienza e poi la ragione » . Senza la quale non c ' è scienza . Per Leonardo in natura , dalla ragione si scende al fatto che ci dà l ' esperienza ; nella mente umana , dal fatto si risale alla ragione . Altrove , come già fu avvertito , dice netto che « nessun effetto è in natura sanza ragione . Intendi la ragione , e non ti bisogna sperienza » ( Cod . Atl . , 147 v . ) . È insomma il doppio processo o circolo platonico , che riecheggia in Spinoza e in Schelling : come nel nostro Gioberti : discensivo prima e ascensivo poi . Anche per Leonardo la vera scienza è nella ragione ; è perciò necessaria ; e perciò matematica . Come più tardi per Galileo . E par di sentire Galileo a leggere l ' esaltazione delle matematiche come forma necessaria e schiettamente logica d ' ogni perfezione scientifica . Nel Trattato della Pittura : « Nissuna umana investigazione si pò dimandare vera scienzia , s ' essa non passa per le mattematiche dimostrazioni . E se tu dirai che le scienzie , che principiano e finiscono nella mente , abbiano verità , questo non si concede , ma si niega , per molte raggioni e prima , che in tali discorsi mentali non accade esperienzia senza la quale nulla dà di sé certezza » . Accenti galileiani anche più espliciti sono più oltre , e giova udirli : « Dove si grida non è vera scienzia perché la verità ha un solo termine , il quale essendo pubblicato , il letigio resta in eterno distrutto ; e s ' esso litigio resurge , la ( è ) bugiarda e confusa scienzia , e non certezza rinata . Ma le verie scienzie sono quelle che la sperienza ha fatto penetrare per li sensi e posto silenzio alla lingua de ' litiganti , e che non pasce di sogno li suoi investigatori , ma sempre sopra li primi veri e noti principi precede successivamente e con vere seguenzie insino al fine , come si dinota nelle prime matematiche , cioè numero e misura , detta aritmetica e geometria che trattano con somma verità della quantità discontinua e continua » . Infine , « nessuna certezza è dove non si po ' applicare una delle scienze matematiche o ver che sono unite con esse matematiche » Pensieri che non sono contraddetti come è stato creduto da ciò che è affermato intorno alle matematiche nelle celebri Tesi di Pico della Mirandola ( e che sarà presso a poco riaffermato più tardi dal Vico ) ; poiché tali affermazioni non si riferiscono alla necessità né alla certezza del pensare matematico , a cui mirava Leonardo , ma alla consistenza dell ' oggetto a cui la matematica si rivolge , e alla differenza profonda del metodo proprio della geometria e di quello che invece si confà alla poesia e alla filosofia . Giacché in verità intorno al valore formale e logico delle scienze matematiche l ' origine del concetto che è in Leonardo e si ritroverà in Galileo e in Cartesio non si intenderebbe mai da chi non si rifacesse dalla tradizione platonica . Per Ficino basta leggere i suoi Collectanea al Filebo . Ma gli spunti platonizzanti di Leonardo - - conviene insistervi per farla finita con la falsa idea di un Leonardo antificiniano - - sono frequenti tra le sue note . Qualche esempio : « Qual poeta con parole ti metterà innanzi , o amante , la vera effige della tua idea con tanta verità , qual farà il pittore ? » . È una reminiscenza che s ' incontra nel Trattato della pittura , Oltre i detti gia citati del Codice Trivulziano « I sensi sono terestri : la ragione sta for di quelli quanto contempla » e quest ' altro appunto : « Il corpo nostro è sottoposto al cielo e lo cielo è sottoposto allo spirito » : nel manoscritto H ( 56 r . ) è un accenno di sapore bruniano , che riecheggia motivi platonici : « Tutto tuo discorso ha a concludere la terra essere una stella quasi simile alla luna . E così proverrai la nobilità del nostro mondo » . E quest ' altro nel manoscritto H ( 89 v . ) : « Faciano nostra vita coll ' altrui morte . Ne la cosa morta riman vita di sensato , la quale , ricongiunta agli stomaci de ' vivi , ripiglia vita sensitiva e intellettiva » . E nello stesso manoscritto : « L ' acqua che surgie ne ' monti è il sangue che tiene viva essa montagnia . E forata in essa o per traverso essa vena la natura , aiutatrice de ' suoi vivi , sendo abondante nell ' aumento di volere vincere il mancamento del versato omore , quivi con curioso socorso abonda , a similitudine del loro percorso nell ' omo , e si vede , per lo socorso fato , multiplicare il sangue sotto la pelle » ( 77' ) . E anche quest ' altro del Trivulziano ( 29' ) : « Ogni omo sempre si trova nel mezo del mondo e sotto il mezo del suo emisferio e sopra il cientro d ' esso mondo » : che ricorda il famoso detto ermetico ( di quell ' Ermete filosofo , il cui nome si trova segnato per memoria nel Manoscritto M : il Trismegisto , tradotto ed esaltato da Ficino e dai ficiniani ) , il famoso detto affermante l ' infinità del mondo e l ' umanità che lo pervade e vi si slarga ed attua infinitamente . Il gran concetto spinoziano della virtù premio a se stessa , d ' origine platonica e stoica ricorrente nel Ficino come nel Pomponazzi , ecco è anch ' esso già in un appunto di Leonardo : « Non si dimanda ricchezza quella che si può perdere . La virtù e solo nostro bene ed è vero premio del suo possessore . Lei non si può perdere , Lei non ci abbandona , se prima la vita non ci lascia . Le robe e le esterne dovizie sempre le tieni con timore , e ispesso lasciano con iscorno e sbeffato il loro possessore » ( Ash , 134 v . ) . Infine , una curiosità , ma significativa . Da Giorgio Gemisto a Tommaso Campanella il sole , dator di vita e sorgente di luce , è motivo costante di esaltazione pei filosofi che in esso vedono simboleggiata , anzi rappresentata la stessa divinità . Nei manoscritti vinciani è una specie di Inno al sole ( Lalde , cioè Laude , del sole , come egli dice ) , di cui egli stesso cita le fonti : La spera di Goro Dati , e gl ' Hymni naturales del Marullo ; ma il cui motivo era si può dire , nell ' aria , nella Firenze ficiniana del suo tempo ; e anche il Ficino aveva scritto un De Sole : Se guarderai le stelle sanza razi ( come si fa a vederle per un piccolo foro fatto colla strema punta da la sottile acuchia e que ( sto ) posto quasi a tocare l ' ochio ) , tu vedrai esse stelle esser tanto minime che nulla cosa pare minore . E veramente la lunga distanzia dà loro ragionevole diminuizione , ancora che molte vi sono che son moltissime volte maggiori che la stella che è la terra coll ' acqua . Ora pensa quel che parebbe essa nostra stella in tanta distanzia ; e considera poi quante stelle si metterebbe e per longitudine e latitudine infra esse stelle , le quali sono terminate per esso spazio tenebroso . Mai non posso fare ch ' io non biasimi molti di quelli antichi , li quali disono che ' l sole non avea altra grandezza che quella che mostra . Fra ' quali fu Epicuro .... Ben mi maraviglio che Socrate biasimassi questo tal corpo , e che dicessi quello essere a similitudine di pietra infocata . È certo che chi lo ponì di tale errore , di poco pecò . Ma io vorrei avere vocaboli che mi servissimo a biasimare quelli che vollon laldare più lo adorare li omini che tal Sole , non vedendo nell ' universo corpo di magiore magnitudine e virtù di quello . El suo lume allumina tutti li corpi celesti che per l ' universo si compartano . Tutte le anime discendan da lui , perché il caldo ch ' è nelli animali vivi vien dall ' anime , e nessuno altro caldo né lume è nell ' universo . E cierto costoro che han voluto adorare omini per iddei , come Giove , Saturno , Marte e simili , han fatto grandissimo errore , vedendo che , ancora che Pomo fusi grande quanto il nostro mondo , parebe simile a una minima stella , la qual pare un punto nell ' universo ; e ancora vedendo essi omini mortali e putridi e coruttibili nelle lor sepolture » . V . Ho nominato Machiavelli : ficiniano , platonizzante anche lui nel suo concetto della « virtù » come essenza dell ' uomo domatore della fortuna e fabbro del suo mondo , lo Stato . Ho nominato Galilei , stella di prima grandezza nel firmamento fiorentino mediceo : egli e i suoi dell ' Accademia del Cimento onore e lustro del granducato . Anche lui tutto compreso dell ' alto concetto dell ' uomo , che Manetti , Ficino e Pico avevano additato : anch ' egli audacemente convinto che ci sia una scienza umana identica non per estensione sì per intensità o valore alla divina ; limitata bensì alle matematiche forse per quelle stesse considerazioni che Marsilio aveva indicate nel suo Commentario al Parmenide e che saranno svolte più tardi dal Vico ; anch ' egli disposto e pronto ad esaltarsi e commuoversi nella coscienza della grandezza e potenza dell ' ingegno umano , anche in mezzo alle severe speculazioni scientifiche de ' suoi Massimi sistemi ; anch ' egli dell ' opinione di Platone e di tutti i platonici che la scienza non venga all ' uomo dal di fuori , ma l ' abbia dentro , e soltanto dal proprio interno possa cavarla . Innatismo nel Galilei , protoparente dei positivisti della nostra fanciullezza ? Ebbene , si rilegga il luogo dei Massimi sistemi dove Galileo ammonisce che nulla s ' insegna quando si tratti di verità necessarie , e che quando uno non sa la verità da per sé è impossibile che altri glie ne faccia sapere ; poiché tante cose si sanno quantunque non siano avvertite . Poté dunque il pensiero toscano nel periodo granducale calare di tono e dai grandi problemi della vita a cui Platone l ' aveva educato , tornare alla disciplina di particolari problemi dell ' esperienza e però della natura esterna , ma non lasciò più la via sulla quale s ' era incamminato . Alla filosofia succede la scienza e grandeggia . Ma l ' ispirazione antica non si spegne ; e quella voce solenne che da Firenze aveva rinfrancato l ' uomo del Rinascimento e inculcatagli la fede in sé medesimo , nel suo divino ingegno , nella sua stessa volontà possente , riscuote i petti di altri Italiani che in altre provincie italiane , nel mezzogiorno , erano più duramente provati dalla tirannia delle scuole e della Chiesa e dello Stato , e costretti a ricercare in se medesimi , per entro ai vigilati chiostri , nel buio delle umide prigioni , tra torture fisiche e morali , la forza di pensare , e cioè la libertà e la vita . Quella voce giganteggia e si fa più solenne sulla bocca di un filosofo calabrese , il Campanella , che sperò un momento anche lui di riparare all ' ombra tranquilla del Granducato in Toscana ; e ha tutto l ' impeto dell ' estro religioso . Il suo ispirato canto è noto al lettore di questo libro ; ma va qui ricordato come il suggello di questo glorioso periodo del pensiero italiano . VI BERNARDINO TELESIO I Dietro al chiarore del Rinascimento , sullo sfondo dell ' orizzonte , s ' addensa ancora la nebbia medievale ; e la luce nascente s ' imporpora dei riflessi fumiganti di quella nebbia , che il sole alto , splendente nel mezzo del cielo , spazzerà , quando agli albori antelucani sarà successo il gran giorno dell ' età moderna . In quella prima ora le vecchie idee sono morte ; ma , anche morte , rimangono nel pensiero umano , e l ' impediscono e l ' opprimono con la gravezza di ciò che , estraneo alla vita , ne impedisce il cammino . Le idee nuove , quelle che sono anche oggi la sostanza del nostro spirito , vengono annunziate , anzi affermate con la vivacità impetuosa e fremente , con l ' entusiasmo gioioso della giovinezza , che ha per sé l ' avvenire e non sente il passato che si lascia alle spalle . Ma la loro affermazione per noi è piuttosto un annunzio : manca lo sviluppo logico , in cui è la vita concreta delle idee , e manca l ' integrazione , che il lembo della verità intravvista raccolga nella coscienza coerente del tutto , dove ogni parte ha il suo valore organico . E lo sviluppo e l ' integrazione mancano , perché il nuovo è commisto col vecchio e ravvolto nella vecchia scorza ; e si va innanzi , come infatti è dei giovani , senza sapere distintamente che cosa si lascia e che cosa si cerca , e quale il cammino : portati dall ' istinto della vita , che perverrà più tardi alla netta coscienza del nuovo e alla negazione del vecchio . Perciò tutti i pensatori di questa età hanno due facce , e ci presentano contraddizioni , che paiono spiantare i principii stessi del loro filosofare ; e chi guarda a una sola faccia , non riesce più a rendersi conto dell ' altra . E chi ne fa gli iniziatori , a dirittura , del pensiero moderno , e chi li respinge indietro , alla Scolastica dei tempi di mezzo : laddove il loro significato storico è in questa loro posizione tra una filosofia che hanno solo virtualmente superata e una filosofia che del pari solo virtualmente affermano . Trascurare cotesto residuo esanime , che resiste nei loro sistemi alle intuizioni innovatrici , in tutti filosofi , dal Ficino , anzi dal Valla , al Bruno e al Campanella , non è possibile : vien meno tutto il significato di queste medesime intuizioni , che fanno di essi i precursori dei più grandi filosofi moderni ; e non si spiegano più atteggiamenti essenziali e parti vitali del loro pensiero ; ma , sopra tutto , diviene un mistero perché il germe di verità , che essi si recano in mano , rimanga soltanto un germe , la cui vita s ' arresti appena cominciata . II L ' uomo del medio evo si era travagliato in una contraddizione , che si può dire organica , perché ne dipendeva la vita stessa del pensiero . Una contraddizione , i cui termini , se si vuol considerare il processo generale della storia ne ' suoi grandi tratti , si possono designare come la filosofia greca e la fede cristiana : due termini , che il pensiero tentò per tutte le vie , lungo più di un millennio , di conciliare ; ma erano assolutamente inconciliabili sul terreno in cui si era posto . poiché , a dirla in breve , la sua dottrina , che avrebbe dovuto operare la conciliazione , era tuttavia la filosofia greca , cioè uno dei due termini stessi antagonisti . La filosofia greca è il pensiero che si vede fuori di sé : e si vede perciò o come natura , nella sua immediatezza sensibile , o come idea , che non è atto del pensiero che pensa , ma cosa in cui il pensiero si affisa , e che presuppone come verità eterna e ragione eterna di tutte le cose e della sua stessa cognizione parallela alla vicenda delle cose : in entrambi i casi , realtà che è in se stessa quella che è , indipendentemente dalla relazione in cui il pensiero entra con essa quando la conosce . Visione la più dolorosa che l ' anima umana possa avere del proprio essere nel mondo : perché l ' anima umana vive di verità , cioè della fede che sia da pensare quello che essa pensa ; e in quella visione , che è poi la visione eterna della prima riflessione , da cui si dovrà sempre pigliare le mosse , la verità , quel che è veramente , non è nell ' anima umana . La cui condizione permanente e , a dir vero , tragica da quell ' ardente e sensibilissimo amatore dell ' essere eterno o dell ' ideale del mondo , che fu Platone , venne raffigurata nel mito di Eros : mito pregno , nella sua classica serenità , di pathos che direi cosmico : perché l ' aspirazione fervente al divino , che è l ' Amore di Platone , e che nella sua forma più alta è la filosofia , non è solo lo sforzo supremo in cui si concentra l ' anima umana , ma culmina in questa e affatica l ' universo , tormentato tutto dal desiderio di qualche cosa che , essendo il suo vero essere , è fuori di esso . Mito , che , con tutto il suo pathos , può essere intanto sereno , perché l ' occhio dell ' idealista greco è attratto dalla bellezza dell ' ideale lontano , e vi si affisa , e gli sfugge la miseria infinita dell ' amante senza speranza . In questa visione , quando , per opera principalmente dello stesso Platone , la verità della natura sensibile e mortale si rifrange nelle forme ideali , ond ' essa si rivela al pensiero ne ' suoi vari aspetti , e diventa sistema di idee , tutta la scienza , nel suo proprio assetto , quale possesso adeguato della verità , non apparisce come il perenne lavoro della mente e la celebrazione dell ' ufficio supremo del mondo , ma quasi un che di remoto dalla realtà , astratto ideale , di cui la cognizione umana è sempre copia imperfetta . La scienza , di cui la logica deduttiva di Aristotele descrive sapientemente il congegno , non è la scienza nostra , la scienza umana , che si fa svolgendosi continuamente nella storia : è la scienza che ha principii immediati , in sé contenenti sistematicamente tutti i concetti , in cui si snoda lo scibile : è pertanto la scienza che scienza è in quanto è tutta e perfetta a un tratto , senza possibilità di svolgimento storico : quella scienza , per ottenere la quale tutto questo svolgimento , in cui è pure tutta la vita e tutto l ' essere nostro , non giova : un ideale , al cui cospetto quel travaglio mentale , che ci par tuttavia la cosa più seria del mondo , non ha valore di sorta . Dentro questa visione si chiude tutta la filosofia greca , e ogni filosofia che , come quella del medio evo , accetta la logica , e la maniera d ' intendere la verità , che è propria di Aristotele . Questa logica si può definire la logica della trascendenza ; o altrimenti , la logica dell ' intellettualismo . Per questa logica infatti la verità , termine dell ' intelletto , è trascendente , radicalmente superiore all ' intelletto stesso ; e questo è ridotto a semplice facoltà passiva , contemplatrice e non autrice . Che è il concetto dell ' intelletto nel senso deteriore del termine : quasi mente , che importa bensì la presenza delle cose da conoscere , ma non dell ' uomo , non dello spirito che le conosce ; e che ha appunto questo di proprio e di diverso rispetto alle cose : che essa non è cosa da conoscere , anzi l ' attività correlativa , che queste presuppongono nel loro concetto di « cose da conoscere » . Mentre , insomma , per essa c ' è il mondo , ed essa , per cui il mondo è , non è . E in altri termini l ' uomo , questo divino artefice di quanto è bello e santo e vero nel mondo , di quanto ci umilia e ci esalta , ora facendoci piegar le ginocchia innanzi alla potenza terribile del genio , ora sublimandoci nel gaudio di quanto trascorre immortale i secoli e aduna nel consenso d ' uno spirito solo i morti coi vivi ; quest ' uomo , annichilato . Annichilato s ' intende , ai propri occhi , nella coscienza che ha del suo essere . Di un uomo così , ignaro del proprio valore , men che atomo disperso nell ' infinito , Chiesa ed Impero , accampatisi immediatamente come rappresentanti di Dio , possono disporre a lor talento , come di cose che non sono persone . Manca la coscienza , e manca perciò l ' individuo non c ' è la libertà , come coscienza della propria legge . La legge , come la verità , scende dall ' alto . Ma era questo il principio del Cristianesimo ? Il Cristianesimo voleva essere , al contrario , la redenzione , la rivendicazione del valore dell ' uomo ; voleva sollevare l ' uomo a Dio , facendo scendere Dio nell ' uomo , e rendendo questo , partecipe della natura divina . Giacché in Gesù , che è l ' uomo stesso nella sua idealità , quale esso dev ' essere concepito , Dio era uomo : con tutte le miserie umane , soggetto all ' estrema delle miserie , la morte ; ed era Dio ( quel dio , che redimeva ) in quanto questo uomo , che eroicamente affrontava la morte , in questa otteneva il premio della missione della sua vita tutta spesa umanamente in un ' opera d ' amore . sicché l ' amore risorgeva , non più , come nel mito platonico , contemplazione desiderosa dell ' irraggiungibile , ma attività dell ' uomo che crea se stesso perennemente : e non era più la celebrazione estatica di un mondo che è , ma la celebrazione operosa , dolorosa insieme e letificante , di un mondo , che è regno di Dio essendo la purificazione della stessa volontà umana nella fiamma della carità . L ' uomo non era più sapere o intelletto ; ma amore o volontà , creatore esso stesso della sua verità che è il bene la verità che si scorge , quando la cerchiamo con la buona volontà , col cuore puro , mettendo tutto l ' essere nostro , sinceramente , ingenuamente nella ricerca ; e che non è più , quindi , un che di esterno a noi , che si presenti e s ' imponga a noi passivi , ma la conquista e il premio del nostro sforzo . L ' uomo non è più spettatore , anzi protagonista . Si desta , e sente se stesso ; sente che senza la sua volontà , senza il suo conato , senza lui , il mondo che ha valore per lui , la felicità , la vita , Dio , non si raggiunge . Acquista quindi davvero la coscienza della sua personalità , e però della sua responsabilità : vede che da sé tutto dipende ; e lui caduto , tutto cade ; lui risorto , tutto risorge . L ' uomo trova dunque se stesso nel Cristianesimo . Se questa intuizione fosse divenuta senz ' altro concetto complessivo ed organico del mondo , se questo senso nuovo del valore dello spirito umano avesse rinnovato la concezione della vita in cui l ' uomo afferma la sua creatrice potenza , se insomma il contenuto della nuova fede fosse assurto al vigore d ' una nuova filosofia , il Cristianesimo avrebbe segnato fin da principio la fine dell ' intellettualismo . Ma la fede non è ancora filosofia : è visione immediata della verità non integrata in sistema di pensiero . E il cristiano , quando volle pensare il suo Dio , pensò più a Dio padre che a Dio figlio ; e s ' impigliò nella rete della metafisica aristotelica che il principio della realtà , come motore immobile , il quale è solo pensiero di se stesso , e non d ' altro , faceva estraneo alla realtà , e poi s ' affaticava invano a colmare l ' abisso tra Dio e la natura ; tra la causa del movimento , che non è movimento , e il movimento , che non ha in sé la propria ragion sufficiente ; e quindi tra il principio del divenire , che non diviene , e la natura che in sé non ha la cagione del suo perenne generarsi e corrompersi ; e poi tra l ' anima e il corpo ; e poi ancora tra l ' anima che intende , ed è lo stesso intendimento in atto , e l ' anima naturale soltanto capace di raggiungere la mera possibilità d ' intendere , ma incapace per sé d ' intendere mai realmente : e in generale tra la materia , potenza , e non più che potenza , di tutto , e la forma , che di tutto è realizzazione . Come dire , tra l ' aspirazione alla vita e la vita . Eterno destino di Tantalo ! Aristotelici o platonici , nominalisti o realisti ; averroisti o tomisti , tutti i cristiani ché nel medio evo si sforzarono di concepire la realtà , giusero a cotesto risultato : al destino di Tantalo . Tanto più doloroso , tanto più inquietante , in quanto nella fede novella , che fiammeggia a quando a quando nei mistici , era pur incluso il concetto dell ' immanenza di Dio nel mondo , nell ' uomo , nello spirito . La teologia , tutta la filosofia scolastica , anzi tutta la scienza medievale ( che non è tutta filosofia ) si costruisce come scienza di una verità che , appena il sentimento si sveglia ( basti per tutti ricordare Francesco d ' Assisi e Jacopone , il suo poeta ) , si sente estranea all ' anima , lontana , tale da colpire per vano riflesso solo l ' intelletto dell ' uomo , speculazione umbratile e di scuola , che non entra nell ' intimo , non afferra , non impegna , non riforma e non fa l ' uomo . Scienza vana per chi ravvivava in sé il sentimento , tutto cristiano , del valore spirituale scienza elegante nel suo laborioso artifizio , sottile nella pellegrinità de ' suoi tecnicismi , delicatissima nei pazienti avvolgimenti didascalici in cui si intrica , vasta , universale come un mondo per quanti vi si dedicavano : e , messovi dentro , talvolta , un intelletto di vasto respiro e di tempra ferrea , vi si aggiravano e scendevano per meati lunghissimi , con ricerche che ora ci spaventano per la fatica di pensiero e la forza di sacrifizio che attestano , fino a toccare l ' ultimo fondo delle difficoltà , in cui la filosofia antica urta e si arresta . E basti per tutti ricordare il nostro Tommaso d ' Aquino : i cui sforzi possenti per scuotersi di dosso la plumbea cappa delle conseguenze ineluttabili dell ' antica filosofia , riempiono l ' animo dello studioso moderno di commossa ammirazione e di reverenza . Chi vuole intendere la storia del pensiero medievale , deve figgere lo sguardo in questo contrasto delle maggiori forze spirituali che vi operavano dentro : il misticismo , che , affermando immediatamente la presenza di Dio , della verità , di quanto ha valore , nello spirito umano , nega la scienza , come cognizione che sia sviluppo e sistema , e tutte le forme a cui lo sviluppo dello spirito dà luogo nella scienza e nella vita ; e la filosofia intellettualistica , che , presupponendo una realtà fuori dello spirito che la ricerca , si affanna in una costruzione , formalmente ricchissima e sostanzialmente vuota , di ciò che non può essere verità . O verità senza scienza , senza vita dello spirito ; o scienza , - - la forma più elevata di questa vita , - - senza verità , sterile . III Quando il medio evo è al tramonto , un uomo di genio raccoglie in una espressione eloquente il senso di vuoto che l ' anima cristiana prova nella scienza delle scuole : ma un senso , che non è più schietta conseguenza di disposizione mistica , la quale , rinunciando alla scienza , possa trovare il suo appagamento nell ' immediatezza della fede ; anzi , piuttosto , un senso nascente da vivo bisogno di sapere , pensare , intendere . Egli è un dotto , un gran maestro di dottrina , un amante appassionato della scienza ; ma aspira dal profondo a una scienza che riempia l ' anima e appaghi i bisogni che la nuova fede ha creati dando all ' uomo la coscienza della sua iniziativa , della sua posizione centrale nel mondo : a una scienza insomma che dia la filosofia a questa fede . Quest ' uomo , che si presenta sulla soglia del Rinascimento con la coscienza di tale nuovo problema , e che , parlando un linguaggio pieno di malinconica nostalgia per un tempo che non è il suo , avvia per una nuova strada lo spirito umano , svegliando intorno e innanzi a sé lunga e folta schiera di ricercatori , intenti a indagare con fede oscura ma salda una scienza nuova , che non essi potranno trovare , è un grande poeta , che fu anche un grande scrutatore dell ' anima propria raffinata dall ' amore e dalla cultura : Francesco Petrarca , iniziatore dell ' Umanesimo . L ' Umanesimo ha un doppio valore storico , negativo e positivo . È guerra alla scienza del medio evo . Guerra combattuta bensì con argomenti alquanto estrinseci e con spirito assolutamente restio , per lo più , a passare attraverso a quella scienza per superarla . Combattuta con la satira della forma letteraria , ispida , irsuta , lutulenta , aspra di terminologia creata dall ' intelletto irrigiditosi nell ' astrazione e nella conseguente escogitazione di entità fittizie ; alla quale si contrappone la purezza trasparente e composta dell ' arte antica propria di uno spirito più ingenuo , meno affaticato dalla concentrazione di un contenuto speculativo divenuto poi insufficiente alle intuizioni fondamentali del pensiero . E combattuta con la dimostrazione sempre feconda , efficace , insinuante del vuoto , che c ' era sotto il tecnicismo difficile di quella pretesa scienza . E poiché quando la vita è sullo spegnersi , anche la causa più piccola basta a portare alla morte nella civiltà viva del sec . XV , in quella che progredisce e prepara le forme ulteriori del pensiero umano , l ' Umanesimo , pur coi difetti della sua polemica , caccia di nido la Scolastica . Restano le scuole dei frati ; come restano anche oggi . Si continua a filosofare all ' antica ; ma è una filosofia morta , allora come ora : non c ' è più un Tommaso d ' Aquino , né un Duns Scoto . Comincia l ' era dei commentatori , che fossilizzano per conto loro lo spirito , che è vita sempre nuova . E la vita è negli umanisti . Quindi il lato positivo del loro valore storico . L ' Umanesimo è filologia ; ma filologia seria , che rivive il mondo umano che vuol conoscere : lo rivive nella fantasia e nel pensiero , ma con una fantasia e con un pensiero , che s ' estraniano dal mondo circostante e si chiudono in se stessi . Gli umanisti perciò , rifacendosi antichi nel mondo degli studi in cui si ritirano , possono acconciarsi alle forme della vita esteriore , a cui non attribuiscono nessun valore . Tutta la vita reale e storica non tocca l ' animo loro : è qualcosa di indifferente , che si può quindi accettare qual ' è , senza critica di sorta . L ' uomo , ora per la prima volta , si spezza in due , con una scissura , che , quando sarà passato questo periodo necessario di liberazione dal medio evo , non si colmerà a un tratto ; e in Italia , che fu la patria degli umanisti , ossia dei primi maestri , dei primi risvegliatori dell ' Europa moderna , resterà tristo legato di quell ' epoca gloriosa , piaga secolare del nostro carattere spirituale , e forse il simbolo più significativo di quel che sarà la nostra decadenza . L ' umanista è il primo letterato dell ' età moderna : il letterato , il cui mondo vero è quello degli studi , e quell ' altro , in cui pur vive come uomo che ha famiglia e interessi sociali , non è il suo mondo ; il letterato insomma che non è uomo . Tale il Petrarca , i cui sdegni contro l ' avara Babilonia e il saluto augurale ed ammonitore allo « Spirto gentile » sono superfetazioni retoriche della sua poesia . Tale non era stato quell ' Alighieri , che al Petrarca restò sempre incomprensibile , nel poema divino , contemplazione e poesia , ma di uno spirito energico , che guarda al suo tempo , e s ' appassiona per tutte le lotte che gli si agitano intorno , e fa tuonare da Dio la parola che può essere la salute di tutti . Letterati saranno tutti i poeti e filosofi dell ' Italia fiorentissima del Rinascimento , che accetteranno tutti la vita quale la troveranno , poiché la loro vera vita essi se la faranno dentro , nella fantasia e nella speculazione , nel mondo creato da loro . La stessa religione , fissatasi , al loro sguardo , nella Chiesa , che non solo associa le anime , ma le forma e riforma con l ' amministrazione del divino commessole , con la sua teologia e con la sua filosofia , diventa per loro qualcosa d ' estrinseco e indifferente , che il cittadino deve accettare come le leggi dello Stato . In realtà , essi non partecipano alla religione del paese ; ma ne hanno una per conto loro , poiché veramente il loro Dio è la loro arte , la loro filosofia , alle quali infatti votano tutta l ' anima e subordinano ogni altro interesse , almeno nell ' intimo del loro spirito . Non è , propriamente , né indifferentismo religioso , né tanto meno ateismo . Ma ateismo pare verso la religiosità ufficiale di cui si ridono , ancorché esteriormente le professino ogni riguardo . Quindi i conflitti frequenti e le prigioni e i roghi , che aspettano i nostri filosofi del sec . XVI . Il letterato , a ogni modo , staccandosi dalla vita comune , in cui si era consolidata , in , forma di istituzioni costrittive della libertà individuale , l ' intuizione trascendente e intellettualistica del medio evo , ereditata dalla filosofia greca , ristaurava , come poteva , la libertà dello spirito che si fa il suo mondo . E si fa un mondo di puro pensiero , poiché non gli è consentito di scrollare , d ' un tratto ; quell ' altro della comunità civile ; al quale per altro , a suo tempo , perverrà egualmente , quando il principio suo , il principio della libertà , diverrà nel sec . XVIII coscienza sociale . E per questa sua ristaurazione , che è perfetta ed assoluta rispetto al mondo dell ' umanista , egli , il malvisto della Chiesa , il perseguitato nei libri che saranno proibiti , nell ' insegnamento che sarà vietato , nella persona che sarà gettata nei ceppi , messa alla tortura , e perfino bruciata , egli è più cristiano dei suoi persecutori . Egli è il continuatore dello spirito vero del cristianesimo . Ha infranta e buttata via , con l ' impeto della giovinezza , la vecchia filosofia , la fida , l ' eterna alleata della chiesa medievale , come della chiesa d ' oggi e di ogni chiesa avvenire ( poiché un medio evo ci sarà sempre ) . Ma non si è abbandonato , come si faceva una volta , al misticismo ; anzi celebra la potenza dello spirito ; e poiché una filosofia sua non l ' ha ( e non era facile averla , dopo il rifiuto di una filosofia che era il frutto di un ' opera millenaria ) , ei la ricerca nell ' antichità più remota . La ricerca dove , a dir vero , era vano cercarla ; perché quell ' antichità aveva generato il medio evo . Ma l ' umanista non sa questo , e non può credere che Platone , Aristotele , quei maestri solenni di sapienza umana , che gli scrittori antichi a una voce lodano , possano aver insegnato la dottrina di cui essi vedono la tardiva e sfigurata immagine nelle scuole del loro tempo . E poiché , in realtà , noi troviamo soltanto quello che cerchiamo , gli umanisti che imparano il greco , e vanno a leggere nei testi originali e traducono e commentano , col sussidio dei più genuini commenti greci , gli scritti di Platone e di Aristotele , scoprono un mondo nuovo ; un altro Platone e un Aristotele nuovo da quelli che erano stati i maestri della filosofia medievale ; non dico di quella filosofia , ansimante nella logica terministica degli occamisti , che sul cadere del Trecento lacerava le orecchie delicate dei primi umanisti fiorentini , i quali avviarono pure i lavori delle nuove traduzioni greche ( codesta è la filosofia della decadenza medievale ) ; ma di quella che è la vera , la essenziale filosofia dell ' epoca : la filosofia della trascendenza e dell ' intellettualismo . Essi muovono da una nuova situazione spirituale , che fa di questo ritorno all ' antico qualcosa di radicalmente diverso non solo dalla primitiva ellenizzazione del Cristianesimo ma anche da quel primo ritorno alle fonti greche già avvenuto nel sec . XIII . IV Marsilio Ficino e Pico della Mirandola , in cui culmina la direzione platonizzante , sono platonici , eppure profondamente cristiani ; e un ' aura di mistica religiosità pervade il loro pensiero , che vede e sente Dio per tutto , e sommamente nell ' anima umana . E ispirandosi ai Neoplatonici piuttosto che a Platone , più della trascendenza , che non possono negare , accentuano l ' immanenza del divino nella realtà naturale e aspirante a ritornare all ' Uno da cui trae sua origine . E aprono la via a Leone Ebreo e a Giordano Bruno . Pietro Pomponazzi , il maggiore aristotelico , fiorito al principio del sec . XIV dal movimento filologico sui testi di Aristotele del secolo antecedente , scopre un Aristotele , che non è più quello dei tomisti , né quello degli averroisti : un Aristotele , che , a poco per volta ( secondo apparisce dai vari gradi attraversati dalla speculazione stessa del Pomponazzi ) , perviene alla dimostrazione di questa tesi gravissima : che la materia si possa sollevare da sé fino all ' intelligenza , senza il sussidio dell ' intelletto separato ; e che l ' anima umana , ultimo risultato perciò del processo della natura , possa compiere in questo mondo , con le sue forze , tutta la sua missione , che è principalmente il ben fare , la virtù ; e che tutti poi i fatti della natura debbano pel filosofo spiegarsi meccanicamente , per le loro cause : un Aristotele , insomma , per cui quel che rimane di trascendente ( e rimane tutto quello che nell ' Aristotele originale e nell ' Aristotele medievale , ossia nella Scolastica , era tale ) non serve più alla ricostruzione e spiegazione della realtà che è la sola realtà del filosofo . sicché la filologia del sec . XV riesce , ricalcando gli antichi modelli con lo spirito nuovo dell ' Umanesimo , a cavarne due intuizioni generali , in cui la filosofia greca riapparisce trasfigurata e come ricreata dal soffio del Cristianesimo , inteso come affermazione dell ' autonomia e del valore assoluto della natura e dell ' uomo . La nuova filosofia infatti dicesi platonica e aristotelica ; ed è cristiana , ancorché mal veduta e condannata dai rappresentanti ufficiali del cristianesimo . Si guardi essa nel Machiavelli , contemporaneo del Pomponazzi e suo coerede della tradizione filologica del sec . XV . Tutto il suo realismo politico , quella concezione dello spirito , della storia , dello Stato , fondata sulla visione della realtà effettuale e illuminata dalla lezione degli antichi , non è , come il positivismo guicciardiniano , un empirismo , ma una vera e propria speculazione ( Machiavelli è un idealista ) . La quale dello studio degli antichi si giova solo per liberare l ' uomo dalle contingenze storiche , quali sono per lei tutte le forme e istituzioni medievali sorrette dalla autorità di una tradizione irrazionale ; a fine di studiarlo per quel che esso è , nelle sue forze e nelle sue reali attinenze col resto del mondo , vero ed unico autore della sua storia : una specie di naturalismo del mondo umano . Guardate , dico , questa nuova filosofia nel Machiavelli . Machiavellismo dopo un secolo , nel Campanella , sarà sinonimo di « achitofellismo » , negazione di ogni fede religiosa . E l ' achitofellismo , più o meno apertamente e coraggiosamente , è la conclusione definitiva e il succo delle dottrine di tutti i pensatori del Cinquecento : anzi , di tutto lo spirito italiano del secolo , a cui l ' interpretazione aristotelica si ispira e si conforma . Giacché averroisti e alessandristi , per diverse vie , tendono tutti alla stessa mèta : che è la spiegazione naturale di quel che una volta pareva superiore affatto alla natura . E gli artisti , si chiamino Ariosto o Folengo , non conoscono altro mondo ; oltre quello naturale ed umano . Ma negavano perciò Dio ? Se Dio è quel Dio , che stando fuori della natura e dell ' uomo , ci rende impossibile concepire una natura divina e un uomo divino , Dio essi lo negavano , perché tenevano ad affermare il valore della natura e dell ' uomo . Ma quel Dio , che era sceso in terra , e si era fatto uomo , e aveva redento la natura , era la radice della religione , che essi primi , dopo il lungo travaglio medievale , ristauravano nella coscienza della umanità . Essi , infatti , per la prima volta , rivendicavano in libertà , dalle presunzioni mistiche o intellettualistiche , conculcatrici per opposte ragioni il senso profondo , proprio del Cristianesimo , della divinità della vita che crea eternamente se stessa , dell ' essere che nella propria logica ha eternamente la ragione del proprio trasformarsi e perpetuarsi trasformandosi . Quando l ' Umanesimo venne per tal modo , in chi prima e in chi dopo , alla maturità della Rinascenza , lo spirito umano poté mettere quasi l ' anelito potente di una nuova vita : e da filologia farsi filosofia . Quando il nuovo Platone e il nuovo Aristotele ridiedero all ' uomo il concetto dell ' immanente suo valore , e l ' ebbero allenato alla libertà dell ' esser suo , e dell ' essere naturale a cui il suo essere appartiene , lo stesso Platone e lo stesso Aristotele ( questi sopra tutto , che era stato il vero signore delle scuole e il maestro di ogni umana sapienza ) dovevano necessariamente perdere il loro prestigio di rivelatori privilegiati delle verità naturali . L ' umanista è ancora un platonico o un aristotelico ; cerca la scienza ; e non sa né anche come deve cercarla ; e interroga gli antichi , che la tradizione e la fama consacra nella generale estimazione come i filosofi . Ma il filosofo della Rinascenza da questi antichi , meglio conosciuti e studiati con lo spirito nuovo dell ' Umanesimo , ha appreso che la natura si spiega con la natura , la storia con la storia ; e che bisogna cercare quindi nel gran libro della natura e della realtà effettuale dei fatti umani che cosa è la natura e che cosa è l ' uomo . Gli antichi maestri rimandavano i nuovi scolari all ' osservazione diretta di quel che essi avevano osservato e inteso come era possibile a loro , privi , com ' erano , d ' ogni sentore della imprescindibile presenza del soggetto umano nel mondo dell ' uomo . La libertà , che gli scolari appresero da loro , quali essi la videro coi loro occhi nuovi , questa libertà essi l ' affermarono ben presto contro l ' autorità dei maestri , che faceva della verità qualche cosa di dato e di estrinseco alla mente come il Dio nascosto della teologia , come la realtà dell ' intellettualismo . E però gli umanisti , divenuti filosofi , come parvero , e in un certo senso furono , atei e achitofellisti , furono antiaristotelici e , in generale , ribelli all ' autorità degli antichi . Tutti colpiti da un fantasma affatto nuovo , non intravvsto mai dagli antichi scrittori : quello della Verità . La quale si leva su dai libri e dai tripodi , in cui i vecchi pensatori e sacerdoti l ' avevano collocata quasi paralitica impotente : e si sgranchisce , procede col tempo , e vive di questo suo cammino pei secoli , di cui trionfa , anzi per le menti delle generazioni che si succedono , e mai indarno : quasi fiamma che passi da una mano all ' altra e mai non si spenga , anzi accenda sempre nuovi incendi , sempre più vasti . Veritas filia tesnporis ! Gli uomini , che per lo innanzi avevano concepito la verità quasi vivente per sé e non risultante dal loro lavoro , l ' avevan sempre relegata dietro a sé , al principio della vita , nel paradiso terrestre , nell ' età dell ' oro , nel vangelo rinnovatore e iniziatore di un ' era nuova già fin da principio perfetta , o , per lo meno , se verità accessibile a mente umana , nell ' insegnamento degli antichi , venuti crescendo perciò sempre più nella venerazione dell ' universale e illuminandosi dell ' aureola della saggezza , onde agli occhi dei fanciulli si ricinge sempre la canizie dei vegliardi . - - Sì , è vero , si comincia a dire sulla fine del sec . XVI : la sapienza cresce cogli anni ; ma i vecchi siam noi , non quelli che furono prima di noi . - - Così dice Bruno ; e così ripeteranno Bacone e Cartesio , Pascal e Malebranche , e poi con voce ognora più alta tutti i filosofi moderni . I quali affermeranno con coscienza sempre più salda la legge del progresso del sapere e della verità : il valore serio , divino della storia , come sviluppo , che è incremento continuo della realtà . sicché i vegliardi di una volta si trasfigurano in fanciulli ; e i già fanciulli , usciti di minorità , e abbandonato alla scuola dei pedanti ( come allora cominciarono a dirsi ) il culto degli antichi , acquistano il giusto orgoglio degli uomini fatti , e la coscienza della propria capacità di concorrere al progresso del sapere . Che anzi questa uscita di minorità , nella sua primitiva e ovvia forma di reazione al lungo servaggio passato , scoppia come ribellione , e si ricompone tardi e lentamente a equo giudizio storico delle benemerenze incontestabili degli antichi . Così , se una volta , come notava nel sec . XII Giovanni di Salisbury , Aristotele era stato il filosofo per antonomasia , e nessuno si scandalezzava della fanatica iperbole di Averroè che nello Stagirita vedeva « la norma della natura e quasi un modello , ond ' essa avesse cercato di esprimere il tipo dell ' umana perfezione » ; nel Cinquecento continua bensì , almeno nelle grandi edizioni di tutti i suoi scritti voltati in latino e commentati in uso delle tante scuole dove rimaneva sempre il solo testo di studio , continua egli a godere il titolo pomposo di princeps philosophorum ; e la chiesa cattolica a lui come a patrono invincibile della sua dottrina , valido alla repressione di ogni libero tentativo di riscossa , si tiene sempre strettissima ; talché ancora nel 1615 Federico Cesi badava ad avvertire il suo Galileo che a Roma « li contrari ad Aristotele sono odiatissimi » . Ma lungo tutto il secolo è una polemica incessante prima contro gli aristotelici , e poi contro Aristotele , preparatrice del rinnovamento baconiano . Ricorderò Mario Nizzoli ( 1488­1566 ) , il quale nel suo Antibarbarus philosophicus ( 1553 ) non dubita di affermare che chi si mette sulle orme di Aristotele , non potrà mai nec recte philosophari nec perfecte veritatent invenire . Raccomanda sì la lettura delle opere aristoteliche : ma cum diligenti consideratione atque iudicio . Ne pregia alcune ; ma nella maggior parte della Fisica , in non pochi punti della Metafisica e in tutta la Logica trova dottrine false , o inutili , e perfino ridicole . Ad Aristotele , secondo il Nizzoli , si può applicare il proverbio : Ubi bene , nihil melius : ubi male , nihil ficius . Insomma , in tutte le sue critiche contro Aristotele uno studioso inglese di Bacone può notare quell ' impazienza e quell ' asprezza , che son solite negli scritti del Cancelliere inglese . E basti vedere le due avvertenze , che il Nizzoli , alla fine del suo libro , propone a chi voglia rettamente filosofare , di mandare a mente . La seconda delle quali , nello stesso latino dell ' Anatibarbaro , suona : Quamdiu in scholis fihilosophorum regnabit Aristoteles iste dialecticus et metaphysicus , tamdiu in eis et falsitatem et barbariem , si .... non linguae et oris , al certe Pectoris et cordis , regnaturam . Ricorderò il francese Pietro Ramo ( nato nel 1551 e morto nel '72 , la notte di San Bartolomeo ) : il quale con le sue Animadversiones in dialecticam Aristotelis ( 1545 ) avrebbe , secondo il Bruno , con molto eloquenza dimostrato di esser poco savio ; ma creò ad ogni modo una nuova scuola di logica , esercitando una grande azione , al tempo suo , anche fuori della Francia . Costui , secondo un suo biografo , si laureò dottore d ' arti a Parigi con una tesi : Quaecuanque ab Aristotele dicta essent , commentitia esse , Bugia ogni detto di Aristotele ! Tanta la virulenza della sua polemica contro la logica dell ' antico , che il Ramo dice non hostem humani iudicii , sed tortorem carnifìcemque , da movere a sdegno i più spregiudicati tra i moderni . V I pensatori , adunque , intorno alla metà del sec . XVI cominciarono a proporsi con intera libertà di spirito i problemi filosofici : libertà da preoccupazioni trascendenti e da pregiudizi di tradizione . E tra questi pensatori ecco sorgere e grandeggiare , come il rappresentante più cospicuo della tendenza nuova , il primo che costruisca tutta una filosofia dal nuovo punto di vista conquistato dal Rinascimento , l ' annunziatore del nuovo Telesio . Egli incarna il tipo del filosofo letterato , continuatore della tradizione filologica dell ' Umanesimo : del filosofo , il cui mondo vero è quello del pensiero , e l ' altro non lo tocca ; che si chiude nella stia filosofia e si estrania alla realtà , che egli più non vede , e che diventa pertanto inafferrabile alla sua filosofia , cui pure , come a scienza del tutto , nulla dovrebbe sfuggire . La vita del Telesio , quando si astragga dalla storia dello svolgimento del suo pensiero , si racconta in poche parole . È infatti la vita di un uomo , che vive tutto chiuso in se stesso ; e se vi giunge il rumore fioco del mondo che si agita attorno al filosofo , è , tutt ' al più , il saluto benevolo degli amici , facili a chi , non contrastando altrui nessun bene mondano , non si toglie per sé se non quello , che partecipato non si scema ; o è il consenso o il dissenso degli studiosi , che con lui si sequestrano dalla vita comune ; o è il malinconico ricordo della famiglia e degli affetti e interessi domestici , che , trascurati , diventano fonte perenne di affanni e impedimenti dolorosi al pensiero dominante del filosofo assediato sempre dalla immagine raggiante di quella donna bellissima , che Bernardino amava di riprodurre sul frontespizio dei suoi libri : tutta nuda , nel verde piano , lungi dalle città dei mortali , le braccia aperte e aspettanti , illuminata il petto e la fronte dal sole ; e intorno il motto appassionato : µ o # # µ o # # # # # , « sola a me cara » : la divina Verità , di cui Giordano Bruno canterà che nuda : de toto iaculatur corpore lucem ; e per la quale egli , il Telesio , nella tarda età , raccogliendo nella sua opera maggiore il frutto di una lunga vita a lei consacrata , si scusava dell ' audacia del suo dissentire da Aristotele , interprete sommo , anche a suo giudizio , della natura , ammonendo i proni aristotelici del suo tempo , che si ricordassero di quel che il maestro aveva detto , o imitassero quel che aveva fatto . « Giacché Aristotele stesso vuole , che in filosofia innanzi a tutti gli amici si onori la verità , in grazia della quale ei non teme riprendere anche il suo maestro ed amico . E mossi dall ' amore di lei sola , per certo , e lei sola venerando , noi , non sapendo acquetarci a quel che avevano insegnato gli antichi , a lungo abbiamo scrutato la natura ; e , se non c ' inganniamo , scopertala , l ' abbiamo voluta svelare ai mortali , stimando non essere da uomo probo e libero , occultarla al genere umano per invidia o per tema dell ' altrui invidia » . Essa sola ! Fuori di questo mondo , adunque , in cui egli raccoglie e critica , la tradizione antica e scruta da capo la natura , finché non gli paia di scoprirne il segreto , e questo , da ultimo , si accinge a comunicare agli altri , è vano cercare il Telesio : si potrà trovare un ' ombra , non la persona viva . Egli è tutto lì , ne ' suoi libri . Nei quali c ' è bensì un punto , che fermò già Bacone , ma che è sfuggito , credo , a tutti i biografi , anche al sagace e diligentissimo Bartelli , che piace nominare a titolo di onore , e in segno della riconoscenza che gli debbono gli studiosi del Telesio : un punto , che è come uno spiracolo aperto in cotesto mondo intellettuale ; e attraverso di esso trasparisce vagamente qualche cosa della vita privata dell ' uomo . A proposito di certa indagine sperimentale intorno all ' azione del calore in ragione della sua quantità - - indagine che il Telesio , per conto suo , ritiene impossibile - - egli esce in queste parole : « Così vi riuscissero altri , dotati d ' ingegno più perspicace e in grado di studiare la natura con tutta tranquillità , sì da diventare , non pure onniscienti , ma onnipotenti . A noi , per confessarlo ingenuamente , d ' ingegno più grosso , e a cui filosofare non è stato possibile se non negli ultimi anni della vita ( extremum vitae spatium ) , e tutt ' altro che liberi da noie e da affanni , anzi gittati nelle maggiori angustie e nei dispiaceri più gravi dalla scelleratezza e inaudita crudeltà di coloro , dai quali avremmo dovuto più essere amati , onorati e favoriti , è abbastanza se possiamo scorgere qual calore e quanto conferisca una data disposizione a una data mole materiale » . E accenni simili , in verità , a preoccupazioni e cure personali , e infine al dolore acerbo , da cui nel 1576 fu colpito il cuore del filosofo già declinante a vecchiaia pel truce assassinio del suo giovinetto Prospero , il primogenito , si ripetono nelle prefazioni sue e d ' un fido scolaro a ' suoi libri : ma suonano appunto come lamenti di un destino maligno , che turbò quella vita serena , che Bernardino avrebbe voluto vivere , raccolto nella meditazione . Bernardino fu il primo dei sette figli di Giovanni e di Francesca Garofalo . Dei quali il secondo , Valerio , fu barone di Castelfranco e Cerisano , e non solo mantenne , ma accrebbe le avite ricchezze ; e certo pensò più a far danari che a farsi amare , se nel 1567 i vassalli lo denunziavano al governo viceregio per luterano ; e non essendo riusciti per questa via a toglierselo di dosso , dodici anni dopo , cresciuto il malcontento , lo ammazzavano . Paolo e Tommaso furono invece ecclesiastici modesti e caritatevoli : Tommaso , vescovo di Cosenza dal 1565 al '69 , profuse il suo a beneficio dei poveri ; e aiutò il fratello Bernardino , lontano il più del tempo da Cosenza e distratto , com ' era naturale , per i suoi studi dalle faccende pratiche , a precipitare anche lui in povertà . Bernardino , nato nel 1509 , in una casa di Via Padolisi , di fronte al monastero delle Vergini , dove il ricercatore dei ricordi patrii può scorgerne tuttavia qualche rudere ; si allontanò fanciullo da Cosenza , seguendo lo zio Antonio , umanista dottissimo in latinità e maestro assai valente di lettere . E con lui era a Milano nel 1518 . Da lui dovette apprendere non solo il latino , che egli , pur torcendolo al faticoso periodo della più tarda scolastica , maneggia con sicura padronanza del materiale linguistico più puro ; ma anche il greco , poiché egli stesso afferma di avere studiato la filosofia aristotelica più sui testi originali che sulle traduzioni latine , il cui gergo gli riusciva incomprensibile . Con lo zio chiamato a insegnare nel ginnasio romano , passava a Roma forse sulla fine del '21 , certo prima del '23 . E vi era nel celebre sacco di quattro anni dopo ; anzi fu fatto prigioniero , e poté esser liberato dopo due mesi a intercessione del concittadino Bernardino Martirano , segretario di Filiberto d ' Orange . Onde , poco stante , avendo lo zio avuto un insegnamento a Venezia , egli si recò a Padova , per continuare lì e compiere la sua istruzione ; e parecchi anni vi stette , attendendo presso quello studio , allora tra i più celebri e frequentati di Europa e centro principale dell ' aristotelismo , alla matematica , all ' ottica ( in cui si assicura che facesse osservazioni nuove importanti ) e sopra tutto alla filosofia . Quando sia venuto via da Padova ignoriamo . E le congetture desunte dalla cronologia dei papi , che , secondo il suo antico biografo , il cosentino Giovanni Paolo d ' Aquino , ebbero in grande stima il filosofo , e che sarebbero poi stati tutti quelli che pontificarono dalla giovinezza alla morte di Telesio , sono prive di ogni ragionevole fondamento . Ma lo stesso D ' Aquino , che lesse il suo elogio nell ' Accademia Cosentina , poco dopo la morte del filosofo , di cui fu amico e poté conoscere minutamente i casi , ci racconta che Bernardino , « per poter meglio investigare i secreti della natura , per molti anni si disgiunse dalla frequenza degli uomini , e sé liberò da ogni altro pensiero , e lasciò la patria , i parenti , gli amici , e si raccolse in un monastero di frati di san Benedetto e ivi abitò » ; molto probabilmente nella Grancia di Seminara . Il che dovette accadere poco dopo il ritorno da Padova , e qualche anno prima del '40 . Perché durante questi molti anni di raccoglimento e di studi sappiamo da lui stesso non aver egli scritto mai nulla ; e solo ripigliò la penna quando si credette arrivato in porto , e in possesso della verità già faticosamente ma invano cercata nei libri di Aristotele , e poi lungamente indagata nella stessa natura al lume di nuovi principii balenatigli a un tratto alla mente . E sappiamo che a scrivere cominciò , quando aveva lasciato Seminara , a Napoli , ospite dei Carafa , duchi di Nocera . E doveva aver cominciato prima del '47 , se il vescovo di Fano , Ippolito Capilupi , poté dare al re Francesco I la lieta novella che il giogo di Aristotele presto , sarebbe stato scosso , e che un italiano a « aveva cominciato a scrivere » contro la sua dottrina . Di che si sarebbe rallegrato il Re , e avrebbe detto al Capilupi : « Io prometto che , se costui fa quel che dice , io sono per dargli diecimila fiorini in entrata » . Lasciata dunque Padova con la scontentezza nell ' animo verso l ' antica scienza che , durante gli stessi studi universitari , gli dové apparire , quale sempre la giudicò negli scritti , oscurissima , il suo pensiero maturò intorno al 1540 nella solitudine del chiostro . Passato a Napoli , nella conversazione degli studiosi ebbe occasione e stimolo a dar corpo e sistema alle proprie idee : e allora abbozzò i nove libri della sua maggiore opera De rerum natura e alcuni opuscoli su questioni varie di filosofia naturale : poiché gli uni e gli altri diceva di aver pronti da un pezzo nel 1655 , quando pubblicò il primo saggio del De rerum natura . Nel '55 la fama della nuova filosofia batteva l ' ale fuori del Napoletano ; poiché un altro Capilupi quell ' anno rivolgeva al filosofo novatore questa preghiera : Telesio , voi che col veloce ingegno , Trascorso avete in sì pochi anni il mondo , Misurando la terra e '1 ciel profondo , Già siete giunto di saver al segno : Mostratemi il cammin , se ne son degno , Da seguir voi col bel lume giocondo , Che trar mi pò dal tenebroso fondo D ' alta ignoranza , onde ho me stesso a sdegno Allusione evidente all ' atteggiamento risoluto , che già il Telesio doveva avere assunto , di assertore di una nuova filosofia ; la quale , per la stessa avversione che incontrava naturalmente nei tenaci prosecutori della dottrina aristotelica , doveva , come suole , divenire più presto famosa che conosciuta . Celebre , pel racconto che ne fa lo stesso Telesio , il viaggio da lui intrapreso nel 1563 , per sottoporre la sua filosofia a uno dei più illustri peripatetici del tempo , ora quasi unicamente ricordato per quest ' anedotto telesiano : Vincenzo Maggio , di Brescia ; nella cui lealtà spregiudicata il novatore combattuto da tutte le parti , e quel che è più , tormentato dal segreto sospetto non forse egli s ' ingannasse ad attribuire tanti spropositi a quell ' Aristotele , a cui i maggiori intelletti per tanti secoli s ' erano inchinati , credette di far sicuro affidamento . E a Brescia le sue speranze non vennero deluse : la conversazione di quel brav ' uomo gli restituì la fede che gli era necessaria . Il Maggio lo tenne seco parecchi giorni : lo ascoltò tranquillamente , pesò gli argomenti . Contro i principii non trovò che oppugnare , e le deduzioni riconobbe impeccabili . Argomenti da difendere in modo soddisfacente Aristotele , non seppe addurne ; e confessò , egli , il peripatetico illustre , per cui era certo un punto d ' onore salvare la riputazione del maestro , confessò che veramente questi aveva errato a porre quei suoi corpi primi , senza osservare la natura e argomentando dalle sue premesse ; e confermò anche che queste premesse erano involte in difficoltà inestricabili e senza fine , rilevate dai seguaci stessi ; né gli parve inopportuno metterle sott ' occhio al Telesio . « Uomo nobilissimo » , esclama questi nel racconto che due anni dopo fece di quella visita al Maggio : « nobilissimo , sì , di nascita , ma assai più di animo , cultore e ammiratore soltanto della verità » . Da lui fu , dunque , incoraggiato a pubblicare la parte fondamentale dell ' ardita dottrina , che da lunghi anni andava rivolgendo nell ' animo e timidamente comunicando agli amici . Allora bensì egli sentiva le imperfezioni che erano tuttavia nella sua opera , da cui quasi un avverso destino gli pareva lo avesse a lungo distratto . E continuò negli anni seguenti a correggere e rifare . Tornò anche sopra i primi due libri , quando li ristampò nel '70 accompagnandoli con tre opuscoli De his quae in aëre fiunt et de terraemotibus , De colorum generatione e De inceri , Finché da ultimo si apprestava a rifonder il suo vasto trattato , che gli riuscì di dare in luce intero solo nella vecchiaia avanzata . Con l ' incontentabilità propria di chi giunge con fatica , per una via aspra e non più tentata , alla scoperta di un pensiero nuovo , e si sforza di dargli la forma classica , da reggere al paragone dl quella onde si avvantaggia la scienza ricevuta , con quella incontentabilità inquieta , che uno scolaro del Telesio attestava di lui ripubblicando , dopo la sua morte , insieme con nuovi opuscoli di metereologia e psicologia i tre già stampati dall ' autore ma arricchiti di aggiunte e correzioni inedite di forma e sostanza , Bernardino Telesio attorno al suo libro maggiore lavorò con instancabile insistenza quasi mezzo secolo . Vi lavorò tra affanni continui , col desiderio tormentoso , sempre inappagato , di un po ' di tranquillità , sotto l ' assillo di cure e dolori domestici , che non gli diedero mai tregua . Un raggio di luce nell ' animo suo scende nel 1553 , quando il filosofo solitario , il meditabondo indagatore della natura , si fa una famiglia . Sposa Diana Sersale , una vedova , già madre di due figli . Ma Diana morì otto anni dopo , lasciando altri quattro figli di Bernardino . Quegli anni ei si fermò abitualmente a Cosenza . Qui nel '54 , era sindaco dei nobili . Qui è fama adoperasse di buon grado la sua autorità a comporre i litigi dei concittadini , a pacificare gli animi , amato com ' era da tutti e tenuto in somma venerazione . Qui molta parte dové prendere ai lavori dell ' Accademia Cosentina ; la quale , seguendo lo svolgimento generale della cultura contemporanea , dalla filologia , si volse allora , per opera principalmente del Telesio , alle quistioni filosofiche o naturali ; e finì col chiamarsi telesiana . Sulle infelici vicende economiche di Bernardino , interrotte , pare , per qualche anno dall ' aiuto che al marito speculativo poté porgere la Diana , ma fattesi più gravi subito dopo la morte di costei , diventando motivo di sempre maggiori dispiaceri al filosofo , perseguitato dai creditori , non giova fermarsi . Nel '64 Pio IV gli offre a sollievo l ' arcivescovado di Cosenza ; ma egli prega il Papa che voglia conferirlo piuttosto al fratello Tommaso : « per attendere a ' studi » , dice l ' antico biografo . Ben più accetto poteva riuscirgli l ' invito di Gregorio XIII ( papa dal '72 all'85 ) a spiegare in Roma pubblicamente il suo libro ; come l ' altro simile venutogli poscia da Napoli . Ma vero e proprio insegnamento non tenne , contento , come Socrate , alle conversazioni cogli amici , ai quali apparve miracolo di dialettica irresistibile e fu veramente maestro pieno di fascino ; contento alle dispute cogli avversari renitenti alla nuova dottrina , non già per partito preso , come gli ammiratori del Telesio solevano dire , ma perché fissi oramai in una forma mentale , su cui quella dottrina non poteva più far presa : « Quando egli ragionava delle scienze e delle dottrine » , ricorda il D ' Aquino , « parea che gli ascoltanti fossero stati tutti adombrati ; così stavano taciti e sospesi ad ascoltarlo » . E il Quattromani , che fu dei cosentini che risentirono più l ' efficacia di quella parola , e un anno dopo la morte del Telesio pubblicò un lucido compendio della sua filosofia , scrivendo al Telesio stesso nel 1563 : « Da che mi allontanai da lei , quei spiriti , che in me erano generati dalla sua presenza , e che mi rendeano pronto e ardito , sono tutti spenti , e con loro anco annullato e venuto meno ogni giudicio e ogni sapere » . D ' altra parte , un motto pittoresco rappresenta al vivo la situazione degli aristotelici sconcertati dalle critiche telesiane ; ai quali il cardinal Farnese una volta avrebbe detto : « Ora che non ci è il Telesio , tutti oppugnate le sue ragioni ma , come egli è presente , ciascheduno tace e si arresta » . Alle opposizioni e malignazioni degli aristotelici di Napoli , dove , morta Diana , il Telesio tornava spesso ospite dei Carafa , gli fu scudo il colto e gentile duca Ferrante , che l ' onorava come padre . La gloria cominciava a dargli il suo conforto e la forza . I due libri ristampati a Napoli nel '70 , con due degli opuscoli , erano a Firenze voltati in volgare da Francesco Martelli , che li dedicava nel '73 al cardinal dei Medici . Antonio Persio bandiva la dottrina nell ' Italia superiore , a Bologna , a Venezia , dove nel '75 la difendeva in una solenne disputa pubblica ; e a Padova , dove diffondeva tra i dotti gli scritti telesiani . A sollecitazione di lui , uno dei filosofi più rinomati , Francesco Patrizzi , nel '72 , comunicava al Telesio alcune osservazioni su vari punti di quei due libri . E da esse Bernardino era stimolato a rifarsi sempre sulla sua opera ; che finalmente si risolveva a pubblicare tutta a Napoli nel 1586 . L ' anno dopo si ritraeva a Cosenza a finirvi la sua vita di pensiero , di lavoro e di dolore . Della morte del suo povero Prospero non s ' era più saputo dar pace . E irrequieto tornava poco dopo a Napoli ; poiché al 1588 , - - anno che il Tasso da marzo a novembre trascorse a Napoli , - - credo sia da attribuire l ' aneddoto raccontato dal Manso nella vita del poeta : « Fu Bernardino Telesio uomo di acuto ingegno e di profonda dottrina e di socratici costumi ; ma non di meno sentì acerbamente la morte di un figliuolo , che gli fu ucciso senza colpa . Torquato , per volernelo consolare , gli addimandò se quando il figliuolo non era al mondo , egli si doleva che non vi fosse . Il Telesio rispose che no . - - Dunque , soggiunse il Tasso , perché vi dolete ora che non vi sia ? » . Volle , commenta il Manso , « volle contro il filosofo dispregiatore degli antichi valersi degli argomenti dei sofisti » . Povero filosofo , che s ' illudeva di non aver più posto nel cuore per nessuno , dacché la Sapienza , accendendolo della sua bellezza divina - - come ei canta negli esametri per Giovanna Castriota - - , l ' aveva tenuto tutto , fin dai primi anni , nell ' amore di lei ! La vita , che la sua filosofia escludeva , opprime intanto il suo cuore di padre . Pure fin all ' ultimo cercò il suo ristoro in quell ' amore ; e il D ' Aquino c ' informa di opere , che egli avrebbe scritte « intorno agli ottanta anni » ; che esso D ' Aquino , poco dopo la morte del Telesio , vedeva in Cosenza « nelle mani di diverse persone » ; e incitava i concittadini , che pur troppo non raccolsero l ' esortazione , a non lasciar perire quelle preziose scritture , dov ' era « una maniera e sorte di logica , che senza dubbiosità e senza sofismi ci insegna a discernere il vero dal falso ; e da esse si impara la vera astrologia , cioè di salire con la mente al cielo , e la teologia , che ci ammaestra a conoscere , riverire e servire Iddio ! » . VI Il Telesio morì nei primi dell ' ottobre 1588 a Cosenza . E qui fortuna volle si trovasse in quei giorni un giovane domenicano , che studiava con ardore filosofia , guardando al Telesio come all ' astro nuovo che era sorto all ' orizzonte , e del Telesio doveva essere tra poco acerrimo difensore contro gli attacchi dell ' aristotelico Marta di Napoli , e poi uno dei maggiori continuatori : Tommaso Campanella . Il quale non aveva fatto in tempo ad accostarsi al vecchio maestro ; e lo vide per la prima volta nel catafalco , dove pel funerale affisse certi suoi distici . Questi non ci sono giunti . Abbiamo invece il duro ma fiero ed energico sonetto , in cui il Campanella ritrasse il valore storico del Telesio , il « maggiore dei filosofi » , lo « splendore della natura » , e accennò la propria filiazione ideale dalla filosofia telesiana ; un sonetto che raccoglie attorno al maestro il meglio della sua scuola : Telesio , il telo della tua faretra Uccide de ' sofisti in mezzo al campo Degli ingegni il tiranno senza scampo ; Libertà dolce alla Verità impetra . Cantan le glorie tue con nobil cetra Il Bombino e ' l Montan nel brezzio campo : E ' l Cavalcante tuo , possente lampo , Le rocche del nemico ancora spetra . Il buon Gaieta la gran donna adorna Con diafane vesti risplendenti , Onde a bellezza natural ritorna ; Della mia squilla per li nuovi accenti , Nel tempio universal ella soggiorna Profetizza il principio e ' l fin degli enti . Vincenzo Bombini , Sertorio Quattromani ( il Montano ) , Giulio Cavalcanti , il buon Gaeta , che avrebbe trattato l ' estetica secondo i principii telesiani , avanzando tutti gli altri , erano ( avverte , in nota , lo stesso Campanella ) accademici cosentini . Egli poi , secondo la stessa nota , « filosofo dei principii e fini delle cose » , avrebbe elevato a più alto segno la nuova scuola : « Rinnovò » , com ' egli dice , « la filosofia , ed aggiunse la metafisica , e politica ecc . , e la accoppiò con la teologia » . Certo , la metafisica delle primalità campanelliane manca nel Telesio . Ed è pur vero il giudizio di un altro grande ammiratore del nostro Cosentino , Francesco Bacone , che la filosofia telesiana in sostanza toglie di mezzo l ' uomo e la sua azione sulla natura ( artes mechanicae , quae materiant vexant ) per non guardare altro che la fabrica mundi , riuscendo una specie di filosofia pastorale o arcadica , che contempla il mondo placidamente e quasi in ozio ; filosofia , che Bacone amava mettere insieme con quella dei pensatori greci anteriori a Socrate e di taluni moderni , come il tedesco Paracelso , il danese Severino , l ' inglese Gilbert , l ' italiano Patrizzi , fondatori di nuove sette filosofiche , ideatori di altri sistemi astratti intorno alla natura delle cose , senza conseguenza per ciò che concerne le sorti umane : di quei sistemi , che egli sdegnava come facili a disseppellirsi dalla tradizione dei più antichi filosofi , e magari ad inventarsi di pianta : egli , che avrebbe voluto che il filosofo guardasse con un occhio alla natura , e con l ' altro alle umane utilità . Alla filosofia telesiana è estraneo il grande concetto proprio di Bacone del regnum hontinis , Ma questa filosofia pastorale per Bacone era appunto una metafisica : una di quelle filosofie che a lui pareva si potessero adombrare nel mito di Cupido , dell ' antico Cupido : il primo degli dèi , anteriore a tutte le cose , salvo il Caos coevo ; senza padre esso , e primo principio dell ' ordine che sorse dal Caos , ossia dell ' origine dell ' universo . Una filosofia insomma delle cause prime e delle leggi supreme , oltre le quali non è dato procedere . Lasciamo stare l ' analogia che Bacone , come già il Patrizzi , vedeva tra la fisica del vecchio Parmenide e la nuova dottrina di Telesio : analogia da lui stesso ridotta al suo giusto valore , quando avverte che ai principii parmenidei il filosofo Cosentino aggiunse del proprio la materia , perché depravato dai concetti peripatetici ; che è come dire che la dottrina telesiana , in conclusione , non è ne parmenidea , né peripatetica , ma telesiana . E certamente il raffronto con l ' Eleate non regge per nessun verso , chi consideri il valore della « doxa » rispetto al pensiero metafisico di Parmenide , - - e tenga conto del carattere schiettamente dualistico della teoria esposta nella « doxa » , e interpreti , d ' altra parte , il pensiero telesiano in relazione a quello che se ne può dire propriamente la naturale matrice , la metafisica aristotelica , già così distante dalla posizione eleatica . Certo , senza essere una metafisica , la filosofia telesiana non avrebbe potuto esercitare l ' azione storica che esercitò , in Italia attraverso Campanella , Bruno e tutto il naturalismo meridionale del sec . XVII , e per tutta Europa attraverso Bacone , che lo ha sempre presente , ora accettando , ora criticando le sue teorie particolari , ma avendolo sempre in gran conto come « il migliore dei moderni » . Un riformatore della filosofia , - - quale egli fu generalmente celebrato dai contemporanei e da quelli che dopo sentirono il bisogno di appoggiarsi a lui per continuare la guerra del pensiero nuovo contro l ' aristotelismo , costretto a rinchiudersi sempre più nelle scuole della tradizione infeconda , - - deve , almeno implicitamente , dare un nuovo orientamento , e cambiare l ' aspetto di tutta la realtà agli occhi dei pensatori . E questo fece Telesio . È pur vero ch ' egli fu , come dice Bacone , più valente a distruggere che a costruire ; ma è anche vero che la sua critica demolitrice è essa stessa una costruzione . Non possiamo esporre qui per minuto tutte le critiche , che egli con lena che mai non si stanca rivolge alla metafisica , alla fisica , alla psicologia , all ' etica e alle minori dottrine di Aristotele . Tanto meno seguire l ' ardito pensatore in tutte le singole teorie , che le sue nuove osservazioni , e , sopra tutto , l ' avviamento generale del suo intelletto , gli fanno sostituire alle antiche . Ma basta in questo riguardo notare , che l ' ampiezza della ricerca e la compattezza delle soluzioni adottate in tutti i problemi a cui si era estesa la filosofia aristotelica , dimostrano che nel De rerum natura contro l ' aristotelismo si afferma e si accampa una nuova intuizione del mondo : la quale riceve infatti tutto il suo significato storico della sua posizione verso l ' aristotelismo rimesso a nuovo dalla erudizione filologica del Rinascimento , e liberato dagli adattamenti medievali della Scolastica . E questo significato conserva , nel suo assoluto valore storico , per molti e gravi che sieno gli errori commessi a sua volta dal Telesio nella sua nuova costruzione : poiché una filosofia , in quanto tale , non attinge il momento suo di vita eterna , e non vive nella storia , se non pel principio che l ' anima . A cogliere questo principio non vi affidate alla guida dello stesso autore ; non guardate subito al titolo della sua opera ; a questo titolo , che promette di farvi intendere la natura secondo i suoi principii , quasi Aristotele con le sue teorie avesse fatto violenza alla natura , imponendole i propri ingiustificati preconcetti . Su questo motivo polemico il Telesio insiste ; se non che è il motivo che in varia forma si ripresenta in ogni polemica filosofica . La quale non può impiantarsi nella fatua pretesa di sostituire le idee nostre a quelle degli altri , ma nella fede bensì di contrapporre la verità all ' errore : e l ' errore apparisce sempre come una costruzione arbitraria della mente soggettiva , ripugnante alla essenza di quella realtà , a cui tutti i filosofi mirano ; e la verità , invece , come la intuizione diretta , la traduzione fedele , la ricostruzione genuina del reale nella sua pura oggettività . E se la natura rerum , nel suo senso più profondo , è la realtà stessa da Telesio non veduta se non come natura , il titolo di quest ' opera , chi s ' arrestasse all ' intenzione dell ' autore , accennata nell ' aggiunta iuxta propria principia , sarebbe un titolo adatto a tutte le opere filosofiche innovatrici , comprese quelle stesse di Aristotele . Ed è , al contrario , un titolo significativo e caratteristico rispetto all ' indirizzo mentale telesiano , quando si faccia convergere su di esso la luce intima della sua filosofia . Non vi arrestate né meno alle proteste metodiche , di non voler seguire altro che il senso , quasi la filosofia telesiana dovesse riuscire un puro empirismo . Ché tale questa filosofia non è ; e se l ' intonazione della sua polemica antiaristotelica piacque all ' orecchio dell ' autore del Novum Organum , egli è che anche Bacone , come molti altri pensatori dopo di lui , s ' illuse credendo che il metodo sia un antecedente della filosofia , e questa un prodotto di esso : laddove metodo e filosofia sono una cosa sola , nel senso che la filosofia è il concreto e il metodo l ' astratto : né si ha una filosofia perché si abbia un metodo , ma proprio l ' opposto . Fin da principio la mente del pensatore ha , sto per dire , una certa impostazione e quindi intravvede un certo mondo , che lo preoccupa e gli pone innanzi , urgente , il suo problema : simile alla « macchia » la prima oscura intuizione creatrice dello artista , che è già il nucleo dell ' opera d ' arte . E in quel germe c ' è la filosofia con la sua logica : la filosofia , che non potrà poi avere altro svolgimento da quello che le vien prescritto dalla sua logica . Quanto in particolare al Telesio , il motivo più potente , quella che può dirsi la prima radice del suo filosofare antiaristotelico , non consiste in una o più difficoltà che l ' esperienza sensibile opponga , secondo lui , ai principii di Aristotele . Né è codesta esperienza la fonte a cui egli ordinariamente ricorra per lo sviluppo e l ' elaborazione del suo pensiero . La sua natura , è vero , è la natura sensibile , materiale ; né egli , in quanto filosofo , conosce realtà che si possa concepire scevra di mole materiale . Tutto ciò che razionalmente gli riesce d ' intendere delle funzioni spirituali , è per lui bensì spirito ; ma non nell ' accezione moderna di questa parola , anzi come la materia che più sia stata attenuata e assottigliata dal calore . E la natura materiale e sensibile non pare si possa definire altrimenti che come quella realtà spaziale , che è oggetto del senso , e quindi come la realtà propria della filosofia che non ammetta altro organo di conoscenza che il senso . Ma anche questa determinazione è appena la superficie della filosofia telesiana e di tutte le altre simili . L ' affermazione del senso , quando ha una reale importanza nella storia della filosofia , può rispondere a un doppio bisogno : al bisogno ideale dell ' empirismo , che nega la metafisica come scienza di quell ' assoluto , che il senso non coglie : che è la tesi , per es . , di Kant nella Critica della ragion pura e la tesi a cui si arrestarono nel sec . XIX i seguaci di quel positivismo filosofico , il cui maggiore sforzo parve rivolto alla negazione della filosofia . O risponde al bisogno , che fu proprio di Bacone , e più tardi della logica nuova della filosofia moderna , nel significato che rimase affatto oscuro nel Cancelliere inglese , pur grande animatore del pensiero europeo , della mediazione dell ' universale , della concretezza storica del pensiero , che non è quale Platone e Aristotele lo immaginavano , un ' astratta rete bell ' e fatta di concetti universali , ma vita di essi sempre nuova , ed eterna come tale , nei particolari : affermazione dell ' individualità di fronte al generale , della logica reale di contro a quella speculazione a cui gli antichi trovavano adeguata soltanto la mente divina ; e Platone , in fondo , né anche quella , se s ' intende a rigore il mito delle contemplazioni sopracelesti del Fedro , Telesio invece non è un empirista alla maniera dei positivisti , e molto meno di Kant . E d ' altro lato , in lui non c ' è sentore , checché si contenesse nelle opere logiche non pervenute fino a noi , di una concezione storica e realistica del pensiero . È un metafisico ; e un metafisico materialista . E tanto egli rispetta il senso , quanto lo aveva rispettato il primo sistematore del materialismo , quel Democrito , che fu uno dei primi metafisici di grande stile in Grecia , e che , per la sua distinzione di qualità primarie e qualità secondarie , può a buon dritto ritenersi il vero padre dell ' idealismo , quale , movendo dalla stessa distinzione , ripetuta dal Locke , ebbe a concepirlo , con uno sforzo che mandò a monte per sempre il materialismo , il Berkeley . E l ' organo , con cui il Telesio costruisce la sua metafisica , è quello che è servito e servirà sempre a tutti i metafisici , il pensiero puro ; per cui la realtà - - non l ' apparente , ma la vera , l ' assoluta realtà , a cui ogni forma di realtà si riduce , da cui tutto ciò che nasce proviene , e a cui tutto ciò che passa ritorna , laddove essa sta eterna - - non è punto realtà sensibile , bensì realtà pensata . Realtà pensata sotto tre attributi o forme fondamentali , il cui giuoco soltanto può farci intendere la totalità delle infinite variazioni dell ' universo sensibile : due nature agenti , secondo l ' espressione telesiana , e una passiva : il caldo , che è principio di luce , di movimento , di vita in tutte le sue forme ; e il suo contrario , il freddo , principio di tenebre , di inerzia , di morte : l ' uno con l ' altro in eterno contrasto nella materia ; che è il terzo principio , la mole che occupa lo spazio . Forza e materia , come oggi si direbbe ; e la forza duplice , e in lotta seco stessa a produrre l ' alterna vicenda della natura , che è nascere e perire continuo ; un continuo nascere che è pur perire ; e un perire continuo , che è pur nascere . Forza e materia , che , si badi , nella loro assoluta universalità , sono veri e propri principii nel senso aristotelico , e non hanno nulla di sensibile ed empirico , benché essi si manifestino negli oggetti del senso . Che anzi l ' intuizione centrale , e come il nocciolo del pensiero telesiano , è appunto una negazione , più risoluta e più energica che non fosse in Aristotele , dell ' empiricità o realtà immediata di cotesti principii , e quindi nell ' affermazione del carattere metafisico e meramente trascendentale di essi . Giacché questo , a ' suoi occhi , è l ' errore aristotelico , generatore di tutti gli altri da lui a uno a uno combattuti : la separazione di ciò che in natura è unito ed inseparabile che male aveva separato prima Platone , e che Aristotele non era riuscito più a unificare : la forma e la materia delle cose : ciò che ciascuna di queste è , e per cui si pensa , l ' idea , e quella materia che alla filosofia antica , come al pensiero volgare , si rappresenta quale sostrato necessario alla realizzazione dell ' idea . Intesa la natura come divenire o generazione continua di forme , questo divenire si schematizza come movimento , che avviene nella materia , ma è l ' attualità della forma . Ora il principio del movimento , la radice delle forme , che è come dire della realtà , in quanto divenire naturale , anche per Aristotele è in qualche cosa che , per essere principio e non principiato , vera e assoluta causa e non più effetto , deve trascendere necessariamente la natura , che è movimento . Deve essere immobile . Cioè forma pura . La natura , pertanto , benché concepita come unità perenne di materia e di forma , poiché la forma , in fondo , la riceve di fuori , per sé , senza questa animazione estrinseca , viene a ridursi quasi ad inerte materia : mera possibilità , o potenzialità passiva delle forme . Donde quell ' assenza di valore nella natura e nell ' uomo - - parte di essa , - - che abbiamo detto essere stata legata dall ' antichità alla filosofia del medio evo , e che spettava allo spirito del Cristianesimo superare . Telesio , il materialista , che cinque anni dopo la sua morte sarà segnato all ' Indice , si mette per questa via nuova , desiderata dal Cristianesimo ; benché sulla nuova via , che è lunga e non facile a percorrersi , si arresti al materialismo , certamente insufficiente a giustificare il valore nonché dell ' uomo , della stessa natura . E la sua novità può riassumersi in questi termini : la forma che , per Aristotele , come forma assoluta , era fuori della materia , per Telesio è dentro , e una con questa : la natura , che Per Aristotele , come pura natura , era mera possibilità , realizzata soltanto per cause estrinseche , per Telesio è la sola realtà ; e però si spiega iuxta propria Principia , la mira , a cui questi confusamente , come accade sempre nelle rivoluzioni ideali , quando il mondo rientra nel caos , donde la mente aspira a ricostruire il mondo nuovo ( e di qui , la incontentabilità del Telesio , che lavora tutta la vita all ' opera sua ! ) ; la mira , a cui egli tende , è la ristaurazione dell ' unità , lacerata dal dualismo aristotelico . Considerate infatti il nesso dei tre principii da lui stabiliti , materia , caldo e freddo . Il caldo , principio del movimento , della vita , del senso , adempie nel suo sistema lo stesso ufficio che la forma in Aristotele . E se si pone mente alla funzione assegnatagli da Telesio , che ne fa una natura agens , esso certamente è una entità metafisica che non si può confondere col calore fisico e sensibile , che è sempre una certa mole , un certo corpo caldo . E perciò la differenza , in questo punto , tra Aristotele e Telesio è più nella parola che nel concetto ; sebbene al secondo la parola prescelta paia meglio corrispondere alla concretezza determinata e reale della sua forma . La materia poi , Telesio stesso lo dice , era già un principio aristotelico . Profondo invece il divario , tra le due filosofie nel modo di concepire il terzo principio : e questo divario , riverberandosi nel concetto degli altri due , lo trasfigura , e conferisce a tutta la intuizione telesiana un carattere radicalmente nuovo . Il divenire naturale , come ogni divenire , non si spiega , ammesso pure il sostrato di esso , senza una dualità di termini contrari e contrariamente agenti su quel sostrato . Se il divenire è vivere , il vivere non si può concepire se non come morire oltre che vivere ; ovvero come un continuo rinascere dalla morte , una continuata vittoria sul potere distruttivo della vita . Generazione è termine correlativo di corruzione , nel linguaggio aristotelico . Se nella superficie del gran mare dell ' essere affiora una forma nuova ( e per Aristotele la natura è un continuo affiorare di nuove forme ) , una forma vecchia deve scomparire : la nascita è sempre una morte . Ma morte di che ? Della forma no , la quale , per sé , come pura forma , è fuori della transeunte realtà dell ' esperienza , e non soggiace all ' alterna vicenda del vivere o del morire ; e né ànche della materia , ricettacolo della novella forma . L ' una e l ' altra sono eterne . Una risposta , nella posizione aristotelica , che stacca materia e forma , e fa il movimento estrinseco alla materia , è impossibile . Ma , se vita è morte , mistero questa , mistero quella . In che consiste quella novità , che è l ' entrar del vivente nella vita ? Donde viene egli ? Che cosa è quel suo non ­ essere , a cui sottentra il suo essere ? I due problemi sono un solo problema : cioè , se l ' essere è la forma , che cos ' è il non ­ essere delle cose ? Il non ­ essere di Aristotele non poteva essere , e non fu un concetto , ma una parola messa lì , dove il concetto non era possibile , destinata a diventare , come tutte le parole siffatte , l ' enimma e il tormento dei commentatori ; la # # # # # # # # o privatio , come tradussero gli Scolastici . La privazione , che egli attribuisce alla materia , quasi un certo desiderio e sentore o odore della forma assente , non è materia per sé , poiché designa una relazione ; non è forma , di cui è appunto la mancanza ; e non è unità di materia e forma . È , ripeto , una parola , ma una parola , che , introdotta nel sistema , rende , o par che renda importanti servigi al pensiero . Infatti , senza di essa , la , vicenda delle forme non si potrebbe dire in nessun modo pensabile : e il vivo sarebbe eternamente vivo ; ma di una vita identica alla morte , perché senza mutamento , che è come dire senza vita . Il terzo principio aristotelico , osserva Telesio , è meramente negativo : noia ens , non agens . Ed egli , per combatter più efficacemente gli aristotelici coi quali gli toccava di fare i conti , osserva che Aristotele non l ' intese così , e non lo poteva intendere così ; ma così l ' intendono invece i Peripatetici ; e la materia , invece , dev ' essere da meno bensì e più ignobile della forma , ma positiva anch ' essa , affinché cooperi con la prima alla generazione naturale ; anch ' essa agente . E però il suo freddo , qual egli lo concepisce , è il contrario , il non ­ essere del calore ; il quale non ­ essere , se rispetto al calore non è , in se stesso è né più né meno del calore ; e però agisce davvero , opponendosi a questo , contrastandogli il passo , limitandolo , e concorrendo quindi con esso alla vita della natura . poiché la forma telesiana è il caldo , quel che precede la forma non è il nulla , la pura privazione , ma il freddo ; ciò che succede , del pari , non è nulla , ma il freddo . Per Telesio questo precedere e succedere è solo relativo ché la forma , assolutamente , in quanto caldo , non viene mai meno . Cioè , se il freddo è negativo , ma reale quanto il caldo , anche il caldo è reale in quanto negativo rispetto al freddo : e la vera realtà insomma non è mai né caldo assoluto né freddo assoluto ; ma caldo che vince il freddo , o freddo che vince il caldo : ciascuno presupponendo e limitando il suo contrario , ed essendo presupposto e limitato da esso . Di guisa che la realtà è , in fondo , la loro unità nella lotta , e a volta a volta un momento della risoluzione del loro immanente contrasto , un effetto unico della loro azione reciproca . Il che importa che la sostituzione del freddo alla privazione aristotelica è il superamento della trascendenza della forma , di quella trascendenza che è il difetto fondamentale della filosofia peripatetica , anzi , nel suo significato generale di tutta la filosofia greca , come avvertimmo a principio . Telesio , con la sua coppia di contrari cooperanti nella materia , libera la natura , ossia la realtà a lui nota , dalla trascendenza , e ne fonda per la prima volta , dopo lo sviluppo della metafisica teistica , l ' autonomia , o com ' egli diceva , la nozione iuxta Propria principia , Ora infatti possiamo intendere il valore speciale di questo suo motto , che è una bandiera spiegata al vento , a cui lo spirito moderno guarderà come a segnacolo di libertà e di gloria . E la materia ? Per Telesio non è più il non ­ ente platonico e aristotelico , ma il reale sostrato , e come a dire , la realizzazione della contrarietà caldo ­ freddo che in essa si attua . Le due nature agenti hanno come loro termine correlativo , e quindi come implicito in se medesime , cotesta natura passiva . Che se il caldo implica il freddo e viceversa , entrambi implicano insieme la materia . E la realtà , che è atto , non è tre ma uno : e questo uno essendo l ' unità o sintesi attuale dei tre principii solo astrattamente distinguibili , è la materia che è calda è non è calda , perché è fredda e insieme non è fredda . La materia è quello che è e non è insieme , la genesi , il divenire aristotelico , restituito alla logica del suo processo immanente . In conclusione , la filosofia telesiana vuol essere un naturalismo monistico ; per cui la realtà è l ' opposto dello spirito , la natura , rappresentata come materia ; ma questa materia è movimento , e in quanto tale assume tutte le forme mondane , dal corpo fisico al pensiero . Potrebbe parere una filosofia tornata nel bel mezzo del sec . XVI , alla ingenua intuizione dei filosofi ionici del VI e V secolo a . C . ; se questa filosofia ora non risorgesse dal fermento della metafisica platonizzante dell ' aristotelismo , che ha sdoppiata la realtà fisica dei più antichi presocratici , e creata l ' idea o forma , e tutto un mondo estramondano , che il filosofo del Rinascimento aspira a distruggere : ed è appunto nella demolizione di questo mondo separato , ignoto ai filosofi ionici , l ' intonazione e il valore nuovo di questa filosofia , demolitrice più che costruttrice ( destruendo quam astruendo melior ) . Infatti la vera costruzione , in questo momento , all ' uscire del medio evo , quando lo spirito aspirava a sgombrare il campo innanzi a sé , per istaurare la filosofia adeguata alla vita nuova del Cristianesimo , non poteva essere se non demolizione . La filosofia del Cosentino , lungi dall ' affacciarsi con l ' ingenuo occhio di un Talete allo spettacolo della natura che le è di fronte , sente con la riflessione del moderno se stessa nel flusso delle cose naturali , e nell ' affermazione energica dei principii propri onde la natura si spiega , e per cui si rivendica in libertà , prorompe l ' istinto dell ' uomo nuovo , ricreato dall ' intuizione cristiana e portato a cercarsi dentro , come sostanza del proprio essere , la divinità . Guardate a quel ragguaglio e quasi livellamento , che Telesio fa delle operazioni superiori dello spirito umano con le inferiori ; e di queste con le funzioni psicologiche degli animali , non distinte altrimenti che per grado , ma identiche qualitativamente ; e poi del sentire col fatto fisiologico ; che non è se non movimento dello spirito , ossia della materia resa estremamente sottile dal caldo : e poi quella sua estensione del senso , a tutto il caldo e a tutto il freddo o , come bisogna intendere , a tutta la materia la quale , anche se fredda , poiché il freddo è un prevalere sul caldo , è , un po ' almeno , anche calda ; e considerate che , - - negata ogni finalità intesa , a mo ' di Aristotele , come èta estrinseca del processo naturale , rappresentata dalla forma separata , - - dell ' anima umana , così naturalisticamente considerata , ei raccoglie lo sforzo supremo , che è l ' attività etica , nella spontanea tendenza alla conservazione di sé , onde non solo l ' uomo , ma tutte le cose in natura tendono a perseverare nel loro proprio essere . Ebbene : quest ' autoconservazione , in cui si assomma e concentra sostanzialmente , nella sua espressione finale , tutta la vita della natura , è l ' umanità dell ' uomo , che è moralità , ed è , insieme tutto l ' operare , anzi l ' essere attuale della natura . Ma l ' uomo la sorprende come conato istintivo in se medesimo : e se chiude gli occhi alle forme più alte della propria spiritualità , e si rannicchia dentro questo senso oscuro , che può attribuire alla natura universale , egli è perché , non sapendo ancora in che modo nelle forme superiori dello spirito si possa vedere la sostanza di tutto , compresa quella stessa natura che par materia , movimento e nulla più , il filosofo ha bisogno di affermare di sé solo quel tanto , che gli consenta tutta una concezione della natura iuxta propria principia , Strano a dirsi : il filosofo , incapace ancora di spiegarsi lo spirito , lo redime , lo afferma , negandolo : rimpicciolendosi e stringendosi da presso a quella natura che cominciava a liberare dalla trascendenza , per partecipare al benefizio di quella prima libertà . Paradossale , ma vero , per chi voglia penetrare nel segreto del Rinascimento : questo naturalismo materialistico era la prima affermazione , con carattere , come s ' è avvertito , schiettamente cristiano , della libertà dello spirito . VII È tutto ciò chiaro e netto nel pensiero di Bernardino Telesio ? Nella Bibbia si legge che Dio , dopo aver creato l ' universo , vidit cuncta quae fecerat , et erant valde borea . Dopo di allora , ogni volta , lo spirito creatore prima ha creato , e poi s ' è compiaciuto dell ' opera sua . La coscienza critica , che è la storia , vien dopo . Accennammo già che Telesio , come Vico , si travagliò tutta la vita nella sistemazione e formulazione del suo pensiero : segno che , a simiglianza del Vico , ei non pervenne mai alla visione lucida e piena di quanto gli si agitava nella mente . E a quel modo che oggi l ' oscuro pensiero del grande filosofo napoletano s ' intende in tutto il suo valore , se si libera da talune incoerenze , incertezze e ambiguità della sua forma nativa , secondo che riesce ormai possibile a noi , che sul suo pensiero torniamo con la riflessione più matura di tutta la filosofia posteriore ; nella stessa guisa , leggendo Telesio , scoperta la logica del suo pensiero nella storia più ampia della filosofia , che lo preparò prima e poi lo continuò , noi possiamo vedere in lui più addentro che non vedesse egli stesso e fare così il giusto conto di talune oscillazioni che intorbidano qua e là la sua vista , e che hanno impedito a ' suoi critici , da Bacone in poi , di scorgere la coerenza della sua filosofia . Il disegno suo era grandioso , poiché col suo nuovo intuito doveva ripercorrere tutto l ' universo , armeggiando contro Aristotele , che , in persona de ' suoi pedanti fanatici e petulanti seguaci , l ' incalzava sempre alle spalle . Qual meraviglia che qua e là tentenni , e gli tremi il polso ? Qual meraviglia , innanzi tutto , che egli non si fermi a definire con sufficiente chiarezza la logica del proprio pensiero ? quella logica che nel suo pensiero c ' era , e di cui si serviva infatti nella polemica contro Aristotele ? Il medesimo per l ' appunto accadde , ripeto , al Vico ; e più o meno è accaduto in ogni tempo a tutti i filosofi . In ciò il difetto maggiore della filosofia telesiana ; talché vi accade di sorprenderla talvolta irresoluta innanzi a questioni , la cui soluzione è data irrefutabilmente dal reale principio di essa . Mi si consenta un esempio . Tutte le cose sentono o no ? Per Campanella , che , come ogni continuatore , obbedisce più alla logica del sistema che sviluppa , non c ' è dubbio . Nel De rerum aratura di Telesio , invece , ci sono luoghi in cui s ' affaccia la questione più determinata , se il caldo e il freddo sentano ; e ora si dice che bisogna manifestamente attribuire il senso ad entrambi , ed ora che bisogna attribuirlo almeno a uno dei due . Gli faceva intoppo infatti la difficoltà che il senso è moto dello spirito che è sostanza più attenuata dal caldo : sì che se il senso dipende dallo spirito , e però dal caldo , non può competere al freddo ; ché altrimenti il freddo , contrastando il caldo , verrebbe , producendo la morte , a distruggere , come senso , il senso . E il Fiorentino , che è l ' interprete più autorevole del Telesio , si caccia nel ginepraio anche lui , e nota a questo punto : « Che se al freddo si volesse togliere ogni senso , per rimuovere l ' inconveniente anzidetto , come si guarderebbe egli dal suo avversario ? Come ne respingerebbe l ' attacco , e come si trincererebbe nella propria sede ? Questa , a parer mio , è la capitale contraddizione della fisiologia telesiana » . Contraddizione , in verità , insolubile , se il freddo e il caldo non si riconducano all ' ufficio di principii metafisici , che essi hanno nel sistema telesiano : contraddizione , che , in una forma o in un ' altra , sarebbe poi la contraddizione di tutte le filosofie , che ammettano un divenire o un modo qual sia di attività , e non mantengano rigorosamente la logica di una tale concezione del reale . Nel caso del Telesio essa nasce dal non badare che , se la natura deve spiegarsi dal contrasto del freddo e del caldo , il freddo e il caldo , presi ciascuno per sé , sono fuori della natura , principii o categorie , dal cui incontro si genera , anzi nella cui sintesi insuperabile consiste il reale . Il senso , perciò , come forma reale della natura , non può essere una proprietà né del caldo , in quanto puro caldo , né del suo contrario ; sibbene degli enti , delle cose naturali , che , in quanto calde e fredde insieme , avendo sempre un qualche grado di calore , e però uno spirito più o meno tenue , non possono non avere tutte un certo grado proporzionato , anzi equivalente di senso . Che era infatti la soluzione del Telesio , quando attribuiva il senso anche al freddo , che allora intendeva non più come astratta natura agente , ma come questa natura agente concorrente con la contraria nella materia , ossia natura agente concreta nell ' unità di sé e della contraria . Da questa e simili incertezze si scorge di sicuro che il Telesio non aveva chiara consapevolezza della natura metafisica de ' suoi principii , né perciò del reale fondamento , su cui , nel suo pensiero , appoggiavasi quella sua bonaria satira delle formae stertentes , ossia delle forme che , secondo l ' aristotelismo , russavano di qua della realtà . Non importa : il freddo , come natura agente positiva , ha questo valore , sostituendosi alla privazione aristotelica . La natura dee avere nelle sue viscere l ' eterna opposizione , dal cui travaglio si genera la vita in tutte le sue forme . Questo il naturalismo telesiano ; e per questo naturalismo Bernardino Telesio sta all ' avanguardia del Rinascimento , e può a buon diritto esser detto il migliore di quelli che per Bacone erano i filosofi moderni ; e possiamo dire anche noi che accenni all ' età moderna . Accenna , bensì ; e resta un uomo del Rinascimento . La nebbia ondeggia ancora attorno alla Vice del suo pensiero . La sua natura , quella natura che ha in se stessa le ragioni di tutta la sua vita , non riempie tutto il quadro della coscienza di Telesio . Da una parte di essa e dall ' altra c ' è qualche cosa , che non è natura , e che Bernardino non può cancellare : e sono insieme due termini ciascuno dei quali accenna all ' altro , e si congiungono idealmente e adombrano e offuscano tutto il quadro , così luminoso a chi non trascorra a ' suoi margini , ma lo fissi nel mezzo . Fatta comune agli uomini e ai bruti la ragione , anche questa , pel Telesio , è un prodotto naturale , una funzione dello spirito caldo . Con questa ragione non soltanto si coglie il particolare , ma si confrontano insieme i vari particolari , si raccolgono in uno le somiglianze , si formano gli universali : essa unifica il senso e l ' intelletto , che Aristotele distingueva nettamente . Ma con questa ragione non si compie lo sviluppo dell ' uomo , e della natura . Il compimento della ragione , anima naturale , è rappresentato dall ' anima creata da Dio , e infusa nei singoli uomini , innestata nella totalità del corpo individuale , e principalmente nello spirito , quasi propria forma , sicché la sostanza , che nell ' uomo ragiona , non è , al dire del Telesio , una e semplice , ma composta dell ' anima creata e dello spirito proveniente dal seme . E in ciò consiste l ' essenziale differenza tra la ragione umana e la belluina . Come si costituisca l ' unità dell ' anima umana , posta la sua anima naturale , che è spirito , e la sua anima creata soprannaturale , Telesio , e non dice , e non può dire ; la risposta non entra nella catena delle sue deduzioni . Se la vita dell ' anima umana si limitasse dentro i termini della natura , dell ' anima creata che aristotelicamente , e tomisticamente , viene a informare lo spirito di ogni individuo , non ci sarebbe motivo mai di parlare . L ' anima dell ' uomo , che , come senso e come appetito , per la sua conoscenza e per la sua finalità , dipende meccanicamente dalle leggi cieche della natura , potrebbe parer tuttavia autrice di atti pravi ; ma questi , come semplici effetti naturali , non potrebbero incorrere nel castigo della giustizia divina , a non voler concepire Iddio come odiatore iniquo delle sue stesse opere . Ond ' è che il governo e il freno dello spirito e la responsabilità conseguente dell ' uomo , - - la sua libertà , diremmo noi nel nostro linguaggio , postulata dall ' obbligo che l ' uomo ha di render conto de ' suoi atti , - - ci astringe ad ammettere l ' innesto di un ' anima superiore , capace non pur di resistere all ' impeto e alle illecebre dello spirito , ma di rattenere e reprimere lo spirito corrivo ai perversi piaceri e alle azioni indegne , e di tendere col suo vigore al proprio fattore , per ricongiungersi alle cognate sostanze e con loro fruire della beatitudine eterna . Giacché , dice il Telesio , l ' uomo , a differenza degli altri animali , non intende né appetisce soltanto le cose sensibili e mortali , che hanno attinenza unicamente alla conservazione presente di se stesso , ma intende e appetisce le cose divine e immortali , spettanti alla sua conservazione eterna . All ' uomo pertanto bisogna attribuire un doppio appetito , e un doppio intelletto : inerenti , l ' uno e l ' altro , principalmente allo spirito : ma l ' uno da ricondursi all ' anima creata da Dio , l ' altro alla natura dello spirito stesso . C ' è l ' appetito sensitivo proprio di questo , e si rivolge alle cose sensibili , che paiono beni , ancorché non siano veramente tali ; e c ' è la volontà propriamente detta , indirizzata ai beni veri , futuri ed eterni . I critici hanno osservato che le funzioni di quest ' anima creata , in quanto forma dello spirito , e propriamente dell ' intelletto nativo e dell ' appetito sensibile , nel Telesio sfumano per modo da lasciar trasparire che quest ' anima piovuta dal cielo è un « soprappiù » nel sistema telesiano ; « una essenza inutile aggiunta all ' uomo per un certo ossequio alla religione » , una concessione fatta ai tempi , alle tradizioni , alla fede ; e che non guasta nulla . Ma ciò non è esatto . È vero che tutte le funzioni intellettive dell ' anima immortale hanno bisogno del concorso dello spirito , e che per Telesio non è possibile ragione ( la quale per lui , in sostanza , è senso ) che non sia corporea ; laddove l ' altra anima per se stessa ragiona senza bisogno di sussidio esterno . Ma tutto ciò si riferisce al sensibile , oggetto del senso come conoscenza e come appetito . La funzione specifica dell ' intelletto aggiunto e della volontà si riferisce invece al soprasensibile , all ' eterno , al divino ; e al sensibile soltanto per subordinarlo , reggendo lo spirito e le sue native energie , ai fini oltremondani . Rispetto a questi , lo spirito è cieco , non solo perché non conosce e non vagheggia termine soprasensibile , ma perché non è capace di conoscere adeguatamente e giudicare secondo il suo giusto valore lo stesso sensibile . Non basta che l ' anima creata non abbia oggetto mondano e naturale , perché la si dichiari una concessione ai tempi e alla fede ; quasi che il Telesio , filosofando con maggiore libertà , potesse farne a meno . Ma è vero che essa è un residuo irriducibile del suo pensiero , rispetto al naturalismo , che è la sua vera , viva filosofia . È vero che essa rimane nell ' organismo del pensiero telesiano un ' idea morta , che non può entrare , e non entra , nel circolo del sistema . E non è la sola , come s ' è accennato . Quest ' anima creata , che è la facoltà del divino , o il senso della religione , quella che il Campanella , spirito assai più profondamente religioso del Telesio , svolgerà nella importante sua teoria della finente , si collega , com ' è ovvio , con l ' idea di un Dio creatore , esterno alla natura , e al meccanismo di essa studiato dalla filosofia telesiana : di un Dio , che è anzi esso la ratio cognoscendi dell ' anima creata . Giacché senza Dio , l ' abbiamo visto , Telesio non si sarebbe imbattuto in quest ' anima , bastando alla vita terrena e naturale quella che risulta dal giuoco del caldo e del freddo . Ma chi si sforzi di sapere o di acquistare la virtù ch ' egli dice sapienza , non può , secondo il Telesio , non vedersi sorgere innanzi l ' idea di Dio . La sapienza è virtù dello spirito , ma non dello spirito solo . È cognizione che lo spirito si procura e deve procurarsi ai fini stessi dell ' autoconservazione , di tutti gli esseri naturali e di se medesimo e del corpo a cui è insito , e senza di cui non potrebbe stare . Ma è anche cognizione dello spirito integrato e perfezionato dalla sostanza in lui immessa da Dio ; ond ' è eccitato e spinto di continuo a cercar di conoscere anche Dio e gli enti divini o soprannaturali , che la scienza non scorgerebbe mai nel seno della natura iuxta propria principia , poiché quest ' anima aggiunta , secondo le espressioni platonizzanti usate in questo luogo dal nostro filosofo naturalista , « sapiente per sé non pure delle altre cose , ma di Dio stesso e degli enti divini , ossia del proprio padre e fattore e delle sostanze a lei cognate ( chi invero potrebbe dubitarne ? ) , ma quasi cacciata in esilio , in carcere e in tenebre , e però orbata d ' ogni conoscenza e divenuta insipiente , aspira ansiosamente a ritornare alla sua natura e perfezione ; e finché non l ' abbia riacquistata , non può non dolersi assai e crucciarsi e dispiacere a se stessa » . sicché lo spirito ha la tendenza a sapere , oltre il suo oggetto naturale , anche quest ' oggetto trascendente ; la cui cognizione , secondo il Telesio , non conferisce alla conservazione dello spirito in quanto spirito , né sarebbe mai ricercata dallo spirito , se questo non fosse mosso dall ' anima creata . Semplice tendenza , di certo , perché la cognizione di Dio supera di grandissimo tratto le forze proprie dello spirito : a cui l ' anima fa sentire un bisogno superiore , ma non presta la capacità di appagarlo . Di guisa che lo spirito , pel concorso di questa sostanza psichica soprannaturale , ha un nuovo problema senza una nuova soluzione ; aspira a speculare anche Dio ; ma con la ragione non può assolutamente : « la quale » , dice Telesio , « può giungere a spiegare , e , spiega infatti il mondo tutto ; e intende altresì che tutte le cose in esso comprese sono state create da un Essere sapientissimo , potentissimo e ottimo » . Ma questi medesimi attributi non può penetrarli in tutta la loro grandezza ; ed è lontanissima dal conoscere gli altri . La ragione , a guardare il fulgore divino , resta abbagliata e cieca , peggio dell ' occhio che s ' affisi nel sole . E però la vera sapienza superiore , la celebrazione di questa virtù culminante dello spirito umano , non è quella che vuole intendere con la ragione , ma quella , che , messa da parte la ragione , si propone di vedere Dio e l ' esser suo e i suoi attributi « nelle sacre e divine lettere e nelle stesse parole di Dio » . Sapienza che , in questa cima , assomiglia , dice il Telesio , l ' uomo agli enti divini , anzi , quanto è possibile , a Dio . A questo ideale , dunque , non è dato alla ragione che spiega la natura , di elevarsi da sé . Pure è l ' ideale che alla ragione sarebbe impossibile non proporsi , poiché la sua spiegazione naturale non è senza residuo ; e quando essa scruta il suo mondo , non può non scorgervi dentro l ' orma profonda della sapiente azione creatrice di quel Dio , che gl ' incitamenti dell ' anima creata gli faranno cercare nella rivelazione divina . « Giacché » , conchiude il Telesio , « chi , vedendo la costruzione del mondo e la costituzione dell ' individui , ma sopra tutto degli animali , non vede che Dio è sapientissimo , e che delle virtù , che noi possiamo pensare in lui , la principale debba essere la sapienza ; ei può ben dirsi non solo empio e selvaggio ( ferus ) , ma a dirittura privo d ' intelletto » . Ora sarebbe falsare la storia e non intendere l ' anima e la mentalità di Bernardino non vedere in questo concetto della sapienza l ' espressione sincera del suo pensiero . Ma sarebbe anche far torto all ' acume speculativo del filosofo ; il quale avrebbe bensì dato prova di più intrepida cecità materialistica a disconoscere affatto le prove della sapienza divina nella razionalità e spiritualità di tutta la natura , così come egli invece la vedeva più vivamente lampeggiare nella finalità dell ' organismo animale , e avrebbe potuto dissimulare la meraviglia del caso , che il natural meccanismo delle nature agenti produca il miracolo del mondo e del pensiero ; ma , per fare una costruzione più armonica e coerente , l ' avrebbe lasciata campata in aria . Il puro meccanismo non è intelligibile . E Telesio che a redimere la realtà dalla trascendenza , non sa intenderla se non meccanicamente , e però vuotata dello spirito che la sorregge e l ' avviva , ha bisogno di legarla e quasi sospenderla , da un capo e dall ' altro , al pensiero , alla legge , che è l a sola ancora a cui la realtà possa fermarsi . Talché la sua natura , guardata dentro , è ricondotta sì a ' suoi principii , che sono in lei ; ma dalle prode apparisce creata da Dio e a Dio ritornante con l ' anima oltremondana . Come la sua origine è fuori di lei , ed essa non può sorgere da sé ; così la sua fine , che è il suo fine , non dipende da lei , e richiede un nuovo intervento di Dio , che suggelli l ' opera sua , destando nella natura una superiore e definitiva potenza , che la riporti a lui . sicché tutta l ' immanenza , che è il pensiero nuovo del Telesio , resta , come doveva restare , quasi avvolta e chiusa nel bozzolo della vecchia trascendenza . Sarà questo il destino e il segno caratteristico della filosofia di Bruno e Campanella e di quanti tentativi si fecero allora o si son fatti di poi per intendere iuxta propria principia una natura , una realtà , che non sia la realtà dello stesso pensiero , che aspira a intendere : quale Cartesio la vide , e quasi la sentì per la prima volta , quando , sequestratosi idealmente dal gran rumore del mondo che si dice esteriore , ascoltò l ' intima voce dell ' essere che continuava a parlargli dentro ; e scoprì il mondo nuovo della filosofia moderna , il quale ha veramente in sé tutte le ragioni del proprio essere . Il mondo , a cui Telesio tenne fisso il suo sguardo tenace per quasi cinquant ' anni con l ' ansia nel cuore e il bisogno di compenetrarlo della sua ragione , è un mondo ormai scomparso dai nostri occhi , e non può destare più il nostro interesse . I suoi scritti , dentro ai quali pur s ' agitò l ' anima sua poderosa , son divenuti desolatamente aridi ai nostri occhi e semplici documenti per gli storici , cui spetta di ravvivarne il senso che ebbero per Telesio e pel tempo suo . Ma negli sforzi di Telesio per ricostruire una natura , che avesse in sé i suoi principii , gli storici scorgono la prima grande battaglia combattuta , sulla soglia dell ' età moderna , per rivendicare la libertà e il valore immanente della vita ; e però essi additano nel Cosentino una degli eroi del pensiero . VII GALILEO GALILEI I L ' ideale scientifico di Leonardo matura nel genio di Galileo . Tra i loro due nomi si svolge il periodo più splendido e creativo della storia della scienza italiana . E nel Galilei lo stesso ardore d ' indagare i segreti della natura , la stessa fede nella potenza dell ' intelletto umano . La sua vita è tutta piena della storia de ' suoi scritti , delle sue scoperte e de ' suoi processi d ' eresia . Nacque da Vincenzio , valente musicista e scrittore di cose musicali , e da Giulia Ammannati il 15 febbraio 1564 in Pisa . Nel '74 , era in Firenze con la famiglia ; e attendeva ai primi studi letterari ( 1575­77 ) presso « un maestro di vulgar fama , » al dire di uno scolaro dello stesso Galilei , non « potendo ' l padre suo , aggravato da numerosa famiglia e costituito in assai scarsa fortuna , dargli comodità migliori , com ' averebbe voluto .... scorgendolo di tale spirito e di tanta accortezza che ne sperava progresso non ordinario in qualunque professione e ' l ' avesse indirizzato . Ma il giovane , conoscendo la tenuità del suo stato e volendosi pur sollevare , si propose di supplire alla povertà della sua sorte con la propria assiduità nelli studi : che perciò datosi alla lettura delli autori latini di prima classe , giunse da per se stesso a quell ' erudizione nelle lettere umane , della quale si mostrò poi in ogni privato congresso , ne ' circoli e nelle accademie riccamente adornato . In questo tempo si diede ancora ad apprendere la lingua greca , della quale fece acquisto non mediocre » . Insomma , fu un autodidatta . Nel '78 pare fosse nel monastero di Santa Maria di Vallombrosa e vi stesse facendo il noviziato . Quivi certamente « udì i precetti della logica da un Padre vallombrosano ; ma però que ' termini dialettici , le tante definizioni e distinzioni , moltiplicità delli scritti , l ' ordine e il progresso della dottrina , tutto riusciva tedioso , di poco frutto e di minor satisfazione al suo esquisito intelletto » . Ben si dilettava piuttosto di sonar il liuto , sull ' esempio e per l ' insegnamento del padre ; e secondo ci racconta il suo scolaro e biografo , dal quale andiamo traendo questi ricordi , « pervenne a tanta eccellenza , che più volte trovossi a gareggiare co ' primi professori di que ' tempi in Firenze e in Pisa , essendo in tale strumento ricchissimo d ' invenzione , e superando nella gentilezza e grazia del toccarlo il medesimo padre ; qual soavità di maniera conservò sempre sino alli ultimi giorni » . Molto anche dilettavasi del disegno , al quale mostrò di possedere segnalata inclinazione , e nel quale andò tanto innanzi , da acquistarsi pel suo gusto e perizia autorità grande tra i pittori più famosi del suo tempo , e il Cigoli , del quale è noto quale stima facesse il Galilei , « attribuiva in gran parte quanto operava di buono alli ottimi documenti del medesimo Galileo , e particolarmente pregiavasi di poter dire che nelle prospettive egli solo gli era stato maestro » . II Nel settembre 1581 Galileo era mandato a studio a Pisa , e in questa università veniva immatricolato tra gli artisti ( come chiamavansi gli scolari che non s ' avviavano pel diritto ) Avrebbe infatti dovuto attendere agli studi di medicina ; poiché il padre avrebbe desiderato farne un medico . E insieme con gli studi di medicina gli convenne imprendere quelli allora strettamente congiunti della filosofia peripatetica , che insegnavasi nelle scuole . La quale non comprendeva soltanto quella parte affatto speculativa del sapere scientifico , che più tardi s ' intese propriamente per filosofia , ma anche la scienza positiva della natura , che andava sotto il nome di fisica . A Pisa il Galilei ebbe primamente campo a manifestare la libera originalità del suo ingegno . « Il Galileo » , dice il solito biografo , « che dalla natura fu eletto per disvelare al mondo parte di que ' segreti , che già per tanti secoli restarono sepolti in una densissima oscurità delle menti umane fatte schiave del parer e degli asserti d ' un solo , non poté mai , secondo ' l consueto degli altri , darsele in preda così alla cieca ; come che , essendo egli d ' ingegno libero , non gli pareva di dover cioè facilmente assentire a ' soli detti e opinioni delli antichi e moderni scrittori , mentre potevasi col discorso e con sensate esperienze appagar se medesimo . E perciò nelle dispute delle conclusioni naturali fu sempre contrario alli più acerrimi difensori d ' ogni detto aristotelico , acquistandosi nome tra quelli di spirito di contraddizione , e in premio delle scoperte verità provocandosi l ' odio loro ; non potendo soffrire che da un giovanetto studente , e che per ancora , secondo un lor detto volgare , non aveva fatto il corso delle scienze , quelle dottrine da lor imbevute , si può dir , con il latte gli avesser ad esser con nuovi modi e con tanta evidenza rigettate e convinte » . Studia bensì nei testi Aristotele e Platone , e approfondisce da sé la cognizione diretta della scienza antica . Ma , insoddisfatto , ha vigile l ' occhio a nuove osservazioni , portato fin d ' allora a non cercare nei libri la verità . È del 1583 la celebre osservazione suggeritagli dalla vista di una lampada che oscillava nel Duomo , onde scopre la legge dell ' isocronismo delle oscillazioni del pendolo . L ' anno dopo si volge allo studio della geometria ; nella quale e nella meccanica fa subito progressi mirabili . sicché ancora nel 1636 riprenderà e invierà a un suo amico , perché siano stampate , le dimostrazioni di alcuni teoremi intorno al centro di gravità dei solidi , « trovate » , dirà con visibile compiacenza « da me , essendo d ' età di 22 anni , e di due anni di studio di geometria ; le quali è bene che non si perdino » . Studia Archimede ( 1586 ) , ed escogita « un nuovo modo esattissimo di poter scoprire il furto di quell ' orefice nella corona d ' oro di Jerone » inventando la bilancetta , E quell ' anno stesso tiene in Siena pubblico insegnamento di matematica , che legge pure in privato così a Siena come a Firenze . Nel 1587 va a Roma ed entra in relazione col gesuita Cristoforo Clavio , celebre matematico del tempo ; e con altri matematici di varie parti della penisola conferisce le sue teorie sul centro di gravità , onde si viene sempre più ampliando la sua riputazione . Tra questi matematici , il marchese Guidobaldo del Monte , di Pesaro , concepisce per lui grande stima , e si adopera presso i Medici , affinché gli sia affidata la cattedra di Matematica vacante nello studio di Pisa . Questa gli venne infatti assegnata nel luglio 1589 , con la provvisione annua di 60 scudi . III Dal novembre 1589 al '92 , un triennio , lesse pertanto Matematica a Pisa , continuando i suoi studi , le sue osservazioni e i contrasti con i vecchi insegnanti ligi alla tradizione ; la cui gravità accademica compiacevasi di pungere e deridere in capitoli berneschi , come quello giuntoci Contro il portar la toga ( 1591 ) ; poiché la toga era di prammatica per i professori dello Studio . Nel '90 inventa la cicloide , che gli serve per stabilire la forma da dare agli archi dei ponti . Insiste nello studio del movimento ; scopre l ' errore della dottrina aristotelica che fa variare la velocità della caduta dei corpi secondo la gravità : « dimostrando ciò con replicate esperienze , fatte dall ' altezza del Campanile di Pisa con l ' intervento degli altri lettori e filosofi e di tutta la scolaresca » . Commenta l ' Almagesto di Tolomeo ; contro il quale non si sa quando siano sorti i suoi primi dubbi ; ma è certo che nel 1597 poteva dire di avere abbracciata già molti anni innanzi la opposta dottrina . E forse era una delle questioni , che più tardi ricordava essere stato solito disputare nelle giornaliere conversazioni col dotto collega ed amico di Pisa , il signor Jacopo Mazzoni . Ma a Pisa non è sicuro d ' essere confermato allo scadere del triennio , e per naturali avversioni suscitategli contro dalle sue novità scientifiche e dal suo spirito ribelle , e per esser forse caduto in disgrazia presso i padroni , a causa di certo giudizio da lui liberamente espresso su una certa macchina idraulica di don Giovanni de ' Medici . E ha bisogno , d ' altra parte , di trovare un collocamento più vantaggioso , poiché nel luglio del '71 è morto il padre , ed è rimasta a suo carico tutta la famiglia . Onde si studia di conseguire la cattedra di Matematica nello Studio di Padova ; la quale gli viene assegnata il 26 settembre 1592 con lo stipendio di 180 fiorini ; confermata per sei anni nel '99 con fiorini 320; poi ancora nel 1606 per altri sei anni , portandosi lo stipendio a 520 fiorini ; e infine nell ' agosto 1609 a vita , con mille fiorini . Giacché a Padova infatti la grandezza di Galileo si fa ogni giorno più manifesta . Grandezza d ' ingegno singolarmente felice , che accoppia le più rare attitudini speculative del matematico con la passione indagatrice dell ' osservatore ; il quale non osserva per altro col solo fine di appagare la sua sete di sapere ed estendere i limiti del noto , ma per servirsi delle forze della natura ai fini della vita umana . Perciò la sua scienza non desta soltanto l ' interesse dei dotti , ma e dei principi e degli Stati ; e non c ' è scoperta sua che non dia luogo a invenzioni di strumenti utili alle arti della pace o della guerra ; e il movimento scientifico che fa capo a lui , com ' è dei più fecondi per la costituzione della moderna scienza della natura , così è de ' più benemeriti rispetto a quella signoria dell ' uomo sul mondo delle forze brute , che fu l ' ideale del Rinascimento italiano , e che Bacone in quel tempo bandiva come principale ufficio al sapere scientifico . Nel '93 , o in quel torno , scrive per uso degli scolari un trattato di fortificazioni ; e nel dicembre inventa una macchina da alzar acqua , per cui il Senato Veneto gli conferisce un privilegio . Insegna Euclide , cosmografia , astronomia . Nel '97 perfeziona il compasso geometrico e militare , e stende per iscritto le istruzioni intorno all ' uso dello strumento . Comincia a scrivere in lettere private in sostegno dell ' opinione copernicana ; mentre legge agli scolari sull ' Almagesto , Toglie pure ad argomento delle sue lezioni le Questioni meccaniche di Aristotele ; ma getta le basi di nuove dottrine , che entreranno a far parte dell ' ultima sua opera , Dialoghi elle nuove scienze , che pubblicherà nel 1638 . Studia l ' armatura della calamita ; e fa le prime esperienze che condurranno all ' invenzione del termometro . Nell ' ottobre 1604 osserva per la prima volta la nuova stella del Serpentario ; e nel dicembre tiene su di essa tre pubbliche lezioni , in cui comincia a scuotere poderosamente una delle dottrine fondamentali della fisica aristotelica , legata ai principii della metafisica di quella scuola ed entrata , si può dire , nel modo di pensare comune , mercè la straordinaria diffusione di quelle dottrine : la dottrina dell ' inalterabilità del cielo . Nell ' agosto del 1605 , per invito della Granduchessa madre , Maria Cristina di Lorena , si reca in Toscana a insegnare al principe Cosimo de ' Medici l ' uso del compasso geometrico e militare ; e l ' anno dopo stampa , in sessanta esemplari , nella propria casa di Padova , Le Operazioni del compasso geometrico e militare , che dedica a quel principe . Di cui torna nell ' estate ad essere ospite , e col quale ama legarsi di sempre più stretti rapporti . Un Baldassare Capra , che già contro le lezioni di Galileo sulla stella nuova aveva pubblicato un ' insolente quanto scipita Considerazione astronomica , tenta ora plagiarlo , mandando fuori per le stampe un Usus et fabrica circini cuiusdam proportionis , in cui riproduce in latino le Operazioni del Galileo . Questi gl ' intenta un processo presso i Riformatori dello Studio , e ottiene la soppressione dell ' opuscolo , col permesso di pubblicare egli una sua Difesa contro le calunnie et imposture di Baldassar Capra milanese , usategli sì nella Considerazione Astronomica sopra la nuova stella del MDCIII , come ( et assai più ) nel pubblicare nuovamente come sua invenzione la fabrica et gli usi del Compasso geometrico e militare ( 1607 ) . Nel 1608 continua a studiare lungamente il problema dell ' armatura della calamita ; e l ' anno dopo è tutto dentro alle sue ricerche e dimostrazioni meccaniche ; quando nel giugno a Venezia gli giunge notizia di uno strumento che in Olanda era stato presentato al conte Maurizio di Nassau , composto di due vetri dentro un tubo , onde si sarebbero veduti gli oggetti lontani come fossero vicini . « Con questa sola relazione » , racconta il Viviani , « tornando subito il signor Galileo a Padova , si pose a specularne la fabbrica , quale immediatamente ritrovò la seguente notte : poiché il giorno appresso componendo lo strumento nel modo che se lo aveva immaginato , nonostante la imperfezione de ' vetri che poté avere , ne vidde l ' effetto desiderato ; e subito ne diede conto a Venezia a ' suoi amici , e fabbricandosene altro di maggior bontà , sei giorni dopo lo portò quivi , dove sopra le maggiori altezze della città fece vedere e osservare gli oggetti in varie lontananze ai primi senatori di quella Repubblica , con lor infinita maraviglia » . Ne lasciò memoria infatti il procuratore Antonio Priuli nella sua Cronaca , sotto il 21 agosto 1609 : « Andai io in Campanil di S . Marco con l 'Ecc.te Gallileo e signor Zaccaria Contarini .... a veder le meraviglie et effetti singolari del cannon di detto Gallileo .... ; con il quale posto a un occhio e serando l ' altro , ciascheduno di noi vide distintamente , oltre Liza Fusina e Marghera , anco Chioza , Treviso e sino Conegliano , et il campaniel e cubbe con la facciata della chiesa de Santa Giustina de Padova : si discernivano quelli che entravano e uscivano di chiesa di San Giacomo di Muran ; si vedevano le persone a montar e dismontar de gondola al traghetto alla Colonna nel principio del Rio de ' Verieri , con molti altri particolari nella laguna e nella città veramente ammirabili » . IV Ben maggiori meraviglie quelle che Galileo indi a poco scoprirà nel cielo per mezzo di questo cannocchiale . Lo drizzò subito alla Luna , e ne scorse , primo tra gli uomini , la superficie ineguale , con cavità e prominenze a guisa della Terra . Vide la via lattea e le nebulose risaltare di una congerie di stelle fisse , indistinguibili ad occhio nudo per la loro immensa distanza e la loro relativa piccolezza . Ed ecco il 7 gennaio presso al corpo di Giove tre satelliti che gli girano intorno , e un quarto , sei giorni dopo . Con animo altamente commosso Galileo descrive in pochi giorni , in latino , la breve storia di queste scoperte , che portavano la rivoluzione nel cielo : nel cielo , quale si continuava ad immaginarlo secondo la fantastica costruzione aristotelica , con la Terra in mezzo , centro dell ' universo , intorno al quale si muovano tutte le stelle mobili del cielo . Scrive il Sidereus nuncius , e lo pubblica a Venezia il 12 marzo 1610 , dedicandolo al Granduca Cosimo , e in onore della sua casa denominando « Pianeti medicei » i quattro satelliti gioviali . Nulla più dell ' accoglienza fatta al Sidereus nuncius ( la cui materia Galileo espose pure in tre lezioni nella primavera , nello Studio di Padova ) da parte dei filosofi che insegnavano nelle università italiane , può dimostrare la gravità del colpo che le scoperte galileiane arrecavano alla scienza ufficiale contemporanea : « Non mancarono già » , dice il buon Viviani , « de ' così pervicaci e ostinati , e fra questi de ' constituiti in grado di pubblici lettori » - - alludendo a Cesare Cremonini , che fu tuttavia dei pensatori più spregiudicati della fine del sec . XVI e del principio del XVII , e che ebbe perciò dal S . Offizio non poche molestie , - - « tenuti per altro in gran stima , i quali , temendo di commetter sacrilegio contro la deità del loro Aristotele , non vollero cimentarsi alle osservazioni , né pur una volta accostar l ' occhio al telescopio ; e vivendo in questa lor bestialissima ostinazione , vollero , più tosto che al loro maestro , usar infedeltà alla natura medesima » . Erano quegli stessi , che ventisei anni prima Giordano Bruno aveva nella Cena de le ceneri additati tra gli oppositori della dottrina copernicana : « Sono alcuni altri che , per qualche credula pazzìa temendo che per vedere non se ne guastino , vogliono ostinatamente perseverare ne le tenebre di quello ch ' hanno una volta malamente appreso » . Ma di tutte le opposizioni Galileo è largamente compensato dal plauso mandatogli da Giovanni Kepler ; e può tornare a Firenze , ottenendo il posto che molto aveva desiderato ed ambìto , quello di matematico dello Studio di Pisa ( esente da ogni obbligo d ' insegnamento ) e filosofo del Granduca , con mille scudi annui . V Firenze però doveva essergli pur troppo fatale nel conflitto che fatalmente doveva scoppiare tra la nuova scienza , che per opera del Galilei si veniva liberamente svolgendo , e la Chiesa cattolica , che da alcune affermazioni di questa scienza temeva di vedere scosse le proprie basi dommatiche . E gl ' interessi di casa Medici , alla cui ombra Galileo riparò , non avrebbero consentito di fronte alla Curia una difesa aperta ed energica del grand ' uomo che l ' onorava , quale forse l ' avrebbe assunta la libera repubblica di Venezia . Il 25 luglio 1610 Galileo scopre la forma tricorporea di Saturno . Nel settembre e nell ' ottobre comincia ad osservare le fasi di Venere nel suo movimento intorno al Sole ; indi fa le prime osservazioni delle macchie solari ; una delle sue maggiori scoperte , « che » , egli scriveva allegramente al Cesi due anni dopo 246 , quando si preparava a ragionarne in apposita scrittura , « dubito che voglia essere il funerale o più tosto l ' estremo e ultimo giudizio della pseudofilosofia » ; poiché contraddiceva nel modo più manifesto alla menzionata dottrina dell ' inalterabilità celeste , e confermava d ' altra parte il sistema copernicano . Nel marzo 1611 si reca a Roma , per dimostrare la verità delle sue scoperte celesti . E vi si trattiene fin al giugno , destando grande curiosità e vivo interesse per le novità annunziate , che i matematici gesuiti del Collegio Romano , interrogati dal card . Roberto Bellarmino , non possono non confermare . Mostra egli a illustri personaggi le macchie del sole ; è onorato , accarezzato , ascritto alla recente Accademia dei Lincei . sicché può tornare a Firenze lieto di veder riconosciuti tutti i meriti scientifici acquistati nell ' esplorazione del cielo . Ma si erano poste le premesse di un dramma , che il destino di Galileo , riposto nell ' indirizzo stesso del suo pensiero , ormai avviato a certe conclusioni , doveva di necessità svolgere quindi fino alla catastrofe . Giacché , assodati i fatti , di cui il telescopio gli aveva reso testimonianza , egli era portato dalla tendenza sistematica della sua mente a spiegarli e inquadrarli in un sistema del mondo , che non poteva essere più il sistema di Aristotele e di Tolomeo ; onde veniva risospinto verso quella dottrina copernicana , che nel 1597 aveva scritto al Kepler di non voler per allora toccare , fortuna ipsius Copernici praeceptoris nostri perterritus , E se questa volta egli può contentarsi del riconoscimento delle sue scoperte , presto dovrà tornare a Roma , a cercar d ' impedire la condanna di Copernico ; la cui proibizione avrebbe troncato di netto la sua vita scientifica . Nell ' estate del 1611 è involto in una controversia coi Peripatetici pisani , capeggiati da Lodovico delle Colombe , circa i fenomeni della condensazione e della rarefazione , e sulla causa del galleggiare , che gli avversari attribuivano alla figura del galleggiante , anzi che alla gravità . Di che avendo pure discorso alla tavola del Granduca , presente il cardinale Maffeo Barberini , futuro papa Urbano VIII , il Galileo ebbe invito da Cosimo di stendere su questo tema un Discorso ; che fu quello Intorno alle cose che stanno in su l ' acqua , pubblicato nella primavera del '12 . Pone quindi mano alle sue lettere al Welser , stampate l ' anno dopo dai Lincei , col titolo Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti , in risposta al gesuita tedesco Cristoforo Scheiner , che allo stesso Welser aveva indirizzato altrettante lettere , sotto lo pseudonimo Apelles latens post tabulam , contro la scoperta galileiana . La sua mente gravita intorno al problema cosmografico . Sul quale nell ' agosto 1610 aveva fatto sapere al Granduca che egli meditava una grande opera : « due libri De systemate seu constitutione universi : concetto immenso e pieno di filosofia , astronomia e geometria » . VI Ma prima ancora che cominciasse a difendere pubblicamente la teoria copernicana , gli toccò trattare la questione del contrasto reale o apparente tra essa e la Bibbia , e in generale dei rapporti tra scienza e fede . L ' occasione gliela porse uno de ' suoi più cari e valenti discepoli , il Castelli ; al quale appunto era stato domandato dalla Granduchessa madre in che modo si potesse accordare con la Scrittura quella idea del moto della Terra , che si sapeva professata da Galileo . E questi scrisse allora la sua famosa lettera al Castelli del 21 dicembre 1613 , poi largamente ampliata con citazioni di Padri ed esegesi di testi nella lettera a essa Madama Cristina del 1615 . Non è esatto che Galilei sia stato il primo a rigettare apertamente l ' autorità della Scrittura in materia di scienza . La sua tesi è sostanzialmente identica a quella che quasi trent ' anni prima aveva sostenuta il nostro Bruno , in un ' opera che tutto induce a credere sia stata nota al Galilei , quantunque per ovvie ragioni di prudenza egli si peritasse di ricordare uno scrittore morto sul rogo come eretico ; ed è identica altresì a quella che più tardi propugnerà a difesa della libertà della filosofia di fronte alla teologia Benedetto Spinoza nel suo Trattato teologico Politico . Tutti e tre questi pensatori distinguono il dominio della vita pratica da quello della pura verità speculativa , - - e , assegnando alla religione il primo , riserbano il secondo alla scienza . Distinguono analogamente una doppia rivelazione divina della verità : una positiva e sovrannaturale , l ' altra razionale e in via di continua formazione ; e la prima considerano come fonte degli insegnamenti destinati a indirizzare la condotta dell ' uomo ; l ' altra , radicalmente indipendente dalla prima , come la sorgente della libera ricerca scientifica . L ' una , depositata nei libri sacri , direttamente ispirati da Dio ; l ' altra , frutto della mente umana . La quale , pel Galilei , non attinge dalla speculazione astratta de ' propri principii razionali la verità che è termine delle sue più legittime aspirazioni ; ma dalla osservazione della natura sensibile e dalla interpretazione e dimostrazione matematica delle sue leggi , consistenti in determinati rapporti matematici . sicché la stessa rappresentazione matematica della realtà conosciuta per mezzo dell ' esperienza sensibile non è il prodotto d ' un lavorio soggettivo della mente , ma la fedele lettura del libro del mondo , in cui Dio volle scrivere , del pari che nelle Sacre scritture , il suo pensiero ; di guisa che , come di fronte alla rivelazione sovrannaturale della religione , così nella stessa scienza che è il più alto segno dell ' umana grandezza , l ' intelletto umano non fa se non riflettere la luce che nella natura si riverbera dal pensiero divino . È evidente che rispetto alla scienza , che a Galileo preme difendere dalle opposizioni dalla tradizione scientifica e religiosa , quel che importa non è tanto la distinzione dei due diversi dominii , dommatico e razionale , e la dimostrazione delle loro irriducibili differenze ( al che sarebbe occorsa una dottrina , che in Galileo manca ) , quanto piuttosto la dimostrazione de ' diritti della libera ricerca scientifica sottratta , per la definizione della sua natura e della sua conseguente finalità , a quell ' ordine di cognizioni che la teologia faceva dipendere dall ' insegnamento scritturale . Di qui il carattere speciale e il difetto di questa affermazione galileiana della libertà della scienza . La quale per Galileo è libera dalla teologia , in quanto è cognizione che , a differenza della teologia , non ha nessuna portata pei fini essenziali dello spirito umano o , come egli dice , « per la salute delle anime » ; e non l ' ha , perché essa infatti è la cognizione di una realtà , in cui non c ' è posto per lo spirito umano , né motivo ad alcuna preoccupazione per la realtà di esso ; è la cognizione della natura , meccanicamente concepita , determinata secondo rapporti quantitativi ; che , solo in quanto tale , è oggetto di una scienza che non può entrare in conflitto coi dettati della teologia . La scienza , insomma , della quale Galileo difende la libertà separandola dal sapere dommatico della teologia , è la scienza naturalistica . VII Ma c ' è una scienza affatto naturalistica , cioè riguardante una realtà il cui modo di essere e di operare sia indifferente per lo spirito umano ? I teologi contemporanei di Galileo non si capacitarono di questa separazione da lui fatta tra il mondo a cui guarda lo scienziato , e quello a cui guarda l ' uomo che pensa e deve pensare alla salute dell ' anima . Nella questione speciale da cui sorgeva il conflitto , circa la stabilità o mobilità della Terra , c ' eran passi della Bibbia , che stavano per la tesi oppugnata dalla nuova scienza ; e ciò per comune e costante interpretazione dei Padri , dai quali il Concilio di Trento aveva dovuto , contro la pretesa dei Protestanti , vietare di dipartirsi . Né il movimento della Terra ponevasi quale semplice ipotesi d ' un mondo matematico costruito dalla mente secondo le leggi della coerenza geometrica , sì bene come induzione della realtà di fatto : che è una ben notabile differenza . Giacché il matematico costruisce per suo instituto mondi , che non appartengono alla realtà esistente ; ma in questa non è ammissibile un solo particolare che non si leghi col resto dell ' universo , e non vi si ripercuota , e non abbia perciò la sua importanza per gli interessi dello stesso spirito umano . sicché la teologia non si può disinteressare della definizione di quel mondo , che non è più nel cervello dei matematici , ma in quell ' essere effettuale , cui appartiene pure l ' uomo , che essa mira ad ammaestrare ai fini morali della sua eterna salute . Galileo , d ' altra parte , insisteva , che la posizione copernicana non era l ' ipotesi di un matematico , ma la dottrina d ' un filosofo che definiva la reale costituzione del mondo . E su questo terreno la scienza non si poteva non imbattere nella teologia , quali che potessero essere gli accorgimenti escogitati da Galileo per salvare la veridicità della Scrittura nei luoghi in cui si accenna alla stabilità della terra , mettendosi sullo sdrucciolo delle interpretazioni non autorizzate dalla tradizione della Chiesa . Merita d ' esser tenuto presente quel che scriveva da Roma il 12 aprile 1615 il maggior teologo che allora avesse la Chiesa Romana , il cardinal Roberto Bellarmino , a un frate carmelitano di Napoli Paolo Antonio Foscarini , autore di un opuscolo conciliativo intorno ai rapporti della teoria copernicana con la Bibbia . Questa lettera è un documento storico di prim ' ordine della massiccia tradizione , contro la quale dovevano urtare gli sforzi del Galilei . Il Bellarmino dunque scriveva : « I ° Dico che mi pare che V . P . e il sig . Galileo facciano prudentemente a contentarsi di parlare ex suppositione e non assolutamente , come io ho sempre creduto che abbia parlato il Copernico . Perché il dire che , supposto che la Terra si muova e il Sole stia fermo , si salvano tutte l ' apparenze meglio che con porre gli eccentrici ed epicicli , è benissimo detto , e non ha pericolo nessuno ; e questo basta al matematico ; ma volere affermare che realmente il Sole stia nel centro del mondo e solo si rivolti in se stesso senza correre dall ' oriente all ' occidente , e che la Terra stia nel 3° cielo e giri con somma facilità intorno al Sole , è cosa molto pericolosa non solo d ' irritare tutti i filosofi e teologi scolastici , ma anco di nuocere alla santa fede con rendere false le Scritture Sante ; perché la P . V . ha bene dimostrato molti modi di esporre le Sante Scritture , ma non li ha applicati in particolare ; ché senza dubbio avria trovate grandissime difficultà se avesse voluto esporre tutti quei luoghi che lei stessa ha citati . 2° Dico che , come lei sa , il Concilio proibisce esporre le Scritture contra il commune consenso de ' Santi Padri ; e se la P . V . vorrà leggere non dico solo li Santi Padri , ma li commentatori medesimi sopra il Genesi , sopra li Salmi , sopra l ' Ecclesiaste , sopra Giosuè , troverà che tutti convengono in esporre ad literam ch ' il Sole è nel cielo , e gira intorno alla Terra con somma velocità , e che la Terra è lontanissima dal cielo e sta nel centro del mondo , immobile . Consideri ora lei , con la sua prudenza , se la Chiesa possa sopportare che si dia alle Scritture un senso contrario alti Santi Padri e a tutti li espositori greci e latini . Né si può rispondere che questa non sia materia di fede ; perché , se non è materia di fede ex parte obiecti , è materia di fede ex Parte dicentis ; e così sarebbe eretico chi dicesse che Abramo non abbia avuti due figliuoli e Jacob dodici , come chi dicesse che Cristo non è nato di Vergine , perché l ' uno e l ' altro lo dice lo Spirito Santo per bocca de ' Profeti e Apostoli . 3° Dico che quando ci fusse vera dimostrazione che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo , e che il Sole non circonda la Terra , ma la Terra circonda il Sole , allora bisogneria andar con molta considerazione in esplicare le Scritture che paiono contrarie , e più tosto dire che non l ' intendiamo , che dire che sia falso quello che si dimostra . Ma io non crederò che ci sia tal dimostrazione , fin che non mi sia mostrata ; né è l ' istesso dimostrare che supposto ch ' il Sole stia nel centro e la Terra nel cielo , si salvino le apparenze , e dimostrare che in verità il Sole stia nel centro e la Terra nel cielo : perché la prima dimostrazione credo che ci possa essere , ma dalla seconda ho grandissimo dubbio e in caso di dubbio non si dee lasciare la Scrittura Santa , esposta da ' Santi Padri . Aggiungo che quello che scrisse : Oritur sol et occidit , et ad locurn suum revertitur etc .... fu Salomone , il quale non solo parlò inspirato da Dio , ma fu uomo sopra tutti gli altri sapientissimo nelle scienze umane e nella cognizione delle cose create , e tutta questa sapienza l ' ebbe da Dio ; onde non è verisimile che affermasse una cosa che fusse contraria alla verità dimostrata o che si potesse dimostrare . E se mi dirà che Salomone parla secondo l ' apparenza , parendo a noi ch ' il Sole giri , mentre la Terra gira , come a chi si parte dal lito pare che il lito si parta dalla nave , risponderò che chi si parte del lito , se bene gli pare che il lito si parta da lui , nondimeno conosce questo errore e lo corregge , vedendo chiaramente che la nave si muove e non il lito ; ma quanto al Sole e la Terra , nessuno savio è che abbia bisogno di correggere l ' errore , perché chiaramente esperimenta che la Terra sta ferma e che l ' occhio non s ' inganna quando giudica che il Sole si muove , come anco non s ' inganna quando giudica che la Luna e le stelle si muovano » . VIII Le vicende dei due processi sofferti dal grande pensatore innanzi all ' Inquisizione di Roma sono ormai note in tutti i loro particolari ; e basterà ricordarle brevemente . Il primo processo , aperto su denunzia del domenicano Niccolò Lorini , a proposito della lettera del Galilei al padre Castelli ( 7 febbraio 1615 ) , dopo un ' istruttoria segretissima , durante la quale Galileo si reca a Roma ( 3 dic . 1615 ) , scrive il Discorso sopra il flusso e reflusso del mare , di schietta professione copernicana , poiché il flusso e riflusso marino vi è spiegato col movimento della Terra , e invano si adopera affinché la dottrina di Copernico non sia condannata , - - si chiude con la censura ( 24 febbraio 1616 ) delle due proposizioni della stabilità del Sole e del movimento della Terra , e con l ' ammonizione , fatta ( 26 febbraio ) per mezzo del card . Bellarmino al Galilei , che si astenga dal professarle . Ma questo divieto non impedisce a Galilei di proseguire in segreto le sue speculazioni intorno ai due massimi sistemi del mondo . La comparsa , avvenuta nell ' agosto del '18 , di tre comete , una delle quali , nel segno dello Scorpione , rimase visibile fino al gennaio successivo , illustrata dal gesuita di Roma p . Orazio Grassi in una Disputatio astronomica in senso aristotelico ­ tolemaico , lo trasse , anche per gl ' incitamenti venutigli da varie parti , ad esporre il suo pensiero ; il che fece per mezzo di un Discorso delle Comete , letto dal suo fido scolaro Mario Guiducci all ' Accademia Fiorentina , e dato in luce nel giugno 1619 . Fu il segno di una battaglia ingaggiata dai gesuiti contro il sospetto filosofo di Firenze . Gli si avventò contro il Grassi , sotto l ' anagramma di Lothario Sarsi , nella Libra astronomica ac philosophica , che il Galilei si divertì da prima a postillare minutamente , e poi a confutare nel celebre suo libro polemico Il Saggiatore , pubblicato a Roma per cura de ' Lincei nel 1623 . Il 6 agosto sale al trono pontificio Maffeo Barberini , dal quale Galileo si teneva sicuro di essere benvoluto assai , oltre che stimato . E spera subito poterne ottenere migliori disposizioni pel sistema copernicano . Si reca una quarta volta a Roma nell ' aprile del '24 , e vi spende più di due mesi in colloqui con Cardinali e col Pontefice per persuaderli dell ' opportunità , anzi necessità per la Chiesa di cessare da ogni opposizione contro una dottrina scientifica , che nei paesi riformati si diffondeva sempre più . Ma da Urbano VIII riceve bensì buone parole , e medaglie , e « buona quantità di Agnus Dei » , e la promessa d ' una pensione pel figlio , ma nulla che modifichi la situazione giuridica creata dal precetto del 1616 . Galileo riprende il Dialogo , a cui già pensava dagli anni di Padova , sui massimi sistemi , tolemaico e copernicano ; ma tra minori studi , malattie e la naturale titubanza derivante dal divieto del S . Offizio , procede in esso lentamente . Lo compie soltanto nel '30 . La prudenza usata nelle espressioni , evitando di affermare mai risolutamente la verità del sistema copernicano , certe vaghe voci giuntegli da ' suoi amici di Roma circa le intenzioni del Papa , la fiducia nel patrocinio del suo Granduca , a cui il Dialogo era dedicato , gli fecero sperare di ottenere la facoltà di stamparlo , e di poterlo quindi dare in luce senza pericolo . Torna a tale scopo a Roma nel maggio di quell ' anno ; ne riparte il 26 giugno « con intera sua satisfazione » ; e inizia la stampa a Firenze . Ma sorgono per via tante difficoltà , che la stampa del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo è compiuta soltanto il 21 febbraio 1632 . IX Già nell ' agosto Galileo viene a sapere che i gesuiti lavorano con ogni potere in Roma a far proibire il Dialogo . Si riunisce infatti una congregazione per esaminarlo . Il 23 settembre , per mezzo dell ' Inquisitore di Firenze , il Papa ingiunge a Galileo di comparire non più tardi del mese di ottobre innanzi al Commissario Generale del S . Offizio in Roma . Ecco iniziato il nuovo processo , che si chiuderà il 22 giugno del '33 nella gran sala dei Domenicani di Santa Maria sopra Minerva con la lettura della sentenza che proibiva il Dialogo , e con l ' abiura della dottrina copernicana fatta dall ' affranto vegliardo , minacciato il giorno innanzi della tortura . Minaccia contro cui si rivolta ogni coscienza d ' uomo . Ma più che la minacciata tortura , la qual non ebbe poi effetto , ed era parte necessaria dei sistemi giudiziari del tempo , offende il nostro sentimento della dignità umana la genuflessione e l ' abiura , a cui si costrinse , contro le sue più ferme convinzioni , il grande intelletto , poiché gli venne meno , nell ' estremo cimento , la forza di tener fede alla verità che gli splendeva dinanzi . Colpa non di uomini , certo , ma di tempi e sistemi , onde doveva restar colpita assai più l ' istituzione che condannava , che la vittima che n ' era colpita . In verità , tutte le durezze con cui inesorabilmente si vollero travagliati gli anni estremi del Galilei , nulla tolsero , e nulla potevano togliere , a questo della sua grandezza e della gioia , tutta interiore , procuratagli dalla potenza del suo genio . Ma quanti animi non alienarono dalla Chiesa Romana ? Che se alla distanza d ' un secolo e più , in cui lo spirito galileiano venne celebrando i suoi trionfi , faceva dalla Congregazione dell ' Indice cancellare ( 16 aprile 1757 ) il decreto quo Prohibentur libri omnes docenles immobilitatem Solis et mobilitatem Terrae , la chiesa non poté più cancellare il senso di ripugnanza o di diffidenza contro le sue decisioni e il sospetto entrato negli animi , che a lei forse increscesse della luce che la mente umana vien facendo con la scienza . Nelle lettere di Galileo è tutta la storia di quelle durezze , di tutti i dolori sofferti , fino alla cecità , onde fu suggellata nel '37 la sconsolata solitudine degli ultimi anni ; fino alla morte , avvenuta l'8 gennaio 1642 . Oh gli accenti accorati solenni come rintocchi di campana quando nel '38 perdette la vista . « Ahimè , signor mio , il Galileo , vostro caro amico e servitore , è fatto irreparabilmente da un mese in qua del tutto cieco . Or pensi V . S . in quale afflizione io mi ritrovo , mentre che vo considerando che quel cielo , quel mondo e quello universo , che io con mie maravigliose osservazioni e chiare dimostrazioni avevo ampliato per cento e mille volte più del comunemente veduto da ' sapienti di tutti i secoli passati , ora mi s ' è diminuito e ristretto ch ' è non è maggiore di quel che occupa la persona mia » 256 . Ma lo spirito del gran vecchio non fu fiaccato ; e le sue lettere ci attestano come nel villino d ' Arcetri , assegnatogli da ultimo a scontare la pena inflittagli del carcere perpetuo , quello spirito vigilasse sempre , assorto ne ' suoi studi , portando a compimento i Dialoghi delle nuove scienze , in cui tornava al soggetto delle prime ricerche giovanili e gettava in un capolavoro i fondamenti della moderna meccanica ; stendendo il mirabile trattato delle Operazioni astronomiche ; scrivendo la lettera Sopra il candore della Luna ; commentando ed esaltando nel frequente carteggio con gli amici e scolari , vicini o lontani , quella scienza che era stata la sua vita . X Della quale scienza , come fu rinnovata e promossa nella prima metà del sec . XVII , nessuno tra i contemporanei ebbe l ' intuizione esatta come il Galileo . Egli non fu propriamente un filosofo , ma un matematico e un naturalista che , a differenza dei nostri maggiori filosofi della Rinascenza , Telesio , Bruno e Campanella , e dei più celebrati pensatori e scienziati che aprono l ' età moderna , come Bacone , Descartes e Kepler , vide per la prima volta chiarissimamente , che una scienza della natura si può costituire a patto che si separi rigorosamente dalla metafisica , e si fermi nel suo proprio carattere di cognizione diretta dei fatti , che non sono da produrre , ma da considerare già compiuti , indecifrabili nel loro intrinseco essere e prodursi e nelle loro differenze qualitative : ma soltanto , perciò , constatabili e misurabili nelle loro proporzioni quantitative . Oggetto di esperienza sensata , com ' egli dice , non argomentabile in virtù di ragionamenti , perché estraneo , anzi opposto allo spirito che lo conosce , e avente in sé la sua legge : pensabile come una realtà bruta , a cui non sono riferibili i criteri di razionalità finalistica , onde l ' uomo interpreta le azioni dell ' uomo ; quella natura , che è la sola realtà ammessa dal naturalismo e dal materialismo , verso cui piegò nel secolo XVIII e nel seguente la pura scienza della natura . Del valore di una tale scienza , del punto di vista che le è proprio , si discuterà più tardi , quando si riaffaccerà , in forma di gran lunga diversa , il problema in cui si dibattè ai suoi tempi Galileo , dell ' accordo di questo sapere che non conosce i fini e i bisogni , né le leggi proprie della natura umana , e ne rende quindi impossibile una spiegazione o un concetto , con la scienza che muove dalla intuizione di questa realtà umana . E se ne dimostrerà il limite . Ma , pur nel suo limite , cotesta scienza galileiana è una delle glorie maggiori dell ' età moderna , e una delle forme essenziali , se non la sola legittima , della nostra mentalità . E per questo rispetto Galileo è uno dei maestri immortali dello spirito umano : i cui insegnamenti sono sparsi in tutte le osservazioni di carattere metodico e filosofico che ricorrono qua e là in tutti i suoi scritti . Attraverso i quali perciò i caratteri proprii della scienza si possono studiare nella schietta originalità della loro prima formulazione , definiti con la maggiore semplicità da uno scrittore che è dei più logici e insieme più lucidi della nostra letteratura , tanto serrato e organico nel pensiero , quanto limpido e trasparente nell ' espressione . VIII GIORDANO BRUNO I Giordano Bruno non fu uomo pratico , né anche per propagare le sue idee . Non ebbe il pensiero agli uomini che gli si agitavano intorno ; e tra i riformati poté parere riformato , cattolico tra i cattolici . « Academico di nulla academia » , come egli seppe definirsi , « detto il fastidito » : in tristitia hilaris , in hilaritate tristis . Sentì profondamente la propria solitudine , come tutti i grandi spiriti contemplativi ; e però fu realmente estraneo a tutte le chiese ( benché non potesse non giudicare il contenuto speculativo dei loro dommi ) per ciò che anche le chiese hanno di mondano , pratico , storico , come organismi di volontà , retti da una disciplina , ordinati alla propagazione di certi dommi , solleciti del trionfo sociale di certi principii . Il Bruno ebbe altre preoccupazioni , altri amori . Il suo spirito mirava più alto , a un segno che è fuori di tutti gli umani consorzi ; e sdegnò quindi anche la gloria , che altri attende dalle moltitudini : « Perché il numero de ' stolti e perversi è incomparabilmente più grande che de ' sapienti e giusti , aviene che , se voglio remirare alla gloria , o altri frutti che parturisce la moltitudine de voci , tanto manca ch ' io debba sperar lieto successo del mio studio e lavoro , che più tosto ho da aspettar materia de discontentezza , e da stimar molto meglio il silenzio ch ' il parlare . Ma , se fo conto de l ' occhio de l ' eterna veritade , a cui le cose son tanto più preciose ed illustri , quanto talvolta non solo son da più pochi conosciute , cercate e possedute ; ma , e oltre , tenute a vile , biasimate , perseguitate , accade ch ' io tanto più mi forze a fendere il corso de l ' impetuoso torrente , quanto gli veggio maggior vigore aggionto dal turbido , profondo e clivoso varco » . Altrove , accennando alla guerra , che le sue dottrine logiche e cosmologiche incontravano in Inghilterra , dove egli dimorò dal 1583 all'85 : « Se volete intendere » , dice , « onde sia questo , vi dico che la caggione è l ' universitade che mi dispiace , il volgo ch ' odio , la moltitudine che non mi contenta , una che m ' innamora : quella , per cui son libero in suggezione , contento in pena , ricco ne la necessitade , e vivo ne la morte . Indi accade che non ritrao , come lasso , il piede da l ' arduo camino .... Parlando e scrivendo , non disputo per amor de la vittoria per se stessa .... ; ma per amor della vera sapienza e studio della vera contemplazione m ' affatico , mi crucio , mi tormento » . Il suo vero amore è l ' amore dell ' eterno e del divino , l ' amor Dei intellectualis , onde precorse quel grande mistico della filosofia intellettualistica , che fu nel secolo successivo Benedetto Spinoza . Nuovo misticismo , che mal fa confondere il nostro filosofo coi Neoplatonici , benché innegabile , anzi notevolissimo , sia l ' influsso della loro filosofia su quella del Bruno . La conoscenza del divino propugnata dal Bruno non è estasi , o unione immediata , benché abbia per suo termine appunto l ' unione , onde lo spirito , egli dice , « doviene un dio dal contatto intellettuale di quel nume oggetto » . Essa è un processo razionale , un discorso dell ' intelletto , una vera e propria filosofia . Egli bada bene a distinguere l ' eroico furore , o processo sopramondano dello spirito - - « certa divina astrazione , per cui dovegnono alcuni megliori in fatto che uomini ordinari » - - in due specie ben diverse : una , per cui « altri , per esserno fatti stanza de dei o spiriti divini , dicono e operano cose mirabili , senza che di quelle essi o altri intendano la raggione ; e tali per l ' ordinario sono promossi a questo da l ' esser stati prima indisciplinati e ignoranti ; nelli quali , come voti di proprio spirito e senso , come in una stanza purgata , s ' intrude il senso e spirito divino » . I profeti , insomma , gl ' ispirati , gl ' invasati da Dio , i mistici veri e propri , che si annichilano in Dio con l ' impeto dell ' amore . L ' altra specie è quella , per cui i filosofi si sollevano razionalmente alla cognizione del divino : onde , « altri , avvezzi o abili alla contemplazione , e per aver innato un spirito lucido e intellettuale , da uno interno stimolo e fervor naturale , suscitato da l ' amor della divinitate , della giustizia , della veritade , della gloria , dal fuoco del desio e soffio dell ' intenzione acuiscono gli sensi ; e nel solfro della cogitativa facultade accendono il lume razionale , con cui veggono più che ordinariamente . E questi non vegnono al fine a parlar e operar come vasi e istrumenti , ma come principali artefici ed efficienti » . Tra i primi , che sono , come ho detto , i veri e propri mistici , passivi verso la divinità che albergano , e i secondi , che realizzano in sé lo spirito divino , non occorre dire per chi parteggi l ' autore della Cabala del cavallo pegaseo e dell ' Asino cillenico , satire amare della santa ignoranza : « Gli primi son degni come l ' asino , che porta li sacramenti ; gli secondi come una cosa sacra . Nelli primi si considera e vede in effetto la divinità , e quella s ' admira , adopra e obedisce . Negli secondi si considera e vede l ' eccellenza della propria umanitade » . L ' eroico furore di Bruno non è , dunque , come egli stesso ci dice , un « oblìo , ma una memoria » . Anche lui , in vero , dirà enfaticamente nell ' Oratio valedictoria , letta all ' Università di Wittenberg l'8 marzo 1588 , che vedere Minerva est caecum fieri , Per hanc sapere est stultum esse . Ma tale cecità e stoltezza è la cecità e stoltezza a cui tutti i filosofi devono andare incontro volenterosi , se aspirano sinceramente alla filosofia : cecità e stoltezza : per la realtà e i valori empirici , che non possono essere la stessa realtà e gli stessi valori della filosofia . Pure , con questa cecità e stoltezza è troppo evidente che il filosofo non può più operare nel mondo della realtà e dei valori contingenti , a cui egli si è sottratto . Il suo mondo è , in un certo senso , fuori di questo , in cui gli uomini ordinariamente agiscono . In altri termini , il filosofo non può avere , se è filosofo , interessi pratici , o almeno i comuni interessi pratici . Questo il pensiero vivo di Bruno . II Soltanto tenendo presente questo concetto della sopramondanità della filosofia , si può intendere l ' atteggiamento del Bruno verso la Riforma e verso la Chiesa romana : atteggiamento , in cui si concentrano i risultati del suo filosofare e si configura tutta la sua grandezza storica . Nei dialoghi De l ' infinito , universo e mondi , dopo aver dimostrato la necessità dell ' effetto infinito dell ' infinita potenza di Dio , e negata quindi la possibilità dell ' arbitrio del volere , perché « quale è l ' atto , tale è la volontà , tale è la potenza » , soggiunge : « Tuttavolta lodo , che alcuni degni teologi non admettano questi sillogismi ; perché , providamente considerando , sanno che gli rozzi popoli e ignoranti con questa necessità vegnono a non posser concepire come possa star la elezione e dignità e meriti di giusticia ; onde , confidati o disperati sotto certo fato , sono necessariamente sceleratissimi » . E ancora : « Quel che è vero , è pernicioso alla civile conversazione , e contrario al fine delle leggi ; non per esser vero , ma per esser male inteso , tanto per quei che malignamente il trattano , quanto per quei che non son capaci de intenderlo , senza iattura di costumi » . La verità della filosofia , insomma , è solo per la filosofia . La verità della vita pratica , e della stessa religione , in quanto istituto sociale è chiesa instituto sociale e chiesa institutrice dei popoli , può essere e talvolta , secondo il Bruno , deve essere , una verità diametralmente opposta alla verità della filosofia . Bruno dunque , il fastidito , non si può immaginare sul proscenio d ' un teatro ad esporre la nolana filosofia ad un ' accolta di sodalizi popolari . Certo , egli , per suo gusto , non sarebbe mai entrato in contrasto con i degni teologi , che insegnavano dottrine contrarie alle sue . E quelli , che oggi o ieri del nome di Bruno si servono o si servivano per combattere essi i teologi del loro temp e per combatterli non nel giudizio dei filosofi , - - pei quali le dottrine di questi teologi appartengono a un passato lontano , che forse non occorre più criticare ; - - bensì nel giudizio popolare , Bruno li avrebbe bollati , come nel De l ' infinito bollò i luterani propagatori della dottrina de servo arbitrio , chiamandoli « corrottori di leggi , fede e religione » , i quali , « volendo parer savi , hanno infettato tanti popoli , facendoli dovenir più barbari e scelerati che non eran prima , dispreggiatori del ben fare , e assicuratissimi ad ogni vizio e ribaldaria , per le conclusioni che tirano da simili premisse » . « Le vere proposizioni » , protesta il Bruno , « non son proposte da noi al volgo , ma ai sapienti soli , che possono aver accesso all ' intelligenza di nostri discorsi . Da questo principio depende , che gli non men dotti che religiosi teologi giamai han pregiudicato alla libertà dei filosofi ; e gli veri , civili e bene accostumati filosofi sempre hanno faurito le religioni ; perché gli uni e gli altri sanno , che la fede si richiede per l ' instituzione di rozzi popoli , che denno esser governati , e la demonstrazione per gli contemplativi , che sanno governar sé e altri » . Faurire le religioni ! Ecco un principio della filosofia bruniana , che non si dovrebbe dimenticare quando si fa appello al Bruno . Pel quale non c ' è legge , ossia non c ' è Stato , senza religione . Quell ' assurdità , che oggi si formula con la frase , vuota d ' ogni senso speculativo , di « Stato ateo » , per Bruno era appunto un ' assurdità . Lo Stato , per essere qualche cosa , dev ' essere una sostanza etica . Ora , questa sostanzialità , che è sempre divinità , poiché Dio è per l ' appunto la realtà assoluta , o realtà che è principio di tutte le realtà , e però il fondamento d ' ogni sostanzialità : questa sostanzialità , dico , si potrà , concepire diversamente e oggi si vede concepire non come un di là rispetto alla umana volontà , anzi come l ' intima essenza della volontà stessa ; ma negarla , è negare la realtà dello Stato , scalzare la legge , distruggere quel valore che si vuol rivendicare . Bruno all ' uomo vaso di Dio contrappone , come s ' è veduto , l ' uomo artefice ed efficiente di Dio , sacro per la sua stessa umanità . Questa negazione , non del divino , ma della trascendenza del divino , importa , se mai , l ' unità della legge e dello Stato con la religione , non la separazione , che oggi si proclama , e quindi l ' eliminazione del divino dalla legge e dalla vita civile . E forse gli stessi propugnatori dell ' ateismo dello Stato intendono negare piuttosto il Dio trascendente che ogni Dio . Ma , anche in tale supposto , il Bruno non si può dire che sia con loro . Perché siffatta immanenza basterà , pel Bruno , alla « demonstrazione de ' contemplativi , che sanno governar sé ed altri » , non alla « instituzione dei rozzi popoli , che denno essere governati » . Cioè , il concetto dell ' immanenza , come il concetto dell ' identità della libertà divina con la sua necessità razionale , non è per vero negazione di Dio per lo spirito schiettamente libero del filosofo , che non ha la legge fuori di sé , anzi è già la stessa legge ( onde governa sé ed altri ) ; ma negazione di Dio è per lo spirito incolto , ancor lontano dalla libertà assoluta , e che ha perciò tuttavia la legge fuori di sé . A questo spirito , per cui la legge dev ' essere legge positiva , per cui il diritto dev ' essere diritto punitivo , per cui la legge , insomma , è ancora qualche cosa di diverso dal volere ad essa subordinato , l ' immanenza del divino non ha senso . La legge fatta dagli uomini non ha niente di divino ; lo Stato , istituto umano e nient ' altro che umano , apparisce realmente ateo . Questo il razionalismo bruniano . E se in questi termini sa di clericale , pongasi mente a quel che si diceva dianzi : il Bruno non si muove sullo stesso terreno , su cui si schierano , gli uni contro gli altri , e i clericali e i cosiddetti liberi pensatori . Questi sono partiti pratici , ed egli è al di sopra di tutti i partiti , studioso dell ' eterna verità . I partiti hanno una ragione storica contingente , e Bruno , in quanto filosofo , si pone fuori della storia e di tutto ciò che è contingente . E fuori della storia afferma questa verità , in cui clericali e liberi pensatori , se vogliono filosofare e seguire il pensiero del Noloano , devono certamente consentire : non c ' è legge che non sia legge assoluta e che non sia quindi religione ; ora , c ' è una religione dei contemplativi , dei filosofi , che è la filosofia per cui l ' uomo crea a sé il suo Dio ; e c ' è una religione dei popoli , che è la religione propriamente detta , del Dio ignoto , che crea l ' uomo , e la sua legge , e la sua buona volontà e , quindi , la sua stessa conoscenza di Dio . Una legge senza nessuna di questa religioni non è legge : uno Stato fuori di tutte le religioni non ha valore di Stato . Lo Stato del filosofo non è lo Stato del popolo ; e se lo Stato è lo Stato del popolo o , per lo meno , ha da essere anche questo , lo Stato non si può separare dalla religione del popolo , senza restare agli occhi di esso destituito d ' ogni valore . Certo , la storia , lo sviluppo graduale della pubblica cultura , elevando a poco a poco la coscienza popolare e il suo concetto del divino , genera via via il contrasto tra il contenuto sempre nuovo e la forma sempre vecchia delle pubbliche instituzioni . Quindi l ' attrito de ' partiti , e il progressivo , ma lento , lentissimo realizzarsi di quella umanità , di cui ci ha parlato il Bruno , e che è per se stessa sacra . Quindi , diciamolo pure , il progresso dello spirito nei popoli civili verso la filosofia ; quindi la ferma , per quanto spesso oscura , certezza che l ' avvenire non è de ' teologi , sì de ' filosofi , per dirla con i termini del Bruno ; non è dei clericali , come oggi si dice , sì dei difensori della laicità dello Stato . Ma questa certezza nella scienza consapevole della natura dello spirito umano , non garantisce né promette una vittoria catastrofica , per cui tutte le religioni positive cederanno per sempre il luogo al senso filosofico , intimamente religioso , della divinità dell ' uomo . Si tratta di una evoluzione infinita dello spirito religioso verso la filosofia ; come a dire , un infinito progresso nell ' orientazione filosofica della vita pratica . Progresso , che , in quanto infinito , non avrà mai termine ; onde una qualche sorta di clericali ci sarà sempre , diversa dalle passate , ma viva , invincibile , immortale . Perché , secondo il detto profondo del Leopardi , nessun maggior segno d ' esser poco savio e poco filosofo , che voler savia e filosofica tutta la vita . La filosofia è un momento ideale dello spirito , il definitivo ; e perciò non può esser mai una realtà empiricamente determinata , una condizione storica effettiva dello spirito in generale . Questa variabilità storica delle forme religiose con le quali il Bruno sostiene che gl ' institutori de ' popoli , o , come oggi si direbbe , le classi dirigenti devon fare i conti , è da lui accennata già quando parla di religioni , e non di religione . Ma , nello Spaccio della bestia trionfante , della religione di Cristo , raffigurato in Chirone ; vi dirà : « Perché l ' altare , il fano , l ' oratorio è necessariissimo , e questo , sarrebe vano senza l ' administrante ; però qua viva , qua rimagna , qua persevere eterno , se non dispone altrimente il Fato » . Vale a dire : il valore del cristianesimo non consiste propriamente nell ' essere quella speciale religione che è , ma nell ' essere religione . E come il cristianesimo , tutte le religioni , in quanto adorazione del divino , hanno pel Bruno un valore assoluto , a prescindere dalle loro determinazioni particolari . Perciò della religione naturalistica degli Egizi nello stesso Spaccio , dirà , che « que ' ceremoni non erano vane fantasie , ma vive voci che toccavano le proprie orecchie degli Dei » ; perché , « sicome la divinità descende in certo modo per quanto che si comunica alla natura , cossì alla divinità s ' ascende per la natura , cossì per la vita rilucente nelle cose naturali , si monta alla vita che soprasiede a quelle » . « Conoscevano que ' savi Dio essere nelle cose ; e la divinità , latente nella natura , oprandosi e scintillando diversamente in , diversi suggetti , e per diverse forme fisiche , con certi ordini venir a far partecipi di sé » . Per Bruno già , come più tardi , anche più chiaramente , pel Campanella tutte le religioni , spogliate delle loro mitologie , convengono sostanzialmente in un medesimo fondo di verità : unica religione naturale . E perciò egli pure parlava della possibilità di ridurre tutte le religioni a una sola . E pel politeismo greco interpretato , come per altro il cristianesimo stesso , evemeristicamente , ammonisce , che non si deve badare ai nomi posticci della divinità ; giacché , in realtà , i Greci « non adoravano Giove come lui fusse la divinità , ma adoravano la divinità come fusse in Giove .... Di maniera che di questo e quell ' uomo non viene celebrato altro che il nome e representazion della divinità , che non la natività di quelli era venuto a comunicarsi agli uomini , e con la morte loro s ' intendeva aver compito il corso de l ' opra sua , o ritornata in cielo » . Le forme diverse della religione hanno valore contingente e storico ; e questa vicissitudine delle forme non pregiudica l ' essenza della loro divina sostanza . « Cossì li numi eterni ( senza ponere inconveniente alcuno contra quel che è vero della sustanza divina ) hanno nomi temporali altri ed altri , in altri tempi ed altre nazioni : come possete vedere per manifeste istorie che Paulo Tarsense fu nomato Mercurio , e Barnaba Galileo fu nomato Giove ; non perché fussero creduti essere que ' medesimi dei , ma perché stimavano che quella virtù divina che si trovò in Mercurio e Giove in altri tempi , all ' ora presente si trovasse in questi , per l ' eloquenza e persuasione ch ' era nell ' uno e per gli utili effetti che procedevano da l ' altro » . « Ecco , dunque » , conchiude Bruno , « come mai furono adorati crocodilli , galli , cipolle e rape , ma gli Dei e la divinità in crocodilli , galli e altri ; la quale in certi tempi e tempi , luoghi e luoghi , successivamente , ed insieme insieme , si trovò , si trova e si trovarà in diversi suggetti , quantunque siano mortali » . III Data questa convinzione , che il Bruno aveva , dell ' equivalenza pratica , e però del valore contingente , di tutte le religioni , qual meraviglia che egli , costretto ad uscire dalla religione domenicana per effetto dei primi processi procuratigli dalla sua indifferenza verso certi amminicoli del culto cattolico , e giunto nel 1579 nella Ginevra di Calvino , avendo appreso dagl ' Italiani che vi erano rifugiati , che « non poteva star lì lungo tempo , se non si risolveva de accettar la religione di essa città » : qual meraviglia , che per un momento abbia creduto di poter abbracciare il calvinismo ? Non sappiamo se nel 1579 il suo giudizio sui dommi della Protesta si fosse formato ( quello che abbiamo accennato , appartiene al 1588 ) : ma se , com ' è probabile , il Bruno giudicava sfavorevolmente fin d ' allora i due principii della Riforma tra loro strettamente connessi , della negazione del libero arbitrio e dell ' assoluta giustificazione per la fede ; certo è che in Ginevra , dove sola religione era quella di Calvino , la coscienza di Bruno doveva preferire il calvinismo all ' assenza di ogni religione . Non già , s ' intende , per motivi schiettamente religiosi , ma per quei motivi che soli paion degni al Bruno , come s ' è veduto , di valere a difesa d ' ogni religione , in quanto istituto sociale : i motivi pratici . Per Bruno , come pel Campanella , la religione di un paese è , insomma , come la costituzione politica e la legge positiva di un popolo : le quali si possono criticare in astratto , ma devono essere osservate in concreto , come dotate di valore assoluto . E le controversie religiose , suscitate dai Riformatori , « questi grammatici » , come li chiama sprezzantemente il Bruno , « che in tempi nostri grassano per l ' Europa » , sono da lui condannate dove han vigore , massime per le discordie , le guerre , i disordini sociali che venivano a produrre . « Veda ( il Giudizio ) » , dice Giove nello Spaccio , « se apportano altri frutti , che di togliere le conversazioni , dissipar le concordie , dissolvere l ' unioni , far ribellar gli figli da ' padri , gli servi da ' padroni , gli sudditi da ' superiori , mettere scisma tra popoli e popoli .... , fratelli e fratelli .... E in conclusione .... , portano , ovunque entrano , il coltello della divisione e il fuoco della dispersione , togliendo il figlio al padre , il prossimo al prossimo , l ' inquilino a la patria , e facendo altri divorzi orrendi e contra ogni natura e legge » . Sciolta da Lutero l ' unità degli animi cementata dall ' unità delle credenze religiose , i nostri filosofi vedevano prevalere quelle esasperate tendenze individualistiche , che sono le forze dissolvitrici degli organismi sociali . E il Campanella , fiero avversario della Riforma , notava piacevolmente , che « ciascuno pare farsi grande , quando una nuova opinione trova : intanto che ci fu un polacco , che voleva credere ad una religione a cui nessun altro credesse ; e quando vedeva , che alcun altro riscontrassesi con lui , si lagnava grandemente . Onde non la comunicava , acciò non avesse compagnia nella credenza , come che Cristo per lui fosse morto » . L ' interesse pratico sta , dunque , al di sopra dell ' interesse religioso , e propriamente speculativo , come noi l ' intenderemmo , delle singole confessioni religiose . E per quell ' interesse pratico a Ginevra il Bruno onestamente non avrebbe potuto non abbracciare il calvinismo . Niuna meraviglia , del pari , se nel citato discorso d ' addio recitato nel 1588 a Wittemberg , dove la nuova religione era nata : in quell ' Università tutta piena delle memorie di Lutero , che in essa , insegnando , aveva intrapresa la critica della tradizione pelagiana della Scolastica , in quella università , che lui ramingo , venuto da Parigi per Magonza e Marburgo , accolse ospitale e sottrasse alle ingiurie della povertà , appunto pel favore dei luterani , che allora vi prevalevano , e gli permisero pubblici corsi di filosofia , senza chiedergli conto della sua religione ( neque .... in vestrae relligionis dogmate Probatum vel interrogatum ) ; niuna meraviglia che , sdebitandosi dopo due anni di studi tranquillamente proseguiti mercè quei luterani e rivolti a compiere forse talune delle opere maggiori cui egli intendeva raccomandare il proprio nome , onorato pubblicamente come mai era stato in ragione della sua alta intelligenza e della sua vasta dottrina ; sciogliesse un inno alla gloria maggiore di Wittenberg , al « nuovo Alcide , sorto su coteste rive dell ' Elba , a trascinar fuori dall ' Orco tenebroso alla luce del sole il nuovo Cerbero insignito di triplice tiara , e costringerlo a vomitare l ' aconito , trionfando delle porte adamantine dell ' inferno , di quella città chiusa da triplice muro , e per nove giri stretta dall ' onda stigia che vi scorre per entro » . Quest ' elogio di Lutero , punto rettorico , privo d ' ogni allusione al contenuto particolare della sua Riforma , che altro può essere se non l ' espressione del vivo senso di gratitudine e di ammirazione , che l ' animo del Bruno doveva naturalmente provare verso questi seguaci generosi di lui , dai quali per la prima volta , dacché , cacciato d ' Italia , era andato peregrinando per ogni parte d ' Europa in cerca di pace al suo amore e al suo culto della filosofia , era stato reso liberale omaggio al suo spirito di universale amore umano , al suo titolo di professione filosofica ? A questo titolo , di cui , nella prefazione d ' un libro dedicato proprio al Rettore e al Senato accademico dell ' Università di Wittenberg , « io voglio » , diceva Bruno , « più che di qualsiasi altro godere e vantarmi , tamquam minime schismatico et divortioso , minimeque temporibus , locis occasionibusque subiecto ? » . In quella Atene tedesca egli con ammirazione aveva visto , per la prima volta , non una scuola privata , e quasi un conventicolo riservato , ma una Università vera . Perché , se anche lì , spinto , - - egli - - confessa , secondo il costume della sua indole , da amore troppo acceso delle proprie idee , il Bruno aveva proclamate nelle sue pubbliche lezioni dottrine , che spiantavano la filosofia non solo da quei professori approvata , ma da più secoli e quasi per tutto ricevuta ; quei professori , tutt ' altro che amici per loro istituto di dottrine siffatte , non arricciarono il naso , non aguzzarono le zanne ; né contro di lui si enfiaron le gote , né strepitarono i pulpiti , come già a Tolone , a Parigi , ad Oxford . Non divampò il furore scolastico . « Illibata » , dice il Bruno a quei professori con nuova parola gloriosa : « illibata voi custodiste la libertà della filosofia , né macchiaste il candore della vostra ospitalità » . Al Lutero maestro di questa università vera , in cui la religione tollerava la filosofia , riconoscendole il diritto che le spetta alla libertà , a questo Lutero il Bruno rende qui un elogio meritato secondo la sua coscienza di pensatore . La quale al di sopra di tutte le religioni colloca la religione , intuizione e adorazione del divino ; e al di sopra del rapporto mistico dell ' uomo con Dio , proprio della religione , riconosce un altro misticismo , onde l ' uomo a Dio si eleva per gradi intellettuali e razionale discorso , mercè il furore della filosofia . Né anche questo elogio contrasta con i giudizi che della Riforma aveva recati nei dialoghi De l ' infinito e dello Spaccio , IV Se si tien conto delle idee del Bruno sul valore delle religioni positive , non si può pensare né anche che le sue dichiarazioni e la sua sottomissione di Venezia al S . Uffizio , detraggano nulla alla eroica fermezza del martire di otto anni appresso . La genuflessione di Bruno del 30 luglio 1592 non è la genuflessione del filosofo , ma del povero Filippo Bruno . Il quale già spontaneamente aveva pensato che per lui ; - - aveva soltanto 44 anni , e doveva sentirsi nel pieno vigore della sua intelligenza e nel bisogno più vivo di fermarsi una volta ; possibilmente nella dolce terra dov ' era nato , in quella « regione gradita dal cielo , e posta insieme insieme è talvolta capo e destra di questo globo , governatrice e domitrice dell ' altre generazioni , e sempre da noi ed altri stata stimata maestra , nutrice e madre di tutte le virtudi , discipline , umanitadi , modestie e cortesie » ; - - che per lui il meglio era cercar d ' ottenere l ' assoluzione degli eccessi passati , e « grazia di poter vivere in abito clericale fuori della religione » . Se n ' era aperto col Padre reggente fra Domenico da Nocera ; il quale , interrogato dal S . Uffizio , depose appunto d ' aver incontrato il Bruno quando da pochissimi giorni era giunto a Venezia , sette o otto mesi prima del processo : e questi avergli detto , « che teneva pensiero risoluto quetarsi ; e dare opera a comporre un libro , che teneva in mente , e quello poi , con mezzi importanti di favore accompagnato , appresentarlo a sua Beatitudine ; e da quella octiner grazia .... e vedere alfine di posserse ristare in Roma , ed ivi darse all ' esercizio licterale , e mostrare la sua virtù , e di accapare forsi alcuna lectura » . Terminato infatti quel libro Delle sette arti liberali , la fretta d ' andarlo a stampare a Francoforte , fu , com ' è noto , il motivo che spinse quel tristo uomo di messer Zuane Mocenigo , figlio del chiarissimo messer Marco Antonio , a denunziare il maestro all ' Inquisizione , per precipitarlo nel baratro che lo doveva inghiottire . E il libro , preparato proprio con questo animo , che gli impetrasse il perdono papale e la riammissione nel clero secolare ( non nell ' ordine suo « acciò , ritornando tra ' Regulari , nella mia Provincia , non mi fosse rinfacciato che io fossi stato apostata , e così disprezzato da tutti » ) era stato , con altri suoi manoscritti , consegnato all ' Inquisitore di Venezia . sicché , anche a non tener conto della sua dichiarazione di pratiche fatte , già vari anni prima , in Francia , certamente i passi del Bruno per tornare in grembo alla Chiesa cattolica erano cominciati parecchi mesi prima che si trovasse al cospetto del Sacro Tribunale veneto ; e la sua genuflessione bisogna dire l ' avesse deliberata quando era anco lontano pur dal sospetto del processo ; e che da un pezzo ei fosse disposto , come poi fece , « a domandare umilmente perdono al Signore Dio e alle Signorie .... illustrissime » rappresentanti di lui , « de tutti li errori commessi » . L ' aveva , quella genuflessione , deliberata e moralmente fatta senza pressure di minacce , senza imminenza di pene : l ' aveva nell ' animo già mentre insegnava tuttavia all ' indegno Mocenigo che « non v ' era ( nel mondo ) se non ignoranza , e niuna religione che fosse buona ; che la cattolica gli piaceva ben più de l ' altre , ma che questa ancora avea bisogno di gran regole , e che non stava bene così » ; e lasciava diffondere anche a Venezia , come già altrove , che egli non avesse alcuna religione . Quella genuflessione , dunque , non fu una debolezza , come è pur sembrata a tanti ammiratori del carattere di quest ' uomo , che per le sue idee diede animosamente la vita , quando ciò gli apparve necessario . A Venezia l ' ora del martirio non era sonata . Così pensava il nostro filosofo , per quello stesso motivo pel quale a Ginevra non aveva dovuto far forza alla propria coscienza per aderire al calvinismo . Vivere a Roma , com ' egli desiderava ; avervi una cattedra ; e negli ultimi anni della sua vita travagliatissima potervi attendere tranquillo alla sistemazione definitiva di quel pensiero filosofico , che tumultuosamente gli era pullulato nella mente nel breve periodo di un decennio ( 1582­1592 ) , al quale tutte appartengono le sue opere a noi giunte , formanti ben dieci grossi volumi , era forse possibile senza rientrare in quella Chiesa per la cui persecuzione egli era andato ramingo per ogni parte di Europa in cerca di pace a ' suoi studi ? E rientrare in quella Chiesa gli era forse consentito senza dichiarare che ne accettava i dommi ? E accettare i dommi della Chiesa imperante nel paese in cui si vuol vivere , non era per la sua filosofia stretto obbligo morale ? E quand ' anche questi dommi fossero in contraddizione con le sue dottrine filosofiche , non aveva egli sostenuto , che nel terreno religioso ( e perciò sociale , pratico ) i dommi dovevano prevalere sulle dottrine ? Noi potremo avere una filosofia diversa da quella del Bruno ; ma non potremo pretendere che egli tenesse fede a una filosofia che non era la sua . Nei lunghi costituti del 2 e 3 giugno egli non muta un ette alle sue dottrine filosofiche , non ne disdice sillaba , mentre dichiara di non essersi mai occupato di proposito di teologia per aver sempre atteso alla sua professione di filosofo ; e riconosce , d ' altronde , l ' eterodossia di alcune delle sue dottrine , inconciliabili con l ' insegnamento cattolico . Anche al S . Uffizio , pertanto , egli dice apertamente , che la filosofia sua , a giudicarla col criterio della fede , diverge dai dommi cristiani ; e se di fronte ai giudici non difende contro i dommi la propria filosofia , egli è che il S . Uffizio , a Venezia , non esorbitò dalla sua autorità speciale ; ed esso non era un ' università filosofica e neppur teologica , bensì un tribunale religioso , un istituto pratico . - - Il Bruno , dicono , s ' infinge e mentisce accettando per verità ciò che per la sua coscienza filosofica è errore . - - Ai pedanti , che così sdottoreggiano su questa tragedia del pensiero umano , probabilmente non è accaduto mai di meditare su nessuno degli eroismi autentici della storia . Bruno , che s ' inchina al cattolicesimo , come legge morale e civile del suo paese , - - del paese , in cui lo stesso amore della sua filosofia lo richiamava , - - è forse diverso da Socrate , che , potendo sottrarsi al potere delle leggi che condannavano in lui la filosofia , anch ' essa contrastante alla religione dello Stato , e alla vigilia della morte fuggire dal carcere , preferisce restare e subire la condanna ingiusta , pel rispetto da lui praticamente dovuto alle leggi , quali che fossero , fondamento e garanzia del viver civile ? O forse che Socrate , inchinandosi reverente alle leggi , e quindi a quella religione di Atene , che pur da filosofo aveva inteso a trasformare , s ' infinge e mentisce anche lui ? O abbandona egli forse quella filosofia , che è stata la sua vita , e che anche sul tettuccio di morte , mentre il veleno gli serpeggerà pel sangue e gli verrà raffreddando le membra , resterà a consolargli l ' ultima ora con la promessa del premio oltremondano nei ragionamenti sereni prodotti cogli scolari più fidi ? O non è piuttosto quella stessa filosofia , superiore a quelle leggi e a quella religione , che pure inculca al cittadino ateniese il rispetto pratico delle leggi e della religione d ' Atene ? Non era la stessa filosofia di Bruno , che negava teoricamente tutte le religioni particolari , ma affermava nell ' interesse pratico il valore assoluto di tutte le confessioni , e condannava gli scismi e le guerre civili , nate da divergenze dommatiche ; non era essa ad obbligare il filosofo ad accettare in tutto il suo contenuto la religione del paese ? Anzi che mentire alla propria coscienza filosofica , il contegno del Bruno a Venezia è la più coerente manifestazione pratica di questa . Competere in materia dommatica con gl ' inquisitori ? Ma a lui , per esser logico , doveva parere lo stesso che imbrancarsi egli stesso tra quegli « stolti del mondo » , come li chiama sarcasticamente nella Cabala , « c ' han formata la religione , gli ceremoni , la legge , la fede , la regola di vita ; gli maggiori asini del mondo .... che , per grazia del cielo , riformano la temerata e corrotta fede , medicano le ferite de l ' impiagata religione , e togliendo gli abusi de le superstizioni , risaldano le scissure della sua veste ; giamai solleciti circa le cause secrete de le cose » ; né « perdonano a dissipazioni qualunque de regni , dispersion de popoli , incendi , sangui , ruine ed esterminii » ; né « curano che perisca il mondo tutto per essi loro ; purché la povera anima sia salva , purché si faccia l ' edificio in cielo , purché si ripona il tesoro in quella beata patria , niente curando della fama e comodità e gloria di questa frale ed incerta vita , per quell ' altra certissima ed eterna » . Questi gusti da riformatore non erano del temperamento né della filosofia di Bruno . V Ma si dirà : come si spiega allora la condanna romana ? Perché a Roma il Bruno non credette più di tenere lo stesso contegno che a Venezia , genuflettersi , e sottrarsi alla morte ? - - Se si riuscisse a rintracciare gli atti del processo romano , vi troveremmo forse ben chiara la risposta a queste domande . Intanto , ben chiaro è , che a Venezia il processo non fu concluso , ma interrotto dalle pra ­ tiche del Pontefice , affinché il Bruno fosse rinviato al S . Tribunale di Roma . Sentenza a Venezia non se n ' ebbe ; e nulla pertanto ci prova che quegl ' inquisitori si contentassero delle dichiarazioni del Bruno . Onde è lecito pensare con Felice Tocco che a Roma il filosofo le ripetesse , presso a poco , nei medesimi termini : e che , se la condanna avvenne , fu perché , dopo averci pensato e riflettuto , e avere studiati i suoi libri e i suoi costituti , la congregazione di Roma dovette pretendere da lui ritrattazioni , che andavano oltre il segno , fino al quale il Bruno aveva creduto di potersi spingere . Ritrattazioni che colpivano in pieno la sua filosofia . E si badi che , quando nel febbraio 1599 , come par probabile dai documenti a noi noti , si cominciò a intimare al filosofo le otto proposizioni eretiche , che il Bellarmino e un Padre Commissario , aguzzando l ' occhio inquisitoriale , avevano messe insieme dall ' esame delle dichiarazioni processuali del Bruno e de ' suoi libri , il Nolano era da sei anni chiuso , lui così sdegnoso e impaziente e impetuoso , nel carcere romano di Torre di Nona . Allora , nel 1595 , anche il Campanella , l ' altro dioscuro della filosofia della Rinascenza , fu in quella Torre ; e forse non pensava a sé solo cantando : Come va al centro ogni cosa pesante Dalla circonferenza , e come ancora In bocca al mostro che poi la devora , Donnola incorre timente e scherzante , Così di gran scienza ognuno amante , Che audace passa dalla morta , gora Al mar del vero di cui s ' innamora , Nel nostro ospizio alfin ferma le piante . Ch ' altri l ' appelli antro di Polifemo , Palazzo , altri , d ' Atlante , e chi di Creta Il laberinto , e chi l ' inferno estremo , Che qui non val favor , saper , né pièta , lo ti so dir : del resto , tutto tremo , Ch ' è rocca sacra a tirannia segreta . Certo , se pensava alla sorte comune ai filosofi e a tutte le vittime dell ' Inquisizione , non esprimeva anche l ' animo di Bruno in quest ' altro sonetto scritto per uno che morì nel S . Uffizio in Roma : Anima , ch ' or lasciasti il carcer tetro Di questo mondo , d ' Italia e di Roma , Del Santo Offizio e della mortal soma , Vattene al ciel , ché noi ti verrem dietro . Ivi esporrai con lamentevol metro L ' aspra severitate , che ni doma Sin dalla bionda alla canuta chioma , Talché , pensando , me n ' accoro e ' mpetro . Dilli che , si mandar tosto il soccorso Dell ' aspettata nova redenzione Non l ' è in piacer , da sì dolente morso Toglia , benigno , a sé nostre persone ; O ci ricrei , ed armi al fatal corso C ' ha destinato l ' eterna ragione . Il Bruno per fermo non piegava , né implorava da Dio la nova redenzione , né la benignità di torlo a sé : il Bruno , se poetò anche lui lì dentro , non ricorse a lamentevol metro ; ma inneggiò anche una volta a quella mente , ispiratrice del suo petto , Unde et fortunale licet et contemnere mortem ! Quella fortuna malvagia dovette bene inasprirlo nei tristi giorni lunghissimi della prigione . Altro che la cattedra lì a Roma vagheggiata come porto sicuro , all ' ombra del pontificato di quel Clemente , che gli avevano detto amasse « li virtuosi » . Non v ' ha dubbio , che il nostro filosofo non poté , in tutto quel tempo , confermarsi nella speranza e nella fiducia , espressa a Venezia , al principio , per es . , del primo costituto , di potere , dando pieno conto di sé , essere riammesso nella chiesa cattolica . Di ciò anche va tenuto conto per intender a pieno l ' atteggiamento assunto dal Bruno quando prima il Commissario e il Bellarmino , poi il Procuratore generale e il Generale dell ' ordine domenicano si recarono al carcere per persuaderlo a riconoscere come eretiche ed abiurare le otto proposizioni imputategli . Quod , dice il verbale , consentire noluit , asserens se nunquam propositiones haereticas protulisse ; sed male exceptas fuisse a ministris S . Officii , Non ne volle sapere , affermando che né nelle dichiarazioni rese in processo , e che egli mai aveva inteso implicassero la condanna della sua filosofia , né nelle opere sue , egli mai aveva profferite eresie , mai aveva contrapposto dommi a dommi ; i ministri del S . Uffizio piuttosto non intendevano le sue dottrine . Quali fossero queste proposizioni , di cui al Bruno si chiese l ' abiura , non s ' è riusciti a sapere . Fu bensì messa a stampa nel 1886 la sentenza di condanna , tratta dall ' Archivio del S . Uffizio romano , contenente originariamente l ' elenco di tali proposizioni ; ma dalla sola copia che se ne conserva , e che è mutila appunto dove questo elenco cominciava . Pure da questo documento si è appresa la prima di codeste proposizioni , negante la transustanziazione . Questa proposizione suona : « Ch ' era biastemia grande il dire che il pane si transustanzii in carne » : proprio come incominciava la prima denunzia del Mocenigo : « Dinunzio .... aver sentito a dire a Giordano Bruno volano , alcune volte ch ' ha ragionato in casa mia , che è biastemia grande quella de ' cattolici il dire , che il pane si transustanzii in carne » . Interrogato su questo punto , il Bruno a Venezia aveva risposto : « Io non ho mai parlato del sacrificio della messa né di questa transubstanziazione , se non nel modo che tiene la Santa Chiesa ; e ho sempre tenuto e creduto , come tengo e credo , che si faccia transubstanziazione del pane e vino in corpo e sangue di Cristo realmente , come tiene la Chiesa » . In verità , è molto probabile ch ' egli avesse , in conversazione col Mocenigo , definito per bestemmia grande quel domma , parlando da filosofo appunto come aveva parlato nel De immenso , quando aveva scritto che lo splendore , effusione e comunicazione della divinità van ricercati nella reggia augusta dell ' Onnipotente , nell ' immenso spazio dell ' etere , nell ' infinita potenza della gemina natura , che tutto diviene e tutto fa ; « non , col secolo degli sciocchi , in un cibo , in una bevanda o in un ' altra anche più ignobile materia : invenzioni fantastiche e sogni » ; credenze , aveva detto nel Sigillus sigillorum , da Cerere e Bacco ! E si noti , proprio ne ' libri ( come ci attestano i documenti ) il Bellarmino con l ' innominato Padre Commissario , a differenza dei giudici di Venezia , era andato a cercare le eresie del Bruno . Onde per lui la denunzia del Mocenigo veniva ad acquistare la conferma negli scritti stessi del Bruno . Contro il quale non c ' era più unus testis , nullus testis ; c ' erano i suoi libri ; c ' era essa stessa la sua filosofia , che egli doveva , dunque , disdire . Quod consentire noluit , Bruno mantiene la sua posizione : egli non ha mai profferite proposizioni eretiche ; proprio come aveva detto a Venezia contro il Mocenigo . - - E i vostri libri ? - - incalza il Bellarmino . E il Bruno : - - Voi vedete nei libri l ' eresia perché movete dalla denunzia falsa di messer Giovanni Mocenigo . Ma nei libri io parlavo da filosofo a filosofi , e non definivo dommi , né quindi potevo combattere dommi . Rifiuterei le mie dottrine se contrastassero , nella mia intenzione al contenuto degl ' insegnamenti soprannaturali . Ma , per me , la verità razionale non è commensurabile con la verità rivelata . Il Dio che io vedo , - - e che voi male intendete , - - nella reggia augusta dell ' Onnipotente , nell ' etere infinito , nell ' eterna natura , non è il Dio , in cui si transustanzia , agli occhi vostri , il pane e il vino . Lasciate a me filosofo il mio Dio ; e io vi consento che il Dio della fede sia il vostro ! - - Non mi par possibile intendere altrimenti la magnanima risposta , che bastò al pontefice Clemente VIII per ordinare che fosse pronunziata la sentenza , e che frate Giordano venisse consegnato alla curia secolare . A Venezia il 2 giugno '92 il Bruno aveva pur detto che la materia de ' suoi libri era stata sempre filosofica « Nelli quali tutti io sempre ho diffinito filosoficamente secondo li principii e lume naturale , non avendo riguardo principal a quel che , secondo la fede , deve essere tenuto » : parendogli generalmente consentito di trattare articoli di scienza « secondo la via de ' principii naturali , non preiudicando alla verità secondo il lume della fede . Nel qual modo si possono leggere ed insegnare li libri d ' Aristotile e di Platone , che nel medesimo modo indirettamente sono contrari alla fede , anzi molto più contrari che li articoli da me filosoficamente proposti e diffesi » . E infatti non aveva esitato , innanzi a ' suoi giudici , ad esporre in compendio , con tutta libertà , il contenuto della sua filosofia e gli stessi suoi dubbi filosofici intorno alla materia di alcuni dommi del cattolicismo . A Venezia , dunque , pur dichiarandosi pronto a sconfessare da cattolico i suoi errori in materia di fede , aveva mantenuto fermamente quel principio che agli iniziatori della scienza moderna parve la vera base razionale della libertà del pensiero scientifico : il principio dell ' assoluta incommensurabilità della verità religiosa con la verità della scienza ; il principio a cui si appellerà più tardi ( 1616 ) il Campanella nella sua Apologia pro Galilaeo , e meglio Galileo stesso contro i suoi avversari teologizzanti ; il principio , a cui pur continuano ad appellarsi , col solito anacronismo dei ritardatari , gli odierni conciliatori della scienza con la tradizione dommatica . « Se gli Dei » , dice Bruno nella Cena delle ceneri , « si fussero degnati d ' insegnarci la teorica delle cose della natura , come ne han fatto favore di proporci la prattica di cose morali , io più tosto mi accostarei alla fede de le loro revelazioni , che muovermi punto della certezza de mie ragioni e proprii sentimenti . Ma , come chiarissimamente ognuno può vedere , nelli divini libri in servizio del nostro intelletto non si trattano le demostrazioni e speculazioni circa le cose naturali , come se fusse filosofia ; ma , in grazia de la nostra mente e affetto , per le leggi si ordina la prattica circa le cose morali . Avendo , dunque , il divino legislatore questo scopo avanti gli occhi , nel resto non si cura di parlar secondo quella verità , per la quale non profittarebbono i volgari per ritrarse dal male e appigliarle al bene ; ma di questo il pensiero lascia agli uomini contemplativi , e parla al volgo di maniera che , secondo il suo modo de intendere e di parlare , venghi a capire quel ch ' è principale » . VI Il rapporto della religione con la filosofia , secondo il pensiero del Bruno , è più precisamente determinato in un luogo dei dialoghi De la causa , principio e uno , dove Teofilo dice : « Dato che sieno innumerabili individui , ogni cosa è uno ; e il conoscere questa unità è il scopo e termine di tutte le filosofie e contemplazioni naturali ; lasciando ne ' sua termini la più alta contemplazione , che ascende sopra la natura , la quale a chi non crede è impossibile e nulla .... perché se vi monta per lume sopranaturale , non naturale . Questo non hanno quelli , che stimano ogni cosa esser corpo , o semplice come l ' etere , o composto come li astri e cose astrali ; e non cercano la divinità fuor de l ' infinito mondo e le infinite cose , ma dentro questo e in quelle » . « In questo solo » , conclude il Bruno , « mi par differente il fedele teologo dal vero filosofo » : cioè , si badi bene , il teologo che determina la fede , dal filosofo che determina la verità . Per conto suo , egli protesterà a Venezia di non aver professato mai se non filosofia ; e in questi dialoghi , che sono il suo capolavoro , fa dire da Teofilo che espone le dottrine di lui , al Dicson , che fu uno scrittore inglese di logica , seguace del Bruno . Che aveva voluto dire ? C ' è una contemplazione superiore a quella della filosofia ; perché c ' è una divinità fuori del mondo , oggetto della filosofia : c ' è una mens super osnnia , Deus , oltre una mens insita omnibus , Natura ; ma quella contemplazione superiore , a chi non creda , è impossibile e nulla . È fede , atto non dell ' uomo , anzi di Dio ; lume soprannaturale , che non hanno , egli dice , quelli che non cercano la divinità fuor della natura , ma dentro a questa . E chi fossero costoro il Dicson doveva saperlo , perché Bruno l ' aveva pur detto nella Cena de le ceneri pubblicata l ' anno innanzi , che tanto scalpore aveva sollevato nei circoli italianizzanti di Londra : « Abbiamo dottrina di non cercar la divinità rimossa da noi , se l ' abbiamo appresso , anzi di dentro , più che noi medesmi siamo dentro a noi » . Dunque , ci sarà , anzi c ' è , una verità che la fede può dar a conoscere , ma non è la verità di Bruno , che non ha il lume soprannaturale ; e col suo lume naturale vede , non la mens super omnia , ma la Natura , il « vero e vivo vestigio dell ' infinito vigore » . Il suo Dio è il Dio del filosofo , la natura di Spinoza , da lui stesso definita : Deus in rebus , La distinzione dei due lumi , della natura umana e della grazia superinfusa , della ragione e della fede , della filosofia e della teologia era antica ; e può dirsi uno dei luoghi comuni della Scolastica . Ma in Bruno , che scalza la trascendenza su cui si fondava quella filosofia medievale che poteva servire la teologia ; in Galileo , che distrugge il geocentrismo così congruo con le imperfette idee teistiche e teologiche che il Cristianesimo aveva ereditate dal Vecchio Testamento e dalla filosofia aristotelica , la distinzione acquista valore profondamente diverso ; e delle due verità , l ' una della ragione e l ' altra della fede , Bruno filosofo ne riconosce una sola , la prima . Galileo tra i libri sacri , oscuri , e l ' aperto libro , com ' egli dice , del cielo , afferma di non dover leggere , per la scienza , se non il secondo ! In altri termini , la nuova filosofia e la nuova scienza si distinguono dalla fede , non per mettere questa al di sopra di sé ed attribuirle il privilegio della verità ad esse irraggiungibile , e a cui pur esse mirano ; anzi per negarle ogni valore rispetto ai fini a cui la filosofia e la scienza s ' indirizzano . Il filosofo medievale diceva : credo ut intelligam ; Bruno vi dice chiaro e netto : non credo ut intelligam . E altrettanto , a modo suo , ripeterà Galileo nella celebre Lettera alla Granduchessa Madre ( 1615 ) . Crederanno o non crederanno per altri fini , non importa : certo , per intendere , l ' uno e l ' altro ritengono indispensabile affidarsi non alla fede , ossia a una rivelazione che è atto altrui e non nostro ; bensì alla nostra intelligenza . Agli esperimenti e al discorso dirà Galileo ; alla contemplazione dell ' unità della natura , ha detto Bruno . Questa la nuova coscienza scientifica , che si accinge a guardare il reale con occhio puro d ' ogni nebbia . Questo l ' inizio dell ' età moderna per il pensiero filosofico . Questa nuova coscienza scientifica è consacrata nel martirio di Bruno ; il quale non è uno dei tanti martirii che l ' uomo è stato sempre disposto ad affrontare per gli ideali , onde viene recando in atto la sua umanità . Il martirio di Giordano Bruno ha un significato speciale nella storia della cultura , poiché non fu conflitto di coscienze individuali diverse ; ma necessaria conseguenza del progresso dello spirito umano , che Bruno impersonò al cadere del Cinquecento , quando si chiudeva col Rinascimento tutta la vecchia storia della civiltà d ' Europa : del progresso dello spirito , che giunse in lui ad avvertire per la prima volta , e quindi a sorpassare , la contraddizione , che fin dal medio evo lo dilaniava , tra sé e se medesimo : tra spirito che crede , e professa di non intendere , e spirito che intende , e professa di intendere , cioè farsi da sé la verità sua . Tale è la situazione del Bruno . Pronto a tutte le ritrattazioni sul terreno della fede ; quale si voglia o si determini , il contenuto di questa fede gli è indifferente . Non è per lui : Ei mira più su , come il suo Dicson a Londra comprese , e come gli studiosi della sua filosofia devono comprendere . La sua verità non è quella che si definisce nei Concilii ecumenici , o dai pontefici in cattedra , ma la verità , che è nella natura , e che la ragione , cioè , per lui , la sua ragione , definisce : la verità , che egli ha celebrata tante volte entusiasticamente ne ' suoi scritti filosofici . Ma , come filosofo , non ha potuto talvolta non contrapporre la sua alla verità di coloro che si sforzano invano di conseguire la sapienza cercandola affannosamente con lunghi viaggi , per tutte le parti della terra , spendendovi gli averi e il miglior tempo della vita ; o producendo le notti insonni nelle sollecite cure , studiando i monumenti degli antichi , per vedere di accogliere nel proprio spirito ansioso il furore dei vati ed esser fatti celebri dal riverbero luminoso dei saggi più illustri ; non ha potuto non contrapporre la sua alla verità di quegl ' infermi di spirito e stolti , che pur si credono sani e savi per solo suffragio del volgo : ciechi , che non vedono la luce di Dio , benché splenda in tutte le cose ; sordi , che non odono la sua sapienza , la cui voce pur parla da tutto , e tutti invita , e batte alle porte d ' ognuno ; certo giudicati da Dio indegni di vedere e di udire , poiché indegnamente cercano la luce del vero , quando la vogliono ministra di vile fortuna e procacciatrice di sostanze , da regolare e approvare o riprovare secondo i sentimenti dell ' uomo . Onde al luogo di Dio sottentra l ' uomo solennemente parato , a cui gli altri uomini si prostrano ; e di cui il Bruno fa una feroce dipintura . « A me » , egli dice , « non è mestieri trascorrere ai confini della terra : basta mi profondi nella mente ; basta che sopra a tutto , vivamente desideri , per se medesima , la luce divina , e col sommo del mio ingegno mi sforzi di pervenire al cospetto della maestà sua , bramando e sperando di potermi beare nel di lei volto . E , mirabile a dirsi , quanto ella sia dappresso , mirabile come ben pronta s ' appresenti . Nuda ella è , e sola ( nullis circumque stipata maniplis ) ; e nuda irraggia luce da tutto il corpo ; il santo corpo , che ingiuria grave sarebbe velare . Essa si fa da sé fede , e vuole che lungi stieno il naso , la fronte rugosa , il sopraccilio e la ben pettinata barba e quante vesti e testimonianze e titoli e insegne e parti assume per diritto suo l ' ignoranza . Desiosa ella aspetta chi viene a lei , e generosa ( quasi attendesse un amante ) gli corre incontro , e l ' accoglie con lieto aspetto , confortando il timido ; e col sorriso del suo volto sereno fa divampare le fiamme che accese già lentamente » . A questa verità , che sola l ' innamora , egli non potrà rinunziare . A questa verità non attese le intimazioni di Roma per sentirsi disposto a fare olocausto della vita . Fin dal '91 , nella dedica del De monade , diceva solennemente di sé : « Ma io , benché agitato da iniquo destino , avendo intrapreso da fanciullo una lotta diuturna con la fortuna , invitto serbo tuttavia il proposito e gli ardimenti , onde , o per avventura io ho toccata la salute , - - di che solo Dio può essere testimone , - - o non sono pur sempre infermo e sonnolento a un modo , o di certo domino il senso della infermità mia e lo disprezzo affatto , sì che punto non temo della stessa morte . E però a nessun mortale da me e con le forze del mio animo cedo e mi arrendo » . E in quello stesso libro , nei versi magnanimi messi in bocca al gallo vinto e morente , si scrisse , per dirla col Brunnhofer , la propria epigrafe : « Ho lottato , e molto : credetti poter vincere , e la sorte e la natura repressero lo studio e gli sforzi . Pure qualcosa è già l ' essere stato in campo ; giacché il vincer , lo vedo , è nelle mani del fato . Ma fu in me quel che poteva , e che nessuno delle generazioni venture mi negherà ; quel che un vincitore poteva metterci di suo : non aver temuto la morte , con fermo viso non aver ceduto a nessuno degli uomini , aver preposta una morte animosa a una vita imbelle » . VII Imbelle sarebbe parsa al Bruno la vita , se egli avesse ceduto al Bellarmino , che , non contento delle dichiarazioni del processo , era andato studiosamente ricercando le dottrine dei suoi libri per tutti forse quegli anni , per cui si produsse questo misterioso processo romano , ormai destinato forse a rimaner celato al giudizio della storia . Egli alle ultime intimazioni rispose , si noti , con un memoriale al Papa : che il 20 gennaio 1600 , attesta il notaio del . S . Tribunale , fuit apertura , noia tamen lectum . Questo memoriale ci direbbe tutto . Ci direbbe , non ne dubito , che dal Bellarmino , inquisitore , non che della religione , in cui il Bruno accettava i responsi degli oracoli , ma della sua stessa filosofia , onde il Bruno aveva sempre tenuto e teneva di non poter cercare altro Dio che quello che era nelle cose , la divina Natura ; dal Bellarmino , negatore intollerante della distinzione tra la verità della fede , di cui i filosofi possono e debbono non curarsi , e la verità della ragione libera ; ripudiatore della distinzione da cui il Bruno si rifaceva ancora a Venezia per dimostrare la possibilità d ' una sua coscienza cattolica , qual ' era chiesta da lui accanto alla sua filosofia , a cui non intendeva volgere le spalle ; il Bruno si appellò al giudice supremo , al Pontefice , per ottenere da lui quello che dal Bellarmino e dagli altri inquisitori non gli riusciva più di ottenere ; quello che solo gli poteva rendere accettabile la vita , consentitagli dalla Chiesa cattolica , secondo le sue antiche speranze : distinzione tra la « fedele » teologia e la « vera » filosofia . Chiedeva il diritto d ' una filosofia , di cui la teologia non avesse a ingerirsi e una inquisizione che non inquisisse , oltre la fede dei filosofi , la loro stessa filosofia . Era la richiesta che Bruno , iniziatore di un mondo nuovo , poteva e doveva fare . Ma era pure la richiesta che i mantenitori dell ' antico non potevano accettare . Il memoriale fu aperto , non letto . Pel Bellarmino , per i suoi colleghi e per Clemente VIII la pretesa del Bruno era assurda ; essi non vedevano questa filosofia , che egli affermava non fondata sulla fede ; non potevano ammettere una verità filosofica , che non fosse grado alla verità teologica , e a questa perciò subordinata . Non intendevano in che modo il Bruno potesse riconoscere la verità della transustanziazione ne ' costituti , senza smentire la filosofia del De immenso e del Sigillus . VIII E , siamo sinceri , il Bellarmino e Clemente VIII avevano ragione , secondo i principii stessi di Bruno . Quel memoriale era un documento , prezioso per la sua immediatezza , degli sforzi supremi , che contro le leggi ferrate della logica fece il Bruno , o meglio la filosofia del Rinascimento , per disviluppare dalle fasce del pensiero medievale la realtà vivente del pensiero umano , quale l ' età moderna doveva intenderla ; e per far succedere al vecchio Dio di Platone e di Aristotele , il cui concetto rende impossibile il concetto del mondo e quindi del pensiero , per cui quello pure si escogita , il Dio nuovo , di cui non solo i cieli , anzi la natura tutta e lo spirito umano , che ne è il fastigio , narrano davvero le glorie . Ma quel memoriale non poteva dimostrare che Bruno , dal particolare punto di vista a cui egli si arrestava , e a cui tutta la filosofia del suo tempo si arrestò , avesse ragione . La posizione speculativa del Bruno , rappresentante genuino della filosofia del Rinascimento , era intrinsecamente contradditoria . Giordano Bruno è la conchiusione logica di tutto il Rinascimento , benché abbia dovuto attendere più di due secoli che fosse apprezzato il suo valore . È la conchiusione del Rinascimento , che giustifica in teoria l ' arte contro le diffidenze e le accuse platonizzanti del medio evo , e rinnova in fatto il culto antico della forma , nella indipendenza assoluta da ogni preoccupazione estranea ai fini propri dell ' arte ; accoglie la nuova dottrina copernicana , la quale sconvolge l ' intuizione cosmologica , che la terra dell ' uomo contrapponeva ai cieli di Dio in un sistema chiuso di rapporti finiti ; e solleva anche la terra e l ' uomo t alla dignità dei cieli interminabili ; dai Comuni , spontaneamente sorti dal seno dell ' Impero , alle Signorie , creazioni anche più evidenti di volontà autonome e di interessi immediatamente umani ; scava la terra sotto al Sacro Romano Impero contro al quale combatteva il Re Cristianissimo ; e mette capo al Machiavelli , che spietatamente teorizza l ' origine umana degli Stati , e liberamente ne proclama l ' assoluto valore intrinseco , cui anche il pregio della religione vien subordinato ; coi neoplatonizzanti comincia a vedere in tutte le cose naturali e in fondo all ' animo dell ' uomo il vestigio di Dio e coi nuovi epicurei a riabilitare il piacere dei sensi ; e prosegue arditamente col Pomponazzi negando l ' antica trascendenza del principio divino , che Aristotele aveva additato nell ' anima come sua parte immortale ; e poi col Telesio a toglier via dalla natura quell ' opposizione di materia e forma , legata dalla filosofia antica al pensiero individuale , che si sequestrava dalla natura il principio della natura , della vita e dell ' anima ; e finirà nel Campanella per negare l ' opposizione dell ' essere al pensiero . Del Rinascimento , insomma , che distrugge tutto l ' antico modo di considerare la realtà naturale ed umana . E pure non ha la forza di negare quello che era il fondamento della intuizione antica : un Dio che è fuori del mondo ; una fede che non è ragione ; una Chiesa istituto sociale , che non è Stato , ma sopra lo Stato . E in ogni poeta paganizzante , come in ogni politico realista , come in ogni filosofo naturalista , due coscienze : la coscienza del poeta , del politico , del filosofo e la coscienza del credente : uno spirito senza fede , e una fede senza spirito . Questa appunto l ' Italia del Rinascimento , che muore in Bruno per poi rinascer davvero . Da quegli spiriti senza fede la corruzione del poeta , che è poeta e non sa esser altro , e non ha vita morale perché non ha vera religione ; e non ha fede se non nell ' arte , in cui si chiude , spegnendo in sé come gl ' interessi pratici , così l ' amore del divino , che è la più alta e vera aspirazione umana ; soffocando quindi in sé l ' uomo , e però anche l ' arte . Donde la letteratura fatta professione , tralignante nella rettorica e nell ' accademia , e in tutto il falso della cultura italiana della decadenza lungo i secoli accidiosi del Sei e Settecento . Da quegli spiriti senza fede la degenerazione della grande politica del Machiavelli nel machiavellismo , ossia nell ' arte per l ' arte del governare , senz ' anima , senz ' ideali , senza i fini del vero governo , senza la fede entusiastica dell ' ultima pagina del Principe , non più letta . E quindi anche quella filosofia di professione , la filosofia dei seminari gesuitici e delle università peripatetiche , che dimenticheranno Bruno e Campanella , e non s ' accorgeranno di Vico : la filosofia dotta , sempre al corrente delle mode , a volta a volta cartesiana , lockiana , newtoniana , leibniziana , ma sempre legata alla buona , alla sana tradizione scolastica . La filosofia , infine , che spadroneggiò nelle nostre università nei secoli XVII e XVIII ( e che non è ancor morta ) , senza fare un filosofo , cioè senza riempire un ' anima , senza dare una fede . Onde ora nemmeno se ne pispiglia . Questo mondo falso era stato scrollato dal Bruno nell ' ultimo anno del XVI secolo : perché , se era vissuto anche lui nella contraddizione e nell ' equivoco , morendo per la sua filosofia , o meglio , per quello che c ' era di nuovo nella sua filosofia , egli provò con l ' esempio che dall ' equivoco bisognava uscire ; che il filosofo non ha altra vita e altra anima che quella del filosofo ; la quale è incompatibile con certe istituzioni , e che presuppongono una fede diversa e cioè un ' altra filosofia . Anche la filosofia del Bruno presupponeva e svolgeva il concetto dell ' immanenza del divino nella natura e nell ' uomo ; e intanto non negava il principio speculativo della teologia cristiana , della trascendenza di Dio . Non lo negava , non già in quanto coscienza religiosa , quale si atteggiò per esigenze pratiche innanzi agl ' inquisitori ; ma proprio in quanto quella coscienza filosofica , che il Bruno afferma ripetutamente essere la forma speciale della sua coscienza . L ' abbiamo già visto : la sua filosofia non nega già il concetto di una verità superiore , termine della fede ; ma nega soltanto la conoscibilità razionale di tale verità . Questo è un punto fuor di questione nella critica bruniana . Il Dio dei cattolici ( mens super omnia ) Bruno non solo non lo nega , ma ne fa il principio di quella mens insita omnibus che è la Natura , il Dio della sua filosofia . Soltanto , egli , filosofo , non conosce il primo , e lo esclude dal campo della sua speciale investigazione . Cotesto Dio , al di là di quello che egli adora da filosofo , contemplandolo nella viva , eterna , infinita natura , è qualche cosa come il noumeno kantiano : un concetto limite . È un caput mortuum , è vero , della sua dottrina essenzialmente naturalistica : ma uno di quei concetti , che , in certe contingenze storiche , bastano a paralizzare le energie di verità che i sistemi posseggono . Quando Bruno innanzi al Sant ' Uffizio , a Venezia , dichiara : « In questo universo metto una providenza universale , in virtù della quale ogni cosa vive , vegeta e si muove , e sta nella sua perfezione ; e la intendo in due maniere : l ' una nel modo con cui presente è l ' anima nel corpo , tutta in tutto , e tutta in qualsivoglia parte ; e questa chiamo natura , ombra e vestigio della divinità ; l ' altra nel modo ineffabile col quale Iddio per essenzia , presenzia e potenzia è in tutto e sopra tutto , non come parte , non come anima , ma in modo inesplicabile » ; - - egli non fa che rappresentare con tutta sincerità il principio fondamentale del suo filosofare . Si è detto a ragione , che « l ' ideale di Bruno ( quell ' ideale , verso cui egli non è indifferente , al quale aspira e si sforza di arrivare con tutta la energia del suo spirito , e col quale vorrebbe immedesimarsi e pure sente di non potere ; che , mentre gli si dimostra inaccessibile e così lo fa certo della imperfezione della conoscenza , pure lo eccita a sempre nuova ricerca ) non è il Dio astratto puramente estramondano de ' teologi , che egli ha abbandonato , ma il Dio vivo e essenzialmente creatore o l ' infinito Spirito , a cui la mente non può salire che mediante la contemplazione della infinita Natura » . Ma è incontestabile che egli , quantunque lo abbia abbandonato , non riesce , non può riuscire a dimenticare quel Dio , che come absoluto , dice nello Spaccio , non ha che far con noi , E non può riuscirvi , perché nella sua filosofia il concetto vero di Dio , di quel Dio che potesse succedere all ' antico , mancava ; c ' era il Dio ­ natura , ma c ' era quello che può rendere intelligibile lo stesso Dio ­ natura : il Dio ­ spirito . Onde questa Natura per lui , dal De Umbris al De Minimo , non può essere altro che un Dio fuori della stessa Natura , che pure è il Dio del filosofo . sicché il Dio del filosofo , la verità oggetto della filosofia , suppone un principio estrinseco , quale suo fondamento : proprio come l ' oggetto della scienza vera secondo Kant . Ora , ammessa questa verità oltremondana , non raggiungibile se non per contemplazione soprannaturale , e quindi oggetto proprio ed esclusivo della fede , è agevole vedere quanta sia l ' importanza della religione , secondo la stessa filosofia bruniana , che vuole appartarsene e costruirsi con le sole forze della ragione ; e quali i fondamenti filosofici di quell ' ufficio pratico da lui assegnato alla religione , quale che fosse , in quanto magistero sociale . La legittimità , in generale , di ogni religione consiste appunto in questo margine , che le lascia la filosofia , nella conoscenza della verità . La superiorità , almeno morale , della religione rispetto alla filosofia consiste pure in ciò , che la stessa verità della filosofia presuppone una più alta verità , che è la verità della religione . E se la religione , secondo lo stesso Bruno , non si realizza se non come una religione determinata ; se anzi , com ' egli stesso dichiara al Mocenigo e aveva già scritto nello Spaccio , tra le forme di religione nessuna ve n ' è che sopravanzi , per le finalità pratiche , il cattolicesimo ; se il cattolicesimo allora era quello che era con la sua Santa Inquisizione destinata a provare l ' assolutezza della legge religiosa con quello stesso rigore pratico che il diritto umano assegna al magistrato penale per la prova reale dell ' assolutezza della legge umana positiva ; se questa legge religiosa assoluta si specificava in dommi determinati , che la filosofia di Bruno veniva a negare ; si può chiedere a quanti onoran la memoria dell ' infortunato Nolano : - - La sua condanna non era , dunque , la conseguenza logica di quelle dottrine , che , con tutta la novità delle sue intuizioni , Bruno non aveva potuto se non confermare ? - - La questione , a tempo del Bruno , era appunto in quei termini : se ci ha da essere una legge , il cui vigore si realizzi con la condanna di chi l ' infrange ; se non può esserci legge non garentita da una religione ; se questa religione è praticamente combattuta dalla divulgazione di una filosofia , che ne fa comparire assurdi i dommi ; non è possibile non condannare l ' autore di questa filosofia , che , minando i fondamenti della religione , infrange la legge . Le premesse generali di questo diritto della Chiesa erano tutte accettate e confermate dallo stesso Bruno . Bruno , nel suo eroico furore pel nuovo Dio , che gli brilla innanzi allo spirito commosso , non s ' accorge che tutto il vecchio mondo pur gli grava le spalle , e l ' inchioda a quelle istituzioni , di cui la filosofia nuova è la negazione . Egli non ha coscienza della contraddizione tra il suo assunto d ' un sistema che afferma l ' infinità reale della natura , e il concetto di un Dio , ente realissimo , fuori della natura : non si avvede che la filosofia che egli professa , distrugge la vecchia fede . Fu sempre convinto di quel che disse ai giudici di Venezia , e aveva detto otto anni prima nella Cena de le ceneri : « Dalla censura di onorati spiriti , veri religiosi , ed anco naturalmente uomini da bene , amici della civile conversazione e buone dottrine , non si de ' temere ; perché , quando bene arran considerato , trovaranno che questa filosofia non solo contiene la verità , ma ancora favorisce la religione più che qualsivoglia altra sorte de filosofia » . Pure , a quando a quando , un segreto presentimento del suo destino lo assale ; e allora si raccoglie tutto nel pensiero nuovo che l ' esalta , e gli fa sprezzare la morte : E chi mi impenna , e chi mi scalda il core ? Chi non mi fa temer fortuna o morte ? Chi le catene ruppe e quelle porte , Onde rari son sciolti ed escon fore ? L ' etadi , gli anni , i mesi , i giorni e l ' ore , Figlie ed armi del tempo , e quella corte , A cui né ferro , né diamante è forte , Assicurato m ' han dal suo furore . Quindi l ' ale sicure a l ' aria porgo , Né temo intoppo di cristallo o vetro ; Ma fendo i cieli , e a l ' infinito m ' ergo . E mentre dal mio globo agli altri sorgo , E per l ' eterio campo oltre penétro , Quel ch ' altri lungi vede , lascio al tergo . Ecco l ' anima di Bruno : l ' anima ribelle , che dirà : No con tutta la sua forza nell ' ora estrema ai ministri di quel Dio , che egli si era infatti lasciato al tergo : l ' anima nuova , che vorremo sempre onorare , perché quando quei Dio , che ella aveva lasciato sopravvivere accanto e oltre al suo nuovo Infinito , le si rizzò contro con tutta la energia della logica , e le intimò di abiurare la sua filosofia , tenne fede incrollabile alle idee , che il pensiero umano doveva più tardi svolgere per instaurare in sé il regno del Dio nuovo . Il 10 settembre del 1599 gli furono notificate le proposizioni ereticali di cui era incolpato ; e prefisso il termine di quaranta giorni a pentirsi ; scaduti i quali , si sarebbe proceduto contro di lui a norma dei sacri canoni . Ma egli , ricorda la sentenza , restò ostinato ed impenitente nelle sue eresie . Gli si mandarono il Generale e il Procuratore del suo ordine acciò lo ammonissero e persuadessero a ripudiare i suoi gravissimi errori ! E Bruno a perseverare « pertinacemente ed ostinatamente » ; nelle sue opinioni , negando che fossero errori ed eresie . Quindi la sentenza del mercoledì 8 febbraio 1600 , che lo consegnava al braccio secolare , cioè al Governatore di Roma . Secondo un Avviso di Roma alla Corte di Urbino del sabato , i Romani credevano vedere quel giorno « una solennissima giustizia » e non seppero perché fosse stata differita . Ed era giustizia di un eretico ostinatissimo , « un domenichino da Nola » , di cui si raccontava oscuramente la vita errabonda per ogni parte d ' Europa , leggendo e incorrendo in persecuzioni a causa delle sue opinioni : a Ginevra , a Tolosa , a Lione , in Inghilterra , a Norimberga . Come si chiamava ? L ' avevano condannato quattro giorni prima « come auttore di diverse enormi oppinioni , nelle quali restò obstinatissimo , e ci sta tuttora , non ostante che ogni giorno vadano teologhi da lui » . Si diceva che avesse più volte disputato in Germania col card . Bellarmino . Ed insomma , conchiude l ' Avviso , « il meschino , s ' Iddio noll ' aiuta , vuol morire obstinato , ed essere abbruciato vivo » . Nello stesso verbale dei buoni padri della Confraternita di S . Giovanni Decollato , che assistettero Giordano nelle ultime ore , accompagnandolo dal cercere al rogo , trema l ' inconscia commozione di quello spettacolo di eroica fermezza , con cui la filosofia s ' accampò contro una giustizia destinata a tramontare . A sei ore di notte si recarono a Torre di Nona confortatori e cappellano , e fu loro consegnato l ' impenitente . « Il quale » , dice il verbale , « esortato da ' nostri fratelli con ogni carità , e fatti chiamare due padri di San Domenico , due del Giesù , due della Chiesa Nuova e uno di San Girolamo , i quali con ogni affetto e con molta dottrina mostrandoli l ' error suo , - - finalmente stette sempre nella sua maledetta ostinazione , aggirandosi il cervello e l ' intelletto con mille errori e vanità ; e tanto perseverò nella sua ostinazione , che da ' ministri di giustizia fu condotto in Campo di Fiori . E quivi , spogliato nudo e legato a un palo , fu bruciato vivo , accompagniato sempre dalla nostra Compagnia , cantando le letanie , e li confortatori sino a l ' ultimo punto confortandolo a tassar la sua ostinazione . Con la quale finalmente finì la sua misera ed infelice vita » . Senza questa maledetta ostinazione ne ' suoi errori e nelle sue vanità , la quale era cominciata , come s ' è veduto , da quando il Bellarmino e il Commissario gli chiesero l ' abiura delle proposizioni raccolte dai libri e dai costituti , e che rinnovò nel carcere di Tor di Nona , nell ' estrema giornata del Bruno , una disputa filosofica che ricorda quella che terminò , secondo Platone , l ' estrema giornata di Socrate : senza questa ostinazione , la figura di Bruno non avrebbe tutto il significato che ha nella storia della cultura . Senza di essa non sarebbe stato compiuto il martirio della fede nuova dell ' uomo , che cominciava a scorgere la divinità attorno e dentro a se medesimo in quell ' universo infinito ed uno , sostanza identica di tutte le cose , considerate nella loro verità , sub specie aeternitatis . E se è vero che non c ' è mai fede senza martirio , poiché nessuna fede si può aprire la strada in mezzo alla realtà storica , solida e pronta a resistere alle forze nuove ed innovatrici ; senza questa ostinazione , cioè senza questa immedesimazione della fede nuova con lo spirito umano , storico e concreto , questa fede non si sarebbe mai avviata verso la vita , ad investire la realtà , ad orientarla secondo nuovi ideali . Il martirio di Bruno ha per noi questo significato : è la conchiusione e correzione inveratrice della sua filosofia ; la dimostrazione reale dell ' esigenza radicale del pensiero moderno , che non può più consentire , come Bruno illudendosi aveva sperato , con l ' antica intuizione del mondo . Se Bruno non fosse stato bruciato , una conciliazione poteva parere possibile ; come volle sembrasse possibile Galileo , quando abiurò , non un ' eresia , ma la sua fede scientifica . Bruno fu saldo invece a sostenere la libertà suprema della scienza , e a protestare che una filosofia non potesse essere eretica , né esser giudicata dalla Chiesa . Bruno quindi provò che la vita dell ' intuizione antica del mondo che ha fuori di sé Dio , cioè la verità , e però la scienza , è la morte della nuova filosofia , che rende possibile la scienza , come la virtù , come l ' arte , facendo realmente scendere Dio in terra e nell ' animo nostro , come verità , bellezza e bontà , e insomma vera umanità , in generale , per tutto ciò che di divino appunto essa viene realizzando nel mondo . Questa filosofia , che con Bruno divinizza la natura , e dopo Bruno divinizzerà l ' uomo in ciò che l ' una e l ' altro hanno d ' infinito e di eterno , questa filosofia oggi lo sappiamo , non può vivere se non per la morte di quella vecchia intuizione . Perciò ricordiamo il 17 febbraio 1600 . L ' errore dei giudici di Bruno fu di non aver veduto , che , morto Bruno , la sua filosofia sarebbe stata più viva di prima . E noi , per rivendicare Bruno e correggere quell ' errore , non possiamo se non ravvivare in noi lo spirito di Bruno , raccogliendo l ' ultimo ammonimento da lui dato a un discepolo testimone della sua morte : « Seguire le sue gloriose pedate e fuggire li pregiudizi et errori » . Il suo rogo , anzi tutti i roghi ormai sono spenti . La Chiesa continua a giudicare , ma non ha curia secolare pronta all ' esecuzione delle sue sentenze . Le quali ora sono quelle che devono essere : sentenze di autorità religiosa per gli spiriti che quest ' autorità riconoscono . La libertà del pensiero , proclamata dal Bruno , è un fatto storico ; e la storia non indietreggia . Ma un altro trionfo egli aspetta : quello che i liberi maestri delle nuove libere generazioni devono celebrare , insegnando con lui , che c ' è un Dio da riconoscere nel mondo che ci sta dinanzi e nel mondo che noi facciamo , in tutto ciò che è reale o dev ' essere reale per noi : verità della nostra scienza , norma della nostra volontà . Un Dio , dunque , che bisogna realizzare con salda fede nella legge della coscienza e nella legge dello Stato ; e a cui non si volta le spalle , senza smarrire la verità del sapere e la bontà del volere , pubblico e privato . Insegnando che , quando questo Deus in rebus non è altrui raggiungibile , un Dio qualunque , che valga sinceramente come fondamento della legge inviolabile della vita , un Dio davvero riconosciuto ed amato , è meglio , molto meglio di nessun Dio ; e che tutte le fedi , però , vanno onorate , non per galateo o per politica , ma perché ognuna , a chi la possegga , è un valore assoluto , e la ragione di tutti i valori . IX LE FASI DELLA FILOSOFIA BRUNIANA I I lavori di Felice Tocco sul Bruno sono di quelli che fanno epoca e meritavano certamente la larga recensione che ne fu fatta in occasione della sua morte dal prof . Mondolfo . Il quale ha insieme tentato di correggere in qualche punto l ' interpretazione del rimpianto maestro . Se non che , anch ' egli , sulle tracce del Tocco , valentissimo nell ' analisi filologica delle parti di un sistema , ma intento per solito a guardare più gli alberi che la foresta , postosi a studiare i vari aspetti contrastanti del pensiero bruniano , se n ' è lasciata sfuggire l ' unità spirituale , in cui è il significato di tutti i singoli aspetti . A proposito appunto d ' un mio giudizio sul Tocco , definito , come storico della filosofia , un puro filologo , il Mondolfo , non vede come si possa conferire al concetto di filologia tale ampiezza , da comprendere « l ' interpretazione dei sistemi filosofici , la loro critica interna .... » . Io dicevo , propriamente : la conoscenza di quei fatti che sono ( per lo storico della filosofia a tendenza filologica ) i sistemi filosofici , da accertarsi criticamente , da definirsi nelle loro effettive determinazioni , con la critica e l ' ermeneutica filologica dei testi che ce ne conservano la testimonianza . E la difficoltà alquanto oscuramente propostami si riduce a dire , che anche nella storia del Tocco i sistemi non sono fatti , ma valori . Ma il Mondolfo non ha badato a tutte le considerazioni che io avevo premesse per dimostrare che i tentativi di valutazione filosofica del Tocco , e pei criteri da lui teoricamente proposti e per le applicazioni che ne fece ne ' suoi giudizi , falliscono tutti , non per difetto dell ' ingegno , ma per la natura affatto estrinseca del metodo adoperato : il quale per la sua logica interna esigeva una mera costatazione di fatti ( di pensiero ) ed escludeva assolutamente ogni valutazione . E chi ebbe , come me , la fortuna di ascoltare le sue bellissime lezioni , dove tutto era analisi , ordine e lucidezza , non può aver dimenticato come talora , raramente , quell ' onda limpidissima si arrestasse , si rimescolasse in sé stessa e s ' intorbidasse ; quando il maestro era stato tentato da un suo segreto pensiero a trarsi fuori da quel processo che stava esponendo , per rilevare una difficoltà , un ' incongruenza , un punto oscuro . E s ' annebbiava quella faccia di solito illuminata dal sorriso : s ' arrestava impacciata la parola faconda e immaginosa , spezzandosi in brevi e tronchi periodi , che finivano sempre con un atto di energica risoluzione : « Ma noi facciamo ora la storia , e non facciamo la critica ; e andiamo avanti ! » . E tutti eravamo contenti di andare avanti , poiché si tornava alla luce e al sereno . Potrei anche entrare in particolari molto significativi , poiché il corso che potei seguire fece nell ' animo mio una profonda impressione , e vi ritorno spesso nella memoria con nettezza e vivezza di ricordi , come si ritorna alle ore più liete della giovinezza fuggita . E chi prende scandalo della mia definizione del metodo del Tocco ( definizione che , come ogni altra , non può fare a meno di porre dei limiti ) , forse non avrà amato mai un suo maestro di quell ' amore che solo è caro ai maestri dell ' intelligenza e della serietà del Tocco . II La filologia , bensì ( poiché il Mondolfo mi trae a riparlarne ) , pel filologo stesso è un ideale , non è un fatto ; una tendenza , un momento logico , non una logica reale e compiuta . C ' è la filologia ( categoria astratta ) , non ci sono filologi : perché pensieri ( o atti spirituali , in genere poesie , miti , credenze religiose , norme giuridiche , ecc . ) , che siano fatti , non ce ne sono . Per sminuzzare che faccia il filologo il suo testo , ogni minuzzolo gli resterà sempre innanzi pieno dello spirito del tutto ; al quale pertanto il filologo , suo malgrado , sarà costretto a guardare , non riuscendo il più delle volte a vederlo esattamente , poiché ha tenuto mala via , e gli alberi non gli lascian vedere la foresta . E però io non ho detto , né potevo dire , che nella storia del Tocco manchino del tutto le valutazioni ; ma soltanto che quelle che ci sono , non sono strettamente filosofiche , e però non si organizzano tra loro , non si giustificano e non fanno delle sue ricerche un vero lavoro storico . Il che non significa che le sue ricerche non abbiano valore o ne abbian poco . Ne hanno moltissimo ; ma come ricerche , elementi astratti di storia . O chi ha detto che chi non fa una cosa , non possa farne in modo eccellente un ' altra ? I limiti dell ' interpretazione bruniana del Tocco derivano appunto da cotesto suo carattere filologico , che è , d ' altra parte , la radice dei grandissimi pregi , per i quali quei lavori non saranno dimenticati dagli studiosi del Bruno . E ora mi rincresce di dire che il Mondolfo non si è messo in grado né di vedere questi pregi , né di scorgerne i limiti , ossia i difetti . I pregi andavano messi in luce considerando lo stato della ricerca bruniana prima del Tocco , in Italia e fuori d ' Italia , e cercando i punti speciali in cui il Tocco la fece progredire : ciò che il Mondolfo non poteva fare , naturalmente , limitandosi a studiare i soli libri dello stesso Tocco . Per i difetti , sui quali né anche il Mondolfo par disposto a chiudere gli occhi , bisognava prima di tutto scoprire il difetto : perché è chiaro che un uomo della erudizione , della diligenza , dell ' acume del Tocco , se sbaglia ( in punti essenziali , s ' intende , ché nelle minuzie l ' infallibile fallisce sette volte all ' ora ) , non può sbagliare a caso , ma vi dev ' esser portato dal suo metodo e dal suo principio . Il Tocco studiò con gran cura i particolari della filosofia del Bruno , analizzando nelle Opere latine , nelle Opere inedite e nelle Fonti più recenti , punto per punto , tutto il contenuto di quella filosofia . Ma da quest ' analisi esce una filosofia , che sia una filosofia ? Il Tocco parla ora di eclettismo , ora di sincretismo , dimostrando quel che in Bruno è preso da Aristotele e quel che è preso da Plotino , quello che c ' è di Parmenide e quel che deriva da Eraclito , gli elementi democritei atomizzanti e gli elementi platonici panteizzanti . Un Briareo dalle cento braccia , avrebbe detto lo Spaventa : ma dov ' è Giove ? Dov ' è l ' unità , la filosofia , lo spirito di Bruno ? Una ricerca di fonti ha il suo valore , che non è piccolo , ma è al di qua dell ' opera cui si riferisce . Un tentativo di ricostruzione - - come l ' aveva fatto già per Platone , con un ' esigenza che accenna all ' indiretta derivazione della cultura filosofica del Tocco dalla scuola hegeliana , alla quale anch ' egli nella prima gioventù appartenne - - egli fece cercando di stabilire un certo processo del pensiero bruniano attraverso alcune fasi di svolgimento ; tentativo a cui egli teneva molto , e che , secondo mi scriveva nel 1905 , si compiaceva di vedere accolto dal Vorländer e in parte dal Hoeffding , quanto gli doleva che fosse stato combattuto dal suo amico prof . Masci : ma che aveva esso stesso il grave difetto del peccato originale de ' suoi studi bruniani : non potendoci essere svolgimento senza un ' unità , senza un pensiero che si svolga attraverso vari momenti . III Ora il Mondolfo , non essendosi posto a questo punto di vista , si smarrisce anche lui dietro alle contraddizioni e alle oscillazioni del Bruno , e non può mirare al nodo della sua metafisica . Una prima osservazione fa circa il rapporto della religione con la filosofia in Bruno rapporto che fu anch ' esso motivo di dissenso tra il Tocco e il Masci , e rispetto al quale il Mondolfo nota che il Tocco non mantenne la stessa opinione dalla Conferenza del 1886 alle Fonti di sei anni dopo . Il contrasto bensì gli sembra apparente ; e ritiene che « in parte derivi dal fatto , che nella conferenza fiorentina si trattava della teologia positiva , coi suoi simboli e le sue figure , fatta per le moltitudini ; qui invece si tratta della teologia negativa dell ' uno ineffabile , cui soltanto l ' estasi può arrivare . Ma si collega in parte anche , in quanto riguarda l ' innegabile contrasto fra la tendenza immanentistica e la trascendentale e il vario prevalere dell ' una o dell ' altra nella mente del Bruno , a quella successione di fasi nella filosofia di lui , che è merito del Tocco avere per primo messo in luce » . Lasciamo stare se un contrasto apparente dei giudizi del Tocco possa collegarsi a una reale successione di fasi nella filosofia del Bruno . Tale contrasto il Mondolfo crede in realtà sia ( benché apparente ed eliminabile ) non nel Tocco , ma nel Bruno ; il quale una volta pare ( come parve al Tocco nel 1886 ) che metta la filosofia al di sopra della religione ; un ' altra ( come parve al Tocco nel '92 ) che metta la religione al di sopra della filosofia . E crede che la contraddizione non ci sia per questo che la religione inferire alla filosofia è per il Bruno quella positiva ; l ' altra , superiore alla filosofia , la teologia negativa . E si lascia così sfuggire , che Bruno dice questa « più alta contemplazione , che ascende sopra la natura » « impossibile e nulla a chi non crede » : che ciò essa appunto è il contenuto della religione positiva . Ma che d ' altra parte il contrasto non c ' è . Non c ' è , perché le parole non significano nulla per se stesse , e bisogna intendere il pensiero del Bruno . Punto che io mi permetto di credere di avere altra volta esattamente chiarito nella mia conferenza G . Bruno nella storia della cultura ( e il Tocco mi scrisse allora d ' essere al tutto d ' accordo con me ) . La più alta contemplazione , impossibile a chi non crede , è bensì più alta , ma è vuota per chi , come Bruno , ha dottrina di « non cercar la divinità rimossa da noi » . L ' essere la cognizione rivelata più alta della razionale non toglie che non sia vera cognizione ; e però più bassa della razionale . Più alta per l ' oggetto inaccessibile alla ragione , essa , per Bruno , è infinitamente inferiore alla speculazione , in quanto processo conoscitivo , autonomo , come dev ' essere ogni vero processo conoscitivo . La sua superiorità appunto è la sua inferiorità , dato che l ' interesse del filosofo si è spostato dall ' oggetto della fede a quello dell ' intendere ; e quindi il suo vero Dio non è più il trascendente , ma l ' immanente . Il trascendente non è negato , né poteva esser negato ; ed è merito del Bruno non averlo negato , data la sua concezione inadeguata del Dio immanente ; per cui il trascendente è l ' integrazione , tutt ' altro che trascurabile dell ' immanente ( come il noumeno di Kant è richiesto a integrare il suo fenomeno ) . Ma ciò non toglie che l ' anima della speculazione bruniana sia l ' intuizione sempre viva della divina natura , o mens insita omnibus , E dimenticato o trascurato questo concetto , nessuna pagina in lui , nessuna frase è più intelligibile . Il teismo di Bruno non è la sua religione , ma il limite della sua filosofia ( che è pure la sua religione ) essenzialmente panteistica . IV Il Tocco distinse tre fasi nello svolgimento del pensiero bruniano : 1 . schietto misticismo neoplatonizzante , rappresentato dal De umbris ( 1852 ) : dove il monismo è commisto a motivi di dualismo e di trascendenza ; 2 . monismo eleatico , panteizzante , rappresentato principalmente dal De la causa Principio ed uno , e in generale dagli scritti italiani ( 1584­85 ) ; 3 . atomismo , svolto segnatamente nel De minimo ( 1591 ) . Contro tale distinzione fu osservato che le varie tendenze non si succedono cronologicamente , ma sono simultanee e s ' intrecciano nell ' opera bruniana , che si sforza appunto di accordare motivi filosofici discordanti . Occorre intendersi , dice il Mondolfo . « La distinzione delle fasi del pensiero bruniano non è separazione nettamente determinabile : il fatto , che simultaneo alla metafisica della Causa e ad un indirizzo etico con essa congruente , si presenti un altro indirizzo di morale , che meglio s ' intenderebbe se contemporaneo alla metafisica del De minnimo , è prova novella di ciò che anche il Tocco rileva , che il pensiero del Bruno è tratto continuamente per opposte vie da forze antagonistiche .... Una coerenza sistematica non sarebbe naturale chiederla al Bruno . In una vita così tumultuosa ed errabonda , in un ' attività filosofica così intensa e svariata , fra gli scritti e l ' insegnamento , nel breve termine di nove anni , al Bruno non fu concesso mai quell ' agio della concentrazione pacata , della discussione interna delle sue convinzioni , del sereno esame critico , che d ' altra parte sarebbe stato così alieno dal carattere suo e della età sua , pur essendo condizione del raggiungimento d ' una sistemazione coerente o dell ' eliminazione almeno delle più gravi contradizioni . Ma la manifestazione di tendenze contrarie in scritti dello stesso periodo , o anche nella medesima opera , non toglie che volta a volta l ' una o l ' altra di tali tendenze si mostri preponderante .... Non fasi pure , dunque , ma tuttavia fasi reali » . Comunque , tre fasi così concepite è facile vedere che non sono uno svolgimento , ma una giustapposizione , resa possibile dal concetto generale della possibilità di risolvere tutta quanta la filosofia bruniana nella somma degli elementi che vi confluirono . Donde nascono domande gravissime , come le seguenti : è possibile che un emanatista a mo ' di Plotino , che fa vivere l ' uno nei molti , acceda all ' intuizione astratta degli Eleati , che l ' uno staccano affatto dalla molteplicità , senza sentire la radicale erroneità della sua prima intuizione ? O è possibile che un monista alla Parmenide s ' induca a riconoscere il flusso eracliteo , senza abbandonare del tutto la negazione parmenidea del non essere ? O ancora : può chi fu una volta schietto neoplatonico , e non ha cessato mai del tutto di esser tale , e ha tenuto e tien sempre fermo ( come avvertiva il Tocco ) all ' animismo universale fondato sul concetto dell ' anima del mondo , accogliere l ' intuizione meccanicista e pluralista di un Democrito ? Ed è proprio possibile che in uno stesso pensiero concorrano filosofie così avverse e repugnanti ? Ma c ' è altro . Per le Opere latine , prima di studiare le inedite , il Tocco ammetteva che nella terza fase del filosofare bruniano attestata dal De minimo , l ' atomismo di Democrito e di Epicuro venisse e incontrarsi ( nientemeno ! ) nella monadologia leibniziana ; perché Bruno avrebbe nei suoi minimi frantumato non solo il corpo dell ' infinito universo , ma anche l ' anima del mondo , ammettendo la realtà delle anime individuali . Nella prefazione invece alla memoria sulle Opere inedite confessava candidamente : « Il confronto colle opere inedite mi fa ora ricredere . L ' individuazione dell ' anima non è per Bruno se non un fatto passeggero , che nell ' infinita serie del tempo non ha consistenza e durata maggiore del baleno . Per tal guisa la trasformazione atomistica della speculazione bruniana resta a mezzo ; perché , se la parte materiale si risolve tutta in atomi insensibili e irriducibili , la parte spirituale invece cotesto frazionamento non conosce , e resta sempre una di qualità e sostanza . La quale in conseguenza reca , a dir vero , questo vantaggio , che l ' atomismo della terza fase si saldi più facilmente col panteismo della seconda , a quel modo istesso che l ' immanenza della seconda fase si saldava con la trascendenza della prima » . Studiando la Lampas triginta statuarum , il Tocco , insomma , ebbe il merito di accorgersi che era corso troppo nell ' interpretazione di alcuni luoghi del De minimo , e di tornare indietro , riconoscendo che il Bruno non aveva ammesso altra anima sostanziale che quella universale , pur mantenendo sempre l ' interpretazione atomistica ; salvo a notare , come s ' è veduto , un ' incoerenza tra l ' anima una e i corpi molti . V Ora viene il Mondolfo e sottopone ad esame il cangiamento d ' opinione del Tocco , e sostiene che questi aveva ragione prima ed ebbe torto dopo : che cioè anche le opere inedite confermano la coesistenza in Bruno dell ' atomismo e della monadologia . Questa è la parte originale del suo scritto , che conchiude dicendo : « Taluni , che nel Bruno veggono soltanto il campione del monismo panteistico , quando salutano in lui il precursore , accanto allo Spinoza ricordano anche il Leibniz ; e se si chiedesse loro in quali opere questi precorrimenti si verifichino , dovrebbero pur rispondere : il primo nelle opere successive al De umbris , il secondo nei poemi latini » . Parole non troppo chiare ; ma vogliono significare , che molti che fanno di Bruno un monista panteistico , poi , senza troppo riflettere ( e chi sono costoro ? ) , lo fanno precursore non solo di Spinoza bensì anche di Leibniz ; ammettendo implicitamente che in Bruno ci sia , oltre il monista , il monadista , le cui dottrine essi vorranno certamente trovare nei poemi latini . Vediamo un po ' . Se anche nella Lampas e nell ' altra opera inedita De rerum principiis fosse esclusa la moltiplicazione dell ' anima in molte anime sostanziali , questo potrebbe obbligarci ( quantunque il Mondolfo non se ne avvegga ) ad escludere la moltiplicazione stessa dal De minimo , che rappresenta un momento ulteriore nello sviluppo dell ' atomismo , non ancora accolto come dottrina metafisica nel De principiis . Ma già nella Lampas il Bruno palesa incertezze e oscillazioni , che rendono più che dubbia la risoluta interpretazione del Tocco . Nella Lampas Bruno dice l ' anima naturam ex se subsistentem , noia accidentalem formam , non entelechiam , non harmoniam , non aliud simile ; l ' anima e il corpo duo subiecta per spiritum unibilia , quorum principalius est anima ; unibili di un ' unione che avviene casu , non naturaliter ; e l ' anima multo intervallo relinquit post se materiam ; anima ante et post corporis societatem consistit . Quest ' anima è quella del mondo , o è quella di ciascun individuo ? Pel Mondolfo , è da escludere che sia la prima per ragioni .... come dire ? a priori . « Se l ' anima , di cui qui si parla , fosse l ' anima del mondo , non saprei vedere come tutti questi residui della scala plotiniana degli esseri s ' accordino col panteismo , per cui è Deus sive natura , e l ' anima del mondo è una faccia di quest ' essere unico , che visto da un altro lato è materia . Tra spirito e materia il Bruno qui non afferma soltanto una distinzione , che sarebbe condizione della stessa identità di essi , come di contrari ; ma una vera e propria separazione » . Ragioni , adunque , a priori , e , quel che è peggio , oscure , perché fondate su una conoscenza non esatta del neoplatonismo , dove la dualità non esclude punto l ' unità . VI Ma la più semplice maniera di vedere che specie di anima fosse quella di cui Bruno parla nei luoghi citati , non era quella insegnataci dal Tocco , di andare a guardare il testo ; cioè , dico io , il contesto ? E allora , salvo errore , l ' anima di cui si parla lì dal Bruno , dovrebbe esser quella di cui si comincia a parlare a pag . 239 , proponendo l ' esempio , a cui si deve applicare l ' arte inventiva della Lampada : Anima non est accidens . E lì si parla di anima hontinis , che absolvitur a corpore et realiter existit sino illo . Ma che per ciò ? « Il Tocco medesimo » , osserva il Mondolfo , « rileva che nella maggior parte degli argomenti , recati per provare che l ' anima non sia accidente del corpo , ma substantia spiritualis , il Bruno si riferisce all ' anima individuale , non all ' anima del mondo » . Ebbene , egli soggiunge : « allora dove se ne va l ' affermazione del Bruno che le anime individuali non siano che ripercussioni fuggevoli dell ' anima del mondo , sue operazioni nella materia che sola introduce la molteplicità e la divisione ? » . « La vera individualità » , aveva detto il Tocco , « o per meglio dire , la vera sostanzialità sta nell ' anima del mondo ; le altre non sono se non molteplici ripercussioni di quell ' unica , o per dirla chiaramente , non sono ne più né meno se non le diverse operazioni dello stesso principio . Quando si dice che l ' anima dell ' uomo è una sostanza individua , che risiede nel centro della vita , non si deve intendere che sia un essere diverso dall ' anima universale . È invece l ' anima universale che agisce in quel determinato punto , e da quel punto irraggia l ' azione sua in tutto l ' organismo . Così si spiega .... come , pur ammettendo l ' immortalità dell ' anima , il Bruno non solo nella Causa , ma anche nel De minimo derida le paure dell ' Orco . Non è l ' anima individuale , non è quell ' operazione localizzata in quel centro che è immortale , ma ben piuttosto l ' anima universale stessa , che dai frammenti del disciolto organismo ne comporrà altri ; il che è ciò che v ' ha di vero nell ' antica dottrina della metempsicosi » . Alla domanda del Mondolfo ( dove se ne va ? ) il Tocco ; ha perciò risposto : la sostanzialità , l ' individualità dell ' anima di ogni uomo è la stessa sostanzialità e individualità dell ' anima universale , di cui la prima è un ' emanazione . L ' anima dell ' uomo , insomma , è substantia individua , subsistens etc . , quatenus anima universalis : concetto ovvio a chi abbia studiato la logica spinoziana di sostanza , attributo e modo . Si ricordi infatti Spinoza : Aquam , quatenus aqua est , dividi concipimus eiusque partes ab invicem separari : at non , quatenus substantia est corporea ; eatenus enim neque separatur neque dividitur . E anche per Spinoza la mente umana è parte , com ' egli dice , dell ' intelletto infinito di Dio ; e quindi è sostanza , ma non in quanto mente umana , nella sua finitezza . Il Mondolfo , dopo aver esposto il concetto del Tocco ( che si rifaceva certamente da Spinoza nell ' intendere il rapporto dell ' anima universale con quelle particolari ) solleva la seguente difficoltà : « Se l ' anima del mondo è individua ed unica realtà , e , come tale , unita ineparabilmente alla materia considerata nella sua totalità - - sì da costituire entrambe due facce di una sostanza unica . - - essa è ugualmente inseparabile dai singoli esseri , che costituiscono la totalità della materia : non si può concepire il suo distacco neppur temporaneo da alcuni di questi , senza supporre che l ' anima sia unita ad una parte e non alla totalità del mondo , e senza interrompere ad ogni momento quella continuità della sua azione , che dovrebbe spiegarsi sempre tota in toto et in qualibet totius Parte , D ' altro canto , però , queste separazioni , inconcepibili per l ' anima universale , sono concepibilissime per le anime individuali , quando esse siano considerate non accidentali , ma sostanziali .... » . Difficoltà , però , che non toccherebbe soltanto la filosofia bruniana , ma ogni specie di emanatismo , che fa derivare il molteplice dall ' uno ; e potrebbe riuscire se mai una critica , non già servire alla interpretazione di Bruno . Ma la difficoltà esiste ? Considerata nella sua totalità , la materia sarà una ; e tale sarà in quanto animata , giacché la materia per se stessa è caussa mtultitudinis et divisionis . E s ' intende che in tale unità non ci può essere più morte , e non è da parlare di distacco . Ma la morte e l ' interruzione ( relativa ) dell ' azione avvivante dell ' anima universale è appunto nella materia in quanto materia . La materia infatti , in quanto tale , non è unità , ma molteplicità , in cui un essere non è l ' altro , e però la vita dell ' uno è la morte dell ' altro , cioè distacco dell ' anima . La quale non resta ad agire nel vuoto pel fatto che la morte del secondo è pur vita del primo essere . La difficoltà ci sarebbe , se l ' anima si distribuisse nella materia . Allora una parte materiale esanime importerebbe una parte dell ' anima a spasso . Ma l ' anima sostanza indivisibile è tutta in tutto e in ciascuna parte , e la sua azione animatrice perciò non è possibile che sia mai interrotta . D ' altro canto , s ' intende che neppur una parte di materia può restare senz ' anima ; perché la morte è relativa all ' essere particolare che si disgrega nei suoi atomi in quanto questi entrano in nuovi aggregati . Onde la materia nella sua totalità , cioè , ripeto , come unità , è sempre animata , ossia è anima ; e quindi non patisce mai morte . VII Io almeno non riesco a scorgere la difficoltà che vede il Mondolfo ; il quale , una volta creatasela , per uscirne propende a credere che il Bruno realmente ammettesse la sostanzialità delle anime individuali , oltre quella dell ' anima del mondo ; senza accorgersi né anche lui di quel che era sfuggito al Tocco nel suo lavoro sulle Opere latine ; che cioè l ' anima del mondo è la negazione delle anime individuali ; e viceversa ; e senza avvertire , com ' era naturale , che la difficoltà da lui sollevata , ci sarebbe , e insuperabile , appunto in questa ipotesi ; perché , ammesse le anime individuali unificate e fuse nell ' anima del mondo , e tante anime quanti sono gli esseri del mondo ; non si vede davvero come si potrebbe morire . Posto che i testi di Bruno parlano espliciti nel ridurre le anime individuali a mère fulgurazioni dell ' unica sostanziale anima del mondo - - dottrina analoga a quella averroistica dell ' unità dell ' intelletto , che ebbe sostenitori anche nel Cinquecento , immediatamente prima del Bruno ; posto che un pensatore del tempo di Bruno non poteva vedervi la difficoltà che ci vede il Mondolfo , perdono ogni fondamento le sette considerazioni che egli enumera nella conclusione del suo scritto , per dimostrare la probabilità della vecchia opinione , che male il Tocco avrebbe fatto ad abbandonare , circa la tendenza bruniana verso la monadologia . Per la I º e la 3º ( chi volesse scorrere l ' elenco di queste considerazioni del Mondolfo ) metta il Mondolfo al luogo dell ' anima ­ sostanza , l ' anima operazione dell ' anima sostanza ; e tutto è a posto . La 2º suppone vera quella difficoltà fondamentale che s ' è vista . La minima realtà , che è immortale , è il minimo , cioè la sostanza : quella sostanza che , spinozianamente , solo in apparenza è molteplice , laddove per la mente non è che una , come ora vedremo . Nella 4º , nella 5º e nella 6º l ' argomento del Mondolfo , che le differenze individuali suppongano la sostanzialità delle anime individuali , è rovesciato da espliciti luoghi di Bruno e dallo stesso spirito generale del sistema che fa nascere le differenze dalla materia . Nella 7º male si appaia il principio di libertà filosofica e religiosa con la dottrina del libero arbitrio ; e inesattamente si crede che il libero arbitrio di Bruno possa scambiarsi con l ' autonomia della coscienza individuale ( che il Mondolfo per positivistico pudore vorrebbe sostituirgli ) . Il libero arbitrio di Bruno ( amor confusus , non adhuc limitatus , e perciò potentia qual è in Dio , che è , per lui , come per Spinoza , absoluta necessitas ut sit etiam absoluta libertas ) , è difetto , che lo sviluppo della ragione deve a poco a poco colmare , e che perciò non può a nessun patto ragguagliarsi alla divina libertà del filosofo , partecipe della libertà dell ' oggetto con cui si immedesima . La libertà di Bruno ( e questa è la sua insuperabile inferiorità verso il monadismo leibniziano ) non è del soggetto , ma dell ' oggetto . E autonomia di coscienza individuale nel senso che il Mondolfo dà all ' individualità , per Bruno non ce ne poteva essere . E però meglio è consentire col Tocco nell ' opinione che a lui , dopo matura riflessione , parve definitivamente preferibile . VIII Vero è che la monadologia bruniana , se non è quella di Leibniz , non è neppure l ' atomismo di Democrito e di Epicuro . E il Tocco a furia di istituire riscontri e indagar fonti cancellò differenze essenziali , e non vide più il vero concetto della monade di Bruno , strozzando perciò l ' unità del pensiero bruniano dal De umbris ai poemi latini . Unità che meglio si ritrova nella stessa esposizione di Hoeffding , malgrado la sua superficialità . Questo storico p . e . vide chiaramente che gli atomi di Bruno non sono atomi assoluti ; e con ciò sottrasse già la sua filosofia all ' atomismo vero e proprio ( come sistema meccanicista ) ; quantunque il suo modo di concepire l ' atomo bruniano sia inesatto per un doppio aspetto , e vedendo una contraddizione tra la polemica del Bruno contro la divisione all ' infinito e la dottrina della relatività del concetto degli atomi , e non vedendo che gli atomi relativi di Bruno possono essere tali tutti ad eccezione di uno , che è assoluto , la monas monadum . Due inesattezze , che sono poi una sola . La quale deriva dal disconoscimento del carattere metafisico e oggettivo , e non gnoseologico e soggettivo , della relatività dell ' atomo bruniano : che è gravissimo anacronismo . I minimi di Bruno sono sostanze attive teleologiche , in quanto unica sostanza : e però sono toto caelo diversi dagli atomi sostanze inerti e meccaniche in quanto molte . Né questo monadismo è contradittorio al panteismo neoplatonico ; anzi nel pensiero di Bruno è un momento necessario di esso ; e quindi più o meno svolto , secondo i vari scritti , ma pur sempre presente . La monade , « principio e sostanza de le cose » di Bruno , è la sostanza di Spinoza , non la monade di Leibniz . Questo concetto del minimo ­ sostanza fu luminosamente chiarito dallo Spaventa fin dal 1866 in un piccolo scritto , di cui il Tocco , che si servì del maggior saggio concernente la teoria della conoscenza , non tenne il debito conto . Ma lo spinozismo dell ' atomo bruniano non sfuggì neppure allo storico più accurato dell ' atomismo , il Lasswitz ( la cui opera il Mondolfo non avrebbe dovuto trascurare ) , quantunque anch ' egli malamente insista , come Hoeffding , sul carattere fenomenico della relatività delle monadi particolari , e non scorga la vera differenza che separa queste monadi dalle monadi leibniziane . X VERITAS FILIA TEMPORIS I Nella Cena delle ceneri ( 1584 ) , ai vanti che Teofilo fa della grandiosa rivoluzione scientifica apportata dalla filosofia del Nolano , il pedante Prudenzio risponde con un ammonimento preso a prestito dai Disticha Catonis : Iudicium populi numquam contempseris unus , Ne nulli placeas , dum vis contenmere multos . « Questo è prudentissimamente detto » , ripiglia Teofilo , che rappresenta il pensiero stesso del Bruno , « in proposito del convitto e regimento comone e prattica de la civile conversazione : ma non già in proposito de la cognizione de la verità e regola di contemplazione , per cui disse il medesimo saggio : Disce , sed a doctis : indoctos ipse doceto . È anco , quel che tu dici , in proposito di dottrina espediente a molti ; e però è conseglio , che riguarda la moltitudine : perché non fa per le spalli di qualsivoglia questa soma ( la cognizione della verità ) , ma per quelli che possono portarla , come il Nolano ; o almeno muoverla verso il suo termine , senza incorrere difficoltà sconveniente , come Copernico ha possuto fare » . Secondo il Bruno , dunque , bisogna distinguere tra la pratica e la scienza , tra la legge dell ' una e la legge dell ' altra . La pratica è attività sociale , il cui soggetto è la comunità civile , il popolo ; la scienza , opera dei savi , talché « un solo , benché solo , può e potrà vencere , ed al fine avrà vinto , e trionferà contra l ' ignoranza generale ; e non è dubio , se la cosa de ' determinarsi non co ' la moltitudine di ciechi e sordi testimoni , di convizi e di parole vane , ma co ' la forza di regolato sentimento , il qual bisogna che conchiuda al fine ; perché , in fatto , tutti gli orbi non vagliono per uno che vede e tutti i stolti non possono servire per un savio » . E # # # µ o # µ # # # o # # # # # # # # # o # # , aveva già detto Eraclito . sicché la legge della pratica sarà nella moltitudine de ' testimoni , come dire nel volere dei più ; quella della scienza , nel regolato sentimento , ossia nella logica , che muove la cognizione della verità verso il suo termine , liberandola dalle difficoltà disconvenienti , ossia dalle contraddizioni . D ' altra parte , la pratica ( costume , legge , culto religioso , ecc . ) non è , per Bruno , mera volontà , quale si manifesta nei voti ( testimoni ) , nelle grida e nelle altre manifestazioni violente dello spirito popolare ; ma è anche pensiero o , com ' egli dice , « dottrina espediente a molti » . È un sapere che è credenza , sottratta alla forza di quel regolato sentimento , il quale bisogna che alfine conchiuda : è l ' accettazione , estranea e per sé refrattaria alla critica scientifica del pensiero logico , di concetti , ancorché falsi , utili e necessari alla vita civile . Anche questo elemento della pratica , benché in sé pensiero , non ha valore , secondo il Bruno , come tale . E però il savio non ha autorità e competenza rispetto ad esso , e deve accettarlo qual ' è nella vita - - che è volontà orientata secondo una fede - - del popolo , col quale egli , praticamente , si confonde . Quindi l ' atteggiamento del Bruno verso la religione , in quanto chiesa e istituto sociale : atteggiamento di rispetto , fondato sul principio dell ' assoluta incommensurabilità della dottrina filosofica , che è sforzo di conoscere la verità , e della dottrina religiosa , che è credenza espediente ai molti . Posta tale distinzione e incommensurabilità dello spirito pratico , possiamo dire , e dello spirito teoretico , il Bruno non ricerca più oltre la radice di questa doppia direzione dello spirito umano ( radice che noi piuttosto possiamo additare in quel residuo di trascendenza dualistica , che c ' è in fondo al naturalismo bruniano ) ; né , tutto acceso com ' è dell ' ardore mistico della contemplazione , che è puro pensiero o cognizione della verità , ha più interesse di ricercare lo sviluppo dello spirito pratico . C ' è un processo nelle religioni , nelle leggi , nelle idee morali e in tutte le dottrine espedienti ai molti ? È inutile cercare in Bruno una risposta a questa domanda : Il suo mondo non è quello della vita , ma quello della contemplazione ; non è quello della storia , ma quello della natura . La sua stessa etica dello Spaccio finisce negli Eroici furori , sublimazione della mente nel processo della verità . Egli perciò non ha luogo a proporsi il problema del movimento dello spirito pratico : lì , per lui , è solo arbitrio , dato esterno , fatto , non logica . La fede , infatti , come tale , è irrazionale : non può avere sviluppo . La scienza , invece , è pel Bruno la negazione assoluta della fede ; e però egli esclude il popolo dall ' insegnamento di quella . « Coloro c ' hanno la possessione di questa verità , non denno ad ogni sorte di persona comunicarla , si non voglion lavar , come se dice , il capo a l ' asino » . Il dotto , che scopre una verità nuova , deve , secondo lui , indirizzarsi a chi ha ingegno , ma anche disciplina , sì che ignori tuttavia « sol per non avvertire e non considerare .... per la privazione de l ' atto solo , e non de la facultà ancora » . La facoltà , dunque , o la condizione che ci mette in grado di accogliere la verità o di conoscere , è in parte naturale ( ingegno ) e in parte acquisita con lo stesso esercizio del pensiero , con gli studi ( disciplina ) . In altri termini , la scienza è figlia della scienza . La verità nuova presuppone verità precedenti ; ma anche queste sono frutto di regolato sentimento , di pensiero cioè che proceda secondo leggi . E pertanto dall ' insegnamento del Nolano sono esclusi non solo quei « maligni e scellerati , che per una certa neghittosa invidia si adirano ed inorgogliano contra colui , che par loro voglia insegnar » ; ma anche quegli altri , « che , per qualche credula pazzia , temendo che per vedere non se guastino , vogliono ostinatamente perseverare ne le tenebre di quello ch ' hanno una volta malamente appreso » . La credula pazzia che è la fede , è messa sullo stesso piano della passione , che impedisce la vista del vero , come la negazione assoluta dello spirito scientifico . A tutti costoro il filosofo oppone quei « felici e ben nati ingegni , verso gli quali nisciuno onorato studio è perso : temerariamente non giudicano , hanno libero l ' intelletto , terso il vedere , e son prodotti dal cielo , si non inventori , degni però esaminatori , giodici e testimoni de la verità » . Questo libero intelletto non è già intelletto vuoto , poiché il Bruno richiede , come s ' è veduto , la disciplina ; ma è la ribellione al credo ut intelligam di S . Anselmo , e a ogni intuizione del pensiero , che non sia tutto creazione di se stesso , o , come dice Bruno , « esaminatore , giudice e testimone della verità » . II In questo concetto Bruno non solo supera la scolastica e la filosofia greca ( cfr . la teoria dell ' anamnesi platonica ; dell ' intelletto attivo di Aristotele , ecc . ) , ma lo stesso suo naturalismo , che , a rigore , non ha posto per la libertà dello spirito . Né Bruno si ferma qui . Portato dall ' oscura intuizione dell ' attività progressiva dello spirito nella storia , che era in fondo a tutti gli spiriti del Rinascimento ( in cui pur si mescolava con l ' idea opposta , perdurata fin a tutto il secolo XVIII , della identità immobile dell ' anima umana attraverso tutti i tempi e tutti i luoghi ) , egli va oltre , e concepisce la scienza non solo come libertà , che potrebbe essere la libertà di un atto immanente e congruo alla fissa e ferma eternità dell ' oggetto suo , com ' era concepito da Platone e poi da Aristotele e da tutta la filosofia posteriore fino a Bruno ; sì anche come storia . E già abbiamo visto che lo spirito è costituito nella facoltà sua dalla disciplina , che è formazione storica , e che piglia il luogo di quella fede , da cui il pensatore medievale era fatto capace di conoscere il vero . Ma egli svolge con un ' arguta osservazione questo concetto . Prudenzio , molto prudentemente , con la viltà misoneista del pedante , ricalcitra sbigottito innanzi alle novità di Teofilo dicendo : « Sii come la si vuole , io non voglio discostarmi dal parer degli antichi , perché dice il saggio : nell ' antiquità è la sapienza » . E Teofilo : « E soggiunse : in molti anni la prodenza . Si voi intendeste bene quel che dite , vedreste , che dal vostro fondamento s ' inferisce il contrario di quel che pensate : voglio dire , che noi siamo più vecchi ed abbiamo più lunga età che i nostri predecessori : intendo per quel che appartiene a certi giudizi , come in proposito . Non ha possuto essere sì maturo il giodicio d ' Eudosso , che visse poco dopo la rinascente astronomia , se pur in esso non rinacque , come quello di Calippo , che visse trent ' anni dopo la morte d ' Alessandro Magno ; il quale , come giunse anni ad anni , possea giongere osservanze ad osservanze . Ipparco , per la medesima raggione , dovea saperne più di Calippo , perché vidde la mutazione fatta sino a centonovantasei anni dopo la morte d ' Alessandro . Menelao , romano geometra , perché vedde la differenza de moto quattrocentosessantadui anni dopo Alessandro morto , è raggione che n ' intendesse più ch ' Ipparco . Più ne dovea vedere Macometto Aracense milleducento e dui anni dopo quella . Più n ' ha veduto il Copernico quasi a nostri tempi , appresso la medesma anni milleottocentoquarantanove . Ma che di questi alcuni , che son stati appresso , non siino però stati più accorti che quei che furon prima , e che la moltitudine di que ' che sono a ' nostri tempi non ha però più sale , questo accade per ciò che quelli vissero , e questi non vivono gli anni altrui , e , quel che è peggio , vissero morti quelli e questi negli anni proprii » . III In questa pagina , per la prima volta , ch ' io sappia , è affermato il concetto tutto proprio dell ' età moderna , della serietà e importanza della storia , come attualità dello spirito nel suo svolgimento . Lo spirito , esaminatore , giudice e testimone nella verità non è spirito astratto , la mente , quale si trova , allo stesso modo , in tutti gli uomini , né la mente in sé , fuori delle sue condizioni determinate nel mondo : non è l ' anima , p . e . , immaginata da Platone , la quale soltanto nell ' Iperuranio è veramente in grado d ' intuire le idee . Lo spirito è Eudosso , Callippo , Ipparco ecc . In tanto conosce quel che conosce , in quanto esso stesso è determinato nel tempo , o meglio , nella maturità del giudizio che progredisce col progredire delle osservazioni ( « osservanze » ) e , in generale , del suo stesso operare , o come benissimo dice Bruno , del suo vivere . La vita dello spirito crea lo spirito ; e più lo spirito vive , più è spirito , più è capacità d ' intendere . Non solo la scienza cresce con l ' andare del tempo quasi per addizione di verità a verità ( che sarebbe osservazione empirica abbastanza ovvia ) ; ma la mente stessa riceve un continuo incremento , si fa più accorta . E questo crescere o svolgimento intimo della mente non avviene per azione estrinseca di una illuminazione progressiva che la mente riceva dal di fuori : ma è autoformazione della stessa mente , che fa dei gradini raggiunti base ad ascensioni ulteriori altrimenti impossibili . Ed ecco lo spirito che è storia . La quale non consiste - - Bruno lo avverte esplicitamente - - nella vana cronologia , bensì nel pieno e concreto processo spirituale . Anche dopo Copernico vivono i contemporanei di Tolomeo , pei quali tutto il frattempo non è stato vita di pensiero . Questo concetto della storia in Vico e in Hegel s ' integrerà e illuminerà nel sistema di una filosofia dello spirito , che in Bruno manca ; quantunque anche altrove , come abbiamo visto , celebrando la potenza del lavoro umano e criticando l ' ingenua raffigurazione mitica dell ' età dell ' oro , egli dimostri d ' intuire profondamente il carattere essenzialmente storico dello spirito . Ma , come episodio a sé nella concezione generale bruniana , esso è la coscienza perfettamente lucida che lo spirito acquista del carattere sacro dell ' opera sua in un momento di energico ed entusiastico ritmo della propria attività , che non può essere altro che progresso , nella battaglia contro la tradizione degli antichi . IV Il valore di questo concetto bruniano della storia si fa più evidente se si raccosta a idee molto simili che s ' incontrano in scrittori dello stesso periodo , ma posteriori al Bruno e ai primi de ' quali mi pare molto probabile sia stata innanzi la pagina del Bruno . Cominciamo dal Campanella , che alla Cena delle ceneri allude certamente quando cita il Nolano nell ' Apologia Pro Galileo ; e si potrebbe dire che un ' eco del bruniano concetto della gioventù o fanciullezza degli antichi rispetto ai moderni nell ' ordine del pensiero , risuoni nel suo De gentilismo non retinendo , che è tutta una battaglia per i moderni contro gli antichi . In questo libro , scritto intorno nel 1629 , è detto : « Ergo etiam physiologiam oportet novam facere de necessitate , sicut Picus et Telesius , Valerius , Paracelsus coeperunt : quamvis in aliquo erraverint ; indicant tamen quod tota philosophia debet renovari , cum res inventae et deprehensi errores et philosophiam novam et correctiorem et cosmographiam meliorem requirant . Et quidem tot sectarum agnitio et horum mores et naturae arcana iam aperta ostendunt priscos gentiles philosophos fuisse quasi pueros respectu Philosophorum Christianorum , sicut theologi Iudaei , teste Apostolo , erant quasi pueri respectu Christianorum theologorum novi Testamenti » . Ma qui il pensiero non ricorre nella forma caratteristica usata dal Bruno e ripetuta , come or ora vedremo , in molti altri scrittori ; e qui come altrove il Campanella accentua non tanto il concetto dello sviluppo progressivo continuo del pensiero in tutti i tempi , come fa il Bruno , quanto piuttosto il carattere proprio dell ' età sua , del Rinascimento , del « secol che si rinnova » , com ' egli diceva : secolo differente da tutti i precedenti e privilegiato da condizioni singolari , che lo staccarono nettamente dal passato . In Campanella è un esaltato e quasi esasperato sentimento dell ' avvenire , in opposizione al passato , più che un razionale e fermo concetto della legge immanente alla storia dello spirito umano . V Più di un motivo abbiamo già per ritenere che le opere italiane del Bruno , pubblicate a Londra , e segnatamente la Cena , fossero note a Francesco Bacone , che ebbe familiare la letteratura italiana , e una volta cita il nostro scrittore . Orbene , nel Novum organum ( 1620 ) , lib . I , c . 84 , tra gli ostacoli che si sono opposti in passato al progresso delle scienze , è menzionata quella reverentia antiquitatis , che abbiamo ammirata in maestro Prudenzio . È l ' osservazione critica di Bacone coincide con l ' ingegnoso sgambetto che Teofilo dà nella Cena alla citazione del pedante ( « Si voi intendeste bene quel che dite .... » ) . « De antiquitate autem opinio » , dice Bacone quasi con le stesse parole , « quam homines de ipsa fovent , negligens omnino est , et vix verbo ipsi congrua . Mundi enim senium et grandaevitas pro antiquitate vere habenda sunt ; quae temporibus nostris tribui debent , non juniori aetati mundi , qualis apud antiquos fuit . Atque revera quemadmodum majorem rerum humanarum notitiam et maturius iudicium ( cfr . il maturo giodicio di B . ) ab homine sene expectamus quam a juvene , propter experientiam et rerum , quas vidit , et audivit , et cogitavit , varietatem et copiam ; eodem modo et a nostra aetate ( si vires suas nosset et experiri et intendere vellet ) majora multo quam a priscis temporibus expectari par est ; utpote aetate mundi grandiore , et infinitis experimentis , et observationibus ( cfr . le osservanze di B . ) aucta et cumulata » . Non mi par possibile dubitare che questo passo derivi dalla Cena , con gli ampliamenti ovvii appunto in chi ripete , ma senza più la nota finale della distinzione tra il semplice scorrere del tempo e la vita operosa del pensiero , quale vera sorgente dell ' incremento spirituale . Anche nel De augmentis scientiarum ( 1623 ) ricorre l ' arguta inversione bruniana della vita del genere umano , che dall ' alto della nuova scienza comincia a guardare come fanciulli i già venerati vegliardi del sapere antico . Qui Bacone appaia , come egualmente viziosi , i due eccessi opposti dell ' amore immoderato così del nuovo come dell ' antico : « Qua in re Temporis filiae male patrissant . Ut enim Tempus prolem devorat , sic haec se invicem ; dum Antiquitas novis invideat augmentis , et Novitas non sit contenta recentia adiicere , nisi vetera prorsus eliminet , et reiiciat . Certe consilium Prophetae vera in hac re norma est : State super vias antiquas , et videte quaenam sit via recta , et bona , et ambulate in ea , Antiquitas eam meretur reverentiam , ut homines aliquandiu gradum sistere et supra eam stare debeant , atque undequaque circumspicere , quae sit via optima : quum autem de via bene constiterit , tunc demum non restitandum , sed alacriter progrediendium . Sane , ut verum dicamus , Antiquitas saeculi , iuventus mundi . Nostra profecto sunt antiqua tempora , quum mundus iam senuerit : non ea , quae computantur ordine retrogrado , initium sumendo a saeculo nostro » . A questo luogo qualche commentatore di Bacone ha avvicinato un versetto del 2° libro di Esdra ( XVI , 10 ) : quoniam saeculum perdidit iuventutem suant et tempora appropinquant senescere ; dov ' è , piuttosto , l ' intuizione contraria della vita , non come progresso , anzi come decadenza ; e vi si può vedere soltanto un riscontro verbale al motto baconiano antiquitas saeculi iuventus mundi , Più a proposito si cita un luogo dei Problemata marina ( 1546 ) del Casmann : « Si .... antiquiorum dignitas ex tempore major videtur , id nostros qui hodie docent posteriores unice commendabit , nam tempus .... doctius et prudentius evadit ex continuo progressu , ut senescens iudicio sit acriore , solidiore et maturiore » . Ma , oltre che è assai improbabile che il Casmann fosse noto al Bruno , che suole sempre ricordare gli scrittori che conobbe , si tratta qui di un ' ovvia osservazione , che non ha la forma arguta del Bruno e di Bacone , né tanto meno la profondità filosofica del primo . VI È noto quante somiglianze e coincidenze si trovano tra gli scritti del Bruno e quelli del Galilei , e quali sospetti ha destati il silenzio assoluto del secondo sul conto del primo . Ma non è stata ancora avvertita la concordanza tra la pagina della Cena sul progresso dello spirito umano e un frammento del Galilei , pubblicato fin dal 1876 , dove è detto : « Il dire che le opinioni più antiche et inveterate sieno le migliori è improbabile , perché siccome di un uomo particolare l ' ultime determinazioni par che siano le più prudenti , e che con gli anni cresca il giudizio , così della universalità degli uomini par ragionevole l ' ultime determinazioni sien le più vere » . Anche qui è lo stesso concetto di Bruno , ma in forma filosoficamente più attenuata e quasi empirica ; sì da non potersi escludere che sia sorto spontaneamente nella mente di Galileo . Eco galileiana può ritenersi quel che si legge in uno scritto polemico di Mario Guiducci , il noto scolaro del grande Pisano , indirizzato nel 1625 contro il gesuita genovese Fabio Ambrogio Spinola ; scritto da poco venuto alla luce : « Io non voglio tralasciare di mostrarvi un grandissimo errore , nel quale incorrete non solo voi , ma anche molti e molti altri mentre accusate i filosofi moderni che ipsa antiquitate non utuntur , fondandovi sul vedere che essi mediante le ragioni ed esperienze scoperte novellamente seguano nuove opinioni . Il valersi dell ' antichità in filosofare è ottimo pensiero ; ma non dell ' antichità intesa a vostro modo , se già non vogliamo dire che un vecchio , il quale sia involto nelle leggerezze e nei piaceri giovanili , viva conforme a l ' etade antica , poi che così et egli e la maggior parte dei vecchi hanno costumato di vivere .... Quando si dice che in filosofia si ha da rivivere l ' età più vecchia e che ci conviene avere riguardo all ' antichità , si ha da intendere dell ' età più vecchia del mondo , il quale col crescere di anni cresce in maggior perfezione e maggiore esperienza e notizia delle cose . Ora , se questa vecchiezza compete molto più a ' tempi nostri che a ' quelli d ' Aristotele , ne ' quali , avendo la filosofia da due mila anni manco che adesso , era , si può dire , novizia e fanciulla , non biasimate coloro che in età matura più non vogliono pargoleggiare » . VII Più prossimo alla forma del pensiero bruniano è un frammento di Cartesio pubblicato dal Baillet nella sua Vie de Mr . des Cartes ( 1691 ) : « Non est quod antiquis multum tribuamus propter antiquitatem , sed nos potius iis antiquiores dicendi . Iam enim senior est mundus quam tunc , maioremque habemus rerum experientiam » . Ma in Cartesio quest ' idea non giova già ad apprezzare la storia , poiché egli non insiste sul fondamento di questa maggiore esperienza attribuita ai moderni ; e partecipa all ' illusione antistorica del Bacone di una instauratio ab imis , che faccia tabula rasa dal passato . Il quale , per Bruno , invece , è la base del presente . L ' intelligenza matematica di Cartesio è , com ' è noto , nelle condizioni men favorevoli a una valutazione positiva della storia . E con lui , nell ' identica situazione , si trova Malebranche ( 1674 ) , che in un luogo bellissimo della Recherche de la vérité , divenuto famoso , dice : « On estime davantage les opinions les plus vieilles parce qu ' elles sont les plus éloignées de nous . Et sans doute , si Nembrot avait écrit l ' histoire de son règne , toute la politique la plus fine et méme toutes les autres sciences y seraient contenues , de méme que quelquesuns trouvent qu ' Homère et Virgile avaient une connaissance parfaite de la nature . Il faut respecter l ' antiquité , dit ­ on : quoi Aristote , Platon , Epicure , ces grands hommes , se seraient trompés ! ? On ne considère pas qu ' Aristote , Platon , Epicure étaient hommes Gomme nous et de la méme espèce que nous : et de plus , qu ' au temps où nous sommes , le monde est plus âgé de deux mille ans , qu ' il a plus d ' expérience , qu ' il doit étre plus éclairé , et que c ' est la vieillesse du monde et de l ' expérience qui font decouvrir la vérité » . Ma qui si obbedisce ai motivi della celebre querelle des anciens et des modernes , che in Francia venne dibattuta lungo il XVII e XVIII secolo , e fu la continuazione del movimento degli scrittori nostri del Rinascimento ; iniziato in Francia appunto da Cartesio , co ' suoi seguaci che insegnò , è stato detto , « le mépris de l ' antiquité , comme Ronsafd en avait prechée l ' adoration » . Bruno era stato affatto alieno da questo dispregio dell ' antichità . VIII Molto più s ' avvicinano al pensiero del Bruno , pel maggior senso del valore dello spirito che dà loro il misticismo , Arnauld e Pascal . Il primo dei quali ribatteva la vecchia tesi della progressiva corruzione sostenuta da un teologo avverso alla nuova filosofia , dicendo paradosso ridicolo l ' immaginarsi più sapienti i più antichi . « Si cela était , il faudrait qu ' il y eut , avant le déluge , de plus habiles médecins , de plus savant géomètres qu ' Hippocrate , Archimède et Ptolémée . N ' est donc pas visible au contraire que les sciences humaines se perfectionnent par les temps ? » . Ma classico è lo svolgimento che il dà Pascal al concetto del progresso di contro al principio di autorità nella Préface sur Traité du vide ( 1647 ) : ed è il solo vero commento al luogo di Bruno , che a lui per altro rimase forse ignoto . Il Pascal fa una distinzione analoga , ma non eguale , a quella che abbiamo veduta nello scrittore italiano : ossia distingue le scienze che dipendono dall ' autorità , le quali non hanno altro fondamento che la memoria , e sono puramente storiche , mirando a conoscere quel che è stato tramandato dagli scrittori ; e le scienze che dipendono dai nostri sensi e dalla ragione . Esempi delle prime : la storia , la geografia , le lingue , ma , sopra tutto , la teologia . In queste discipline pare al Pascal che si possa giunger alla conoscenza totale , cui non sia più possibile aggiunger altro . All ' incontro , le scienze dell ' altra classe ( la geometria , l ' aritmetica , la musica , la fisica , la medicina , l ' architettura e tutte insomma le discipline soggette al ragionamento e all ' esperienza ) crescono sempre col tempo , con la fatica che vi si spende intorno e col moltiplicarsi delle esperienze . Qui si può accogliere nuove teorie senza mancar di rispetto agli antichi , e senza peccare d ' ingratitudine , « puisque les premières connaissances qu ' il nous ont données ont servi de degrés aux notres , et que dans ces avantages , nous leur sommes redevables de l ' ascendant que nous avons sur eux ; parce que , s ' étant élevés jusqu ' à un certain degré ou ils nous ont porte , le moindre effort nous fait monter plus haut , et avec moins de peine et moins de gloire nous nous trouvons au ­ dessus d ' eux . C ' est de là que nous pouvons découvrir des choses qu ' il leur était impossible d ' apercevoir . Notre vue a plus d ' étendue » . Pascal , come si vede , teorizza la necessità del progresso , al pari di Bruno . Ma il suo progresso è estensivo e non intensivo , matematico non propriamente storico , Per Bruno lo spirito si viene trasformando in rapporto con l ' estendersi della sua conoscenza ; e viceversa , la conoscenza si viene estendendo in funzione dell ' incremento incessante dello spirito . Che è il vero e concreto concetto del progresso . Al Pascal sfugge questo lato più profondo . La dignità della ragione umana , e la sua superiorità sull ' istinto , che demeure toujours dans un état égal , consiste appunto en ce que les effets du raisonnement augmentent sans cesse , Soltanto gli effetti ! La scienza istintiva degli animali non progredisce perché , acquistata sotto la pressione del bisogno , è così fragile che si perde insieme col bisogno che l ' ha fatta nascere . Gli animali la ricevono a volta a volta da natura e non la conservano . Non aggiungono mai il nuovo al vecchio ; perché non hanno mai un vecchio possesso . La natura non concede mai loro nulla di meno , affinché non periscano ; ma non concede loro neppure nulla di più « de peur qu ' ils ne passent les limites qu ' elles leur a prescrites » . L ' uomo invece è nato per superare ogni limite : n ' est produit que pour l ' infinite , Grande pensiero , che però Pascal guarda da una sola faccia , come conveniva alla sua filosofia , orientata in modo radicalmente diverso da quella di Bruno , che diceva anche lui , poco innanzi al passo qui studiato , d ' esser « promosso a scuoprire l ' infinito effetto dell ' infinita causa , il vero e vivo vestigio de l ' infinito vigore » . Per Bruno , questo infinito è interno a noi , è noi stessi . Per Pascal , fuori di noi , ed appartiene all ' oggetto , e solo all ' oggetto della conoscenza : infinito matematico , astratto . L ' unilateralità del suo progresso è evidente in questa bella pagina , onde egli spiega l ' infinità , per cui l ' uomo è prodotto : « Il est dans l ' ignorance au premier âge de sa vie ; mais il s ' instruit sans cesse dans son progrès : car il tire avantage seulement de sa propre expérience , mais encore de celle des ses prédécesseurs ; parce qu ' il garde toujours dans sa mémoire les connaissances qu ' i s ' est une fois acquisées , et que celles des anciens lui sont toujours présentes dans les livres qu ' ils en sont laissés . Et comme il conserve ces connaissances , il peut aussi les augmenter facilement ; de sort que les hommes sont aujourd ' hui en quelque sort dans le méme état où se trouveraient ces anciens philosophes , s ' ils pouvaient avoir vieilli jusques à présent , en ajoutant aux connaissances qu ' il avaient celles que leurs études auraient pu leur acquérir à la faveur de tant de siècles . De là vient que , par une prérogative particulière , non seulement chacun des hommes s ' avance de jour en jour dans las sciences , mais que tous les hommes ensemble y font un continuel progrès à mesure que l ' univers vieillit , parce que la méme chose arrive dans la succession des hommes , que dans les àges différents d ' un particulier . De sorte que tout la suite des hommes , pendant le cours de tant de siècles , doit étre considerée comme un méme homme qui subsiste toujours et qui apprend continuellement : d ' où l ' on voit avec combien d ' injustice nous respectons l ' antiquité dans ses philosophes ; car , comme la vieillesse est l ' âge le plus distant de l ' enfance , qui ne voit que la vieillesse , dans cet homme universel , ne doit pas être cherchée dans les temps proches de sa naissance , mais dans ceux qu en sont les plus éloignés ? Ceux qui nous appellons anciens étaient véritablement nouveaux en toutes choses , et formaient l ' enfance des hommes proprement ; et comme nous avons joint à leurs connaissances l ' expérience des siècles qui les ont suivis , c ' est en nous que l ' on peut trouver cette antiquité que nous révérons dans les autres » . Il Pascal , dunque , non vede altro progresso che quello della quantità delle conoscenze ; per cui l ' uomo conserva le già acquistate , ed attingendo nell ' infinità dello scibile può sempre aggiungervene nuove . Ma l ' uomo resta sempre lo stesso uomo , per estendere che faccia la sfera del proprio sapere . Questo appunto il concetto che prevarrà nella seconda metà del Seicento nella querelle ; in cui , per negare la superiorità degli antichi , si finirà col sostenere che gli uomini in tutti i tempi sono stati gli stessi ; ossia col toglier di mezzo il progresso . Onde Fontenelle nei Dialogues des morts ( 1683 ) , se fa negare da Montaigne il frutto delle esperienze umane , perché gli uomini « sont faits comme les oiseaux , qui se laissent toujours prendre dans les mémes filets où l ' on a dejà pris cent mille oiseaux de leur espèce , il n ' y a personne qui n ' entre tout neuf dans la vie , et les sottises des pères sont perdues pour les enfants » ; da Socrate fa difendere la tesi , che « les habits changent ; mais ce n ' est pas à dire que la figure des corps change aussi . La politesse ou la grossièreté , la science ou l ' ignorance , les plus ou le moins d ' une certaine naiveté , le génie sérieux ou badin , ce ne sont là que le dehors de l ' homme , et tout cela change : mais le coeur ne change point , et tout l ' homme est dans le coeur » . Tale fu il concetto astratto della natura umana , cioè dello spirito , prevalso nel secolo antistorico per antonomasia , il XVIII . Ed era stato il concetto del nostro Cinquecento , quando i comici copiavano Plauto e Terenzio , col pretesto che nil sub noni , come ripeteva il Ruzzante , e che « il mondo » come diceva Lorenzino de ' Medici nel prologo dell ' Aridosia , « è stato sempre a un modo » ; o che , come teorizzava quello spirito bizzarro del Doni , « quel che si dice oggi è stato detto molte volte , perché coloro che sono stati innanzi a noi hanno avuto i medesimi umori , più et più volte ; per esser questa materia dell ' omo d ' una medesima sostanza , sapore , et aver dentro tutto quello in questi spiriti , che tutti gli altri spiriti hanno avuto » . Era anche la convinzione dell ' autore dei Discorsi sopra la prima deca di T . Livio , quando riponeva la « vera cognizione delle istorie » nel « trarne , leggendole , quel senso » , e nel « gustare di loro quel sapore che le hanno in sé » : ossia quegli ammaestramenti , cui non badano gli « infiniti che leggono , pigliando piacere di udire quelle varietà delli accidenti che in esse si contengono , senza pensare altrimenti d ' imitarle , giudicando la imitazione non solo difficile , ma impossibile : come se il cielo , il sole , gli elementi , gli uomini fossero variati di moto , d ' ordine e di potenza , da quello che egli erano anticamente » . Bruno , insomma , in tutto il Rinascimento , per la sua intuizione della storicità dello spirito , è una voce isolata . E tale resta in tutta Europa fino a G . B . Vico . XI TOMMASO CAMPANELLA I In una delle sue ultime lettere , da Parigi , al granduca di Toscana Ferdinando II de ' Medici , il 6 luglio 1638 , Tommaso Campanella con quel fare profetico di cui soleva compiacersi , scriveva : « Il secolo futuro giudicherà di noi ; perché il presente sempre crucifige i suoi benefattori , ma poi resuscitano al terzo giorno o al terzo secolo » . Il terzo secolo non è trascorso ; e già Tommaso Campanella , il crocefisso di Spagna e di Roma , il filosofo riformatore , che nel suo petto raccolse , fuse ed espresse con pensiero e ardimento magnanimo le voci molteplici e le aspirazioni discordi del nostro grande Rinascimento e soffrì dagli anni giovanili fino all ' estrema vecchiaia tutte le persecuzioni , tutte le prigionie , tutti i tormenti , è risuscitato : non solo nel cuore del suo popolo , che nei giorni della disgrazia anch ' esso gli si volse contro e testè gl ' innalzava un monumento nella sua piazza più bella , anzi nel suo animo , ma nel pensiero di tutti i popoli civili . Ancora nel secolo XVIII uno scrittore , che doveva presto sapere anche lui che cosa costi all ' uomo liberamente pensare , Pietro Giannone , lo giudicava « un grande imbrogliatore , col capo pieno di varie fantasie , portentosi delirii , sorprendenti illusioni » . Ancora nel 1832 uno scrittore liberale , ma alla francese , Carlo Botta , lo trattava da « ingegno torbido e sfrenato » , « di costume scandaloso , frate fanatico » e impostore : uno di « quei frati infelici , ma improvvidi e pestiferi » , che « col loro feroce pensiero ritardavano l ' illuminazione e la civiltà dei popoli » . Ma già con l ' edizione delle Poesie filosofiche curata dall ' Orelli , due anni dopo , comincia la risurrezione . Ferrari e Baldacchini , Capialbi e Palermo , Tennemann e De Gerando , Trendelenburg , Carriere e Ritter , D ' Ancona e Spaventa , Fiorentino e De Sanctis , Erdmann e Windelband , Berti e Amabile , Felici e Croce , Kvacala e Blanchet e Dentice , e altri e altri , investigano la biografia avventurosa , tutta problemi e perplessità , e vi spandono sopra grandi fasci di luce , documentandone ogni giorno , ogni particolare , discutendo e illustrando il carattere dell ' uomo e la sua varia , complessa , complicata psicologia ; analizzano , commentano , rischiarano le sue dottrine religiose , sociali , politiche con quella larghezza di studi che si usa soltanto per gli scrittori capitali ; ricostruiscono la sua biografia attraverso una vasta mole di scritti d ' ogni genere , la massima parte non più ristampati , molti ancora inediti , tutti a fatica accessibili . Quanto men facile l ' intelligenza e il giudizio dell ' uomo e del suo pensiero , tanto più insistente , assidua , appassionata la ricerca . E a malgrado di tanti studi e tante pubblicazioni , non s ' è ancora soddisfatti ; poiché in verità son tuttavia non pochi i desiderata intorno alla vita , agli scritti , alle idee del grande Stilese . Non pochi documenti ancora da rintracciare ; l ' epistolario , uno de ' più sinceri , commossi , importanti , per la sostanza e per la forma , di tutta la nostra letteratura , ora finalmente raccolto , da illustrare ; le poesie , le bellissime poesie , tutte pensiero e passione , da esaminare criticamente ; una scelta delle opere da mettere in luce ; scritti dispersi da ritrovare ; molti punti delle dottrine da chiarire ; essenziali connessioni , che s ' intravvedono tra queste dottrine e quelle di alcuni dei maggiori filosofi posteriori , in Italia e altrove , da indagare metodicamente . E il lavoro infatti ferve . Gli studiosi non hanno tutti lo stesso concetto della coerenza e saldezza dell ' uomo nelle sue idee , ne ' suoi fondamentali interessi e nella sua condotta ; né dell ' indirizzo e significato del suo pensiero ; né del valore storico del sistema ; e in generale si può anche dire che non vedano chiaro in questa grande figura , in cui le luci più forti si alternano alle ombre più fitte ; ma tutti egualmente ne sentono la grandezza , e l ' amano , attratti da quella stessa forza misteriosa e irresistibile onde tutti gli animi sono avvinti ai nomi più luminosi delle loro tradizioni sacre . Il presagio del Campanella si è dunque avverato nel terzo secolo egli è risorto , ed è vivo ormai tra gli uomini vivi : vivi , perché conoscono la loro storia . Nella quale grandeggia quel Rinascimento , che è la gloria della civiltà italiana e che nessuno rappresentò più compiutamente e più vivamente del Campanella . II Non si leggono senza commozione le parole umili insieme e superbe della lettera che egli scrisse al Galilei dopo la prima lettura del Dialogo sui massimi sistemi : « Io oso a dire che se stessimo insieme in villa per un anno , s ' aggiusteriano gran cose ; e benché V . S . sola è bastante , io mi conosco utile giunto a lei ; e farei molte dubitazioni , non peripatetiche né volgari , circa i primi decreti della filosofia . Dio non vuole ; sia lodato . Queste novità di verità antiche , di novi mondi , nove stelle , novi sistemi , nove nazioni etc . son principio di secol novo . Faccia presto Chi guida tutto . Noi , per la particella nostra , assecondiamo » . In una delle sue ultime opere , intesa a dimostrare la necessità di una filosofia nuova , veramente cristiana , che la rompesse una volta con quelle pericolose dottrine degli antichi Greci , segnatamente di Aristotele , che anche i filosofi antiscolastici del primo Rinascimento s ' erano indugiati a vagheggiare , interpretare e difendere , questo sentimento delle grandi novità che avevano cambiato affatto l ' aspetto del mondo fisico e morale mediante le scoperte geografiche , i viaggi e le relazioni dei viaggiatori circa i costumi , le lingue e le credenze dei popoli ignoti agli antichi , e le scoperte di nuove stelle e accidenti celesti , e le nuove intuizioni del sistema cosmico , che capovolgevano le idee fin allora universalmente ricevute e messe a fondamento di tutta una concezione , non pure fisica , ma metafisica , religiosa e morale del mondo e dell ' uomo ; questo sentimento riempie l ' animo del Campanella di entusiasmo e di slancio . « Tutta la filosofia » , egli dice , « si deve rinnovare . Chi lo nega , e neghi che è stato scoperto un nuovo mondo , e stelle e pianeti nuovi , e mari e animali e terre abitate e religioni » III Egli ama scrivere i suoi trattati nel suo italiano rude , di getto , tinto di calabresismi ; e gli amici , desiderando diffonderli e non trovando modo di stamparli in Italia , lo esortano a tradurli nella lingua comune ai dotti d ' ogni nazione , in latino : come a dire , a spogliarli di ciò che nel suo scrivere era più personale e più suo , insieme coi ricordi e le allusioni ai luoghi più caramente diletti , ai familiari e ai casi della sua vita privata . Ed ei si rassegna alla dura fatica , senza , per altro , andare in cerca di classiche eleganze , contentandosi di un latino grosso e quale potevasi correntemente parlare in una scuola di quei conventi calabresi , in cui aveva passato la sua prima giovinezza e fatti i suoi studi . Ma , in compenso , l ' animo gli trabocca pure nel verso , in un impeto di poesia aspro ma possente : con accenti danteschi , come , dopo Michelangelo , non se n ' erano più uditi ; con la stessa ispiratrice speranza di Dante , di creare un mondo nuovo , chiamare a vita una nuova progenie . Crearlo in questa Italia , di cui al nostro filosofo tumultuano in petto le memorie gloriose , recenti ed antiche , e a cui egli vorrebbe con l ' esempio e col canto , con l ' insegnamento e con l ' azione , restituire la prisca e fatale grandezza . La gran donna , ch ' a Cesare comparse sul Rubicon , temendo a sé rovina dall ' introdotta gente pellegrina , onde ' l suo imperio pria crescer apparse , Sta con le membra sue lacere e sparse e co ' crin mozzi , in servitù meschina . Così un ricordo lucaneo e la realtà storica gli rappresentano l ' Italia politica del suo tempo . E l ' Italia letteraria ? La stessa prostrazione e servitù : e i poeti incapaci di liberarsi dalla vecchia materia poetica , dalle tanto abusate favole greche : Grecia , tre spanne di mar , che di terra cinto , superbia non potea mostrare , solcò per l ' aureo vello conquistare e Troia con più inganni e poca guerra ; poi tutto il mondo atterra di favole , e di lui succhia ogni laude . Ma Italia , che l ' applaude , contra se stessa e contra Dio quant ' erra ! Ella , che mari e terra , senza fraude , con senno ed armi in tutto il mondo ottenne , e del cielo alle chiavi alfin pervenne ! Cristoforo Colombo , audace ingegno , compie col corpo un viaggio , che altri , poeti teologi filosofi , non avevan saputo neppur con la mente ; getta a Cesare e a Cristo un ponte fra due mondi , e conquista l ' Oceano . Ebbene , in suo luogo continua a esser celebrato un vile Tifi . Il Vespucci , nato in città « nido di scrittori illustri » , dà nome a un nuovo mondo : ma dei poeti chi ne è ispirato a cantarne la gloria ? Tutti giacciono nel « favoloso intrico » degli dèi falsi e dei falsi eroi di Grecia . Gli antichi legislatori di Roma , di Etruria , della Magna Grecia dimenticati . E chi n ' ha colpa ? Italia , sepoltura de ' lumi suoi , d ' esterni candeliere ; Italia , che non cura Telesio per amor d ' uno Schiavone ( Aristotele ) ; e perseguita quel di cui l ' aurora gli antichi occupa , e Stilo ingrata onora . Italia , infetta da private invidie e interessi , che la fan serva degli stranieri , pronti a fomentare le sue interne discordie ; ignara della sua virtù , già splendida a ' tempi di Roma , in lettere e in armi più feconda Che l ' universo tutto quanto insieme ; per non dire della moderna Venezia , fiera e superba Venezia , incurante delle favolose glorie di Grecia : Venezia , onor di virgini e di spose nuota in mar , rugge in terra e vola in cielo pesce , leon alato col Vangelo . Per svegliare quest ' Italia , Campanella invoca la Musa latina , e la invita a prendere la barbara lingua , il nostro idioma nuovo : Tanto più , che il fato a te die ' certo favore , perché comunque soni , d ' altra imitata sei d ' Italia augurio antico e mal cognito , ch ' ella d ' imperii gravida e madre sovente sia . Il Carducci , ai nostri giorni rinnovatore felice della metrica antica e dei saggi del Campanella ammiratore , non avrà alla stessa impresa così alto e potente motivo come questo del filosofo poetante , credo , sui trent ' anni , a Roma , nelle carceri del Sant ' Uffizio per rievocare la grande , la forte poesia di Roma signora del mondo : Musa latina , vieni meco a canzone novella : te al novo onor chiama quinci la squilla mia , sperando imponer fine al miserabile verso per te tornando al già lagrimato die . Al novo secol lingua nova instrumento rinasca : può nuova progenie il canto novello fare . Quando , nel fondo della sua prigione in Castel dell ' Ovo , nel 1611 , può aver notizia del Nunzio Sidereo e delle meraviglie di cui vi si dà ragguaglio , il cuore gli balza in petto di gioia e di orgoglio . Era un altro fierissimo colpo all ' inviso aristotelismo , un altro sicuro indizio della rinnovazione del secolo ; e poi era una nuova palma toccata al genio italiano . E si congratulava con Galileo della nuova splendida gloria nazionale : « Mi sdegnavo » , gli scriveva nel suo solito latino , « con questa nostra Italia , madre dell ' impero e tribunale della Santa Chiesa , e pur tributaria degli stranieri in ogni altra scienza : quasi padrona che avesse chiamato al proprio servizio delle ancelle , le quali poi avessero messo superbia e spadroneggiassero . Talché Aristotele era divenuto l ' oracolo dei filosofi , Omero dei poeti , Tolomeo degli astronomi , Ippocrate dei medici . Virgilio stesso cedette agli altri popoli il primato dell ' arte , dell ' eloquenza e della scienza , solo contento che ai Romani fosse riservata l ' arte della guerra , del diritto e del governo : Tu regere imperio populos , Romane , memento ( Hae tibi erunt artes ) pacisque imponere mores , Parcere subiectis et debellare superbos . Ma anche quest ' arte è ormai migrata agli spagnuoli e ai tedeschi ; e a noi non è rimasta più lode di sorta , e i nostri poeti non cantano più che gli dèi e gli eroi de ' gentili . E pure , profecto viget adhuc imperium Italicum : il romano Pontefice sovrasta a tutti i principi della terra , e la teologia romana detta leggi a tutte le scienze . A tutto il mondo è nota la virtù italiana , a sé sola ignota . E anche nelle dottrine inferiori ( alla teologia ) l ' Italia supera tutti ; resta che licenzii le ancelle e si serva de ' suoi . Telesio ha discacciato a buon dritto Aristotele ; ma , ciò malgrado , ancora si rendono onori ai costui funerali . Virgilio e Dante hanno offuscato Omero ; in Celso l ' Italia ha il suo Ippocrate , in Plinio il suo Dioscoride : nell ' astrologia Cardano sconfisse gli arabi . In astronomia Tolomeo e Copernico ci facevan arrossire ; ma ora tu , uomo famosissimo , non restituisci a noi la gloria dei Pitagorici rubatici da ' subdoli Greci , risuscitando le loro dottrine , ma col tuo splendore estingui la gloria di tutto il mondo . Et vidi caelum et terram novam , dissero l ' Apostolo e Isaia , e noi non vedevamo ; ma ecco , tu purgasti gli occhi degli uomini , e mostrasti il nuovo cielo e la terra nuova » . IV Nell ' Italia della fine del Cinquecento o del primo Seicento nessuno , né tra gli uomini di Stato né tra gli scrittori , ha sì alto e fermo concetto della dignità e del destino nazionale . Ma nessuno , in quel tempo , né in Italia né fuori d ' Italia , neppure l ' altro grande domenicano che col Campanella pare abbia avuto comuni nel 1595 gli ozi forzati e tristemente meditabondi di Tor di Nona , il carcere romano del S . Uffizio , « rocca sacra a tirannia segreta » , neppure , dico , Giordano Bruno , l ' altro eroe e martire del nostro Rinascimento , ha così profondo e vibrante il sentimento dell ' avvenire : del secolo che si rinnova , e si rinnova per opera del pensiero . Telesio è stato anche da Bacone celebrato come il primo degli uomini moderni . Ma egli si contenta di guardare e di vedere con nuovo occhio la natura intesa per la prima volta , com ' ei dice , iuxta propria Principia . E perciò dallo stesso Bacone la sua filosofia fu definita come una filosofia pastorale , senza cioè interessi umani , sociali , storici , politici . Bruno , senza dubbio , ha respiro assai più ampio ; e nella sua natura palpita pure una forma d ' umanità ; poiché essa gli si spiritualizza tutta in una concezione monadistica del minimo identico al massimo , cioè infinito , che precorre a Leibniz . Così , in certa guisa , la natura bruniana ha dell ' umano ; ma essa non ha storia , non ha Stato , non volontà e passione politica . È un ' umanità che non si ritrova , qual ' essa è in concreto , in questa vita a cui ci legano i nostri interessi , e in cui tutti ci sforziamo di attuare i nostri ideali . sicché noi , leggendo Bruno , seguendolo nella sua vita randagia in traccia della verità che lo innamora , fino al processo che lo piomba nel buio , e al rogo ch ' egli ascende animoso con la coscienza di adempiere un solenne ufficio storico , noi , dico , non sapremmo raffigurarcelo a prender posizione tra gli avvenimenti e le forze politiche contemporanee , e neppure a costruire per suo conto un programma d ' azione . Il suo mondo non è quello . E quel mondo di uomini , di leggi , d ' istituti e di forze , che rimane fuori dei quadri del suo pensiero e degl ' interessi del suo spirito , è poi il mondo in cui egli s ' abbatte infine con l ' ingenuo candore d ' un fanciullo ignaro , e che perciò lo stritola . L ' avrebbe certamente stritolato lo stesso , se egli si fosse accinto a combatterlo apertamente ; ma egli , come tanti altri pensatori contemporanei e anteriori , e soltanto in modo anche più tipico e storicamente significativo , visse nell ' ingenua convinzione , chiaramente manifestata nell ' interrogatorio di Venezia , che quel mondo non lo riguardasse , e che ei potesse liberamente filosofare dentro la sfera chiusa del suo pensiero . Guardate anche Galileo , non soltanto ne ' suoi libri , che , concernendo fatti celesti e schemi e formule matematiche , non possono riferirsi a cose umane , e tanto meno a rapporti sociali e civili ; ma nelle sue lettere , nelle sue lucubrazioni intorno alle relazioni della scienza con la religione rivelata , nella sua stessa vita . Egli , uomo e pensatore , è il modello perfetto del letterato , come allora si diceva in Italia anche lo scienziato e il filosofo , e si continuò a dire anche nel secolo XVIII : del letterato , che fu nel Rinascimento l ' erede del filologo umanista del secolo XV ; quando il medio evo cadde e lo spirito umano prese ad elaborare il concetto della vita , che distingue la storia moderna : il concetto della libertà interiore assoluta , quale si può concepire soltanto se si prescinde da ogni trascendente . E l ' Umanesimo poté avviarsi per questa nuova via , quando , oppresse le libertà comunali e formate le signorie , ogni città veniva in mano ai tiranni , e battute , ad opera specialmente degli ordini mendicanti , tutte le eresie , si veniva rinsaldando , nella Chiesa e , per la Chiesa , mediante il braccio secolare del potere laico assoggettato spiritualmente a lei , la catena infrangibile dei dommi religiosi . Vi si poté avviare per questa ragione : che il mondo dell ' umanista si spiccò nettamente e divise da quello reale , dominato dallo Stato e dalla Chiesa a un tempo ; e fu un mondo antico , o senza tempo , storico o poetico , un mondo della memoria o dell ' immaginazione , radicalmente distinto dal mondo presente e vivo . Un mondo , come oggi si direbbe , cerebrale , in cui l ' umanista trasferì idealmente tutto se stesso , perfino i suoi interessi religiosi e politici , per vivervi dentro idealmente , e pur con pienezza di passione , tutta la sua vita , libero da ogni legame con quell ' altro mondo , in cui egli poteva senza scrupolo e senza noia restare al servizio del suo signore , pagato come un qualunque altro servitore . Allora la scienza si separò dalla vita , come non era mai accaduto , tranne casi individuali , né nell ' antichità né nell ' età di mezzo . Allora la poesia diventò affare d ' immaginazione o fantasia che non abbia nulla che fare con l ' uomo che ha una sua fede e una sua opinione di cittadino . Non si ebbe più un poeta come Dante , uomo intero , che porta tutto il suo mondo , dove batte il suo cuore di uomo coi suoi amori e i suoi odii e le sue salde convinzioni , fin nell ' inferno e nel cielo della sua fantasia . Nacque la teoria della forma dell ' arte , indipendente dal contenuto ; e quella dell ' imitazione , per cui l ' arte degli antichi poté essere pure l ' arte dei moderni . E risorse la vecchia rettorica , che gli antichi avevano inventata nel periodo della decadenza . E venne in grande onore la grammatica e l ' erudizione . Ma si formò pure l ' ideale dello spirito sopramondano , che è quello cui spetta di spaziare nell ' infinito dell ' arte e del pensiero , senza vincoli di spazio e di tempo , di leggi e condizioni contingenti ; dove sono le cose eterne , a cui tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutte le nazioni aspirano come a termine essenziale d ' ogni loro attività . Ideale , che solo nell ' arte , espressione del sentire individuale , qual che esso sia , per se stesso , ottenne allora il suo intero appagamento ; e in ogni altra forma di vita spirituale poté essere perseguito solo in quanto questa vita si spiegasse dentro i limiti che son propri dell ' arte : dentro cioè alla fantasia , ossia a un mondo che non fosse da rappresentarsi come reale , come il vero mondo , conosciuto attraverso la percezione o la divina rivelazione , e retto per mezzo dell ' ordinamento politico o religioso . Così anche la scienza , anche la filosofia fu letteratura . E si rinnovò quella dottrina della doppia verità , che i filosofi eterodossi medievali avevano escogitata per accogliere e insegnare dottrine contrarie ai dommi , senza rinunziare perciò alla loro fede o essere espulsi dalla Chiesa . Della quale dottrina quella di Bruno , di Galileo e dello stesso Campanella , ripresa poi dallo Spinoza e dai cattolici modernisti degli ultimi tempi , circa la doppia rivelazione divina , nella scrittura o nella natura , e la conseguente indipendenza della ricerca scientifica dalla teologia , è un corollario . V Letterato , in questo senso , per eccellenza , è , dunque , Galileo , pronto a concedervi tutto , se gli lasciate la gioia di fabbricarsi il suo cannocchiale e di guardarvi dentro , e poi di ragionar liberamente sulle sue scoperte , e di applicare all ' esperienza sensata la geometria ; e insomma se lo lasciate senza molestie a leggere il gran libro della natura , che è tutto il suo mondo . Dove non si vedono più libri scritti , né quindi la Scrittura sacra ; dove non c ' è posto né pel Granduca suo padrone , né per quella sua benigna Granduchessa madre , né per quel cocciuto sragionatore di Urbano VIII , né per quel loico tremendo del cardinal Bellarmino . Egli non esita a profferirsi servitore umilissimo di tutti questi signori ; e a sottomettersi magari all ' ammonizione del 26 febbraio 1616 che gl ' ingiunge d ' astenersi dal professare che il sole è fermo e la terra si muove ; pensando che un accomodamento ci dovrà essere anche col Papa e con gl ' inquisitori : purché egli nel segreto del suo spirito insonne prosegua le sue speculazioni , che sono la sua vita . In tutto il suo carteggio e in tutta la biografia non si sorprende uno scatto , un accenno , un accento che mostri , di là dal letterato , l ' uomo . L ' uomo dico , che si accampa tra gli uomini e al cospetto di Dio . Se esce dalla sua filosofia naturale e da ' suoi teoremi di meccanica , scriverà qualche capitolo giocoso , parteciperà alla disputa tra i partigiani dell ' Ariosto e quelli del Tasso . Sempre mondo di letterati ; del quale quanti sono che attendono ai negozi del mondo , dell ' unico mondo reale , o dell ' altro mondo , sorridono . E l ' ideale del letterato , come altri frutti del nostro Rinascimento , passò dall ' Italia alle altre nazioni . Anche Bacone , anche Cartesio , i grandi novatori della filosofia europea , sono , in questo senso , letterati , ancorché il primo partecipasse alle cose politiche del suo tempo . E quell ' ideale si è modificato , più tardi , ma non è più morto . poiché anche oggi abbiamo il filosofo letterato che a causa della filosofia si crede licenziato dai doveri del cittadino e dell ' uomo , e distingue la teoria dalla pratica , felice di ascriversi alla prima per sottrarsi alle fatiche , alle lotte , alle responsabilità , ai fastidii della seconda . Ma questo filosofo non appartiene alla « nuova progenie » invocata da Campanella . Al quale bensì può raccostarsi , per certi rispetti , Niccolò Machiavelli , che , a differenza degli stessi scrittori politici del suo tempo e posteriori , ha gli occhi bene aperti sul presente , sulla realtà effettuale , com ' ei dice , delle cose e degli uomini ; ed ha pure un ' accesa idealità in fondo all ' anima , un suo programma , una sua passione veemente . E infatti Campanella non si scorda mai di lui , e lo combatte accanitamente , poiché si occupano dello stesso problema e non vanno d ' accordo nella soluzione : il fiorentino restando al concetto di Stato come forza , per dirla con parola d ' oggi , e il calabrese mirando più in là , allo Stato etico , dotato di un valore fondamentalmente morale e religioso . Ma Niccolò Machiavelli , col suo sogghigno verso i profeti disarmati come fra Girolamo , non può paragonarsi a Campanella quale rappresentante dello spirito del Rinascimento rivolto all ' avvenire , e iniziatore del secolo che si rinnova . Anche l ' ideale di Machiavelli è letterario , se si considera che egli concepisce lo Stato come opera d ' arte , che la virtù dell ' individuo possa creare . Il suo individualismo lo estrania da quella realtà effettuale , a cui egli guarda ; e fa del suo programma d ' azione una costruzione teorica , al servizio della quale infatti non pone la sua vita . In Campanella , invece , c ' è Machiavelli e c ' è Savonarola : la costruzione dell ' intelletto congiunta con l ' ardore della volontà ; la politica , che è poi tutta una filosofia , s ' è fatta uomo , fiera d ' una sua coscienza eroica , che affronta in pieno la realtà tutta , naturale ed umana , e intende con fede indomabile a trasformarla , armata del pensiero . VI Tutti i due secoli di rinnovamento che gli sono alle spalle , il Quattro e il Cinquecento , risuonano in Italia di voci or fioche e sommesse , or alte e squillanti , che , celebrando la potenza dell ' uomo , e cioè del pensiero che è il suo privilegio , tendono a incuorargli una energica e poten ­ e fede nelle proprie forze , destinate a rinnovare il mondo ed instaurare , col dominio della natura sempre meglio conosciuta e quindi più sicuramente padroneggiata e col progressivo perfezionamento di tutti gl ' istituti umani , quel regno dell ' uomo che Bacone auspica , e che è il cristiano regno dello spirito , come , immanentisticamente l ' intende il pensiero moderno : mondo della ragione tutta spiegata , come pure diceva il cattolico Vico . Mondo , questi ci avvertirà , fatto dagli uomini , nei quali , mediante il senso comune , agisce la Provvidenza divina ; fatto , cominciarono a ritenere e dissero sempre più fermamente gli scrittori dell ' Umanesimo e del Rinascimento , dall ' uomo che , come tale , come essere che pensa , non è uno tra gli esseri della natura , tutti soggetti a leggi immutabili e fatali , ma è una libera attività , creatore , e quindi arbitro del mondo suo . Ma coteste voci esaltatrici dell ' umana potenza , giunte al Campanella , ascoltate con animo disposto da una nuova grande filosofia , scuotono profondamente tutte le sue fibre ; e si raccolgono e potenziano in un canto magnifico , che è l ' inno più ispirato che sia mai sgorgato da petto d ' uomo in lode del Pensiero . Ricorre , come s ' è detto , in abbozzo o in forma più o meno matura e perfetta , quattro volte ne ' suoi scritti : nel De sensu rerum , nell ' Alheismus triumphatus , nelle Poesie , nella Metafisica : era una corda pronta sempre a vibrare nel suo cuore . Ognuno deve aver letto , o deve leggere la saffica Della Possanza dell ' uomo , dove si dice chi è e che fa questa « immagin bella » di Dio , « ch ' uomo s ' appella » . Egli è nato di fango , senza senno , inerme , ignudo , tra tanti animali più forti , vestiti di pelo o squamme , veloci , armati di artiglio o corno . Ma poi vien per lui l ' ora del sapere , che ne fa un secondo Dio , in questo basso mondo . E , dio secondo , miracol del Primo egli comanda all ' imo , - - e ' n ciel sormonta senz ' ali , e conta - - i suoi moti e misure e le nature . Conosce tutte le stelle , e i loro influssi , sì che indovina il futuro . E conosce l ' aria , l ' acqua , la terra ; e domina quindi e governa le forze di questa natura : Il vento e ' l mar ha domo - - e ' l terren globbo con legno gobbo - - accerchia , vince e vede , merca e fa prede . Merca e fa prede ; a lui poca , è una terra . Tuona , qual Giove , in guerra - - un nato inerme ; porta sue inferme - - membra e sottogiace cavallo audace . Cavallo audace e possente elefante : piega il leon innante - - a lui il ginocchio ; già tirò il cocchio - - del roman guerriero ardir ben fiero ! Ogni ardir fiero ed ogni astuzia abbatte , con lor s ' orna e combatte , - - s ' arma e corre . Giardino , torre - - e gran città compone e leggi pone . Ei leggi pone , come un Dio . Egli astuto ha dato al cuoio muto - - ed alle carte di parlar arte ; - - e che i tempi distingua dà al rame lingua . Anche la scimmia e l ' orso han mani ; ma l ' uomo solo maneggia il fuoco : ei solo si alzò a tal volo , Si alzò a tal volo , e dal pianeta il tolse ; Con questo i monti sciolse , - - ammazza il ferro , accende un cerro , - - e se ne scalda e cuoce vivanda atroce ; vivanda atroce d ' animai che guasta : latte ed acqua non basta , - - ogn ' erba e seme per lui ; ma preme - - l ' uve e ne fa vino , liquor divino . Liquor divino , che gli animi allegra . Con sale ed oglio integra - - , il cibo , e sana . Fa alla sua tana - - giorno quando è notte : oh leggi rotte ! Oh leggi rotte ! ch ' un sol verme sia Re , epilogo , armonia , - - fin d ' ogni cosa . Leggi rotte nella natura , in forza , secondo il Campanella , della virtù ascosa nella medesima ; virtù che ne dirige e sostiene il corso ordinario , ma interviene pure talvolta in forma eccezionale nel miracolo : « gloria propria » di Dio , che fa bensì copia di sé all ' uomo . Il quale perciò richiama a vita i morti , passa i mari a piede asciutto , predice il futuro , e ascende con Elia o S . Paolo alla stessa scuola di Dio ; e svela insomma i divini misteri : e truova con manifesta pruova - - Cristo a destra della maestra - - Podestate immensa . Pensa , uomo , pensa . Pensa , uomo , pensa ; giubila ed esalta la Prima Cagion alta ; - - quella osserva , perch ' a te serva - - ogni altra sua fattura . Il pensiero , creatore e signore del mondo , è dunque pensiero umano , ma è primieramente pensiero divino . Campanella ripete la fede nella sua propria potenza riformatrice e instauratrice d ' un nuovo mondo dalla sapienza creata « diffusa in ogni ente impregnata dall ' intelletto divino » : figlio , com ' ei dice , del primo Senno e di Sofia . Essa mi nutre , al suo marito pia : e mi trasfonde seco , agile e snello dentro ogni tutto , ed antico e novello , perché conoscitor e fabbro io sia . Infatti « dal divino Senno aiutato , il savio penetra , con esso lui , quasi volando , tutte le cose fatte e fatture » . Senno , Sofia , pensiero umano son tutt ' uno . Questo pensiero dirà perciò Di cervel dentro un pugno io sto , e divoro tanto , che quanti libri tiene il mondo non sazian l ' appetito mio profondo . Quanto ho mangiato ! e dal digiun pur moro Più si ciba , e più ha fame : distando e sentendo , giro in tondo ; e quanto intendo più , tanto più ignoro , Quale più evidente segno dell ' infinità e divinità dello spirito umano ? Il quale perciò , se vuol giungere a Dio , non si deve servire di sillogismi ; che , come ripeterà nella Metafisica , sono quasi strali , che essi , e non noi , pervengono alla mèta ; né di autorità , che è come toccare un oggetto con mano d ' altri ; ma deve sentire dentro di sé la presenza dell ' Infinito : illuiarsi , per dirla con Dante , incingersene . Che se ogni amore raddoppia le forze dell ' anima , dirà in altro sonetto , l ' anima che « è rinchiusa a questa scorza » , ove si unisse d ' amore a Dio , si faria un ' immensa spera , che amar , saper e far tutto potrebbe in Dio , di meraviglie sempr ' altèra . In una delle canzoni « in dispregio della morte » dice , in un verso stupendo , che l ' anima , uscita dal corpo , Snella per tutto il mondo e lieta vola . Ma a questo sublime volo , per Campanella , che nel fondo del suo pensiero non crede alla morte , a questo volo , per cui l ' anima non sale soltanto al cielo e scruta le divine essenze , ma penetra e spazia « per tutto il mondo » , la filosofia , che « rende al cielo » della verità , c ' impenna l ' ali in vita . E in altra canzone Del sommo Bene metafisico il Poeta con alta fede canta : Mai non si muore : godi , alma superba , l ' obblio d ' antica , ti fa sempre acerba . Oh , felice colui , che sciolto e puro senso ha , per giudicar di tutte vite ! Che , unito a Dio , per tutto va sicuro senza temer di morte né di Dite . Già il vivere è un continuo morire ; ma appunto perciò morire è pur vivere ; che è il bene sommo , la gioia divina che nessuno e niente può strappare , poiché anche il dolore , anche il martirio , è vita : quella vita , che in Dio , al suo principio , e in tutte le creature , in tutto il suo corso , retto sempre dal soffio della vita divina , è unità di potere , sapere e volere : questa monotriade , che è lo spirito , questa attività onnipotente , creatrice , consapevole . Quindi l ' indomito vigore di chi sa veramente , e perciò sa amare , e non conosce limiti che arrestino il suo infinito volere . Perciò Campanella , incatenato al suo Caucaso , si erge in tutta la fierezza della sua coscienza prometeica ; e s ' ascrive a fortuna le sue stesse miserie : Gran fortuna è ' l saper , possesso grande più dell ' aver ; né i savi ha sventurati l ' esser di vil progenie e patria nati : per illustrarle , son sorti ammirande . Hanno i guai per ventura , che più spande lor nome e gloria ; e l ' esser ammazzati gli fa che sian per santi e dèi adorati . Il sonetto ha valore autobiografico . E non importa che talvolta egli assuma coi papi e cardinali e potenti il tono supplichevole della preghiera di chi è stanco di soffrire e anela alla luce , alla libertà , alla gioia d ' una più ampia attività . Anche allora quella fede nel pensiero , che è la sua potenza , non vien meno . Ecco p . e . le dolenti parole d ' una sua lettera scritta nel 1607 da S . Elmo al Papa : « Per tanto , Santissimo Padre , sendo stato io otto anni in una fossa , dove non vedo cielo né luce mai , sempre inferrato , con mal mangiare e peggio dormire , e con dolori di testa che casco spesso morto , e d ' orecchie e di petto , oltre li tormenti asprissimi di corda , e dui polledri , e quaranta ore di veglia con funicelli sin all ' ossa e sedendo sopra un acutissimo legno , che secaro più di due libre di carne , e più che venti di sangue in diverse volte m ' usciro ; e sanai miracolosamente ; e con tanta pazienzia e miseria Dio mi tenne vivo , e per pazzia , dove non giovò la sapienza , e con speranze divine , mancando tutte l ' umane ; devo oggi , dopo tanta penitenza , essere ascoltato dalla degnissima Madre Santa Chiesa e da Vostra Beatitudine » . Ma in questa stessa lettera alza la voce proseguendo : « O Santo Padre , la logica della Sapienza incarnata è questa : a fructibus cognoscetis eos , E perché dall ' ombre dell ' arbor mio giudicano di me e dalle parole di nemici , e non dalli frutti e dall ' opere mie ? » . Ma sopra tutto vuol essere ascoltato per le grandi verità , per le cose mirabili che egli può dire , se non lo si vuol combattere con ferri , fosse , boia , sbirri , tormenti e altre armi del genere , di cui egli è sprovvisto , sì piuttosto « con la ragione » . « E d ' ogni cento loro darò cinquanta e la mano , e litigarò , e li vincerò con queste armi cristiane . O Santo Padre , tutta la vita mia fu studi reconditi e di verità naturali , politiche e divine ; e sempre piena di guai e di persecuzioni . E sempre con pazienza sono stato intra la Chiesa , benché mille volte fui invitato d ' andar in Francia e in Germania , e da ' Veneziani in Turchia con l ' ambasciatore per persuadere al Turco un gran negozio ; e mai non l ' ho fatto per lo gran desiderio e gioia c ' ho delli studi miei » . I quali gli consentono di dire al Papa , che egli ha diritto ad essere difeso e salvato , perché egli può far bene alla Chiesa e all ' Italia : « lo son tanto inamorato della gloria d ' Italia ; e vedendo c ' ha perduto la signoria del mondo , e che si serba il suo splendore solo nel Papato .... per ben della patria , come buon filosofo , son votato al sacrificio e al martirio ; e scrissi di ciò tanti libri » . E tutti questi appelli e memoriali contengono un elenco dei molti libri scritti e delle grandi promesse che , grazie al gran sapere , è in grado di fare per l ' Italia , per l ' impero , per la cristianità , per una riforma universale . Nella stesso preghiera a Dio l ' accento supplichevole s ' alterna a quello del diritto che compete alla sua grande e privilegiata personalità : A te tocca , o Signore , se invan non m ' hai creato , d ' esser mio salvatore . Signor , a cui son figlie le pietose preghiere , le tue gran maraviglie e grazie in me non mostri ; faraile a ' morti note ? o il fisico a cantar tue glorie altère risuscitar gli puote ? o fia ne ' ciechi chiostri , chi narri gli onor vostri ? o qui al buio alcun scerne , tra oblio e perdizion , tue prove eterne ? E par talvolta si muti in rimprovero : - - Libertà , - - Signor , bramo ; e tu pur non m ' ascolti , ma volgi gli occhi altrove . Povero io nacqui , e di miserie vengo nutrito in mille prove ; poscia tra i saggi e stolti alzato , mi trasvolti con terribil prestezza nella più spaventevole bassezza . Anche a Dio , come ai potenti della terra , egli sa di poter promettere , in cambio della libertà , le meraviglie del suo ingegno e del suo sapere : Se mi sciogli , io far scuola ti prometto di tutte nazioni a Dio liberator , verace e vivo , s ' a cotanto pensier non è disdetto il fine a cui mi sproni ; gl ' idoli abbatter , far di culto privo ogni dio putativo , e chi di Dio si serve e a Dio non serve ; por di ragione il seggio e lo stendardo contra il vizio codardo ; a libertà chiamar l ' anime serve , umiliar le proterve . Né a ' tetti , ch ' avvilisce fulmine o belva , dir canzon novelle , per cui Siòn languisce . Ma tempio farò il cielo , altar le stelle . La coscienza del pensiero possente lo innalza sempre con irresistibile vigore : Con vanni in terra oppressi al ciel non volo , in mesta carne d ' animo giocondo ; e se talor m ' abbassa il grave pondo , Pale pur m ' alzan sopra il duro suolo . VIII Or come si formò in lui quest ' alta coscienza ? A monsignor Antonio Querengo , che gli aveva dato alcun cenno di benevolenza e interessamento come ad uomo degno di esser paragonato per la vastità del sapere e l ' acume dell ' intelletto a Pico della Mirandola , Campanella , umile e superbo , scriveva dal suo « profondo Caucaso » l'8 luglio 1607 : « Io , signor mio , non ebbi mai li favori e grazie singulari di Pico , che fu nobilissimo e ricchissimo , ed ebbe libri a copia , e maestri assai , e comodità di filosofare , e vita tranquilla ; le quali cose fan fruttar mirabilmente un fecondo ingegno . Ma io in bassa fortuna nacqui , e dalli 23 anni di mia vita sin ad ora , che n ' ho 39 da finir a settembre , sempre fui perseguitato e calunniato da che scrissi contra Aristotele di 18 anni ; ma il colmo cominciò a 23 , con questo titolo : Quomodo literas scit , cum non didicerit ? Son otto anni continui che sto in man di nemici , et per sapientiam et per stultitiam sette volte dalla presentissima morte il Senno eterno mi liberò . E inanti a questi otto anni stetti in carcere più volte , che non posso numerar un mese di vera libertà , se non di relegazione . Ebbi tormenti inusitati e li più spaventosi del mondo cinque fiate ; e sempre in timore e dolori . Nella gioventù mia non ebbi maestri , se non di grammatica , e dui anni di logica e fisica d ' Aristotele , la qual subito rinegai come sofistica . E studiai solo tutte le scienze da per me , e scrissi cose non volgari , e caminai per tutte le sette antiche e moderne di filosofi , di medici , di matematici , di legislatori e di altri scienziati , nell ' arti parlatrici e operatrici e conoscitrici , e sacre e profane d ' ogni maniera . E nelle tribulazioni sempre più imparai ; e trovai vero : patientia probat viri doctrinam ... Ecco dunque il diverso filosofar mio da quel di Pico . Ed io imparo più dall ' anatomia d ' una formica o d ' una erba ( lascio quella del mondo mirabilissima ) che non da tutti li libri che sono scritti dal principio de ' secoli sin a mò , dopo ch ' imparai a filosofare e leggere il libro di Dio . Al cui esemplare correggo i libri umani malamente copiati e a capriccio , e non secondo sta nell ' universo libro originale . E questo m ' ha fatto legger tutti autori con facilità e tenerli a memoria : della quale assai dono mi fè l ' Altissimo , ma più ingegnandomi a giudicarli col riscontro dell ' originale » . Grande ingegno dunque quello del Pico e d ' altri , ai quali il Campanella non crede potersi accostare : ma sviato per quel filosofare « più sopra le parole altrui che nella natura » . Gli « opinanti nelle scole umane » son tutti eguali , né possono esercitare alcuna autorità sopra chi preferisce invece ricorrere alla stessa scuola di Dio , aperta nella natura , innanzi agli occhi di tutti . Lo stesso Lattanzio , lo stesso S . Agostino non negarono l ' esistenza egli antipodi « per argomenti e per opinioni » ? Ebbene , « un marinaro gli ha fatti bugiardi col testimoniar e visu raquo ; . Questo modo di filosofare , dice Campanella , « mi ha consolato l ' animo ; ché , fatta essamina di tutte le sette e religioni che furo e sono nel mondo , ho , come spero , assicurato più me stesso e tutti gli uomini delle verità cristiane e della testimonianza apostolica , e vendicato il Cristianesimo e liberato quasi dal Machiavellismo e dall ' infiniti dubbi , che pungeno li cuori umani in questo secolo oscuro , dove tutti , filosofi e sofisti , religione , empietà e superstizione hanno egual regno e paion d ' un colore » . IX La Natura : ecco l ' assoluto , il Dio di Campanella . Quella Natura che Telesio , il Telesio de ' suoi anni giovanili , che primo aveva additato una via di nuova e libera ricerca al suo spirito insoddisfatto e irrequieto ; il Telesio , teorizzatore poderoso , aveva considerata avente in se medesima i suoi principii , vivente per le proprie forze , e da studiare perciò in modo nuovo con più attenta osservazione delle sue stesse manifestazioni ; quella divina Natura , a cui già avevano rivolto gli occhi religiosamente intenti i platonici di Firenze rinnovatori della filosofia alessandrina ; Natura animata e tutta vibrante dello stesso alito divino , che avviva il pensiero dell ' uomo per compiervi il ciclo della vita universa . Poiché questa è uno spiegarsi dell ' Uno nella sterminata molteplicità delle cose create per raccogliersi da ultimo nella coscienza , nella conoscenza , nell ' amore dell ' eterno , e qui riattingere l ' unità originaria , e quindi posare nell ' eterna pace intellettuale del Dio che è coscienza di sé . La Natura di Bruno ; Natura che è essa stessa Dio ( natura sive Deus ) , e riempie l ' animo del filosofo , che sente nel suo intimo la propria identità con essa , del mistico sentimento del divino che è pel filosofo nolano furore eroico , trasumanare e indiarsi , e sarà poi il celebre amor Dei intellectualis di Spinoza . Questa Natura , che concilia le speculazioni metafisiche degli antichi neoplatonici con le esigenze nuove della scienza naturale che vuol appoggiarsi all ' esperienza sensibile ; questo sacro codice di Dio , in confronto del quale tutti i libri scritti dagli uomini sono apografi che han bisogno di essere sempre corretti e purgati ; questo è il gran concetto in cui finisce il Rinascimento italiano . Ed è il concetto fondamentale della filosofia di Campanella . Questa natura non è la natura materiale , a cui guarda lo scienziato moderno , e che era stata pure il problema della filosofia greca prima di Socrate . Il mondo materiale per Campanella , come per i filosofi testè accennati da cui egli deriva , è l ' aspetto estrinseco di un essere , la cui essenza è propriamente spirituale ; perché , come ragione di tutte le manifestazioni fisiche della realtà , è pensabile , cioè ideale , e si coglie quindi e conosce non cogli occhi del corpo , bensì nel profondo della coscienza , dove oggetto e soggetto della cognizione sono tutt ' uno lì dove noi non conosciamo propriamente cose , ma noi stessi ; e ognun di noi può affermarsi , e dire : Io . X Questa interiorità del nucleo sostanziale della natura ( natura naturante ) è intuita da Bruno , che perciò parla di una divinità interna a noi più che noi non siamo a noi medesimi ; e perciò appunta ansiosamente gli occhi su quei mirabili secreti di geometria del divino Cusano provanti la coincidenza degli opposti e il massimo identico al minimo : a questo minimo che ci si svela di dentro , nella sola individualità che a ciascuno sia veramente tale : la sua puntuale coscienza . Ma Campanella ne costruisce la metafisica e vi fonda su la teoria della conoscenza : due parti della sua filosofia così strettamente congiunte come il concavo e il convesso d ' una curva . In lui acutissima la convinzione , e stavo per dire il senso , che l ' uomo , il pensiero , se qualche cosa conosce e può conoscere , gli tocca partire da sé . Chi non conoscesse sé , chi non si possedesse , nell ' oscura notte della sua perfetta inconsapevolezza non potrebbe al certo veder nulla fuori di sé . Noi possiamo dire di esserci e di guardare perciò e conoscere come che sia il mondo , in quanto siamo per noi , ci sentiamo , sappiamo di essere . Essere e saper di essere sono lo stesso . Notitia sui est esse suum , Il mio essere è il mio conoscermi . E l ' essere delle altre cose ? Per me , il mio stesso conoscerle . Io non posso uscire da me ; ma in me c ' è qualche cosa che limita il mio stesso essere , sicché io sono e non sono ; e in questa unità di essere e non essere , che è nel fondo di me stesso , c ' è l ' esser mio e l ' essere alieno : tutto fuso e vivente nel senso . Che non è passività , modificazione interna da noi semplicemente vissuta . Campanella anticipa qui , in modo veramente sorprendente , concetti maturatisi assai più tardi nella filosofia moderna . Il senso per lui è pensiero , avvertimento d ' uno stato interno ( perceptio passionis ) ; ma è pensiero che si rivolge al singolo , al concreto , al particolare , al certo , come dirà Vico , che in questo punto , e in altri , continua Campanella direttamente e senza soluzione di continuità . Quindi il nostro filosofo è nemico delle idee generali astratte , degli universali come si diceva : e in ciò è non solo antiaristotelico , ma anche antiplatonico . Campanella : un vero pensatore moderno che s ' afférra strettamente al reale alla vita che sola vive e palpita in noie sempre varia , sempre diversa , sempre singolare e unica : nulla di costante , fermo , immutabile . La realtà , questa immensa realtà naturale , eccola lì , nel brivido luminoso della coscienza , dove ognun di noi l ' apprende di continuo e la sente e l ' adora nel pulsare della propria vita , legata alla vita del tutto : un punto infinitesimo , ma in cui si radunano gl ' infiniti raggi della circonferenza infinita del Tutto . Questa la Natura di Campanella . Che non è essa stessa , immediatamente , Dio ; il quale ne è bensì il principio , e vi si attua dentro e vi si specchia . Dio che può tutto e tutto conosce , e fa tutto : posse , nosse , velle infinito ( quale si rappresenterà in Vico ) . Giacché il conoscere è prima di tutto poter conoscere ; e conoscere vien ad essere poi un fare , operare . Giacché chi sa , fa ; e non può fare chi non sa ; e chi non sa , non ha fatto : Dio , perciò , « primo ingegniero » ( come pur ripeterà Vico ) . Quindi questo pensiero , in cui la natura essenzialmente consiste , non è un astratto mondo ideale , un oggetto possibile di una mente pensante , è un ' attività creatrice . E tutta la vasta mole dell ' universo può dall ' esterno , guardata cogli occhi pigri del corpo , apparirci ferma e inerte : ma , speculata e veduta nel suo profondo , è una vita , un movimento eterno , a cui tutto partecipa . Tutto , nella sua infinita varietà . Giacché , precorrendo Libniz , Campanella ha pur vivo il senso delle differenze profonde onde si distinguono tutti gli esseri in cui si spiega la potenza di Dio . poiché ognuno è , ma non è tutto ; e il suo non essere è l ' essere d ' altro . Quindi la diversità e la lotta ; che alla radice è contrasto dell ' essere col non ­ essere , e negli effetti è guerra universale di tutte le cose contro tutte le cose . Le quali , per altro , derivando da un unico fonte , tutte essendo ( e perciò tutte potendo , conoscendo e volendo ) , concorrono in uno : e si accordano infine in un ' universale armonia , che è nella natura anche fisica , e vuol essere il segreto della vita etica , morale , politica e religiosa dell ' uomo . Cose e uomini talvolta si presentano alla fantasia filososofica del Campanella come una grande commedia : in cui ogni ente ha la sua parte , e persegue i suoi fini particolari , ignorando ( ma potendo pur conoscere ) quei fini universali a cui intanto serve . La Provvidenza di Campanella anticipa quella di Vico , giusta quella che fu detta legge dell ' eterogenia dei fini . E tutto insomma si combatte , e tutto s ' ama : tutto diverso , tutto uno . La terra nostra di far giuoco e festa nullo tempo si resta - - al sommo Dio ; .... Gioisce al rezzo , e ' l circondante caldo schifando , viver saldo - - e freddo gode ; rendendo lode - - all ' Eterno , eternarsi vuol , non disfarsi . E '1 sol vorria disfarla , non per odio ; per farla - - mole amica , seco l ' intrica , - - e con focose braccia cinge ed abbraccia . Cinge ed abbraccia anch ' ella lui nel seno : ché , schifandolo , pieno - - pur se ' l vede di calor : fede , - - che al destin più incorre chi più l ' abborre . Fede , cioè , testimonianza , che i contrari con la loro reciproca repulsione - - si ricordi che il sole e la terra , nella filosofia telesiana , rappresentano le due contrarie nature agenti , caldo e freddo - - concorrono all ' unità della vita . E perciò Campanella intona la sua « Salmodia che invita la terra e le cose in quella nate a lodar Dio e declara lor fine e la Providenza divina » . XI Ma questa universale concordia discors non è soltanto la legge delle cose ; sì anche degli uomini . poiché l ' uomo dapprima tende leggermente all ' egoismo , al « proprio amore » , spinto dal nativo istinto a conservare il suo essere , e ad essere se stesso , in conseguenza con gli altri che sono la negazione dell ' esser suo . E gli uomini , per questa naturale tendenza egocentrica , giunsero a pensare « Non aver gli elementi , né le stelle , Benché lasser di noi più forti e belle , Senso ed amor , ma sol per noi girare » ; a ritenere « Poi tutte genti barbare ed ignare , Fuor che la nostra , e Dio non mirar quelle » ( « la boria delle nazioni » vichiana ) . Infine Sé solo alfin ognun venne ad amare con la conseguenza che , trovando poi il mondo diverso da ' suoi voti , altri s ' inducesse a negar Dio e la Provvidenza . Quindi la corruzione d ' ogni abito morale , la distruzione del vincolo essenziale del viver civile . La filosofia svela che il nostro essere , quello che amiamo , è l ' esser del tutto , l ' esser di tutti : l ' esser del Padre , di cui , come insegna il Cristianesimo , tutti siam figli : tutti eguali : tutti « senso ed amor » : tutti spirito . E questo essere nostro , amato perciò veramente , non può dividerci , ma unirci , ancorché sempre diversi l ' un dall ' altro , senza possibilità di confonderci insieme . Ma chi all ' amor del comun Padre ascende , tutti gli uomini stima fratelli , e con Dio di lor beni gioie prende . Tu , buon Francesco , i pesci anche e gli uccelli frati appelli ( oh beato chi ciò intende ! ) ; né ti fûr , come a noi , schifi e rubelli . « L ' amore universal , vero , divino » commenta il Campanella , « stima più il mondo che la sua nazione e più la patria che se stesso » . È l ' ideale di san Francesco ? Sì , in quanto , come altrove osservai , l ' assisiate precorre il naturalismo della Rinascenza : ma qui abbiamo il più maturo frutto di questo grande periodo storico : non più una acuta intuizione ispirata da un impeto d ' amore , ma il corollario d ' un vasto sistema filosofico . Con questa differenza notevolissima ; che l ' amore del Poverello pronto e risoluto a tutte le rinunzie per la conquista della libertà individuale , d ' una libertà da individuo chiuso dentro sé stesso , si risolve in un ideale di pace senza contrasti , di una concordia senza discordie ; e Campanella invece , da uomo che guarda all ' avvenire , e batte alla porta dell ' età moderna , non vede pace ed amore se non a capo e come risultato della guerra : Guerra pone il fato , e disserra l ' armonia cielo e terra . Ecco lite d ' amor per amor farsi . Non vede gioia , se non in fondo al dolore , nella vita e nella civiltà che è abnegazione e limite di sé , per un bene comune e superiore , nostro vero bene : Città abitar , che tanti gusti affrena ; pugnar per lei : obbedire alle leggi della patria ; morire , se occorre , per lei . Sopravvivere , sì , ma nei figli , che ci costano sacrifizi . Questa la virile concezione , tutta moderna , del Campanella . XII Il quale non pensa soltanto , ma agisce . Nosse è veramente per lui velle , E questo suo naturalismo lo trae a un ideale politico ­ sociale : la città del sole . Ognuno sia veramente fratello dell ' altro , e tutti figli al comune padre : tutti eguali nei diritti e doveri , tutti diversi nelle forze e capacità , a cui diritti e doveri competono : tutti uniti ad attuare il divino disegno di un ' opera distribuita ed armonica . Donde un ideale di unificazione di tutte le chiese e credenze religiose in una sola fede : nella fede naturale del sapiente , che interpreta gli ascosi vincoli onde tutto è dall ' uno , e all ' uno , prima e poi , ritorna . Una fede , che è la stessa religione cristiana , « tolti gli abusi » ; ma è il fondo stesso della filosofia campanelliana ; e sarà il primo anello d ' una lunga catena di speculazioni religiose tra i razionalisti del XVII e del XVIII secolo , vagheggiatori d ' una religione naturale , sottratta alle incrostazioni fantastiche delle religioni positive ; ma nel Campanella conciliabile praticamente , senza difficoltà , con la stessa dottrina del Cattolicismo romano : e base perciò di tutto un programma , in cui si venne sempre più temprando il suo pensiero di propaganda e conversione di eretici ed infedeli e unificazione delle chiese in un ovile sotto un pastore solo : il romano Pontefice . XIII Né questi ideali rimangono per lui utopie astratte di mente speculativa e solitaria . Sono la sua fede d ' uomo d ' azione che ha una smisurata fiducia nelle proprie forze ; e spia ogni parte del mondo , fra preti e frati e signori e contadini e spagnuoli e i suoi Calabresi e gli stessi Turchi e Francesi , e tutti coloro che gli si muovono intorno ; e cerca un piccolo angolo , un punto , ove egli possa inserirsi e far leva , e muovere gli animi , e attrarli a sé , e seco trascinarli a iniziar l ' opera , a gettare le basi di questa universale repubblica ; che sia tutta una città del sole , tutta animata dalla legge di natura , dallo stesso senno eterno , che muove il sole e l ' altre stelle : quello spirito che palpita in tutti i cuori umani , e che solo i sofisti , gl ' ipocriti , i tiranni si sforzano di soffocare . Egli , Tommaso Campanella , è nato , sa di esser nato , a guerreggiare instancabilmente e a debellare questi « tre mali estremi » , poiché è venuto « a divellere l ' ignoranza » . A divellerla nei sofisti e ipocriti , scrivendo e insegnando : nei tiranni , agendo . Questa la sua « voglia ardente » . Questa la sua missione . Tutta la sua vita perciò è una congiura : anche dopo la sua cattura , quella triste sera del 6 settembre del '99 , la sera del tradimento , alla Roccella ; nei castelli di Napoli , a Roma , a Parigi , il suo animo non posa mai . Egli lavora sempre a tessere la sua tela , con tutto il suo essere proteso verso il trionfo delle proprie idee , tutto inteso con ogni accorgimento a trarre profitto da ogni sorta di strumenti ( scolari , prelati , ministri , papi , re ) che pare la Provvidenza gli offra . È noto che il suo Cristo non era il crocifisso , ma il risorto , il trionfante . Perciò eroicamente sostenne ogni tormento , senza arrendersi , senza piegare . Perciò rimane nella storia , non pure d ' Italia , ma della civiltà , a mo ' di torre che leva alta la cima verso il cielo . Carattere di ferro , retto da un pensiero , che in molti particolari trafonterà , ma nella sostanza vivrà , trionferà , animerà il mondo moderno . Al confine tra la Rinascita e i tempi nuovi Tommaso Campanella redime l ' uomo dell ' età , pur gloriosa , ch ' egli conchiude , da tutte le debolezze dell ' individualismo , e del letterato fa una persona , un uomo , conscio della sua dignità e della sua missione sacra nella storia : un uomo dalla volontà inespugnabile , ancorché tradito e solo , insidiato , perseguitato , percosso e stretto d ' ogni parte da avverse forze implacabili . Solo , armato del suo pensiero ; crocefisso , ma per risorgere al terzo giorno o al terzo secolo .