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> categoria_s:"Saggistica" > autore_s:"SALVATORELLI LUIGI"
PENSIERO E AZIONE DEL RISORGIMENTO ( SALVATORELLI LUIGI , 1943 )
Saggistica ,
Alla memoria di CESARE DE LOLLIS maestro di scienza e di vita per acutezza d ' indagine e libertà di spirito per amore intrepido della giustizia e della verità . I IL PROBLEMA DEL RISORGIMENTO Concezione materiale e concezione spirituale Che cosa si debba intendere per Risorgimento italiano , e innanzi tutto che cosa sia che « ri ­ sorga » ; in quale relazione esso si trovi con la storia europea moderna , di cui rappresenta l ' equivalente nella storia d ' Italia ; se e in quale misura esso sia di carattere politico o etico o culturale ; se esso sia una formazione puramente indigena , o presenti apporti e influenze straniere , e di che natura e misura ; quando abbia inizio e quando termini : sono tutte questioni , di cui talune sono state trattate con insistenza e risolte - - specie in tempi recenti - - con asseveranza dogmatica non rispondente sempre alla solidità della trattazione ; ma non altrettanto esaminate nell ' insieme , sistematicamente . In ciò è una differenza col Rinascimento , tanto discusso negli ultimi decenni precisamente in quanto concetto d ' insieme , e su un piano di storiografia europea ; mentre il Risorgimento si è seguitato prevalentemente a considerare come fatto di interesse quasi puramente italiano . Checché si debba pensare , per ora , di quest ' ultimo punto , certo è che il risorgimento : è per noi Italiani parte capitale della nostra storia , storia di ieri che proietta la sua ombra sull ' oggi , librandosi tra passato e avvenire . L ' interesse del tema appare già nelle valutazioni contrastanti delle forze varie che operarono nel Risorgimento , dei procedimenti di esse , e fin dei risultati del Risorgimento medesimo . Negli apprezzamenti relativi si notano oscillazioni giungenti fino al capovolgimento , dovute non solo a contrasti di pensiero e alternanze di indirizzo storiografico ­ politico , ma a condizioni politiche contingenti e a calcoli pratici . Accenneremo a un punto solo : la prevalenza spiccata nel periodo 1870­914 dell ' ortodossia « ghibellina » , a cui successe nei vent ' anni fra le due guerre ( e in parte dura ancora ) una altrettanto spiccata tendenza guelfa , o addirittura di ancien régime . V ' è una rappresentazione ingenua - - largamente e inconsciamente diffusa - - del Risorgimento per cui esso si ridurrebbe alla formazione del regno d ' Italia , avvenuta fra il 1859 e il 1861 , e completata nel 1866 e 1870 . Per una tale rappresentazione non ha senso parlare del Risorgimento come di un problema . Non esiste nessuna problematica del Risorgimento : non c ' è che da snocciolare la litania dei fatti per cui le diverse parti d ' Italia furono aggregate al regno sabaudo di Vittorio Emanuele II . Si tratta di una serie di avvenimenti esteriori : battaglie , occupazioni militari , trattati , plebisciti , voti parlamentari , decreti reali . Se questa rappresentazione ingenua si tenta , comunque , di ragionarla , essa si risolve in una interpretazione del Risorgimento come un fatto puramente politico ­ territoriale ­ statale ; e ne vien fuori qualcosa che in sede filosofica possiamo chiamare positivismo materialistico , in sede politica assolutismo monarchico . È stata infatti sostenuta , nel periodo fascista , la tesi che il processo del Risorgimento consista nell ' assorbimento dei diversi stati italiani , o regioni della penisola , da parte del regno sabaudo di Sardegna , la formazione del quale costituirebbe il prologo - - l ' unico prologo - - della nuova Italia . Una simile tesi , mentre per un verso è strettamente abbarbicata alla concezione che abbiamo detto ingenua , per un altro viene essa medesima a superarla e negarla , in quanto è pur costretta ad affermare un ' idea centrale , un criterio direttivo , interpretativo , e cioè a porsi il Risorgimento non solo come fatto materiale da constatare e da accettare puramente e semplicemente , ma come una questione da discutere , un processo da interpretare . Il criterio interpretativo sarebbe appunto quello dello stato , come formazione e consistenza puramente autoritarie . Il tentativo , però , di elevare la concezione ingenua a riflessa , compiuto da quella che , per comodità di linguaggio , chiameremo scuola sabaudistica , fallisce già all ' inizio , mostrandoci l ' immediato ricadere della tesi riflessa sul piano dell ' ingenua . Sono , infatti , d ' importanza capitale la parte e il modo di partecipazione della monarchia sabauda nel Risorgimento ; ma , se questo si riassume nell ' ampliamento dello stato monarchico sabaudo a regno d ' Italia , tanto vale dire che il Risorgimento si riduce all ' aggregazione esteriore delle diverse regioni italiane al Piemonte , cioè al fatto materiale delle annessioni : le quali , allora , non concludono un processo storico , non rappresentano la manifestazione della volontà del paese ma si riducono a un puro atto di impero . Si nega nel Risorgimento l ' elemento nazionale , popolare , spirituale : e nessuna vera differenza esiste più tra la formazione dell ' unità italiana e una qualsiasi conquista straniera . Possiamo dunque metter tranquillamente da parte quella concezione ingenua , che ci si rivela intrinsecamente nulla , e rifiutarne sin d ' ora la forma riflessa , che tuttavia esamineremo man mano nei suoi diversi tratti ; qui aggiungiamo solo , per meglio far risaltare l ' inconsistenza della seconda forma , due considerazioni . La prima è che la concezione territoriale , o sabaudistica , è inetta a comprendere entro di sé tutta una serie di episodi indubbiamente « risorgimentali » . Se il Risorgimento si riduce , puramente e semplicemente , alla formazione territoriale del regno sabaudo d ' Italia , che posto possono averci la rivoluzione napoletana del 1820 o quella dell ' Italia centrale del 1831 , le quali mirarono semplicemente a trasformare la costituzione interna di taluni stati italiani ? Altrettanto si dica dei diversi moti di Romagna fra il 1840 e il 1846 , o di quelli tra il 1821 e il 1848 nel regno di Napoli ; mentre tutta l ' azione mazziniana , unitaria bensì , ma repubblicana , rischierebbe addirittura di figurare come « Anti ­ risorgimento » ( e tale figurazione era l ' aspirazione ultima , più recondita , dei sostenitori di quella teoria , uno dei quali ebbe a parlare di « lebbra repubblicana » ) . Che anzi , perfino una gran parte del 1848 , con i moti riformistici immediatamente precedenti , rimarrebbe fuori della soglia del Risorgimento . L ' altra considerazione è che da quando il termine « Risorgimento » si è cominciato ad usare per un dato periodo della storia d ' Italia , e più precisamente per indicare i nuovi destini del nostro paese , esso non è stato preso mai in senso puramente statale ­ territoriale . Da Bettinelli a Carducci , da Alfieri a Gioberti , dai patrioti giacobini a Santarosa , da Mazzini a Cavour , tutti - - sia che usassero il termine specifico , sia che con altre parole esprimessero il concetto - - hanno inteso per Risorgimento d ' Italia un fatto , o meglio un processo , di carattere spirituale , una trasformazione intima e completa della vita italiana , una affermazione di autonomia nazionale e individuale . Se mai , il nome ha avuto prima un significato esclusivamente o prevalentemente letterario ­ culturale , per poi assurmerne anche uno politico territoriale . Italia e Risorgimento italiano sono stati ambedue intesi innanzi tutto come un fatto di coscienza , come atto spirituale . « Nova et vetera » E già lo stesso termine « Risorgimento » esclude quel significato puramente territoriale , materialistico sotto apparenza politica ( anche la politica è atto dello spirito ) . Ri ­ sorgimento significa qualche cosa che c ' è stata già , che ha cessato temporaneamente di esserci e che ritorna ad esserci . Ora , uno stato italiano , prima del regno d ' Italia proclamato nel 1861 , la storia non lo conosce . La cosidetta confederazione romano ­ italica non merita questo nome , avendo essa consistito in una serie di vincoli bilaterali fra Roma e i singoli popoli dell ' Italia peninsulare , anziché in una organizzazione politica comune . L ' estensione del diritto di cittadinanza romana a tutta l ' Italia in seguito alla guerra sociale non portò - - per essere il funzionamento della vita politica rimasto essenzialmente cittadino - - a una effettiva partecipazione paritaria e unitaria di tutta la popolazione italiana alla vita statale : fra le autonomie municipali italiche e la politica centrale in Roma non vi fu alcun legame organico , costituzionale . Con l ' istituzione dell ' impero , e la sua evoluzione universalistico ­ assolutistica , gli spunti per uno stato italiano rimasero frustrati , e dallo stato cittadino si passò senz ' altro a quello imperiale . L ' Italia rimase nella sua totalità parte dell ' impero romano ( dipendente da Costantinopoli nell ' ultimo periodo ) fino all ' invasione di Alboino , per scindersi poi in due , Italia bizantina e Italia longobarda : nell ' una e nell ' altra il popolo italiano non partecipa alla direzione politica , è ( come si dice ) oggetto e non soggetto di storia . Il regno d ' Italia , continuazione di quello longobardo , fu subordinato al nuovo impero d ' occidente , e non comprese mai in diritto - - e tanto meno in fatto - - tutta l ' Italia ; e per la sua costituzione politico ­ sociale rappresentò per qualche secolo , piuttosto che uno stato italiano , una molteplicità di feudatari stranieri sovrapposti alla popolazione italiana . Il popolo italiano riprese il governo di se stesso con i comuni , che però si presentano come tante formazioni autonome locali entro il sussistente regno ­ impero , senza legame statale fra loro . Né il regime comunale , nella sua piena efficienza , si estese oltre l ' Italia centrale : ­ nettamente distinto , anche se strettamente connesso per l ' attività politica , fu il regno del Mezzogiorno , in cui si succedettero una serie di dinastie di origine straniera e mantenenti ( eccettuata la prima ) legami politico ­ dinastici e statali con l ' estero . Col secolo decimoquinto si ha un assetto politico dell ' Italia più definito , con taluni grandi stati indipendenti di fatto , anche se con legami di sudditanza formale ( il ducato di Milano , feudo imperiale ; il regno di Napoli , feudo della Chiesa , ecc . ) : questi stati sono completamente autonomi l ' uno rispetto all ' altro , e accanto ad essi rimangono una quantità di stati più piccoli . Seguirono dal principio del secolo XVI le dominazioni straniere , le quali , senza sopprimere totalmente la personalità dei precedenti stati italiani , si estesero a una parte considerevole ( ora più ora meno grande ) della penisola , ed esercitarono una preponderanza sul serio . Queste dominazioni straniere cessano con la costituzione e il completamento del regno d ' Italia del 1861 , il quale dunque rappresenta , pur con l ' assorbimento di tanti elementi storici , una formazione nuova . Invece , quanti in Italia , dalla fine del Settecento in poi , sperarono , invocarono , preconizzarono il Risorgimento , tutti , anche se in diverso modo e misura , dettero importanza a quella particella « ri ­ » ; tutti , anelando al futuro , guardarono indietro al passato ; tutti ricercarono nella storia d ' Italia fatti , istituti , uomini che fossero esempio , incoraggiamento , monito , preparazione . Tutti hanno mirato a riprendere un ' opera imperfetta , a riattaccare fili interrotti : chi ha invocato ( Mazzini ) una terza Roma ; chi ha mostrato ( Balbo ) come trama unitaria della storia italiana l ' indipendenza ottenuta , perduta , riacquistata , perduta ancora , e che bisognava tornar a ricuperare definitivamente ; chi ha parlato ( Gioberti ) di un primato storico italiano da rivendicare e reintegrare ; e se non un primato , almeno una condizione onorevole dell ' Italia , pari a quella delle maggiori nazioni europee . Che in queste concezioni diverse del Risorgimento ci fossero esagerazioni , confusioni , illusioni ; che , alla prova dei fatti , l ' una o l ' altra parte di esse sia risultata manchevole , non è dubbio , e avremo occasione di vederlo . Ma non sembra possibile gettar via - - come dicono i Tedeschi - - « col bagno il bambino » : e cioè rifiutare , per gli errori parziali , il nucleo di verità ad esse concezioni comune . Il quale era , che per il popolo italiano non si trattasse di un cominciamento assoluto , ma di un ricominciamento , poiché esso popolo aveva dietro a sé una lunga e grande storia . Che questa convinzione sia stata una forza operante del Risorgimento , è indubbio ; e se anche si volesse chiamarla mito , converrebbe ugualmente tenerne conto appunto perché il Risorgimento non è puro fatto esteriore , ma creazione spirituale . Sarebbe sempre la storia passata d ' Italia , che , attraverso l ' interpretazione « mitica » , avrebbe agito a preparare la futura . Non sembra quindi accettabile una interpretazione del Risorgimento puramente « modernistica » , la quale consideri il processo di questo e il suo risultato - - l ' Italia nuova e una - - come la fondazione di qualche cosa che prima non c ' era stata mai , in alcun modo . In altri termini : la storia d ' Italia non comincia col Risorgimento ; il Risorgimento bensì è un periodo capitale di questa storia . La concezione modernistica estrema sarebbe verità inconfutabile ( per quel che si è detto già ) solo se del Risorgimento si accettasse il concetto puramente politico ­ territoriale . Prima della costituzione dello stato italiano unitario esisteva da secoli un popolo italiano . La molteplicità politica ineliminabile dell ' Italia medievale non significa che non esistesse in quel tempo l ' idea e la realtà di una nazione italiana , poiché non deve confondersi il concetto di nazione con quello di Stato , tanto meno di stato unitario del tipo moderno . I nuclei di vita politica costituiti dalle città italiane non erano estranei tra loro come lo sono stati di nazioni diverse . Dal confronto tra le relazioni dei comuni italiani , sia pure in guerra tra loro , e quelle di Francia e Inghilterra , di Francia e Germania nello stesso periodo storico , la realtà di una storia ( anche politica ) d ' Italia balza irresistibile . Non solo i comuni italiani sapevano perfettamente di appartenere a una stessa nazione ; non solo al di là della vita politica interna specifica ad ogni comune , al di là delle lotte fra i comuni , c ' era l ' unità del sangue , della lingua , della coltura , della vita familiare , economica , religiosa ; ma vi erano anche problemi politici identici nelle diverse città le cui soluzioni o tentativi di soluzione si intrecciavano strettamente dall ' una all ' altra : istituti comunali e loro svolgimento e trasformazione , relazioni fra le diverse classi politico ­ sociali , posizioni rispetto all ' Impero e alla Chiesa . La vita politica nell ' Italia settentrionale e centrale presenta dappertutto la stessa fisionomia , e relazioni dirette si stringono nel campo politico , non solo da città a città , ma da regione a regione : gli avvenimenti della Lombardia hanno le loro ripercussioni in Toscana , quelli del Veneto in Piemonte o nella Liguria ; il regno di Sicilia è strettissimamente associato ai destini del resto d ' Italia . Le grandi città marittime , nonostante il loro sviluppo autonomo nei mari anche lontani dall ' Italia , sono strettamente interessate agli avvenimenti della penisola , e vi prendono spesso parte diretta . È un tessuto fittissimo di relazioni che rende assolutamente impossibile fare la storia di una grande città italiana del tempo , o anche di una regione , senza trattare contemporaneamente quella di tutte le altre . E tanto più ciò vale per il periodo delle signorie e dei principati , quando pochi stati maggiori reggono , nella collaborazione o nel contrasto delle loro politiche intrecciate perpetuamente l ' una all ' altra , i destini di tutta l ' Italia . Quando passiamo al periodo delle dominazioni straniere , quel filo unitario non s ' interrompe , anzi si fa più solido , sebbene il popolo italiano perda il governo di se stesso . Se , cioè , è lecito parlare di storia d ' Italia ( e non solo di Milano , Firenze o Napoli ) al tempo dei comuni , delle signorie e dei principati , a più forte ragione si può parlarne nel periodo delle dominazioni straniere . È proprio allora che l ' Italia , come un tutto politico , prende più visibilmente corpo , e incomincia a porsi nella storia d ' Europa quel problema unitario italiano che per adesso è trattato dalle potenze straniere , e che sarà poi sciolto dal popolo italiano nel Risorgimento . Nel Seicento si perorò e si discusse , in prosa e in versi , intorno alle sorti comuni d ' Italia come non mai per l ' addietro . Chi - - è il caso più frequente - - pensa per lei a una confederazione di principi , e chi abbozza già l ' idea ( che allora appariva utopistica ) della sua riunione sotto il governo di un solo . Chi avversa la preponderanza spagnuola , e vorrebbe equilibrarla con l ' intervento francese ; chi invece ritiene che quella preponderanza assicuri la tranquillità e la concordia italiane ; chi , più generoso , vorrebbe fare a meno di tutti gli stranieri . Ma quel che è comune a tutti - - alla letteratura politica del tempo di Carlo Emanuele I come a quella del tempo di Luigi XIV , a Girolamo Muzio , propugnatore di una confederazione italica nella seconda metà del Cinquecento , come a Vittorio Siri , che verso la metà del Seicento sosteneva la necessità di un ' occupazione francese in Italia per l ' equilibrio - - è la considerazione dell ' Italia come unità ­ totalità politica , con interessi e destini comuni , a cui occorre provvedere secondo un ' idea direttiva unica , un piano politico unitario . Pure tutto questo , da solo , potrebbe non rappresentare altro che ideologia politica , o anzi letteratura retorica , simile a quella dell ' anonimo « gentiluomo italiano » che nei primi del Seicento parlava di un ' Italia « vera e legittima signora del mondo » . Se , però , questa pubblicistica politica la si mette in relazione con gli avvenimenti reali , allora essa assume altro aspetto . Precisamente le invasioni straniere , cominciate con Carlo VIII , contribuirono a porre in termini concreti la questione d ' Italia , come entità politica unitaria . Quelle che furono da principio gare per il possesso di questa o quella parte isolata d ' Italia ( ducato di Milano , regno di Napoli ) si trasformarono ben presto in contese per la preponderanza in Italia , e quindi per un assetto generale della penisola italiana . Grande portata ebbe la riunione avvenuta sotto un solo dominio - - e durata fino al 1734 - - del Milanese e del Napoletano , cioè del Nord e del Sud d ' Italia . Per trovare qualcosa di simile bisogna risalire indietro fino ai Longobardi e ai Goti , perché neanche Federico II ( alto signore in Lombardia , non dominatore diretto ) ci offre nulla di equivalente . La riunione di Nord e Sud sotto Spagna e poi sotto Austria era evidentemente una grande iattura per l ' indipendenza italiana ; ma rafforzava l ' unificazione politica della penisola . Questione dell ' indipendenza e questione dell ' unità coincidono nella loro soluzione finale , ma non nei loro svolgimenti . E del resto la riunione di Milano e di Napoli sotto la stessa dominazione straniera portava ad associare anche gli sforzi indirizzati a liberare da quella le due regioni . I duchi di Savoia aspiravano alla Lombardia ; ed era pure un Savoia il principe Tommaso , che si progettò da parte francese di mandare nel Napoletano , e che anzi , sotto Mazarino , avviò l ' impresa attaccando lo Stato dei presidî . Alcuni anni prima , al tempo di Vittorio Amedeo I , di cui Tommaso era fratello , fu ordita una congiura che avrebbe dovuto dare al duca il regno di Napoli , passando il Piemonte all ' altro fratello , il cardinal Maurizio , e il Milanese al duca di Mantova . Ogni piano di cacciata degli Spagnuoli importava necessariamente un riordinamento generale d ' Italia , cioè la posizione del problema politico unitario italiano . Ma se non è accettabile una interpretazione modernistica estrema del Risorgimento - - che del resto non mi sembra sia stata sostenuta espressamente da nessuno , poiché l ' opposizione alla « unità della storia d ' Italia » ha diverso significato , - - ancor meno accettabile sarebbe una interpretazione puramente « passatistica » . Sarebbe assurdo cioè considerare il Risorgimento come pura e semplice continuazione della precedente storia italiana , come processo puramente di evoluzione interna , privo di rivoluzione , come un fatto puramente autoctono , indipendente nella sua trama essenziale della storia generale europea . V ' è il ricominciamento , v ' è il riattacco al passato ; ma v ' è , altrettanto e più , l ' elemento nuovo sovvertitore , l ' inquadramento nella nuova realtà europea , formatasi dopo il Rinascimento in massima parte indipendentemente dall ' Italia . Nova et vetera : l ' Italia del Risorgimento , mentre fa appello alle tradizioni paesane , mentre aspira a tornar degna della grandezza passata , ha perfetta coscienza che appelli e aspirazioni debbono avere per ultimo scopo di ricongiungerla e riportarla alla pari con l ' Europa , andata avanti per conto suo . Anche qui la pubblicistica del Risorgimento è concorde ; i moderati gareggiano con i radicali , gli economisti con i politici . Gli uni parlano ( Balbo ) del governo rappresentativo di tipo inglese da introdurre in Italia senza vane preoccupazioni di originalità ; gli altri constatano ( Ferrari ) che il « risorgimento » dall ' Italia era passato alla Germania con la Riforma e alla Francia con la Rivoluzione , e ora si trattava di farlo tornare in Italia ; altri ancora insistono sulla inferiorità della coltura o della vita economica in Italia rispetto ad altri paesi europei . Non fa eccezione l ' italianissimo Mazzini ; poiché il suo ideale di un ' Italia protagonista , conduttrice dell ' Europa , nazione ­ apostolo , nazione ­ Cristo , presuppone la piena accettazione e assimilazione da parte di essa Italia di tutto il precedente progresso europeo , conclusosi nella rivoluzione francese . Ogni periodo successivo dell ' umanità per il Mazzini deve mantenere i valori del periodo antecedente aggiungendovi i nuovi : « nella serie delle sintesi , l ' ultima deve necessariamente comprendere tutti i termini delle anteriori più in proprio ; quindi la sintesi unitaria non può rigettare i termini conquistati dalle sintesi anteriori di libertà ed eguaglianza » . Bensì il suo prepotente idealismo , la sua lungimiranza eroica non gli facevano scorgere interamente la portata e la difficoltà di questa inclusione delle conquiste precedenti nelle successive , e lo inducevano a bruciare le tappe . Del resto , egli si spingeva nel suo universalismo fino a considerare l ' idea della patria nazionale come stadio transitorio accettato realisticamente , che doveva sboccare in una organizzazione unica dell ' umanità . Italia vecchia ed Europa nuova La tesi modernistica estrema possiamo chiamarla europeista pura ; quella « passatistica » , nazionalista . Unilaterali ambedue , ma più sbagliata e pericolosa per fraintendimenti la seconda . La tesi europeista pura non sopprime i dati reali del Risorgimento , non sfigura il processo effettivo di questo ; solo impedisce la visione completa degli uni e dell ' altro . La tesi nazionalistica , invece , mentre pretende ricondurre tutto a un processo autoctono , ignora o falsifica quella stessa storia dell ' Italia prerisorgimentale che dovrebbe essere la sua più salda base . Poiché è proprio dalla considerazione della continuità fra Italia prerisorgimentale e risorgimentale che balza fuori l ' ispirazione europea , l ' esigenza europea a cui il Risorgimento risponde . Questo riprende il filo della storia italiana precisamente in quanto riconduce l ' Italia nel cerchio della civiltà europea , sulla linea del progresso europeo da cui si era appartata , abbandonando le tradizioni di libertà e universalità di pensiero che avevano formato la sua grandezza autentica : e così , la più vera italianità fa tutt ' uno con questo spirito europeo . Le stesse formulazioni estreme del Gioberti ( « primato » ) e del Mazzini ( « missione » ) non sono se non manifestazioni o trasformazioni - - e sia pure parziali travisamenti - - di questa esigenza europea che si impone all ' Italia . Lasciando ora da parte i periodi preromano e romano - - che può discutersi se appartengano alla preistoria o alla storia d ' Italia : noi pensiamo che almeno al tempo della guerra sociale riluca un ' alba di storia italiana - - la vita del nostro popolo prende forma definita , uscendo dalla mescolanza romano ­ barbarico ­ cristiana e dallo sminuzzamento feudale , nel secolo duodecimo , e cioè nell ' età comunale e per opera dei comuni , ai quali risponde , e contraddice a un tempo , la formazione ( non a caso contemporanea ) del regno di Sicilia . Dalla fine del secolo undecimo al principio del decimosesto è il grande periodo della storia italiana , quello in cui tutte le nostre energie economiche , politiche , culturali , morali , religiose hanno pieno e armonico sviluppo , in cui il tenor di vita si eleva e si raffina , le forme statali si complicano e si perfezionano , letteratura , arte , scienza fioriscono ; e tanta pienezza di civiltà innalza l ' Italia a un livello superiore a quello delle altre nazioni europee . È il periodo che il Bettinelli chiamò Risorgimento , e che poi si disse Rinascimento ; il secondo termine , però , fu applicato più propriamente al Quattro e Cinquecento , che presentano taluni caratteri distintivi rispetto ai tre secoli anteriori . Non occorre qui inoltrarci nelle discussioni recenti sui rapporti fra i due periodi , discussioni che fanno tutt ' uno con quella sul rapporto di opposizione e di continuità fra medioevo e Rinascimento ; quel che importa a noi qui è di segnare nettamente questo periodo di circa quattro secoli e mezzo che dal nostro punto di vista possiamo e dobbiamo considerare unitario , e che è quello del pieno sviluppo della vita italiana : il periodo che in politica va dalla fioritura dei comuni alla « bilancia » dei principati ; nel pensiero , dalla prima scolastica di Anselmo d ' Aosta a Ficino e a Pico attraverso san Tommaso d ' Aquino e san Bonaventura : in letteratura , dal Cantico delle creature all ' Orlando Furioso passando per la Divina Commedia e il Decamerone ; nell ' arte , dall ' Antelami , per i Pisano , Giotto e i quattrocentisti fiorentini , a Michelangelo . Fioritura di vita superba , integrale e ininterrotta , di fronte a cui conviene solo rilevare - - cosa essenziale per il nostro proposito - - che nella prima parte di questo periodo più che quadrisecolare lo svolgimento della civiltà italiana rimane ancora sostanzialmente racchiuso entro i confini della nazione , mentre nel secondo trabocca al di fuori , e l ' Italia diviene maestra all ' Europa . Ma sino alla fine del periodo la storia italiana , pur collegata al resto d ' Europa , ha carattere autonomo ; gli stati italiani sono indipendenti , il popolo italiano è soggetto , non oggetto , di storia , ha in mano il governo dei propri destini . Alla fioritura e alla preponderanza culturale risponde la personalità politica autonoma della nazione , anche se appare una superiorità del momento culturale ­ spirituale su quello politico ­ territoriale . Tutto cambia nel corso del secolo XVI , il secolo della grande crisi italiana , il secolo del trapasso dagli splendori del Rinascimento alle tristezze e bassure del Seicento . Con la fine del Rinascimento e con la maturazione della Controriforma la coltura italiana perde la posizione di predominio tenuta per circa due secoli in Europa . Nei paesi transalpini , e specialmente in quelli dell ' Europa occidentale , le nuove colture , sorte sul suolo nazionale smosso e fecondato dalla civiltà del Rinascimento italiano , si sviluppano adesso autonome e rigogliose , e a poco a poco , in un rovesciamento di parti , acquistano influenza preponderante sulla coltura italiana . Soprattutto nel campo del pensiero filosofico ­ scientifico lo spostamento è radicale . Il periodo della Controriforma fuori d ' Italia presenta elementi positivi e negativi in contrasto , con prevalenza dei primi soprattutto nei due grandi paesi occidentali , Francia e Inghilterra . Le lotte politico ­ religiose tengono vivi e pungolano gli spiriti . Da noi , quiete di ristagno : la doppia cappa di Impero e Chiesa grava sulla penisola . La prigionia del Campanella , il rogo del Bruno , la condanna di Galileo segnano lo spegnersi di una speculazione indipendente in Italia . Il nostro paese non solo perde il primato intellettuale , ma esce dal circuito della coltura produttiva europea e si racchiude nell ' erudizione pura e nelle logomachie scolastiche . Il pensiero moderno vive e si svolge al di fuori . La filosofia moderna prende le mosse da Descartes , e quando in Italia , verso la fine del Seicento , si ebbe una prima ripresa di vita culturale , questa nel campo filosofico e scientifico si svolse in gran parte sotto l ' influenza del cartesianesimo , mentre anche in quello dell ' erudizione altri stranieri furono maestri , specialmente i Benedettini della congregazione francese di San Mauro ( Mabillon ) . All ' influenza di Cartesio successe quella di Newton ; e mentre nell ' erudizione e nella ricerca storica già ai primi del Settecento l ' Italia ha maestri suoi , nel mondo del pensiero il filosofismo inglese e il francese tengono lo scettro . Questo nell ' ordine della coltura : in quello politico non occorre spendere parola a mostrare l ' abbassamento intervenuto . Perduta l ' indipendenza nazionale nella tragedia del primo trentennio del Cinquecento , l ' Italia è bensì più che mai ( come accennammo già ) al centro della politica europea , ma in quanto materia di contrasto per la preponderanza fra le grandi potenze , che ne decidono i destini . Anche le forme politiche nuove - - monarchia assoluta parificatrice e accentratrice , monarchia costituzionale ­ parlamentare - - si svolgono fuori d ' Italia . Spuntano ogni tanto nella storiografia italiana contemporanea velleità di rivalutazioni della Controriforma e del Seicento italiani : ora nel campo dell ' arte , accentuando l ' elemento positivo del barocco , esaltandone in blocco i rappresentanti , scoprendo ogni tanto genî ignorati ; ora in quello della politica , ricantando le doti , per l ' ennesima volta , di Carlo Emanuele I « campione dell ' indipendenza italiana » , o presentando il principato mediceo come precursore dello stato moderno , o facendo l ' apologia del dominio spagnuolo ( apologia che si riduce in sostanza a mostrare che il diavolo non era tanto brutto quanto si dipinge ) ; ora - - ed è il caso più frequente - - in quello religioso , esaltando il merito dell ' Inquisizione romana di aver mantenuto l ' unità religiosa d ' Italia e di averla preservata dall ' eresia , senza far distinzione , ovvia e fondamentale , fra unità religiosa spontanea , vivente , e uniformità imposta dall ' esterno , senza neanche domandarsi quali risultati profondi la Controriforma italiana abbia avuto per la vita dello spirito , e cioè per la stessa coscienza religiosa , e senza fare il confronto con il diverso stato di cose , con la vitalità ben più ricca e intima che mostra la vita religiosa nella Francia , pur cattolica , dello stesso periodo . Ma in queste apologie controriformistiche si tratta , appunto , di semplici velleità , che si spengono contro l ' evidente realtà d ' insieme della decadenza spirituale , politica , economica d ' Italia in quel periodo ; realtà illuminata in tutta la sua imponenza dal doppio confronto , con lo stato precedente d ' Italia e con quello contemporaneo delle altre nazioni europee . Rimane inconcusso e incontrovertibile il fatto che la linea della vita italiana , ascendente dal 1110 al 1300 , mantenutasi poi ad un alto livello , ma non senza discese parziali , fino al principio del secolo XVI , scende precipitosamente dopo il 1530 sino alla fine del secolo , per rimanere nella bassura durante tutto il secolo seguente . Nell ' ordine politico è inutile discutere sull ' opera più o meno saggia dell ' uno o dell ' altro sovrano , accentuare enfaticamente i contrasti che i principi sabaudi hanno avuto con i dominatori stranieri d ' Italia , gonfiare le voci d ' indipendenza italiana nel Seicento . Quel che conta è la mancanza di partecipazione , in quei contrasti , in quelle voci , e in generale in tutta la vita politica del popolo - - intendendo per popolo anche le classi elevate , - - e la conseguente indifferenza , diseducazione , cristallizzazione e depauperamento dei ceti dirigenti , con il fatto dominante della la soggezione al dominio straniero . Nel campo culturale , una produzione erudita abbondante e varia , e lampi fuggevoli di personalità , non riparano all ' assenza di una vita vera di pensiero . In quello religioso , il valore individualmente e socialmente apprezzabile della credenza sinceramente professata , del costume morale osservato , o almeno riconosciuto , non può celare l ' aduggiamento delle formule ripetute passivamente , l ' esaurimento dell ' impulso intimo irraggiato nei secoli precedenti dalla religione nella vita quotidiana per trasformarla ed elevarla . Il tratto comune è l ' abbassamento del tono vitale , la dissociazione fra i diversi elementi della vita nazionale , dissociazione per cui la politica si riduce a ragion di stato , la coltura a erudizione professionale o capriccio di virtuosi , la religione a osservanza formale dei riti tradizionali e obbligatorî . Per un secolo e mezzo , nelle tre grandi nazioni sorelle dell ' italiana - - Francia , Inghilterra , Germania - - uscite com ' essa dalla elaborazione e trasformazione dell ' individualismo e universalismo medievali , evoluzione politica , economica , culturale , e trasformazione e lotte religiose procedono di pari passo ; e l ' elemento religioso è anzi quello dominatore e unificatore , tanto che anche i manualetti storici hanno tutti il loro bravo periodo de « le guerre di religione » . E dopo queste guerre , dopo la pace di Vestfalia , la rivoluzione inglese e il ritiro dell ' editto di Nantes , il problema religioso permane , sotto altre forme , alla ribalta : giansenismo e gesuitismo in Francia , deismo e razionalismo ( il così detto Illuminismo ) in Inghilterra , Francia e , in grado minore , in Germania . Il consolidamento definitivo del protestantesimo in Germania di fronte alla Controriforma e l ' avviamento alla libertà religiosa fanno tutt ' uno con lo sgretolamento del Sacro Romano Impero e lo sviluppo degli stati tedeschi , dalla cui unione dovrà poi sorgere l ' unità nazionale germanica . In Francia la riduzione del protestantesimo in limiti ristrettissimi , l ' instaurazione ufficiale delle « libertà gallicane » e la repressione del giansenismo sono strettamente connesse con l ' onnipotenza regia e l ' accentramento statale preparanti , per reazione e derivazione a un tempo , il filosofismo e la rivoluzione . Pascal e Bossuet , principi della prosa francese , sono altresì maestri di morale e di teologia , come mutatis mutandis si potrà dire più tardi di Voltaire e Rousseau . E in Inghilterra l ' unità fra lo sviluppo costituzionale e sociale e le guerre religiose , il nesso fra queste e la posteriore filosofia di Locke e del deismo sono ancora più evidenti . Con formula sintetica diciamo che nella Francia , Inghilterra , Germania moderne ( e specialmente nelle due prime ) regna fra i vari aspetti della vita , o fra le varie attività dello spirito , una profonda unità morale . Questa unità morale anche l ' Italia l ' aveva conosciuta . Nel Due e Trecento , arte e pensiero , vita politica e religiosa s ' intrecciano in Italia in un fascio potente di sentimenti e di energie . La Divina Commedia è , tutt ' insieme , la suprema espressione artistica del giovane popolo italiano , lo specchio delle discussioni e delle lotte politiche del tempo , l ' enciclopedia scientifica e religiosa del medioevo italiano maturo . Giotto non dipinge per sé , né per una conventicola o una clientela particolare , ma per tutto un popolo , a cui ammaestramento e conforto rappresenta accanto ai fatti di Cristo quelli del suo grande imitatore , eroe religioso del popolo italiano . Nel Quattrocento l ' unità incomincia ad allentarsi : i dotti del Rinascimento sono ben più lontani dal popolo di quel che non fossero Dante o san Bonaventura ; nella letteratura e nell ' arte s ' inizia una tendenza estetizzante . Poi , l ' unità , si scinde nettamente . I grandi artisti del Cinquecento vivono nell ' Italia invasa e straziata , passante di mano in mano , assistono all ' agonia e alla morte dell ' indipendenza nazionale , alla condanna di Lutero e al concilio di Trento , senza che nel loro mondo di linee e di colori si rispecchi la realtà circostante . Nella suprema crisi politica e morale d ' Italia , la maggiore opera di poesia non è che un lungo divertimento , una grande , geniale risata . Michelangelo risente in sé tutti i contrasti e i dolori dell ' età sua , ma non ne esprime se non il chiuso e impotente corruccio della sua anima individuale . Alla fine la rottura spirituale è consumata . L ' arte diviene estetismo e retorica ; la scienza ( se anche con più lentezza e toccando per via vette supreme ) , tecnica professionale ; la religione , confessionalismo esteriore e abitudinario . È l ' unità di vita morale quella che fa il carattere religioso o meno di un popolo , nel senso profondo della parola « religione » . Si è discusso sulla ragione e il significato del fatto che la Riforma non abbia attecchito in Italia ; e chi ha dato di ciò valutazione negativa , chi positiva , secondo le persuasioni individuali , le parti militanti , o semplicemente l ' andazzo del tempo e i comodi , fruttuosi opportunismi . Ma la mancanza della Riforma in Italia è effetto e non causa ; e il punto essenziale non è che l ' Italia non si sia fatta protestante , ma che di fronte alla grande crisi religiosa sia rimasta , come nazione , indifferente . La religiosità era già divenuta affare individuale , l ' osservanza religiosa comportamento sociale : fra religione , morale e politica , al disotto delle concordanze superficiali ed ipocrite , erano sorti muri divisionali . Perciò il popolo italiano non reagì alla Riforma , né assorbendola o trasformandola , né eliminandola volontariamente e coscientemente . La Controriforma in Italia fu essenzialmente superstruttura autoritaria all ' indifferentismo delle coscienze individuali , decorazione barocca ricoprente il vuoto religioso e morale . La crisi dissociativa della vita morale italiana , maturata appieno nella Controriforma e nel Seicento , si era iniziata - - l ' accennammo già - - nel Rinascimento . Di fronte all ' organicità di vita morale dell ' Italia nell ' età dei comuni , il Rinascimento appare un periodo di crisi spirituale , di cui taluni grandi artisti , da Botticelli a Michelangelo , hanno dato le espressioni più penetranti . Nell ' Italia del Rinascimento la fede medievale , la concezione tradizionale del mondo e della vita sono scosse ; ma la nuova fede umana , sicura di sé , non è raggiunta ancora ( lo sarà solo nel Settecento ) . Soprattutto , la liberazione spirituale dell ' individuo , imperfetta già di per sé , non si inquadra in una nuova concezione e organizzazione sociale : l ' individuo si sente senza appoggio morale , come sospeso in aria ; e se taluni da questo stato d ' animo traggono l ' impulso ad affermazioni sfrenate di egoismo dominatore ( il tiranno del Rinascimento , Cesare Borgia ) , altri , moralmente migliori , ma di volontà più fiacca e incerta , si ripiegano su se stessi e soffrono di smarrimento , di solitudine e di nostalgia ( la melanconicità malata di Botticelli , l ' estasi crepuscolare di Giorgione ) . La crisi politica della nazione italiana risponde a quella morale individuale . Troppo preponderantemente si è insistito finora sulla divisione dell ' Italia in vari stati , sulla politica estera discorde ed egoistica di questi , per spiegare la catastrofe dell ' indipendenza italiana ai principî del Cinquecento . Occorre portare una maggiore attenzione sull ' immaturità e l ' inorganicità di ciascuno degli stati stessi . Mancava una fusione vera delle varie città e delle diverse classi , una struttura amministrativa salda e profonda , una vita politica della collettività , una coscienza popolare ­ statale , e , in una parola , una sufficiente base morale . Il popolo , già presente nel comune , nel principato era assente . La pace pubblica , l ' ordine materiale erano maggiori : la vitalità intima , nutritasi nelle lotte comunali , era diminuita . Anche per la « tragedia italiana » la chiave della politica estera si trova nella politica interna . I principati italiani ( compreso il mediceo a Firenze ) conservavano in larga misura il carattere d ' improvvisazione per forza , destrezza e fortuna , senza una vera base politico ­ morale né nel diritto divino e nel prestigio tradizionale di un ' antica dinastia , né in una volontà popolare liberamente e organicamente espressa . Le investiture imperiali e papali erano pure formalità giuridiche , senza effetto profondo sulla coscienza di principi e di popoli . Nell ' assenza dei secondi dalla vita pubblica , la gestione dello Stato era divenuta cosa puramente professionale del principe e dei suoi funzionari . Il gran significato del Savonarola nella storia italiana è di aver sentito la crisi e di aver fatto un tentativo per superarla , reagendo a quella dissociazione morale . Il Savonarola mirò , attraverso un risveglio religioso , a riportare la moralità nella vita pubblica e privata , e a santificare la politica come opera di Dio . Dopo di lui - - a distanza non soltanto di tempo - - occorre ricordare Paolo Sarpi , che non fu un politico e giurisdizionalista puro quale è ritenuto dai più ; come non lo fu il suo successore cronologico e ideale , Pietro Giannone . Anche Sarpi e Giannone hanno i loro interessi religiosi , per quanto dalla loro conformazione di spirito , tra scientifica e politica , a quella profetica del Savonarola la distanza sia grande . Le loro battaglie contro la curia romana sono accompagnate da una motivazione religiosa , la cui sincerità non v ' è ragione d ' impugnare , checché si pensi del valore intrinseco , storico o teologico , delle loro tesi . Ambedue credono che la chiesa romana odierna abbia degenerato dalla chiesa cristiana originaria , alterando le istituzioni di Cristo , in quanto ha trasformato in temporale , giuridico , politico quel che doveva rimanere spirituale , morale , religioso . Questo è il concetto fondamentale tanto della Istoria del Concilio tridentino quanto del « regno papale » del Giannone , terza parte del Triregno . Non si tratta dunque per loro di semplici tesi giuridiche in favore dello Stato , ma di una concezione organica della Chiesa e della religione cristiana : il punto della controversia è essenzialmente religioso , ed essi intendono combattere in nome del Vangelo e nell ' interesse di questo . Il Giannone ha accenti di vivo sdegno per quella che ritiene degenerazione e paganizzazione della Chiesa , inseguita da lui anche sul terreno più strettamente religioso , come il culto dei santi e la dottrina della transustanziazione . Il Sarpi afferma con forza che la difesa dello Stato contro ciò che egli giudica usurpazione clericale importa supremamente alla religione , appunto perché si tratta di combattere la degenerazione fondamentale della Chiesa , la sua mondanizzazione . Si sa che il Sarpi è imputato - - e proprio dagli scrittori più ortodossi - - di protestantesimo nascosto : e senza entrare adesso a decidere la questione ( di cui bisognerebbe cominciare per stabilir esattamente i termini ) si può in ogni caso tener per certo che le sue idee vanno bene al di là dell ' ambito politico ­ ecclesiastico , spingendosi su un terreno schiettamente religioso . Basta ricordare ( anche senza tener conto dei suoi accenni alle questioni della giustificazione per la fede e della predestinazione ) il suo concetto della Chiesa comunità di credenti , e non organizzazione gerarchico ­ ecclesiastica , concetto che ha implicazioni religiose di vasta portata . Vi è di più : questo presunto politico puro è tutto pieno dell ' idea della volontà divina , la quale agisce continuamente nella storia e determina con potere sovrano il corso degli avvenimenti , all ' infuori di ogni disegno e prudenza umana . È una religiosità ben diversa , nella sua rassegnazione passiva , da quella del Savonarola ; ma è pur sempre vera e profonda religiosità . Tra Savonarola e Sarpi potrebbero inserirsi quelli ché sono stati chiamati recentemente « eretici italiani » ( Curione , Gribaldi , Gentile , Ochino , i due Socini ) , prendendo la parola « eretici » non nel senso abituale , ma in quello di ribelli non meno alla vecchia chiesa cattolica che alle nuove protestanti , e in generale a qualunque ortodossia . Certo è che il passaggio diretto dall ' umanesimo al mondo moderno si trova in questi eretici italiani : le chiese protestanti formano , in confronto , una specie di gran « détour » , anche se storicamente necessario e di valore religioso ­ sociale proprio . Attraverso la divisione della chiesa cattolica operata dal protestantesimo passò la corrente di pensiero sboccante nel deismo e nel razionalismo settecenteschi , generatrice del mondo moderno fondato sulla libertà di pensiero e di coscienza , sulla ragione e la moralità individuali . L ' importanza storica di questi eretici italiani appare così veramente di prim ' ordine : ed essa viene rilevata qui non per una qualsiasi intenzione apologetica di confessionalismo anticattolico ( come malamente intesero , per sbadataggine o impreparazione , taluni quando io espressi altrove questo apprezzamento ) , ma precisamente in sede di storia obiettiva delle idee e delle correnti spirituali . Senonché tale importanza degli « eretici italiani » rappresenta piuttosto un apporto , fra i meno notati e fra i più importanti , dell ' Italia all ' Europa , in prosecuzione del Rinascimento , che non un precedente del rivolgimento culturale e morale italiano agli inizi del Risorgimento , poiché l ' Italia fu precisamente il paese che rimase più estraneo alla loro influenza . Il risveglio del problema religioso ( fondamentale nella storia di un popolo ) in Italia si ha nel Settecento , per tutt ' altre vie , con l ' anticurialismo e il giansenismo congiunti fra loro . II IL SETTECENTO Date politiche e realtà storiche Tutti sono d ' accordo oggi nello spostare gli inizi del Risorgimento dal 1815 al secolo XVIII : e già quando uscì ( un quarto di secolo fa ) il primo volume della Storia del Risorgimento del Raulich , fece effetto anacronistico ch ' essa cominciasse con la data antica . Il Carducci , nello studio « Del Risorgimento italiano » premesso alle Letture del Risorgimento , e che è del 1895 , introdusse la data del 1748 come termine del periodo prerisorgimentale . Era una data politica ( pace d ' Aquisgrana ) ; ma il Carducci le dava un senso più ampio , molto ampio , dicendo che nella seconda metà del secolo XVIII tutta la vecchia società italiana si era avviata a sparire per dar luogo a un novo ordine di cose . Un ' altra corrente invece ha insistito sul fattore politico puro , mettendo in rilievo nel trattato di Aquisgrana la riduzione al minimo del dominio straniero in Italia ( solo Milano e Mantova ) e l ' ingrandimento ulteriore del Piemonte . Ma la concezione politica pura - - che meglio potremmo chiamare politico ­ territoriale - - celebra i suoi trionfi , e potremmo dire i suoi saturnali , con l ' altra data ( venuta in voga principalmente negli ultimi anni del fascismo ) del 1713 , cioè del trattato di Utrecht : e , anche a chi scrive , è accaduto vari anni fa di aver accordato a questa data maggiore importanza di quanto meriti realmente . La tendenza politica insita nella scelta di quest ' ultima data è diversa da quella della data 1748 . Per la seconda potremmo parlare di una concezione federalistica , in quanto si dà rilievo al fatto che l ' Italia , dopo la pace di Aquisgrana , si trovò quasi tutta sotto principi suoi , tornando cioè ad una situazione simile a quella anteriore al 1494 , inizio delle invasioni straniere . La data del 1713 , invece , ha carattere unitario ­ sabaudo : essa vede nella pace di Utrecht soprattutto l ' ingrandimento , l ' accresciuta preminenza in Italia dei Savoia , assurti alla corona regale . Ad ambedue le date è comune l ' intenzione di riportare il processo del Risorgimento a prima della rivoluzione francese , presentandolo più o meno indipendente da essa . La data del 1748 , come s ' è visto nel Carducci , è capace di una interpretazione larga degli inizi risorgimentali , tale cioè da associare politica e coltura , riformismo e filosofismo : il Risorgimento allora appare come un movimento di idee , una trasformazione politico ­ sociale , prima ancora che una innovazione politico ­ territoriale . E solo in questo largo senso la data del 1748 ha un vero valore dal punto di vista del Risorgimento ; mentre invece essa risulta scarsamente significativa , se ci si restringe a considerare la nuova struttura politico ­ territoriale dell ' Italia dopo la pace di Aquisgrana . Abbiamo già richiamato la vecchia osservazione sulla somiglianza notevole di tale struttura con quella dell ' Italia dopo la pace di Lodi ( 1454 ) nella seconda metà del secolo XV ; e un elemento capitale di tale somiglianza è precisamente la poca solidità della struttura medesima , che ne prepara in un caso e nell ' altro il crollo a distanza di meno che mezzo secolo . Da un punto di vista puramente nazionale ­ statale , fu per l ' Italia catastrofe , o inizio di catastrofe , l ' invasione francese del 1796 non meno di quella del 1494 . Ma poi anche i sanfedisti più ostinati difficilmente possono negare che il periodo rivoluzionario iniziato nel 1796 abbia un rapporto positivo col Risorgimento , mentre quello iniziato nel 1494 sbocca irremissibilmente nella perdita dell ' indipendenza italiana e nell ' abbassamento politico ­ morale del nostro paese . Ora , per risolvere l ' apparente contraddizione contenuta nel riconoscimento di quella positività a una occupazione straniera e alla demolizione degli stati indigeni ( a cominciare dal sabaudo ) , occorre per l ' appunto superare il punto di vista puramente nazionale ­ statale . L ' anno 1713 , con la pace di Utrecht , apportò all ' Italia due novità politico ­ territoriali : la sostituzione dell ' Austria alla Spagna in Lombardia e nel Mezzogiorno , e l ' elevazione di casa Savoia al regno insieme con l ' ingrandimento dei dominî . La prima novità , dal punto di vista nazionale ­ statale , dovrebbe considerarsi come negativa , come una passività , poiché l ' Austria rappresentò un governo migliore dello spagnuolo , cioè più adatto a conciliarsi e conquistarsi i sudditi ; senza contare che in Lombardia il dominio straniero veniva anche ad essere più solido per la vicinanza al nucleo degli stati absburgici . I fautori , infatti , della data 1713 insistono sulla seconda novità . Si tratta , insomma , di quella interpretazione del Risorgimento che abbiamo chiamata « sabaudistica » , appunto perché compendia e risolve nell ' ampliamento dello stato sabaudo dal Piemonte a tutta l ' Italia il processo del Risorgimento . Senonché coloro che associano quella data a questa concezione incappano subito in una grave difficoltà . L ' acquisto del regno di Sicilia da parte di Vittorio Amedeo II poté sembrare un avviamento all ' egemonia sabauda su tutta la penisola : Vittorio Amedeo veniva a premere su di essa dai due estremi , nord e sud , e quasi ad anticipare il 1860 . Ma , senza stare ora a discutere quanto vi sia di reale e quanto di apparente o fantastico in una simile rappresentazione , il punto è che questo nuovo avviamento durò l ' espace d ' un matin . Già nel 1720 Vittorio Amedeo II dovette rinunciare alla Sicilia - - in seguito al colpo di testa dell ' Alberoni per la rivincita spagnuola - - e contentarsi in cambio della Sardegna , non solo ben più piccola e meno importante , ma priva di quella posizione geografica dominante o suggestiva che abbiamo rilevato nella Sicilia . Non era un vero scambio , ma poco meno di una detronizzazione . Il possesso della Sardegna non ebbe importanza per gli ulteriori destini sabaudo ­ italiani , se non si volesse rilevare che essa fu il rifugio della dinastia durante il periodo napoleonico sotto la protezione della flotta inglese , in comunanza di destino con i Borboni accantonati in Sicilia . La rapidità con cui il cambio avvenne , a un olimpico aggrottar di sopracciglia delle grandi potenze , mostra quanto poco lo stato sabaudo contasse ancora nel gioco politico internazionale . Si può dire anzi che , in quel secondo decennio del Settecento , lo stato sabaudo perdesse per arrotondamenti locali e acquisti eccentrici di dubbio valore , il suo maggiore obiettivo politico ­ territoriale , l ' acquisto della Lombardia ; e di arrotondamenti locali , invece di quest ' acquisto capitale , dovette altresì contentarsi nelle ulteriori guerre di successione polacca e austriaca . Dimodoché alla fine del cinquantennio , dopo Aquisgrana , di fronte ai modesti ampliamenti locali del Piemonte , troviamo che l ' impero absburgico aveva incamerato Milanese e Mantovano come suoi feudi e riaffermato di fatto il suo alto potere su Parma e Piacenza , sulla Toscana , e più in generale sulle cose italiane ; e anzi in Toscana governava , sia pure con un governo separato , lo stesso imperatore , a cui sarebbe successo un membro della famiglia imperiale . La repubblica di Venezia era priva ormai nelle faccende italiane di ogni influenza , di ogni voglia e capacità di contrastare od equilibrare il potere straniero ; anzi il suo stesso territorio era stato impunemente violato dai belligeranti . In misura ancor maggiore questa sorte era toccata allo stato pontificio , che aveva perduto fin l ' ultimo resto d ' importanza politica . Nel regno di Napoli ( come a Parma e Piacenza ) la nuova dinastia era portata dallo strettissimo vincolo dinastico a stringersi alla Spagna e a seguirne le direttive . Infine , il fatto principale era che le trasformazioni avvenute nell ' assetto d ' Italia non erano state se non in minima parte opera di forze indigene : ancora una volta le sorti della penisola erano state decise dalle potenze straniere , che ne avevano fatto il proprio campo di battaglia . In conclusione : i risultati politico ­ territoriali della prima metà del Settecento per l ' Italia sono ben lontani dal presentare per il processo del Risorgimento quell ' importanza che molti credono , o affettano di credere . Il mito sabaudo I sostenitori della data 1713 , con la motivazione che conosciamo , partono da questo presupposto ingenuo : che , essendo lo stato piemontese ­ sabaudo l ' elemento centrale nella conclusione del processo del Risorgimento - - in cui non vedono , come sappiamo , se non la formazione politico ­ territoriale - - esso debba trovarsi necessariamente nella stessa posizione dominante anche al principio . La centralità del Piemonte nella storia d ' Italia fra il 1850 e il 1861 viene anticipata , proiettata all ' indietro ; e il 1713 non è il termine della proiezione , ma semplicemente una delle sue tappe capitali . Da Vittorio Amedeo II , primo re di Sardegna , si risale naturalmente a Carlo Emanuele I , campione dell ' indipendenza italiana ( « Carlo , quel generoso , invitto core » , con quel che segue ) , e da lui a Emanuele Filiberto , ricostruttore dello stato sabaudo ; da Cateau ­ Cambrésis si salta ( poiché con la prima metà del Cinquecento non c ' è proprio nulla da fare , per la tesi ) ai secoli XV e XVI , per mostrare già allora l ' importanza primaria del Piemonte sabaudo nella storia d ' Italia . Siamo nel campo del mito politico : mito formatosi nel periodo finale del Risorgimento , sistemato e divenuto ufficiale principalmente nell ' insegnamento scolastico elementare e secondario del Postrisorgimento , ripreso nel periodo fascista con accentuazione dottrinaria ( statalistica ) , e più d ' una volta con ostilità virulenta contro quasi tutte le tradizioni e i valori del Risorgimento , ponendo il Carlo Alberto del '33 al posto di Mazzini , e il generale Galateri a quello di Andrea Vochieri . I miti politici hanno la loro spiegazione , la loro ragion d ' essere , in sede di azione , di propaganda , di libera lotta politica ; ma la storia è un ' altra cosa . E la storia dice che fino alla seconda metà del secolo XVI l ' importanza dello stato sabaudo pei la vita politica generale d ' Italia - - nel periodo massimo della storia italiana , dai comuni al Rinascimento - - è pressoché nulla ; nel sistema dei principati e della loro « bilancia » , sistema giunto a formazione completa alla metà del secolo XV , esso non ha parte ; la funzione immaginosamente attribuitagli di « guardiano delle porte d ' Italia » esso non l ' ha assunta affatto nel periodo delle invasioni straniere ( il piemontesissimo e sabaudissimo Galeani Napione riconosceva che Carlo VIII era passato alla conquista del regno di Napoli « coll ' aiuto dei principi nostri » ) , mentre più tardi - - a conclusione di una delle tante guerre infruttuose di Carlo Emanuele I - - è stato proprio il duca di Savoia , con la cessione di Pinerolo alla Francia nel trattato di Cherasco , a riaprire quella porta ; la ricostruzione territoriale dello stato da parte di Emanuele Filiberto fa onore alla tenacia e alla sagacia del principe , ma fu altresì effetto dell ' equilibrio stabilito tra Francia e Spagna , né modificò sostanzialmente l ' asservimento d ' Italia nel periodo spagnuolo ; la politica di Carlo Emanuele I , celebrata come affermazione di nazionalità indipendente , fu soprattutto aspirazione d ' ingrandimento in qualsiasi direzione , in Francia e Svizzera alla pari che in Italia ; il programma d ' unione della Lombardia al Piemonte fu un espediente di Enrico IV e in generale della politica francese più ancora che idea direttiva dei Savoia ; dalla morte di Vittorio Amedeo I ( 1637 ) , per un cinquantennio , lo stato sabaudo , ridotto a dipendenza francese , subisce una eclissi quasi totale ; nelle guerre europee dalla fine del secolo XVII a metà del secolo XVIII , il Piemonte - - possiamo ripetere quel che dicemmo per Emanuele Filiberto : con tenacia e sagacia , - - si mantenne , ricuperò l ' autonomia , effettuò ampliamenti territoriali , conquistò la corona regia , ma non si sostituì in Lombardia alla dominazione straniera né trasformò sostanzialmente la situazione politica inferiore dell ' Italia , nel quarantennio 1749­1789 subì di nuovo un parziale esautoramento , per l ' accordo austro ­ francese che gli toglieva la base principale della sua politica estera attiva . Il mito sabaudo ha fatto sì che episodi della storia d ' Italia perfettamente analoghi fra loro siano stati posti in luce del tutto differente secondoché si trattasse del Piemonte o di altro stato . Le aspirazioni dei Savoia su Genova non avevano natura diversa e valore ideale superiore a quelle , poniamo , di Austria e Spagna sulla Valtellina ; le congiure del Vachero e del Della Torre , in cui pescarono infelicemente a danno di Genova il primo e il secondo Carlo Emanuele , non valevano più di quella del Bedmar a danno di Venezia , dietro cui sarebbe stata la Spagna ; l ' assorbimento sabaudo del Monferrato non era un fatto sostanzialmente diverso da quello di Ferrara e Urbino da parte del papa . Carlo Emanuele I , lanciantesi sulle orme del capo della Controriforma , Filippo II , alla preda nella Francia dilaniata dalle guerre di religione , lavorava contro l ' equilibrio europeo e a danno dell ' Italia , mentre Ferdinando I di Toscana e Sisto V seguivano una politica più italiana ; e l ' uomo che intorno al 1615 si era atteggiato a campione dell ' indipendenza italiana contro gli Absburgo è lo stesso che una dozzina d ' anni più tardi si schierava con loro nella guerra per la successione del Monferrato , incappando nella disgrazia di trovarsi insieme con gli autori di quel sacco di Mantova che pose fine a uno dei centri della coltura italiana . Insomma , fino alla rivoluzione francese la politica sabauda è quella di uno stato di terz ' ordine che cerca con tutti i mezzi di mantenersi e di ingrandirsi , e riesce a passare dal terz ' ordine al secondo . Si ammirano giustamente in quest ' opera tenacia , arte politica , forza guerresca ; non ci si ritrova un nesso particolare con la politica nazionale , salvo quello generico e lontano dell ' utilità per quando il Piemonte si sarebbe rivolto a una simile politica , che per allora gli rimaneva ignota . La linea ascendente del Risorgimento segue - - come vedremo ora - - tutt ' altra traiettoria : quella del rinnovamento culturale e delle riforme interne , in cui il Piemonte , e particolarmente il governo piemontese , non hanno nessuna parte direttiva o soltanto ragguardevole . Il risorgimento spirituale del Settecento La tesi sabaudistica tenta spostare il significato del Settecento , per la storia d ' Italia e del Risorgimento italiano , dal terreno riformistico ­ culturale a quello territoriale ­ statale . Ma è tentativo vano , contro l ' eloquenza dei fatti e l ' unanimità della tradizione del Risorgimento . Tutta la vita italiana si concentra nel corso del secolo sul primo terreno . Nella seconda metà del secolo XVIII , anteriormente alla rivoluzione , nessuno pensa in Italia a cacciare l ' Austria dalla Lombardia , mentre il regno borbonico governato dal Tanucci riceve da Madrid il verbo di Carlo III , « in quo vivimus , movemur et sumus » , come scriveva l ' abate Galiani al Tanucci medesimo . La configurazione territoriale della penisola è considerata stabile , definitiva ; e nella pace duratura gli animi si rivolgono ad esaltare la superiorità dei tempi e dei governi nuovi sugli antichi ( si vedano le conclusioni del Muratori ai suoi Annali ) . Questa superiorità si esplica nelle riforme governative , in cui i primi posti spettano alla Lombardia austriaca , alla Toscana lorenese ( cioè anch ' essa sotto principi austriaci ) , a Napoli dei Borboni spagnuoli . I vecchi stati - - quelli a cui storicamente meglio spetterebbe l ' epiteto di nazionali o indigeni - - passano in secondo piano ( Piemonte ) , o addirittura non entrano in linea di conto ( Venezia , Genova , Stato pontificio ) . La tesi del Risorgimento puramente autoctono , aborigeno ; si trova già a mal partito di fronte a simili constatazioni ; ma non siamo ancora al centro della questione , che è nella natura di quel riformismo . Possiamo dire che i suoi caratteri essenziali siano : antifeudalesimo , massimo in Lombardia , minimo nel Napoletano ; organizzazione amministrativa uniforme e accentratrice , sopra il caos delle legislazioni e degli istituti e le stratificazioni delle consuetudini privilegiate ; anticlericalismo , o meglio anticurialismo , cioè riduzione del potere della Chiesa , e più precisamente del pontefice , a favore dello Stato , con spunti di riformismo ecclesiastico che verso la fine del periodo presero in Toscana quegli sviluppi che tutti sanno ( Scipione de ' Ricci e sinodo pistoiese ) ; tolleranza religiosa e incipiente laicizzazione dello Stato e della vita sociale ; umanitarismo spiegantesi soprattutto nell ' addolcimento delle leggi penali , fino alla abolizione leopoldina della pena di morte . Sono gli stessi caratteri che riscontriamo , dal più al meno , nelle riforme degli stati fuori d ' Italia . Che cosa è tutto questo se non l ' applicazione dei principî di quel filosofismo o razionalismo formatosi in Inghilterra tra la fine del Seicento e i primi del Settecento , trapassato in Francia che ne divenne la roccaforte col Voltaire e gli enciclopedisti , e propagatosi in Germania , in Italia e nel resto d ' Europa ? L ' Italia tiene un posto assai onorevole nella pratica riformistica con Bernardo Tanucci , con Pier Leopoldo e con gli ottimi coadiutori di questo . Altrettanto onorevole è il suo posto nel campo delle idee : gli scrittori italiani rimangono piuttosto timidi nella parte filosofico ­ religiosa , pur mostrandosi impregnati di razionalismo e di sensismo ; sono assai più arditi nel campo economico ed amministrativo , e loro caratteristica è soprattutto il cambiato concetto della politica ( esso affiora già insistentemente negli Annali del Muratori ) superante la vecchia ragion di stato per l ' utile sociale , per la liberazione e l ' elevazione dell ' individuo . Ma questo moto italiano , nel campo pratico e nel teorico , è schiettamente europeo : l ' Italia lo riceve dal di fuori con i principi riformatori stranieri ( anche se coadiuvati vigorosamente dai ministri paesani ) , e soprattutto con la diffusione della scienza , della filosofia e della Weltanschauung di oltralpe . È impresa vana , tentata per pregiudizi mentali o fini pratici , quella di cercare nel pensiero italiano del Settecento una originalità intesa come singolarità e opposizione rispetto al pensiero contemporaneo , cioè al razionalismo settecentesco . Parliamo , s ' intende , del pensiero italiano che conta , di quello di Beccaria , Filangieri , Verri e simili ; né possiamo dare importanza alle spigolature erudite tratte dalla farragine di scritti accademici di quei « benpensanti » che nella storia del pensiero non hanno mai , in nessun tempo , contato nulla ( è piuttosto comico parlarci dei Filopatridi piemontesi che al Montesquieu , al Rousseau , al Diderot , al Condillac , al Voltaire , amavano contrapporre « la propria storia , la tradizione sabauda , se stessi » ) . Di fronte a quelle spigolature erudite contano molto di più certe semplici battute goldoniane contro la superbia tradizionale e l ' influenza corruttrice della nobiltà , e a favore della borghesia e del popolo lavoratore . Filosofia e ragione sono le dèe del pensiero settecentesco italiano come di quello inglese , francese , tedesco ; e l ' Italia va a scuola almeno dal primo e dal secondo . L ' Italia riceve il pensiero di oltralpe , lo assimila , lo rinforza con i succhi del proprio terreno , stimolati dall ' innesto esterno . L ' Italia del Settecento ripiglia i fili interrotti della sua tradizione ; il Risorgimento si riattacca al Rinascimento . Ma il riattacco non è fatto direttamente , rimanendo sul suolo nazionale ; esso si compie attraverso l ' Europa . Ricongiungendosi all ' Europa , dopo l ' isolamento controriformistico e seicentesco , l ' Italia comincia a ritrovare se stessa . La ripresa del problema religioso Ciò si vede particolarmente bene sul terreno ecclesiastico ­ religioso . Abbiamo riavvicinato sopra Savonarola , Sarpi , Giannone , mostrando come essi formino una catena paesana di tradizioni riformistico ­ religiose , attraverso due secoli e mezzo . Ma il Savonarola e il Sarpi erano rimasti isolati e finalmente impotenti : l ' uno finì sul patibolo sanzionato dal legato pontificio , l ' altro sfuggì a malapena agli attentati curiali . Il Giannone personalmente non fu più fortunato , poiché terminò i suoi anni nella lunga prigionia sabauda , ove fu attratto e tenuto per compiacere alla corte di Roma . Ma , mentre egli moriva in carcere , le sue idee - - portate su un piano più alto di quello puramente giuridico a cui egli si era tenuto nella Storia del regno di Napoli ( il Triregno , in cui a questo piano superiore si era elevato egli stesso , rimase inedito per più di un secolo ) - - si avviavano al successo . Gallicanesimo e giansenismo , provenienti dal di fuori , avevano cominciato a trasformare l ' ambiente ecclesiastico ­ religioso italiano , ridando forza alle correnti riformistiche indigene . Il gallicanesimo era un movimento politico ­ ecclesiastico tendente all ' autonomia nazionale della Chiesa e alla sua stretta associazione con lo Stato ; il giansenismo era un movimento dommatico ­ etico i cui elementi principali erano una teoria intransigente della grazia divina e il rigorismo morale . Ma il primo , fondandosi su una certa idea dell ' antica organizzazione ecclesiastica , in opposizione alla curia romana , saliva sul piano teorico ecclesiastico ­ religioso ; il secondo dalla teoria dommatica scendeva a investire la prassi ecclesiastica e la politica ecclesiastica dei governi . Già il Sarpi era stato in stretto contatto con il gallicanesimo , e aveva preso vivo interesse all ' inizio di quelle polemiche sulla grazia da cui scaturì poco dopo il giansenismo ; e , se questo fu nel primo periodo un fenomeno soprattutto francese , parallelo ad esso vi fu un agostinianismo italiano in lotta con il molinismo e il lassismo dei Gesuiti . Il giansenismo aveva in sé molto di antimoderno , di arcaico e si potrebbe dire di reazionario : suo fondamento era un concetto rigido del domma rivelato e tramandato ; suo àmbito , la vecchia teologia con le proprie dispute antichissime ; suo obbiettivo , la restaurazione della morale ascetica e dell ' antica disciplina ecclesiastica . Gli avversari principali dei giansenisti , i gesuiti , erano per vari aspetti più moderni , più accomodanti verso la nuova civiltà . Ma due elementi essenziali di rinnovamento si ritrovano nel giansenismo : il primo e maggiore , la restaurazione dell ' intimità della coscienza morale , attraverso la fede nella grazia di Dio signora onnipossente dell ' eletto ; il secondo , la lotta contro l ' assolutismo della chiesa romana ( donde poi i contatti e l ' alleanza con il gallicanesimo ) , la quale portava - - attraverso l ' appello alle antiche tradizioni ecclesiastiche - - a un ringiovanimento della società religiosa , a una prevalenza della Chiesa ­ comunità di coscienze sulla Chiesa ­ istituto e apparato ecclesiastico . Inoltre in Francia le lotte ripetute contro il potere regio affiancante e talora stimolante l ' intervento romano - - con l ' appello , anche qui , alla superiorità della coscienza contro il potere esterno - - contenevano in sé germi di liberalismo politico che si sarebbero sviluppati alla fine del secolo nel contatto con la rivoluzione francese , in Francia e in Italia . Nella prima metà del Settecento - - attraverso le contestazioni sulla validità e l ' applicazione della bolla Unigenitus ( 1713 ) e l ' appello al Concilio , - - giansenismo e gallicanesimo si associarono strettamente in Francia , e così associati si diffusero in Italia , congiungendosi all ' agostinianismo italiano di cui rafforzarono l ' innato carattere antigesuitico . Parteciparono al moto , in Italia , la Lombardia , la Liguria , la Toscana , Napoli , Roma stessa ( circolo Bottari ) ; più debolmente il Piemonte . Gallicanesimo e giansenismo stimolarono fra noi il giurisdizionalismo dei governi , fornendogli un allargamento della base teorica e un impulso morale . La limitazione del potere della Curia venne a far tutt ' uno con l ' indipendenza dei governi da essa e con l ' abolizione dei privilegi ecclesiastici ; l ' idea di una chiesa nazionale si associò con il controllo e l ' ingerenza dei governi nelle cose ecclesiastiche ; l ' una e l ' altra alimentarono speranze e suscitarono piani di riforme ecclesiastiche , di valore non più soltanto politico ­ sociale , ma religioso . In quei conflitti giurisdizionali , nelle lotte anticuriali dei governi italiani settecenteschi , una parte notevole della società ecclesiastica - - probabilmente non la più numerosa , ma certo la più colta e , così a occhio e croce , si direbbe anche la più religiosa ( in ogni caso , non meno religiosa dell ' altra ) - - stette per i sovrani contro il pontefice . Non erano solo i funzionari , i giuristi , gli scrittori laici , a fare del « regalismo » : ne facevano , prima e meglio di loro , ecclesiastici canonisti e studiosi di patristica e di storia della Chiesa , dottori in teologia , vescovi . Il regalismo non si riduceva a semplice assolutismo regio , e tanto meno a spirito di adulazione verso il sovrano ( come in uno dei suoi impeti di polemica irosa sentenziò e condannò l ' Alfieri ) : c ' erano in esso coscienza dei diritti della società civile , della nazione , del popolo dei credenti , desiderio d ' indipendenza dal dominio clericale , aspirazioni di progresso economico e civile , cura dell ' elevazione del popolo , e - - ripetiamolo - - tendenza alla riforma interiore , alla purificazione ed elevazione della chiesa cattolica , a riportare il cristianesimo verso la purezza originaria . Quest ' interesse religioso affiora nel Tanucci ; si afferma nei giansenisti di Lombardia ; si realizza praticamente in Toscana con l ' opera di Scipione de ' Ricci fatta propria da Pier Leopoldo . Non si tratta qui di valutare legittimità e risultati di quei movimenti e di quelle aspirazioni da un punto di vista confessionale o anticonfessionale , ma di constatare che essi risuscitarono in Italia il problema religioso dormiente dal tempo della Riforma , risvegliarono e smossero nel profondo la coscienza italiana , avviando la restaurazione di quella unità morale che vedemmo perduta fra il Risorgimento e la Controriforma , e contribuirono sostanzialmente al sorgere di una nuova Italia , in armonia con il progresso generale europeo . Una limitazione essenziale , tuttavia , conviene fare al riformismo settecentesco italiano , teorico e pratico , per quel che riguarda l ' avviamento dato da esso al Risorgimento . Mancò ad esso una partecipazione popolare , e quindi una larga base nazionale . I pensatori italiani del Settecento parlarono ad un cerchio ristrettissimo , ben più ristretto che in Francia o in Inghilterra : episodi come quelli delle agitazioni di Wilkes in Inghilterra o per i processi Calas e De La Barre in Francia ( Voltaire ! ) in Italia non si ebbero . Alle riforme dei governi i popoli rimasero indifferenti o addirittura si mostrarono ostili : si ricordino le avversioni popolari ­ devote toscane alle riforme ricciane ­ leopoldine . Al che si aggiunge che , se il regalismo non si ridusse a puro assolutismo regio , pure non può negarsi che il rafforzamento di questo ne fosse non solo lo scopo diretto , ma il risultato principale . I sovrani cercarono nella loro opera riformatrice di migliorare l ' amministrazione rendendola più uniforme , la giustizia rendendola più spedita e più umana , la condizioni economiche e intellettuali dei loro popoli favorendo industrie e commerci , abolendo taluni dazi e vincoli alla libertà del lavoro , promovendo e diffondendo la coltura . Ma in conclusione essi non affrontarono i problemi fondamentali posti esplicitamente dal filosofismo , o derivanti necessariamente dalle premesse di questo , e pertanto già maturi nelle coscienze superiori : uguaglianza civile , libertà civile e politica , regolamento costituzionale dello Stato , controllo e partecipazione del popolo al governo . E perciò è nettamente da respingere la tesi ( Botta , Manzoni ) secondo la quale , se il corso delle riforme settecetesche italiane non fosse stato interrotto dalla rivoluzione francese , esso avrebbe condotto di per sé , per vie pacifiche e puramente indigene , alla resurrezione nazionale . Europeismo del Settecento italiano Se , dunque , dobbiamo far capo al Settecento per gli inizi del Risorgimento , risulta chiara la necessità di accogliere , così facendo , il concetto culturale ­ politico del Risorgimento medesimo , al posto di quello politico ­ territoriale . Bisogna salire , cioè , di piano , e allargare l ' orizzonte : si tratta di ben altro che del trattato di Utrecht o di quello di Aquisgrana , di qualche territorio o pezzo di territorio ottenuto dal Piemonte , di qualche cambiamento di sovranità nell ' una o nell ' altra regione della penisola . Si tratta - - insistiamo sull ' idea fondamentale - - del ricongiungimento d ' Italia al corso generale della civiltà europea , all ' indirizzo generale della vita politico ­ sociale europea . Ciò posto nessun vantaggio alla tesi del Risorgimento puramente indigeno può venire da questa inclusione in esso del Settecento . Col tirare indietro gli inizi del Risorgimento dalla rivoluzione francese alla metà o ai primi del Settecento , il problema delle relazioni fra il Risorgimento ed Europa , cioè delle influenze estere sul primo , si sposta nel tempo e nei termini specifici ; ma ritorna ugualmente , inevitabilmente , e vedemmo già come si risolva . All ' influenza politico ­ pratica della Rivoluzione subentra quella politico ­ ideologica del filosofismo . Ricerche compiute negli ultimi tempi sul Settecento italiano ( più precisamente piemontese ) per mettere in luce contributi italiani poco noti alle lettere e alle scienze si sono rivelate fruttuose nei particolari eruditi e meritorie per l ' abnegazione della ricerca , ma non hanno punto cambiato il quadro generale . Se mai , l ' hanno ingombrato , non distinguendo l ' importante dal meno importante , il pensiero originale dal luogo comune . Un Settecento italiano autoctono , da contrapporre alle correnti predominanti all ' estero , non è venuto fuori , e si può giurare che non verrà fuori mai . È assurda in radice , del resto , per qualsiasi paese , l ' autoctonia della vita del pensiero e dello spirito , in cui esiste sempre circolo e accomunamento . Assurda particolarmente per il Settecento , secolo cosmopolita per eccellenza , di scambi intensissimi e di conguagliamento , visibile anche ai ciechi , fra i diversi paesi , con predominio nettissimo di una mentalità indivirdualistico ­ universalistica . Risultato precipuo della elaborazione ideale del Settecento italiano ed europeo è il concetto di umanità , nel doppio senso dello sviluppo individuale e di una civiltà comune a tutti i popoli . Individualismo , universalismo , umanitarismo , razionalismo sono caratteristiche del Settecento italiano non meno che del francese , inglese o tedesco , quando pure taluna di esse non si trovi fra noi più accentuata . Il Muratori chiamava la ragion di stato « fiera turbatrice del riposo de ' popoli » , ed esaltava i saggi principi che sanno cercare la vera via della gloria soprattutto nel bene dei loro sudditi . Il Beccaria dichiarava che il criterio della legislazione deve essere « la massima felicità divisa nel maggior numero » , e proclamava che la volontà generale è l ' aggregato delle particolari . Il Filangieri constatava non dominare più al tempo suo lo spirito bellicoso degli antichi : dappertutto non si pensava che « ad essere in pace e ad arricchirsi » . Anche per il Verri l ' interesse pubblico era la somma degli interessi privati . Egli prevedeva un tempo , forse non lontano , in cui la ragione universale avrebbe dilatato il suo impero ; e intanto osservava che gli uomini presentemente in Europa vivevano con usi e opinioni poco dissimili e formavano piuttosto diverse famiglie di uno stato che nazioni diverse ; ed esaltava le « anime nobili » che « mirano la terra come la patria dello spirito umano , e gli uomini una famiglia divisa in buoni e malvagi » . Questo universalismo ripigliava le tradizioni italiane , sia del Rinascimento sia del medioevo , ma con spiriti nuovi e con posizione diversa nei riguardi degli altri paesi . Sullo scorcio del medioevo l ' Italia , dopo aver raggiunto uno dei primi posti accanto alla Francia precedentemente dominante , era passata addirittura al primo nel Rinascimento . Poi era avvenuta la discesa , il distacco dal resto d ' Europa . Ora , gli Italiani sapevano benissimo che si trattava per loro di risalire la china , e guardavano con emulazione , ma senza invidia , chi stava più in su di loro . Nel carteggio di Pietro Verri col fratello Alessandro , Locke , Voltaire , gli enciclopedisti sono nominati ripetutamente come maestri . Più tardi il Verri associava il ricordo di Montesquieu a quello di Beccaria . Non per questo i nostri scrittori del Settecento mancavano di sentimento nazionale , che talora , anzi - - per esempio nel noto articolo del « Caffè » Della Patria degli italiani , attribuito un tempo al Verri , e invece del Carli - - giunge alla formulazione precisa di un patriottismo italiano fondato sull ' unità e la coscienza nazionali . Ma solo nei minori , in quelli che contavano meno - - eruditi puri , compilatori , redattori di atti accademici , ecc . - - il sentimento nazionale prendeva aspetto di rivalità ostile verso l ' estero , di tentativo ( vano ) per affermare superiorità italiane allora inesistenti . È proprio questa parte deteriore , infeconda , passata senza traccia , quella su cui taluni studiosi del Settecento italiano amano oggi sostare . I più illuminati sentivano allora la nostra inferiorità , la proclamavano , e desideravano rimediarvi , non col respingere il progresso estero , ma con l ' assimilarlo . Nel campo della speculazione politica , la prevalenza assoluta delle questioni interne era in rapporto circolare con l ' europeismo e l ' universalismo del pensiero . Vedemmo come le linee fondamentali del pensiero politico italiano fossero le stesse che nel resto d ' Europa : ciò non impediva visioni di problemi particolari nostri e applicazioni speciali a situazioni italiane , ma senza nessuna pretesa di inalberare principî originali . Scarsamente sentito era il problema dell ' indipendenza ; veniva posto invece talora quello dell ' accordo tra le riforme e l ' opinione pubblica : « tutto fa l ' opinione , essa è la direttrice della forza » , diceva il Verri . Ignorato era tuttora il problema dell ' unità ; anche l ' idea della confederazione ebbe solo apparizioni saltuarie ed occasionali . V ' era piuttosto , talora , un certo scontento della posizione italiana presente , un certo rimpianto della grandezza passata ; e con questi sentimenti comparivano sporadicamente valutazioni e vagheggiamenti non in perfetto accordo con l ' ideologia generale . Il Filangieri esponeva l ' idea di una educazione pubblica formante il carattere nazionale ; il Verri ammetteva l ' ipotesi di un rafforzamento del sistema papale come benefico all ' Italia , affermando così un nesso positivo fra la grandezza del papato e le sorti della nazione italiana ; e nel conflitto fra papa Clemente XIV e i Borboni diceva di sentirsi guelfo , spiegando però : « per quella naturale propensione che abbiamo nel cuore di prendere il partito del debole coraggioso » . E il Baretti - - scrittore peraltro di idee conservatrici - - nella stessa occasione si sdegnava che il papa , principe italiano , fosse violentato a fare a modo delle potenze oltremontane , senza riflettere che nella questione gesuitica non si trattava del papa come principe temporale , ma del capo della chiesa cattolica ; e che , fra le potenze che gli facevano violenza , ce n ' erano due italiane . Superiore a tutti questi accenni vaghi e occasionali di risveglio patriottico è , per forza e nettezza di sentimento , l ' Alfieri , il quale - - attraverso , si noti bene , un riconoscimento più pieno che mai dell ' inferiorità italiana rispetto alle altre nazioni - - arrivò nella chiusa di Del Principe e delle Letterre alla famosa profezia sulla rivoluzione e l ' unità d ' Italia . Qui veramente il Settecento è oltrepassato , e suona la squilla del Risorgimento . Alfieri e Parini : rivoluzione morale Squilla di risorgimento politico . Occorre intenderne bene il timbro , per non prendere equivoco circa lo strumento da cui proviene . Chi credesse di concludere , da quel finale politico e dalla profezia unitaria dell ' opera alfieriana , che l ' Alfieri smentisce il nostro concetto del Settecento come risorgimento etico ­ culturale in senso europeo , farebbe doppio errore . Intanto , l ' Alfieri appartiene tutto alla seconda metà del Settecento , e in particolare quel capitolo di Del Principe e delle Lettere è stato scritto nel l784 , cioè appena qualche anno prima della Rivoluzione . Se il Rousseau , nato quasi quarant ' anni avanti all ' Alfieri , si stacca dal Settecento puro , enciclopedistico , e tuttavia ne continua l ' opera sul terreno etico ­ politico , altrettanto si può dire dell ' Alfieri riguardo al Settecento italiano . La prima radice dell ' italianità dell ' Alfieri - - e di quel certo nazionalismo , di quel cero astio verso le altre nazioni ( particolarmente la Francia ) che sentiamo in lui a differenza dello spirito dominante nei predecessori - - è morale e culturale , o più precisamente letteraria . Da una parte l ' Alfieri constata l ' inferiorità presente italiana rispetto alle altre nazioni , se ne sente tocco nella sua personalità e ci s ' infuria . Dall ' altra , egli è conquistato dall ' entusiasmo per l ' armonia della lingua italiana ( rispetto alla quale i suoni delle altre sembravano ai suoi nervi facilmente eccitabili quasi gridi bestiali ) e per le bellezze della nostra letteratura : gli pare che nulla si ritrovi d ' uguale ai nostri quattro grandi poeti , vicino ai quali nutre speranza di ottenere un posto . L ' affermazione prepotente della propria individualità è motivo dominante dell ' Alfieri , che da solo rende vano e risibile qualsiasi tentativo di trovare in lui un propugnatore di concezioni statalistiche , sia per l ' Italia , sia per la società in generale . E il capitolo finale di Del Principe e delle Lettere , che si cita generalmente come se fosse isolato , è invece in stretta connessione con tutta l ' opera : ben più stretta che nell ' altro finale , ancor più famoso e di qualche affinità , quello del Principe machiavellico . Tutta la tesi dell ' opera è nella nobiltà suprema dell ' ufficio di scrittore , purché compiuto senza nessun legame con i governi , in piena libertà d ' ispirazione e di espressione . A tali scrittori l ' Alfieri considera affidato in prima linea il destino delle nazioni , perché sono essi a formarne e risvegliarne la coscienza morale : ed egli sostiene espressamente e diffusamente la superiorità del grande scrittore sul gran principe , così come nella Vita afferma che i dispacci e la diplomazia del governo piemontese « mi pareano , ed erano per certo , assai meno importante ed alta cosa che non le tragedie mie o le altrui » . Quando le lettere in Italia abbiano compiuto il loro ufficio civile , e in seguito a questo compimento , l ' Alfieri afferma la possibilità della risurrezione politica italiana . Risurrezione che sbocca ( i più non lo ricordano , o nol sanno ) non nell ' unità monarchica , ma nella repubblica , poiché si prevede che l ' unico sovrano subentrato alla dualità ( essa stessa uscita dalla molteplicità ) degli stati italiani , « oltre ogni limite abusando anche in casa del suo eccessivo potere , dagli Italiani ( che allora riuniti tutti ed illuminati avranno imparato a far corpo ed a credersi un solo popolo ) , dagli Italiani riuniti verrà poi allora quell ' uno , e la sua fatale unità , abolito , e per molte generazioni abborrito e proscritto » . L ' Alfieri dunque è il più energico assertore della preminenza del morale sul politico , del Risorgimento come processo spirituale , anziché come fatto politico ­ territorale . Né poteva essere diversamente , poiché il suo superamento ( in quanto superamento c ' è ) del Settecento deriva appunto dell ' accentuazione dell ' elemento etico . Al posto dell ' umanitarismo utilitaristico settecentesco l ' Alfieri pone l ' individualismo morale , la formazione e affermazione della personalità umana , che peraltro sono svolgimento e integrazione del primo . La critica che vedremo ( p . 57 ) formulata da altri scrittori italiani del Settecento all ' educazione italiana del tempo , suona in lui più forte , più sprezzante . Essa è il punto di partenza della Vita , ove all ' « Epoca seconda » è posto come sotto titolo riassuntivo : « otto anni d ' ineducazione » . Negli Annali egli scrive di avere avuto da sua madre , « come pur troppo si suole in Italia , una pessima educazione » . Contro l ' istruzione del collegio , i « non studi » e i sistemi pedagogico ­ disciplinari , l ' Alfieri vibra continuamente la sua sferza . Al disdegno per quella educazione egli accoppia , nel corso della Vita , due altri aborrimenti : quello per la disciplina militare , l ' « infame mestiere militare » , « la male detta genia soldatesca » , e l ' altro per i vincoli vassallatici verso i sovrani e per la servilità della corti ; motivi che ambedue confluiscono nella condanna assoluta , passionale , irosa e sprezzante al tempo stesso , di ogni « tirannide » . Tutti questi sentimenti alfieriani rampollano da un senso fondamentale di libertà e dignità individuali , e ad esso ritornano . Questo sentimento è alimentato in lui da ogni esperienza e lo ispira in ogni giudizio : si tratti della monarchia militare prussiana o del dispotismo moscovita , della visita all ' Inghilterra a diciannove anni o della lettura di Plutarco ( a cui associa Montaigne e Montesquieu ) , della proibizione di allontanarsi dal Piemonte senza permesso del sovrano o dell ' altra di non stampare fuori del Piemonte medesimo . E così egli concede , con sacrificio delle sue proprietà e della sua posizione sociale , al « disvassallamento » , cioè al suo trapiantamento definitivo fuori del Piemonte e alla rescissione di ogni vincolo feudale verso il sovrano ; e uscendo dal Piemonte dice di essersi inteso « come allargato il respiro » ; e aggiunge così se stesso al grande Lagrange e al minor Denina nell ' espatrio , con una coscienza così risoluta da rendere per lui senza oggetto qualsiasi apologia « sabauda » che si possa tentare in quegli altri due casi , poiché qui è la coscienza e la volontà recisa dell ' uomo che si contrappongono a un ambiente e a un sistema . Non si tratta infatti in lui di risentimento personale verso i suoi sovrani , di cui dice bene ; ma del fatto che « quando si pensa e vivamente si sente che il loro giovare o nuocere pendono dal loro assoluto volere , bisogna fremere e fuggire » . È la condanna definitiva di ogni assolutismo , appunto perché la radice si ritrova in una incompatibilità morale . Né l ' opposizione posteriore alla rivoluzione francese ( celebrata ai suoi inizi : Parigi sbastigliato ) , la condanna furiosa di essa rivoluzione e della Francia cambiano nulla a questa sostanziale posizione alfierana , poiché esse sono sempre pronunciate in nome della « sacra e sublime causa della libertà » e contro « la prepotenza militare » posta a base della « sedicente repubblica » . E ai Francesi , « schiavi malnati » , egli rinfaccia che , se la Francia tiene in schiavitù l ' Europa , è tenuta essa stessa « da un perpetuo console » in schiavitù « più dura ed infame » . Sopra un piano morale si muove dunque l ' Alfieri : e sopra un piano morale - - poco prima o contemporaneamente a lui - - si muove anche il Parini , sebbene non sia identico l ' orizzonte dei due scrittori . Il Parini , nonostante la sua formazione letteraria arcadica , aveva assorbito molto più direttamente e largamente dell ' Alfieri il razionalismo e l ' utilitarismo sociale settecenteschi . Ma anch ' egli ( L ' impostura , La caduta ) afferma l ' imperativo supremo della personalità morale ; anch ' egli rivendica la dignità umana individuale contro pregiudizi tradizionali e istituti sociali ; bensì , non dominato come l ' Alfieri dal prepotente bisogno d ' affermazione del proprio io e impregnato ben più profondamente di lui di umanità filosofica e cristiana , valica i confini del riformismo politico settecentesco col suo sentimento di giustizia sociale spinto fino alla vera e propria contrapposizione di classe , e potremmo dire quasi odio di classe , manifestantesi nei dittici sanguinosamente ironici della vita nobiliare e della plebea . Anche certi accenni nel Giorno , che potremmo dire conservatori o nazionalistici , non sono in realtà se non altre manifestazioni di questo sentimento fondamentale : sia che egli satireggi l ' affettazione della nobiltà a parlar francese e rivendichi « l ' italian Goffredo » , rispetto all ' Henriade di Voltaire ; sia che derida il lusso nobiliare nella sua caccia ai prodotti esotici ; sia infine che , nel parlare delle tendenze antireligiose dei « novi sofi » , attacchi il ripugnante egoismo di classe col quale la nobiltà intende riserbare per sé i lumi della ragione , mantenendo il volgo obbediente entro i legami tradizionali ; mentre invece esalta , con l ' ironico biasimo , le dottrine sociali di uguaglianza e di umanità del filosofismo . E la religiosità cristiana del Parini si associa alla condanna dei gesuiti , dell ' intolleranza religiosa ( i versi contro gli autodafé ) , e della superstizione dominante a Roma . Anche nel Parini , come nell ' Alfieri , si passa dal riformismo alla rivoluzione : rivoluzione politica per questo , sociale per quello . Era il passaggio che aveva già effettuato fuori d ' Italia il Rousseau , e che la rivoluzione francese si apprestava a tradurre dal pensiero al fatto . E , se l ' Alfieri trovò nella rivoluzione francese chi attuò il suo programma tirannicida tanto pienamente da attirarsi i suoi fulmini , il sentimento sociale del Parini appare , rispetto alla seguente rivoluzione italiana , un « futuro » che neppure nel corso ulteriore del Risorgimento trovò piena soddisfazione . Si potrebbe dire che egli è per la rivoluzione italiana alla fine del secolo XVIII quello che il Pisacane fu rispetto al Risorgimento nel suo apogeo . Checché sia di ciò , certo è che l ' Alfieri e il Parini ribadiscono in pieno il carattere etico ­ culturale del Risorgimento e il suo legame con l ' ideologia del Settecento europeo , di cui essi medesimi rappresentano lo svolgimento ulteriore . III LA PRIMA CRISI RIVOLUZIONARIA Dai riformisti ai giacobini Nel Settecento italiano abbiamo incontrato un periodo di accordo fra il pensiero innovatore degli scrittori e l ' azione riformatrice dei governi . Questo accordo non fu mai e in nessun luogo perfetto , perché il pensiero dei primi si spingeva ben più avanti dell ' azione dei secondi , e rimaneva fra le due categorie la diversità intima d ' ispirazione : i governi non avevano superato veramente il principio della ragion di stato , a cui i pensatori avevano volto decisamente le spalle assumendo un concetto dello Stato come di strumento del benessere individuale e sociale . Verso la fine del secolo l ' accordo si ruppe affatto : gli uomini di governo sostarono e indietreggiarono , i teorici proseguirono innanzi . La rottura avvenne in coincidenza e in relazione con la rivoluzione francese ; ma si era preparata già prima , per ragioni che non erano senza analogia con quelle che produssero in Francia la rivoluzione stessa . Due cose mancarono al riformismo settecentesco italiano : la partecipazione del popolo , e cioè una coscienza veramente nazionale , e lo sbocco in un nuovo assetto organico dello Stato , cioè in una nuova costituzione . Non sono mancanze rilevate oggi , a fatti compiuti da tanto tempo , col « senno di poi » : i pensatori italiani se ne resero conto già allora . Il Verri nell ' aprile 1796 notava che quanto si era avuto di progressivo negli anni precedenti non solo era avvenuto per volere assoluto del sovrano , senza impulso del popolo , ma in contrasto con i sentimenti di questo , « che avrebbe voluto conservare inclusivamente la barbarie della tortura e il supplizio della ruota » . Quando nel 1790 Leopoldo II invitò i consigli provinciali di Lombardia a raccogliere ed esporre le rimostranze e i bisogni dello Stato , il Verri giudicò che si sarebbe dovuta chiedere una costituzione , e stese una memoria in questo senso ; e più tardi formulò un rimprovero ai rappresentanti lombardi per non averlo fatto . Tali prese di posizione del Verri sono posteriori all ' inizio della rivoluzione francese ; ma questa dovette far manifestare al Verri disposizioni d ' animo già maturate nel decennio precedente , come possiamo congetturare altresì per la sua critica ( anch ' essa posteriore al 1789 , ma relativa a fatti precedenti ) al rivoluzionarismo dall ' alto di Giuseppe II : il progresso politico per imposizione sovrana , egli scrive , non è vero progresso ; è un governo assoluto di polizia , « smascherato dispotismo » ; l ' imperatore non era padrone degli uomini più di quello che lo fosse dell ' erario pubblico . Anteriore , in ogni caso , alla Rivoluzione è lo scritto Decadenza del papato , ecc . ( 1783 ) , rimasto inedito fin dopo la morte del Verri , in cui questi attacca a fondo il « fratismo » e « l ' impostura » dominanti in Italia , cioè il metodo di educazione clericale , tutto fondato su credenze imposte dal di fuori e supinamente accettate , senza critica personale , e su osservanze esteriori di pratiche e di riti , senza intima vita morale . A questa educazione egli attribuiva l ' inferiorità degli Italiani per la quale - - egli diceva - - dappertutto fuori d ' Italia era ormai una vergogna il dire : sono Italiano . Evidentemente a tale educazione andava anche ricondotto quell ' indifferentismo e oscurantismo della coscienza popolare , quella mancanza di coscienza nazionale di cui abbiamo parlato sopra , e che isterilì e fece fallire il riformismo indigeno italiano . Le querele contro il « fratismo » sono diffuse nei nostri scrittori ( Parini , Baretti ) . Era posto così il problema spirituale del Risorgimento , come autonomia interiore e vita morale che il popolo italiano doveva conquistarsi come avevano fatto gli altri popoli europei . Il giansenismo si rivelò insufficiente in proposito , o almeno non fece in tempo ad agire : esso incominciava appena a penetrare nell ' insegnamento universitario quando scoppiò la bufera rivoluzionaria . Il Giorno del Parini , e anche la Vita dell ' Alfieri , sono le maggiori manifestazioni di questa esigenza di rinnovamento morale , e al tempo stesso della sua mancata soddisfazione . Una evoluzione non compiuta , e di cui tuttavia rimanga l ' esigenza negli spiriti superiori , contiene in sé un germe di rivoluzione : il distacco fra il pensiero e l ' azione , fra l ' ideale e il reale agisce , a lungo andare , esplosivamente . I principi italiani intorno all ' inizio della rivoluzione francese , e per contraccolpo di essa ( ma non solo per questo ) , si arrestarono ; quelli , s ' intende , che si erano mossi . Ma non si arrestarono le idee di quegli Italiani che guardavano innanzi : pochi , ma in essi erano le forze dell ' avvenire . Nulla di più caratteristico dell ' atteggiamento , rispetto agli svolgimenti rivoluzionari francesi , tenuto dal Verri , temperamento per null ' affatto rivoluzionario , fautore di una placida filosofia , patrizio milanese obbediente al governo austriaco , anche se non sempre soddisfatto di esso . Egli prese le difese della Rivoluzione contro coloro che si scandalizzavano per i suoi primi eccessi ; si augurò la diffusione del moto , sperando che ne venisse un cambiamento di faccia alla politica ; contestò alle classi privilegiate l ' imparzialità necessaria per giudicarne ; e se dopo il supplizio del re e di fronte al Terrore formulò biasimi ed ebbe accenti di esecrazione , non prese però neanche allora una posizione puramente negativa di fronte alla Rivoluzione , e vi si adattò quando essa giunse a Milano . Egli cercò di accogliere i nuovi concetti politici , sforzandosi di precisarli secondo i suoi criteri razionali e morali ; e lo stesso fanatismo rivoluzionario , tanto contrario alla sua indole , fu da lui valutato come una possibilità di scossa della nazione italiana dal « torpore » . Se tanto avanti giunse il patrizio riformista Verri , altri non si contentarono in quegli anni di pensare , ma si volsero per loro conto a tentar di ristabilire l ' accordo tra pensiero e azione . Donde la formazione qua e là in Italia di nuclei di « giacobini » , le prime congiure , i primi processi politici , le prime esecuzioni capitali : Emanuele De Deo , Francesco De Stefanis , Giovan Battista De Rolandis , ecc . , oltre l ' espulsione dalla Toscana di un discendente di Michelangelo , Filippo Buonarroti , divenuto poi compagno del Babeuf in Francia . Antirivoluzionarismo sabaudo Il sistema politico ­ territoriale italiano al momento della rivoluzione francese era ( s ' è detto già ) simile a quello di tre secoli addietro , all ' inizio delle invasioni straniere : di bella apparenza , ma di scarsa solidità . I novatori in Italia erano pochi , la grande maggioranza delle popolazioni era composta di sudditi fedelissimi ; ma era fedeltà prevalentemente inerte , passività . Come tre secoli addietro , mancò tanto l ' accordo fra i principi quanto la solidarietà fra principi e popoli . Il progetto di confederazione , tanto vantato , dal Galeani Napione ( 1791 ) non solo rimase dissertazione accademica , ma anche come puro pensiero rispondeva , piuttosto che a un ' idea nazionale , alla preoccupazione di resistere alla Rivoluzione , di conservare lo statu quo ; era rivolto al passato , non al futuro . Esso rientra assai più nella storia dell ' Antirisorgimento che in quella del Risorgimento . Comunque , il progetto non venne effettuato . Il Piemonte sabaudo fu l ' unico a svolgere una politica attiva , guerresca , contro la Rivoluzione premente alle porte d ' Italia . Dopo quasi quarant ' anni di accordo franco ­ austriaco , che aveva paralizzato la politica estera sabauda , si tornava alla posizione classica di Casa Savoia , in bilancia fra le due grandi potenze confinanti . Vittorio Amedeo III però non scorse la situazione sotto questo angolo visuale ; e , nonché un ' idea nazionale , non gli arrise neppure quella tradizionale dell ' acquisto lombardo propostogli dalla Francia , già rivoluzionaria ma ancora monarchica , nell ' aprile 1792 . Egli si strinse invece all ' Austria , prima per difendere , poi per ricuperare i possessi oltremontani , e per sbarrare la strada alla Rivoluzione ; giunse anzi - - in senso direttamente contrario ai destini italiani della Casa - - a contemplare una retrocessione all ' Austria del Novarese in cambio di acquisti in Francia . La lotta armata fu sostenuta dal Piemonte non senza tenacia per qualche anno ; ma poi finì precipitosamente sotto i colpi del Bonaparte , nel disastro militare , nell ' umiliazione dell ' armistizio e della pace imposti e dell ' occupazione francese , e infine nell ' espulsione della dinastia . Nella prima crisi rivoluzionaria del Risorgimento lo stato sabaudo fece allora il naufragio più completo fra gli stati italiani salvo la decrepita Venezia : i Borboni fra il 1799 e il 1814 ebbero una parte più attiva dei Savoia , sebbene anche questi partecipassero prima dell ' eclissi quindecennale , alla reazione dell ' Antirisorgimento ( appresso , p . 68 ) . Primo Risorgimento politico Le armi francesi trovarono in Italia un terreno in qualche misura preparato dai giovani « giacobini » , da quelli morti sul patibolo come dai sopravvissuti . E accanto alla nuova generazione giunta di un balzo al rivoluzionarismo erano i riformisti divenuti giacobini , o almeno disposti a collaborare con essi , come Verri a Milano , Pagano a Napoli . L ' effetto sulle condizioni italiane fu grandioso . Si ebbe nell ' incipiente Risorgimento il passaggio dal piano culturale al politico , dal riformismo governativo alla democrazia , dal cosmopolitismo alla nazionalità . Questo passaggio si effettuò sotto l ' azione diretta della rivoluzione francese , cioè delle sue idee , della sua propaganda , delle sue campagne vittoriose . Ecco un fatto , di quelli massicci , contro cui si spunta ogni abilità sofistica di fautori dell ' autoctonia pura ; mentre la teoria sabaudistica perde addirittura il filo conduttore . Spazzati via i vecchi governi - - quasi senza resistenza , salvo quello piemontese , - - dalle armi vittoriose della repubblica , si riebbe in Italia quel che da secoli ( dalla fine del medioevo ) non si era più visto : la discussione e la lotta politica , il formarsi e il cozzare dei partiti , il governo di popolo con le assemblee rappresentative : in poche parole , la risurrezione di una vita politica nazionale . Il popolo italiano ritornò sulla scena , ridivenne soggetto di storia . Vi fu coscienza del ritorno , del risorgimento ; anzi fu netta e persino ostentata , nelle reminiscenze classiche dei nomi e degli istituti . Si rievocò il passato d ' Italia , cioè una sezione di esso , l ' Italia romana o Roma antica , ricongiungendo idealmente i due estremi della catena : la novissima realtà rivoluzionaria e la remota classicità repubblicana . E coloro che , come il Gioia , erano contrari all ' antica Roma , risalirono ancora più indietro , all ' Italia preromana . Anche in questo ritorno classicistico l ' influenza della rivoluzione francese fu diretta , decisiva : precisamente essa rivoluzione aveva fatto appello all ' antichità classica , ai ricordi greco ­ romani , soprattutto romani , i due Bruti , Scipione , Catone . Il classicismo trionfava nelle lettere e nelle arti non meno che nel pensiero politico . In quest ' ultimo esso segna il passaggio dal cosmopolitismo umanitario , non privo di indeterminatezza e mollezza , al patriottismo , entusiastico , irsuto , fanatico . Se vi fu cambiamento radicale in Francia - - che pure aveva secoli dietro di sé di coscienza nazionale ­ statale completamente formata e robusta - - tanto più la rivoluzione delle idee fu grande in Italia , con precedenti così diversi . La nascita del patriottismo moderno , e l ' inizio del suo trapasso nel nazionalismo , si hanno con la rivoluzione francese in Francia e subito dopo in Italia . Sorge così - - contemporaneamente in Gioia , Cuoco , Foscolo - - l ' idea dello « spirito pubblico » , o « virtù » , per cui il cittadino si sente tutt ' uno con lo Stato ; l ' idea che la patria è qualche cosa da realizzare e difendere con le proprie azioni , con l ' arma in pugno ( sulla necessità di una milizia nazionale insisté particolarmente il Foscolo ) , con tutto se stesso ; l ' idea della necessità , per la salvezza e la vita della nazione , di uno stato forte , unitario , con la tendenza a porre questa necessità , e in genere le esigenze statalnazionali sopra ogni altra cosa . Il concetto dell ' unità italiana si pone così in una forma concreta , come esigenza attuale , sotto il pungolo dell ' esperienza immediata . La Francia rivoluzionaria aveva trionfato della coalizione europea , grazie allo stato unitario rinnovato nella sua compattezza , esaltato nella sua energia dal giacobinismo . Perciò il Gioia nella sua famosa dissertazione Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità dell ' Italia ( 1798 ) , combatté l ' ipotesi di un assetto dell ' Italia in tante repubbliche indipendenti , che riuscirebbero discordi e deboli contro l ' estero ; e fa anche appello alle esperienze negative dell ' età comunale e signorile . Non per questo il Gioia abbandonava menomamente la libertà : l ' Italia , egli dice , dovrà la sua rigenerazione alla filosofia rivoluzionaria che ha liberato l ' America e la Francia ( si noti il senso netto della connessione fra le due rivoluzioni , di là e di qua dell ' Atlantico ) ; e anzi , cura precipua della dissertazione è di mostrare la capacità dell ' Italia a un governo libero non meno di qualsiasi altro popolo , sia perché gli uomini sono dappertutto uguali , sia perché nella storia italiana vi sono prove di una tale capacità . « Fu il genio italiano che gettò in Europa il primo grido di libertà » , nel Rinascimento , e prima ancora nel movimento repubblicano dell ' Italia medievale al secolo XII , e anzi già nell ' Italia antica , prima della conquista romana . Riferimento quest ' ultimo tanto più notevole , in quanto viene ad associarsi con la riprovazione che - - in parziale reazione , come s ' è detto , al classicismo rivoluzionario - - il Gioia manifesta nei termini più espliciti contro le conquiste romane : « Non m ' arresterò per altro a far l ' elogio dell ' antica Roma , né chiamerò dalla tomba i suoi eroi . Io vorrei anzi fare in pezzi le pagine della storia romana , perché le veggo tinte di sangue de ' popoli e vi leggo scritta la schiavitù delle nazioni » . È questo il primo , o quasi primo , anello di una catena che costituirà un filone caratteristico del pensiero risorgimentale , mostrante la centralità del concetto liberale , e quanto fortemente radicata fosse l ' idea che l ' italianità nuova doveva sorgere con il concorso di tutte le parti della nazione , e non per sovrapposizione dittatoriale di una di esse . Nella formazione di una coscienza nazionale additava il Gioia ( in altro scritto ) il punto decisivo : « Vi sentite voi veramente Italiani tutti figli di una stessa patria , cittadini di una stessa città ? Allora voi sarete un popolo ; tutto allora vi sarà lecito sperare ... Obliate le abitudini servili , e mostratevi degni di essere governati da uomini liberi » . La fecondità di quei tre anni 1796­99 , del pensiero nazionale italiano - - di un pensiero che si volgeva all ' azione e si faceva azione - - è mirabile ; e mostra da sola l ' effetto prodotto dalla frantumazione violenta della vecchia Italia , che il riformismo principesco del Settecento aveva poco più che scalfito . Un punto caratteristico : ancora nel 1791 il già menzionato progetto di confederazione italiana ( antirivoluzionaria ) del Galeani Napione trovava necessario discutere ripetutamente le pretese tuttora mantenute in piedi dall ' Impero sull ' Italia , e additava come una possibilità della confederazione l ' ottenerne « solenne rinuncia » . Ora , con l ' irrompere armato della Rivoluzione in Italia e in Germania , ogni concetto di alta signoria imperiale ( avanzo del medioevo feudale ) venne spazzato via ; finché crollò miseramente , per abdicazione seguita all ' esautoramento , lo stesso Sacro Romano Impero , e l ' Italia fu liberata da una delle più gravi schiavitù reali e ideali gravante da secoli su di lei , e da cui i vecchi stati italiani non erano per sé riusciti a liberarla mai . Una volta inteso il Risorgimento come processo politico ­ spirituale , non come puro fatto politico ­ territoriale , tutta la positività del periodo rivoluzionario - - che insieme con quello napoleonico Cesare Balbo assegnò all ' èra delle preponderanze straniere , ciò che equivaleva a farne un nuovo Cinquecento , passività politica pura , - - appare chiara , imponente . Nel corso di tre anni vennero posti tutti i problemi del Risorgimento : libertà , democrazia , indipendenza , unificazione federale o unità ( ambedue con regime repubblicano ; la soluzione unitaria fu quella che prevalse nello spirito dei patrioti ) . E furono posti in forma concreta , storica e attuale a un tempo , in relazione al presente e al passato d ' Italia . Dal Verri al Gioia , dal Cuoco al Foscolo , è un fervore di idee , di discussioni : la pubblicistica politica e i periodici politici fiorirono , specialmente a Milano , ove si accorse da ogni parte d ' Italia facendone il centro ideale dell ' avviata unità della nazione , espressa fin nelle canzonette cantate per la strada . L ' unità si può dire venisse concretamente propugnata per la prima volta , come autogoverno del popolo italiano coscientemente unito . È un poderoso avviamento di fatto ci fu nel moto di unione della Cisalpina , tanto da parte del Veneto e di Venezia stessa quanto del Piemonte ( in quest ' ultimo paese però vi fu una corrente « allobroga » che propugnò l ' annessione alla Francia , ricordando che i Piemontesi erano stati « Galli un tempo » e imprecando contro il trattato di Cateau ­ Cambrésis che aveva consegnato il Piemonte al tiranno « Emanuele Filiberto » ) . Sventolò all ' aura per la prima volta il tricolore , bandiera nazionale ; e per la prima volta si ebbero legioni italiane , portatrici in armi dell ' idea nazionale . Uomini insigni entrarono nella vita pubblica , capaci d ' incarnare l ' idea nazionale e di tenere testa ai Francesi . La questione religiosa fu agitata più che mai , affermandosi una relazione di intima affinità tra Vangelo e democrazia , cristianesimo e libertà del popolo . È il momento in cui il giansenismo , svincolandosi dai ceppi regalistici si fa schietto liberalismo . Al tempo stesso l ' esempio degli errori francesi nella politica ecclesiastica ( Costituzione civile del clero con le lotte religiose conseguenti ) ispirò moderazione , o per dir meglio suggerì il concetto che il problema religioso non poteva essere risolto , se non nella libertà e per la libertà , attraverso un ' opera educativa . L ' antinomia del moto « giacobino » italiano Il fatto che la rivoluzione italiana del 1796­99 avvenisse per opera dell ' intervento straniero , sotto il controllo sovrano di capi di eserciti stranieri , di esecutori delle istruzioni politiche di un governo estero , fu una realtà grave di conseguenze . L ' efficacia della risurrezione politica fu minorata in radice , il gioco politico normale alterato , le libertà politiche inceppate nel momento stesso della loro proclamazione , la democrazia resa largamente fittizia e talora direttamente calpestata ; in quanto all ' indipendenza nazionale , essa poteva apparire a prima vista in condizioni peggiori assai di prima , quando solo una regione della penisola era soggetta al dominio straniero . Di qui il carattere antinomico del periodo , per cui esso da un lato ci si presenta come il primo delle realizzazioni politiche del Risorgimento , mentre dall ' altro prende figura di un nuovo periodo di preponderanza straniera . Di questa antinomia ebbero chiara coscienza , per primi , i patrioti italiani del tempo o « giacobini » , quelli della repubblica cisalpina come quelli della partenopea . Ne ebbero coscienza perché il loro programma politico non era una improvvisazione opportunistica , dovuta al successo delle armi francesi , ma convinzione germogliata nel loro spirito alla luce delle idee e delle esperienze : gli uomini della Cisalpina e della Partenopea erano gli stessi o gli affini di coloro che precedentemente avevano meditato , scritto , fatto propaganda , congiurato , per il risorgimento d ' Italia . A coloro che prima della venuta dei Francesi avevano per le nuove idee salito il patibolo si aggiunsero , qualche anno più tardi , le centinaia di vittime cadute in Piemonte innanzi ai moschetti sabaudi , o immolate a Napoli sulle forche borboniche , o dalla Lombardia deportate in Dalmazia dal governo austriaco anticipante i fasti dello Spielberg . I patrioti italiani di questo primo periodo rivoluzionario realizzarono anticipatamente la formula mazziniana « pensiero e azione » ; le loro sofferenze , il loro sacrificio basterebbero a costituire un grosso valore positivo del periodo , nonostante ogni stridula querimonia di nazionalistica ortodossia . I patrioti italiani non erano stati loro a crear quella situazione per cui l ' Italia si dibatteva fra due prepotenze straniere . Non erano stati i « giacobini » a costringere la repubblica di San Marco in quella stolta e vile neutralità disarmata , che non poteva non procurarne , in contingenze tragiche come quelle , la rovina . Non furono essi a far scappare il Borbone in Sicilia , lasciando soli i lazzari a battersi contro i Francesi , ma altresì ad inferocire contro i loro concittadini migliori . Non fu colpa dei giacobini , insomma - - già per il fatto che erano tanto pochi , - - se i vecchi governi italiani crollarono come castelli di carta all ' avvicinarsi delle truppe francesi , perdendo tutto a cominciar dall ' onore . L ' indipendenza italiana alla fine del secolo decimottavo cadde con tanta vergognosa facilità perché non era più solida che alla fine del decimoquinto : mancava all ' una come all ' altra non tanto ( come pensò il Balbo ) la compiutezza territoriale o giuridica dell ' indipendenza , quanto là spina dorsale di una coscienza nazionale , l ' autocreazione della nazione da parte del popolo . L ' una e l ' altra si ritrovano nelle idee e nell ' opera dei « giacobini » italiani . I quali accettarono l ' appoggio francese perché non potevano farne a meno ; ma mirarono a costruire , a realizzare per conto proprio l ' Italia . Uguaglianza civile , libertà di pensiero , rinnovazione delle strutture amministrative , politiche , sociali , erano intanto fondate : fortificandosi le nuove strutture , col favore delle circostanze attentamente spiate , essi pensavano che sarebbe venuto il momento di congedare i precettori e di fare veramente l ' Italia libera e una . Questa non fu solo l ' idea segreta della Società dei Raggi , ma il pensiero intimo , la molla ultima di tutta quell ' azione rivoluzionaria italiana . Ché anzi fino da allora , in cospetto dei francesi occupanti , i patrioti resistettero e reclamarono i diritti italiani , con una energia che può sembrare perfino esagerata a chi consideri freddamente la realtà della situazione : la quale era che l ' esistenza delle repubbliche italiane riposava unicamente sulle armi francesi . Si veda il movimento di proteste ( in cui il Gioia e il Foscolo ebbero i primi posti ) contro il trattato di alleanza , o di vassallaggio , imposto dal Direttorio alla Cisalpina ; si ricordi soprattutto il torrente furioso di indignazione contro Campoformio , e precedentemente i tentativi molteplici di unione del Veneto e di Venezia medesima alla Cisalpina . L ' idea dell ' unità italiana prese corpo definitivo precisamente come reazione contro la doppia , contemporanea esperienza di dominio straniero ; e nel 1799 fu affermata più solennemente che mai in proposte ufficiali al governo francese . Con idealismo e realismo politico insieme , i patrioti italiani si sforzarono di mostrare l ' utilità e la necessità per la Francia dell ' indipendenza unitaria d ' Italia , secondo il concetto europeo ( derivante dalla rivoluzione genuina e anticipante Mazzini e il liberalismo radicale di Ferrari e Cattaneo ) della solidarietà e dell ' affratellamento fra i popoli liberi . Il primo scoppio dell ' Antirisorgimento Poiché i Francesi erano stranieri invasori e spogliatori , coloro che insorsero contro di essi nel 1799 , e lottarono per la restaurazione della vecchia Italia , hanno assunto presso certi pubblicisti odierni figura di patrioti . Ma la figurazione non regge . Non basta pronunciar certi nomi perché la cosa ci sia : Non omnis qui dicit mihi : Domine , Domine , intrabit in regnum coelorum . Non tutti i movimenti antistranieri ( forse meglio si direbbe « antiforestieri » ) sono senz ' altro movimenti nazionali . La preoccupazione per il proprio pezzo di terra , l ' avversione al fiscalismo o alla coscrizione , l ' attaccamento agli usi e magari alle superstizioni locali , il desiderio di salvare i propri poteri , privilegi e guadagni , non bastano perché si possa parlare di sentimento e movimento nazionali : possono anzi significare tutto l ' opposto . Parlare di indipendenza non basta , di avversione allo straniero neppure : bisogna vedere per chi e per che cosa si domanda l ' indipendenza , per chi e per che cosa si lotta contro lo straniero . L ' indipendenza , non è un fatto materiale ­ territoriale , ma un atto politico ­ spirituale . Occorre che dietro ci sia un popolo cosciente e padrone di sé , in marcia verso l ' avvenire . Dietro il patriottismo sanfedista non c ' era che l ' Italia debole , arretrata , serva : la vecchia Italia che doveva scomparire perché la nuova sorgesse davvero . Ciò per cui lottavano quei lazzaroni napoletani , che eccitarono l ' ammirazione degli stessi giacobini per il loro valore , era l ' assolutismo , l ' intolleranza religiosa , i privilegi nobiliari ed ecclesiastici , la schiavitù del pensiero ; essi ripudiavano per l ' appunto tutto l ' elemento positivo della Rivoluzione . E i controrivoluzionari o sanfedisti del 1799 si appoggiavano allo straniero né più né meno dei giacobini . Non era l ' Italia contro la Francia a combatter con loro , ma l ' Austria contro la Francia : straniere le parti ambedue , si annullavano reciprocamente sul piano dell ' indipendenza materiale ; rimaneva la differenza etico ­ politica fra il vecchio mondo e il nuovo . Non vi può essere neppure un momento di esitazione nell ' assegnare le parti storiche : i giacobini del 1796­99 continuavano il riformismo italiano del Settecento e rappresentavano il Risorgimento ; i loro avversari , l ' Antirisorgimento . Altrimenti occorrerebbe fare di Fra Diavolo e Brandaluccioni i precursori di Garibaldi ; e sarebbe logico da parte di chi vorrebbe espellere Mazzini ( « lebbra repubblicana » ) dal Risorgimento italiano . Aggiungiamo che , se le vittime della reazione borbonica sono , nella giusta coscienza comune , precursori del Risorgimento , occorrerà pur dare lo stesso posto alle vittime della reazione monarchica in Piemonte nel 1797­98 , anteriormente all ' espulsione della dinasta , anche se ai moti piemontesi non spetti lo stesso grado di elevazione di quello partenopeo , e se più atroce , più sprezzante della giustizia e dell ' umanità , fu la reazione borbonica . È in quelle vittime che trova inizio la partecipazione effettiva del Piemonte all ' azione del Risorgimento . Reazione napoleonica Di contro al periodo rivoluzionario , quello napoleonico rappresenta un netto regresso , in relazione diretta con tutta la mentalità napoleonica e la politica imperiale . Vi è tuttora qualche varietà interpretativa circa la posizione di Napoleone rispetto all ' Italia , sia per la coscienza nazionale dell ' uomo , sia per la politica italiana concreta del governante . Pure , due cose sono evidenti : che Napoleone Bonaparte si è considerato francese , e ha subordinato nettamente , totalmente , gli interessi dell ' Italia a quelli della Francia ; le istruzioni al viceré Eugenio parlano chiaro prima ancora dei suoi atti . Tutt ' al più si può trovare che nel 1796­97 il Bonaparte mostrò , in confronto del Direttorio , un interesse più specificamente italiano , perché considerava allora l ' Italia una base per la sua fortuna , una riserva o un punto di lancio . Così egli fece la parte di eccitatore delle popolazioni padane , di promotore della Cispadana e della Cisalpina : attivo controbilanciato in larga parte sia dall ' assolutismo con cui si governò nei confronti della nuova repubblica , sia dal mercato di Campoformio , odioso in sé e più ancora per gli sprezzi e i raggiri con cui piacque al Bonaparte di accompagnarlo . Una volta compiuto il salto fino al governo e al trono di Francia , questo interesse specifico , predominante , di Napoleone per l ' Italia venne meno . Si potrebbe dire che la parte positiva della politica napoleonica in Italia risale alla Rivoluzione , quella negativa è sua propria ; o , con formula più ampia , che in Italia come altrove Napoleone agì a guisa di un grande fenomeno naturale che sconvolge e trasforma l ' ambiente con la sua azione violenta e schiude la via , anche senza volerlo e saperlo , a forze non di sua creazione . Gli avviamenti all ' autonomia politica furono da Napoleone troncati in Italia come lo furono in Francia . La costituzione del regno italico si risolse subito in parodia : basti ricordare la sorte del Corpo legislativo , il quale , essendosi permesso di proporre modificazioni ad un disegno di legge inviatogli da Parigi , nonostante la sua pronta sottomissione , venne soppresso di fatto , come soppressa di fatto fu la libertà di stampa , in diritto esistente . Si ebbe così un ristagno anche culturale , dopo i fervori e gli splendori della fine del secolo : man mano una cappa di piombo si stese sull ' Italia napoleonica . La depressione ebbe i suoi effetti anche nel campo del pensiero nazionale , ove Cuoco e Gioia si adattarono a giustificare con argomenti di opportunità l ' assolutismo napoleonico : necessità di protezione , di governo centrale forte per un popolo che ha grandi interessi da preservare e corre grandi pericoli . A questo adattamento pratico , mascherato di ragionamenti , si unisce una vera e propria involuzione di idee . Il Cuoco sbocca in un fatalismo spegnitore di energie , con la sua bilancia matematica del bene e del male in perpetuo equilibrio : la forza che anima la natura è unica ed eterna ; gli uomini cambiano , ma l ' umanità è sempre la stessa , e non può resistere all ' ordine superiore che la trascina ; una egual somma di virtù e di verità si contrappone sempre a un ' egual somma di vizi e di errori . Il Foscolo , con realismo crudo fino all ' ingenuità , mette in trono il concetto della forza dominatrice , che , fondendosi col naturalismo e materialismo residui del secolo XVIII , assume un valore universale , cosmico , approdando anch ' esso a una concezione fatalistica e pessimistica . L ' universalità dei mortali non può essere né quieta né libera , ma deve sottostare alla mente dei saggi o all ' impero del forte ; così il genere umano si divide in molti servi e in pochi signori . Egli schernisce « le sublimi contemplazioni » , che confondono « le verità di fatto con la visione metafisica » , e proclama , con linguaggio precocemente hegeliano : « Tutto quello che è , deve essere ; e se non dovesse essere non sarebbe » . L ' equità naturale è introvabile ; il diritto delle genti si risolve con la forza , lo stato di guerra tra i popoli è fondamentalmente perpetuo . Come unico rimedio al bellum omnium contra omnes il Foscolo pone lo stato nazionale , concludendo che « la giustizia sta nelle società particolari de ' popoli , ma non nella società universale del genere umano » , e che il giusto è racchiuso nei termini della ragion di stato . Così , appena sorta , la nazionalità sembra precipitare nel nazionalismo e nello statalismo . E , alla fine del periodo napoleonico , nei discorsi Della servitù d ' Italia del l8l5 , il Foscolo vagheggia una monarchia in cui i nobili tengano la bilancia tra i re e i cittadini , mentre la plebe è esclusa da ogni officio politico , e si potrebbe dire dalla società nazionale . Effetto forse , quest ' ultimo , delle esperienze sanfedistiche alla fine del secolo precedente e più ancora dell ' eccidio del Prina a Milano , al momento della caduta del regno italico . L ' anfibio « Regno d ' Italia » Come massimo elemento positivo del periodo napoleonico , dal punto di vista del Risorgimento , appare il regno d ' Italia , per la sua vastità e organizzazione e per il suo stesso nome . Ci si ingannerebbe però assai , se si pensasse Napoleone intento a creare un regno d ' Italia compatto e ben difeso . Già dopo Marengo , il primo console aveva ordinato un programma di edilizia militare per cui la difesa della Francia era accresciuta e diminuita quella d ' Italia . Più significativo ancora è il fatto che Piemonte e Liguria vennero uniti definitivamente alla Francia , di modo che le porte d ' Italia da quel lato erano , non aperte , ma spalancate . E Napoleone teneva tanto a questo punto che perfino nel marzo 1814 , allorché si vide costretto a lasciare che Eugenio e Murat si accordassero se ci riuscivano , per dividersi l ' Italia , ne eccettuò ancora quelle due regioni cui non intendeva rinunziare . Dalla Liguria l ' impero napoleonico diretto si spingeva a cacciare un cuneo nel regno d ' Italia tra Lombardia ed Emilia , col ducato di Parma e Piacenza occupato , e finalmente annesso , da Napoleone . E a rinforzo del cuneo stava il granducato di Toscana , feudo dell ' Impero , sotto Elisa Bonaparte Baciocchi . Toccarono invece al regno d ' Italia le Marche , tolte al papa , ma non l ' Umbria , riunita anch ' essa con Roma e il Lazio all ' Impero . Di modo che il regno d ' Italia , escluso dal Tirreno , assunse un aspetto particolarmente curioso : un quadrilatero irregolare a nord , con una lunghissima coda tra Appennino e Adriatico sino al confine napoletano . Configurazione e delimitazione eminentemente arbitrarie , che da sole dimostrano come il regno d ' Italia fosse un espediente , più che uno scopo , per Napoleone . Subito dopo il Diciotto brumaio , Francesco Melzi d ' Eril , che fu poi un buon vicepresidente della repubblica italiana - - ma non viceré del regno , perché ormai Napoleone non collocava che membri della sua famiglia , - - scrisse al Bonaparte lamentando che non si fosse compiuto il rinnovamento italiano con un programma preciso : « Ce n ' era ben uno , e grande , il solo grande : riunire tutti questi popoli e ricreare una nazione ; ma l ' imponenza del risultato ha fatto paura ! » Naturalmente , Napoleone aveva in pronto l ' argomento solito in questi casi : l ' Italia non era matura . Sarà una spiegazione più calzante il ripetere che Napoleone era sovrano di Francia , e dal punto di vista francese ( preso nella direzione tradizionale della vecchia politica ) guardò sempre le cose d ' Italia . A proposito di una questione di tariffe doganali egli scriveva al viceré Eugenio : « Bisogna che l ' Italia non faccia calcolo alcuno prescindendo dalla prosperità della Francia ; essa deve confondere i suoi propri interessi con quelli francesi ; bisogna soprattutto che essa si guardi bene dal dare alla Francia un appiglio a un ' annessione , giacché se la Francia vi trovasse il suo interesse chi potrebbe impedirla ? » In realtà , politicamente parlando , l ' annessione c ' era già nel fatto , completa . Pure , si andrebbe errati a concludere che , imperando così dispoticamente Napoleone , tutto fosse passiva obbedienza nel regno d ' Italia . Intanto , c ' era il gran fatto che l ' amministrazione di questo regno - - lo stato più esteso che il settentrione d ' Italia avesse visto da molti secoli , - - era quasi totalmente in mano d ' Italiani . E non era un ' amministrazione inattiva , né tale che si limitasse a provvedimenti conservatori . Essa svolse invece , sotto l ' impulso di Napoleone , un ' opera intensissima , la quale , per quanto riguarda i rapporti civili e le condizioni economiche , si può dire compisse rivoluzionariamente ciò che in via riformistica il Settecento italiano aveva incominciato : sparizione dei vincoli feudali ed economici , della manomorta , dei privilegi di primogenitura , delle legislazioni e dei tribunali particolari , uguaglianza civile , regolarità ed accentramento amministrativi , unità di pesi e misure . E inoltre , provvedimenti per l ' istruzione pubblica e per l ' igiene , propulsione all ' industria e al commercio con la caduta delle barriere doganali e dei pedaggi , sviluppo grandioso della rete stradale e in genere dei lavori pubblici , ampliamento delle città , progressi dell ' industria e dell ' agricoltura . Non poca importanza ebbe la creazione di un esercito del regno d ' Italia . Anche questo era da secoli un fatto nuovo . Furono stranieri a crearlo e ad averne il comando supremo , e per gli interessi stranieri ( chi non ricorda i versi del Leopardi sugli Italiani caduti in Russia ? ) esso combatté quasi sempre . Ma i quadri , fino a quelli dei generali compresi , oltreché le truppe , erano italiani ; ed esso fu un addestramento tecnico , una scuola di energie , un focolaio ( piacesse o no a Napoleone ) di sentimento nazionale , un crogiuolo di unità . Non per nulla nei primi anni della Restaurazione gli ex ufficiali di quell ' esercito furono in prima linea fra gli agitatori e i cospiratori per l ' indipendenza e la libertà d ' Italia ; e ancora nel Quarantotto superstiti di esso agirono per la causa nazionale . L ' equivoco del napoleonismo In conclusione , per l ' Italia come per la Francia e il resto d ' Europa , Napoleone presenta una doppia faccia . Nell ' eredità settecentesca e rivoluzionaria egli aveva fatto una scelta che rispondeva alla sua indole e alle sue fortune personali , accettandone una parte ( uguaglianza e incremento economico ­ tecnico ) e respingendo il resto . Simili scelte , però , le fa la storia , e non la volontà prestabilita di singoli individui , per grandi che siano . In fatto , Napoleone non riuscì a sbarazzarsi del principio rivoluzionario della volontà popolare , che anzi fu costretto a fondare formalmente su di esso il proprio edificio ( plebisciti ) , pur provvedendo a farlo funzionare come pareva a lui ; e mentre non riuscì a spegnere le opposizioni individuali , espresse o tacite , si vide sorgere contro le esigenze nazionali ­ liberali dei popoli , e a Sant ' Elena riconobbe di avere sbagliato . D ' altra parte , anche l ' uguaglianza napoleonica , col ristabilimento di una corte imitante le pompe della Versailles di Luigi XIV , con l ' istituzione della nobiltà imperiale , fino ai principati forniti di appannaggi territoriali , e con la moltiplicazione dei regni vassalli , finì per assumere caratteri ben strani , tanto da potersi parlare di un nuovo feudalismo . Da questa ambiguità sostanziale del napoleonismo provenne una gran confusione di idee e di sentimenti nel mondo politico italiano , e non nell ' Italia soltanto . La reazione al dispotismo napoleonico fu altrettanto ambigua quanto il napoleonismo a cui si reagiva : la faccia progressista dell ' opera napoleonica ne fu investita non meno di quella reazionaria . La controrivoluzione si poté nel periodo napoleonico vestire di patriottismo assai più agevolmente che nel periodo repubblicano . La confusione arrivò al punto che , al momento della caduta del regno italico , il partito austriacante ( bisogna ricordare che gli alleati antinapoleonici parlavano di libertà e di indipendenza dei popoli ) poté far figura di rappresentante dell ' indipendenza italiana ; e dall ' equivoco risultarono frustrate le possibilità del mantenimento , o meglio dell ' istituzione , di un regno italiano veramente indipendente , o almeno seriamente autonomo . Le radici morali del dominio austriaco in Italia furono poste da Napoleone : al principio e alla fine della sua carriera , egli si trovò ad aver lavorato per quel dominio . Al confusionismo sul terreno politico propriamente detto rispose quello politico ­ religioso , potentemente favorito dal conflitto fra Napoleone e Pio VII , che restaurò moralmente il papato : spunti di neoguelfismo e neo ­ ghibellinismo s ' intrecciarono , per esempio , nel pensiero del Foscolo , che per una parte disegnò la giustificazione di Gregorio VII e parlò di educazione degli Italiani alle armi e alla libertà effettuata dai papi ; per l ' altra , ricordò le chiamate dello straniero fatte dai pontefici e rimproverò al Bonaparte di non aver lasciato il papato « vivere di elemosine e languire di consunzione » . Questo confusionismo non fu l ' ultima causa della passività con la quale il popolo italiano nell ' insieme assistette ai grandi avvenimenti del 1814­1815 , e in particolare al tentativo unitario murattiano . Restaurazione austriaca L ' Italia politico ­ territoriale del 18l5 presenta una somiglianza spiccata con quella del 1784 , com ' è naturale trattandosi di « restaurazione » . Tuttavia , una differenza capitale è nell ' aumento della potenza austriaca , preponderante ora nettamente in tutta la penisola . Ricuperata la Lombardia e riottenuto con essa anche il Veneto - - che invece nel 1797 aveva avuto in cambio della prima , - - padrona del nord d ' Italia con l ' appoggio poderoso di tutto l ' impero contiguo ( mentre nel Settecento la Lombardia era vicina , ma staccata ) , l ' Austria alla posizione ampliata univa una più decisa volontà di controllo e di comando . Questa volontà si esplicò nei trattati conclusi con Toscana e Napoli ( il secondo dei quali le dava diritto di ingerenza nel regime interno napoletano ) , e nel principio di intervento che essa fece accettare dalle altre grandi potenze , le quali , nell ' insieme , si adattarono a considerare le cose italiane come interesse e competenza austriaci . Era un ' alta sovranità imperiale ristabilita in forma ben più concreta ed efficace dell ' antica . Alla preponderanza austriaca non faceva più contrappeso la Francia , o almeno in misura assai inferiore di prima , perché era uno stato sconfitto , in margine della grande politica , controllato dall ' alleanza antinapoleonica perdurante sotto il nome di « Santa Alleanza » . L ' influenza della Spagna nel Mezzogiorno , già diminuita nel periodo di Maria Carolina per far posto a quella austriaca , era adesso cessata , come era sparita la posizione di grande potenza della Spagna medesima . Piuttosto , la Russia rappresentava un elemento nuovo di contrappeso all ' Austria , estendendosi la sua rivalità con essa dall ' Oriente e dalla Germania all ' Italia , ove già alla fine del secolo precedente le guerre di coalizione antifrancese l ' avevano condotta a metter piede . Allora gli zar avevano preso la difesa del regno piemontese contro gli appetiti dell ' Austria , e lo stesso fecero nella Restaurazione . Nella protezione del Piemonte era d ' accordo l ' Inghilterra , che però guardava di più , per i suoi interessi mediterranei , al Mezzogiorno , e specialmente alla Sicilia , a cui un proconsole inglese aveva ottenuto per qualche anno una costituzione ( quella del 1812 ) imposta ai Borboni : questi , legati famigliarmente a Francia e Spagna , erano sospetti all ' Inghilterra . Nell ' insieme , l ' interessamento delle altre potenze , all ' infuori dell ' Austria , alle cose italiane era limitato e secondario : nessuna per ora si trovava in grado o in disposizione di contestare la supremazia austriaca ; non v ' era niente di simile all ' equilibrio tra Francia e Absburgo su cui i Savoia avevano fondato la propria politica fino al 1748 . Patrioti italiani ( come il Foscolo ) agitavano già l ' idea dell ' utilità di un ' Italia ricostituita in nazione per l ' equilibrio e la pace d ' Europa - - forma deteriore dell ' altra , formulata dai repubblicani italiani nel 1799 , dell ' associazione tra i popoli liberi ; - - ma essa non trovava per allora eco sensibile nelle cancellerie europee . Piemonte « ancien régime » Escluse iniziative estere a pro dell ' indipendenza italiana , rimaneva in astratto la possibilità di un ' intesa fra gli stati italiani per contrappeso all ' Austria . Ma era , appunto , possibilità puramente astratta , poiché i governi italiani della Restaurazione sentivano bene di far parte d ' un sistema che aveva la sua base nell ' Austria , mentre una coalizione antiaustriaca avrebbe significato cozzare contro l ' Europa del Congresso . Senza contare che due principi italiani erano austriaci , e che lo stato italiano più grande , Napoli , si era legato per trattato all ' Austria . Tanto poco questa aveva da temere allora una confederazione italiana contro di lei , che promosse essa medesima , pur senza riuscirci , una confederazione degli stati italiani per farsene capo . Contrario all ' alleanza ed alla confederazione fu il Piemonte , senza che tale contrarietà avesse carattere di politica nazionale . Altrettanto può dirsi della politica territoriale di un certo attivismo fatta al momento della restaurazione da Vittorio Emanuele I : essa fu diretta a conservare i propri dominî di qua e di là delle Alpi ugualmente ( Savoia , Novarese ) , e ad ampliarli con Genova e la Lombardia : quest ' ultimo obiettivo più grande di tutti , l ' unico che potesse assumere un carattere nazionale , fallì . Vittorio Emanuele I e i suoi ministri non fecero appello diretto alle nuove forze nazionali , ma si limitarono a mostrarle nello sfondo alle grandi potenze per ripigliare fra di esse il gioco di contrapposizione : Russia ­ Austria , Inghilterra ­ Francia ; e fecero ricorso anch ' essi al concetto di equilibrio . L ' assorbimento di Genova realizzò un vecchio postulato della politica sabauda , non senza suscitare nei Genovesi resistenze , rimpianti e avversioni : se vi furono , al di là dell ' incremento territoriale piemontese , conseguenze nazionali positive ( apporto di spiriti più liberi in seno al corpo sabaudo , correnti giansenistiche , elementi sociali differenti dalla chiesa e vieta aristocrazia pedemontana ­ savoiarda ) , esse furono indirette e non volute certamente dai governanti , di Torino . Sostanzialmente , Piemonte e Napoli erano sullo stesso piano riguardo alla politica generale italiana . Se in Piemonte era più sentito il problema dell ' indipendenza dall ' Austria , Napoli aveva al suo attivo , come fermento di rivolgimenti , le tradizioni murattiane , e in particolare l ' esercito di Murat , fuso bensì con quello legittimistico , ma con mantenimento degli antichi capi . Un altro elemento specifico di sovversione nel Mezzogiorno era l ' autonomismo o separatismo siciliano , che però aveva carattere strettamente regionale senza ripercussione sul continente , e si fondava su appelli giuridici al passato ( a un passato , per verità , in parte assai vicino : la costituzione del 1812 ) , anziché su una volontà di autocostruzione nuova . Gli altri stati italiani non contavano per la politica generale italiana . Restaurazione ­ Antirisorgimento Riguardo alla politica interna degli stati europei dopo il 1815 , è stata fatta la questione se ad essa convenga veramente il nome di reazione cioè se vi fosse restau ­ razione pura e semplice del passato prerivoluzionario , dell ' ancien régime . Si è ormai d ' accordo che i sovrani del congresso di Vienna non intesero compiere una simil restaurazione integrale . Anch ' essi vollero fare una scelta , o una sintesi , tra vecchio e nuovo , e proprio secondo i criteri napoleonici , anche se con attenuazioni . La loro novità di fronte a Napoleone - - cioè il loro più deciso ritorno all ' antico - - fu il principio di legittimità , che Napoleone non aveva potuto invocare ( e non se n ' era dato mai pace ) , per ragione evidente . Essi , però , accomodarono il principio di legittimità come Napoleone aveva accomodato quello di sovranità popolare . Gli uni e l ' altro , in conclusione , vollero riprendere l ' opera dei sovrani del Settecento , l ' assolutismo illuminato ; e non si resero conto dell ' anacronismo . L ' assolutismo illuminato aveva rappresentato l ' applicazione parziale di idee , e l ' esplicazione di forze , che avevano poi trovato lo sbocco storico finale nella Rivoluzione : e non si poteva quindi tornare ad esso , riportando al corso modesto della sorgente il fiume sboccato largamente nel piano . Quello che nell ' assolutismo illuminato del Settecento era stato progresso storico , diveniva , con Napoleone e i suoi antagonisti ­ continuatori del 1815 , reazione antistorica , priva di forza morale perché non fondata su principî coerenti . Avevano ragione , nelle loro critiche consequenziarie alla restaurazione , il principe di Canosa e Monaldo Leopardi . Riguardo all ' Italia , il problema si pone specificamente in questa forma : se fra Restaurazione e Risorgimento ci sia rapporto puramente di antitesi , o se invece l ' opera dei governi restaurati non vada inclusa almeno parzialmente anch ' essa nel processo risorgimentale . In altri termini : il Risorgimento rispetto alla Restaurazione fu rivoluzione o evoluzione ? In generale , coloro che inclinano per la seconda alternativa - - e cioè tendono a valorizzare la Restaurazione sul piano del Risorgimento - - sono i medesimi che idoleggiano l ' interpretazione politico ­ territoriale del Risorgimento stesso . Senonché , proprio da questo punto di vista politico ­ territoriale il Risorgimento appare rivoluzionario : come chiamare altrimenti un processo per cui sette governi si riducono ad uno con l ' abbattimento degli altri sei ? ma anche sul terreno politico ­ istituzionale e ideologico non si può dare altra risposta ; e l ' abbiamo già data anticipatamente con quel che abbiamo detto circa il carattere anacronistico dell ' assolutismo « illuminato » dei restauratori . Gli uomini del Congresso , pure accettando talune trasformazioni politico ­ sociali e perfino ( in qualche caso particolare fuori d ' Italia ) istituti costituzionali , non ammettevano le idee di nazionalità e di libertà , implicanti un diritto dei popoli e degli individui a disporre del proprio destino , e ritenevano spettasse , solo ai re il còmpito di provvedere al benessere dei sudditi , senza ingerenza di questi e senza che di fronte ad essi fossero responsabili in alcun modo i governanti , che da Dio direttamente ed unicamente traevano il loro potere . I principî fondamentali della Restaurazione e quelli del Risorgimento erano dunque antitetici : se poi i secondi trionfassero in pieno - - se cioè la rivoluzione politico ­ ideologica riuscisse altrettanto completa quanto quella politico ­ territoriale , - - è cosa che in seguito cercheremo di vedere . Non solo l ' Italia della Restaurazione è in regresso sostanziale rispetto alla precedente Italia rivoluzionaria , ma anche rispetto all ' Italia napoleonica , che pure era stata già essa una reazione . Vedemmo come Napoleone , con tutto il suo dispotismo e in parte , anzi , grazie ad esso , avesse rimescolato tutto il vecchio mondo , portato nuove forze , nuovi ceti nel campo dell ' azione pubblica , e mantenuto ( nonostante le sue tendenze intime ) il principio della sovranità popolare al posto dell ' antico diritto divino . Le sue stesse necessità cesaree lo avevano costretto a mortificare , ma altresì ad eccitare , il fremito della vita nuova . Tutto questo venne meno con la Restaurazione . E anzi , perfino rispetto all ' Italia prerivoluzionaria , a quella cioè del riformismo settecentesco , l ' Italia della Restaurazione si presenta come reazionaria . Anche quando le conquiste singole del riformismo furono mantenute , cambiò l ' orientamento , lo spirito : quel che era una spinta in avanti si trasformò in un colpo d ' arresto , il punto di partenza divenne quello d ' arrivo , colonna d ' Ercole non superabile . L ' opera del riformismo settecentesco , come quella del periodo rivoluzionario ­ napoleonico , fu mantenuta , quando fu mantenuta , per paura di sconvolgimenti e in quanto strumento di assolutismo , cioè con spirito conservatore ­ reazionario . « Tra le restaurazioni fatte non si tralasciò se non la restaurazione dello spirito riformatore e progressivo del secolo decimottavo » ( Balbo ) . Il cambiamento si vede particolarmente bene nella politica ecclesiastica . Poiché il diritto divino dei principi era stato scosso dalle idee e dagli eventi rivoluzionari , i governi della Restaurazione trovarono necessario rivolgersi alla Chiesa per rinsaldarlo , e quindi la favorirono ed esaltarono in cospetto ai popoli . Di qui una spiccata reazione al liberalismo religioso e al laicismo settecenteschi , l ' abbandono delle velleità di riformismo ecclesiastico e di ogni spirito anticlericale governativo . Di qui , anche , una molteplicità di trattative fra i governi , italiani e non italiani , e la Santa Sede - - trattative approdate a concordati o ad altri atti analoghi - - per sistemare le situazioni ecclesiastiche nei vari paesi e sanare il più possibile i dissidi fra i due poteri . Fu insomma un netto ritorno all ' alleanza fra trono e altare , in cui il prestigio maggiore toccava al secondo , sia per la sua resistenza a Napoleone , sia per i nuovi atteggiamenti degli spiriti ( romanticismo , medievalismo ) indipendenti dagli indirizzi governativi . Un episodio caratteristico di questo cambiamento sul terreno politico ­ religioso fu il ristabilimento dell ' ordine dei gesuiti , compiuto da Pio VII fin dal 1814 senza ostacolo o protesta alcuna da parte dei governi , borbonici o non borbonici , italiani o non italiani , sebbene taluni di essi mantenessero per allora le misure settecentesche contro l ' Ordine . Questo riacquistò rapidamente la sua diffusione e importanza , e all ' antica devozione per il papato associò una strenua lotta contro le idee liberali . Austria e Toscana serbarono per allora in maggioranza le tradizioni giuseppino ­ leopoldine ; ma cambiò anche lì lo spirito , nel senso di un giurisdizionalismo puro , senza più aspirazioni a un superamento dell ' ecclesiasticismo nel senso d ' una società civile e religiosa nuova . Di più , lo svolgimento ulteriore anche di fatto andò in senso curiale , fino ai concordati toscano del 1851 e austriaco del 1855 . Pure , nell ' insieme , quei due stati si tennero a un livello più elevato degli altri italiani ; lo stato pontificio con il cardinal Consalvi tentò un certo riformismo settecentesco ; Napoli conservò sostanzialmente l ' eredità murattiana ; il Piemonte sabaudo fu il più « restauratore » , cioè il più reazionario . IV L ' ELABORAZIONE DECISIVA Il liberalismo carbonaro La differenza capitale fra il Settecento e il periodo della Restaurazione è che in quello vi fu accordo tra i governi ( o almeno taluni governi ) e l ' opinione pubblica progressista , mentre ora fra i due elementi dominò un disaccordo profondo , un dissidio pregno di capacità rivoluzionarie . Le correnti progressiste italiane rimasero completamente deluse dal nuovo assetto ; e la condotta successiva dei governi non fece che intensificare la delusione . Così al riformismo dei principi succedeva il rivoluzionarismo dei popoli ; o , se non ancora dei popoli , della parte , più illuminata e più viva di essi . Quale che fosse il carattere delle innovazioni domandate ( e cioè anche se queste erano per sé temperate e modeste ) , la richiesta assumeva fisionomia rivoluzionaria , di fronte all ' atteggiamento negativo dei governi . Dei vari problemi posti alla coscienza politica italiana negli anni rivoluzionari alla fine del secolo XVIII , quello dell ' unità nei primi anni della Restaurazione si ritirò piuttosto nello sfondo . Per quanto il Manzoni avesse affermato già nel 1815 : Liberi non sarem se non siam uni , e più tardi , nel 1821 , insistesse sull ' idea fondamentale dell ' unità d ' Italia , Una d ' armi , di lingua , d ' altare , di memorie , di sangue e di cor , nel concetto dei patrioti cospiratori fra il 1815 e il 1830 l ' unità si presentava piuttosto come un ' aspirazione generica di associazione , di unificazione , che non come programma di uno stato unitario abbracciante tutta l ' Italia . Le richieste essenziali erano quelle della libertà e della costituzione : postulati provenienti dal moto rivoluzionario e imposti più che mai dalla rivolta al dispotismo napoleonico e ai suoi continuatori . Di questa esigenza liberale si fece interprete la carboneria . Sorta nel Mezzogiorno contro il Murat che non voleva dare una costituzione , e alleatasi per un certo tempo e in una certa misura con i Borboni , essa divenne poi - - per la delusione di cui abbiamo parlato - - logicamente antiborbonica , e si diffuse nella penisola . L ' importanza della carboneria consisté precisamente nell ' aver propagandato l ' esigenza liberale ­ costituzionale , con unità di aspirazioni , in tutta Italia , e anzi sopra un piano europeo . Il carbonarismo fiorì in Francia non meno che in Italia , e stretti furono i legami fra le due carbonerie . Uno dei principali elementi dei tempi nuovi , prodotto specialmente dalla rivoluzione francese è che l ' opera della Restaurazione non soppresse o piuttosto alimentò fu la formazione in Europa di una opinione pubblica e di uno stato d ' animo comuni , al di sopra delle barriere dei singoli stati , di modo che i movimenti d ' idee e gli avvenimenti dell ' uno avevano efficacia e ripercussione immediata negli altri . E a questo proposito occorre ricordare un fatto , oggi scarsamente presente alla coscienza storica comune e a prima vista alquanto strano : e cioè , che Napoleone , detronizzato ed esiliato dalla Santa Alleanza , si trasformò in simbolo di libertà in Francia e in Italia e nel resto d ' Europa ; trasfigurazione non senza nesso con l ' altro fatto , che gli eserciti furono focolai di movimenti liberali . Così i moti rivoluzionari non si produssero isolatamente in un singolo paese , ma assunsero l ' aspetto di crisi europee . L ' idea fondamentale di questa opinione pubblica liberale ­ carbonara europea fu quella della rispondenza , dell ' accoppiamento fra libertà individuale e libertà o indipendenza nazionale . Si considerava che la libertà di sviluppo dell ' individuo era diritto incontestabile di ogni uomo , così come il libero sviluppo della propria nazionalità era diritto incancellabile di ogni popolo . Il diritto dei singoli era considerato della stessa natura di quello delle nazioni , e il secondo appariva - - settecentescamente - - come la somma dei primi . I popoli avevano il loro diritto in quanto constavano di persone umane : il diritto nazionale non era qualcosa di trascendente a quelli individuali , ma la somma o il risultato di questi . Debolezza della carboneria fu l ' indeterminatezza del programma politico , che infatti è poco noto a tutt ' oggi ; e inoltre una certa tendenza al compromesso con i governi , tendenza che si spingeva fino a vagheggiare l ' appoggo di questo o di quel governo antiliberale ( Austria di Metternich , Francia di Carlo X ) . Alla debolezza contribuì certo il fatto ( o piuttosto ambedue i fatti ebbero la stessa origine ) che nel periodo 1815­1830 il pensiero politico italiano notevolmente sviluppato dalla metà del Settecento ai primi anni dell ' Ottocento , rimase nella fase d ' arresto del periodo napoleonico . Di fronte al positivismo individualistico e al costituzionalismo giuridico del Romagnosi ( continuazione non senza impoverimento del pensiero settecentesco ) , troviamo una corrente o anzi più correnti che potremmo chiamare « antipolitiche » , non nel senso che questo termine aveva nel gergo poliziesco del tempo ( cioè di tendenza sovversiva contro l ' ordine costituito ) , ma in quanto , attraverso alla negazione o all ' abbassamento dei valori politici in generale , giungevano a una svalutazione pessimistica dell ' attività umana . In quella svalutazione , peraltro , erano elementi di efficacia notevole per il processo ideale del Risorgimento : negazione radicale della ragion di stato su cui tornavano a fondarsi i governi e il pensiero conformista ; netta subordinazione degli interessi politici all ' esigenza morale ; affermazione del valore puramente strumentale di governi e stati rispetto all ' umanità . Questi sentimenti li troviamo così nel cristiano Manzoni come nell ' incredulo Leopardi . Il riformismo lombardo e il « Conciliatore » Le tendenze al compromesso politico nel carbonarismo erano suscettibili di accordo con il movimento riformistico sociale ­ economico che si affermò specialmente in Lombardia nei primi anni della Restaurazione . Esso si presenta più che mai come continuazione del Settecento : soltanto , con ben più larga derivazione dalla teoria alla pratica e , in questo campo , come esplicazione di energie private anziché di governi , e cioè con carattere di iniziativa popolare ­ nazionale . Tale fu l ' azione del Confalonieri e del Porro , con gli altri del loro gruppo , che introdusse i battelli a vapore , la filatura meccanica , ecc . ; promossero l ' istruzione elementare ( cui poi seguirono gli asili d ' infanzia ) ; si schierarono col movimento letterario romantico contro i classicisti appoggiati dall ' Austria che « difendevano la grammatica , il principio di autorità , il papato » , e fondarono il « Conciliatore » . Questo movimento riformistico sociale ­ culturale continuò in Lombardia fino al Quarantotto , ed ebbe importanza notevole per l ' elaborazione delle forze risorgimentali . Gli scrittori del « Conciliatore » sono i continuatori dei settecentisti italiani , del Verri e del Beccaria , esaltati da loro come « eroi della ragione » . Essi dichiarano di mirare all ' utilità generale , facendosi guidare dalla ragione dall ' esperienza . I loro criteri giudizio e obiettivi d ' azione rispondono costantemente al riformismo progressista , eredità del secolo precedente . E , come quel riformismo , il « Conciliatore » e tutta la corrente in cui esso rientra sono nettamente « europeisti » ; il ricongiungimento dell ' Italia all ' Europa è più che mai il loro problema . Diceva il Di Breme in quel giornale : « L ' Italia è ancora addormentata , come ognuno sa , nella filosofia di Aristotele , e intanto il pensiero europeo progredisce ... corrono pel mondo tante idee , tanti concetti , tante cognizioni che gli italiani non hanno ancora rivestito di forma , e così per la morale , per l ' economia , per la metafisica , per la vita domestica , esse non hanno parole e forme che si possano trovare nel nostro dizionario ... Per noi è molto meno urgente parlare come faceva il cardinale Bembo , e come fanno certi bonzi moderni della santa Crusca , che partecipare pienamente al beneficio della cultura umana e della civiltà intellettuale ... » Parole quest ' ultime che si dirigono contro la corrente puristica dell ' abate Cesari e simili ; e se contengono una certa ingiustizia di fronte ad essa , tuttavia possono servire come reazione equilibratrice di fronte alla esaltazione eccessiva che del purismo talora vien fatta come apporto capitale alla coscienza nazionale italiana . L ' Austria avrebbe potuto tentar di utilizzare la corrente riformistica , tanto più che non mancavano in seno all ' opinione liberale ­ progressista italiana e alla stessa carboneria disposizioni a riconoscere la superiorità civile del governo austriaco rispetto agli altri della penisola , e perfino vagheggiamenti di un ' estensione del suo dominio ad altre regioni d ' Italia ( particolarmente alle Legazioni ) . Invece essa entrò subito in lotta con quella corrente ; e il « Conciliatore » , nonostante il suo carattere letterario , fu soppresso dopo un solo anno di vita . Ebbe inizio così da parte della classe dirigente austriaca quell ' irrigidimento reazionario , quella paralisi della volontà e del cervello , che seguitò a contraddistinguerla , salvo brevi sussulti , per un secolo , fino alla catastrofe dell ' impero absburgico . Prevalse nettamente nella coscienza nazionale italiana , a differenza di quanto era avvenuto nel Settecento , la considerazione del governo austriaco quale straniero e oppressore ; e la sua preponderanza su tutta l ' Italia contribuì a rafforzare l ' impostazione del problema unitario , legandolo a quello dell ' indipendenza . Fin d ' ora si ebbe un ' accentuazione dell ' orientamento politico novatore con le cospirazioni e i primi moti insurrezionali . Negato il terreno legale , necessariamente l ' azione si riversò su quello illegale . L ' Italia non era « la terra dei morti » . Ciò vale non solo per il Lombardo ­ Veneto austriaco , ma per tutta l ' Italia . I moti del 1820­21 I moti del 1820 e 1821 in Italia ( rivoluzioni di Napoli e di Piemonte ) furono la prima vera iniziativa rivoluzionaria del Risorgimento , poiché i rivolgimenti alla fine del secolo XVIII erano avvenuti in seguito e in forza dell ' intervento francese . In questo carattere d ' iniziativa sta la loro importanza , e altresì nell ' inquadramento internazionale . Il 1820­1821 è un episodio primario del carbonarismo europeo : il moto , incominciato in Ispagna , si propagò in Italia , ebbe anche in Francia i suoi episodi , e finì per spegnersi al punto di partenza , in Ispagna , quasi in circolo , sotto i colpi dell ' esercito franco ­ borbonico venuto a ristabilire l ' assolutismo e in cui la reazione italiana fu rrappresentata da Carlo Alberto di Carignano , principe ereditario di Sardegna . Italianità ed europeismo furono dunque strettamente associati in quei moti ; il Risorgimento italiano venne concepito e tentato come elemento di una Europa nuova . Il problema italiano si pose così come questione europea innanzi ai governi delle grandi potenze , che nel congresso di Vienna ne avevano presso a poco ignorata l ' esistenza , e su di esso incominciano le prime scissioni della Quintuplice conservatrice : Francia e Inghilterra si differenziano , nel contegno rispetto alla Santa Alleanza propriamente detta , dalle tre potenze del Nord , pur restando passive di fronte all ' azione austriaca . Maturò poco dopo , negli affari dell ' America spagnuola e della Grecia , il distacco definitivo dal blocco conservatore dell ' Inghilterra , e quello temporaneo e parziale di Francia e Russia . Largamente europei sul piano politico ­ geografico , i moti italiani del 1820­21 furono assai ristretti su quello politico sociale . Vi partecipò essenzialmente l ' esercito , in Italia come in Ispagna e in Francia : si trattò , cioè , di « pronunciamenti » . Ma occorre osservare che gli eserciti nel periodo precedente avevano cambiato natura , in Francia con la difesa e la conquista rivoluzionaria , in Spagna con la guerra d ' indipendenza , in Italia con la formazione di un esercito della repubblica e del regno d ' Italia . Essi cioè erano entrati in stretta relazione col nuovo ordine di cose rivoluzionario ­ nazionale , e contro la vecchia Europa avevano fatto le loro prove . L ' esercito non era più il mercenario strumento regio ­ governativo dell ' ancien régime : esso scendeva in campo come la rappresentanza della nazione , come il portatore dell ' idea nazionale , al di sopra e all ' occorrenza contro i re e i governi , con una coscienza etico ­ politica propria capace d ' infrangere i vincoli della disciplina professionale per un più alto imperativo . Però questa partecipazione protagonistica dell ' esercito al Risorgimento fu un fenomeno passeggero ( mentre in Spagna degenerò nella consuetudine deleteria dei pronunciamenti veri e propri , di carattere fazioso e personale ) : esso , dopo aver ceduto con grande facilità di fronte alle armi straniere , si riassettò rapidamente a Napoli come in Piemonte entro i limiti statali ­ dinastici : e ciò ebbe i suoi vantaggi e i suoi svantaggi , che ora non è nostro còmpito delineare . Rimane , dunque , che i moti del 1820­21 ebbero un certo carattere di casta , non senza infiltrazione di interessi particolaristici e una base sociale ristretta : non solo il popolo non prese vera parte al movimento , ma neanche le classi medie ; furono in sostanza ufficiali e nobili a insorgere . La carboneria era penetrata nell ' esercito , ma non aveva rinnovato la coscienza del paese : la setta entrò in azione , il popolo rimase in disparte ; e i pronunciamenti ebbero un certo carattere di imposizione al paese . Anche entro quella ristretta zona si notano incertezze , contrasti , incompiutezza di idee . A Napoli il murattismo residuo , che ebbe parte capitale nel nuovo governo , e il carbonarismo propriamente detto furono in divergenza e in rivalità . Non vi furono accenni all ' unità nel movimento napoletano , mentre la Sicilia riaffermò il suo separatismo ; la giunta insurrezionale di Alessandria parlò di federazione italiana e di regno d ' Italia , ma per questo intendeva un regno dell ' Alta Italia . Lo squillo unitario del Manzoni non uscì dallo studio del poeta : tornò tuttavia a sventolare il tricolore che era già un simbolo di unità nazionale ; e il fatto di un moto nazionale rivoluzionario quasi contemporaneo a sud e a nord anticipò in certo modo , ( in senso inverso ) la situazione del l860 . Ambedue i moti , però , erano conservatori della rispettiva dinastia , e perciò stesso si precludevano la via a uno svolgimento unitario . Se a Napoli il carbonarismo accettava i Borboni purché costituzionali , a Torino non solo era fedele alla dinastia sabauda , ma ne assodava strettamente l ' ingrandimento alla causa nazionale , con il programma del regno costituzionale dell ' alta Italia . Santarosa e i suoi riprendevano cioè il programma tradizionale sabaudo , sublimandolo nella luce della nazione e della libertà : l ' interesse dinastico ­ territoriale veniva innalzato a postulato etico ­ politico . A Napoli la dinastia accettò la rivoluzione e poi tradì , iniziando la politica dello spergiuro . A Torino la dinastia non accettò l ' innalzamento offertole , prima ancora che per la considerazione del rischio , perché legata alle concezioni dell ' ancien régime : essa attendeva l ' ingrandimento da conquiste , da trattati , dal diritto tradizionale , non da una volontà nazionale ­ rivoluzionaria . Coloro che avevano chiesto la Lombardia allo zar Alessandro non intendevano riceverla da Santarosa e Confalonieri ; per conservare l ' assolutismo del diritto divino preferivano lo statu quo territoriale con la rinuncia all ' ingrandimento , e fecero appello alle armi austriache contro i loro devoti , desiderosi della loro grandezza . La monarchia sabauda era ancora , non solo estranea , ma ostile al Risorgimento . Vittorio Emanuele I e Carlo Felice furono logici e onesti ambedue , pur con tono di umanità assai diverso , e procedettero senza esitazioni ; non così il giovanissimo Carlo Alberto , pencolante fra il diritto vecchio e il nuovo . La luce dello Spielberg A differenza della carboneria napoletana , quella lombarda aveva avuto legami con la piemontese , associando libertà , indipendenza , regno dell ' alta Italia . Unico risultato apparente della azione carbonara lombardo ­ veneta , i processi di Salvotti e lo Spielberg . Ma la catastrofe fu un trionfo , il carcere un ' apoteosi . Lo Spielberg , illuminato nei suoi martirî dalla bianca , pura luce delle Mie prigioni , dette alla causa italiana la base più salda , più potente : quella dell ' umanità offesa e ribelle . Esso drizzò la coscienza morale contro la legge positiva , proclamando che la legalità è un conto e il diritto un altro , che l ' umanità è al disopra dei governi e dell ' « ordine pubblico » . Nulla di più legale dei processi politici austriaci di questi anni , ove poté bastare a taluno mantenersi negativo per venire assolto . Neppure l ' applicazione delle pene - - aveva avuto riguardo ai codici - - poté dirsi particolarmente rigorosa , poiché tutti i condannati ebbero commutata la sentenza capitale in prigionia a tempo , e furono dopo vari anni liberati . Eppure , la coscienza morale italiana ed europea si ribellò al trattamento inflitto a quei patrioti , a quei lottatori per un ideale , chiusi in celle anguste , malsane , male illuminate , con una panca per letto , pesantemente incatenati , coperti di vesti aspre come cilizi , nutriti , se si può dir così , di cibo scarso e nauseabondo , perquisiti tre volte al giorno , privi di libri e di ogni occupazione altra da quella di spaccar legna e di far calzette e filacce . La coscienza morale si ribellò , e iniziando la protesta che dopo la metà del secolo Gladstone doveva continuare contro i Borboni ; e pronunziò inappellabilmente che un regine inumano è decaduto in diritto . Confalonieri fu più forte di Metternich , Silvio Pellico giudicò Francesco I . Fu il fallimento del diritto divino dei governi , della vecchia ragion di stato ; e ne fu neutralizzato l ' appoggio che clero e papato apportavano alla causa dell ' ordine legale austriaco . La bolla pontificia del 13 settembre 1821 aveva pronunciato la scomunica contro i carbonari e contro chi non li denunciava : essa dette luogo a disgustosi episodi da parte di un sacerdote , confessore allo Spielberg , e segnò un netto distacco morale fra la curia romana e la causa umana dei patrioti italiani , distacco a cui non fece equilibrio sufficiente il rifiuto da parte di Roma di condannare Le mie Prigioni . Il 1831 e il 1833 Il 1831 ebbe somiglianze e differenze con il 1821 . Anch ' esso fu un moto regionale , anzi una molteplicità di moti che volle rimaner tale fino all ' assurdo : si ricordi l ' episodio del disarmo dei Modenesi , in ritirata di fronte agli Austriaci , da parte del governo di Bologna , che li qualificò stranieri . Intanto , però , dopo Napoli e il Piemonte , l ' Italia centrale entrava in scena : la macchia d ' olio rivoluzionaria si allargava a tutta la penisola . Se mancò l ' associazione dell ' indipendenza alla libertà che c ' era stata nel Ventuno piemontese , ci fu un passo avanti in altra direzione ; invece d ' imporre la costituzione ai governi , questi furono senz ' altro deposti . Si affermò l ' autodecisione dei popoli , anche se non senza residui del vecchio diritto ( appello alla convenzione del 1447 fra Bologna e Nicolò V , violata dai pontefici ) . L ' unitarismo mancò ancor più che nel Ventuno ; ma vi fu allargamento notevole nello strato sociale insorgente : al posto dell ' esercito e della nobiltà scese in campo la borghesia ; non si arrivò ancora ai popolani . Vi fu un nesso europeo come nel Ventuno , ma di carattere diverso . Prima della rivoluzione di luglio c ' era stato un legame di cospirazione carbonara tra i liberali francesi e italiani : ma , avendo la rivoluzione italiana ritardato un semestre sulla francese , al legame cospiratorio subentrò , da parte degli insorti italiani , la speranza o anzi la fede nell ' appoggio del nuovo governo francese , fondata sulla proclamazione da parte di questo della teoria del non intervento . Si ripose in ciò una sicurezza miracolosa ; e questa sicurezza prevalse sulla fiducia in se medesimi , sullo sforzo proprio . Ma la rivoluzione di luglio divenuta governo aveva ora interessi propri conservatori ; e si ebbe il « tradimento » di Luigi Filippo e del capo moderato Casimir Périer . La parte d ' iniziativa rivoluzionaria in Italia non fu presa più dalla Francia fino al secondo impero ; e questo giovò all ' iniziativa italiana , mentre rappresentò per allora un colpo al liberalismo monarchico europeo . Vi fu tuttavia un modesto intervento francese nello Stato pontificio , ad Ancona , in contrappeso di quello dell ' Austria nelle Romagne . Esso dette nuovo momentaneo alimento alle speranze liberali italiane nell ' appoggio francese : in realtà , non fu che un piccolo anticipo del '49 , un rafforzamento dell ' ancien régime italiano , anziché un principio di cose nuove . Unico risultato positivo dell ' occupazione francese d ' Ancona fu di mantenere la tradizione della rivalità franco ­ austriaca nella penisola . Precedentemente , il memorandum collettivo delle sei potenze ( le cinque potenze più la Sardegna ) al governo pontificio , proponente riforme , fu anch ' esso privo di risultati essenziali ; ma accentuò , rispetto al '21 , il carattere europeo del problema italiano . Che le speranze del liberalismo monarchico non fossero morte neppure dopo la delusione del '31 , lo mostrò la lettera del Mazzini a Carlo Alberto . Se anche essa non rappresentò una convinzione personale , una vera fiducia del nuovo capo cospiratore nel re , pure fu significativo che egli ritenesse necessario adattarsi ancora in pratica a quella mentalità carbonara contro cui già si ergeva in teoria . E in realtà , il primo periodo dell ' azione mazziniana mostra sopravvivenze carbonare , ideologiche e pratiche . È notevole in particolare che la propaganda mazziniana nello stato piemontese si dirigesse nei primi anni prevalentemente all ' esercito : e gli episodi del 1833 e 1834 possono ricollegarsi ai moti precedenti del 1821­1831 , anche per il loro carattere militare . Il contegno di Carlo Alberto di fronte ai rivoluzionari fu perfettamente . analogo a quello dell ' Austria e del Borbone , anzi più crudo . I tentativi di riabilitazione recenti - - simbolico quello a pro del Galateri , nient ' altro che capo brutalmente zelante di inquisitori e di sgherri - - tendono non solo a rivedere i giudizi pronunciati durante il Risorgimento , ma addirittura a capovolgerli , attribuendo a quelle repressioni di Carlo Alberto un significato storico ­ patriottico , perché avrebbe salvato lo stato che doveva compiere l ' opera risorgimentale . È intanto da vedere se quello fosse l ' unico o il miglior modo di salvarlo , se il modo e la misura della repressione fossero necessari ; e il confronto accennato con l ' Austria e il Borbone è istruttivo in proposito . Ma il punto pricipale è che tutto il ragionamento apologetico riposa sopra un idoleggiamento astratto dello Stato in sé , sopra un concetto statico , materialistico , della monarchia sabauda . La monarchia di Vittorio Emanuele II e di Cavour , e quella stessa di Carlo Alberto nel 1848 , non sono le medesime della monarchia di Carlo Alberto nel 1833; ed è evidente che , se il nuovo re avesse fatto solo qualche accenno nel senso del programma nazionale ­ liberale ( secondo l ' invito di Mazzini ) , differente sarebbe stato il contegno dei patrioti cospiratori , come più tardi fu differente rispetto al Carlo Alberto del 1848 e a Vittorio Emanuele II . Il nuovo re , invece , non solo non amnistiò i condannati del 1821 , nonostante i suoi legami innegabili , almeno morali , con essi ; non solo non compì nessun avviamento liberale ­ costituzionale ; ma si strinse in alleanza con l ' Austria , e , oltrepassando a ritroso l ' Austria stessa , si fece il campione del legittimismo puro in Francia , Spagna e Portogallo . Nessun sovrano mostrò in Italia di aver fatta propria così completamente la causa della reazione , salvo Francesco IV di Modena . I liberali patrioti italiani del 1833 e 1834 e degli anni seguenti non potevano vedere in Carlo Alberto se non la incarnazione dell ' Antirisorgimento ; non potevano se non trovare una verità superiore - - nonostante le inesattezze materiali varie , e nonostante il giudizio più equo che oggi può dare la storia , - - nelle famose quartine del Giusti rappresentanti Carlo Alberto genuflesso dinanzi all ' imperatore Ferdinando d ' Austria , novellamente coronato re d ' Italia . Immobilità politica e movimento ideale Dal fallimento della rivoluzione del ' 31 all ' amnistia di Pio IX del 46 corre un quindicennio di elaborazione ideale dalla quale uscì l ' opera definitiva del Risorgirmento . In questa elaborazione è il significato principale del periodo , quantunque anche le congiure e i moti vi avessero la loro importanza , secondo il principio mazziniano : « Pensiero e azione » ; quel poco o tanto che ci fu della seconda servì di riprova , o di pietra di paragone , al primo . Tre correnti si distinguono nettamente : il mazzinianesimo , il liberalismo moderato , il liberalismo radicale ( o federalismo repubblicano ) . Loro carattere comune è quello di riflessione su quanto era accaduto finora e sulla realtà presente italiana ed europea , a fin di reagire alle insufficienze dei moti precedenti e additar le vie dei futuri . E risultato comune fu di accentuare il carattere ideologico ­ etico del Risorgimento di fronte a quello politico puro , di prospettare il problema italiano sotto tutti gli aspetti , concorrendo per diverse vie alla formazione di una coscienza nazionale , di un programma nazionale , e altresì a porre il problema italiano innanzi alla coscienza europea . Completamente estranea a questa elaborazione fu l ' attività dei governi italiani , di tutti i governi , che non andò mai al di là di miglioramenti amministrativi e provvedimenti paternalistici . In contrasto con questa valutazione negativa si accampa la tesi - - risaliente alla storiografia ufficiosa del Risorgimento dopo l ' unità , ma gonfiata con grande strepito in tempi recenti - - che l ' opera carlalbertina nel primo quindicennio di regno sia stata una preparazione all ' azione patriottica seguente . Ancora una volta , una simile tesi appare viziata irrimediabilmente di materialismo . Poiché - - si suppone - - quell ' opera di riformismo regio avrebbe fortificato lo stato sabaudo , e cioè fornito ad esso i mezzi materiali per l ' impresa nazionale , essa dovrebbe esser giudicata preparazione vera e propria , diretta e primaria , del Risorgimento ; e ne risulterebbe la continuità perfetta fra il Carlo Alberto alleato dell ' Austria e quello di Goito ( in quanto allo Statuto , questa interpretazione non se ne cura troppo ) . Ma i mezzi debbono essere consoni al fine , sono fini essi stessi : ecco ciò che non comprende la dottrina banale del fine che giustifica i mezzi . Entro la materia occorre guardare allo spirito . Dell ' attività di Carlo Alberto nel quindicennio si può dire in modo particolare quel che abbiamo detto in generale dell ' opera dei sovrani della Restaurazione : che essa fu una ripresa dell ' assolutismo illuminato del secolo XVIII , e per ciò appunto viziata di anacronismo . E peggio , che anacronistica fu l ' educazione politico ­ morale delle classi dirigenti , civili e militari , allontanate , segregate da tutte le idee di libertà e di autogoverno ( inseparabili dalla causa nazionale , elementi essenziali di questa ) , aggrappate al binomio trono ­ altare , strettamente solidali con l ' Europa del congresso di Vienna , e orientate verso l ' Austria , sostegno di questa Europa e di quel binomio . È stato opportunamente ricordato che gli ufficiali dell ' accademia di artiglieria e genio di Torino si sentirono magnificare per anni da un loro professore la Santa Alleanza e i trattati di Vienna , e vilipendere non solo la rivoluzione francese , ma anche i moti piemontesi del 1821 . A questa completa reazione politica corrispose la ristrettezza castale della classe dirigente aristocratica , nettamente separata dalla borghesia ; e il coronamento di tutto fu la mortificazione e l ' asservimento della coltura con il predominio sanfedistico ­ gesuitico . È un detto di Cavour ( pur così ostile ai rivoluzionari e al mazzinianesimo ) che Torino era in quel tempo un « inferno intellettuale » ; ed è stato Massimo d ' Azeglio , ancor più moderato di Cavour , a confessarci che per respirare ogni tanto egli andava a Milano , sotto l ' Austria . Quando questi testi saranno cancellati , potrà cambiare anche il giudizio della storia sul quindicennio carlalbertino . Il mazzinianesimo Le tre correnti che abbiamo indicato si svolsero per il maggior tratto in contemporaneità cronologica . La prima a scaturire e ingrossare fu tuttavia la mazziniana , mentre le prime manifestazioni del liberalismo radicale precorrono appena di qualche anno quelle del liberalismo moderato . Ma poiché quest ' ultimo fu in buona parte una reazione cosciente al mazzinianesimo , noi lo esamineremo subito dopo di esso , lasciando per ultimo il liberalismo radicale , che fa fronte tanto ai moderati quanto ai mazziniani . Il Mazzini ha un pensiero già pienamente formato e largamente propagandato prima del '40 con gli scritti della « Giovine Italia » con gli altri opuscoli , con le lettere numerosissime e ricche di vita e di pensiero , strumento efficace e intenso di propaganda . Il liberalismo moderato e il radicale hanno invece dopo il 1840 le loro espressioni sistematiche . S ' intende che noi esaminiamo qui ( a differenza di quanto facemmo altrove ) queste correnti non come pensiero politico puro , ma in quanto concorsero al processo del Risorgimento , senza tuttavia una separazione recisa dei due aspetti che sarebbe impossibile . Il Mazzini partì dalla critica alla carboneria . Egli rimproverava al liberalismo carbonaro di non vedere che umanità e individui , ignorando la nazione e la società ; di non tener conto del popolo ; di essere utilitaristico anziché morale , affermando solo i diritti e non i doveri . Tale critica egli estendeva a tutto il movimento liberale uscito fino allora dalla rivoluzione francese : nel che entrava per qualche cosa , almeno come fattore psicologico , precisamente l ' origine francese di quel liberalismo , essendo stato il Mazzini , per passione nazionale , sempre geloso dell ' iniziativa francese e diffidente dell ' influenza francese sull ' Italia . In realtà , proprio dalla rivoluzione francese era sorto il concetto moderno di nazione , in tutta la sua potenza e prepotenza , subordinante l ' individuo fino al sacrificio totale di esso . Tuttavia , di fronte al liberalismo carbonaro il Mazzini aveva ragione di porre in rilievo energico l ' elemento nazionale ­ sociale , effettivamente trascurato da quello . Non altrettanto giusto , neppure di fronte alla carboneria , egli era nella parte negativa della sua critica , cioè nella sistemazione del valore della libertà come parziale e strumentale . Il Mazzini inclinava , con qualche precipitazione , a intendere la libertà come qualche cosa di preliminare , un presupposto già acquisito almeno in linea ideale e su cui non occorresse fermarsi più oltre a riflettere : né riuscì forse mai a coglierne il concetto in tutto il suo valore positivo , finale , sintetico , che appare quando si intenda ( come si deve intendere ) per libertà il pieno sviluppo della personalità umana . È anzi quest ' ultimo concetto di personalità che a lui , tutto fiso nell ' associazione , nella solidarietà , nel dovere , non apparve in tutta la sua portata e natura : l ' idea collettiva , non completamente scevra di mitologismo , della nazione e della società portò nel suo spirito un certo oscuramento . In ciò i radicali e gli stessi moderati ebbero su lui qualche superiorità . Tuttavia , a guardar bene , il concetto fondamentale mazziniano del progresso indefinito dell ' umanità non era se non una formulazione diversa di quella esigenza dello sviluppo personale . L ' uomo serve all ' umanità , ma « l ' umanità non è che la scala per la quale l ' uomo si accosta a Dio » ; al limite , i due termini si confondano : l ' avvenire ultimo dell ' individuo è identico a quello dell ' umanità ... Checché si pensi circa la natura e le imperfezioni del concetto di libertà nel Mazzini , sta il fatto che per lui patria , o nazione , e libertà sono termini inscindibili . Egli dice una volta , con incertezza caratteristica di espressione : « Amo la libertà , l ' amo fors ' anche più che non amo la patria ; ma la patria io l ' amo prima della libertà » ; dove il « prima » bilancia il « più » , e viceversa . L ' esigenza della libertà e gli istituti delle libertà singole sono alla base della sua costruzione nazionale . Egli rinnega bensì , più compiutamente di ogni altro scrittore italiano del tempo , la tendenza settecentesca a concepire la società come un semplice aggregato , o somma , d ' individui ; e pone la nazione come un tutto organico al centro del suo concetto del Risorgimento . Ma nazione è per lui il popolo , tutto il popolo , che prende in mano esso medesimo - - anziché affidarli a un ceto o a un individuo privilegiati - - i suoi destini . Il concetto d ' iniziativa popolare , di autoattività e autogoverno nazionali , è per il Mazzini , fondamentale : si potrebbe dire l ' alfa e l ' omega del suo sistema politico . In questo concetto organico e dinamico della nazione italiana come autocreazione popolare è uno dei massimi apporti del Mazzini al processo del Risorgimento , ideale e pratico : da esso scaturisce il binomio mazziniano « pensiero e azione » , necessario a formare una vera coscienza nazionale . La nazione italiana ha per il Mazzini un passato , un presente , e soprattutto un futuro . Il passato italiano non è per lui qualche cosa da restaurare , da rimettere « in pristino » , un modello da copiare ; ma un incitamento , un auspicio per sollevarsi dalle bassure presenti e metter mano alla ricostruzione dell ' Italia . Ricostruzione , o piuttosto costruzione : poiché , se il Mazzini fa appello alla Roma antica repubblicana ­ imperiale , e a quella papale ­ medievale , ambedue dominatrici e maestre del mondo , e in nome loro invoca e profetizza una Terza Roma , non con altrettanta precisione parla di una prima e seconda Italia a cui succederebbe una terza ; bensì nella nazione italiana nuova vede la condizione necessaria per quella Terza Roma , e al tempo stesso - - in una specie di processo circolare - - nel fatto di Roma italiana vede una ragion d ' essere particolarmente potente per la futura missione dell ' Italia . Il concetto di missione nazionale è una delle idee fondamentali - - si sarebbe tentati qualche volta di chiamarla idea fissa - - del Mazzini ; ma anche una di quelle che rimangono più indeterminate . Si tratta di un còmpito speciale che ciascuna nazione deve adempiere ; ma quale esso sia , per l ' Italia o per le altre nazioni , il Mazzini non indica ( solo più tardi disse qualche cosa in proposito ) . Insomma quel che è il dovere per l ' individuo , è la missione per la nazione ; soltanto , il Mazzini non sembra aver avvertito sufficientemente che il dovere ­ missione non può aver nulla di stabile , di determinato a priori , di specifico e riservato per qualsiasi individuo o collettività : doveri e missioni rampollano sempre nuovi e diversi dalla varietà delle situazioni . Né la missione può consistere in un « principio » di cui una sola nazione sia interprete privilegiata ; poiché se di principî , cioè di elementi essenziali , davvero si tratti , essi occorreranno tutti a ciascuna . Di fatto , il Mazzini non precisa per l ' Italia altra missione se non quella di iniziatrice della resurrezione e confederazione dei popoli , missione corrispondente alla situazione storica d ' allora , e che ogni nazione avrebbe potuto assumere a seconda delle circostanze . Senonché la sua fede che all ' Italia in prima linea spettasse un così alto còmpito , era adatta a risvegliare e a tendere all ' estremo le energie nazionali , e al tempo stesso a render solidale la causa italiana con quella di tutte le altre nazioni . Solidarietà a cui corrispose l ' azione effettiva del Mazzini , creatore della Giovine Europa e in contatto costante con gli altri movimenti nazionali europei . Come s ' è accennato già , nel concetto mazziniano di nazione v ' è un detrito di mitologismo sociologico . Ma esso non deve celare il nucleo vitale , cioè il concetto morale , ideale , di nazione , anziché puramente politico ­ territoriale : concetto che rappresenta un ' aspirazione cosciente a ristabilire nella vita italiana quell ' unità morale che era venuta meno dal Rinascimento in poi . Ogni materialismo statale è incompatibile con lo spirito mazziniano . L ' Italia per lui è una tradizione storica , è più ancora una vita morale , uno spirito , una vocazione al servizio dell ' umanità ; ed esigenza morale , realtà spirituale è l ' unità italiana invocata dal Mazzini . L ' unità territoriale è strumento per la riunione delle forze morali , per l ' esplicazione della solidarietà nazionale ; è manifestazione sensibile dell ' unita di coscienza , giusta effettuazione della volontà del popolo . L ' idea di un ' Italia che si facesse per assorbimento politico ­ militare da parte di uno degli stati esistenti , ripugnava al Mazzini , non meno ( anche se non per ragioni del tutto uguali ) che ai federalisti repubblicani . E come l ' unità , così la repubblicana ; la quale non è per il Mazzini una semplice forma di regime contrapposta ad un ' altra - - sullo stesso piano , per esempio , della monarchia costituzionale - - e neppure semplice esplicazione ( come per i federalisti repubblicani ) del principio di libertà ; ma è unità di coscienza e di azione , coronamento necessario della formazione nazionale , strumento indispensabile per la missione nazionale . Tutto questo viene rafforzato per l ' Italia dalle tradizioni storiche del suo grandioso passato , che sono - - dice il Mazzini - - repubblicane e non monarchiche . Il valor ideale , morale , della repubblica unitaria italiana , doveva concretarsi , innanzi tutto , nel contenuto sociale di questa . Il problema sociale fu sentito vivissimamente dal Mazzini per l ' Italia come per il resto d ' Europa ; e , se egli combatté la soluzione comunistica ( intaccata ai suoi occhi di utopia , antiliberalismo , e soprattutto di materialismo ) , la sua esigenza sociale era tuttavia radicale non meno del socialismo : il principio d ' eguaglianza esigeva per lui che ogni uomo partecipasse in ragione del suo lavoro al godimento dei prodotti dell ' attività sociale . Un giorno - - dice il Mazzini - - saremo tutti operai , cioè vivremo dell ' opera nostra . Anche per il problema sociale l ' iniziativa e l ' azione spettano per il Mazzini al popolo stesso e allo stato popolare ; è estraneo al suo pensiero ogni paternalismo , corporativistico o meno . L ' impostazione e il tentativo di soluzione del problema sociale rappresentano una grande superiorità del Mazzini rispetto al liberalismo moderato , che si può dire ignorasse quel problema ( esso è posto energicamente dal Gioberti nel Rinnovamento ; ma il Gioberti del Rinnovamento è ben al di là del moderatismo ) . Il concetto di umanità è coordinamento , o meglio superamento di quello della nazione , e ne corona il carattere ideale . Esso pone una barriera insormontabile , un vero abisso , fra il mazzinianesimo e ogni dottrina di etnicismo nazionalistico . Non si tratta del dominio di una nazione , l ' Italia , ma di costruire un mondo delle nazioni ; e se si attribuisce ripetutamente all ' Italia una missione iniziatrice ( di popolo ­ Cristo ) , è missione politico ­ spirituale , non politico ­ territoriale , da svolgere con mezzi conformi alla legge morale , in affratellamento con tutti i popoli , in azione solidale fra tutti « i buoni » . Le singole cause nazionali sono collegate indissolubilmente fra loro , e insieme debbono trionfare per opera dei popoli associati contro i governi . Questo è l ' europeismo mazziano , al di fuori e contro ogni diplomazia , ogni combinazione di interessi particolaristici di governi o dinastie . Ogni concezione nazionalistica presuppone il primato della politica su ogni altra attività dello spirito . Il concetto mazziniano del Risorgimento approda invece a un superamento completo del politico nello spirituale . Non solo ogni ragione di stato è negata in radice , ma la politica è subordinata integralmente alla morale , e la morale non è se non l ' applicazione di una fede religiosa . Il problema religioso italiano è ripreso dal Mazzini in vista di una soluzione radicale . Con esso tocchiamo al vero fondo della rivoluzione mazziniana , che non è nell ' assetto politico - - in cui non sono esclusi gradualità e temperamenti , - - ancor meno nell ' insurrezione , semplice strumento temporaneo ; ma è in questa intima trasformazione religiosa . Egli parla esplicitamente di una nuova fede , che superi così le vecchie confessioni cristiane , ormai per lui impotenti , come l ' incredulità scettica e materialistica del secolo XVIII . Egli respinge nettamente gli sforzi dei neocattolici o neoguelfi italiani : la loro scuola , secondo lui , non è giovevole al progresso italiano , di cui fraintende l ' idea predicando una fede non sentita veramente . Per il papato e il cattolicismo non vi è posto nel Risorgimento mazziniano : ciò che non significa , naturalmente , ch ' egli pensasse ad abolizioni forzate , a persecuzioni ( nulla di più estraneo al suo pensiero ) , ma che non attribuiva loro una funzione positiva . Il cristianesimo stesso per il Mazzini è esaurito , non perché falso , ma perché il vero che c ' era in esso ( la redenzione individuale ) ha già trionfato . Rimane necessaria la fede ultraterrena , che è per il Mazzini quella in Dio manifestantesi per successive rivelazioni nell ' umanità , destinata un giorno ad esser chiamata tutta intera a Lui , come vi ascendono gli individui attraverso le loro vite successive . Finché l ' unità sociale non è fondata , autorità ecclesiastica e autorità politica devono rimanere indipendenti il più possibile l ' una dall ' altra . Una volta però costituita veramente la società nuova , questo separatismo fra Stato e Chiesa , fra istituti politici e principî religiosi , non avrà più ragion d ' essere : come alla fede corrisponderà la morale , che si attuerà nella politica , così lo Stato sarà la Chiesa , e la Chiesa sarà lo Stato . Nessun divorzio fra la terra e il cielo : occorre agire su questa terra per un còmpito sacro , per la realizzazione del regno di Dio . Per camminare verso un tale ideale , il Mazzini conta sull ' educazione nazionale : a lei spetta far sentire fratelli tutti gli uomini di una nazione , toglierli dall ' isolamento in cui si trovano , imbeverli delle stesse credenze e dello stesso spirito , render possibile un pieno sviluppo delle loro facoltà , superando le condizioni d ' inferiorità sociale in cui tanti di essi si trovano . Questa educazione è còmpito dell ' autorità sociale , e cioè di un insegnamento pubblico politico morale , con carattere uniforme . Concezione che potrebbe essere grave di conseguenze , ma sostanzialmente corretta , o integrata , da quel che dice il Mazzini sulla coesistenza dell ' educazione nazionale e dell ' insegnamento libero , per cui alla prima spetta l ' insegnamento del dovere sociale , del programma nazionale , al secondo la libera diffusione di nuovi programmi , di nuovi ideali , che assicurino la libertà di progresso , protetta e confortata dallo Stato . La formazione dell ' unità morale è dunque per il Mazzini graduale e non subitanea , libera e non imposta , e , dato il progresso continuo , mai definitiva . E di questa unità morale l ' interpretazione e l ' applicazione spettano al popolo . Il punto fondamentale , di fronte ad autoritari e moderati , è per il Mazzini che il governo nuovo dev ' essere non solo per il popolo , ma per mezzo del popolo . Egli afferma una capacità politica generale del popolo , quella di scegliere spontaneamente i più capaci . Non ammette che la politica nazionale e popolare possa essere incarnata da individui dominatori : non bisogna attribuire agli individui un ' autorità che appartiene solo ai principi . Non si tratta per una nazione di usare momentaneamente la libertà di scelta per abbandonarla di nuovo , ma di organizzare con le istituzioni l ' esercizio continuato della sua libertà e sovranità , assicurandola così saldamente da non poter essere perduta per sbagli di un individuo o di una dinastia . Tutto questo fa da contrappeso - - e fino a un certo punto da superamento - - al pericolo insito nella riduzione mistica mazziniana della politica a religione : il pericolo cioè , che , con un rovesciamento facile a verificarsi negli spiriti intellettualmente o moralmente deboli , la politica - - e quindi l ' utilità contingente di una data situazione , un programma , un istituto , un partito particolari , - - si innalza a morale , imposta dall ' alto e consacrata nell ' immobilità . Che il pericolo sia completamente superato non potrebbe dirsi , appunto per quel misticismo che ignora le necessarie distinzioni . Nella concezione mazziniana del Risorgimento è innegabile un residuo dogmatico , trascendente , e ben lo sentirono i contemporanei e i seguaci stessi del Mazzini : e l ' opposizione aperta , o la repugnanza intima , ad esso fu uno dei più gravi ostacoli all ' efficacia dell ' azione mazziniana . Reagì in particolare il liberalismo radicale , con l ' assolutezza del suo umanesimo ignorante ogni trascendenza ; ma anche il liberalismo moderato oppose al mazzinianesimo il suo senso realistico ed empirico . Ambedue associarono in questa opposizione le tradizioni del pensiero settecentesco , che il Mazzini non aveva compreso a fondo , al nuovo pensiero storico ­ scientifico . Rimase pur sempre al Mazzini il vanto della concezione più integrale del Risorgimento , quella che più strettamente associava il pensiero all ' azione escludendo ogni infecondo dilettantismo ideologico , la risurrezione politica all ' elevazione morale sradicando ogni macchiavellismo , le sorti dell ' Italia a quelle di tutta l ' Europa eliminando ogni tentativo d ' isolamento , ogni pretesa di dominio . Se al popolo italiano occorreva per il suo Risorgimento superare definitivamente le bassure spirituali a cui lo aveva condotto la decadenza secolare successa al Rinascimento , la spinta morale a quel superamento gli venne principalmente dall ' afflato mistico mazziniano . Né si saprebbe additare , nella propaganda patriottica del Risorgimento , nessun altro che abbia come il Mazzini lanciato tanti fili , tessuto tante trame , illuminato , eccitato tanti spiriti , formato e tenuto insieme tanti nuclei di azione , fatto appello a tanti ambienti diversi , posto mano a tanti strumenti differenti ; e , più in breve , speso tutta la sua intelligenza , tutte le sue energie , ogni suo respiro per la causa dell ' Italia e dell ' umanità . Il liberalismo moderato Il moderatismo del Balbo , dell ' Azeglio , del primo Gioberti e degli altri affini , ebbe , accanto all ' ispirazione politica , una radice culturale . Esso fu strettamente legato al rifiorire degli studi storici , più precisamente di storia italiana . L ' erudizione settecentesca venne fecondata fra noi nella prima metà del secolo dalla nuova coscienza storico ­ nazionale , alimentata questa a sua volta dallo spirito di umanità e di socialità ereditato dal Settecento . Si può dire che dallo studio della storia d ' Italia nasca la scuola moderata : Manzoni , Troya , Capponi , Balbo lo mostrano chiaramente . Unica grande eccezione sarebbe il filosofo ­ oratore Gioberti , ed eccezione solo parziale perché egli si nutrì di studi storici ( sebbene la sua mentalità non potesse propriamente dirsi storica ) , e su fondamenti storici pretese costruire il suo Primato . Non sarebbe facile trovare nella storia di un ' altra nazione un periodo in cui movimento politico e movimento culturale siano così strettamente associati come nel Risorgimento : constatazione inoppugnabile , e fatale a ogni interpretazione puramente territorialistico ­ politica del Risorgimento medesimo . Lo studio della storia nazionale fu coltivato non solo da individui eminenti , ma da organismi collettivi , come la Deputazione di storia patria fondata a Torino da Carlo Alberto , e ancor meglio l ' « Archivio storico italiano » fondato da un privato , oriundo svizzero , il Vieusseux , il medesimo che prima aveva messo al mondo l ' « Antologia » . E l ' istituzione di una cattedra di « Storia d ' Italia » fatta da Carlo Alberto nel 1846 all ' università di Torino , può indicarsi come uno dei segni dell ' evoluzione carlalbertina . Due risultati dettero gli studi di storia nazionale per il Risorgimento : una migliore conoscenza del passato italiano , con ammaestramenti e auspicî per il futuro ; una coscienza più chiara delle relazioni fra l ' Italia e l ' Europa , con una visione migliore dell ' aspetto europeo del problema italiano . Erano sempre i due elementi nazionale ed europeo intrecciati insieme . Il Risorgimento non poteva non essere poderosamente alimentato dal ricordo e dal racconto delle grandezze passate d ' Italia , mentre l ' analisi della sua decadenza additava le difficoltà della resurrezione e i mezzi per superarle . Nella scelta e nella valutazione dei vari periodi storici entrava un forte elemento politico . È stato già posto in piena luce da un maestro insigne il fatto che tutta una scuola di storici Italiani , i quali furono anche patrioti e politici moderati o neoguelfi o cattolici ­ liberali che dir si voglia , si concentrò non su Roma antica , - - anche in ciò fu un contrasto dei moderati con il Mazzini , - - e neppure sul Rinascimento , ma sul medioevo , sull ' età dei comuni . Così i valori da essa estratti dalla storia italiana furono l ' indipendenza e la libertà , piuttosto che l ' unità statale . Si sa come il Balbo , tra indipendenza e libertà , desse la precedenza assoluta , e si può dire l ' esclusività , alla prima , fino a domandare che la passione dell ' indipendenza spegnesse le altre passioni nazionali ( porro unum est necessarium , secondo l ' epigrafe delle Speranze d ' Italia , poi tolta per scrupolo religioso ) . Ma in ciò egli fu isolato in seno alla stessa scuola moderata . Il Durando polemizzò apertamente con lui , pur senza nominarlo , affermando esser gravissimo errore sostenere che si dovesse pensare soltanto all ' indipendenza e non curarsi della libertà , mentre un riordinamento politico italiano in senso costituzionale era l ' unica via per ottenere un concentramento morale della nazione . Il Balbo stesso , del resto , faceva questione di opportunità e non di principio ; mentre per la passata storia italiana egli non è inferiore a nessun altro nel mettere in rilievo la libertà come autrice delle più splendide civiltà nostre . La conoscenza della storia italiana ed europea accoppiata all ' esame della realtà presente , fece ben chiaro a questi studiosi politici il processo di decadenza attraversato dall ' Italia dopo l ' inizio dell ' età moderna , mentre le altre nazioni europee salivano ; perciò il loro orientamento generale fu quello del risollevamento dell ' Italia in adeguazione alla civiltà europea . Poiché v ' era per essi una civiltà europea , o cristiana , comune che costituiva il vincolo e il valore delle nazioni moderne : partecipare a questa civiltà era condizione di vita . fondamentale , pregiudiziale per ciascheduna di esse . Nessuno insistette più recisamente , si potrebbe dire più crudamente , dell ' italianissimo Balbo sull ' inferiorità presente dell ' Italia rispetto alle altre nazioni , biasimando i vanti delle glorie antiche italiane i quali , inducendo a vagheggiare un ' passato d ' impossibile ritorno , distraevano dalla realtà presente . L ' Italia , per allora , mentre non poteva isolarsi dalla vita europea , non poteva avere in essa se non uno degli ultimi posti . E una ragione primaria della sua inferiorità era la sua inesperienza presente e la sua scarsa produttività passata in fatto di quei governi rappresentativi in cui il Balbo vedeva il progresso politico maggiore d ' Europa . Allo stesso « europeismo » si arrivava da un altro ordine di studi , che viene subito dopo gli storici in serie d ' importanza per il moto del Risorgimento : quelli economico ­ tecnici , dei quali furono principali organi taluni periodici lombardi , come gli « Annali universali di statistica » del Romagnosi e il « Politecnico » del Cattaneo . Della politica del Cattaneo diremo fra poco ; ma qui occorre dire come anche questi studi alimentassero il pensiero moderato e la formazione di un programma riformistico : sviluppo delle industrie , costruzioni di ferrovie , abbassamento di dazi , unioni doganali . Altrettanto può dirsi dei congressi degli scienziati italiani . Si trattava , in generale , di mettere in valore , sviluppare le energie nazionali in tutti i campi associandole fra loro , nelle diverse specie e da regione a regione , nella ben chiara coscienza che ciò significava costruire la nuova Italia . Nel campo degli studi economici compì le prime affermazioni , pur esse di valore politico e nazionale , colui che da uomo politico attivo doveva portare il moderatismo alle sue fortune supreme , superandolo attraverso l ' alleanza con la rivoluzione : Camillo di Cavour . E l ' europeismo è un tratto fondamentale del pensiero cavouriano già prima del Quarantotto : sia per quella coscienza di una civiltà europea comune di cui abbiamo parlato e che faceva chiamare al Cavour i diversi popoli europei « branches de la grande famille chrétienne » , sia in quanto problema di ricongiungimento dell ' Italia all ' Europa civile . Alla pari o anche più degli altri moderati , Cavour teneva fissi gli occhi specialmente su Francia e Inghilterra ; e il Balbo esprimeva un pensiero fondamentale anche di lui quando parlava della « civiltà anglo ­ francese , la civiltà occidentale d ' Europa » come identica con « la civiltà progrediente » . Un ' eccezione all ' europeismo dei moderati è costituita dal Gioberti nel Primato : unica , ma a prima vista imponente , poiché l ' idea comune è che quel libro fondasse la scuola moderata e ne fosse il vangelo . Idea comune , ma errata , in quanto confonde il processo ideologico moderato con le fortune del moderatismo nell ' opinione pubblica italiana . Il Primato ruppe il silenzio italiano , conciliò al movimento nazionale una quantità di elementi fino allora in disparte od ostili ; ma fu ben lontano dal rappresentare il pensiero comune della scuola moderata . Vi erano in esso elementi reazionari e utopistici strettamente associati : una critica prevalentemente negativa ( almeno nell ' intonazione , se non nelle intenzioni recondite dell ' autore ) della civiltà moderna ; un collocamento dei destini d ' Italia , anzi della civiltà europea , nelle mani del papa e del clero ; una esaltazione retorica del primato italiano non solo come realtà passata o possibilità futura , ma come virtualità già presente . Su tutti questi punti il pensiero di Gioberti fu respinto dagli altri della scuola , e talora perfino con scherzi e ironie ; ed egli stesso si affrettò a interpretarlo , cioè ad abbandonarlo , accettando le posizioni europee degli altri . Anche il programma politico costruito dai moderati per la nuova Italia è fatto di un ' associazione di tratti nazionali e tratti europei . Dall ' esame del passato e del presente della nazione essi deducono il loro federalismo monarchico ; constatano la realtà dei diversi stati italiani formatisi gradualmente attraverso i secoli , e si propongono di conservarli riformandoli sul modello dei più progrediti europei . Si tratta per essi di fabbricare su ciò che esiste : « sola buona mutazione è il progredir dalle cose presenti alle future » ( Balbo ) . Al criterio storico risponde quello politico moderato : desiderio di produrre il minimo sconvolgimento possibile per l ' Italia e per la civiltà europea ; timore dell ' iniziativa popolare ; negazione teorica e avversione pratica della democrazia . Negazione , tuttavia , che non fu l ' unica ed ultima parola della scuola , poiché tanto il Balbo quanto il Cavour parlarono di vittoria democratica finale . All ' ordinamento monarchico costituzionale , vagheggiato per ciascuno degli stati italiani , più che mai la Francia e l ' Inghilterra fornivano il modello . II significato del programma nazionale moderato per il Risorgimento consistette nella propaganda dell ' idea nazionale presso vasti ceti che altrimenti sarebbero rimasti ad essa estranei ; nella favorita convergenza a pro del Risorgimento di forze politiche , economiche , culturali , religiose ; nella dimostrazione che era possibile un programma minimo immediato , senza rivoluzione ; nell ' avvicinamento delle forze conservatrici in Europa e dei governi europei alla causa italiana . Il liberalismo radicale Il programma politico del Cattaneo e del Ferrari non fu svolto apertamente e completamente prima del 1848 . Ma esso riuscì imbevuto di tutto il loro spirito ; e questo si manifesta a pieno già negli scritti anteriori . Del Cattaneo già le Interdizioni israelidiche , scritte nel 1835 , sono rivelatrici di tutta una mentalità , che trovò ampia occasione di manifestarsi nella collaborazione agli « Annali di statistica » ( cominciata già nel 1832 ) e soprattutto nella redazione del « Politecnico » , dal 1839 al 1844 . Il Ferrari offre già elementi caratteristici ne La mente di Giandomenico Romagnosi del 1835 , e dispiega le sue idee negli scritti pubblicati in Francia , in lingua francese , fra il 1843 e il 1848 . Le prime contraddizioni al Mazzini vennero da essi , non dai moderati . Attraverso il Cattaneo - - testa ben più quadra del caotico e paradossale Ferrari - - il liberismo radicale è strettamente legato con la produzione scientifico ­ tecnica del tempo , a cui abbiamo fatto ripetuto accenno . Si può dire che all ' inquadramento storico ­ letterario del liberalismo moderato risponda quello scientifico ­ positivo del liberalismo radicale , sebbene il prima elemento non manchi ai radicali come trovammo il secondo presente ai moderati . Da notare in particolar modo è la rivalutazione del medioevo italiano comune agli uni e agli altri , anche se con qualche diversità di spirito . Ambedue i gruppi furono composti di uomini di pensiero , prima e più che di azione , nettamente differenti dal blocco pensiero ­ azione mazziniano , non proclivi a mescolarsi con le moltitudini , anche se queste ( come era il caso dei radicali ) facevano parte integrante del loro programma teorico . Ambedue - - sempre in contrasto col Mazzini - - vollero fondarsi sul presente , su ciò che esisteva già , e procedere evolutivamente , non rivoluzionariamente . Il Ferrari e il Cattaneo erano pronti non meno dei moderati ad accettare , e anzi a promuovere , le riforme da parte dei governi , nei singoli stati : il Cattaneo anzi , ancora alla vigilia delle Cinque giornate , era disposto ad adattarsi con l ' Austria , contando sopra una evoluzione federale dell ' impero absburghese . Il federalismo di moderati e radicali ha un punto di partenza comune in questa accettazione della realtà presente , in questa adozione del metodo riformistico . Ambedue altresì furono contrari alle società segrete e alle cospirazioni . Ambedue hanno una mentalità positiva , razionale , amante delle distinzioni , di contro al misticismo ardentemente unificatore del Mazzini . Qui , però , finiscono le somiglianze e cominciano le differenze . Per i moderati il riformismo è scopo a se stesso , punto d ' arrivo , ciò che significa conservazione modificata del presente ; per i radicali esso è semplice strumento di una rivoluzione progressivamente attuantesi . Il federalismo dei primi significa rispetto delle sovranità esistenti ; quello dei secondi è una garanzia per la piena , verace attuazione della libertà e della sovranità popolare , da erigere sulla rovina di quelle altre sovranità . Gli uni sono Cristiani cattolici , gli altri scienziati positivisti , liberi pensatori . Per gli uni il Risorgimento è essenzialmente un riordinamento monarchico costituzionale operato dai governi , e l ' eliminazione del dominio straniero ; per gli altri è liberazione totale , politica , sociale , soprattutto intellettuale . Il loro radicalismo , prima che politico , è ideologico , e ispira di sé anche le riforme entro il quadro degli organi esistenti , le quali , a contenuto materiale uguale , sono perciò imbevute di tutt ' altro spirito da quello dei moderati : il loro radicalismo si colloca faccia a faccia degli istituti e delle credenze tradizionali , svuotando i primi e rinnegando le seconde . La luce della scienza e della ragione , ecco la loro guida . Scienza e coltura sono per essi i valori supremi , che non conoscono nessuna trascendenza metafisica o religiosa . Lo Stato è per essi una creazione dell ' intelligenza ; e , prima dell ' associazione politica dei popoli vagheggiata dal Mazzini , il Cattaneo pensa all ' associazione internazionale delle intelligenze . In questa affinità universale fondata sulla ragione ogni nazionalismo è negate in radice , e l ' europeismo dei moderati è largamente superato . Non si tratta di porre l ' Italia alla testa dei popoli per una missione europea , ma di far risplendere a pieno sul nostro paese quella luce della scienza e della ragione che già si spande sul resto d ' Europa . Il Cattaneo nulla sa di missioni particolari dei popoli , mentre il Ferrari attribuisce l ' iniziativa del progresso e del rivolgimento europeo alla Francia democratica ; ma quel che importa ad entrambi è il libero sviluppo di tutti gli individui associati , dappertutto simile . La libertà nei moderati si riduceva ad un insieme di istituti giuridici che garantivano le libertà particolari ; nel Mazzini era un presupposto e uno strumento della solidarietà sociale , della nuova costruzione nazionale e dell ' associazione dei popoli ; per il Cattaneo e il Ferrari essa è il valore primario contenente tutti gli altri . La pregiudiziale del Balbo a pro dell ' indipendenza è rovesciata da loro a pro della libertà , fino al punto che il Ferrari parla di un dualismo fra le due idee , dimostrato dall ' assolutismo piemontese ; e sostiene , ancora dopo il '48 , che occorre far la guerra alle servitù nostrane prima di combattere lo straniero . La libertà ha per essi valore religioso , è la loro nuova religione , proclamata esplicitamente tale : in suo nome , il Ferrari nega l ' antica ( con particolare crudezza dopo il 1848 ) , considerandola come fondamento principale dell ' ordine vecchio che deve scomparire , mentre il Cattaneo preferisce ignorarla . Al disopra dello Stato il Ferrari proclama , riferendosi a Kant , la necessità di una chiesa universale , la quale non è se non l ' associazione degli spiriti razionali di cui parla il Cattaneo . La nazione non è punto ignorata da questo cosmopolitismo razionale ; essa però è concepita non quale realtà trasmessa dal passato , ma quale nuova creazione della civiltà europea e mondiale . Tuttavia , a questa concezione il Ferrari , più storicista del Cattaneo , associa l ' altra del Risorgimento come ripresa da parte dell ' Italia dell ' opera di progresso avviata in passato e quindi continuata dagli altri paesi . È una sua idea fondamentale quella che il risorgimento europeo sia cominciato in Italia con i comuni e proseguito con il Rinascimento ; sia passato quindi in Germania come Riforma , in Francia come Rivoluzione ; si tratta ora per l ' Italia di riprendere ciò che si era lasciata sfuggire . Concezione storicamente fondata e idealmente integrale come quella che associa , pur senza confonderli , sviluppo culturale , religioso e politico , e restaura pertanto anch ' essa , in altra forma da quella del Mazzini , la unità morale italiana . In questa concezione , storia italiana e storia europea , risorgimento italiano e sviluppo europeo erano organicamente legati in circolo . L ' idea , e potrebbe dirsi la fissazione del Ferrari - - che non ha giovato alla sua fama - - del legame indissolubile tra Risorgimento italiano e politica francese , derivava da ciò che la Francia era ai suoi occhi l ' incarnazione della rivoluzione : modo di vedere che il 1789 , il 1830 e il 1848 rendevano plausibile . Il Ferrari non guardava allo stato francese qualsiasi , ma alla Francia progressista e rivoluzionaria : alleandosi con questa e ricevendone l ' appoggio , l ' Italia per lui riprendeva la sua eredità . Ferrari ­ Cattaneo e Primato del Gioberti rappresentano l ' antitesi massima : gli uni volevano la piena assimilazione dell ' Italia vecchia all ' Europa nuova , l ' altro vagheggiava , o mostrava di vagheggiare , la riduzione dell ' Europa nuova all ' Italia vecchia . Nel Rinnovamento il Gioberti , facendo dipendere la realizzazione nazionale italiana dall ' espansione del moto democratico , innanzi tutto francese , accettò sostanzialmente la concezione del Ferrari . A questo punto il federalismo dei due pensatori appare nella sua vera luce , anche nei confronti del Mazzini : e cioè non come moderatismo , ma come radicalismo . Essi non vogliono lo stato unitario abbracciante tutta l ' Italia , perché lo considerano come una imposizione dal di fuori e dall ' alto a danno dei singoli popoli italiani , di cui impedirebbe il libero sviluppo . Il federalismo repubblicano assicura l ' iniziativa popolare , e le libertà locali e individuali . Di fronte al federalismo monarchico dei moderati , quello repubblicano di Ferrari e Cattaneo rappresenta l ' esatta antitesi ; un minimo e un massimo di libertà , di rivolgimento , di modernità . Solo al modo della Svizzera e degli Stati Uniti - - diceva il Cattaneo - - si può accoppiare unità e libertà ; il popolo per conservare la libertà deve tenerci sopra le mani . Si aggiunge nel Ferrari una spiccata nota sociale , accentuata dopo il '48 come quella antireligiosa , e che il Pisacane porterà al massimo svolgimento , ponendo il socialismo come obbiettivo della rivoluzione italiana . Il federalismo italiano s ' inquadrava poi nell ' europeo , anzi nel mondiale , poiché il Cattaneo aveva l ' occhio anche all ' impero britannico e all ' America . Egli descriveva il moto universale dei popoli risorti , che riconquistavano ciascuno la propria coscienza , accorgendosi che la libertà di ciascuna nazione era condizione necessaria per quella delle altre . Convergenza nazionale In sede puramente teorica , le antitesi fra le tre scuole prevalgono forse sulle coincidenze . Qui però noi dobbiamo valutarle storicamente , nella concretezza effettuale del Risorgimento . Allora , esse ci appariscono prevalentemente complementari . Nei moderati troviamo il senso e la conoscenza del reale , e la tecnica politica diretta ad utilizzarlo ; nei radicali , la posizione netta dell ' esigenza liberale , innovatrice , affrancatrice ; nel Mazzini lo spirito morale , religioso , l ' apostolicità della propaganda , l ' unità mistica del pensiero e dell ' azione . Volendo caratterizzare con una sola parola ciascuna delle tre scuole potremmo dire : politica , pensiero , fede ; o anche : indipendenza , libertà , solidarietà . Il risultato dell ' opera contemporanea delle tre correnti fu grandioso : si ebbe un assalto dalle più diverse parti all ' intelligenza e al sentimento degli Italiani , una penetrazione nei più diversi strati della società nazionale . Il problema italiano fu posto sotto tutti gli aspetti , in Italia e fuori ; tutte le forze nazionali furono risvegliate , eccitate , mobilitate - - fino all ' azione ponente a repentaglio la libertà e la vita , come nel sacrificio eroico dei fratelli Bandiera , o nel moto di Rimini , conato estremamente significativo del riformismo moderato per attuarsi attraverso l ' insurrezione ; - - e si effettuò il collegamento con quelle internazionali . Si dice spesso che Risorgimento fu opera di una minoranza . È questione d ' intendersi . La parte politica attiva tocca sempre alle minoranze , poiché la maggioranza ha altro da fare : essa ha il còmpito del lavoro quotidiano , di assicurare la continuità della vita , senza di cui l ' opera superiore della minoranza non potrebbe esistere . Perché ci sia Maddalena ad accendere la lampada dello spirito occorre che Marta provveda alle faccende domestiche . Tutto sta a vedere qual è il rapporto fra la minoranza che dirige e la maggioranza che segue : di persuasione o di costrizione , di partecipazione intima o di adesione passiva , nella luce della coscienza o nelle tenebre dell ' ignoranza . La minoranza che fece il Risorgimento appartenne al primo tipo , l ' unico che permette le costruzioni durature . E ciò fu dovuto precisamente a quella triplice scuola , a quella triplice propaganda , la quale fornì al moto politico del Risorgimento una base ideale così salda e profonda , quale pochi altri moti politici possono vantare . Quelle correnti di pensiero non furono la preparazione o l ' occasione o l ' aiuto del Risorgimento : esse ne furono l ' anima stessa , che nelle congiure , nelle insurrezioni , nelle guerre , nelle dimostrazioni di popolo , nei plebisciti , nei voti parlamentari trovò il suo corpo . Solo l ' imponenza di quei movimenti di pensiero spiega le proporzioni assunte d ' un tratto dal moto popolare italiano nel 1846­48 , quasi subito fiammeggiare d ' incendio vastissimo ; e , dopo il fallimento di quello , la ripresa e il rapido , travolgente successo finale . V LA RIVOLUZIONE NAZIONALE Fisionomia del Quarantotto La rivoluzione europea del 1848 ha un prologo nel moto riformistico italiano del 1846­47; la rivoluzione siciliana del gennaio 1848 è intermedia . Quel moto riformistico ebbe ( fatto non sufficientemente avvertito ) carattere nettamente prerivoluzionario . Le riforme furono date dai sovrani , ma sotto la pressione immediata e continua dei popoli : si confronti il comportamento diversissimo del moto riformistico nel Settecento . Fu mobilitata allora , ampiamente , sistematicamente , in tutta la penisola , la « piazza » : cosa tanto disgustosa per re Carlo Alberto , e anche per il conte Balbo , che contro quell ' uso e abuso delle dimostrazioni di popolo rivolse uno dei suoi scritti dottrinario ­ polemici , così vivi e illuminanti anche quando sono sbagliati . L ' indole aristocratico ­ conservatrice non permise al Balbo di rendersi conto che le riunioni di piazza in sé non erano né buone né cattive ; tutto stava a vedere quel che c ' era dentro e dietro : un movimento effettivo di spiriti e di volontà , o tumulti occasionali incomposti ed effimeri , o anche , semplicemente , parate su comando , per illusionismo plebiscitario giacobino o napoleonico ( oggi potremmo aggiungere , « ducistico » o totalitaristico ) . I moti di piazza del 1846­48 , checché sia di certi loro aspetti ( « quarantottate » ) , inseparabili in una certa misura da ogni movimento popolare , furono nell ' insieme manifestazioni fisiologiche di un organismo nuovo , o rinnovato , affacciantesi alla vita nuova . E se il Quarantotto fallì , il fallimento non fu dovuto già a quei moti , ma all ' assenza o scarsezza di altri elementi ; e potrebbe anche dirsi che esso si verificò in coincidenza con il venir meno dell ' agitazione popolare manifestatasi nei moti stessi . Questi furono il risultato naturale di tutte le precedenti elaborazioni di pensiero e delle diverse propagande ( compresa quella dei moderati medesimi ) , le quali sarebbero riuscite inutili se non fossero arrivate al popolo e non avessero promosso una sua partecipazione attiva . Dalla quale non si poteva pretendere la compostezza e la discrezione di un congresso di scienziati o di una tornata accademica . I moti popolari del 1846­48 rappresentano non solo l ' effetto , ma la fusione in atto delle tre correnti di pensiero che abbiamo delineate . Il programma iniziale fu quello dei moderati , attuato ( secondo i principi moderati ) dai governi , ma sotto la pressione popolare rispondente all ' esigenza d ' iniziativa nazionale propugnata dal Mazzini , anche se in modi non graditi da lui ; i moti si effettuarono nei diversi stati autonomamente e condussero alla trasformazione di ciascuno di questi , come volevano i federalisti repubblicani ; gli svolgimenti ulteriori portaron dal programma moderato a quello mazziniano e radicale . Nel Quarantotto c ' è « l ' Italia farà da sé » , e il collegamento con l ' insurrezione degli altri popoli , con gli interventi della diplomazia europea ; l ' azione dei governi , della borghesia illuminata e del popolo ; guelfi e ghibellini , federali e unitari , liberali , democratici e socialisti . Il Quarantotto ripeté il 1796­99 , il 1821 e il 1831 , preparò il 1859­70; e tuttavia ebbe fisionomia sua , e fu il moto più comprensivo di tutti . Il trionfo del neoguelfismo Tutto questo movimento grandioso cominciò da un fatto modesto , quasi banale : l ' amnistia politica promulgata da papa Pio IX per solennizzare il suo avvento al trono . Se non proprio banale , il fatto poteva almeno dirsi normale : otto anni prima anche l ' imperatore Ferdinando I d ' Austria aveva dato una generale amnistia al momento dell ' incoronazione regia in Milano ; anche i predecessori di Pio IX avevano dato amnistie in occasioni analoghe , sia pure più ristrette . Inoltre l ' amnistia di Pio IX era subordinata a una confessione umiliante ; il manifesto che l ' annunciò parlava di « perdono » , e terminava con una minaccia per il caso in cui le speranze del sovrano negli effetti di questo perdono risultassero vane . Da due circostanze derivarono i risultati grandiosi dell ' atto : esso cadde in una situazione profondamente carica di elementi novatori , e provenne dal papa . L ' amnistia , cioè , fu intesa come un indice di cambiamento della politica papale : tutto il problema politico ­ religioso del Risorgimento apparve posto in nuovi termini . Quel che fino allora era stato ostacolo , sembrò divenuto il più potente motore . Triplice era stata sino allora l ' opposizione fra papato e Risorgimento . Il papato aveva unto con il sacro olio della religione la legittimità dei governi ; l ' altare si era collocato innanzi al trono , e per andar a toccar questo sembrava necessario l ' abbattimento di quello : cosa spaventosa , inconcepibile per l ' opinione pubblica italiana , composta quasi tutta di credenti , e quando non credenti , per lo meno rispettosi della tradizione religiosa nazionale . E il papato ( secondo punto ) , mentre consacrava la legittimità dei governi assoluti , condannava i principî liberali , cioè vietava ai sudditi di domandare cambiamenti in quel senso anche in via regolare , e ai governi di concederli . Già dal 1832 l ' enciclica di Gregorio XVI Mirari vos contro La Mennais aveva pronunciato formalmente quella condanna che poi il Sillabo di Pio IX doveva codificare . Condannato e uscito dalla Chiesa La Mennais - - che anche in Italia aveva trovato seguaci , - - era tuttavia risorto in Francia , dopo il 1840 , un liberalismo cattolico , ma incerto nel pensiero tra l ' opportunismo e l ' affermazione di principio , confessionalistico negli atteggiamenti pratici ( apologia dei gesuiti ) , e tuttavia sospettato nella sua ortodossia dottrinale ; comunque , moto francese e non italiano , inquadrato nella politica ecclesiastica della Francia . Il nostro cattolicismo liberale fu il neoguelfismo , che attraverso lo studio della storia d ' Italia aveva cercato dimostrare come nel medioevo il papato fosse stato intimamente congiunto alla storia della nazione , avesse favorito l ' indipendenza e la libertà italiane . Rimaneva a vedere se altrettanto potesse avvenire adesso ; e qui si paravano innanzi i due ostacoli che abbiamo indicato , a cui si aggiungeva un terzo , che poteva sembrare il più grande di tutti : il potere temporale pontificio . Si trattava anche qui di un governo « legittimo » , ma in più « sacro » , secondo quel carattere conferito nel medioevo dalla Chiesa e dal clero a ogni loro pertinenza , per cui un diritto feudale , un possesso territoriale , se di ecclesiastici , diveniva un noli me tangere , poco meno che gli articoli del Credo ; si congiungeva coll ' idea di questo carattere sacro il concetto della Chiesa « società perfetta » , a cui cioè spettavano i possessi materiali e i poteri coercitivi come parte integrante della sua costituzione . S ' intende che a casa sua il governo pontificio non poteva ammettere quegli stessi principi liberali ( per es . la tolleranza relgiosa , la libertà di stampa ) che condannava in casa altrui . I mazziniani e i radicali , in forza dei loro anti ­ o acattolicesimo , liquidavano senz ' altro l ' ostacolo , non lasciando nessun posto al papato nella loro costruzione del futuro italiano ; non così i moderati , i quali , d ' accordo con l ' opinione media nazionale , facevano del mantenimento di esso nel quadro della nazione un punto fondamentale . Essi sostenevano perciò anche la conservazione del potere temporale , ma ritenevano necessaria la trasformazione interna del governo pontificio ( innanzi tutto una larga laicizzazione ) , e invocavano l ' adesione del pontefice come sovrano temporale alla causa italiana dell ' indipendenza e della federazione . Ora , con la politica di Pio IX in qualche mese parvero superati tutti gli ostacoli . Egli si mise sulla via delle riforme liberali , e sembrò così sciogliere il papato dai vincoli dell ' alleanza con l ' assolutismo ; lasciò sfogo al sentimento nazionale dei sudditi , e mostrò egli stesso sentimenti d ' italianità sino a pronunciare il famoso « Benedite , Gran Dio , l ' Italia ! » , almeno come fu inteso da tutta la penisola . Così Pio IX fu al tempo stesso il Papa Angelico dei sogni mistici e apocalittici del medioevo , che doveva effettuare il rinnovamento della Chiesa ; e il papa del Primato , che egli , ancora cardinal Mastai , avrebbe portato con sé in conclave . Gioberti fu acclamato « maestro del papa » , fu considerato profeta , nuovo Battista del nuovo Cristo . Si ebbero una laicizzazione parziale del governo con la formazione di un ministero regolare ; una discreta libertà di stampa , per legge e più nella pratica ; una consulta di stato che fece intravvedere ( nonostante la protesta del papa ) una costituzione ; la guardia civica , che significava inizio di autogoverno , protezione contro l ' arbitrio poliziesco . Soprattutto , il popolo poté dimostrare , agitarsi , tornare attivo , protagonista , sulla scena politica , ben più di quanto non lo fosse stato al tempo della rivoluzione portata dalla Francia in Italia . Questa era la cosa di cui giustamente più si preoccuparono Metternich e Solaro della Margarita : l ' iniziativa passava dai governi ai popoli . Dal riformismo alla rivoluzione Dallo Stato pontificio il moto dilagò in gran parte della penisola , sempre con la tolleranza dei governi : la Toscana , per opera calcolata e organizzata dai patrioti , si fece il primo centro della propagazione . Prese il terzo posto il Piemonte , ove già prima delle elezioni di Pio IX si erano avuti inizi di risveglio e di cambiamento regio : nella seconda metà del '46 furono manifestazioni importanti il congresso dell ' Associazione agraria a Mortara , quello degli scienziati italiani a Genova e la celebrazione del centenario di Balilla . Perfino il Lombardo ­ Veneto , sotto la polizia austriaca , trovò modo di agitarsi dietro il paravento dell ' entusiasmo religioso per Pio IX o per il nuovo arcivescovo di Milano Romilli , successo all ' austriaco Gaysruck ( che forse , in fatto di liberalismo , avrebbe potuto dar dei punti al suo successore ) . Fu un rimescolio grandioso della propaganda liberale ­ patriottica in tutta Italia ; essa , parte per abile direzione di dietroscena , parte per impulso spontaneo , per l ' affiorare esplosivo della lenta , molteplice germinazione , seppe utilizzare qualsiasi circostanza , qualsiasi occasione o pretesto perla mobilitazione degli spiriti italiani . Non mancarono resistenze dei governi . Pio IX cercò ripetutamente di porre un termine alle dimostrazioni di plauso che volevano trascinarlo sempre più avanti ; ma egli si compiaceva al tempo stesso di quelle dimostrazioni , per una certa vanità personale che fu coefficiente non trascurabile della situazione . In Toscana la polizia procedette a vere retate di persone sospette , a sfratti , ad ammonizioni . Carlo Alberto si mantenne ancora tenacemente aggrappato a Solaro e negò le riforme a cui avevano già acceduto il papa e il granduca , finché , travolto , nell ' ottobre 1847 ne dette assai larghe . E i tre stati riformisti si accostarono insieme : fra Roma , Firenze e Torino si trattò per una lega doganale , e ne corse la notizia per l ' Italia suscitando entusiasmi e speranze . Era l ' abbozzo di una confederazione italica , e tutto il programma riformista veniva messo sul telaio . La spinta finale si ebbe non da una iniziativa di governo ( come era avvenuto al principio con l ' amnistia papale ) , ma da una insurrezione di popolo : la rivoluzione siciliana . Fu una rivoluzione tipicamente locale , indigena , nella impostazione e nello spirito : rientrò in iscena l ' autonomismo siciliano , nella forma e nella portata assunte dal 1812 in poi . Ma c ' erano elementi « europei » nella costituzione siciliana di quell ' anno , reclamata dagli autonomisti ; soprattutto , la rivoluzione siciliana divenne avvenimento nazionale attraverso la sua ripercussione a Napoli . Tra le « due Sicilie » l ' iniziativa fu capovolta : l ' insurrezione siciliana promosse il moto napoletano e la concessione , il 29 gennaio 1848 , della costituzione da parte di Ferdinando II . Non per questo la Sicilia si unì a Napoli più di quel che avesse fatto nel 1820; e in nome del suo autonomismo si spinse fino a proclamare la decadenza dei Borboni . Con la proclamazione dello statuto , Napoli non solo si univa ai tre stati riformisti , ma li sorpassava d ' un balzo : e furono essi costretti a seguirlo . Perfino il papa dovette combinare in qualche modo la teocrazia e il governo costituzionale . Fu un rivolgimento nazionale da cui rimasero assenti soltanto il Lombardo ­ Veneto e i ducati , per la forza straniera austriaca : appariva nitido il nesso fra la causa dell ' indipendenza e quella della libertà . L ' Italia e l ' Europa In meno di due anni , il paese politicamente più arretrato dell ' Europa centro ­ occidentale aveva assunto un aspetto simile a quello di Francia , Inghilterra , Svizzera . Grande fu l ' interesse suscitato in Europa da questo fatto ; e allora si cominciò ad avere una nozione concreta della personalità nazionale italiana , a sentire veramente la questione nazionale italiana come problema europeo . Si sarebbe potuto perfino parlare di un ' iniziativa europea dell ' Italia , sogno del Mazzini , che però non era soddisfatto delle forme assunte da essa : egli trovava che il popolo non era sufficientemente protagonista del movimento , mostrava troppo scarsa dignità di fronte ai sovrani ; e seguitava ad essere contrario alla transazione della monarchia costituzionale . Di fronte alla Francia di Luigi Filippo , sempre più chiusa nella sua oligarchia borghese , l ' Italia degli inizi del '48 , con il popolo agitantesi nelle piazze e con le sue recise affermazioni di indipendenza e libertà , poteva apparire in avanti . La Francia si era rivolta allora decisamente - - in seguito al conflitto con l ' Inghilterra per i « matrimoni spagnuoli » - - all ' intesa con l ' Austria : fioriva l ' idillio Guizot ­ Metternich , in cui apparve lo sbocco logico di certo moderatismo , degno del nome di liberale secondo l ' etimologia : lucus a non lucendo . Nel conflitto svizzero del Sonderbund , l ' intesa franco ­ austriaca trovò la sua applicazione in senso contrario al liberalismo svizzero , che tuttavia trionfò nella guerra civile e nella costituzione federale del 1848 . Anche in Italia quell ' intesa funzionò di fronte al movimento riformistico italiano : solo sfumature di atteggiamento distinsero in proposito la politica austriaca dalla francese , resti di pudore del « re cittadino » ormai totalmente acquisito al conservatorismo , sebbene non pensasse mai a violare la costituzione . Di contro a Francia e Austria , procedenti a braccio l ' una dell ' altra , stava l ' Inghilterra , che avrebbe potuto indulgere a un ' Austria antagonista della Russia , ma non all ' unione austro ­ russa nella Santa Alleanza ; mentre verso la Francia , non solo rivale mediterranea , ma accodantesi all ' intesa austro ­ russa , non poteva più avere nessuna simpatia . Il Palmerston ; tornato al ministero degli Esteri proprio contemporaneamente alla elezione di Pio IX , favorì i moti liberali in tutta Europa e particolarmente in Italia : un ' Italia pacificata e fortificata in contrappeso all ' Austria e alla Francia gli appariva desiderabile . Ora veramente questo concetto dell ' Italia nazione utile all ' equilibrio e alla pace europea , che i patrioti italiani avevano già formulato alla fine del periodo napoleonico , irrompe nel chiuso della diplomazia . Il Palmerston con la sua politica si intonava all ' opinione pubblica inglese , lavorata efficacemente dal Mazzini . Si ebbe allora la missione in Italia di lord Minto ; venne altresì fra noi , libero da ogni vincolo ufficiale , Cobden , l ' apostolo del libero scambio , e fece un giro trionfale per l ' Italia , festeggiato perfino a Milano con la tolleranza delle autorità austriache . Il movimento economico liberista si univa , come era logico , a quello politico liberale ; e anche così veniva consacrato l ' europeismo dell ' italianissima rivoluzione del Quarantotto . Italia e Austria Il Metternich , nonostante l ' intesa col Guizot , temporeggiava mordendo il freno : conosceva la poca solidità dell ' Austria , già scricchiolante , ed egli stesso sapeva di non esser più così padrone come al tempo di Francesco I . Nessuno meglio di lui si rendeva conto che il moto liberale ­ nazionale italiano rischiava di sfociare nell ' insurrezione lombarda e nella guerra italiana all ' Austria : esso era già colorito largamente di antiaustriacantismo . Su questo terreno era più facile l ' accordo fra quel moto e la politica di Carlo Alberto , che già aveva assunto atteggiamento risoluto di contro l ' Austria , per questioni doganali , al principio del 1846 . Per nessuno come per Carlo Alberto ebbe tanta importanza il rivolgimento della politica papale : religioso fino all ' ascetismo e al bigottismo , solo attraverso l ' impostazione neoguelfa egli poteva accedere al movimento nazionale italiano . Le dimostrazioni per il centenario di Balilla si ebbero non solo in Liguria e in Piemonte , ma in tutta Italia , dimenticandosi naturalmente che alleato dell ' Austria cacciata da Genova era stato il re di Sardegna . Il sentimento nazionale maturato e l ' orgoglio nazionale ridesto si appuntavano contro l ' Austria ; il neoguelfismo evocava le lotte dei pontefici contro gli imperatori tedeschi e Alessandro III alleato della lega lombarda ; la storia di questa , scritta dal monaco di Montecassino Tosti , incarnazione del neoguelfismo , fu annunciata proprio alla vigilia della guerra di Lombardia . L ' agitazione nel Lombardo ­ Veneto era sempre più intensa ; allora uscì ed ebbe un grandioso successo di propagazione clandestina L ' Austria e la Lombardia del Correnti ; accanto alle dimostrazioni e ai conflitti si ebbe l ' avviamento di una resistenza legale ( secondo le idee del Cattaneo ) , particolarmente efficace di fronte a un governo assolutistico e poliziesco , ma legalitario , che difficilmente ricorreva a violenze puramente arbitrarie . Forse anche allora una politica austriaca più agile , più intelligente di quella del dottrinario e ormai anchilosato Metternich , avrebbe potuto almeno rinviare l ' urto , con abili concessioni . Tanto più che la rivoluzione italiana - - così ormai dobbiamo chiamarla - - presentava rispetto all ' Austria tendenze , avviamenti , possibilità diverse . Non mancava certo la corrente guerresca , e ricominciavano i contatti del '21 fra Lombardia e Piemonte . Il conflitto austro ­ pontificio per l ' occupazione di Ferrara ­ città nell ' estate 1847 aveva avuto ripercussione in tutta Italia , e aveva fatto balzare il cuore di Carlo Alberto . Però era intervenuto nel dicembre l ' accomodamento diplomatico : da una parte e dall ' altra si temporeggiava , e si temeva la soluzione forte . La rivoluzione italiana , avendo presa la piega della trasformazione interna e avendola sempre più accentuata , conteneva in sé qualche cosa che la tratteneva da complicazioni estere guerriere : l ' improvvisata Italia costituzionale sentiva il bisogno di consolidarsi e attuarsi praticamente , mentre dovevano ancora prender corpo gli avviamenti federativi . Il Ferrari deprecava un urto con l ' Austria che avrebbe rischiato di arrestare il movimento riformista ­ liberale , necessariamente non favorito da una guerra . Il Cattaneo pensava sempre ad una evoluzione possibile entro un ' Austria federale ; anche in lui il radicalismo liberale agiva in senso favorevole ad una trasformazione non bellicosa . Dall ' estero venne la spinta decisiva alla guerra . La rivoluzione europea La rivoluzione italiana , per quanto avesse trovato simpatia nelle correnti liberali europee e avesse interessato anche l ' Europa diplomatica ( con aumento notevole di prestigio e importanza per il nostro paese ) , non era capace , direttamente da sé , di rivoluzionare l ' Europa . Essa contribuiva bensì , col suo carattere moderato ­ guelfo , a riconciliare con le idee nuove i ceti conservatori cattolici ; era cioè una delle forme più cospicue del cattolicismo liberale in Europa . Si videro i progressi di quella riconciliazione in Francia , quando la rivoluzione di febbraio abbatté il trono di Luigi Filippo . Né il clero né le alte classi si levarono a sostenerlo o a rimpiangerlo : la repubblica popolare fu accettata all ' unanimità , e particolarmente pronta e clamorosa fu l ' adesione ecclesiastica ; si ebbe un vero idillio clerico ­ repubblicano , in un ' atmosfera quasi di medioevo . A differenza dell ' italiana , la rivoluzione francese si diffuse immediatamente per l ' Europa : ancora una volta l ' iniziativa europea ( contro simpatie e speranze del Mazzini ) fu della Francia . Dalla rivoluzione francese uscì la rivoluzione germanica , a Vienna non meno che a Berlino . Fatto capitale nuovo , si pose il problema austriaco in tutta la sua ampiezza , cioè quello dell ' autonomia dei diversi popoli riuniti sotto lo scettro absburghese . L ' idea mazziniana parve trionfare , se anche non per l ' iniziativa dell ' Italia ; egli già da tempo vedeva la liberazione italiana dall ' Austria come parte nella liberazione generale dei popoli austriaci e nel dissolvimento dell ' impero absburghese : anche in ciò discorde dai moderati italiani , che tenevano a parte la causa dell ' indipendenza italiana , e spingevano ( Balbo ) a vagheggiarne una soluzione pacifica attraverso non solo il mantenimento , ma l ' ampliamento dell ' Austria in altra direzione ( Balcani ) . Con i moderati s ' incontrava qui il Cattaneo : il federalismo comune veniva trasportato dall ' Italia al mondo danubiano . E in seno all ' Austria stessa una gran parte dei popoli ridesti si movevano nella stessa direzione , principalmente gli slavi : è dell ' apostolo cèco Palacky il motto che , se l ' Austria non ci fosse stata , sarebbe occorso inventarla . Di contro al federalismo stava l ' unitarismo nazionale mazziniano , che voleva bensì la federazione europea , ma dopo la ricomposizione integrale di ciascuna nazionalità : senza domandarsi troppo se ciò fosse antropogeograficamente possibile , e soprattutto se l ' esasperazione nazionale provocata dalle dissociazioni e dalle riunioni con i relativi contrastanti programmi , fosse la preparazione morale migliore per l ' auspicata federazione dei popoli . L ' intervento e la sconfitta piemontesi , e il fallimento del federalismo Per l ' Italia lo scoppio della rivoluzione austriaca troncava di fatto ogni tergiversazione tra soluzione pacifica e bellicosa , tra sistemazione federale del Lombardo ­ Veneto entro l ' impero e il suo distacco da questo . Una volta insorti i diversi popoli soggetti all ' Austria , ai Lombardo ­ Veneti non rimaneva che ricongiungersi in qualche modo al resto d ' Italia : il dilemma « federalismo o unità » si poneva più soltanto entro i confini italiani . Scoppiata l ' insurrezione delle Cinque giornate , anche il Cattaneo comprese immediatamente la nuova situazione , e si fece dirigente illuminato e intrepido del popolo in armi . Quale lo sbocco del movimento ? I più dei combattenti non andavano nel loro pensiero oltre il còmpito immediato , la cacciata dell ' Austria ; taluni già prima dell ' insurrezione pensavano all ' unione col Piemonte , specie nelle classi elevate ; il Cattaneo , e non lui solo , avrebbe voluto adesso una repubblica lombarda . Non v ' era però una tradizione , o tutt ' al più era una tradizione milanese interrotta da secoli , dal basso medioevo . Diverso fu il caso di Venezia , ove la proclamazione della repubblica di San Marco si presentò da sé : buona parte dei Veneziani viventi erano nati sotto di essa . Ma anche a Venezia la risurrezione del passato non risolveva il problema delle relazioni con il resto del Veneto , che non potevano più essere di dominante a dominati ; e in Lombardia si poneva un problema analogo tra la provincia e Milano . La complicazione principale , però , venne dal di fuori , con l ' intervento del Piemonte . Carlo Alberto , sollecitato da una parte dei Milanesi , aveva rotto gli indugi , non prima però che Milano si fosse liberata da sé ; e scendeva contro l ' esercito austriaco in ritirata verso il Quadrilatero . Egli proclamò di venir a portare il soccorso del fratello al fratello ; l ' adozione del tricolore , cui fu sovrapposta la croce sabauda , fu simbolo dell ' adesione regia alla causa italiana . Presentandosi in lizza quale campione dell ' indipendenza italiana , Carlo Alberto era sincero ; ma quel motivo non era il solo . S ' intrecciavano con esso altri due almeno altrettanto potenti . Il re pensava alla ripresa del programma tradizionale sabaudo per l ' annessione della Lombardia ; e forse gli tornava in mente l ' opinione espressa verso la fine del Settecento dal Galeani Napione , per il regno sabaudo esser meglio che la Lombardia fosse parte dei domini di un altro stato piuttosto che stato autonomo . A quella aspirazione territoriale si associava il timore della repubblica : una Lombardia indipendente sarebbe riuscita , con ogni probabilità , repubblicana . Carlo Alberto si trovava tra due fuochi : una probabile repubblica lombarda , una già esistente repubblica francese ; ne derivava per lui il timore di esser preso in mezzo , schiacciato . Era tutt ' altro che un semplice pretesto diplomatico la giustificazione per l ' intervento in Lombardia addotta dal suo governo alle grandi potenze monarchiche , cioè la necessità di prevenire il pericolo repubblicano . Anche all ' Austria , invece della dichiarazione di guerra , fu diretta questa giustificazione . Innanzi all ' Europa , Carlo Alberto , nell ' atto stesso che iniziava la guerra d ' indipendenza , nascondeva sotto il moggio monarchico ­ conservatore la fiaccola dell ' idea nazionale . I repubblicani federali ( Giuseppe Ferrari venne temporaneamente dalla Francia a Milano ) erano recisamente contrari all ' iniziativa monarchico ­ sabauda , per il doppio motivo della libertà e della federazione . Il Cattaneo nel febbraio 1848 aveva detto ai Piemontesi di far prima la rivoluzione a casa loro e di non venire « con la vostra corte e coi vostri confessionali a farci cadere ancora al di sotto delle tartarughe » . Il Mazzini invece si acconciò all ' intervento piemontese ; accettando da Carlo Alberto il motto « l ' Italia farà da sé » , osteggiando cioè , alla pari del re , un intervento francese ; e anticipando il contegno del 1860 , si dichiarò disposto ad appoggiare pienamente il re , purché si accingesse a realizzare l ' unità d ' Italia . L ' unità già allora passava per il Mazzini avanti alla repubblica , ed egli vedeva giustamente l ' opposizione intrinseca fra l ' intervento sabaudo e il movimento federale , opposizione che a tanti non appariva ancora ( Carlo Alberto stesso sarebbe rifuggito dall ' idea di detronizzare il papa ) . Non era , infatti , solo il federalismo repubblicano ad essere scosso alla radice dall ' intervento piemontese , ma anche quello monarchico . La guerra vittoriosa avrebbe portato al Piemonte la Lombardia e il Veneto , oltre i ducati : padrone di tutta l ' alta Italia , esso sarebbe diventato lo stato egemonico della penisola . In che condizione si sarebbero trovati gli altri , e particolarmente l ' altro stato principale , il regno di Napoli ? Unico modo di rifarsi per questo sarebbe stato di gettarsi sulle terre pontificie , al che si opponevano il legittimismo e ancor più il clericalismo di Ferdinando II . Altri atteggiamenti del Piemonte ( principalmente la tiepidezza verso il progetto della lega ) non poterono che confermare gli altri principi italiani nei sospetti verso le sue aspirazioni . Unico rimedio alla crisi federale sarebbe stato che il Veneto si fosse riunito intorno alla repubblica di San Marco e la Lombardia si fosse costituita repubblica e ambedue avessero posto in piedi forze tali da apparire veramente alleate e non vassalle del Piemonte . Senonché repubbliche ed eserciti repubblicani non potevano riuscir graditi ai sovrani , a Carlo Alberto e agli altri . Grossa questione per la storiografia del '48 è quella dell ' insufficienza nell ' organizzazione e nell ' azione dei volontari contro l ' Austria ; ma non par dubbio che cause principali di quell ' insufficienza fossero l ' ostilità del Piemonte e il poco interesse dei moderati o fusionisti lombardi . Ci si doveva domandare se , in caso di proclamazione della repubblica lombarda , il Piemonte sabaudo avrebbe seguitato ancora a combattere e , se mai , con quale energia ; e certo la soluzione negativa del quesito dovette avere una parte precipua nel trionfo strepitoso del partito annessionista a Milano , oltre tutti gli interessi conservatori che si schieravano con esso . Il plebiscito si fece - - contro l ' impegno primitivo di rimandare ogni decisione a guerra finita , e a parte ogni questione circa il modo con cui fu effettuato - - , in situazione eminentemente coatta : la scelta agli occhi della moltitudine venne a porsi non tra l ' annessione al Piemonte e lo stato autonomo , ma tra la difesa piemontese contro l ' Austria e l ' isolamento di fronte a questa . La condizione della costituente posta dal plebiscito per l ' unione - - condizione che poi dette luogo a molte controversie in Piemonte - - nulla cambiava al punto principale , perché era pregiudizialmente stabilito il mantenimento della monarchia costituzionale sabauda . Il fallimento della federazione e il trionfo dell ' annessionismo piemontese ebbero conseguenze capitali . Sciolta l ' associazione incipiente dei principi italiani contro l ' Austria e fra loro ; posto fine alla tregua dei partiti - - a Milano anche il Mazzini , giudicando violato l ' impegno , rialzò la bandiera repubblicana , tuttavia senza atteggiamenti rivoluzionari , - - si scatenò quella lotta inasprita da sospetti e da accuse reciproche , poco meno che bellum omnium contra omnes , di cui poi fece il bilancio ( con grandiosità di linee e incisività di segno , ma non senza deformazioni della realtà ) il Gioberti nel Rinnovamento ; mentre prevalse nella guerra d ' indipendenza sul carattere nazionale ­ popolare quello regio ­ piemontese . Promovendo , imponendo i plebisciti annessionistici , da Milano a Venezia , Carlo Alberto era venuto a dire : « I ' mi sobbarco » ; non più « l ' Italia farà da sé » , ma « Piemonte farà da sé » . Apparve tosto che la soma era superiore alle spalle . Non è qui il luogo per un ' analisi militare delle campagne piemontesi del 1848­49 . Incontestabile è l ' impreparazione militare del Piemonte : prova - - accanto alle altre - - che l ' interpretazione della politica di Carlo Alberto nel quindicennio assolutistico quale preparazione alla guerra d ' indipendenza non regge . Più grave fu l ' impreparazione morale , o anzi preparazione alla rovescia . Tutta l ' ispirazione regio ­ governativa del quindicennio era stata nel senso della Santa Alleanza e dell ' intesa con l ' Austria ; come , d ' improvviso , l ' Austria poteva divenire , per coloro che erano stati educati così , il nemico mortale ? La guerra fu fatta dall ' alta ufficialità piemontese per dovere d ' ufficio , per fedeltà dinastica , ben più che per sentimento nazionale . Da alte personalità piemontesi ( perfino dallo stesso Carlo Alberto ) ci viene testimoniato che l ' esercito rimase sorpreso per « la subitanea irruzione » contro l ' Austria , ed era tutt ' altro che entusiasta della causa italiana . La sostituzione del tricolore italiano ( fino allora bandiera rivoluzionaria ) all ' antica bandiera sabauda produsse sull ' ufficialità un senso spiacevole . È il duca di Genova , cioè il fratello di Vittorio Emanuele , a dirci , nella sua relazione finale sulla guerra , che ufficiali e soldati andarono a combattere per una causa contraria del tutto ai principi nei quali erano stati allevati fino allora . Le condizioni morali produttrici di tenacia eroica non s ' improvvisano ; gli spiriti non si possono muovere a destra e a sinistra , avanti e indietro , alla battuta di una bacchetta governativa . Si deve aggiungere che non ci fu nella penisola un moto travolgente di volontarismo bellicoso per la cacciata dello straniero ; ma occorrerà domandarsi se moti simili si effettuino quando non ci sia un impulso deciso dei governi e delle classi dirigenti , o una vera e propria rivoluzione sostituente gli uni e le altre , come nella Francia della prima repubblica . Capitali per l ' esito infelice della guerra furono la caccia mancata all ' esercito di Radetzky nella difficile ritirata da Milano , e più il mancato avviluppamento e superamento del Quadrilatero e la mancata presa di posizione agli sbocchi alpini , con le conseguenze della tattica prevalentemente difensiva , passiva , inerte al Quadrilatero stesso e dell ' abbandono del Veneto . Queste deficienze militari furono altresì errori politici gravissimi , che fecero sospettare un tradimento : Carlo Alberto , si fantasticò , non aveva voluto scacciare l ' esercito austriaco e assicurare la libertà del Veneto per ottenere tanto più facilmente la Lombardia da trattative con le potenze . L ' accettazione da parte del re dell ' idea di trattare coll ' Austria attraverso la mediazione franco ­ inglese - - dietro cui era veramente l ' inclinazione di Carlo Alberto a contentarsi della linea dell ' Adige - - parve confermare quei sospetti . Con la mediazione si abbandonava la guerra popolare per la diplomazia , e il problema italiano diveniva , sì , europeo , ma era rimesso nelle mani dei governi , non in quelle dei popoli . Tanto più fece gridare al tradimento la capitolazione di Milano subito dopo la promessa della difesa a oltranza ( promessa fatta , pare , mentre era prestabilita la ritirata ) . Non di tradimento si può parlare , bensì di gravi insufficienze e incongruenze rispecchianti i vari interessi , divergenti fino alla contrarietà , che avevano presieduto alla guerra . Anche il movente della ritirata infelicissima su Milano fu probabilmente la preoccupazione di un pronunciamento repubblicano nella capitale lombarda , pregiudicante il diritto sabaudo derivante dal plebiscito . Crisi rivoluzionaria incompiuta . Negli altri stati ritiratisi dalla guerra nazionale ( i volontari non impegnavano i governi ) , scoppiò la crisi interna : liberali moderati contro democratici , monarchici contro repubblicani , federalisti contro unitari . La brillante unione di governi e popoli andò all ' aria quando i primi cessarono dal mostrarsi arrendevoli alle pressioni dei secondi , e nei popoli stessi vi fu dissidio circa la direzione da dare alla pressione medesima . Nei governi parte fu irresolutezza , parte mala volontà , in diversa misura nei diversi stati . Massima fu la mala volontà a Napoli , ove non par dubbio il calcolo del Borbone di cogliere la prima occasione ( che fu quella dei tumulti del 15 maggio ) per arrestare il moto liberale e tornar padrone , accantonando e liquidando lo statuto . Tutti i paladini del borbonismo non valgono a mutare questa diagnosi . Il lazzaronismo bigotto di Ferdinando II si precipitò , appena poté , nella direzione che gli era naturale . In Toscana fu piuttosto inettitudine senza premeditazione maligna del granduca e dei moderati , e confusione parolaia di partiti e maggiorenti : si ebbero un pietoso avvicendarsi di governi tutti incapaci di dirigere l ' opinione pubblica - - il tanto vituperato Guerrazzi non si portò affatto peggio dei moderati vituperatori , - - la fuga del granduca ( qui all ' inettitudine cominciò ad associarsi la doppiezza ) , una proclamazione indeterminata di costituente , il colpo di stato granduchista dei moderati , i quali non videro che , per evitare l ' Austria , le si gettavano in bocca . Più fatale , e per ciò stesso più istruttivo , fu lo svolgimento delle cose nello Stato pontificio . C ' era colà una doppia antitesi : del capo religioso universale e del principe italiano , della teocrazia e della costituzione liberale . La prima condusse alla crisi del 29 aprile , palliata ( e non più ) con la sistemazione dell ' esercito del Durando al seguito di Carlo Alberto . La seconda si svolse attraverso una serie di crisi ministeriali , fino all ' assassinio di Pellegrino Rossi , alla fuga del pontefice , alla costituente e alla repubblica . La costituente romana fu l ' unica attuazione dell ' idea di autodeterminazione popolare propugnata da varie parti e in vari modi : la più alta affermazione della sovranità nazionale si ebbe a Roma . La fuga di Pio IX e il suo contegno a Gaeta erano un ' abdicazione morale e peggio ; ma il gioco politico normale fu alterato dalla pretesa del legittimismo sacrale per cui il popolo avrebbe dovuto aspettare passivamente le decisioni del pontefice e gli esecutori di esse , e si pretendeva vietare ai cittadini di pronunciarsi attraverso la costituente , sia pure a favore del papa : pretesa a cui i moderati , o almeno la parte più cospicua di essi , si acconciarono astenendosi . La restituzione del « sacro deposito » il papa l ' attendeva non dal popolo , ma dal diritto teocratico , cioè in pratica dalle armi straniere . A queste Pio IX affidò la sua causa ripigliando la serie degli appelli papali per l ' invasione dell ' Italia , da quello di papa Stefano a Pipino a quello di Giulio II agli Svizzeri . Fu il divorzio definitivo fra Italia e papato temporale : la caduta di questo non data dal 20 settembre 1870 , ma dal 9 febbraio 1849 . Anche il Piemonte attraversò , sebbene meno grave , la sua crisi politica interna . Si ebbe un timido costituzionalismo parlamentare dei moderati , fra i primi timori del socialismo ( gli avvenimenti francesi accrescevano peso agli accenni italiani , più numerosi di quel che si crede comunemente , ma tuttavia di scarsa portata ) e le affermazioni verbali dei democratici , a cui fece accessione temporanea ed incerta il Gioberti . La costituente monarchica non fece in tempo a realizzarsi , avendola resa senza obietto la riconquista austriaca della Lombardia . La ripresa della guerra d ' indipendenza fece diversivo ai contrasti interni ( Cavour le fu favorevole per questo ) , neutralizzando l ' opposizione democratica che se ne fece propugnatrice . La testimonianza del sangue Il moto del Quarantotto finì con tre episodi guerreschi : Novara , Roma , Venezia . Meschino , e peggio che meschino fu il primo , sotto il puro aspetto militare : inettitudine e disfattismo gareggiarono insieme , forse con prevalenza del secondo . Ma ebbe valore morale l ' iniziativa quasi disperata , quando ormai l ' Austria era consolidata e il Piemonte solo in Italia e in Europa . Qui fu la grandezza del gesto di Carlo Alberto , terminato col sacrificio della corona , a cui pensava già anche in caso di vittoria , e col silenzioso esilio . E come un poeta del Risorgimento lo segnò con la sua sferza nel tempo della massima umiliazione , così un altro poeta più grande del Post ­ risorgimento ne raffigurò l ' esaltazione finale , rappresentandolo condotto innanzi a Dio dai martiri della patria , che ormai potevano ascriverlo alla propria schiera . Roma , entrata nel Risorgimento con le agitazioni del 1846­47 , s ' inalzò alla vetta di esso con la difesa del 1849; e con Roma l ' Italia , poiché da ogni parte gli italiani accorsero a combattere per lei contro lo straniero , servitore e complice della reazione europea . Quanto è bassa la guerra di dominazione , di preda e di oppressione , tanto è alto il sacrificio della vita a testimonianza suprema di una causa di valore morale . Tale fu il sacrificio dei difensori di Roma nelle ultime disperate lotte del giugno 1849 , sicuri com ' erano che solo nella morte poteva essere la loro vittoria , contro un nemico materialmente certo di sopraffarli . Ma essi intendevano appunto testimoniare con la vita la realtà della nazione italiana . E lo stesso valore di testimonianza ­ martirio ebbe la difesa di Venezia , quasi ancora più disperata di quella di Roma , poiché vi mancava fin l ' ultima speranza di un rivolgimento di politica nello stato nemico . Roma e Venezia , abbandonate a se stesse , consacrarono in faccia al mondo l ' indipendenza e la libertà italiane , difendendole con la tradizione dei comuni cittadini medievali , con gli spiriti della religione moderna della libertà , con quella fede nell ' ideale che persiste e trionfa contro ogni barbara prepotenza , purché trovi persone disposte a dare per esso la vita . La diagnosi del Quarantotto Il Gioberti nel suo ultimo libro , Del Rinnovamento civile d ' Italia - - di tanto superiore al Primato di quanto la speculazione storico ­ politica vi prevalse sull ' abilità propagandistica e l ' eloquenza avvocatesca o sacerdotale , - - contrappose al « Risorgimento » , cioè ai moti del Quarantotto testé conclusi e falliti , il « Rinnovamento » , e cioè il processo futuro per cui l ' Italia sarebbe risorta davvero . Il primo - - egli dice - - ha avuto carattere indigeno , procedimento evolutivo , programma federale ; il secondo sarà europeo , rivoluzionario , unitario . Diagnosi e prognosi sono tracciate con sagacia grande , la quale si esprime in uno stile ben più conciso e robusto di quello del Primato . La concezione giobertiana dei due periodi ( anche se non con l ' accettazione dei due diversi termini , essendo rimasto comune ad ambedue il nome di Risorgimento ) entrò fin da principio in quella che possiamo chiamare la storiografia media o ufficiosa nazionale ; e poiché l ' alleanza francese e l ' unità monarchico ­ sabauda furono i due connotati essenziali del periodo conclusivo del Risorgimento , si trovò una corrispondenza perfetta con la prognosi giobertiana , che ne acquistò fama incontrastata di profezia . Alcuni anni addietro uno dei più acuti studiosi del Risorgimento , ripreso in esame caratteri e successi della profezia giobertiana , giunse a conclusioni notevolmente diverse dalle comuni , e sostanzialmente giuste . Diremo appresso qualche cosa di ciò : ora , per conto nostro , vorremmo rivedere , prima della prognosi del « Rinnovamento » , la diagnosi del « Risorgimento » . Il moto del 1846­48 è stato presentato dal Gioberti nella luce del Primato : com ' era naturale , anche se non si fosse trattato di un avvocato della propria infallibilità , abile fino alla sofisticheria . Di qui l ' affermazione risoluta del carattere indigeno , evolutivo ­ conservatore , federale di quel moto . Così facendo , il Gioberti ha insistito sul punto di partenza trascurando quello di arrivo ; o piuttosto , ha considerato il secondo come deviazione , degenerazione del moto originario : considerazione tanto più ovvia in quanto quel punto d ' arrivo rappresentava un fallimento visibile . Ma occorre guardare un po ' dentro quel fallimento per decidere se davvero esso fosse dovuto a un processo degenerativo , o se non ci fossero , nella presunta degenerazione , una logica intima , esigenze reali , che si tratterà anche di vedere se e come furono appagate in seguito . Tanto che alla fine ci si potrebbe domandare se , accettando la terminologia giobertiana nel senso da lui dato ai vocaboli , non convenga rovesciare almeno parzialmente le posizioni , e chiamare proprio il moto del Quarantotto col nome di Rinnovamento . Il riformismo del 1846­48 - - vedemmo già - - ebbe , nel fondo , carattere d ' iniziativa popolare , fu dovuto alla pressione del popolo ; e se il contenuto fu moderato , il modo d ' attuazione ( che in politica conta assai ) si può dire semirivoluzionario . Un solo atto governativo pienamente spontaneo , precedette quella iniziativa e quella pressione popolari : l ' amnistia di Pio IX ; e anche questo atto in tanto acquistò quello straordinario valore propulsivo in quanto cadde in una situazione nazionale preparata , e non certo per opera dei governi . La fase decisiva delle riforme - - quella statutaria - - successe a una vera e propria rivoluzione , anche formale , la siciliana . Seguì la guerra d ' indipendenza , che non era più un fatto riformistico od evoluzionistico , ma rivoluzionario , come è già nella natura stessa di ogni guerra , che è il contrario di un ' evoluzione o transazione pacifica ; e tanto più in una guerra di principi quale fu quella dell ' indipendenza italiana contro la monarchia legittimistica austriaca e i trattati di Vienna . Vedemmo come la guerra venisse a interferire nel processo evolutivo ­ confederale , alterandolo e deviandolo . Ma ancora , questa guerra non fu se non la conseguenza delle Cinque giornate , cioè della rivoluzione lombardo ­ veneta , contraccolpo a sua volta della rivoluzione francese e parte della rivoluzione europea scatenata da quella . Così , anche il carattere prettamente indigeno del Quarantotto va all ' aria , senza che si possa parlare di traviamento dei singoli o di degenerazione del processo : abbiamo un ferreo legame di avvenimenti superiore ad ogni iniziativa individuale , e corrispondente agli spiriti del Risorgimento medesimo , alla sua logica , alle sue esigenze ideali . La prima fase del Quarantotto non ha dunque il carattere puramente evolutivo voluto dal Gioberti ; e per converso lo sbocco rivoluzionario del Quarantotto non può esser rappresentato come brusco capovolgimento , alterazione arbitraria del processo iniziale . Il Gioberti , nel Rinnovamento , è acerbo contro i « puritani » , e cioè i repubblicani intransigenti o di principio ; e non occorre rievocare i suoi giudizi , ingiusti sino all ' oltraggio , sul Mazzini , che appartengono alla politica contingente . Il punto è se il programma repubblicano fu davvero , nel 1848­49 apriorismo dommatico , intrusione premeditata , faziosa e rovinosa . Vedemmo già che non fu affatto così . Furono la carenza , la defezione dei principi ( riconosciute , non senza contraddizione , dal Gioberti stesso come causa maggiore del fallimento ) , l ' incapacità del moderatismo a inquadrare e dirigere il movimento , dopo averlo spinto in piazza , a porre la questione repubblicana . Tutti i governi , salvo il Piemonte , fallirono nel còmpito interno d ' instaurare un nuovo ordine liberale e popolare ( alla monarchia autonoma siciliana mancò il sovrano , per il rifiuto del duca di Genova ) ; e tutti , salvo il Piemonte , ritirarono la mano dal còmpito esterno , quello della guerra d ' indipendenza contro l ' Austria . Il Piemonte , infine , che questo còmpito assunse , per due volte falli alla prova : la riduzione della guerra nazionale ­ popolare a guerra regio ­ sabauda non risultò fortunata . In condizioni simili la rivoluzione nazionale , se avesse dovuto avere svolgimento logico sino in fondo , avrebbe dovuto approdare alla caduta di tutti i governi e allo stabilimento di democrazie repubblicane , unite contro l ' Austria e i sovrani , salvo poi a vedere se avrebbe trionfato il programma unitario del Mazzini o quello federale dei radicali ( il Mazzini , capo a Roma , era disposto di fatto ad accettare la federazione anche col Piemonte monarchico ) . Oltre alla repubblica romana e a quella di Venezia , avviamenti repubblicani ci furono in Toscana , e perfino nello stato piemontese , con l ' insurrezione di Genova . L ' intervento straniero soffocò l ' esperimento , su cui non è possibile pertanto pronunciare un giudizio definitivo . E si noti che la questione della repubblica fu posta dai capi democratici - - anche dai più decisi , idealisti e dommatici , - - non come imposizione a priori , dittatoriale , ma sulla base dell ' appello al popolo attraverso la costituente . Le costituenti , o la costituente italiana ( di cui la romana intendeva essere la prima sessione ) , non erano se non lo sbocco naturale del moto nazionale : era il popolo italiano che , presa coscienza di sé , si poneva nettamente il problema dei suoi destini , e - - abbandonato da principi in fuga e spergiuri - - si accingeva a risolverlo con l ' autodeterminazione . Che nel movimento fossero immaturità e inesperienza , che le masse fossero ancora scarsamente penetrate di coscienza nazionale , scarsamente educate alla vita politica , è tutto vero ; ma rimane in ogni caso lo stato di necessità , che nessun demagogo - - come piaceva supporre al Gioberti - - aveva creato per volontà deliberata ; e del resto non c ' è rivoluzione in cui non si possano ritrovare quei connotati negativi . Se per agire politicamente si dovesse aspettare la piena maturità del popolo , o anche soltanto quella delle cosidette classi dirigenti , azione politica non si farebbe mai ; e la storia si pietrificherebbe nell ' immobilità dello statu quo . La mancata internazionale dei popoli Rivoluzione fu dunque veramente il Quarantotto ; e anzi la più vera rivoluzione nazionale del Risorgimento , l ' unica che , almeno in uno dei suoi episodi , sia arrivata alla completa estrinsecazione , cioè alla piena autodeterminazione popolare . E questa rivoluzione non fu degenerazione , ma sviluppo logico il cui fallimento ebbe conseguenze durature , producendo nel processo del Risorgimento nazionale ­ popolare una frattura , che ci si può domandare se sia mai stata interamente e definitivamente sanata . È verissima la diversità fra il primo periodo di attuazione del Risorgimento , terminato nelle catastrofi del '49 , e il secondo , quello della realizzazione unitaria ; l ' aver posto così nettamente la distinzione fra i due periodi è un merito capitale del Gioberti , tanto più rilevante in quanto la storiografia successiva ha capito ben poco in proposito . Ma dei due periodi il più veramente rivoluzionario fu il primo , mentre il secondo portò a evoluzione e compromesso ; e ciò in connessione con gli sviluppi non solo italiani , ma europei . Poiché - - punto capitale su cui torneremo - - non fu solo la storia d ' Italia a prendere altro avviamento dopo il 1848 , ma quella di tutta l ' Europa . È forse la maggior lacuna nella critica giobertiana del Quarantotto , che egli non ne consideri quasi affatto l ' aspetto internazionale , mentre invece dà inquadramento internazionale così netto al periodo successivo . Anche in ciò egli è partito dalla sua « categoria » del Risorgimento indigeno . Avviamento e svolgimento infatti del moto quarantottesco furono nettamente nazionali , sino alla rivoluzione siciliana compresa ; ma nell ' insieme la doppia esplosione rivoluzionaria , contro l ' Austria e contro i principi indigeni , fu successiva alla rivoluzione europea e causata da questa . II 25 febbraio parigino produsse il 13 marzo viennese , e questo scatenò le Cinque giornate ; e la repubblica francese ebbe la sua influenza sui movimenti e le realizzazioni repubblicane a Venezia , Milano , Firenze , Genova , Roma , anche se quell ' influenza non fu così diretta come si potrebbe supporre guardando le cose all ' ingrosso e da lontano . La repubblica francese di febbraio ebbe carattere moderato , idilliaco all ' interno , e conservatore , timido , all ' estero ; rinunciò alla propaganda europea ; fu quasi una riedizione della monarchia di luglio , nella fase della « resistenza » . Ciò rappresentò una debolezza fondamentale , fatale , per gli sviluppi europei , ritardati di un secolo e resi immensamente più faticosi , complicati , sanguinosi e distruggitori . Vi furono bensì le agitazioni socialiste , fino allo scoppio rivoluzionario del giugno '48; ma il loro schiacciamento fu rapido , deciso , e Cavaignac , non Luigi Napoleone , dette il colpo mortale alla rivoluzione , illudendosi di salvare la libertà . Il 13 giugno 1849 fu il sussulto di un morente ; e allora già in tutta Europa la rivoluzione poteva dirsi spenta . Il Quarantotto , come è la vera rivoluzione nazionale italiana , così è la vera rivoluzione internazionale europea , poiché l ' Ottantanove fu rivoluzione francese , con ripercussioni europee e occupazioni e dittature franco ­ rivoluzionarie in varie parti di Europa al di fuori della Francia . Nel '48 , pur cominciando il moto dalla Francia , il sollevamento avvenne quasi contemporaneamente in gran parte d ' Europa ; e se la scintilla fu francese , la preparazione di lunga mano , ideale e pratica , ciascun paese l ' aveva fatta per conto proprio e al tempo stesso in contatto con gli altri . È anche ragionevole pensare che , se la rivoluzione si fosse consolidata in Francia , Germania , Austria , Italia , gli effetti non sarebbero mancati nelle penisole iberica , balcanica , scandinava , mentre la Svizzera ebbe appunto nel '48 la sua trasformazione da Staatenbund in Bundesstaat , per non parlare di altre ripercussioni minori in altri paesi . E tuttavia un moto così vasto e profondo fallì . Quale la ragione ? I soliti discorsi di immaturità , eccessi , ecc . , non spiegano nulla ; sono troppo generici , e denunziano fenomeni comuni alle rivoluzioni fallite come a quelle riuscite ; non sono altro che piagnistei moralistici O paternali di moderatucoli . Occorre venire a spiegazioni più concrete . Le quali sembra possano ridursi a due : l ' interferire di socialismo e liberalismo , e quello di democrazia e nazionalismo . Il primo ebbe importanza decisiva in Francia , il secondo nel resto d ' Europa ; ma anche il secondo ebbe influenza sul fallimento francese , come il primo sugli altri fallimenti europei . La bandiera rossa , levatasi nel Quarantotto a simbolo del proletariato , della repubblica sociale , fu lo spavento e il ribrezzo della borghesia , di quella liberale non meno che della conservatrice , e il « pericolo rosso » pose la borghesia contro il proletariato , dividendo nettamente in due la massa di manovra liberale ­ democratica , e spingendone la metà borghese indietro fino alla reazione e alla dittatura . Pochi spettacoli sono più impressionanti , ancora oggi a distanza di quasi un secolo , di un Montalembert e - - che è ben più - - di un Cavour , i quali rabbrividiscono di paura o schizzano livore dagli occhi di fronte al pericolo per « l ' ordine sociale » ; e son pronti , per scongiurare quel pericolo , a inchinare la sciabola e a baciare l ' aspersorio . Solo dopo lo schiacciamento del socialismo in Francia , Cavour riprende decisamente la sua evoluzione liberale . Non sono stati studiati sufficientemente per lui , e tanto meno per tutto il moto liberale italiano del Quarantotto , gli effetti della paura del socialismo , come manca uno studio adeguato sui movimenti socialisti italiani in quel periodo . Nell ' insieme , sembrerebbe che quella paura non abbia avuto nel Quarantotto italiano l ' importanza primaria che ebbe indubbiamente nel francese ( e ciò perché il « pericolo rosso » fu meno grave fra noi ) , ove generò la maggioranza conservatrice dell ' Assemblea legislativa , la presidenza di Luigi Napoleone e il colpo di stato . Comunque , da allora le borghesie europee , poste fra l ' amore della libertà e il timore per la borsa , hanno inclinato , ogni volta che questo timore è salito a un certo livello , a dar retta al secondo piuttosto che al primo , senza domandarsi troppo se , in fin dei conti , non cumulassero i due pericoli insieme . Più decisivo , sul piano europeo , appare l ' altro fattore del fallimento quarantottesco . Le diverse nazioni insorte non si accordarono fra loro secondo il fideistico presupposto mazziniano . Taluna ( quella francese ) , sicura della propria antica esistenza , rimase in disparte a contemplare la lotta delle altre più giovani ( interventi diplomatici e velleità d ' interventi militari non cambiarono nulla a questo fatto , e per la loro inconcludenza e perché rimasero sul piano della vecchia politica ) ; e non comprese che quella lotta non era indifferente per la propria libertà interna , per il proprio avvenire in Europa . Le nazionalità giovani non solo non si aiutarono reciprocamente , ma si contrastarono e combatterono . I nazionalisti tedeschi si posero contro Slavi e Italiani ; e invano si tentò dai nostri di ottenere dall ' assemblea di Francoforte il riconoscimento del Trentino italiano . Il maresciallo Radetzky - - restauratore del dominio austriaco in Italia in attesa di esserne il boia qualche anno più tardi - - fece figura di eroe nazionale tedesco . Gli Ungheresi non si portarono meglio di fronte ai Croati ; e questi fornirono all ' imperatore absburgico i battaglioni più bellicosi contro l ' Ungheria . Mancò quasi totalmente la solidarietà dei popoli contro l ' oppressore comune : qualche contatto diplomatico fra Italia e Ungheria , qualche desiderio italiano di intesa con Slavi e Rumeni - - in Gioberti , Cavour , oltre , naturalmente , Mazzini , - - non cambiarono questo stato di cose . Si ebbe invece la solidarietà nel campo opposto : lo zar fece marciare l ' esercito russo contro gli Ungheresi , rendendo possibili le impiccagioni di Arad ; il re prussiano preferì - - « regalmente » , avrebbe detto il Giusti , - - l ' umiliazione di Olmütz sotto la ferula austriaca e russa alla parte di capo della libera nazionalità germanica , e il giovane Bismarck plaudì . Il 13 giugno 1849 , fallì l ' ultima insurrezione democratica parigina ; il 18 giugno vide la dispersione dell ' assemblea costituente germanica da parte della polizia di Stuttgart ; il 4 luglio Roma cadde innanzi all ' attacco delle truppe di Luigi Napoleone ; il 13 agosto fu la capitolazione ungherese a Vilagos ; il 23 , quella di Venezia . Era mancata la coalizione dei popoli ; aveva vinto quella dei governi . Non fu vittoria definitiva . Quella solidarietà dei governi fu sconvolta ben presto dalla politica di Napoleone III . Ma non tornò più un momento come quello del Quarantotto , di sforzo solidale dei popoli per la liberazione e la federazione . L ' ideale di Mazzini e Cattaneo rimase inattuato . E la profezia del Gioberti nel Rinnovamento - - che il moto della democrazia europea avrebbe generato e incluso il « Rinnovamento » italiano - - non si avverò , almeno in quella forma diretta e integrale . VI L ' UNIFICAZIONE Il nuovo Piemonte La reazione governativa italiana al Quarantotto ebbe svolgimento logico nella revoca degli statuti , nell ' intervento e nell ' occupazione straniera ( l ' Austria nelle legazioni , nei ducati , in Toscana , la Francia a Roma ) . Lo svolgimento finale repubblicano non era riuscito il federalismo monarchico ­ costituzionale era scomparso ; il secondo fallimento appariva ben più definitivo del primo , che almeno poteva vantare le difese di Roma e di Venezia . Una delle soluzioni possibili del problema italiano , quella appunto del federalismo monarchico , era eliminata , anche se tutti non se ne resero conto e tentativi di ripresa ci furono , perfino in sede internazionale . Insieme col federalismo ; monarchico veniva colpita a morte la concezione neoguelfa del Risorgimento : l ' illusione del Papato nazionale , e anzi duce della nazione , era caduta . Si trattava , nel processo del Risorgimento , di un punto capitale a favore dell ' europeismo liberale , poiché era eliminata una delle principali forze indigene rappresentante per eccellenza delle tradizioni conservatrici e autoritarie . Se anche il Piemonte fosse passato nel campo della reazione - - e fu li per li per passarci ; la classe dirigente locale e il re erano forse pencolanti a favore del passaggio , - - la soluzione democratica repubblicana , cioè quella della pura e semplice iniziativa popolare , per quanto battuta , provvisoriamente dalle preponderanti forze avversarie , sarebbe rimasta unica in campo . Il Piemonte avrebbe dovuto rinunciare all ' espansione italiana e tornare alla politica delle « foglie di carciofo » , cioè dei piccoli ampliamenti occasionali ( per es . i ducati , o parte di essi ) , secondo la prospettiva di Solaro della Margarita : prospettiva attraverso cui , ancora oggi , taluni vedono il Risorgimento italiano . Poiché invece il Piemonte fu l ' unico a mantenere lo statuto , esso poté seguitare , anche dopo la seconda vittoria austriaca , ad apparir campione della nuova Italia . Là dove tutti gli altri stati , abbracciando la reazione e lo straniero indissolubilmente congiunti , compivano la rinuncia alla nazione e all ' avvenire , il Piemonte manteneva la sua candidatura . E la manteneva precisamente con la politica interna liberale : esso cioè obbediva all ' intimazione che già conosciamo di Cattaneo , accettava la tesi radicale delle riforme interne prima dell ' indipendenza , e lo stesso Balbo riconosceva ora la necessità della posposizione dei due termini . Chi formulò il programma della nuova politica piemontese - - che era veramente rivoluzionaria rispetto a quella di Carlo Alberto - - fu il Rinnovamento del Gioberti . Il Piemonte doveva farla finita col « municipalismo » , che induceva tanti Piemontesi a considerare il destino del loro paese a parte da quello dell ' Italia , in cui non vedeva se non occasione di ingrandimenti per lo stato sabaudo . Di « municipalismo » , diceva il Gioberti , era stata afflitta anche la guerra d ' indipendenza , donde pure il mancato accordo con gli altri stati e popoli italiani . Il Piemonte doveva sposare francamente , totalmente , la causa italiana : esso avrebbe avuto parte direttiva , egemonica , negli sviluppi di questa causa , purché la mira finale fosse l ' assorbimento del Piemonte nell ' Italia , e non viceversa . La monarchia sabauda avrebbe dovuto metter mano risolutamente ai tre problemi moderni , progresso delle intelligenze , nazionalità , elevazione della plebe . « La monarchia sarda , stata finora impropizia all ' ingegno , aristocratica e municipale , deve rendersi al possibile progressiva , democratica , nazionale » . Prima , cioè , di capitanare l ' Italia , il Piemonte doveva trasformare se stesso : proprio quello ( occorre ripetere ) che il Cattaneo gli aveva richiesto alla vigilia della guerra d ' indipendenza . Il processo dell ' egemonia piemontese in Italia per realizzare lo stato italiano appariva dunque al Gioberti non come prosecuzione di una politica secolare , ma come un capovolgimento secondo la direttiva delle nuove idee europee . La libertà - - diceva pure il Gioberti - - era il principio antitetico del Piemonte odierno rispetto all ' Austria e agli altri principi italiani ; e il principio doveva esplicarsi nelle riforme civili . La legge Siccardi era stata un « preludio lontano » ; ma il Gioberti trovava che non si proseguiva con sufficiente alacrità per quella via . Egli legava ( sappiamo ) le probabilità future dell ' Italia a un rivolgimento democratico europeo promosso dalla Francia ; la repubblica francese avrebbe rispettato il regno sabaudo suo alleato ; tuttavia , era da credere che l ' Europa intera sarebbe divenuta repubblicana , e in Italia il regno popolare avrebbe fatto da passaggio . Checché fosse di queste previsioni - - simili profezie in bocca di uno storico filosofo quale il Gioberti , come in quella di un apostolo religioso quale il Mazzini , vanno prese piuttosto come prospettive generiche e lontane , - - il Gioberti sbagliò nel supporre l ' alleanza della repubblica francese con la monarchia sabauda , ma non nel dare un posto primario alla alleanza franco ­ sarda , o meglio all ' assunzione da parte del governo francese della causa italiana ; e ( ciò che tempera lo sbaglio di previsione giobertiano , senza eliminarlo ) Napoleone III fece in Europa , almeno in una certa misura , la parte che la repubblica del '48 non aveva saputo o voluto eseguire . Vittorio Emanuele II e Cavour Il Gioberti , terminando il bilancio delle sue previsioni su Italia e Piemonte , diceva di osare appena sperare nell ' avveramento dell ' egemonia piemontese ; tanti erano gli ostacoli che vi trovava in seno al Piemonte stesso . Sperava solo nel giovane re , al quale toccava dare un indirizzo personale alla politica del suo governo . Si sa da notizie del tempo che Vittorio Emanuele lesse con attenzione il Rinnovamento ; il che sembrò gran fatto , perché legger libri non era una sua occupazione abituale . Gli dovette fare una grande impressione : una di quelle impressioni che si hanno quando si incontrano espresse nettamente da altri idee intraviste già in confuso per conto proprio , o sonnecchianti nei recessi del subcosciente . La personalità di Vittorio Emanuele II non è stata ancora studiata sufficientemente , non si è fatto lo sforzo necessario per penetrare il suo « segreto » , anche per la scarsezza di documenti intimi . Egli è stato detto ( secondo un aneddoto poco noto ) « l ' ultimo dei conquistatori » ; e la definizione , al primo suono strana - - come parve a chi la sentì e la riferì , - - potrebbe colpire nel segno , e a fondo . Una intuizione fondamentale deve aver guidato il sovrano , intuizione che spiega la sua azione personale , connaturata d ' altra parte al suo temperamento . Egli comprese più nettamente , forse , di ogni altra personalità piemontese dirigente del tempo ( anche dello stesso Cavour , almeno nel suo primo periodo presidenziale ) che egli non aveva scelta fra il salire a re d ' Italia o lo scendere a « monsù Savoia » ; che era proprio la tesi giobertiana . Mettersi perciò alla testa del moto nazionale , dirigerlo , promuoverlo e controllarlo , perché lo sbocco fosse monarchico e non repubblicano , e trasformare così di un colpo , o quasi , il piccolo regno sabaudo in una grande potenza europea : ecco la sua direttiva . Mentre in Vittorio Emanuele prevalse sin dall ' inizio il programma politico ­ territoriale in funzione dinastica e di potenza politica , attraverso l ' assunzione della causa nazionale , nel Cavour fino al congresso di Parigi almeno sembrano aver predominato gli interessi di politica interna , per lo svolgimento liberale ­ costituzionale del Piemonte come stato autonomo . Particolarmente acuto è il giudizio del Gioberti nel Rinnovamento sul Cavour , allora semplice ministro : da una parte , egli accusa anche in lui la tendenza municipale ; dall ' altra , apprezza il fatto che il municipalismo piemontese prende nel Cavour fisionomia europea , in quanto egli vuol portare il Piemonte , da sé , sul piano delle grandi potenze : assunto eccelso , che però il Gioberti non reputa attuabile . È qui intuita una gran parte almeno della psicologia del Cavour , che era sempre andata fino allora piuttosto dal Piemonte all ' Europa e dall ' Europa all ' Italia , che non dal Piemonte direttamente all ' Italia . Psicologia che lo avvicinava come forma mentale ai federalisti repubblicani , nonostante la differenza nelle teorie politiche e nel punto d ' arrivo : come per essi , per il Cavour l ' esigenza essenziale era lo sviluppo entro il singolo stato italiano della libertà e della civiltà moderna . Nel Cavour questa tendenza era di eredità moderata , non radicale ; ma , più che nei moderati del '48 per cui le riforme interne , nonostante ogni importanza ad esse sinceramente attribuita , avevano in larga misura valore strumentale o di opportunità , nel Cavour del 1850­1855 la libertà e la costituzione erano sentite come valore intrinseco primario , come qualcosa che valeva di per sé la pena di conquistare e sviluppare , anche se per avventura dovesse rimanere entro i confini del Piemonte . La libera attività politica era per il Cavour il bisogno supremo , come conquista necessaria della civiltà e come espansione gioiosa della personalità , innanzi tutto , naturalmente , della propria . Già in questo Cavour del primo periodo c ' è pertanto qualcosa che supera il moderatismo sul piano della personalità umana , qualcosa che nel gioco parlamentare si estrinsecò attraverso il « connubio » , così ostico ai moderati autentici come l ' Azeglio . Più tardi venne il superamento del moderatismo sul piano politico nazionale nell ' alleanza con la rivoluzione , da cui il Cavour accettò il principio della deposizione e proclamazione dei sovrani per voto popolare . La politica del « connubio » La realizzazione della nuova politica piemontese si ebbe innanzi tutto sul terreno confessionale con la legge Siccardi per l ' abolizione del fòro ecclesiastico ; e Cavour vi partecipò in prima linea , sebbene non ancora ministro . Si trattava di un ' applicazione della politica liberale , e cioè di attuare la parità innanzi alle leggi ; e si trattava altresì di una conseguenza logica del fallimento neoguelfo . Si ebbe ora per la prima volta un conflitto aperto fra politica nazionale governativa e curia romana . Alla politica ecclesiastica liberale si associò quella di rinnovamento economico : libero scambio , stimolo di energie produttive , incremento di ricchezza del paese , ferrovie , banche , lavori pubblici , trasformazione moderna dell ' agricoltura . Liberalismo e liberismo si associarono secondo le direttive europee del Risorgimento anteriore al '48 . Strumento parlamentare di questa politica fu il « connubio » , per il quale la vituperata Sinistra , nonostante la ripetuta solenne scomunica di demagogia , salì al governo , se non tutta , almeno in un suo nucleo politicamente cospicuo , quello del Rattazzi . Vi fu un allargamento , una trasformazione della classe dirigente : allora veramente cessò nello stato piemontese il monopolio dell ' aristocrazia , e la borghesia assunse il governo . Non si arrivò ancora a una vera e propria democrazia , con la quale non si accordavano il suffragio ristretto e le tendenze , oltreché del Cavour , dello stesso Rattazzi , che dopo le affermazioni democratiche del '48 andò svolgendo un temperamento piuttosto di conservatore . Ma se non si realizzò la democrazia - - ciò che doveva essere còmpito dell ' Italia una , - - se ne ebbe l ' avviamento , se ne collocò la base : come non poteva non avvenire in uno svolgimento effettivamente liberale , dato il legame inscindibile - - dialettico e dinamico , e non di statica identità - - fra democrazia e liberalismo . Mancò in Piemonte , a stimolare il processo democratico , la presenza di un vero e proprio Partito repubblicano : c ' era a Genova , ma senza grande influenza sulla situazione politica generale ; e fu combattuto rabbiosamente , e non sempre degnamente , dal Cavour , che accennava a divenire dommatico , antiliberale nei suoi confronti , tendendo a fare della forma monarchica un « tabù » , e cioè a negare al repubblicanesimo un posto entro il libero gioco delle forze politiche : equivoco protrattosi a lungo anche dopo la formazione del regno d ' Italia . Nonostante queste limitazioni , l ' esperimento di governo libero in Piemonte dal 1850 al 1859 , compiutosi essenzialmente sotto la direzione di Cavour , fu serio e fruttuoso . Esso fa parte integrante e capitale del Risorgimento , sia perché in grazia sua il Piemonte mantenne e rafforzò l ' iniziativa conseguita con la guerra del '48­49 , sia - - ed è il punto più importante - - perché realizzò la capacità degli Italiani all ' autogoverno , e la mostrò all ' estero , confermando il loro diritto all ' indipendenza che dell ' autogoverno è al tempo stesso premessa e risultato . Se , infatti , prima condizione perché un popolo si governi da sé è che non sia soggetto allo straniero , vano sarebbe tuttavia per lui sottrarsi a questa soggezione quando dovesse trovarsi schiavo in casa . La presenza degli esuli delle altre regioni italiane , la loro partecipazione al giornalismo , al parlamento e a tutte le forme della vita pubblica , fino al governo , promossero efficacemente lo spiemontesizzamento del regno subalpino invocato dal Gioberti , e ne fecero una rappresentanza embrionale di tutta Italia . E anzi ( come di recente è stato opportunamente rilevato ) furono proprio la nuova coscienza nazionale e l ' elevazione della vita politica nel regime liberale a realizzare una vera fusione dell ' aggregato degli stati sabaudi cisalpini . Ne fu promossa la modernizzazione dello stato , la cui legislazione era riconosciuta dal Cavour medesimo inferiore a quella di Napoli . In altre parole : se il Piemonte assunse la causa italiana e , con la seria e posata indole della sua popolazione , con la sua compattezza statale ­ dinastica , agevolò l ' esperimento costituzionale ­ liberale , l ' Italia del Risorgimento in cammino verso l ' unità promosse la perfetta realizzazione dello stato piemontese , la sua elevazione politica , culturale , morale . Funzione capitale del Partito d ' azione Conseguenza di questa politica fu l ' elevazione del Piemonte sul piano italiano e su quello internazionale : piccolo stato che manteneva la libertà e la costituzione ai confini dell ' impero austriaco , in un periodo di reazione della politica europea . Si accresceva da ciò la necessità per esso di condursi prudentemente sul terreno del programma nazionale . Il Piemonte doveva far da campione d ' Italia tacitamente , con l ' esempio . Lo statu quo dei trattati era la base dei rapporti fra il Piemonte e le potenze , e l ' Austria vittoriosa si accampava sul Ticino . Fu già molto che il Piemonte si avanzasse a protestare contro Vienna per i sequestri illegali dei beni ai lombardi emigrati in Piemonte e divenuti cittadini sardi , protesta spinta fino al richiamo del ministro sardo . La politica liberale interna poteva essere enunciata e attuata ( con prudenza anch ' essa ) ; quella liberale estera , o nazionale , doveva essere sottintesa , o tutt ' al più accennata , dal governo piemontese : chi l ' esprimeva in Italia e fuori era il Partito d ' azione , e prima di tutti il Mazzini . Non si trattava solo di propaganda fatta all ' estero e all ' interno , ma anche di tentativi insurrezionali . Le iniziative mazziniane possono essere criticate una per una , i colpi di mano giudicati folli : rimane pur sempre vero che senza il comitato di Londra e i suoi manifesti , senza le cartelle del prestito mazziniano e i martiri di Belfiore , senza il Sei febbraio milanese , Pier Fortunato Calvi e i tentativi di Lunigiana , non sarebbe stata mantenuta innanzi all ' Europa la questione italiana . Se non fossero state le teste calde - - come disse il giovane Finali a Cavour ( che dovette consentire ) - - Cavour non avrebbe potuto al congresso di Parigi propugnare la causa italiana . Né era solo affare di relazione fra implicito ed esplicito , fra la condotta di chi ha la responsabilità di governo e di chi è libero delle proprie azioni . Si trattava di ben più : il programma del Risorgimento in tutta la sua interezza , cioè come rivolgimento totale e ricostruzione integrale d ' Italia , sopra un piano politico ­ etico , lo si ritrova in Mazzini e - - con larga diversità di spirito e di struttura , ma con non minore ampiezza d ' ispirazione - - nei liberali ­ radicali , incalzanti l ' azione del governo piemontese ; mentre il pensiero moderato si opportunizza e si diplomatizza sempre più , perdendo d ' importanza rispetto al periodo anteriore al '48 . Anche nel parlamento e nella pubblicistica subalpini una funzione propulsiva , ignorata dai più e trascurata dagli studiosi - - di fronte al fulgore della stella Cavour - - è esercitata dalla Sinistra , che non è mazziniana né ferrariana , si muove entro l ' ambito monarchico ­ costituzionale , ma dal mazzinianesimo e dal liberalismo radicale trae la propria ispirazione . Il tentativo maggiore e più fruttuoso di fondere insieme Partito d ' azione e politica piemontese , Mazzini , o almeno i mazziniani , e Cavour , fu quello della Società Nazionale . Il significato di questa era contenuto in quella specie di ultimatum rivolto dal fondatore Manin alla monarchia di Savoia : « Fate l ' Italia e sono con voi : se no , no » . Nonostante la nettezza vibrata del dilemma , esso si prestava ancora a qualche equivoco : si trattava di unità , o semplicemente di unificazione ? Manin preferiva usare il secondo termine ; ma altre dichiarazioni e tutto l ' indirizzo della Società scioglievano la riserva , e il programma societario consisteva nel domandare al Piemonte di assorbirsi nell ' Italia , rinunciando all ' esistenza e alle tradizioni particolaristiche , e nel domandare contemporaneamente a tutti gli Italiani di rinunciare al federalismo , repubblicano o monarchico , in pro della monarchia sabauda . A parte quest ' ultimo punto , l ' uno e l ' altro elemento del programma erano schiettamente mazziniani ; e anzi anche per quel punto v ' era un precedente favorevole del Mazzini , nel suo contegno del 1848 di fronte a Carlo Alberto . Si poteva ben dire che il Piemonte e Cavour , accettando il programma della Società Nazionale , aderivano al programma mazziniano . Tra la linea politica sabauda fino a tutto il 1849 , e anzi fin dopo il congresso di Parigi e quella dal 1859 in poi , non vi è continuità , ma salto . A quel salto la spinta decisiva venne dal Mazzini , e più in generale dal Partito d ' azione repubblicano . Dalla guerra di Crimea a quella di Lombardia Anche la ferrea e aurea catena della comune storiografia risorgimentale : ministero Cavour - - guerra di Crimea congresso di Parigi - - alleanza franco ­ sarda e guerra del '59 , va controllata in ciascuno dei suoi anelli . Di chi fosse la prima idea di far partecipare il Piemonte alla guerra di Crimea , se maggiore fosse in ciò l ' iniziativa di Vittorio Emanuele o di Cavour , sono questioni non ancora perfettamente chiarite , ma che qui importano poco . Importa invece l ' inquadramento esatto , nazionale e internazionale , di quella partecipazione . La guerra delle due potenze occidentali contro la Russia presentò due stadi dal punto di vista ideologico . Nel primo ci furono un ' accentuazione di idealità liberali in contrapposto allo zarismo , e accenni a fare appello al movimento di liberazione dei popoli : a riprendere cioè il Quarantotto . Se l ' Austria avesse fatto causa comune con la Russia , anche solo con una neutralità spiccatamente benevola , nessun ' altra via avrebbero avuto Francia e Inghilterra tranne quella di suscitare tutte le nazioni oppresse , dai polacchi ai serbi , contro la Santa Alleanza ripristinata . Ma l ' Austria « stupì il mondo con la sua ingratitudine » : la sua neutralità fu ostile alla Russia , sino alla minaccia di trasformarsi in intervento contro di essa ; intervento in cui riposero le loro speranze le potenze occidentali . La partecipazione del Piemonte , in queste circostanze , fu la garanzia offerta dalle potenze occidentali all ' Austria che essa non aveva nulla da temere in Italia , ebbe cioè un aspetto filoaustriaco ; e si comprende benissimo , anche senza altri motivi , l ' opposizione non solo del Mazzini , ma della Sinistra piemontese . Rimane la riaffermazione militare del Piemonte dopo Novara ; rimangono le relazioni ribadite e fortificate con le potenze occidentali , la partecipazione del Piemonte al congresso di Parigi e la discussione colà della questione italiana . Ma chi da questo concludesse che dalla guerra di Crimea è uscita l ' indipendenza e l ' unità d ' Italia commetterebbe peggio che una esagerazione . Non c ' è una linea unica ascendente dal congresso di Parigi alla guerra del '59 . A Parigi il Cavour tentò veramente di trasformare l ' alleanza militare temporanea per la guerra in intesa generale permanente per la soluzione della questione italiana , guadagnando soprattutto l ' Inghilterra ( al tempo stesso accarezzò la Russia , con un difficile equilibrismo ) ; ma , dopo le sanguigne speranze del primo momento , il tentativo risultò nettamente fallito . Il periodo dalla chiusura del congresso alla battaglia di Magenta non è affatto sotto il segno dell ' intesa franco ­ inglese contro l ' Austria , a fianco del Piemonte : l ' Inghilterra invece si staccò dalla Francia e si avvicinò all ' Austria , mentre la Francia e il Piemonte si avvicinarono alla Russia . La guerra del '59 scoppiò sotto il duplice segno dell ' intesa franco ­ russa e della contrarietà alla guerra da parte del ministero inglese Derby ­ Disraeli ; solo il ritorno del Palmerston al potere , nel giugno 1859 , avviò il cambiamento della politica inglese . Anche l ' atteggiamento comune della Francia e dell ' Inghilterra rispetto ai Borboni in quegli anni non portò un vero contributo al Risorgimento , non rappresentò un attivo cospicuo della politica cavouriana . Sotto la comunanza della protesta contro i sistemi borbonici c ' era la differenza d ' interessi delle due potenze , la rivalità mediterranea . Acquistò importanza in quegli anni il murattismo , il partito cioè che avrebbe voluto sostituire a Napoli i Borboni con un Murat , e il cui trionfo avrebbe segnato l ' infeudamento completo dell ' Italia alla Francia , con un principe alleato ­ subordinato a nord e un altro ancor più strettamente legato a sud , anche per vincoli di famiglia . Aver visto il pericolo mortale del murattismo per il Risorgimento italiano , e aver fatto quanto era in lui per scongiurarlo , è merito capitale del Mazzini . Anche al Cavour quel pericolo non rimase ignoto ; ma egli non si sentiva la forza di combatterlo direttamente , e se ne rimetteva all ' Inghilterra . Il Mazzini e il Pisacane con la spedizione di Sapri ( tanto maledetta dai liberali moderati , almeno nel suo episodio di Genova ) lanciarono fra le gambe murattiste un bastone che ebbe il suo effetto , e per l ' opinione patriottica italiana e per la politica di Napoleone III , che ne ricevette nuovo incitamento a provvedere per l ' Italia . L ' incitamento finale venne con l ' attentato Orsini , sia che per esso si voglia insistere sull ' aspetto politico ­ ideale , sia su quello della preoccupazione personale del Cesare per la sua incolumità . Il fatto è che di lì è uscito il convegno di Plombières , il quale è il vero punto di partenza del '59 , e cioè del periodo di realizzazione del Risorgimento politico italiano . Non si tratta di una continuazione diretta della guerra di Crimea e del congresso di Parigi , bensì di un cominciamento nuovo . Cominciamento di Napoleone III , ma sotto l ' influenza decisiva del Partito d ' azione e del Mazzini . Il fatto che questi non avesse nessuna parte nell ' attentato Orsini non cambia nulla in proposito : per Napoleone III l ' attentato s ' inquadrò lo stesso - - e giustamente - - nell ' insieme dell ' azione mazziniana . Mazzini e Cavour Non per ciò conviene concludere senz ' altro a una complementarità perfetta , se non personale , reale , fra il Cavour dell ' ultimo periodo e il Mazzini , a meno di ricadere nella concezione territorialistico ­ sabauda del Risorgimento . Per questa , infatti , il combinare insieme l ' opera di Mazzini e di Cavour , il far abbracciare in sede storica i due uomini che , come individui viventi , si odiarono così cordialmente , sarebbe assai facile ( in pratica i seguaci di quella concezione preferiscono eliminare il più possibile Mazzini ) . Nessuno può pensar di negare che il Mazzini sia stato il propagandista più antico e tenace dell ' unità d ' Italia , dello stato unitario italiano . Nessuno può contestare , né contesta , l ' efficacia primaria dell ' opera sua in questo senso . E nessuno , altresì , può mettere in dubbio che uno stato italiano unitario sia sorto fra il 1859 e il 1861 ( Venezia e Roma furono completamenti fatali di un edificio già esistente ) intorno al nucleo dello stato piemontese ; e che questa opera di aggregazione unificatrice si sia compiuta sotto la direzione politica e governativa del conte di Cavour . Posta così la questione , tutto si ridurrebbe a discutere il come e il quando , il più e il meno dell ' azione dei due : quand ' è che Cavour si convertì alla causa dell ' unità italiana ; quale parte avesse nella spedizione dei Mille ; a chi risalga l ' idea , l ' iniziativa della spedizione nelle Marche e nell ' Umbria ; come si arrivasse alla proclamazione di Roma a capitale d ' Italia , e via dicendo . Sono quesiti particolari che hanno indubbiamente un grande interesse , ma le cui diverse soluzioni non cambiano radicalmente la visuale complessiva . Considerando il Risorgimento come fatto realizzatosi compiutamente nel 1870 secondo l ' unica realizzazione possibile , tutti i programmi e le forze che vi hanno concorso appaiono puramente e semplicemente assorbiti e « superati » . Ove , però , si vada al di là della semplice considerazione politico ­ territoriale , devesi constatare che lo stato italiano unitario ­ monarchico ­ costituzionale ­ parlamentare , formatosi nel 1860­70 , presenta alcune caratteristiche in opposizione con le idealità e il programma mazziniani . Non sarebbe esatto dire che Mazzini e Cavour abbiano concorso entrambi ( salvo a discutere la parte di ciascuno ) a un risultato , che , unificando l ' opera loro , li ha interamente trascesi , assorbiti ambedue . In realtà ci fu nella lotta un vincitore e un vinto : il vincitore fu Cavour , il vinto Mazzini . O , per essere più esatti , il Mazzini vinse in un primo tempo imponendo il programma unitario al « municipalismo » piemontese ; ma nell ' attuazione di questo programma toccò al Mazzini soccombere . E ancor più di lui ( diciamolo subito per non doverci tornare più sopra ) soccombette il liberalismo radicale , o autonomismo federale repubblicano . Facendosi l ' unità italiana , il punto era come , da chi , per chi , l ' unità si sarebbe fatta . La questione tra monarchia e repubblica conteneva un contrasto più profondo tra Cavour e Mazzini . L ' idea fissa mazziniana era quella dell ' iniziativa popolare italiana : e se nei riguardi esteri essa significava che l ' Italia doveva far da sé e prima degli altri popoli , nei riguardi interni voleva dire che al popolo italiano spettava insorgere lui e far l ' unità : « le rivoluzioni hanno ad esser fatte pel popolo e dal popolo » . Onde egli rimproverava a re Vittorio , nella lettera aperta da Firenze , il 20 settembre 1859 : « Voi non v ' affratellaste al Popolo d ' Italia , né lo chiamaste ad affratellarsi con voi . Sedotto dalla triste politica di un ministro che antepose l ' arte di Lodovico il Moro alla parte di rigeneratore , Voi rifiutaste il braccio del nostro Popolo , e chiamaste senza bisogno , in un ' ora infausta , alleate ad un ' impresa liberatrice l ' armi di un tiranno straniero » . E anche qui , daccapo , non bisogna ridurre il dissidio Mazzini ­ Cavour a una semplice differenza di valutazione pratica , per la quale il primo avrebbe creduto che l ' Italia poteva far da sé contro l ' Austria ( come aveva affermato Carlo Alberto ) e il secondo no ; e neppure , semplicemente , al dottrinarismo mazziniano , rifiutante il concorso di un « tiranno » , in contrapposto dell ' opportunismo cavouriano . Al di là di tutto questo il Mazzini intuiva , con la chiaroveggenza della sua passione , che l ' alleanza francese era qualcosa più di un espediente pratico , era il mezzo per trasformare in impresa monarchico ­ governativa la causa nazionale ­ popolare italiana . Disse il Cavour in Senato , il 9 giugno 1860 , nella discussione sul trattato di cessione di Nizza e Savoia : « Il senatore Pallavicino ama principalmente l ' alleanza della Rivoluzione e poi quella della Francia dopo » . Non era un attestato di lode che il Cavour intendeva dare al Pallavicino con queste parole , appunto perché per lui , Cavour , l ' ordine delle preferenze era il contrario : di rivoluzione , sia pure nazionale , bisognava farne il meno possibile . Più volte , anzi , egli oppone « nazionale » a « rivoluzionario » , intendendo col primo aggettivo il movimento nazionale ­ monarchico in favore di casa Savoia . Si sa come il Cavour giungesse a prospettare quale decisione già presa quella , audacissima , che il Piemonte rinnovasse da solo la guerra con l ' Austria nel caso che Garibaldi e il Partito d ' azione trionfassero nel regno di Napoli ; e ciò , per ridare alla monarchia l ' iniziativa perduta del movimento nazionale . « Per un principe di casa Savoia è meglio perire in una guerra che in una rivoluzione » . Fra Mazzini e Cavour , dunque , si trattava di una lotta fra due iniziative : quella popolare ­ rivoluzionaria ( che il Mazzini intendeva rimanesse tale , anche accettando la monarchia ) , e quella monarchico ­ governativa . In ciò era la loro inconciliabilità . Il programma del Mazzini , tra Villafranca e il plebiscito napoletano , sarebbe stato di mantenersi neutrale tra repubblica e monarchia , di ottenere che la decisione finale fosse demandata al voto di un ' assemblea nazionale costituente . Sull ' esito del voto egli stesso non aveva dubbi ; ma riteneva che altro fosse una monarchia istituita ex novo dal voto popolare , altro l ' aggregazione delle varie parti d ' Italia ad una monarchia preesistente . Anche Cavour e Vittorio Emanuele riconoscevano la diversità ; ma ne traevano una norma di condotta pratica opposta . Non bisogna credere che il Cavour , per il fatto di aver detestato Carlo Alberto e di esserne stato ricambiato , e per non essersi inteso mai perfettamente con Vittorio Emanuele , fosse non compiutamente saldo nel suo sentimento monarchico e dinastico . L ' antirepubblicanesimo costante di Cavour ( dopo un breve periodo , o piuttosto un momento , della prima giovinezza ) faceva tutt ' uno col suo antirivoluzionarismo , la sua avversione ai governi e alle iniziative popolari ; e certamente si collegava anche col suo timore del comunismo . Tuttavia quell ' antirivoluzionarismo di Cavour , quella decisa avversione all ' iniziativa popolare , quella preoccupazione dominante di mantenere nelle mani del governo monarchico la direzione del moto nazionale , non rispondevano in lui unicamente a interessi dinastici e conservatori . V ' era in tutto questo anche un momento liberale . Nel settembre 1860 , al tempo del conflitto acuto con Garibaldi , egli diceva che non si trattava solo di una questione di persone , ma di due sistemi in contrasto : Garibaldi sognava una specie di dittatura , senza parlamento e con poca libertà . ( Di fatto , questa tendenza di Garibaldi alla « dittatura nazionale » di cui parleremo appresso fu utilizzata da Vittorio Emanuele e da Cavour a pro della monarchia ) . Poco dopo , nella famosa lettera del 29 dicembre 1860 alla contessa di Circourt , egli presenta pure in antitesi la libertà e la dittatura di origine popolare e , respingendo il consiglio del generale Filangieri di farsi dittatore , proclama la sua fede liberale ­ parlamentare con parole eloquenti , quasi in uno slancio lirico . Il Mazzini invece , di fronte alla fede parlamentare di Cavour , manteneva la sua avversione alla monarchia costituzionale . Il suo primo pensiero in proposito egli l ' aveva manifestato fin dal 1834 : « La monarchia costituzionale è il governo più immorale del mondo : istituzione corrompitrice essenzialmente ; perché la lotta organizzata che forma la vitalità di quel governo solletica tutte le passioni individuali alla conquista degli onori o della fortuna che sola dà l ' adito agli onori » . Qui tocchiamo a un contrasto fondamentale d ' idee , diciamo pure di « visione del mondo » , fra i due uomini . Il Cavour non rifuggiva punto dalla « lotta organizzata » - - anche se talvolta , come nella persecuzione all ' « Italia del Popolo » , gli accadesse in pratica di alterare le regole del gioco ; - - e non era punto disposto a scandalizzarsi di quel « solleticamento » delle passioni individuali ; come se ne scandalizzava il moralista Mazzini . Egli disse una volta in parlamento che non era possibile immaginare uno stato di cose fondato sulla libertà dove non fossero partiti e lotte ; la pace completa , assoluta , non era compatibile con la libertà , che bisognava saper accettare con i suoi benefizi , « forse anche co ' suoi inconvenienti » . Anche il Mazzini intendeva mantenere la libertà , ma si prefiggeva come meta uno stato di cose in cui la lotta ( dei partiti ) naturalmente cessasse : « Il dovere , ammesso una volta , esclude la possibilità della lotta » . Era l ' ideale mazziniano dell ' unità , il « dogma » dell ' unità , com ' egli stesso dice , che ( sappiamo ) andava per lui ben oltre l ' unità politica : questa non era che un elemento o una condizione dell ' unità morale e religiosa . Vi è dunque un doppio aspetto nel dissidio Mazzini ­ Cavour ; e se per un verso , in quanto il primo propugna l ' iniziativa popolare di fronte al secondo , custode geloso di quella governativo ­ monarchica , il più liberale , il più radicalmente innovatore è il Mazzini , per l ' altro - - cioè per l ' ideale di uniformità vagheggiato dal Mazzini , come punto d ' arrivo in contrapposto alla lotta politica incessante del Cavour - - l ' apprezzamento dovrebbe piuttosto rovesciarsi . Questo secondo contrasto fa capo alla stessa struttura mentale dei due uomini , per cui il Cavour razionalisticamente distingue politica e religione ( o morale ) , mentre il Mazzini unifica misticamente . Laicità razionalistica e misticismo religioso sono indubbiamente spiccate caratteristiche contrapposte di Cavour e di Mazzini , senza che tuttavia si possa parlare per il primo d ' indifferenza verso i problemi religiosi ; che anzi su questo terreno vedremo com ' egli compisse la sua massima ascensione ideale . Né questa antitesi di struttura mentale e di aspirazioni spirituali nei due uomini significa necessariamente un ' opposizione intrinseca irriducibile delle loro diverse aspirazioni , che rappresentano invece esigenze ugualmente profonde , ugualmente necessarie nel corso del processo storico . Da questo punto di vista si può tornar a parlare ( sopra un piano ben più alto di quello delle realizzazioni politiche immediate ) di una complementarità fra Mazzini e Cavour . Garibaldi Chi , tra Mazzini e Cavour , tra la costituente realizzatrice dell ' iniziativa popolare e il sistema plebiscitario consacrante in forma democratica l ' iniziativa monarchica , fece pendere la bilancia a favore del secondo , fu Garibaldi : e ciò sebbene egli si proclamasse repubblicano e avversasse Cavour poco meno di quel che l ' avversava Mazzini . Garibaldi , nel famoso brindisi di Londra , del 1864 , proclamò il Mazzini suo maestro : più tardi , invelenitosi e incancrenitosi il dissidio con lui e ancor più con i mazziniani , volle disdirsi affermando di essere stato italiano e repubblicano dall ' infanzia , senza doverlo a Mazzini . Maestro di Garibaldi , come di tanti altri , il Mazzini lo fu veramente ; ma la struttura spirituale del discepolo era e rimase profondamente diversa dalla sua . Garibaldi fu il capo ideale della guerra di popolo , il condottiero capace di trascinare e guidare sui campi di battaglia i singoli cittadini , di infiammarli e soggiogarli a pro della causa nazionale , con un disinteresse personale nativo , ingenuamente eroico . Egli incarnò lo spirito nazionale ­ popolare italiano anelante all ' indipendenza , alla libertà , alla giustizia , in tutta la sua forza primitiva , in tutta la sua purezza immediata : fu molto più vicino al popolo di Mazzini , lo comprese e ne fu compreso assai meglio . Ma , appunto perché incarnava così bene la coscienza popolare nella sua ingenuità , egli non era capace di superarla , di dirigerla verso le mete lontane ed ultime . Realizzò meravigliosamente la seconda parte del dittico mazziniano « pensiero e azione » , ma non altrettanto la prima . Di temperamento assai più realistico del Mazzini , era altresì di ben minor profondità di pensiero e lungimiranza di visione : il concetto mazziniano dell ' autocreazione popolare gli sfuggiva , e il fondamento ultimo religioso del programma mazziniano gli rimase estraneo . Professando sinceramente la superiorità ideale della repubblica , Garibaldi si fermò alla constatazione di buon senso che proclamar la repubblica italiana nel 1860 era impossibile ; e poiché al tempo stesso egli allargava il concetto di repubblica comprendendovi qualsiasi governo consentito dal popolo ( se gli Inglesi , egli diceva , sono contenti del governo della regina Vittoria , questo deve considerarsi repubblicano ) , trovò senz ' altro nei plebisciti la consacrazione della monarchia di Vittorio Emanuele , senza fermarsi né sulle condizioni particolari di questi , né sulla esigenza politica ulteriore rappresentata dalla richiesta mazziniana della costituente , che a lui parve una semplice perdita di tempo . Una volta riconosciuto che da Napoli non si poteva procedere a Roma e a Venezia , non c ' era più ragione per Garibaldi di ritardar le annessioni ; la portata politica del problema scompariva per lui dietro quella territoriale . A questa maniera di vedere contribuì la sua persuasione che per fondare la nazione italiana ( e non solo questa ) occorresse la dittatura temporanea : nella fattispecie , la dittatura di Vittorio Emanuele , senza considerare che non di una dittatura temporanea si trattava , ma di una fondazione dinastica permanente . Solo più tardi , dopo il 1870 , Garibaldi parlò come Mazzini della insufficienza dello statuto sardo e della necessità di sostituirlo con un patto nazionale . La politica europea dopo il Quarantotto : dai popoli ai governi Il contrasto fra Mazzini e Cavour circa le direttive per la soluzione della questione italiana si collega , o s ' inquadra , in un metodo e una visione diversi di politica europea ; diversità che fa capo anch ' essa , come quella precedente , alla diversità di temperamento morale fra i due uomini , ma si connette a tutto lo svolgimento europeo prima e dopo il 1848 . Debbo ripeter qui quanto scrissi in un articolo del febbraio del 1935 , e tornai poi a scrivere più volte . Parziale e superficiale è la concezione comune secondo cui il periodo dal 1859 al 1870 , con le sue realizzazioni dell ' unità italiana e germanica , sarebbe stato nient ' altro che la prosecuzione e l ' adempimento dei programmi nazionali impostati nel periodo antecedente , fino al 1848 compreso . Tra questi programmi e quelle realizzazioni esiste invece una differenza profonda . Nel primo periodo i promotori dei diversi movimenti nazionali avevano sognato un ' Europa libera tutta e riorganizzata solidamente per opera dei popoli fratelli . Il Mazzini dette le formulazioni più classiche , più splendide di questo programma , e lo trasportò sopra un piano metafisico e religioso , con la sua concezione dei popoli come delle varie membra di un unico corpo , quello dell ' umanità ; concezione affine - - e l ' affinità era a lui ben nota - - a quella del Nuovo Testamento , dei cristiani costituenti il corpo di Cristo . Ma , anche senza salire a queste altezze vertiginose , gli agitatori nazionali e sociali contemporanei del Mazzini sentirono come lui intensamente ed espressero questa solidarietà fra i popoli europei , questa unità delle singole cause nazionali . Vedemmo anzi come , anche fuori del campo degli agitatori , negli scrittori moderati italiani , si ritrovi - - sia pure sopra un piano non più democratico ­ rivoluzionario - - l ' idea fondamentale dell ' unità spirituale europea , del legame strettissimo fra le cose d ' Italia e d ' Europa , del còmpito italiano di ricongiungersi all ' Europa e di servire allo sviluppo della civiltà europea . Dopo il 1850 , i movimenti nazionali , da popolari e solidali , tendono a divenire governativi e a muoversi ciascuno entro la propria limitata sfera . Alle iniziative popolari succedono quelle dei capi di stato e di governo , i quali seguitano a vedere le connessioni internazionali , a tenerle d ' occhio , ma solo come opportunità politiche da sfruttare per i singoli fini nazionali ­ statali . Caratteristico , per esempio , nel 1859 è il contrasto fra Kossuth , che mirava a fare dell ' indipendenza ungherese un obiettivo di guerra autonomo per la Francia e il Piemonte , e Napoleone III , per il quale l ' Ungheria non è se non una pedina da giocare per la vittoria della guerra in Lombardia . Sempre nel 1859 , Napoleone III e Cavour non hanno altra preoccupazione che di rassicurare lo zar che in Lombardia volontari polacchi a combattere non andranno . Così ogni causa nazionale procede ormai per suo conto , e l ' abbandono dell ' una si fa servire a vantaggio dell ' altra . Il Mazzini rimase sempre fedele alla concezione europeo ­ democratica delle nazionalità . Egli seguitò sempre a guardare a tutta l ' Europa contemporaneamente ; e non già al solo fine di scrutare qualsiasi possibilità di sfruttamento delle diverse situazioni europee a pro dell ' Italia , ma per una coscienza profonda della solidarietà fra le sorti delle diverse nazioni . Si trattava sempre per lui della internazionale dei popoli contro l ' internazionale dei re . Anzi , questa tendenza in Mazzini si può dire che si accentui col passare degli anni : dopo il 1860 v ' è una lettera di lui in cui dice , presso a poco , che la testa gli fa male per la gran confusione che c ' è in essa di popoli , movimenti popolari e insurrezioni in corso od in aspettativa in mezza Europa . Fino alla morte , il Mazzini seguitò a considerare il Risorgimento italiano come solidale con la dissoluzione dell ' impero absburgico , e questa congiunta a sua volta con quella dell ' impero turco . Egli così vedeva in un unico quadro la liberazione e la ricostruzione nazionale dei popoli dalla Polonia alla Grecia ; e riteneva in particolare che fosse missione precipua dell ' Italia favorire la liberazione e la costituzione nazionale dei popoli slavi e stringersi con essi . Anche su questo terreno la concezione e il metodo Napoleone III ­ Cavour trionfò di Mazzini ; e , come sempre succede a chi trionfa , ebbe gli applausi unanimi del « fatto compiuto » . Pure , conseguenza capitale di quel trionfo fu che taluni problemi nazionali venissero risolti , altri rimandati : Italia e Germania si costituirono in unità ; il grande piano europeo per la dissoluzione dell ' impero absburgico e di quello turco , e la loro ricostruzione come federazione di popoli , fu messo da parte . Ma i problemi rinviati rimanevano : essi si fecero più tardi acuti , improrogabili , e fu la guerra europea del 1914 . Napoleone III e Mazzini Vi fu dunque per il Mazzini una triplice ragione di combattere la politica regio ­ cavouriana dell ' alleanza con Napoleone III : 1 ) iniziativa straniera , anziché nazionale ; 2 ) alleanza col dispotismo ed esclusione dell ' iniziativa popolare ; 3 ) mutilazione del programma europeo delle nazionalità . Uno dei punti di vista sotto cui si può considerare la storia d ' Europa nella seconda metà del secolo XIX è quello dell ' antitesi , e insieme di una certa affinità , fra Mazzini e Napoleone III . Luigi Napoleone fu uomo assai superiore moralmente - - e forse non inferiore come importanza storica - - a Napoleone « il Grande » . Là dove il secondo non aveva pensato che alla sua carriera e grandezza ( o tutt ' al più alla grandezza materiale della Francia ) , il primo ebbe sinceri interessi europei e umani , sentì veramente taluni ideali . Un controllo della sua sincerità è la mancanza delle pose e delle messe in scena tanto care allo zio . Luigi Napoleone intravide più di un aspetto capitale del problema europeo : liberazione delle nazionalità come base di un nuovo pacifico assetto europeo , elevazione delle masse operaie , sanità feconda del libero scambio internazionale ( il trattato di commercio anglo ­ francese del 1860 rimane una delle cose più belle compiute in quel periodo in Europa ) . Il primo e il secondo punto erano gli obiettivi stessi del Mazzini : e insomma - - l ' abbiamo già accennato - - il programma che la democrazia francese del Quarantotto aveva rifiutato di assumere fu Napoleone III a farlo suo , almeno in una certa misura . Ma tra Napoleone III e Mazzini v ' era una differenza capitale di spirito , autoritario e cesareo nell ' uno , democratico e religioso nell ' altro . Si considerarono reciprocamente come antagonisti massimi ; e per Napoleone III l ' esule di Londra , povero e apparentemente isolato e inerme , fu tra le più costanti e maggiori preoccupazioni . Fra loro si contendeva l ' iniziativa europea , se dovesse essere del cesarismo o di « Dio e popolo » ; se la nuova Europa dovesse sorgere solo a pro del popolo , o anche per mezzo del popolo . La contesa massima fu intorno all ' Italia : nella fase decisiva della questione italiana , se si guarda attentamente e spassionatamente , due furono le iniziative propriamente dette , di Mazzini e di Napoleone III : la monarchia sabauda e lo stesso Cavour seguirono , e la loro azione fu il risultato e come la diagonale delle due iniziative ; bensì , da terzi divennero primi , grazie alla capacità di combinazione e di realizzazione , all ' equilibrio sovrano , all ' ispirazione liberale di Cavour . Napoleone III sentiva che alla soluzione del problema italiano erano legati i suoi destini ; e infatti egli cadde per essersi arrestato all ' ultimo passo , rimanendo vittima del clericalismo assolutistico e del potere temporale . Il Mazzini fremeva all ' idea che un despota , per giunta straniero , dovesse foggiare la nuova Italia aggregandola al suo carro , togliendole , per il corpo , l ' anima . Di questo asservimento e tradimento furono complici necessari ai suoi occhi Cavour e la monarchia sabauda . Napoleone III , tenendo l ' occhio al Mazzini e stimolato non solo dal desiderio di prevenirlo , ma ( noi crediamo , nonostante ogni altra opinione in proposito ) anche dal timore di esser tolto di mezzo dal Partito d ' azione , strappò l ' iniziativa di mano al cospiratore londinese . ( Notammo già che il colloquio di Plombières seguì solo di alcuni mesi l ' attentato di Orsini ) . Ma l ' iniziativa strappata non poté essere svolta da lui integralmente per il vizio intrinseco del suo regime , che avrebbe voluto attuare il liberalismo democratico europeo con mezzi nazionalistici e autoritari . Analisi dell ' unificazione plebiscitaria Fra l ' aprile '59 e il marzo '61 - - si dovrebbe anzi dire l ' ottobre '60 - - in un periodo , cioè , favolosamente breve , fu realizzata l ' unità italiana , non più esistita territorialmente da tredici secoli , dall ' invasione longobarda in poi , e come autonomia politica unitaria non esistita mai . Basta questa sola considerazione a mostrare l ' assurdità della tesi ( seppur non è troppo onore chiamarla con questo nome ) che vorrebbe ridurre il Risorgimento al processo di espansione territoriale progressiva dello stato sabaudo . Questo , dopo aver messo settecento anni per arrivare dalle Alpi al Ticino , avrebbe da sé , per sua miracolosa forza intrinseca , ingoiato in due anni tutto il resto d ' Italia . La sproporzione enorme non si spiega se non intendendo che ben altre e più profonde forze hanno giocato nell ' unificazione , tutto un processo secolare etico ­ politico il quale per un concorso di circostanze realizzò nel corso di un biennio il risultato politico territoriale , parte essenziale , ma non unica né suprema , del Risorgimento . Piuttosto , la rapidità prodigiosa di questa realizzazione sarà un motivo di più per indagare se in essa non si celasse qualche imperfezione costituzionale . Quelle circostanze straordinariamente concorrenti furono : iniziativa popolare ( rivoluzioni dell ' Italia centrale , spedizione dei Mille , progetti e tentativi per l ' abbattimento di tutto il potere temporale ) ; azione politico ­ militare della monarchia sabauda ; elementi molteplici della situazione europea , e cioè , oltre l ' alleanza franco ­ piemontese e tutta la politica di Napoleone III , la politica di Palmerston e Russell favorevole all ' unità italiana , la crisi interna austriaca , il dissidio austro ­ prussiano , e più ancora l ' austro ­ russo . Nel biennio fatidico , la monarchia , e per essa Cavour , agisce come elemento mediatore ( nel proprio interesse , oltreché in quello dell ' Italia ) fra l ' iniziativa popolare e la politica europea . La mediazione fu opera di straordinaria capacità politica , superiore per la complessità di elementi conciliati alle più belle realizzazioni diplomatiche di Bismarck ; ma mediazione non avrebbe potuto esserci senza i termini da mediare . Ora , l ' iniziativa popolare fu del Mazzini , o d ' ispirazione e provenienza , diretta o indiretta , mazziniana ( si ricordi quel che abbiamo detto circa la Società Nazionale ) ; e se un ' altra influenza possiamo indicare accanto ad essa , è quella del liberalismo radicale . È dunque prettamente antistorico considerare , in onore del demiurgo o deus ex machina Vittorio Emanuele o Cavour , l ' azione mazziniana dopo il 1849 - - e in particolare nel biennio decisivo - - come inefficace o addirittura dannosa , come ostacolo all ' opera realizzata . Il fatto capitale per l ' unità italiana non fu la guerra franco ­ piemontese contro l ' Austria del 1859 , che per sé non avrebbe prodotto ( e nelle intenzioni formali di Napoleone III non avrebbe dovuto produrre ) che il regno dell ' alta Italia e la confederazione : un ritorno , cioè , alla prima fase quarantottesca . I fatti capitali per l ' unità furono tre : le insurrezioni dell ' Italia centrale , la spedizione di Sicilia , la spedizione delle Marche e dell ' Umbria . Sono tre pensieri ­ azioni mazziniani , e in ogni caso popolari ­ rivoluzionari . Di essi , i primi due furono altresì realizzati , almeno nella spinta iniziale , come rivoluzione popolare ( si tenga presente che la rivoluzione toscana del 27 aprile , la più importante fra quelle dell ' Italia centrale , fu opera precipua del Partito d ' azione ) ; la spedizione dei Mille , anzi , è il tipo stesso dell ' insurrezione e della guerra popolari , con l ' eroe popolare per eccellenza , Garibaldi . Il terzo fatto fu realizzato dalla monarchia , la quale fece sua l ' idea , con inizi di fatto , della rivoluzione popolare . E la fece sua - - si leggano le lettere di Cavour del tempo - - perché ritenne che questo fosse l ' unico mezzo per salvare se stessa , perché l ' unità italiana non si facesse repubblicanamente . Ancora una volta , anzi proprio al momento buono , giocò il dilemma ben visto da Vittorio Emanuele II : o re d ' Italia o « monsù Savoia » . Il Mazzini si piegò ad accettare la partecipazione direttiva della monarchia e anzi la promosse , pur prevedendo il risultato contrario al suo ideale repubblicano , perché in lui prevalse su ogni altra cosa il desiderio dell ' unità , che in questo caso era proprio l ' unità territoriale a preferenza di quella politico ­ morale . Egli bensì riservò per sé e per i suoi il diritto di opposizione politica , e cioè di seguitare la propaganda per gli ideali repubblicani . Anch ' egli , dunque - - considerato da tanti come l ' intransigente settario , il puro oppositore , l ' idealista col capo nelle nuvole , - - vide la realtà politica , e seppe adattarvisi nell ' interesse supremo della nazione ; anzi dal suo punto di vista la questione da farsi sarebbe se non vi si adattò anche troppo . Fu un sacrificio magnanimo , un caso grandioso di sic vos non vobis . Donde , allora , il dissidio persistente fra lui e il nuovo ordine di cose , dissidio che fece del maggiore apostolo dello stato unitario , una volta questo realizzato , un cospiratore e un reprobo fino alla morte ? Il Mazzini intendeva che il popolo italiano dovesse pronunciarsi , quale comunità nazionale , liberamente , direttamente e integralmente , sul suo regime politico ; egli reclamava « un patto nazionale » dettato da una costituente . Anche il Gioberti del Rinnovamento aveva detto che , dopo la dittatura piemontese , occorrente alla liberazione e costituzione d ' Italia , l ' ordinamento politico ­ giuridico della nazione avrebbe dovuto essere opera di una dieta universale della nazione . I plebisciti non furono agli occhi del Mazzini un equivalente della costituente e del patto , perché non preceduti da discussione in sede di libera lotta politica , perché le formule loro non ponevano altra ipotesi concreta che l ' unione al regno costituzionale di Vittorio Emanuele II , perché infine essi implicarono l ' accettazione pura e semplice per tutta Italia di uno statuto puramente piemontese , e di concessione regia . Ai suoi occhi tutto ciò si risolveva in una aggregazione esteriore e quasi in una conquista , al posto della creazione popolare di una nuova Italia . E non poté non confermarsi in questa idea allorché il Parlamento , votando il regno d ' Italia ( e si trattava di un parlamento eletto a suffragio assai limitato ) , proclamò Vittorio Emanuele secondo e non primo . Era , cioè - - pensò il Mazzini e con lui il federalismo repubblicano e in generale la democrazia , - - la continuazione della monarchia sabauda , non la creazione di una nuova monarchia italiana : diritto divino , non diritto popolare ; quel diritto divino che , sia pure accoppiato con la « volontà della nazione » ( e sia pure col sottinteso di escludere la teocrazia papale ) , faceva aperta e primaria mostra di sé nella formula d ' intitolazione per gli atti del nuovo regno . Questo giudizio del Mazzini non può affatto essere considerato - - come piacque e piace fare ai « liberali moderati » - - un semplice apriorismo dommatico , o anzi stortura settaria . Occorre distinguere in esso il giudizio sul procedimento di unificazione del '60­61 , considerato hic et nunc , nella sua sostanzialità politico ­ giuridica immediata , dall ' altro apprezzamento : quello sul risultato futuro dell ' unificazione così avvenuta , cioè sulle virtualità contenute o meno nello stato italiano così costituito , insieme con le derivanti conseguenze di condotta politica in confronto dello stato medesimo . Sul primo punto , il giudizio storico viene a coincidere sostanzialmente con quello politico mazziniano ( o anche repubblicano federale ) . È un fatto da constatare - - rimanendo poi libero ciascuno di valutarlo come gli piace , dal punto di vista del Risorgimento o dell ' Antirisorgimento - - che il procedimento annessionistico plebiscitario ­ parlamentare , con cui fu costituito il regno d ' Italia , rappresentò non una costituzione fatta dal popolo italiano con piena illuminazione di coscienza e libertà di volere , ma una improvvisazione di necessità , un compromesso fra forze popolari e poteri conservatori dinastici , sotto la triplice pressione dell ' unico stato italiano rimasto in piedi , della diplomazia europea , e della mancanza , nella prospettiva immediata , di ogni altra soluzione accettabile ( che non fosse cioè il ritorno allo stato di cose precedenti o l ' occupazione straniera o l ' anarchia ) . Si agi da tutti - - da Vittorio Emanuele e da Cavour , come da Garibaldi e da Mazzini adottanda il principio « capo ha cosa fatta » , che Gioberti aveva inculcato nel Rinnovamento . L ' improvvisazione di necessità si tradusse nel carattere imperfetto dei plebisciti e nella convalida di essi da parte di un parlamento eletto a suffragio ristretto , e nell ' adozione pura e semplice dello statuto octroyé nel '48 da Carlo Alberto al Piemonte ; cioè in quei connotati contro i quali si diresse l ' opposizione mazziniana . Pertanto , questa improvvisazione , di necessità non fu , hic et nunc , nell ' immediata realtà politico ­ giuridica , una creazione vera e propria del nuovo stato nazionale , ma , precisamente , l ' annessione a uno degli stati italiani preesistenti di tutti gli altri . Da queste constatazioni esatte il Mazzini dedusse , per la sua mentalità dommatica e statica , un giudizio di condanna definitiva e una pregiudiziale d ' intransigenza assoluta nei rispetti del nuovo stato , tornando così , in confronto del regno d ' Italia , alla posizione d ' intransigenza rivoluzionaria tenuta verso gli antichi stati italiani . Egli non vide ( per quella certa deficienza di mentalità liberale che fu sempre in lui ) come , attraverso tutti i rabberciamenti dell ' antico , ci fosse nella costruzione improvvisata una novità sostanziale , includente in sé la virtualità di sanare il vizio d ' origine . La novità era il regime liberale , che , superiore alla lancia d ' Achille , sanava le ferite altrui oltreché le proprie . Esso permetteva nella lotta politica quotidiana di saggiare , modificare , e trasformare anche radicalmente la costruzione medesima . Dalla lotta politica quotidiana sarebbe derivata la convalida o meno di quanto era stato operato nella costruzione improvvisata di necessità . Vero è che la mentalità dommatica e statica , rispetto al regno d ' Italia , non fu solo del Mazzini , ma altrettanto , se non più , dei suoi avversari liberali moderati e perfino dei ralliés del Partito d ' azione , i quali , facendo dei plebisciti non un atto politico in svolgimento , ma un feticcio immobile , considerarono la costruzione del 1860­61 come un noli me tangere ; e nel giuramento parlamentare videro la consacrazione giuridica di questa intangibilità , mutilando e falsando il concetto della sovranità e dell ' iniziativa nazionali , base del Risorgimento . Una conseguenza capitale della « costruzione di necessità » , cioè della formazione del regno d ' Italia attraverso il procedimento annessionistico ­ parlamentare che abbiamo caratterizzato , fu che le classi popolari , non avendo partecipato direttamente alla costruzione , non poterono neppure far valere in essa i loro interessi specifici ; e perciò il programma sociale del Risorgimento - - impostato dal Mazzini , dal Ferrari , dal Gioberti del Rinnovamento , e più arditamente di tutti dal Pisacane , mentre i moderati e lo stesso Cavour lo avevano sostanzialmente ignorato - - rimase fuori dalla nuova costruzione . Fu l ' aspetto negativo sociale del « moderatismo » , del carattere di compromesso insito alla formazione del regno d ' Italia , aspetto complementare di quello politico , o piuttosto ( come si è accennato già ) conseguenza necessaria di questo , poiché è sempre vero il principio « politique d ' abord » . Ma anche per questa lacuna particolare valeva , come per quella generale , la possibilità di rimedio insita nel regime liberale . Destra e sinistra Dopo il 1861 una divergenza capitale fra il Mazzini e il governo monarchico ( dietro cui la Destra , che Cavour aveva allargato e trasformato , tornò a prender carattere di partito oligarchico ) fu quella circa il metodo per il compimento dell ' unità nazionale : divergenza che non era se non un caso particolare del dissenso generale preesistente . Se il Mazzini aveva sostenuto sempre il principio « l ' Italia farà da sé » , a maggior ragione lo sosteneva adesso che lo stato italiano comprendeva la quasi totalità della penisola , con più di venti milioni di abitanti . Tutt ' al più egli ammetteva una certa prudenza riguardo a Roma , non ignorando la possibilità di un urto armato con la Francia e di una guerra su due fronti , che avrebbe potuto segnare la rovina della formazione unitaria appena realizzata . Di fronte all ' Austria , per il Veneto , nessun dubbio per lui ; occorreva il duello diretto fra il vecchio e il nuovo stato , con l ' insurrezione popolare come battistrada e la congiunzione al movimento generale di liberazione dei popoli sottomessi agli Absburgo . Alla solidarietà dei popoli ( l ' abbiamo già avvertito ) il Mazzini in quest ' ultimo periodo è più che mai fedele , nonostante l ' evoluzione in senso contrario della politica europea : egli inquadra sempre l ' Italia nella ricostruzione generale europea sulla base delle nazionalità affratellate , ed è sempre contrario ad ogni isolamento nazionalistico . Con il Mazzini conveniva in queste idee tutto il Partito d ' azione , che si distingueva appunto dai moderati di governo per il suo ricorso all ' iniziativa popolare , senza attendere il cenno governativo . Il Partito d ' azione , però , non aveva una volontà così risoluta e compatta come quella del Mazzini ; soprattutto , non era risoluto e compatto nella pregiudiziale repubblicana che il Mazzini tornò a impiantare dopo la convenzione di settembre , e soprattutto dopo gli scacchi del '66 . Principale personaggio del Partito d ' Azione accanto a Mazzini - - e anzi praticamente più influente di lui - - era Garibaldi . Ma questi , di fronte a « Dio e Popolo » , seguitava a dar la preferenza a « Italia e Vittorio Emanuele » : era insomma assai più disposto ( anche dopo Aspromonte e Mentana ) ad aspettare l ' iniziativa , se non del governo moderato - - che avversava non meno di Mazzini , - - del re , per cui ebbe sempre fiducia e simpatia . In quanto alla repubblica , Garibaldi la rimandava alla volontà futura del popolo italiano . La questione romana Riguardo alla questione romana , vi era tra il governo e il Partito d ' azione un dissidio non solo circa il modo di togliere Roma al papa , ma anche intorno all ' atteggiamento da prendere di fronte al papato e alla situazione da fargli in una Roma divenuta italiana . Era una questione non più solo politica , ma religiosa : tornava il problema religioso del Risorgimento e di tutta la storia italiana . Il neoguelfismo era praticamente finito , salvo certe velleità conciliatrici tuttora esistenti in gruppi di cattolici nazionali , che ebbero influenza , se non per una soluzione della questione romana , per il modus vivendi di fatto realizzato . La soluzione governativa era stata formulata da Cavour poco prima della morte e lasciata in eredità alla Destra , la quale peraltro non l ' accolse se non con beneficio d ' inventario . Era la parte più elevata della concezione politica cavouriana , quella con cui il Cavour , staccandosi più arditamente dall ' empirismo moderato , s ' innalzò verso le vette dell ' ideale . Il suo concetto era che l ' applicazione dei principî liberali alle relazioni con la società religiosa ( libera Chiesa in libero Stato ) avrebbe avuto per effetto la conversione del cattolicismo e del papato ai principî di libertà , la loro riconciliazione con la società moderna . Egli era fisso nell ' idea che l ' antiliberalismo pontificio fosse un effetto del potere temporale ; i concordati e i principî giurisdizionalistici erano una necessità , finché il pontefice riuniva nelle sue mani i due poteri : scomparsa la causa , sarebbe scomparso l ' effetto . II Cavour non aveva una nozione chiara dei principî cattolico ­ romani sulla Chiesa società perfetta , dotata di poteri completi e autonomi , legislativi , giudiziari , coercitivi , e sulla natura intima del diritto canonico , per cui il giure , con le sue implicazioni esteriori , fa parte integrante del cattolicismo . Perciò la soppressione del potere temporale con la libertà concessa alla Chiesa gli fa balenare , non come ideale lontano e vago , ma come possibilità concreta già esistente , l ' accordo fra i due principî morali fondamentali della società : religione e libertà . Per tal modo , il Cavour , così realistico , così empirico , così diplomatico sul piano della questione nazionale puramente politica , si innalza , su quello della politica ecclesiastica , a una concezione diversa nel concreto da quella mazziniana , ma di spirito affine , poiché si tratta anche qui di una grande suprema missione riserbata all ' Italia per la civiltà europea e umana . La differenza fra il binomio « Dio e Popolo » e quello « Religione e Libertà » consisteva in ciò : che nel binomio mazziniano v ' era l ' ideale di una umanità totalmente , misticamente associata , di una religione dell ' umanità assorbente la politica ; mentre nel binomio cavouriano s ' intravede una società futura di cui , ricondotto il potere statale alla sua funzione di semplice strumento per la convivenza umana pacifica , ordinata e sicura , la libera collaborazione degli individui si svolgerebbe senza più ostacoli , diretta al pieno sviluppo dei valori spirituali . La Destra cavouriana , dopo la morte del maestro , abbandonò questo idealismo di lui ( qualche tentativo di mantenerlo vi fu , invano , da parte del Ricasoli ) , e riportò la sistemazione della questione romana sul piano del compromesso politico ­ ecclesiastico . In quanto al Partito d ' azione , anticlericale e antipapale , esso non voleva sapere di guarentigie in favore del pontefice , e neppure , propriamente , di libera Chiesa in libero Stato : esso parlava di annullamento totale del papato politico , considerato come nemico irriducibile , e vagheggiava la distruzione del papato spirituale , non propriamente per un atto diretto di forza , ma come conseguenza dell ' abolizione del potere temporale e della riduzione del papato a un regime di diritto comune . Anche il sistema di Cavour , in ultima analisi , approdava al diritto comune , ma con spirito profondamente differente , in quanto si riprometteva dal regime di questo un rifiorire del cattolicismo , anziché una sua sparizione . Contro il papato e il clero sono note le escandescenze di Garibaldi , che non debbono essere prese alla lettera ; più in generale , il Partito d ' azione non lavorò effettivamente a realizzare il suo programma anticlericale , e una volta arrivato al potere come Sinistra , seguitò la politica ecclesiastica della Destra . Un concetto organico di politica ecclesiastica , di fronte a quello del Cavour , l ' ebbe solo il Mazzini . Per lui era assurda la separazione della Chiesa dallo Stato , salvo come espediente provvisorio . Chiesa e Stato per lui erano come anima e corpo ; al cattolicismo papale invecchiato egli opponeva la nuova religione di « Dio e Popolo » , la nuova rivelazione che doveva scaturire per opera diretta divina dalla coscienza popolare , e che doveva dare il significato supremo al Risorgimento italiano . Il Mazzini perciò fu un reciso oppositore della formula « libera Chiesa in libero Stato » , da lui giudicata vuota e atea . Egli la giudicava così perché , al solito , la trasportava senza neppure avvedersene - - o piuttosto in conformità al suo principio solito di unità mistica - - dalla sfera dei rapporti giuridici e politici a quella delle relazioni morali ultime . E così , non si rendeva conto che l ' ordinamento di separazione fra Chiesa e Stato vagheggiato da Cavour non impediva punto quell ' azione della religione sulla politica , dello spirituale sul temporale , dell ' ideale sulla realtà , da lui , Mazzini , giustamente reclamata ; ma poteva anzi favorire quell ' azione , era diretto a renderla più libera e pura . Era cioè un tentativo per attuare ciò che il Mazzini medesimo , nel suo sforzo teoretico per conciliare autorità e libertà , domandava quando scriveva : « Desideriamo che un pensiero comune ci colleghi in attività verso un oggetto comune ; ma vogliamo che unione siffatta abbia il libero nostro consenso ; vogliamo che oggetto siffatto sia di tutti , non di classe o di setta » . Dal 1861 al 1870 Nell ' insieme , il tono politico generale in Italia dopo il 1861 si abbassa . La partecipazione del popolo alla vita pubblica , e più particolarmente al compimento dell ' edificio nazionale , diminuisce invece di accrescersi . Abbiamo da una parte una politica segreta di gabinetto , che in conclusione si riduce ad aspettare i contraccolpi dei cambiamenti internazionali ; dall ' altra , moti ristretti , isolati , colpi di testa , come quelli che condussero ad Aspromonte e Mentana . L ' elaborazione interna del nuovo stato si compie per opera quasi unicamente governativa , con ben scarso concorso dell ' opinione pubblica e dello stesso parlamento ( che seguita ad essere eletto a suffragio ristrettissimo ) . Questo fenomeno , che potremmo chiamare di involuzione oligarchica , non è speciale del Risorgimento italiano , anzi è ancor più accentuato altrove , particolarmente in Germania ; e si collega con quella trasformazione del moto politico europeo dopo il '48 , di cui abbiamo discorso sopra . Trionfarono di fatto , in tutto e per tutto , le soluzioni monarchico ­ governative . Non vi fu insurrezione a Roma , non a Venezia , né rivolgimento generale dell ' impero austriaco . La liberazione del Veneto fu un fatto puramente diplomatico ­ militare di governi , spoglio di qualsiasi elevazione etico ­ politica : esso si compì attraverso le sconfitte militari ( non vergognose né rovinose per sé , ma divenute tali per l ' inettitudine dei comandi supremi ) , l ' umiliazione nazionale della consegna da parte dello straniero , la rinunzia al Trentino e tanto più alla Venezia Giulia . Per Roma si ebbero due iniziative fallite , senza reazione popolare italiana ; si mantenne la sudditanza a Napoleone III che prese corpo nella convenzione di settembre ( oggetto delle imprecazioni di Mazzini e di tutto il Partito d ' azione ) ; fallirono le trattative con l ' Austria e la Francia per la soluzione diplomatica della questione romana ; solo la guerra del 1870 portò Roma all ' Italia , e perfino allora in primo tempo il governo riconfermò la convenzione di settembre . Neppure all ' ultimo momento vi fu a Roma l ' insurrezione popolare : si rimase in attesa delle truppe regie . Seguì l ' ultimo plebiscito , il trasporto della capitale , e all ' esigenza mazziniana della costituente nessuno prestò ascolto . Per la sistemazione del pontefice la legge delle guarentigie adottò la soluzione cavouriana , ma riducendola a semplici termini di modus vivendi , con la rinunzia agli ideali di riforma del cattolicismo . Il Post ­ risorgimento Dopo il 1870 quell ' abbassamento di tono , di cui abbiamo già parlato dopo il 1861 , diviene una constatazione generale . Due apprezzamenti si contrastano in suo confronto . Il primo trae dalla constatazione conseguenze svalutative per tutto il periodo di vita politica italiana dal 1870 alla guerra , mirando a stabilire una opposizione fra il Risorgimento , che non si vuol rinnegare , e il regime liberale ­ democratico che ne fu il risultato . L ' altro considera che ormai le questioni più grosse , i problemi fondamentali erano risolti : quelli che rimanevano , o anzi che sarebbero sempre sorti di nuovo , non erano così gravi e urgenti , così pregiudiziali : era la vita ordinaria che succedeva a quella eroica del Risorgimento . La seconda valutazione è sostanzialmente la vera ; ma occorre distinguere e precisare . La costruzione politico ­ morale non poteva esser terminata con quella politico ­ territoriale . Anche senza accettare il semplicismo della formula azegliana ( « L ' Italia è fatta : restano a fare gli Italiani » ) , già il fatto che la seconda costruzione fosse avvenuta così in fretta poteva far sospettare che ci fosse ancora parecchio da fare per la prima . Il Mazzini , che tanto accoratamente espresse la sua delusione innanzi all ' Italia realizzata , così diversa da quella del suo sogno , concretava politicamente questa delusione un po ' vaga - - che per sé poteva significare semplicemente il divario esistente tra ideale e realtà - - seguitando ad auspicare , al di là dello stato unificato , la società nazionale realizzante un nuovo grado del disegno divino , mentre in seno ad essa società la libera propaganda delle idee avrebbe preparato i gradi ulteriori . Era la concezione sostituente per il Mazzini , sopra un piano più alto , quella liberale ­ costituzionale dei due partiti alternantisi al potere . Anche per chi non accetta nelle sue particolarità l ' ideologia etico ­ politica mazziniana , si pone il problema della continuità fra Risorgimento e Post ­ risorgimento ; e più precisamente , se le premesse dello svolgimento successivo siano state poste effettivamente e sufficientemente coll ' unificazione , e se ad esse abbia corrisposto lo sviluppo medesimo . È un problema che conviene concretare in tre punti : culturale , etico ­ religioso , politico propriamente detto . Qui dobbiamo limitarci a cenni rapidissimi , esaminandolo innanzi tutto per il cinquantennio che va dall ' unificazione alla prima guerra mondiale . Che la vita culturale italiana in questo periodo abbia partecipato effettivamente , fruttuosamente , alla vita culturale europea , su un piede di eguaglianza spirituale e strutturale , non c ' è dubbio : potrà discutersi il quanto e il come , non la cosa in se stessa . Fra il processo del Risorgimento e l ' europeizzazione della coltura italiana non vi è semplice relazione cronologica , ma legame intimo : si tratta appunto di quel programma europeo che abbiamo visto comune a tutte le correnti di pensiero e di azione del Risorgimento ; sia che , nel prepotente patriottismo di Mazzini e nella costruzione baroccamente grandiosa del Primato giobertiano , si formulasse come riconducimento dell ' Europa all ' Italia ; sia che , come nei moderati , nei radicali , nel Gioberti del Rinnovamento e nel pensiero più spassionato e nel comportamento pratico del Mazzini stesso , si presentasse come esigenza di ricongiungimento dell ' Italia all ' Europa . Possiamo dunque dire che nel campo culturale il Risorgimento pose le premesse necessarie e sufficienti allo sviluppo dell ' Italia unita , e che alle premesse risposero le conseguenze : fioritura della vita letteraria , artistica , scientifica , sopra un piano europeo , con sempre maggiore avvicinamento al livello dei paesi più progrediti . Che in talune parti , confrontando l ' ispirazione ultima , il tono spirituale della coltura italiana della seconda metà del secolo XIX con quella della prima metà , potrà riscontrarsi piuttosto una discesa , occorre tener conto innanzi tutto che si tratta di un fenomeno non solo italiano , ma europeo ; e , in secondo luogo , che ogni processo di diffusione della coltura si associa quasi fatalmente a un certo abbassamento qualitativo , almeno temporaneo , e non per ciò quel processo risulta meno fisiologico , meno progressivo . L ' aspetto etico ­ religioso è quello per cui sono più facili e frequenti i lagni di abbassamento dopo il 1870 , e a cui più si rivolgevano le recriminazioni del Mazzini ; ma è altresì quello a cui maggiormente conviene l ' osservazione di massima fatta sopra , che un certo abbassamento era nella natura stessa delle cose , e perciò deve considerarsi come un processo fisiologico , di crescita e non di decadenza . Il periodo della lotta intensa , continua , mortale - - nelle congiure , nelle insurrezioni , nelle guerre , negli scritti e nella propaganda orale che erano pure battaglie , nei contrasti necessari fra i diversi indirizzi nazionali - - doveva naturalmente avere ritmo di vita più intenso , battito di polsi più accelerato , voli più eccelsi di idee e impeti più magnanimi di azione che non il periodo successivo della vita nazionale quotidiana entro la costruzione già realizzata , con la sua parte inevitabile di « routine » , quantitativamente grande . Il punto vero , se si vuol compiere fruttuosamente una valutazione spirituale del Post ­ risorgimento , senza perdersi nel moralismo e nelle querimonie temporis acti , è se l ' unità morale italiana , alla cui costruzione o ricostruzione aveva lavorato , come ultimo obiettivo , il Risorgimento , appaia o no mantenersi e progredire nel periodo successivo . Noi diamo risolutamente risposta affermativa . Dal 1870 al 1914 la coscienza nazionale italiana non solo ha retto alla prova del còmpito quotidiano , tanto spesso monotono e grigio , ma si è consolidata e dilatata . Chiunque ricordi la vita italiana al principio del secolo non potrà non sottoscrivere a questo apprezzamento . Naturalmente non contrastano , prima o dopo il 1900 , episodi singoli , momenti di depressione , perché occorre guardare alla linea complessiva . Tanto meno contrastano le lotte di partito anche vivaci , che sono anzi condizione e conseguenza al tempo stesso di una vera vita nazionale , poiché - - come bene spiegava il Balbo quasi un secolo fa - - non è possibile vedere l ' utile della patria italiana al medesimo modo da un capo all ' altro d ' Italia , e le parti altro non sono che queste opinioni diverse sull ' utile nazionale , la cui libera espressione è tra i primi e più utili risultati della libertà della nazione . Il punto più delicato , per la coscienza nazionale italiana e per l ' unità morale della nazione nel Post ­ risorgimento , fu il conflitto fra la Chiesa e lo Stato , culminante nella questione romana . Nei primi anni dopo il 1870 , e specialmente in Roma capitale , poté sembrare davvero che fosse aperta una scissura irrimediabile , un abisso , fra due società , la « bianca » e la « nera » , fra due Italie . Eppure non era così . Anche allora , anche in Roma , nel mondo agitantesi tra Vaticano e Quirinale , e perfino in Pio IX e nella Curia , la scissione era meno profonda di quanto apparisse ; permaneva una volontà ultima di modus vivendi , abbozzato fin dai primi giorni ; v ' era il senso che altro fossero le necessarie impostazioni giuridico ­ diplomatiche , altro la vita quotidiana complessiva e i sentimenti intimi . Col tempo , la cicatrizzazione fu sempre più rapida , la fusione sempre più larga e intima . Nel regime delle « parallele » - - cioè di una effettiva separazione della Chiesa dallo Stato senza bisogno di proclamazione , col rispetto delle esigenze ecclesiastiche essenziali , della vita religiosa del popolo italiano , e insieme dell ' aconfessionalità governativa , - - nell ' ambiente della libertà di coscienza e di pensiero , di una libera e pacifica discussione di tutte le idee , nel fiorire progressivo della coltura e della coscienza moderna , da una parte i patrioti italiani si spogliarono dell ' anticlericalismo ispido e settario che era stato un ' arma per i tempi di combattimento ; dall ' altra , i cattolici italiani - - anche i « clericali » - - deposero , in diritto o in fatto , i loro pregiudizi e le loro pregiudiziali ; riconobbero che dalla perdita del potere temporale la Chiesa aveva guadagnato , che la legge delle guarantigie non era stata e non era espediente diplomatico o illusione giuridica , ma realtà effettuale assicurante piena libertà al papato ; si accostarono sempre più alla vita italiana , fino a parteciparvi pienamente in posizione di primo piano nell ' immediato dopoguerra . Altro ostacolo principale all ' unità morale italiana provenne dalla « questione sociale » , dalla lotta di classe . E anche qui si ebbe un primo periodo di contrapposizione violenta , intransigente : i patrioti gridavano addosso al socialismo come se fosse anarchia o alto tradimento , i socialisti parlavano del proletariato che non ha patria . Ma anche qui la scissione intransigente era piuttosto nell ' immaturità reciproca , nella lotta politica occasionale e nella retorica di partito , che nella necessità delle cose e nei sentimenti ultimi ; i quali , in ogni caso , si modificarono da una parte e dall ' altra , e con loro i metodi di lotta e le realizzazioni di questa . La possibilità di enunciare nettamente , crudamente , contrasti e rivendicazioni , di agire per il riconoscimento delle proprie esigenze , chiarificò le posizioni reali e avvicinò gli spiriti . Il regime liberale si mostrò sempre più imparziale nei conflitti sociali , sempre più accogliente verso le nuove classi e le nuove forze politiche ; e queste presero sempre più coscienza dei loro vincoli con la patria comune e assunsero sempre maggiormente il loro posto entro il quadro nazionale . Parlando dell ' entrata proletaria nella vita nazionale siamo già passati al terzo punto , all ' evoluzione politica propriamente detta del Post ­ risorgimento . Il punto capitale era infatti , su questo piano , l ' immissione effettiva del popolo nel nuovo stato . Si può trovare che a questa esigenza si provvedesse assai imperfettamente , specie nel primo decennio . Una questione importantissima in Italia , date le sue tradizioni storiche , la sua struttura cittadina , la sua configurazione geografica , era quella delle autonomie locali , o decentramento , secondo il termine comune e infelice . Essa fu posta da parte quasi senza esame ; e con questo il processo del Risorgimento ebbe una grave lacuna . La semplice estensione del suffragio tardò fino al 1882 , sebbene Francia e Germania avessero da tempo il suffragio universale , e in Inghilterra si fossero successe le riforme elettorali . L ' indifferentismo del corpo elettorale , spesso rilevato in base al numero degli astenuti , mostrava come la maggiore consapevolezza delle classi superiori avesse dei limiti , e rendeva quindi più forte l ' esigenza dell ' ampliamento . Si ritornava qui al fallimento italiano ed europeo del '48 , a quella frattura nello svolgimento nazionale , a quel cambiamento nell ' indirizzo della politica europea , a quel tanto d ' incompiuto e d ' imperfetto nel processo plebiscitario unificatore , di cui abbiamo discorso . Tuttavia non conviene esagerare . Lo strumento fondamentale per la partecipazione alla vita politica e per l ' elevazione delle classi popolari era assicurato e funzionò , con le libertà pubbliche e la vita parlamentare . La monarchia costituzionale fra il 1870 ed il 1914 mostrò nell ' insieme una sua vitalità , nonostante arresti e crisi gravi ( secondo ministero Crispi , Novantotto , secondo ministero Pelloux ) , perché queste furono di breve durata e non intaccarono la struttura del regime liberale , non pregiudicarono cioè le condizioni necessarie per correggere le deviazioni e riprendere il cammino in avanti . Sia pure lentamente , la partecipazione dei nuovi strati alla vita politica andò sempre aumentando ; dopo il 1900 , essa si fece rapida e intensa coll ' entrata in scena del proletariato , di cui abbiamo già fatto cenno , alla quale si accompagnò il miglioramento economico e l ' elevazione generale nelle condizioni di vita delle classi popolari . Il tono della vita politica tornò a innalzarsi , la lotta politica riprese con intensità feconda ; già prima della guerra si arrivò al suffragio quasi universale . Poiché la monarchia costituzionale , dopo le incertezze e deviazioni temporanee , accennate sopra , si adattava e anzi presiedeva allo sviluppo liberale ­ democratico ­ sociale , nella fedeltà alla lettera e allo spirito dello statuto e dei plebisciti , si veniva corrispondentemente risolvendo e assorbendo la pregiudiziale mazziniana della costituente e del patto nazionale , donde la quasi sparizione del Partito repubblicano . In tutti e tre gli ordini , culturale , religioso , politico , l ' Italia alla vigilia della guerra del 1914 mostrava di possedere nelle realizzazioni del Risorgimento gli elementi necessari per proseguire il suo processo di sviluppo politico ­ spirituale . Le tradizioni del Risorgimento e la politica internazionale dello stato italiano Sul piano internazionale , il Risorgimento politico ­ territoriale giunto a conclusione tramandò al nuovo stato una base materiale , una tattica politica e talune direttive generali . La base materiale era l ' Italia unificata , con i suoi ventisei milioni di abitanti cresciuti rapidamente a trenta e oltre , e dotata man mano degli apprestamenti economici e tecnici e della forza militare corrispondenti . Non era una base sufficiente per primeggiare rispetto alle grandi potenze preesistenti , e neppure per gareggiare fin dal principio con esse : tuttavia , l ' Italia era una grande potenza , anche se all ' ultimo posto e non sempre riconosciuta come tale ; aveva in sé gli elementi necessari per difendersi , per far valere i suoi diritti essenziali , per prendere posto man mano nel concerto europeo , come di fatto avvenne . Il giudizio complessivo sulla posizione internazionale raggiunta dall ' Italia nel cinquantennio unitario ( nonostante ogni episodio meno felice , ogni divergenza su questo o quell ' indirizzo di politica estera ) sembra debba essere coscienziosamente positivo : la generazione post ­ risorgimentale non tradì il deposito affidatole , anche se non sempre l ' abbia amministrato nel modo migliore . Nel periodo della realizzazione politico ­ territoriale del Risorgimento , il governo piemontese e poi italiano si era appoggiato principalmente all ' alleanza francese ; anche il '66 non portò un cambiamento sostanziale perché l ' alleanza prussiana fu inquadrata bene o male in quella francese , e dopo la guerra non ebbe seguito . Tuttavia Mentana e l ' ostinazione successiva di Napoleone III sulle sue posizioni romane allentò il vincolo ; la guerra del '70 rovesciò l ' impero napoleonico e cambiò radicalmente la situazione . Si ebbe allora un nuovo contrasto fra moderatismo e Partito d ' azione : il primo preferì una politica della mano libera , mentre il secondo propugnò l ' alleanza germanica . Le visite regie del 1873 a Vienna e a Berlino rappresentarono un compromesso fra le due tendenze . Dopo le rapide , vaghe illusioni del 1877 ( alleanza con Germania e Russia contro Austria ) e le disillusioni del congresso di Berlino , le parti - - in corrispondenza con il cambiamento avvenuto in Francia - - furono quasi rovesciate : da sinistra vennero le maggiori contrarietà all ' alleanza con gli imperi centrali , da destra il maggior favore , anche se fu la Sinistra al potere ad effettuare l ' alleanza . Decisero la volontà e il criterio regi , entrando in gioco preoccupazioni dinastico ­ conservatrici contro il repubblicanesimo alleato della Francia e , al tempo stesso , irredentista contro l ' Austria . Un quindicennio di triplicismo puro finì nei disastri del secondo ministero Crispi : e allora vi fu un lento ritorno nell ' altro senso , a cui parteciparono direttamente elementi di Destra che riprendevano le antiche tradizioni . Si ebbe l ' intesa con la Francia , e poi anche con la Russia , mentre la Triplice si ridusse a puro elemento di statica europea . Attraverso questi cambiamenti rimase punto fisso , non contestato da alcuno , l ' amicizia coll ' Inghilterra , basata sulla coincidenza d ' interessi per l ' equilibrio nel Mediterraneo ( contro la Francia , eventualmente anche contro la Russia ) e risalente idealmente all ' atteggiamento favorevole dell ' opinione pubblica inglese e dello stesso governo verso la rivoluzione e l ' unità italiane ( la famosa nota Russell del 27 ottobre 1860 in favore dell ' autodeterminazione dei popoli ) . Sostanzialmente la politica estera italiana nelle sue diverse fasi ( ma specialmente nell ' ultima ) fu una politica di equilibrio . La più piccola fra le grandi potenze europee e la più giovane , collocata sull ' orlo del continente , aveva per necessità primaria l ' assenza di un dominio o predominio europeo . Era la traduzione in termini di politica strumentale del retaggio prezioso del Risorgimento , l ' indipendenza nazionale . Questo interesse aveva preminenza assoluta rispetto a qualsiasi ampliamento parziale . Di qui la cautela verso l ' irredentismo anche quando ne fu neutralizzato il carattere repubblicano antidinastico . E tuttavia , nonostante ogni prudenza , si ebbero conseguimenti importanti per Tripoli , per i Balcani , per il Mediterraneo orientale . L ' alleanza con l ' Austria aveva un elemento di contrasto con le tradizioni e le idealità del Risorgimento . Non si trattava solo della rinunzia all ' irredentismo , che in ogni caso si sarebbe dovuto accantonare per la situazione generale europea ( neanche la Francia poté avere la sua guerra per l ' Alsazia ­ Lorena ) . Oltre l ' irredentismo , era in gioco la politica verso i popoli balcanici e le nazionalità slave e rumena dell ' Austria ­ Ungheria . Le due direttive , moderata ( Balbo ) e mazziniana , tornarono ad urtarsi . Una specie di diagonale fu rappresentata dall ' articolo 7 della Triplice ( compensi all ' Italia in caso di occupazioni austroungariche nei Balcani ) ; in realtà , con quell ' articolo si rimaneva sul terreno della vecchia politica . Eravamo impegnati alla politica di conservazione dell ' Austria Ungheria e della Turchia , le cui sorti erano legate più che mai secondo l ' intuizione mazziniana . Se alla conservazione fosse andata unita una evoluzione , preparante la libertà e l ' assetto nazionale dei popoli nei due imperi , niente di meglio . Così non fu ; né all ' Italia può spettare in questo la parte di responsabilità maggiore . Ne derivarono la guerra del 1914 e le rivoluzioni danubiano ­ balcaniche del 1918 . VII CRISI DEL POST ­ RISORGIMENTO Mussolinismo e nazionalismo Lo scoppio della guerra europea al principio dell ' agosto 1914 sconvolse dalle fondamenta la politica estera italiana , basata sull ' alleanza con uno dei due gruppi di potenze in guerra e sulle intese con i membri dell ' altro gruppo ; E lo sconvolgimento si propagò quasi immediatamente alla politica interna . Ebbe inizio , per lo stato italiano del Post ­ risorgimento , una crisi ; crisi che maturò negli anni 1915­22 , scoppiò apertamente in quelli seguenti , e volse a catastrofe . Chi avesse fatto il punto dello svolgimento politico italiano alla vigilia della guerra europea - - il cinquantenario del Regno ne offriva l ' occasione migliore - - avrebbe trovato che esso era un punto culminante . L ' Italia stava realizzandosi come democrazia nazionale , liberale e sociale . Vi era tuttavia un fattore generale di debolezza nella ancor limitata diffusione dell ' educazione politica , e nella conseguente ristrettezza di base della classe dirigente . La vita politica italiana somigliava a un adolescente di complessione delicata , che presenta un rigoglio giovanile , ma non è assicurato ancora contro malattie di costituzione , pericolose per la sua esistenza . Precisamente a malattie costituzionali del genere si potevano paragonare due nuovi fattori della vita politica italiana , entrati in campo alla vigilia della guerra e in considerazione dei quali si deve affermare che la crisi interna italiana precedette , in realtà , quella estera . I due nuovi fattori erano il socialismo mussoliniano e il nazionalismo , allora in antitesi estrema apparente , in realtà affini e destinati in pochi anni a confondersi insieme . La ripresa rivoluzionaria del socialismo italiano , durante e subito dopo la guerra di Libia , fu qualcosa di assai diverso dalla tendenza intransigente che nel decennio anteriore aveva lottato , in seno al partito socialista , contro il riformismo . Benito Mussolini non faceva questione di collaborazione o meno con i partiti e i governi borghesi , ma propugnava ( contro tutto lo svolgimento del socialismo , da Marx in poi ) l ' azione diretta come metodo normale di lotta politica . Il mussolinismo veniva a rinnegare il gioco normale dei partiti , la vita parlamentare , il metodo liberale , l ' evoluzione progressiva e consensuale . Esso si incontrava col precedente sindacalismo , trasponendone metodi e spirito dalla lotta sindacale a quella politica : ispiratore comune Georges Sorel , il cui verbo ebbe allora larga diffusione in Italia , dai pulpiti più diversi , e da cui molta gente apprese il culto della violenza e l ' odio della democrazia . In quel culto e in quest ' odio il neorivoluzionarismo mussoliniano si trovò appunto a comunicare col nazionalismo . Questo movimento sorse fra noi negli anni immediatamente precedenti alla guerra libica , e crebbe durante essa a importanza nazionale . Gli iniziatori provennero dalle più diverse parti : dal campo conservatore ­ liberale , dalla democrazia irredentistica , dal sindacalismo , e fraternizzarono dapprima in un generico slancio patriottico per l ' elevazione e la grandezza d ' Italia . Dietro questo patriottismo generico , però , c ' erano una dottrina politica , una ideologia e un metodo di lotta politica , che andarono assumendo lineamenti sempre più precisi , con un processo parallelo di secessione e di ricomposizione nel corpo degli adepti . L ' ideologia del nazionalismo italiano era una combinazione di positivismo spenceriano ( lotta per l ' esistenza , selezione , trionfo del più forte ) e di statalismo tedesco hegeliano o neohegeliano , fusi nello stampo dottrinario del nazionalismo francese di Daudet e Maurras ; e la fusione era impregnata di retorica patriottarda e imperialistica , e di nietzscheismo bellicistico , eroicizzante , antiumanitario : maestro nell ' una e nell ' altro Gabriele D ' Annunzio . Era dunque un ' ideologia di molteplici impronte , quasi tutte estere , completamente estranea alle tradizioni italiane del Risorgimento , direttamente opposta al suo spirito liberale e umanitario . Questo spirito , il nazionalismo italiano coscientemente lo rinnegava , dichiarando che l ' unica cosa importante nel processo risorgimentale era stata la formazione territoriale ­ statale , di cui le idealità del Risorgimento dovevano considerarsi semplici strumenti occasionali , da gettar via , a formazione compiuta , come inutili ingombri , o piuttosto da eliminare come fermenti di dissoluzione . Ideale politico del nazionalismo era la distruzione del liberalismo , della democrazia , del socialismo , per il dominio dispotico dello Stato ­ nazione , ente puramente astratto e formale nei suoi lineamenti teorici , ma che in pratica assumeva le funzioni di un idolo : Moloch ingoiante i cittadini sacrificati al suo nume . Era una risurrezione dell ' antico Stato assoluto , ma assai peggiorato , perché se ne estendeva illimitatamente il potere e l ' arbitrio , abbandonandone il vecchio contenuto morale ; e così il nazionalismo si costituiva come ripresa inasprita e peggiorata dell ' Antirisorgimento . Con questa ideologia il nazionalismo non poteva trovare i suoi appoggi che negli elementi più retrivi della nazione ; e tali appoggi furono i denari dei siderurgici e i voti dei clericali . Questi erano allettati dalla lotta antimassonica e antiliberale del nazionalismo , dalla larga parte ch ' esso riserbava all ' influenza ecclesiastica , dall ' esaltazione del papato ( in quanto potenza politica , non in quanto fattore religioso ) come elemento costitutivo , fondamentale della grandezza italiana . L ' alleanza con i clericali più spinti completava e svelava il carattere nettamente antirisorgimentale del nazionalismo . E tuttavia esso , ostentatamente antiliberale , penetrò anche largamente nel campo liberale , in quanto i liberali italiani erano divenuti in gran parte dei semplici antisocialisti conservatori e anzi reazionari ; e , inaciditi per l ' esclusione dal potere , non pensavano che a riprenderlo con tutti i mezzi , non rifuggendo neppure da un ' opera disgregatrice che meritò ai più estremisti di loro la qualifica di anarchici . A questi simpatizzanti « liberali » , e in genere ai « benpensanti » , il nazionalismo si imponeva con i suoi metodi di lotta presi in prestito ai « sovversivi » : linguaggio e gesti violenti , aggressività personale , tumultuarietà piazzaiuola . Il contenuto reazionario , cioè , si realizzava attraverso il metodo demagogico : alleanza che , con la complicità dei « conservatori anarchici » , doveva divenire nel dopoguerra una chiave della politica italiana . Dalle giornate di maggio alla marcia su Roma La politica estera dei nazionalisti era imperialistica , diretta puramente all ' espansione materiale della nazione , senza riconoscimento dei principî ideali e di valori universali per l ' ordinamento internazionale ; e cioè , anche qui , in antitesi diretta col Risorgimento sia quello di Cavour , sia , e ancor più , quello di Mazzini . Erano fautori dell ' alleanza germanica , e anzi la consideravano come qualcosa di permanente e necessario , perché da essa attendevano una guerra di conquista mediterranea e coloniale a spese della Francia e dell ' Inghilterra , senza curare il problema fondamentale di un soddisfacente assetto europeo . La dichiarazione di neutralità italiana e le disposizioni degli spiriti in Italia li indussero , senza troppi scrupoli , a rovesciare le loro posizioni , e a passare dalla parte antigermanica , cercando di farsene i capi . Con l ' attacco dell ' Austria alla Serbia e la guerra europea derivatane , la politica triplicistica dell ' Italia , dopo un trentennio , si trovava scossa alle basi . La preoccupazione di difesa contro la Francia era ormai svanita , mentre ingigantiva la preoccupazione per l ' espansione austriaca nei Balcani . In quanto al motivo conservatore ­ dinastico , che tanta importanza aveva avuto per la fondazione della Triplice , esso aveva già perduto ogni efficacia , di fronte agli svolgimenti interni italiani : riprendeva invece , trionfante , l ' irredentismo , non più legato al repubblicanesimo antidinastico , e con esso la tradizione del Risorgimento e l ' ideologia nazionale democratica ( di cui la Triplice Intesa si faceva paladina ) , non senza forte concorso della francofilia massonica largamente diffusa in Italia . A questa ideologia parvero aderire i nazionalisti italiani , abbandonando le loro concezioni imperialistiche e reazionarie : in realtà , essi portarono intatto nel campo democratico il loro spirito , e particolarmente il loro demagogismo . Altrettanto può dirsi dell ' altro passaggio , quello di Mussolini , dal neutralismo del partito socialista all ' interventismo , passaggio in cui egli poté affiancarsi con i sindacalisti rivoluzionari . In tutti e tre i casi , lo spiritus rector , o motivo conduttore , era quello della guerra per la guerra , e cioè della violenza , demolitrice del vecchio mondo liberale ­ democratico ­ pacifistico . Era uno spirito in diretto contrasto con quello dell ' altra ala dell ' interventismo , la democratica : numericamente assai superiore , e anche politicamente , ove si guardi alle posizioni acquisite ; ma che , nella lotta per l ' intervento e nei successivi contrasti col neutralismo , fu largamente dominata dal « dinamismo » demagogico degli alleati ­ nemici . Di fronte all ' amalgama interventistico , quello neutralistico non era molto più omogeneo : conservatori che potevano definirsi neutralisti della paura ; cattolici , largamente ispirati da motivi confessionali ; socialisti , di un pacifismo dommatico e obbedienti a una disciplina meccanica di partito ; infine nazionali puri , « apartitici » , che volevano la neutralità indifferenziata e manovrata , rivolta a cogliere le migliori occasioni per la tutela e l ' ingrandimento d ' Italia , senza rendersi conto delle forze ideologiche , passionali , necessariamente di carattere universalistico , scatenate dal conflitto europeo . Tutto lo schieramento politico italiano e la struttura stessa dei partiti rimasero sconvolti dalla nuova spartizione fra interventisti e neutralisti , con arresto e compromissione dello svolgimento politico post ­ risorgimentale , e cioè della formazione di una democrazia nazionale . Le giornate di maggio portarono lo sconvolgimento all ' estremo . Con la vittoria clamorosa , schiacciante , dell ' interventismo sul neutralismo - - vittoria che annullò quanto di proficuo , proprio dal punto di vista di una politica nazionale , era pur contenuto nel secondo - - si ebbe anche il trionfo della « piazza » sul parlamento , e il bando dalla nazione del capo della maggioranza parlamentare , Giolitti , infamato come traditore . Crollò così tutta la situazione politico ­ parlamentare formatasi dopo il 1900 , situazione che aveva sostenuto lo sviluppo politico ­ sociale del paese , congiungendo democrazia liberale e socialismo nei « blocchi popolari » e in parlamento . Il socialismo si ritrasse in una passiva opposizione di principio alla guerra , ai margini della vita nazionale , e la corrente conservatrice ­ reazionaria , che avrebbe voluto addirittura estrometterlo da questa vita , prese il sopravvento . La maggioranza interventista della democrazia rinnegò il suo capo ed i suoi alleati di ieri , accettandone la scomunica nazionale , mentre la minoranza neutralistica si chiuse , per lo più , in un ' acida politica di punzecchiature recriminatorie . Dominò la commistione di nazionalismo e mussolinismo ( cioè il fascismo già nato ) ; e così quella che fu detta , e in un certo senso fu , l ' ultima guerra del Risorgimento , si aprì con una profonda scissione morale , entro cui cacciò il suo ferro avvelenato L ' Antirisorgimento . Sarebbe potuta e dovuta intervenire la monarchia , pronunziando la parola pacificatrice e riparatrice , a difesa e salvezza di quella che era pure stata la sua politica , e di colui che era pure stato il suo uomo . Essa disertò , per incomprensione morale o per calcolo machiavellico , il suo còmpito : e fu la prima delle sue diserzioni nel trentennio fatale che vide il passaggio dal Post ­ risorgimento all ' Antirisorgimento . La scissione e la rissa interventistico ­ neutralistiche serpeggiarono durante tutta la guerra ; la corrente di patriottismo , che pure scorse larga e impetuosa specie dopo Caporetto , non valse ad eliminarle , e le dispute sulle cause di quella sconfitta e poi sui risultati della guerra le ravvivarono . Si ebbe tuttavia qualche tempo dopo la fine della guerra una riconciliazione tra democrazia interventistica e neutralistica ; ma non si riformarono una maggioranza in parlamento , e una situazione politica nel paese , di democrazia liberale e sociale . Vi fu uno sfaldamento miserabile di gruppi parlamentari , con vecchie e nuove scissioni personali . Nel polverizzamento di liberali e democratici si contesero il campo le nuove forze del socialismo massimalista , del popolarismo , del fascismo . Le due prime erano riuscite trionfanti dalle elezioni del 1919 , che segnarono l ' esautorazione della vecchia classe dirigente senza sostituirne una nuova . Il socialismo massimalista , rivoluzionario a parole , nullo nei fatti , perpetuò la divisione tra proletariato e democrazia formatasi per la guerra . I popolari , che avevano attratto a sé buona parte delle truppe liberali ­ conservatrici , non superarono l ' orizzonte della politica particolaristica e confessionale . Dalla moltitudine accozzata , senza coscienza politica e senza consistenza di classe , dei senzapartito , trasse le sue reclute il fascismo , sfruttando i sentimenti e gli interessi più diversi . Esso fece leva sul malcontento dei « combattenti » piccolo ­ borghesi ; sul patriottismo apolitico ( anch ' esso prevalentemente piccolo ­ borghese ) esasperato da qualche eccesso , artificiosamente ingrandito , del postumo neutralismo socialista , e più ancora dal mito - - di fabbrica machiavellico ­ demagogica del nazionalismo - - della « vittoria mutilata » o « tradita » ( in realtà , da un punto di vista puramente politico ­ territoriale , nessun paese aveva tanto guadagnato dalla guerra quanto l ' Italia , e i danni reali , non suoi soltanto , ma di tutta l ' Europa , andavano cercati in tutt ' altra direzione ) ; e soprattutto sulla paura del bolscevismo . Fu spalleggiato vigorosamente da agrari , industriali , massoni , « liberali » , e innanzi tutto dai nazionalisti . Questi ultimi divennero sempre più i veri ispiratori del movimento , che andò perdendo rapidamente quel tanto o quel poco che c ' era originariamente in esso di democratico ­ nazionale , e assunse fisionomia schiettamente reazionaria ­ antirisorgimentale . Dal nazionalismo , dal sindacalismo , e soprattutto dall ' arditismo di guerra il fascismo trasse - - duce Mussolini - - il metodo dell ' azione diretta ( cioè della violenza materiale ) , applicato contro il socialismo , e poi contro tutti gli avversari ; e nell ' applicazione di questo metodo si sostanziò la sua attività politica , inerti o complici le autorità statali e i ceti dirigenti . Si arrivò così alla « marcia su Roma » : che tuttavia sarebbe fallita - - e con essa si sarebbe avuta la liquidazione del fascismo - - se il monarca non avesse spezzato in mano al governo legale l ' arma di difesa , e chiamato al potere il capitano della rivolta contro lo Statuto e contro lo stato nazionale del Risorgimento . Dalla marcia su Roma al fascismo totalitario Con quella chiamata , re Vittorio Emanuele III di Savoia ­ Carignano si costituì responsabile diretto e primo di tutti gli svolgimenti anticostituzionali , antiliberali e antirisorgimentali del regime fascista . Questo ebbe dapprima qualche ambiguità di atteggiamento , grazie al gioco di equilibrio mussoliniano tra il fascismo puro e filofascismo « liberale » : ambiguità che ebbe la sua manifestazione tipica nel « listone » governativo per le elezioni del 1924 . Dopo il delitto Matteotti e le reazioni antifasciste - - immobilizzatesi nella passività dell ' « Aventino » , - - ogni ambiguità scomparve , tanto da costringere all ' opposizione , tardiva e impotente , anche quasi tutti i « liberali » . Mussolini allora , sgominati con la forza statale e con quella di partito tutti gli avversari , costruì integralmente lo stato fascista , dittatoriale ­ totalitario ; e il nazionalfascismo ( nazionalisti e fascisti si erano fusi anche formalmente all ' indomani della « marcia su Roma » ) si realizzò pienamente come Antirisorgimento , con la soppressione di tutte le libertà , l ' esautorazione e la distruzione del parlamento , la giustizia sottomessa al potere politico , il privilegio di partito annullante l ' eguaglianza fra i cittadini , lo sfruttamento dell ' economia nazionale a favore di bande di profittatori , l ' asservimento e l ' inquinamento della coltura nazionale per opera di concezioni grossolane e inconsistenti , che rinnegavano i principî umanistici fondamento della nuova Italia . Complice necessaria in quest ' opera di distruzione fu la Corona , la quale lasciò mano libera al fascismo e moltiplicò le manifestazioni spontanee di adesione ad esso . Così facendo , re Vittorio Emanuele III venne meno al giuramento e agli impegni della sua ascesa al trono , capovolse la politica da lui seguita nell ' anteguerra , abbandonò i fondamenti giuridici e le tradizioni morali della monarchia italiana uscita dal Risorgimento , e di questa monarchia distrusse la sostanza stessa , che era appunto nell ' associazione della dinastia sabauda con la libertà e con l ' autogoverno della nazione . Tra il 1922 e il 1926 la monarchia esistente in Italia dal 1861 venne meno , sostituita da un istituto indefinito e indefinibile , privo in pari grado di base legale e di consistenza politico ­ morale . Non si trattò di un ritorno ( che del resto non avrebbe avuto alcuna legittimità o giustificazione ) alla vecchia monarchia assolutistica dei Savoia del primo ramo . Il regime fascista era anzi , nella sua effettività politica e nei suoi incerti e rozzi tentativi di formulazione ideologica , la negazione di una simile monarchia ; bensì , attribuendo al monarca , e al monarca soltanto , la nomina e il congedo del capo del governo e la sanzione degli atti governativi , combinava ibridamente il totalitarismo di partito e la dittatura ducista con l ' arbitrio regio , in modo tale che sul re veniva a cadere la responsabilità finale di tutto . In pratica , sebbene il re fosse ridotto a una funzione di timbratura degli atti del regime , egli copriva questi atti con l ' autorità e il prestigio della monarchia . Ciò valeva soprattutto per l ' esercito , i cui capi non avevano mai superato il concetto feudale ­ assolutistico della fedeltà personale al monarca , e trovarono quindi nella sanzione data da lui al regime la giustificazione per tollerare o promuovere quella fascistizzazione dell ' esercito nazionale di cui si videro nel settembre 1943 i risultati finali . Dopo la monarchia , l ' alta borghesia , e più specialmente la cosidetta plutocrazia , fornì pure al regime un complice sostegno . Abdicando a quella che era stata la ragion d ' essere dell ' impresa capitalistica ( l ' iniziativa economica responsabile per l ' incremento della produzione ) , essa accettò tutti i capricci e gli aborti dell ' economia fascista , in cambio dei propri personali profitti conseguiti in un ' economia chiusa e dittatorialmente regolata , e in cambio della distruzione del sindacalismo operaio e della stessa personalità morale del lavoratore . Potremmo aggiungere , a questa enumerazione dei complici del fascismo , i conservatori , ciechi per settarietà e per paura ' ' rinneganti ogni autentico principio di conservazione ; e una gran parte del mondo dell ' alta coltura , datasi a praticare un opportunistico conformismo nei riguardi del regime , seminando la confusione nei cervelli e la demoralizzazione nei cuori . A rafforzare lo stato di asservimento del popolo italiano venne l ' intesa tra il Vaticano e il fascismo , fondata , o manifestatasi , con i patti del Laterano ( 1929 ) . Occorre nettamente distinguere in questi il contenuto materiale dalle condizioni politico ­ morali in cui furono stretti , e dai risultati che ne provennero per la situazione generale italiana . Il componimento della questione romana nella sua sostanza ( Città del Vaticano ) corrispondeva a soluzioni vagheggiate nel Risorgimento e nel Post ­ risorgimento , ed era poco più che una sistemazione bilaterale della legge delle guarentigie . Più vario e complesso giudizio sarebbe da fare - - ma non è qui il luogo , - - del Concordato , a seconda delle diverse clausole e di certi enunciati di principio . Ma il punto capitale , in questo nostro scorcio storico , è il momento politico in cui i patti del Laterano furono stretti , il loro Sitz im Leben ( secondo l ' efficace espressione tedesca ) , cioè il collocamento da essi trovato e la funzione vitale assunta nella crisi totale della vita politica italiana . L ' avviamento delle trattative venne a coincidere con l ' instaurazione piena della dittatura fascistico ­ mussoliniana , erigentesi sulla caduta del vecchio regime liberale ­ democratico , che era altresì l ' unico legale , l ' unico che potesse pretendere di rappresentare la libera volontà degli Italiani . Così gli accordi furono conclusi sul corpo dell ' Italia serva e dolorante , venendo ad affiancarsi alla cacciata dal parlamento dei legittimi rappresentanti del popolo , alla soppressione definitiva di tutte le libertà , al confino politico e al tribunale speciale . L ' effetto morale inevitabile fu di una sanzione ecclesiastico ­ papale all ' operato del fascismo e di colui che il pontefice , all ' indomani degli accordi , giudicò uomo provvidenziale : effetto confermato dall ' intervento ufficiale dei cattolici a favore del regime nelle « elezioni » che seguirono immediatamente . Risultato naturale fu l ' intesa che si stabili in tutta Italia fra le gerarchie ecclesiastiche e fascismo , la quale , mentre ribadì potentemente i ceppi del popolo italiano , dette , con il « clericofascismo » , l ' ultimo efficacissimo tocco al carattere antirisorgimentale del nuovo regime . Né il violento , ma breve conflitto fra governo fascista e Santa Sede ( 1931 ) per l ' Azione cattolica , né i contrasti occasionali fra i due poteri cambiarono questo stato di cose . Solo negli ultimi tempi del pontificato di Pio XI si ebbe la sensazione di un allontanamento tra Palazzo Venezia e Vaticano . La catastrofe Il regime liberale aveva lasciato a quello fascista , in politica estera , una eredità preziosa , il trattato di Rapallo : preziosa per le stipulazioni specifiche del trattato , e per le virtualità e gli additamenti in esso contenuti . Quel trattato , insieme al precedente di Saint ­ Germain , aveva completato per l ' Italia l ' opera del Risorgimento , e le aveva assicurato una sistemazione territoriale sufficientemente favorevole per far giudicare antinazionale qualsiasi tentativo da parte nostra di rimetterla in questione . Al tempo stesso erano poste le premesse di quella collaborazione fra l ' Italia e le giovani nazionalità balcaniche , additata già dal genio di Mazzini come la via maestra per la sicurezza e la grandezza del nostro paese . Il fascismo accettò materialmente l ' eredità di Rapallo senza farne proprio lo spirito , per esso inintelligibile ; e in questa inintelligenza trovò un compagno nel nazionalismo jugoslavo , più particolarmente croato . Le relazioni con la Jugoslavia si andarono facendo sempre più cattive ; il restringimento graduale dei vincoli fra le nazioni balcaniche ( compresa la Turchia ) si effettuò non sotto , ma contro l ' influenza italiana , lasciandole come solo campo d ' attività l ' irredentismo bulgaro , in contrasto con il còmpito pacificatore che essa avrebbe dovuto espletare ; con la Piccola Intesa , i buoni rapporti avviati al tempo di Rapallo fecero luogo a uno spirito di ostilità e all ' esclusiva influenza francese . Nei riguardi della Germania e del problema germanico , Mussolini iniziò il suo governo ponendosi a rimorchio della inintelligente politica di Poincaré ; quindi serbò un contegno di passività rispetto alla politica di Locarno , si tenne distante dalla Germania repubblicana e da Stresemann , come si mostrò ostile o almeno sprezzante verso la Società delle nazioni e gli ideali di pacificazione e collaborazione europee . Dopo il 1930 il fascismo si dette a sventolare demagogicamente la bandiera del revisionismo , proprio quando lo sgombero renano e la nuova sistemazione , o liquidazione , delle riparazioni , avevano sanato le piaghe maggiori di Versailles , e l ' ascensione del nazionalsocialismo tedesco - - favorita dal fascismo - - minacciava la pace europea e quello stato di cose che garantiva i frutti della vittoria italiana . Quando però Hitler mostrò i suoi appetiti verso l ' Austria , Mussolini ebbe un momento di lucido intervallo , con la « politica di Stresa » , cioè l ' intesa con le potenze occidentali . Ma l ' irrimediabile miopia del nazionalfascismo fece concepire e praticare anche quella politica sulla base dello spicciolo e opportunistico do ut des : quello che era interesse italiano primario , vitale , fu posposto , con l ' avventura etiopica , alla smania della conquista coloniale e al sogno grottesco di una « risurrezione dell ' impero » . Da quell ' avventura derivò la rimilitarizzazione renana , preludio della seconda guerra europea . Alle realizzazioni dell ' imperialismo hitleriano Mussolini prestò man forte con la politica dell ' « asse Roma ­ Berlino » , ispirata dagli interessi di partito del fascismo , fino all ' alleanza offensiva e difensiva del « patto d ' acciaio » , che pose l ' Italia alla mercé di Hitler , e fino alla partecipazione alla guerra scatenata da questo per il dominio nazional - socialista sull ' Europa e sul mondo , e per la distruzione della civiltà latina , europea e cristiana . L ' Italia era così costretta ad una guerra in cui , sconfitta , avrebbe perduto molto , vittoriosa , avrebbe perduto tutto : l ' indipendenza , la libertà , l ' onore e la sua stessa ragion d ' essere . Fu l ' apostasia finale del Risorgimento , il tradimento supremo verso la nazione . Dell ' apostasia e del tradimento fu complice necessaria , ancora una volta , la monarchia sabauda , che suggellò così la sua sentenza , scritta già da un quindicennio . Per opera della monarchia sabauda il Post ­ risorgimento si era concluso nell ' Antirisorgimento . La sospensione nello sviluppo istituzionale italiano avvenuta coi plebisciti cessava , il compromesso attuato mediante la monarchia costituzionale veniva meno . Al popolo italiano , abbandonato a se stesso dal tradimento dinastico , non rimaneva che prendere in mano da solo il proprio destino .