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> categoria_s:"StampaPeriodica" > anno_i:[1880 TO 1910} > autore_s:"VAILATI GIOVANNI"
I TROPI DELLA LOGICA ( VAILATI GIOVANNI , 1905 )
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Words as a Tartar ’ s bow do shoot back upon the understanding [ le parole , come l ’ arco dei Tartari , colpiscono indietro sul nostro comprendere ] Fr . Bacon ( Adv . of learn , XIV ( II ) ) La difficoltà di descrivere , rappresentare , classificare le attitudini e le operazioni mentali senza ricorrere a metafore desunte dal mondo fisico da lungo tempo ha richiamato l ’ attenzione dei filosofi . Essi non hanno mancato di utilizzar questo fatto per cavarne , a seconda delle loro speciali preferenze , le conclusioni più opposte e disparate . Così mentre il Locke ( Essay III , I , § 5 ) vede in esso una prova e una verifica della sua tesi “ che tutte le nostre nozioni hanno origine dalle impressioni dei sensi ” , il Leibniz invece cerca trarne partito in favore della primordialità delle intuizioni spaziali ( direzione , distanza , moto ecc . : Nouveaux Essais , III , I , § 5 ) . L ’ esame dei vantaggi e degli inconvenienti che l ’ impiego di queste metafore presenta , offre nondimeno un campo di ricerca che si può dire quasi affatto inesplorato . La recente pubblicazione di un volume ( Lady Victoria Welby , What is Meaning ? , London , Macmillan , 1903 ) nel quale è richiamata attenzione all ’ importanza di questo genere di ricerche , mi dà occasione di esprimere in proposito qualche osservazione . Benché di questo argomento non abbiano mancato di occuparsi i cultori di quel ramo di psicologia applicata che i greci chiamavano la retorica , pure le loro trattazioni , dato il fine pratico che avevano in vista , non potevano che riferirsi , quasi esclusivamente , all ’ impiego delle metafore come mezzo di persuasione o di allettamento , e solo incidentalmente al loro ufficio nella prova e nella ricerca . Ciò non toglie che anche in esse si trovino osservazioni di non trascurabile portata filosofica , come ad esempio quella con la quale Aristotele , precorrendo il concetto moderno del simbolismo come un mezzo per economizzare il pensiero , afferma che la causa , per la quale le metafore e i paragoni piacciono e predispongono l ’ ascoltatore in favore di chi li fa , è che essi lo mettono in grado di schivare della fatica , utilizzando in certo modo le cognizioni che già possiede , per l ’ acquisto e l ’ ordinamento di quelle che si vogliono comunicare . A chi si proponga un ’ indagine sistematica sull ’ uso delle metafore come mezzi di rappresentazione dei fatti mentali si presentano due vie da seguire . Allo stesso modo come , in idrodinamica , volendo studiare l ’ andamento di un liquido in moto , si può prendere a considerare una determinata sezione della vena fluida , determinando la velocità e la direzione delle varie porzioni di liquido che passano successivamente per essa , oppure considerare , invece , una data porzione del liquido , determinando la velocità e le direzioni che essa assume successivamente nell ’ attraversare le successive sezioni , così anche qui , o si può partire dalla considerazione di una determinata immagine , esaminando quali siano i vari fatti mentali che essa può essere adoperata a rappresentare , oppure partire da un determinato processo mentale , e passare in rassegna le diverse immagini suscettibili di rappresentarlo . La convenienza di seguire l ’ una piuttosto che l ’ altra di queste due vie è soggetta a variare a seconda dei casi . È naturale che i vantaggi di seguire la prima si presentino tanto più grandi quanto più numerose sono le diverse applicazioni possibili di una data immagine ai processi mentali , mentre la seconda via è tanto più opportuna a seguire quanto più numerose sono le immagini diverse mediante le quali uno stesso procedimento mentale è stato , o può essere , rappresentato . I casi di questa seconda specie si presentano come assai più importanti di quelli della prima per chi , oltre che dall ’ interesse puramente teorico di approfondire l ’ analisi del meccanismo dei processi mentali , sia mosso anche dall ’ intento , relativamente pratico , di ricavare , da tale analisi , delle norme atte a regolare il gioco delle attività dello spirito e a disciplinare il loro svolgimento . È quindi ad essi che sarà rivolta specialmente attenzione nelle seguenti osservazioni , nelle quali , appunto per tale ragione , il procedimento seguito sarà il secondo dei due che ho sopra distinti . Il miglior modo di far rilevare la portata filosofica , che le ricerche sopraddette sono atte ad assumere , mi sembra sia quello di presentarne l ’ applicazione a qualche esempio concreto . Quello che si presenta come più opportuno a tale scopo è quello delle metafore rappresentatrici dell ’ operazione del dedurre . I vari tipi di immagini , adoperate per esprimere il fatto che una data affermazione è deducibile da un ’ altra , si possono classificare grossolanamente sotto i tre seguenti capi : 1 . quelle nelle quali si ricorre al concetto di appoggio , o a quello di sostegno , come avviene , ad esempio , quando si dice che date conclusioni si “ basano ” o si “ fondano ” su date premesse , oppure “ dipendono ” ( o anche “ pendono ” ) da esse , o si “ riattaccano ” ad esse . È così che si parla dei “ fondamenti ” della geometria , delle “ basi ” della morale ecc . ; 2 . quelle che si riferiscono alla relazione di contenere , o includere . Queste si suddividono in due gruppi , a seconda che la conclusione si riguardi come contenuta nelle premesse , oppure , al rovescio , queste ultime si riguardino come contenute nella conclusione , riguardando invece la deduzione come un ’ analisi , o una riduzione , come un ’ operazione , cioè , analoga a quella di un chimico che decompone un corpo nei suoi elementi . Nel primo caso le premesse sono concepite come implicanti , nel secondo come esplicanti ( spieganti ) la conclusione che da esse si deduce ; 3 . le metafore del salire e dello scendere , come quando si parla di conseguenze che “ discendono ” da dati principi , o dei principi ai quali si “ risale ” , o come quando si paragona il “ corso ” del ragionamento a quello di un fiume , e si parla di proposizioni che “ derivano ” ( déecoulent ) o “ sgorgano ” o “ erompono ” o “ emanano ” ecc . dalle premesse da cui sono “ tratte ” . A questo stesso gruppo , o al precedente , si possono aggregare anche le metafore a base biologica , nelle quali si concepiscono le conseguenze di date premesse come “ generate ” dalle medesime o le premesse come delle “ radici ” o dei “ semi ” , ecc . Una caratteristica del primo gruppo di metafore , di quelle cioè che rappresentano il dedurre come un “ appoggiare ” o “ appendere ” un ’ affermazione ad un ’ altra , consiste in ciò che esse si prestano a dar corpo a una delle più radicali obbiezioni che possono essere sollevate contro la deduzione come mezzo di prova , all ’ obbiezione cioè che Leibniz qualificava ( con un ’ immagine che si riferisce , come vedremo , al secondo gruppo di metafore da noi considerate ) col nome di “ difficultas Paschaliana de resolutione continuata ” . Questa obbiezione - che certamente Pascal non è stato il primo a sollevare e che non ha mai cessato di essere enunciata , sotto le forme più diverse , a cominciare da quando il concetto della deduzione come forma speciale di ragionamento si presentò alla mente dei primi sofisti greci - consiste nell ’ osservare che tutti i processi , nei quali si cerca provare qualche affermazione deducendola da altre , si devono basare in ultima analisi su delle affermazioni che alla loro volta non possono essere dedotte da alcun ’ altra , , su affermazioni , cioè , che non possono essere provate se non ricorrendo a qualche altro procedimento ( induzione , intuizione , ecc . ) di cui la deduzione non può garantire la validità ( l ’ obbiezione è espressa colla massima energia da Aristotele , Analyt . Poster . , lib . I , cap . 3 ) . La certezza , quindi , che compete alle conclusioni di un ragionamento deduttivo , per quanto rigoroso , non può in alcun modo esser ritenuta superiore a quella che siamo disposti ad attribuire a delle affermazioni non giustificabili per mezzo di deduzione , di modo che la deduzione , lungi dal dover essere riguardata come il tipo dei processi mentali che conducono a conclusioni sicure , sarebbe da riguardare solo come un mezzo per fare partecipare un maggior numero di affermazioni alla certezza che , indipendentemente affatto da ogni ragionamento deduttivo , alcune nostre credenze già possederebbero . Chi deduce non sarebbe quindi un produttore , ma un distributore di certezze , un rivenditore al minuto di una merce che la sua attività non contribuisce in alcun modo a produrre . A quali artifici fossero costretti a ricorrere quelli tra i filosofi ai quali premeva difendere la dignità e il valore probativo della deduzione contro l ’ obbiezione suddetta , si vedrà meglio quando passeremo ad esaminare il secondo gruppo di metafore rappresentatrici della deduzione , quelle cioè che potremmo caratterizzare come le metafore chimiche . Ciò che per ora importa notare è che , qualunque opinione si possa avere sull ’ esistenza o no di premesse che non abbiano bisogno di essere alla loro volta provate , essa non può affatto pregiudicare la questione del maggiore o minor valore della deduzione , considerata anche soltanto come mezzo di accertamento delle nostre cognizioni . Non ostante , infatti , le suggestioni contrarie , derivanti dalle immagini che rappresentano le premesse come delle “ colonne ” o degli “ uncini ” da cui le conclusioni sono sostenute , i vantaggi che si ricavano , in riguardo alla certezza delle nostre opinioni , dal riconoscere che una proposizione è deducibile da altre , non consistono sempre , né esclusivamente , nel fatto che essa venga in tal modo a fruire della maggior certezza di cui queste ultime godono . Il caso opposto , quello cioè nel quale la verità e la certezza delle conclusioni , deducibili da date premesse , serve ad accrescere e a consolidare la certezza delle premesse medesime , non è né meno frequente né meno importante a considerare . I due vantaggi si riscontrano , anzi , ben raramente disgiunti l ’ uno dall ’ altro , in quanto non v ’ è ramo di ricerca ( neppure la geometria ) nel quale le premesse siano così indubitabilmente sicure da non poter ricevere qualche ulteriore plausibilità dal fatto di condurre a conclusioni approssimativamente verificabili , mentre non v ’ è nessun fatto ( ad eccezione , forse , delle cosiddette testimonianze della coscienza , escludenti ogni elemento di previsione ) la cui credibilità non possa eventualmente essere accresciuta dal fatto di essere in accordo con le conseguenze di qualche teoria anteriormente accettata . Il che è tanto vero che , quando ci troviamo davanti a fatti eccezionalmente strani ( cioè troppo in contrasto con quelli che le nostre prevenzioni ci condurrebbero ad aspettare ) , quelle constatazioni , o testimonianze stesse , che basterebbero a farceli credere se il suddetto contrasto non sussistesse , sono spesso insufficienti a con vincerci della loro realtà : come avviene , per esempio , nei casi ai quali si applica la celebre argomentazione di Hume sui miracoli . La relazione tra le premesse e le conclusioni di un ragionamento deduttivo non è quindi correttamente descritta dal dire che queste si appoggiano su quelle , a meno che , all ’ immagine volgare di un oggetto appoggiato a un altro , si sostituisca l ’ altra , , più generale e più scientificamente precisa , di due corpi che si attraggano e dei quali quindi ciascuno , quando sia a contatto con l ’ altro in modo che si eserciti pressione tra loro , può esser riguardato come sostegno dell ’ altro . Il domandarsi allora su che cosa poggiano le verità fondamentali , alle quali un dato ordine di deduzioni dà luogo , apparirebbe non meno irragionevole del chiedere , per esempio , perché la terra resti sospesa nel vuoto e perché non abbia bisogno di sostegni che la sorreggano ( a quei logici poi che , estendendo la stessa immagine del ‘ sostegno ’ ' anche al caso dell ’ induzione , vanno cercando il “ fondamento ” di questa ultima , si potrebbe far notare come un ’ induzione con fondamento , cioè per la quale si fosse in grado di addurre qualche ragione “ giustificante ” la conclusione che con essa si trae dai fatti osservati , cesserebbe per ciò solo di essere un ’ induzione , per diventare una deduzione , sia pure “ appoggiata ” a qualche altra induzione anteriore . A meno di chiamar fondamenti di un induzione i fatti particolari dalla cui constatazione essa prende le mosse si deve ammettere che l ’ induzione è , per definizione , un ragionamento senza fondamenti ) . Analoghe osservazioni si applicano all ’ immagine che rappresenta le conclusioni come attaccate alle premesse per mezzo del filo del ragionamento . Anche con questa immagine , infatti , la diffusione e la comunicazione della certezza sono concepite come effettuantisi in una sola direzione , cioè dalle premesse alle conclusioni : non si tien conto , cioè , del fatto , che la deduzione può servire anche allo scopo opposto , allo stesso modo come la corda colla quale si legano tra loro degli alpinisti in una ascensione pericolosa serve tanto a garantire la sicurezza dell ’ ultimo come del primo di essi , o di qualunque altro di quelli che ne sono avvinti . I processi deduttivi , nei quali la certezza delle affermazioni , che si prendono come punto di partenza , prevale su quella delle conclusioni alle quali esse conducono , si qualificano ordinariamente col nome di dimostrazioni , mentre quelli nei quali il contrario avviene , nei quali , cioè , dei fatti sicuri sono riattaccati a premesse discutibili , si qualificano ordinariamente col nome di spiegazioni . Ma tanto gli uni quanto gli altri sono egualmente processi deduttivi , ed in ambedue i casi si ha egualmente bisogno di tutto l ’ apparato e di tutti i sussidi dai quali l ’ operazione del dedurre può essere facilitata e garantita . Si può anzi affermare che l ’ aver preso coscienza di ciò - l ’ aver cioè riconosciuto che , anche quando le premesse di un ragionamento deduttivo sono meno certe delle eventuali conseguenze che se ne traggono , rimane nondimeno importante procedere con rigore , con coerenza , con precisione - costituisca una delle principali caratteristiche dell ’ attitudine del pensiero scientifico moderno di fronte a quella tipicamente rappresentata dal pensiero greco . Questo infatti , mentre manifestava il massimo ardire costruttivo in quei campi nei quali , come nella geometria , la certezza del punto di partenza raggiungeva il massimo grado , nei campi invece nei quali , come nella fisica e nella meccanica , tale fatto non avveniva , non riesciva sollevarsi che di poco ( eccetto in parte nell ’ astronomia ) al di sopra di un empirismo grossolano , incapace di vedere tra i fatti altre connessioni che quelle che si presentano spontaneamente a chi li osserva passivamente senza giovarsi di qualsiasi preconcetto ordinatore o selettivo . Passando ora al secondo gruppo di metafore , e anzitutto a quelle che rappresentano la deduzione come un processo diretto a estrarre dalle premesse ciò che vi è già contenuto , la prima osservazione da fare è che anche esse , come quelle del gruppo precedente , tendono indebitamente a deprimere e sminuire l ’ importanza della deduzione rispetto agli altri processi di ragionamento o di ricerca . Dire infatti che le conclusioni di un ragionamento deduttivo si trovano già , sia pure implicitamente , contenute nelle premesse , differisce ben poco dal dire che le prime , non solo non affermano niente di più , ma , anzi , affermano qualcosa di meno , di quanto nelle premesse stesse si trovi già asserito . È noto il modo col quale il primo gran teorico della deduzione , Aristotele , ha tentato di parare a questa obbiezione . Egli ricorre ad un altro paragone , basato sul suo favorito contrasto tra forma e materia . Paragona , cioè , il lavoro di chi deduce a quello dello scultore che , pur levando da un masso alcune delle sue parti , ottiene qualche cosa che vale più del masso medesimo . Se , invece di una statua , egli avesse parlato d ’ uno strumento o d ’ un ’ arma , per esempio d ’ una lente o d ’ un pugnale , costruiti parimenti col levare , da una data porzione di materia prima , delle parti la cui presenza sarebbe d ’ ostacolo allo scopo al quale lo strumento o l ’ arma devono servire , il paragone sarebbe stato ancora meglio adatto a porre in luce l ’ ufficio della deduzione come attività organizzatrice delle cognizioni in vista del raggiungimento di fini determinati , non escluso s ’ intende quello di guidare alla ricerca dell ’ acquisto di nuove cognizioni ( “ La parte val meglio del tutto ” è uno dei proverbi che più frequentemente ricorrono nei dialoghi di Platone ) . Il contrasto fra il processo di deduzione e gli altri , puramente o predominantemente passivi , di osservazione , di contemplazione , di registrazione dei dati dell ’ esperienza o dell ’ intuizione , , potrebbe infatti essere paragonato a quello che intercede tra le operazioni di censimento , dirette solo a riconoscere e descrivere lo stato della popolazione in un dato paese e tempo , e quelle di coscrizione , aventi invece in vista di scegliere e determinare quella parte di una data popolazione che è valida a portare le armi ( sul significato , originariamente militare , del termine greco indicante l ’ ordinamento deduttivo di una data trattazione , è da vedere l ’ interessante monografia di H . Diels , Elementum , Teubner , 1899 ) . Ma anche in un altro senso , affatto opposto al precedente , come già si accennò indietro , le immagini riferentisi al contenere sono suscettibili di rappresentare la relazione fra le premesse e le conclusioni di un ragionamento deduttivo . Si può cioè riguardare le premesse , dalle quali una data conclusione è dedotta , non come includenti o implicanti la conclusione stessa , ma al contrario come gli elementi più semplici di cui essa si compone , e nei quali essa può venir risoluta . È l ’ immagine preferita da Platone quando nel Teeteto ( 206–8 ) paragona le premesse fondamentali delle singole scienze alle lettere dell ’ alfabeto ( grecata ) , dalla cui combinazione risultano le sillabe , le parole , le frasi . Ed era naturale che , come lo dimostra il titolo stesso dell ’ opera d ’ Euclide , , questa immagine trovasse speciale favore fra i geometri , in quanto nessun ’ altra è così atta a ribattere l ’ obbiezione di cui abbiamo parlato indietro . Alla luce , infatti , di questo paragone , tale obbiezione compare come poco meno assurda di quella che si volesse sollevare contro l ’ ingegno o l ’ originalità di un poeta osservando che tutte le parole da lui adoperate sono già registrate nel dizionario ( sull ’ origine della parola latina scelta - da Lucrezio e da Cicerone - per tradurre il termine greco stichium , lo stesso Diels ha un ’ ipotesi ingegnosa che può sembrar strana a chi non conosca le prove che egli adduce per sostenerla . Con elementa i latini avrebbero indicato originalmente i pezzetti di avorio - elepenta , elephanta - di cui si servivano gli intarsiatori . Anche Quintiliano parla - I , I . 26 - delle “ eburneas literarum formas ” che erano in uso per insegnare l ’ alfabeto ai bambini ) . A questo notevole vantaggio che la rappresentazione , che abbiamo chiamata chimica , della deduzione offre di fronte agli altri modi di rappresentazione , prima esaminati , si contrappone tuttavia un inconveniente che è interessante notare . Essa tende cioè a fare attribuire alla distinzione tra verità semplici e verità complesse un valore assai superiore a quello che essa merita , e a presentare come l ’ ideale supremo della ricerca scientifica la determinazione di verità assolutamente primordiali , indecomponibili , atomiche , atte a generare tutte le altre mediante i loro vari aggruppamenti . È nel Leibniz soprattutto che questa idea si presenta sotto la forma più classica , ed è noto il suo paragone delle verità ai numeri , ciascuno dei quali , se non è un numero primo esso stesso , è sempre decomponibile , e in un solo modo , in una determinata serie di fattori primi . Si viene con ciò a perdere di vista che , alla domanda se una data proposizione sia dimostrabile o no , si può dare diversa risposta a seconda della scelta che si faccia delle altre proposizioni di cui si intende permettere l ’ uso nella dimostrazione che se ne richiede . Il che vuoi dire che la semplicità o complessità di una data affermazione sono qualche cosa di estremamente relativo , qualche cosa che dipende dal proposito al quale l ’ affermazione stessa si riferisce , dal luogo dove la si enuncia , dall ’ indole della trattazione di cui fa parte , ecc . Se si vuol quindi continuare a parlare della deduzione come di un ’ analisi , bisogna ben tener presente come le proprietà di cui tale analisi gode sono ben diverse da quelle proprie dell ’ analisi chimica , nella quale non potrebbe certamente presentarsi il caso che , tra i composti di un dato corpo , si trovassero anche gli elementi di cui esso si compone . È da notare , a tale riguardo , la perfetta analogia tra il processo di deduzione e quello di “ definizione ” . Il domandare se una data proposizione è dimostrabile o no , o se un dato concetto è definibile o no , senza indicare , nel primo caso quali sono le premesse che si accettano , e , nel secondo , quali sono i concetti che si presuppongono dati , non ha maggior senso del domandarsi se un dato corpo si muove o sta fermo , senza indicare quali sono gli altri corpi dai quali intendiamo considerare le sue successive distanze . Il concetto della definizione come un processo di decomposizione , o analisi , delle nozioni nei loro elementi più semplici e più generali porta immediatamente a porre in contrasto la relazione in cui questi si trovano , di fronte alle nozioni che concorrono a costituire , con quella , inversa , in cui si trovano invece gli individui , rappresentati da un dato concetto , di fronte a quelli , più numerosi , rappresentati dai concetti più generali mediante i quali esso è definito . Di qui la distinzione , tanto importante nella logica , tra l ’ estensione e la comprensione d ’ un dato concetto , così chiaramente caratterizzata già da Aristotele ( Metafisica , lib . IV , cap . 25 : “ Le specie sono dette essere parti del genere ... il genere anche detto parte della specie ... ” ) . Anche le metafore del terzo gruppo , quelle cioè che qualificano il passare dalle premesse alla conclusione come un discendere , e il ricercare le premesse d ’ una conclusione come un ascendere o un risalire , hanno questo di comune con quelle del tipo ora esaminato , che esse sono applicabili a rappresentare , oltre che il processo di deduzione , anche quello di definizione . Questo è infatti spesso caratterizzato anche come consistente nel risalire dalle intuizioni particolari ai concetti più generali sotto i quali esse rientrano . Di questa ultima immagine non è che una variante quella rappresentata dal cosidetto albero di Porfirio , nel quale le successive diramazioni , che si staccano dal tronco , rappresentano le nozioni sempre più determinate che si ottengono introducendo gradualmente , nella classe più generale e comprensiva possibile , quella cioè delle cose esistenti , un numero sempre più grande di specificazioni e qualificazioni , finché si arrivi alle nozioni corrispondenti ai singoli individui o a dati fatti particolari . Un inconveniente non trascurabile che sorge da questo doppio impiego delle metafore dei due ultimi gruppi sopra considerati , dal fatto cioè che esse servono , nello stesso tempo , a esprimere le relazioni tra le premesse e le conclusioni e quelle tra una nozione e le altre più generali che vi sono comprese , sta in ciò , che esse vengono in tal modo a favorire l ’ idea che il dedurre sia un passare dal generale al particolare , e a far riguardare la maggior generalità delle premesse di fronte alle conclusioni come una caratteristica essenziale del ragionamento deduttivo . È difficile spiegare per quale altra via questo modo di concepire la deduzione possa avere acquistato favore quando si pensa alla frequenza con la quale i processi dimostrativi in cui avviene precisamente il contrario ( nei quali cioè le conclusioni comprendono alcune delle premesse come casi particolari ) si presentino nella scienza deduttiva per eccellenza , la matematica ( il campo stesso della logica pura ne offre esempi tipici , come è stato recentemente rilevato dal Couturat , Congrès de Genève ) . Per quanto tuttavia riguarda le immagini che rappresentano la deduzione come un ascendere ai principi , il suddetto inconveniente è largamente compensato dalla corrispondenza che esse stabiliscono tra la condizione di chi si colloca al “ punto di vista ” dei principi generali , e quella di chi , osservando un panorama da un ’ altura , è in grado di riconoscere con un solo sguardo , fra le varie parti e regioni che gli stanno davanti , delle relazioni che sfuggirebbero , o non potrebbero esser rilevate che con molta fatica , da chi si trovasse più basso . Un concetto analogo è anche espresso dalle frasi che caratterizzano il processo di dimostrazione , o di spiegazione , come un processo di rischiaramento ( Erklärung ) , in quanto anche la presenza della luce ha l ’ effetto di render possibile ad un tratto il riconoscimento delle posizioni rispettive degli oggetti illuminati , posizioni che in mancanza di essa non potrebbero essere determinate che con l ’ assoggettarsi agli urti e alle collisioni accompagnanti inevitabilmente i tentativi di mettersi successivamente in contatto con ciascuno di essi . Di fronte a quest ’ ultima metafora , tuttavia , quella prima considerata del salire presenta il vantaggio di suggerire , oltre al concetto di vedere , anche quello del comandare e del potere , come quando si parla di alture dalle quali si domina una data regione ( a commanding view ) .