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> categoria_s:"StampaPeriodica" > anno_i:[1880 TO 1910} > autore_s:"VUGLIANO MARIO"
UNA NOTTE COI VAGABONDI ( VUGLIANO MARIO , 1909 )
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La vita dei vagabondi ha sempre esercitato su me , fin da ragazzo , un fascino strano e potente . Ricordo che dalla finestra di casa mia seguivo con intenti occhi il passaggio di questi " camminanti " sul far della notte , quando per gli usci aperti si vedevano nelle case del villaggio splendere i fuochi della cena . Passavano essi quasi sempre soli ; avevano le barbe incolte che davano al viso smorto un aspetto anche più macero . Qual nostalgia negli occhi di questi senza tetto che laceri , vergognosi passavano guardando di sottecchi e sparivano dopo le ultime case sulla strada solitaria occupata già dall ' ombra ! Eppure , fanciullo ignaro , io invidiavo la loro triste sorte , il loro destino che così li spingeva per le strade del mondo verso l ' ignoto . Trovavano essi talvolta cortese ospitalità nelle case dei contadini e passavan la notte sui fienili . Ma spesso la diffidenza dei coloni non concedeva loro nessun riparo ed andavano , i poveretti , andavano ancora ... Nella città sorgono per i senza tetto ospitali asili . L ' altra notte io volli visitare uno di questi alberghi dei poveri : l ' asilo notturno Umberto I ... ... ci andai in incognito . Scelsi il più vecchio dei miei abiti , quello che presentava maggiori strappi e frittelle , mi spogliai di quel poco vile metallo che contenevano le mie tasche , tolsi dal dito il mio anello e dal taschino il mio orologio ; tutte cose inutili queste per un irregolare , un fuori legge , un vagabondo . Difatti che è l ' uomo senza quattrini ? Qual fanciulla . può serbar fede ad uno straccione ? Via dunque l ' anello , e via anche l ' orologio : le ore della fame son tutte eguali . Lasciai pure le chiavi : a chi servono esse quando non si ha più casa ? Per aprire le porte altrui , noi vagabondi , abbiamo i grimaldelli ... Quando m ' ebbi annodato al collo un vecchio foulard di seta che già mostrava il cotone e con la mano mascagnamente feci sconvolte le mie chiome , mi guardai nello specchio . Ça marche ! ... Uscii , non senza vergogna , lo confesso . Era il tramonto . Corso Vittorio formicolava di belle signore . Al mio passaggio , alcuni onesti bottegai si diedero di gomito . Due questurini mi fiutarono . Un amico passò ... senza vedermi . Eh , la sapienza dei proverbi dissi tra me : l ' abito non fa il monaco ! Fatta questa profonda constatazione , ed un ' altra non meno profonda sugli amici che salutano quando sono in vettura o passano al fianco d ' una bella compagna , svoltai piano , piano in corso Massimo d ' Azeglio . Ero dunque una res nullius , un perfetto vagabondo ! Le occhiate dei passanti che ritornavano alle loro case non mi lasciavano alcun dubbio : le mani in saccoccia , la testa ciondoloni , gli occhi tristi come di cane sperduto , andai , andai fino a che giunsi in corso Dante , dove sorge ( ironia del nome ) l ' asilo notturno Umberto I per le persone d ' ogni età , sesso , patria , fede , sprovviste di rifugio . Era quello il mio luogo . ... Mi diressi dunque verso il pio istituto . Innanzi ad esso già passeggiavano con aria indifferente alcuni compagni . Due mi chiesero : - Si passa per di qui ? - Credo . Entrammo insieme . Ma un inserviente come ci vide gridò , non senza asprezza nella voce : - Ancora è presto , vadano fuori , chiamerò poi io quando sia tempo . Uscimmo un poco mortificati . - Che superbia ! - disse il più vecchio dei miei compagni , un operaio dalla barba incolta . Era un piemontese che veniva da Berlino . L ' altro era molto più giovane , brutto , con due grandi occhi da vitello , e parlava con spiccato accento meridionale . - Son dieci giorni che non mi cavo le scarpe - disse . - Che buona dormita farò stanotte . Ci sedemmo aspettando nel breve ineguale spiazzo erboso che si stende a fianco dell ' asilo . L ' operaio piemontese tirò fuori una corta pipetta di gesso , l ' accese con un mio fiammifero , fumò un poco e poi la passò al giovane napoletano . Restammo così , senza parlare , per qualche tempo . Annottava . Dalle colline oltre il Po si levò improvvisa la luna animando di gialli riflessi le ombre circostanti ... Un battito di mano mise in fuga i sogni , mi richiamò alla realtà di vagabondo : l ' inserviente dell ' asilo chiamava i suoi cenciosi ospiti . La saletta d ' accettazione si riempì subito d ' una turba di miserabili d ' ogni età , col viso gualcito dalle fatiche e dalla miseria ; ciascuno gettava il proprio nome e cognome dentro uno sportello dietro cui il direttore scriveva . Che fetore di cenci e di sudiciume saliva dal branco umano ! Ciascuno diceva col nome anche la professione : erano operai quasi tutti . Un vecchio signore col paletò abbottonato sino al bavero , pronunziò le proprie generalità , tutto vergognoso . Era un impiegato di Novara , celibe . Dopo lui passò un giovinotto dal profilo femmineo , sorridente . Venne la mia volta . - Si chiama ? Dissi il nome di un caro amico . - Ha le carte ? - Nessuna . - Per domani sera , passi in questura a provvedersele . - Sissignore . - Prenda il n . 13 . Ero accettato . Passai nello spogliatoio , un vasto stanzone retangolare diviso nel mezzo da un comune lavamani . Contro le pareti , segnati dal rispettivo numero , pendevano sacchi di tela e vestiti di rigatino bianco azzurro . Cominciai a spogliarmi insieme agli altri . Mi pareva di essere tornato alla visita militare . Spogliandomi lentamente , guardando i corpi dei miei compagni uscir dall ' involucro cencioso : corpi consumati di vecchi e corpi esili d ' adolescenti mal nutriti e già deformati dalla fatica . Che pena e che nausea . Il mio vicino mi interpellò : - In che luogo siamo capitati , non è vero ? Era il giovinetto dal profilo femmineo ; un profugo triestino , come seppi poi , che aveva issato il tricolore italiano sul Municipio di Trieste . Conosceva quattro lingue ma non trovava impiego . Contento di trovarsi in mia compagnia , già pratico del luogo , mi aiutò nelle mie bisogna . - I suoi vestiti li chiuda nel sacco che le han dato , - mi disse , - così . Prima di indossare la camicia dell ' Asilo , una camicia di bucato , ci recammo a prendere la nostra doccia ; e poi rivestiti di uno di quegli abiti di tela turchina , coi piedi nudi infilati come si poteva dentro a strepitosi zoccoli di legno , passammo nel refettorio . Anche qui , la massima pulizia , un non so che tra il convento , il collegio e la prigione . Una doppia fila di tavole , nel mezzo ; contro una parete il busto di Re Umberto , contro l ' altra un armadio a vetri per i libri . Qua e là , scritte sui muri , alcune , massime morali , inneggianti per lo più , alla carità . Mi sedetti . Vicino a me era il vecchio impiegato di Novara ed un altro . La divisa ci faceva tutti eguali come nel collegio . Disse , però , un giovane dal viso losco : - Mi sembra di essere nuovamente al reclusorio di Pallanza . Non avevano comuni le memorie , come si vede . La sala si riempiva e si animava . Coi ... colleghi si fa presto amicizia . Si formarono gruppi e si cianciava a viva voce . Un vecchio operaio chiese al giovane triestino : - E il professore di francese ? - Non l ' ho veduto più . - Stava male ieri sera . Che sia andato all ' ospedale ? Feci notare al mio compagno che tutti erano abbastanza lieti , parlavano di voglia . - La prima sera ho pianto , io - rispose . Gli altri , si vedeva , erano abituati alla loro sorte : si consideravano felici di poter trovare un pubblico ricovero per la loro carne stanca ; l ' asilo notturno aveva perduto tutto ciò che ha di degradante , era un loro diritto , infine ! Un compagno che aveva viaggiato mezzo mondo ed aveva dormito in tutti gli asili notturni , paragonava tranquillamente , sotto i rapporti dell ' igiene e della comodità , l ' albergo dei poveri di Torino con quello di Milano e di Vienna . Non mancava tra il gregge dei vagabondi operai , l ' intellettuale , naturalmente anarchico . Aveva la barba e i capelli arruffati , gli occhi azzurri d ' un bimbo , che guardavano fisso dietro le lenti a stanga . Parlava a scatti , con frasi da eroe gorkiano , era istruito . - Chi siamo noi , che siamo , eh ? Nessuno sa chi sia , né donde viene , né dove va ! E poi , scaldandosi a mano a mano , giù una carica a fondo contro i grossi borghesi , i filistei infarciti di buon senso confinante col cretinismo . Molti lo ascoltavano con occhi intenti , approvando . Solo il vecchio impiegato di Novara taceva in un canto . Guardava , per le finestre , la città accendersi di lampadine famigliari intorno a cui ridevano volti amici . E certo il pensiero della sua miseria , della sua solitudine lo doveva , ora , maggiormente angosciare poiché i suoi occhi erano umidi di pianto ... - Occorre uno alto per mescolare la minestra ; chi viene ? - domandò un inserviente . - Io , - risposi . E tenedomi con una mano le mie brache azzurre che minacciavano ad ogni momento di scivolarsene via , saltellai sui miei zoccoli verso la cucina . Qui , con un gran mestolo compii la bisogna , come un perfetto re dei cuochi . Quando gli inservienti recarono la minestra fumante in grosse e bianche scodelle , i visi degli ospiti ( una cinquantina ) si illuminarono di contentezza , e ciascuno prese a mangiare con discreto appetito . Non era cattiva quella minestra di paste e fagiuoli ; un po ' salata , forse . Ne mangiai una parte , dando il resto al mio vicino che era un affamato autentico . Quando il pasto fu terminato , ci si mandò a cuccia in un dormitorio comune , vasto e pulito , pieno di piccoli lettini in ferro di cui ciascuno porta il suo numero e il nome del fondatore ... Il mio vicino , un giovane montanaro allegro , tamburellava contro l ' arcuato e basso paravento in ferro che divideva i nostri letti . Doveva essere un senza - letto per economia ; l ' avevo visto arrivare sbocconcellando una micca e con un misterioso fagotto sotto il braccio . Doveva venire di Francia insieme a quegli altri che ora si interpellavano in un francese di Biella , e certo doveva nascondere nelle calze il suo gruzzolo . Frodava come me , per dilettantismo di giornalista , lui per amor d ' economia , la carità pubblica . Quando i lumi furono abbassati e gli inservienti uscirono nel corridoio , il chiasso si fece più vivo : lazzi , rumori da demonio dantesco echeggiarono per il vasto stanzone dove i più stanchi già si permettevano delle distrazioni cacofoniche nasali . Accadeva anche così nel mio collegio : ma allora era dolce riposare così in comune , giovani tutti , eguali , con l ' anima e la mente tesa ad una stessa meta . Ora , invece , la mia personalità si ribellava a quell ' assieme d ' ignoti ; non senza una strana inquietudine ascoltavo l ' ansito dei respiri affannosi , calmi , sordi , fischianti ; le parole confuse che alcuno diceva nel sonno su cui la vita gravava ancora il peso dei suoi travagli . I trams che passavano ronzando come giganteschi mosconi dagli occhi di bragia e inferociti , mi davano un sussulto , mi richiamavano a mente le vie cittadine illuminate e piene di gente , i ritrovi notturni , i caffè , i teatri , tutto ciò che di buono è concesso alla gente ... per bene . E pensavo al contrasto che offriva la vita dei miei compagni : una lotta brutale per il pane , senza sorrisi d ' arte e d ' amore . M ' addormentai tardi , quella notte , e il mio sonno fu spesso turbato dai passi di qualcuno che usciva in camicia . Verso le cinque una campanella stridula destò i vagabondi . La sveglia fu salutata da improperi generali , poiché essa veniva a ricordare ai felici dormienti la miseria passata e la presente , il ritorno alla vita triste e senza speranze . Fui sorpreso , ancora mal desto , di trovarmi in quel luogo ; poi , come la coscienza ritornò , fui preso da un lancinante bisogno di levarmi da quel bagno di miseria , di fuggire all ' aperto . Mi lavai , con gli altri , in fretta ; qualcuno mi salutò . Pensando che tra poco sarei tornato ad essere " io " fui preso da una viva pietà per tutti quei miserabili veri , per tutti quei compagni d ' una notte , compagni che non sapevano di me , come io non sapevo di loro , che non avrei più rivisto e avrebbero continuato il loro triste pellegrinaggio per le vie del mondo . Tolsi dal mio sacco i vestiti e quando fui rientrato in me stesso , uscii col giovane triestino e l ' anarchico , tenendo sotto il braccio il mio pane . Sulla porta , il direttore mi disse : - Si ricordi le carte , eh ! ? - Sissignore ! Erano le sei : la città ci colse col suo primo sbadiglio grigio e polveroso : porte e finestre sbattute ; le botteghe e i portinai ci scopavano sui piedi le immondizie della casa . Camminavano sfiaccolati come materassi . I miei due compagni erano più allegri di me . L ' anarchico lanciava moccoli all ' indirizzo delle donnette che sbattevano , dai terrazzi , i loro panni sul nostro capo . Giunti in via Madama Cristina , entrammo in una latteria a far colazione : pane dell ' asilo e due soldi di latte . - Ben , ora vi lascio - dissi ai miei due amici . - Te ne vai ? - Sì . - Dove ? - A casa mia ! L ' anarchico e il giovane triestino mi guardarono stupiti , e poi , dandomi del lei , mi salutarono alquanto freddamente . Sparirono insieme , verso il Valentino . Non appena a casa , mi rivestii da capo a piedi . Con quale voluttà , cinsi al mio collo un alto e lucido solino , e con le tasche sonanti scesi al Caffè Ligure , ordinando : - Cameriere , un chop ! Pagavo ero di nuovo " qualcuno " .