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> categoria_s:"StampaPeriodica" > anno_i:[1940 TO 1970} > autore_s:"Longhi Roberto"
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Venezia , agosto - La sortita più brillante del movimento neorealista italiano fu quando Renato Guttuso piantò , alla Biennale del '52 , il suo telone storico della Battaglia al Ponte dell ' Ammiraglio , che regge ancora alla distanza per la viva memoria di quei suoi toni di forte agrume e la macchina ben oliata , ma strepitante , dell ' azione in corso . C ' era da credere che un grosso colpo fosse stato inferto alle schiere avversarie ; da prevedere che molti astrattisti si sarebbero convinti di aver giocato abbastanza e che il seguito si sarebbe visto due anni dopo . Ma in questa XXVII Biennale è invece l ' astrattismo che sembra aver ripreso fiato , mentre il realismo è piuttosto in giacenza . A sentir le lamentazioni dei realisti , sarebbe stato proprio il Moloch della Biennale a divorarselo , falcidiando inviti , limitando talune presenze al bianco e nero , disgiungendone altre in sale diverse e recondite . Difficile crederlo , perché se può lamentarsi l ' assenza , come pittore , di un Treccani ( che , col suo Ritorno a Fragalà , avrebbe sicuramente sollevato il tono delle due salette « realistiche » ) , o la collocazione sbadata di un Omiccioli o di un Mafai ( che però s ' indugia in area stranamente depressa ) , è duro immaginare i vantaggi della eventuale compresenza di un Sassu o di tanti altri fra cui la scelta non è punto stimolante ; mentre , fra í molti disegnatori , non vedo che cosa mai altri nomi avrebbero aggiunto alla quota dei presenti ( da Zancanaro ad Attardi , da Muccini a De Stefano , dalla Salvatore a Vespignani ) . Non sarà poi imputabile a malizia degli organizzatori se la data della Biennale s ' è trovata a combinarsi con la mostra ciclica di Guttuso in paesi remoti ; non restando così agli svaghi veneziani che il dubbio Boogie - Woogie : dove il bellissimo spunto satirico contro il dipinto eponimo di Mondrian non è sorretto abbastanza dalla parte autografa , troppo torbidamente accarezzata ( ma mi rifiuto di credere che un uomo della intelligenza , non dico « intellighentsia » , di Guttuso sia caduto nel tranello tesogli dall ' amico suo Berenson , pubblicando fra i caravaggeschi la Cafeteria di Cadmus ) . Oppure , che c ' entra la Biennale se le figurine di uno Zigaina , ancora scattanti nel '52 , sono , quest ' anno , peste e filacciose ? Se il Pizzinato si ostina a respingere troppo energicamente ogni appoggio della sua cultura giovanile ; se il Migneco seguita a fingersi un coreano invaghito di lingue occidentali ; e il Brindisi svolta improvvisamente verso un « liberty » folcloristico ? La ostentazione poi con cui i critici di sinistra mostrano di puntare sulla « antologica » del Levi rende anche più ingrata una discussione proficua sul già famoso « taccuino di Lucania » . « Preferisco i suoi quadri antelucani » diceva pacatamente un vecchio amico torinese del pittore , uscendo dalla sala . A parte la involontaria freddura , è proprio vero che il gruppo dei dipinti più antichi , fino al '35 , rientrano nel coerente ordine mentale di una cultura europea , movente a quegli anni , tra postimpressionismo ed espressionismo . Tutto il resto ( salvandone il ritratto di Rocco Scotellaro , proprio perché , eccezionalmente , si riaggancia ai modi di quindici vent ' anni prima ) è cronaca spenta , opaca ; come se anche il Levi , che fu pure dei « Sei » di Torino , partecipi della opinione , tanto diffusa quanto storta , decisa a negare ogni radice « realistica » alla civiltà dell ' impressionismo ; e così condannarla in blocco . Su questo punto , per fortuna , è possibile trovare qualche appiglio di confutazione anche ritornando nelle due salette « realistiche » . Il primo ce l ' offre proprio un torinese , il Martina , che , riandando sulle tracce non ingloriose del gruppo dei « Sei » , mostra di credere , come credo anch ' io , che la verità sia da ripescarsi sul lato opposto . E me ne conforta , subito dopo , un caso anche più semplice e , quasi , commovente . Salvo errore , Alberto Ziveri , che pochi in Italia conoscono , pochissimi sanno collocare sul piano che gli tocca , è il « realista più realizzato » della Biennale di quest ' anno . Le sue « cupole di Roma » , quasi abbacinate entro la luce d ' azzurro - acciaio , i due Paesaggi francesi , così teneri e densi , la polpa del Nudino di modella nello studio sono , per maturità di visione , la più grata sorpresa del padiglione italiano . Già Ziveri non ha aspettato sollecitazioni esterne o programmatiche per riguardarsi Daumier , Courbet , Daubigny , Corot ; l ' ha fatto da sempre . E può essere che , un tantino , lo immobilizzi una siffatta cultura , vagante , di regola , fra i11830 e il '70; ma chi l ' ascolti più attentamente avvertirà presto il gocciolare del filtro personale . Ora , per chi non si creda votato alle esigenze di un gusto soltanto ( quanto è più moderno , tanto più destinato a durare meno di un foglietto di calendario ) , Ziveri può servire come caso esemplare nel contesto della discussione sul « contenuto » e sulla scelta di una « tradizione » plausibile . Voglio dire che , ai daddoli critici sulla superfluità della mostra di Courbet a Venezia , la confutazione può venire naturalmente proprio dal caso Ziveri . Quanto può reggere , insomma , la cordata storica di una tradizione ? Nessuno è in grado di prevederlo , perché il più della faccenda dipende dalla solidità dell ' aggancio personale . O , passando ai « contenuti » , che dicono di fronte ai « paesaggi » di Ziveri i negatori in blocco delle grandi scoperte , in quel campo , degli impressionisti ? E che cosa gli estensori di liste di « contenuti popolari » con l ' anticipo fisso ? Che , nel variare dell ' impasto storico , certi nuovi argomenti s ' affaccino con insistenza e chieggano di essere in qualche modo raffigurati , è avvenuto sempre . Più difficile è che , affacciandosi , abbiano di già un volto « formalmente » riconoscibile . Ora è proprio la scarsa riconoscibilità formale di molti fra questi primi esperimenti a lasciar dubbi non già sulle intenzioni , ma proprio sul sentimento , sull ' animo che le dovrebbe reggere . Queste schierature di disegni dove lavoratori , soli o in comitiva , per lo più si riposano nelle soste dalla giornaliera fatica , sudano dormendo o si espongono di malavoglia negli abiti più dimessi , non sono che un ' inversione programmatica , non già un superamento , della vecchia joie de vivre dell ' impressionismo ed ultra . Ciò che vi manca , e sarebbe invece essenziale ai fini che vi si propongono , è proprio la polemica , il contrasto in corso fra le due parti . Qui , non se ne vede che una . Il Levi stesso , nel suo Taccuino di Lucania , dove ha lasciato i proprietari , la borghesia , la Celere , i vecchi fascisti , e tutto il resto ? Se è vero che Grassano è come Gerusalemme ( è proprio il titolo di un suo quadro ) dove sono i pubblicani , gli scribi , i farisei ? Così anche scavalcato , come si conveniva , il gusto della modernità ad ogni costo , mi ridomando se in codesti artisti non intervenga una sfiducia di fondo nel linguaggio , lato sensu , impressionistico , ritenuto inadatto a narrare , ad illustrare fatti umani , a chiarirli nella polemica con l ' altera pars . Per chi conosca la forza aggressiva degli illustratori satirici sul principio di questo nostro secolo , e rammenti come riuscissero ad esprimerla perfettamente , col migliore linguaggio artistico dei tempi loro , torna vero il contrario . Non sono dunque Induno o Morelli che i nostri zelanti disegnatori dovrebbero ristudiarsi , ma , anche senza uscir di casa , la tradizione che va dal Matarelli , grande illustratore del Giusti , a quel Ratalanga che veniva infatti accolto alla pari , cinquant ' anni fa , tra gli eccellenti disegnatori satirici della parigina Assiette au Beurre . Mi chiedo se forse non li conoscano meglio alcuni dei nostri registi , buoni maneggiatori di immagini , e che pure non sembrano aver fruttato ancor nulla , neppur essi , per i nostri giovani illustratori .