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> categoria_s:"StampaPeriodica" > anno_i:[1940 TO 1970} > autore_s:"Tagliazucchi Pino"
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Quando in Italia si parla di « tecniche nuove » s ' intende ciò che in altri paesi è una fase superata , cioè la introduzione di sistemi meccanizzati e la razionalizzazione dei metodi di produzione . Le punte realmente automatizzate sono rare ; anche se esse tendono , sotto la pressione internazionale , a divenire la norma e sin da ora costituiscono il punto di convergenza e di moto dei fenomeni economici italiani . Si hanno cioè - volendo ragionare per schemi - contemporaneamente tre epoche economiche : una precapitalista , una capitalista e una neocapitalista . Ai vecchi problemi sociali ed economici si aggiungono perciò nuovi problemi , in un ' accelerazione del processo di trapasso da epoca a epoca , che rende esplosiva tutta la situazione . D ' altra parte è inevitabile una razionalizzazione economico - produttiva che crei le condizioni per il susseguente sviluppo dell ' automazione ; e - benché ciò non sia inevitabile - questa razionalizzazione potrà difficilmente effettuarsi senza una radicale modificazione delle strutture politico - sociali che corrispondono ad un vecchio ordinamento produttivo . Se questa modificazione - che comporta una « democratizzazione » del potere capitalista , cioè una sua trasformazione da potere impositivo a leadership - si appuntano gli aspetti politici del fenomeno . Il fenomeno della « democratizzazione » costituisce d ' altra parte la base stessa sulla quale , in altri paesi , si sviluppa l ' automazione . Il processo tecnologico assume ovunque il carattere di un ' ulteriore concentrazione economica ; ovunque significa « liberazione » di manodopera e , di conseguenza , ovunque esso pone il problema del potere , cioè del controllo del fenomeno e dei suoi risultati . Ma ciò che distingue , specialmente nella fase di preparazione , i paesi avanzati dai paesi arretrati è la esistenza di controlli ancor prima economico - sociali che politici e legislativi . È cioè lo stadio di « democratizzazione » e di sviluppo economico cui è giunto il capitalismo che impone regole al tempo stesso economiche e politiche , inevitabili se il grande capitale vuole mantenere il suo potere e le condizioni del suo stesso sviluppo . La « democratizzazione » non si riferisce infatti tanto al meccanismo legislativo , burocratico e politico , quanto ad un determinato stadio di sviluppo economico , di cui sono espressione il pieno impiego , la politica organica degli alti salari , la perequazione tra industria ed agricoltura , la funzionalità economica dello Stato , e la capacità del grande capitale di manovrare questa funzionalità in modo da coprire . oltre al proprio e in funzione del proprio , un vasto settore di interessi sociali . I controlli perciò non agiscono come limitazioni meccaniche ed esterne alla sfera economica , ma come condizioni del funzionamento stesso del sistema e del mantenimento del relativo potere capitalista . Il sistema capitalista non cessa , ma deve giustificarsi come una condizione valida al di là del proprio limite ; il potere capitalista non decade , ma deve esplicarsi come leadership , anziché come imposizione . D ' altra parte , benché tutto il meccanismo sia in funzione dell ' esistenza e della conservazione di un sistema , esso non è una pura proiezione paternalista . Anzi - ed è questo il suo aspetto fondamentale e la condizione del suo funzionamento - un forte ed autonomo movimento operaio è insieme una delle componenti del meccanismo e uno dei possibili momenti di superamento . Conseguenza di lunghe lotte sociali , la « democratizzazione » capitalistica si mantiene solo grazie ad una costante pressione sociale , punta della quale è il movimento operaio . Il giuoco perciò è dialettico . La lotta di classe non si spegne per il fatto di svolgersi nell ' ambito del sistema ; si arricchisce anzi , nei suoi aspetti migliori , del fatto che il movimento operaio è profondamente inserito come forza economica nell ' insieme dei fenomeni economico - produttivi e può condizionarli mentre la sua dinamica lo porta ad una mutazione qualitativa del sistema ed alla conquista dei controlli economici e politici . Così il grande capitale non rinuncia al tentativo di disgregare l ' opposizione operaia ; ma non può ricorrere - se non bloccando e disgregando le basi stesse su cui si fonda - ai metodi di polizia e di corruzione . Il tentativo di deviazione degli effetti sociali e politici del processo tecnologico tentativo implicito nella logica capitalistica - si pone di conseguenza ad un livello più elevato , nel campo delle modificazioni di struttura , anziché al livello della disgregazione pura e semplice . La « democratizzazione » non costituisce , di per sé , un fattore automaticamente risolutore e immutabile , le soluzioni di forza non essendo mai inevitabili ; ma permette di condizionare l ' introduzione e i primi sviluppi del processo tecnologico e stabilisce le condizioni di uno sviluppo dialettico . Ora , è chiaro che in Italia una evoluzione del genere - se è problema di una moderna politica della classe operaia - è anche espressione di rinnovamento di una classe dirigente che voglia uscire dalle tradizionali condizioni di paternalismo . Ma è anche chiaro che il potere degli stessi gruppi capitalistici avanzati - ciò che intendiamo per « grande capitale » - è ancora potere legato al paternalismo e tale vuole rimanere . in altre parole , il problema che si pone non è quello di un ennesimo trasformismo della vecchia classe dirigente : la « democratizzazione » del capitalismo italiano è , per le condizioni storiche della nostra società . sostituzione dell ' attuale classe dirigente con gruppi nuovi . La caratteristica fondamentale del fenomeno italiano - la logica del grande capitale italiano - sta invece nel fatto che . mentre una parte del capitalismo nazionale tenta di mantenere il processo nell ' ambito delle inevitabili trasformazioni tecnologiche , i gruppi più avanzati ( il neocapitalismo ) accettano la necessità di una « democratizzazione » - specialmente nei suoi aspetti economici e sociali - alla condizione di farne ancora una volta una concessione paternalista . Di operare cioè tutto il processo in prima persona , evitando gli aspetti dialettici che supererebbero nettamente il paternalismo e imporrebbero un mutamento delle condizioni del potere . Sotto questo profilo è comprensibile ciò che , altrimenti , apparirebbe un comportamento illogico sulla scena politica e sulla scena sindacale . La contrapposizione tra queste due posizioni - senza calcolare quella dei gruppi parassitari e redditieri condannati ( pre - capitalismo ) - corrisponde infatti a due soluzioni politiche del problema . La prima si risolve in un regime a carattere salazarista - dittatura formalmente parlamentare - che permette cauti spostamenti purché non urtino le condizioni del regime ; la seconda accetta e ricerca una politica governativa pianificatrice , vuole uno sviluppo economico generale , propone una modificazione di strutture . Purché la natura del suo potere non si modifichi e , di conseguenza , nessuna opposizione organizzata possa funzionare nell ' ambito economico - sociale dove si determinano il potere e le condizioni del suo esercizio . Si spiegano cioè le resistenze di gran parte dello schieramento capitalista alla evoluzione politica e sociale in corso ; e la propensione di un ' altra parte a soluzioni pescate nell ' ambito della socialdemocrazia tradizionale . I gruppi più avanzati , infatti , non esitano a favorire soluzioni socialdemocratiche - sino a rivestirsi essi stessi di panni « socialisti » - ed arrivare a ciò che Gramsci chiamava la « razionalizzazione demografica » e alla programmazione economica . Ma ciò non deve significare autonomia operaia poiché questa autonomia è la condizione fondamentale dell ' inserimento della classe operaia nel fenomeno produttivo e nelle strutture aziendali e rappresenterebbe così il polo dialettico di una reale ed obiettiva « democratizzazione » . Dietro all ' anticomunismo e alla proclamata ricerca di un movimento operaio « democratico » esiste perciò soltanto la volontà di evitare le contropartite sindacali . specialmente nell ' azienda . di un eventuale sviluppo politico a carattere socialdemocratico moderno . cosicché questo , isolato sul piano politico , non esce dall ' ambito del paternalismo . Il rammodernamento delle strutture economiche e una maggiore funzionalità delle strutture politiche non vengono dunque negati ; ma debbono essere operati solo in concomitanza di un disgregamento sociale ottenuto attraverso la fabbrica e il piano sindacale . Ora , la disgregazione del movimento operaio è nella logica del capitalismo ovunque . Ma la caratteristica di questa logica applicata alla situazione italiana è che , per mantenere la natura astorica del suo potere . il grande capitale deve avvalersi delle condizioni stesse di sperequazione economica e di arretratezza sociale che costituiscono i maggiori ostacoli allo sviluppo produttivistico . Il mantenimento del paternalismo presuppone infatti il mantenimento delle sue condizioni storiche . Ma poiché queste contrastano con gli obiettivi produttivistici . la soluzione viene cercata non nella distruzione pura e semplice del movimento operaio . quanto nella enucleazione di aristocrazie operaie privilegiate e legate alle posizioni della conservazione paternalista . Il grande capitale si crea cioè un suo mercato privilegiato ; e , scimmiottando i movimenti operai « democratici » , si forma la opposizione di comodo . Sarebbe perciò un errore vedere nel grande capitale un peso inerte ; o negare che esso intenda procedere a modificazioni di struttura . Se esistono forti contrasti in seno allo schieramento capitalista . ciò non toglie che la dinamica del processo favorisce i gruppi orientati verso soluzioni non meno politico - sociali che economiche . Per il raggiungimento di queste soluzioni , anzi , il grande capitale mette in gioco un dinamismo e possibilità tali da assorbire in potenza tutti i possibili sviluppi riformistici tradizionali in campo politico e in campo sindacale . Cioè tutti quegli sviluppi che non tocchino , né in senso rivoluzionario , né in senso evolutivo , il nucleo paternalista del suo potere . La formazione di aristocrazie operaie conservatrici è dunque il momento fondamentale dell ' azione del grande capitale . Essa si manifesta in forme note , la repressione , la discriminazione , la rappresaglia individuale , l ' esautoramento e la subordinazione degli organismi operai di fabbrica . Queste forme sono sempre presenti , come mezzi indispensabili alla politica paternalista . Anche dove questa si tinge di socialismo e queste forme sono meno evidenti , non è possibile evitare discriminazioni e ' esautoramento degli organismi di rappresentanza operaia . Ma questi mezzi sono intesi ad accelerare gli effetti di altre condizioni a carattere strutturale che rappresentano il fondo dell ' azione padronale . La sperequazione tra livello dei salari e livello dei profitti è la condizione fondamentale . La politica salariale dei grandi complessi - cioè la concessione paternalista di salari aziendali - è ben lontana dal rappresentare un ' organica politica di alti salari , cioè una politica con precisi intenti economici , inquadrabili in un sistema in sviluppo . Essa è in realtà una politica di corruzione che gioca sui livelli salariali inferiori cd è intesa ad ottenere specialmente - anche se non esclusivamente - la esclusione di ogni controllo e di ogni lotta nella fabbrica nel periodo dell ' aggiustamento e della razionalizzazione dei metodi produttivi . Sull ' allargamento della forbice profitti - salari , d ' altra parte , si fonda tutta la politica del grande capitale ; intesa a sfruttare la sperequazione economica , per trarre quei profitti differenziali che costituiscono il nerbo della sua politica . Complementare al divario profitti - salari è la sperequazione tra livelli salariali nelle varie aziende . Attraverso i meccanismi confindustriali , i rapporti contrattuali e le influenze dirette , il grande capitale può ottenere una cristallizzazione dei minimi salariali , cristallizzazione necessaria allo sviluppo del sistema dei salari aziendali e dei profitti differenziali . La depressione salariale dà infatti rilievo al salario aziendale senza che ne risulti menomato lo sfruttamento capitalistico . Oltre a ciò il rapporto costi - prezzi ricade a tutto favore del grande complesso produttivo che , anche in questo senso , approfondisce a proprio vantaggio la sperequazione economica . A questi strumenti economici si accompagnano azioni più propriamente sociologiche , collegate alla razionalizzazione dei sistemi produttivi . La dequalificazione e il rinnovo - oltre agli spostamenti interni - di manodopera sono infatti un altro elemento di fondo . Si dovrebbe chiarire il termine di « dequalificazione » , poiché la tendenza è alla sostituzione di una qualificazione individuale con una qualificazione di nassa che l ' uso generico di « dequalificazione » tende a nascondere . È comunque importante notare che , presso i grandi complessi , avviene un forte ricambio di manodopera reso possibile dalla capacità di istruire nell ' azienda stessa la manodopera non qualificata per compiti particolari , spesso non ripetibili altrove , che cioè non costituiscono « mestiere » . A ciò si aggiunge il fatto che la nuova manodopera è preferibilmente scelta tra lavoratori alla prima generazione operaia , legati alla crisi della piccola proprietà contadina o provenienti da regioni tradizionalmente « depresse » . Si comprende facilmente che cosa ci si attenda da un ' azione complessa , della quale abbiamo indicato soltanto i momenti fondamentali . Non si tratta soltanto degli effetti psicologici del divario di condizione salariale . Una differenza tra livelli salariali - anche nella particolare condizione economico - sociale italiana - non provoca , di per sé , fratture effettive , strutturali , della classe operaia . Il fatto è che la differenza tra livelli salariali è uno degli aspetti di una sperequazione economica generale e di un metodo che investe tutta la economia italiana . Qualora perciò il lavoratore si renda conto che la sua possibilità di ottenere miglioramenti del salario diretto ed indiretto con relativa facilità , è condizionata da questa condizione sperequativa , è cioè correlata alla depressione salariale generale . e accetti con ciò il punto di vista del grande capitale , egli porrà la sua rivendicazione come spartizione della torta e la sua « democraticità » sarà così completa . Il tentativo mira cioè ad ottenere - in forme adeguate alla nostra epoca ed alla situazione italiana - la ripetizione del fenomeno provocato dalla formazione dell ' American Federation of Labor , quando l ' aristocrazia operaia americana - formata dagli skilled - decise di separarsi dal grosso della classe operaia . Tuttavia - ammesso che il confronto sia possibile - esiste un elemento di profonda differenziazione . Gli skilled americani avevano , proprio in virtù di una loro abilità professionale che li spingeva a distinguersi „ una forza contrattuale che l ' attuale condizione produttiva non permette e che , comunque , non caratterizza la aristocrazia operaia italiana . Questo elemento muta totalmente le condizioni e le prospettive del fenomeno . Le aristocrazie operaie italiane non possono riprodurre la caratteristica fondamentale del fenomeno americano , cioè la autonomia , operante anche nei momenti peggiori . fondata stilla abilità professionale . Esse sono perciò da un lato abbandonate allo strapotere paternalista e dall ' altro non possono separarsi totalmente dalla classe operaia . dalla necessità cioè di trovare in essa la forza contrattuale di cui mancano . Il grande capitale non può perciò arrestare la sua azione ad un momento di pretesa « democraticità » del movimento operaio - che potrebbe coincidere con la sparizione delle organizzazioni di classe - riservandosi di trattare , su un piano interclassista , con organizzazioni coadiuvanti ma autonome . In quel momento infatti i gruppi operai esclusi si troverebbero a dover di nuovo agire secondo una capacità contrattuale che deriva esclusivamente dalla solidarietà di classe e perciò ricostruirebbero immediatamente anche la capacità contrattuale degli strati operai non privilegiati . La logica del grande capitale non può dunque essere che la logica della stratificazione : la logica degli elefanti addomesticati . La distruzione del movimento operaio - cioè la sparizione delle sue organizzazioni - gli renderebbe impossibile quell ' azione di pressione sui partiti e sulla socialdemocrazia politica che gli occorre per la realizzazione demografica e per la programmazione economica . Ma l ' autonomia operaia in un modo qualsiasi e sul filo di una qualsiasi politica , rappresenterebbe il crollo della sua politica e conseguentemente del potere paternalista . In Italia perciò la lotta per il potere - ché tale è la lotta per il controllo del fenomeno tecnologico - assume toni drammatici . Porre la questione come necessità di arrivare comunque ad una programmazione economica . significa rimanere ancora in ritardo rispetto ai termini effettivi della questione . La lotta é contro il paternalismo in lobbia o in cravatta rossa ; ma è anche contro le soluzioni capitaliste più arretrate . È contro le interpretazioni riformistiche della socialdemocrazia ; ma è anche contro le interpretazioni pseudo - rivoluzionarie che favoriscono i gruppi capitalistici retrivi . Contro il collaborazionismo operaio che svuota di senso una lotta moderna ; ma è anche contro le impostazioni della mitologia massimalista che affossano il movimento operaio nell ' impotenza e , dietro ai verbalismi , svirilizzano proprio la lotta di classe come fenomeno storico , non come proiezione mitica .