StampaPeriodica ,
Come
un
medico
dall
'
orologio
d
'
oro
al
capezzale
dell
'
infanzia
,
così
il
circo
,
clown
occhialuto
,
porge
sciroppi
e
rimedi
alla
gioventù
malata
di
teatro
.
E
la
sabbia
delle
piste
ha
per
essa
lo
stesso
odore
dei
balsami
di
tolù
,
di
quei
caldi
aromi
consolatori
.
Movendo
dall
'
atto
secondo
,
in
cui
il
protagonista
Hinkemann
si
esibisce
nel
ruolo
di
mangiatopi
in
un
baraccone
,
Bruno
Cirino
(
Teatroggi
)
ha
impostato
Il
mutilato
di
Ernst
Toller
come
una
rappresentazione
di
circo
,
di
piccolo
circo
sdrucito
della
periferia
.
Un
telone
d
'
argento
,
dietro
il
quale
si
accende
a
tratti
,
come
nei
luna
-
park
,
una
fluente
treccia
di
lampadine
,
una
rossa
grancassa
e
una
grande
ruota
,
che
è
insieme
attrazione
da
fiera
e
graticola
e
macchina
da
colonia
penale
.
Come
le
isole
di
un
arcipelago
,
i
teatrini
si
scambiano
su
invisibili
navi
le
merci
delle
loro
esperienze
:
è
chiaro
che
l
'
architettura
di
questo
spettacolo
risente
della
conclusiva
sequenza
del
Risveglio
di
primavera
di
Nanni
.
Al
proprietario
del
baraccone
,
che
immaginavo
polputo
e
con
guance
di
melanzana
come
l
'
impresario
dell
'
Angelo
azzurro
di
Sternberg
,
il
regista
ha
sostituito
un
rabbioso
e
spietato
domatore
che
con
la
frusta
incalza
ed
umilia
i
semplici
,
gli
sventurati
,
costringendoli
a
salti
guitteschi
.
Avvilite
sembianze
,
gli
attori
in
tute
mimetiche
a
chiazze
arancione
matteggiano
,
ballano
,
strisciano
come
lombrichi
,
con
musica
di
tromboni
e
di
Knappentanz
.
Ciondolando
con
testa
di
leone
,
scambiandosi
affannosamente
bombette
,
e
con
criniera
equina
e
gualdrappa
mutandosi
in
un
quadrupede
simile
a
quello
del
balletto
Parade
,
traspongono
in
virtuosismi
da
acrobati
,
in
figurazioni
zoologiche
la
goffa
vicenda
di
Toller
,
i
suoi
sfocati
conflitti
,
il
suo
manicheismo
da
cartellone
.
E
nella
parade
-
allée
del
finale
ci
si
presentano
con
fuciletti
e
corazze
e
manopole
da
gladiatori
,
da
spartachi
,
forse
alludendo
allo
spartachismo
.
Schinieri
di
latta
e
bracciali
da
Darix
Togni
il
regista
affibbia
in
certi
punti
anche
a
Hinkemann
-
Homunculus
.
Nella
pendula
e
mogia
interpretazione
di
Ernesto
Colli
il
personaggio
assomiglia
,
non
tanto
a
un
«
orso
tedesco
»
,
a
una
disperata
larva
dell
'
espressionismo
,
quanto
a
uno
stanco
fachiro
di
Porta
Portele
,
la
faccia
esangue
e
tagliente
come
una
scure
,
capelli
lunghi
da
nazzareno
.
Rouault
ci
ha
avvertiti
nei
suoi
dipinti
della
parentela
tra
Cristo
e
i
pagliacci
.
Per
dilatare
l
'
equivalenza
Hinkemann
-
Cristo
accennata
da
Toller
,
il
regista
fa
sì
che
il
suo
primo
attore
si
collochi
sulla
ribalta
come
su
un
golgota
,
con
le
braccia
aperte
come
su
una
croce
,
spennacchiato
,
deserto
,
nella
conoide
luce
di
zafferano
.
Ci
aspettavamo
che
la
desolata
confessione
dell
'
eunuco
assumesse
un
'
irruenza
vocale
così
lacerante
da
disgradare
il
grido
di
gallo
del
professor
Unrat
nell
'
Angelo
azzurro
.
Ma
gli
interpreti
tutti
parlano
a
fior
di
labbra
,
bisbigliano
,
perdono
continuamente
la
voce
,
come
le
lumache
la
bava
.
E
del
resto
la
trascrizione
in
chiave
funambola
disperde
molti
elementi
fondamentali
del
testo
:
la
mascherata
degli
invalidi
con
organetti
,
la
simbologia
che
raccorda
la
perdita
del
piffero
con
l
'
acquisto
della
veggenza
,
l
'
allucinazione
ed
il
gusto
del
deforme
,
che
accostano
le
retoriche
apocalissi
di
Toller
alle
pitture
di
Frans
Masereel
e
di
Otto
Dix
.
Quando
smette
gli
sbalzi
e
le
capriuole
del
circo
,
la
recitazione
si
allenta
in
cadenze
dormigliose
e
svogliate
a
malapena
adombrando
il
rancore
che
intride
l
'
avvilimento
,
la
nausea
che
nasce
dall
'
esser
scherniti
,
lo
strazio
di
un
'
indifesa
ridicolaggine
.
Ciò
non
vuol
dire
però
che
lo
spettacolo
sia
magro
di
ghiotte
trovate
.
Grete
Hinkemann
(
Saviana
Scalfi
)
all
'
inizio
si
stende
,
come
inchiodata
,
sulla
ruota
che
gira
,
variante
della
«
rete
»
di
cui
parla
Toller
,
e
alla
fine
,
forse
per
significare
una
derisoria
gravidanza
,
viene
ostentando
,
ripulsivo
impasto
di
ginecologia
e
baraccone
,
enormi
mammelle
di
gomma
,
un
ventre
sfoggiato
,
due
lombi
badiali
.
Con
quell
'
obeso
costume
di
ciambelle
verdognole
,
con
quei
gonfiori
da
manichino
del
teatro
di
Schlemmer
e
da
pupazzo
della
Michelin
,
la
guitta
Grete
del
luna
-
park
di
borgata
,
la
saltatrice
lasciva
diventa
l
'
idropica
ipòstasi
di
una
scurrile
maternità
derelitta
.
E
ti
sembra
d
'
un
tratto
che
la
sua
enfiata
figura
condensi
tutti
i
drammi
d
'
alcova
che
lievitano
nei
casamenti
spettrali
dello
squallido
rione
di
Centocelle
,
dove
lo
scantinato
di
questo
teatrino
si
inselva
.
Non
conosce
alberi
Centocelle
.
Sono
andato
a
cercarli
altrove
,
sotto
il
tendone
del
Teatro
libero
nel
Circo
al
colle
Oppio
,
dove
si
recita
,
nella
regia
di
Armando
Pugliese
,
Il
barone
rampante
di
Calvino
.
Fantasticavo
di
trovarvi
una
delle
calvinesche
«
città
invisibili
»
,
una
Magnolia
,
un
'
Arbòrea
fogliosa
,
e
invece
mi
ha
accolto
una
dura
carpenteria
,
un
anello
di
ruvidi
e
inospiti
ceppi
,
tra
le
cui
forcelle
si
snoda
un
aereo
sentiero
,
come
una
pista
di
go
-
kart
.
Su
quel
cerchio
pensile
corrono
Cosimo
e
gli
altri
personaggi
invasati
da
dendropatia
e
tarzanismo
.
Ma
per
i
loro
scambietti
e
duelli
ed
inseguimenti
gli
interpreti
dispongono
anche
di
tre
piattaforme
e
della
pista
centrale
,
il
che
permette
un
assiduo
mutamento
di
luogo
e
procura
dei
bei
torcicolli
.
Le
idee
ronconiane
hanno
prosperato
diversi
congegni
:
da
questa
nocchiuta
alberatura
alle
mansioni
del
Grand
Magic
Circus
di
Jérôme
Savary
.
Nella
girandola
del
colle
Oppio
,
frammezzo
agli
spettatori
appollaiati
come
galline
su
trespoli
,
una
sfrenata
e
agilissima
compagnia
di
saltimbanchi
in
polpe
,
livree
,
crinoline
,
tricorni
,
parrucche
traduce
in
una
farsa
frenetica
l
'
adorabile
libro
,
purtroppo
stracciandone
l
'
esile
filigrana
.
In
quel
patassio
le
settecentesche
figure
si
riducono
a
concitate
macchiette
da
varietà
di
provincia
.
Questa
non
è
la
fiabesca
villa
di
Ombrosa
,
ma
una
qualsiasi
Massa
Lubrense
in
autunno
.
Come
accade
oggi
in
molti
teatrini
,
anche
sul
colle
Oppio
la
sostanza
verbale
si
soffoca
con
sovrattoni
,
con
strilli
,
con
putiferi
.
Non
basta
urlare
come
pirati
all
'
assalto
di
un
castello
pugliese
,
bisogna
vezzeggiar
la
parola
.
Non
basta
far
chiasso
,
perché
nasca
l
'
incanto
della
pagliacceria
.
StampaPeriodica ,
Sono
tornato
da
Praga
con
disperazione
e
con
rabbia
.
Dopo
aver
vissuto
per
due
mesi
le
speranze
e
le
apprensioni
di
un
popolo
,
alla
cui
cultura
ho
dedicato
gran
parte
della
mia
esistenza
.
Tanto
più
amaro
è
il
mio
ritorno
in
quanto
questo
magnifico
popolo
è
stato
offeso
e
schiacciato
dall
'
esercito
di
un
altro
paese
,
della
cui
letteratura
io
sono
da
lunghi
anni
testimonio
ed
amico
in
scritti
e
lezioni
.
È
tempo
di
liberarsi
ormai
di
tutte
le
illusioni
e
di
tutti
gli
inganni
nei
riguardi
della
Russia
.
È
chiaro
che
la
presente
avventura
sovietica
,
coperta
del
solito
leucoplasto
ideologico
,
con
le
sue
brutalità
e
i
suoi
colpi
di
teatro
,
questo
miscuglio
asiatico
di
truculenze
e
di
falsi
e
di
minacce
e
di
beffe
e
di
abbracci
e
di
parolone
,
si
inquadra
logicamente
nella
cornice
secolare
della
storia
russa
,
come
se
nulla
fosse
cambiato
dalla
sanguinaria
e
crudele
epoca
di
Ivàn
il
Terribile
e
come
se
i
cecoslovacchi
fossero
i
tartari
della
città
di
Kazàn
,
da
lui
conquistata
.
Del
resto
sia
pure
così
:
Kazàn
,
dicono
le
cronache
del
Cinquecento
,
era
una
marmitta
dentro
cui
il
popolo
ribolliva
come
acqua
.
Ho
trascorso
dunque
questi
due
mesi
nel
Castello
degli
Scrittori
vicino
Praga
,
in
continuo
contatto
coi
redattori
di
«
Literarni
Listy
»
,
e
devo
dire
che
,
nonostante
l
'
ottimismo
di
alcuni
corrispondenti
occidentali
,
le
brevi
schiarite
non
hanno
mai
dissipato
dagli
animi
cecoslovacchi
la
pesante
inquietudine
,
specie
dopo
il
prolisso
ed
ambiguo
documento
di
Bratislava
.
Un
orecchio
attento
coglieva
nel
tono
vagamente
rassicurante
dei
discorsi
di
Svoboda
,
Dubcek
,
Smrkovsky
reticenze
e
circonlocuzioni
pervase
di
angoscia
.
Ci
si
aspettava
da
un
giorno
all
'
altro
l
'
invasione
,
e
lo
scetticismo
non
si
offuscò
nemmeno
quando
fu
annunziato
dalla
stampa
che
le
truppe
straniere
venute
per
le
manovre
se
ne
erano
andate
definitivamente
.
Ci
pareva
,
la
notte
,
riuniti
nella
sala
da
pranzo
del
Castello
,
di
udire
un
infausto
rotolio
di
carri
armati
nel
silenzio
sulla
provinciale
che
lo
costeggia
.
Specie
dopo
il
18
,
quando
si
sparse
la
voce
che
i
cosiddetti
«
alleati
»
preparavano
nuove
manovre
in
territorio
cecoslovacco
,
eravamo
certi
che
una
notte
ci
avrebbe
svegliati
una
nera
realtà
senza
scampo
.
E
infatti
così
è
avvenuto
:
nella
notte
tra
il
20
e
il
21
,
appena
si
seppe
che
lo
straniero
avanzava
con
tutta
la
sua
mostruosa
ferraglia
e
calava
dal
cielo
sull
'
aeroporto
praghese
,
gli
amici
mi
convinsero
a
partire
in
fretta
,
prima
che
fosse
troppo
tardi
,
e
a
dirigermi
per
strade
marginali
e
poco
battute
verso
il
valico
di
Rozvadov
,
che
porta
a
Norimberga
.
Mi
dissero
:
vattene
subito
,
è
meglio
per
tutti
noi
,
potrai
meglio
aiutarci
di
fuori
che
restando
qui
,
in
gabbia
.
Sembra
di
fare
del
pathos
,
ma
il
congedo
dagli
scrittori
che
erano
allora
al
Castello
in
subbuglio
,
pieni
di
astio
per
la
tracotanza
dei
falsi
«
alleati
»
,
è
stato
infinitamente
triste
,
e
indimenticabile
.
In
soli
trent
'
anni
la
seconda
occupazione
,
con
lo
stesso
fragore
di
carri
pesanti
e
la
stessa
tecnica
che
russi
e
tedeschi
si
trasmettono
in
una
gara
di
emulazione
,
e
questa
volta
in
nome
di
una
«
fratellanza
»
,
su
cui
è
ormai
posta
dai
cecoslovacchi
una
croce
.
Fratelli
:
ho
finito
per
odiare
questa
parola
.
Correndo
in
macchina
tra
le
fitte
spalliere
di
boschi
della
Boemia
occidentale
,
ripensavo
alle
lunghe
,
estenuanti
discussioni
al
Castello
,
durante
le
quali
cercavamo
di
spiegarci
l
'
insania
sovietica
;
ripensavo
agli
intellettuali
a
me
cari
,
che
avrebbero
ora
subito
nuove
persecuzioni
;
ripensavo
alla
solitudine
di
questo
popolo
nel
cuore
dell
'
Europa
,
spezzata
in
due
da
una
lacerazione
irrimediabile
.
Mi
tornava
in
mente
un
passo
di
Jan
Prochàzka
nel
libro
Politica
per
ognuno
,
uscito
da
poco
:
«
Ci
dicono
che
stiamo
turbando
i
rapporti
con
l
'
Unione
Sovietica
e
le
altre
nazioni
socialiste
,
come
se
contraddicesse
il
socialismo
il
fatto
che
non
vogliamo
esser
sudditi
di
alcun
padrone
né
padroni
di
alcun
suddito
,
ma
libera
terra
tra
popoli
uguali
in
un
mondo
giusto
.
Solo
reggendoci
sulle
nostre
gambe
,
diritti
e
liberi
,
possiamo
esser
buoni
amici
di
amici
buoni
e
disinteressati
alleati
di
alleati
disinteressati
»
.
Ma
a
che
è
servita
questa
ininterrotta
sequela
di
assicurazioni
,
di
formule
cerimoniali
,
di
asserzioni
di
fede
,
di
ammansimenti
?
Tutta
questa
strategia
di
cautele
e
di
attese
e
di
reiterate
profferte
di
amicizia
?
Aveva
avuto
ragione
il
caricaturista
di
«
Literarni
Listy
»
a
raffigurare
,
in
un
disegno
non
pubblicato
,
Breznev
come
un
rapace
Nembo
Kid
,
che
si
avventa
su
Praga
.
Con
la
ripresa
degli
attacchi
sui
giornali
della
Santa
Alleanza
marxista
si
erano
accresciute
la
diffidenza
e
l
'
inquietudine
.
Il
giorno
prima
dell
'
invasione
correvano
oscure
notizie
sui
movimenti
degli
aggressori
ai
confini
e
sul
fatto
che
Dubcek
era
stato
convocato
d
'
urgenza
da
Breznev
e
che
gli
alleati
tornavano
a
esigere
che
il
governo
cecoslovacco
imbavagliasse
la
stampa
e
la
televisione
,
spauracchi
dei
miopi
gerarchi
,
persuasi
che
l
'
umanità
debba
essere
una
torpida
accolta
di
servi
.
È
ricominciata
,
affermavano
gli
amici
,
la
politica
dello
spianatoio
e
del
ferro
da
stiro
che
livella
tutto
,
risparmiando
magari
gli
anticomunisti
,
per
dissolvere
i
comunisti
dissidenti
.
Ciò
nonostante
,
e
con
l
'
ansia
di
far
presto
,
mi
ero
ingegnato
di
avere
un
incontro
col
capo
del
governo
Cernik
,
e
questi
mi
aveva
promesso
di
concedermi
un
'
intervista
per
«
I
]
Espresso
»
.
E
una
vaga
promessa
avevo
ottenuto
anche
dal
segretario
di
Dubcek
per
un
colloquio
,
se
Dubcek
,
dopo
la
partenza
di
Ceausescu
da
Praga
,
avesse
avuto
un
momento
di
calma
.
A
Cernik
il
suo
consigliere
culturale
,
uno
studioso
mio
amico
,
aveva
trasmesso
le
quattro
domande
che
qui
riporto
,
come
testimonianza
di
un
'
intervista
mancata
:
1
.
Ho
ascoltato
alla
TV
alcuni
suoi
discorsi
,
signor
Primo
ministro
,
e
ne
ho
ammirato
la
tagliente
freddezza
e
il
tono
concreto
.
Eppure
molti
documenti
cecoslovacchi
di
questi
mesi
peccano
di
vuota
fraseologia
.
Non
le
sembra
,
signor
Primo
Ministro
,
che
uno
dei
principali
problemi
della
nuova
società
cecoslovacca
sia
quello
di
liberarsi
dalle
vuote
frasi
roboanti
?
2
.
Gli
ultimi
avvenimenti
hanno
rimesso
in
luce
le
connessioni
europee
della
Cecoslovacchia
.
Qual
è
la
sua
opinione
,
signor
Primo
Ministro
,
sul
problema
CecoslovacchiaEuropa
?
3
.
Dallo
scorso
gennaio
il
socialismo
cecoslovacco
sembra
riprendere
i
temi
masarykiani
dell
'
umanità
e
della
tolleranza
.
Vede
lei
,
signor
Primo
Ministro
,
un
nesso
tra
la
dottrina
di
Masaryk
e
il
nuovo
corso
?
4
.
Durante
la
prima
Repubblica
i
rapporti
culturali
tra
Cecoslovacchia
e
Francia
furono
più
intensi
che
tra
Cecoslovacchia
e
Italia
,
soprattutto
a
causa
del
fatto
che
nel
nostro
paese
regnava
il
fascismo
.
Pensa
,
signor
Primo
Ministro
,
che
la
rinnovata
Repubblica
,
nel
clima
di
libertà
,
cercherà
un
avvicinamento
più
stretto
con
la
Repubblica
italiana
?
Come
sembra
ozioso
tutto
questo
dinanzi
al
precipitare
delle
circostanze
.
Del
resto
tutti
sentivamo
nell
'
aria
che
le
cose
stavano
precipitando
.
Tra
i
«
misteri
»
della
città
d
'
oro
c
'
è
anche
questo
:
che
le
notizie
e
gli
indizi
vi
si
diffondono
magicamente
,
in
un
attimo
.
Si
sussurrava
che
i
russi
,
aizzati
da
Ulbricht
e
da
Gomulka
,
avrebbero
fatto
di
tutto
per
ostacolare
il
congresso
straordinario
del
partito
.
Ci
si
lamentava
che
Dubcek
,
troppo
fiducioso
,
non
curasse
di
più
la
sua
incolumità
personale
:
quando
si
recò
a
Cierna
,
gli
fu
chiesto
da
redattori
della
TV
di
farsi
proteggere
,
date
le
tradizioni
sovietiche
,
ma
egli
rispose
che
gli
sembrava
superfluo
,
era
pronto
a
tutto
.
E
come
lui
il
popolo
,
quasi
per
scaramanzia
,
voleva
evitare
ogni
misura
precauzionale
.
D
'
altronde
la
coscienza
del
pericolo
non
è
mai
così
assoluta
,
da
cancellare
del
tutto
la
speranza
di
salvezza
.
Ora
lo
sdegno
verso
i
russi
(
gli
altri
occupanti
sono
considerati
cani
al
guinzaglio
)
avrà
toccato
le
stelle
.
Ma
già
negli
ultimi
giorni
della
mia
permanenza
in
Cecoslovacchia
si
veniva
mutando
in
sordo
astio
l
'
indignazione
del
popolo
,
sospeso
nel
vuoto
dopo
il
documento
di
Bratislava
ed
esposto
,
come
su
un
calvario
,
a
salve
di
calunnie
e
menzogne
.
E
l
'
indignazione
è
macchina
di
saldezza
per
questo
popolo
,
un
tempo
considerato
un
'
accolta
di
piccoli
uomini
birrosi
e
tranquilli
,
da
Biedermeier
,
di
figurette
da
racconti
di
Capek
,
e
oggi
interprete
di
un
dramma
eroico
che
desta
lo
stupore
del
mondo
e
maestro
nella
tecnica
della
pazienza
e
della
difesa
non
violenta
.
Un
popolo
che
gli
aggressori
tenteranno
di
sfaldare
,
giuocando
sui
vecchi
rancori
di
famiglia
tra
cechi
e
slovacchi
,
rancori
che
tuttavia
si
sono
assopiti
d
'
incanto
nell
'
ora
della
minaccia
.
Ricordo
alcune
conversazioni
del
giorno
20
,
le
ultime
.
Un
amico
scrittore
paragona
il
comunismo
sovietico
a
una
cipolla
:
«
L
'
abbiamo
sfogliata
per
vent
'
anni
,
nonostante
il
cattivo
odore
e
fingendo
che
fosse
un
aroma
paradisiaco
,
nella
speranza
di
giungere
un
giorno
al
bulbo
,
poiché
sotto
le
apparenze
negative
volevamo
toccare
la
sostanza
.
E
alla
fine
,
con
le
lacrime
agli
occhi
,
ci
accorgiamo
che
anche
il
bulbo
è
rozzo
e
disgustoso
»
.
Un
romanziere
asserisce
:
«
Non
tarderanno
a
lungo
,
vedrai
.
Gli
ultimi
articoli
nei
loro
giornali
sono
trombe
di
guerra
.
Del
resto
il
meccanismo
della
dittatura
totalitaria
non
ha
altra
via
d
'
uscita
.
Un
regime
-
laboratorio
che
estingue
l
'
intelligenza
,
riducendo
l
'
uomo
a
un
numero
obbediente
,
come
nel
romanzo
utopistico
Noi
di
Zamjatin
,
non
può
consentire
che
un
piccolo
popolo
,
pur
restando
fedele
al
socialismo
,
deragli
dai
dogmi
e
dagli
schemi
di
pietra
.
E
,
presumendo
di
essere
l
'
eletto
,
manipola
la
verità
a
suo
piacimento
e
offende
ogni
diritto
e
vuol
essere
per
di
più
riconosciuto
protettore
e
fratello
.
Che
differenza
c
'
è
tra
Brezncv
e
Hitler
?
Ti
dirò
di
più
:
Hitler
ha
appreso
la
tecnica
da
loro
,
dai
sovietici
,
i
quali
furono
i
primi
ad
aprire
i
Lager
e
a
far
professione
di
intolleranza
»
.
Un
poeta
mi
espone
nervosamente
una
sua
forse
assurda
teoria
:
«
Non
mi
garba
»
dice
«
questo
andirivieni
dei
capi
di
paese
in
paese
;
questa
continua
locomozione
non
promette
nulla
di
buono
.
Finiranno
col
prendersi
noi
e
la
Jugoslavia
e
la
Romania
,
giungendo
sino
ai
confini
albanesi
.
Risolveranno
tutto
in
una
volta
.
E
sarà
la
loro
fine
»
.
Un
altro
scrittore
mi
cita
un
passo
profetico
d
'
un
giornalista
ceco
del
secolo
scorso
,
Hubert
Gordon
Schauer
,
il
quale
,
chiedendosi
che
cosa
sarebbe
avvenuto
se
l
'
impero
austriaco
si
fosse
frantumato
e
se
i
tedeschi
avessero
minacciato
la
Boemia
,
scrisse
nel
1886
le
parole
seguenti
:
«
Molti
dicono
che
ci
salverebbe
la
Russia
.
Ma
la
Russia
è
davvero
uno
Stato
amico
,
sono
i
russi
davvero
nostri
fratelli
,
disposti
a
difenderci
ad
ogni
costo
?
E
se
invece
ci
sacrificassero
al
germanesimo
,
se
ci
barattassero
con
assoluta
freddezza
in
cambio
della
Galizia
o
dei
Balcani
?
E
se
,
per
un
curioso
corso
della
sorte
,
fossimo
loro
assegnati
e
,
come
fanno
ora
coi
polacchi
,
ci
russificassero
o
,
come
coi
bulgari
,
ci
privassero
dell
'
autonomia
politica
?
So
che
vi
sono
alcuni
,
i
quali
gioiscono
a
questo
pensiero
,
ma
altri
che
rifuggono
dalla
russificazione
così
come
dal
germanismo
,
e
per
i
quali
il
giogo
fraterno
è
altrettanto
sgradevole
e
forse
anche
più
ripugnante
di
quello
straniero
.
Vi
sono
uomini
i
quali
,
se
si
presentasse
il
dilemma
:
tedeschizzarsi
o
russificarsi
,
rifletterebbero
con
sangue
freddo
da
qual
parte
verrebbe
maggior
giovamento
culturale
...
»
.
Il
problema
è
certo
cambiato
e
,
dopo
l
'
invasione
sovietica
,
si
pone
in
termini
nuovi
:
né
con
gli
uni
né
con
gli
altri
.
Ecco
perché
dall
'
inizio
delle
manovre
e
ancor
più
negli
ultimi
giorni
i
cecoslovacchi
,
con
risoluzioni
e
dibattiti
,
insistono
sulla
totale
neutralità
del
paese
.
Fatto
è
che
per
almeno
cento
anni
il
ricordo
dei
russi
(
per
non
parlare
dei
bulgari
e
dei
polacchi
)
sarà
equivalente
a
quello
dei
nazisti
,
e
la
stella
rossa
uguale
alla
croce
uncinata
:
l
'
inconsulta
goffaggine
dell
'
impero
sovietico
,
che
si
regge
sui
cingoli
e
sui
cannoni
,
fingendo
di
essere
eternamente
insidiato
da
eterne
controrivoluzioni
,
ha
messo
in
forse
l
'
esistenza
stessa
del
comunismo
in
un
paese
che
poteva
diventare
il
modello
di
una
moderna
società
comunista
.
A
meno
che
non
si
debba
concludere
che
democrazia
e
comunismo
siano
inconciliabili
.
Ma
,
in
questo
duello
tra
Davide
e
Golia
,
la
corazzata
ottusità
dei
sovietici
si
è
scontrata
con
l
'
inerme
tenacia
di
un
popolo
che
sa
essere
saldo
e
compatto
come
un
muro
di
piombo
,
uno
dei
più
caparbi
popoli
della
terra
,
che
non
tornerà
indietro
in
nessun
caso
.
C
'
è
da
augurarsi
che
il
Golem
sovietico
dai
piedi
ferrati
abbia
il
buon
senso
di
ritirarsi
e
che
non
perda
del
tutto
la
ragione
.
Se
lo
straniero
dovesse
restare
nel
territorio
cecoslovacco
,
si
troverà
come
nel
deserto
:
la
capacità
di
sabotaggio
e
di
difesa
passiva
della
nazione
cecoslovacca
è
infinita
.
Siamo
agli
inizi
di
una
nuova
resistenza
:
scioperi
,
ostentato
disprezzo
per
gli
occupanti
,
caccia
spietata
ai
collaborazionisti
,
proliferazione
di
libere
trasmittenti
.
Una
resistenza
che
si
vale
delle
risorse
dei
tempi
dell
'
Austria
e
del
periodo
del
protettorato
nazista
e
si
arricchisce
di
nuovi
trucchi
e
di
strabilianti
invenzioni
,
come
il
colloquio
coi
carristi
stranieri
,
per
insinuare
nei
loro
animi
il
dubbio
,
la
distruzione
di
sigle
,
targhe
,
numeri
e
nomi
di
strade
e
cartelli
,
la
segnalazione
delle
auto
degli
agenti
segreti
,
e
riesce
talvolta
,
con
una
tecnica
collaudata
nei
giorni
del
nazismo
,
persino
ad
avvisare
coloro
che
stanno
per
essere
arrestati
.
Nella
sua
Idea
di
uno
Stato
austriaco
lo
storico
ceco
Palacky
(
1865
)
affermò
:
«
Siamo
stati
prima
dell
'
Austria
,
saremo
ancora
dopo
di
essa
»
.
Potremmo
sostituire
alla
parola
«
Austria
»
la
parola
«
Unione
Sovietica
»
.
E
tutta
la
fede
nella
durata
e
nella
rinascita
di
questo
paese
,
che
non
vuol
vivere
,
come
diceva
Masaryk
,
«
sul
conto
degli
altri
,
dell
'
altrui
coscienza
»
,
non
attenua
l
'
angoscia
per
una
situazione
che
,
se
durasse
troppi
anni
,
farebbe
della
Cecoslovacchia
una
muta
ombra
,
uno
stagno
insidioso
ma
spento
,
riducendo
la
sua
vita
a
parvenza
di
vita
,
tarpando
i
suoi
impulsi
e
immiserendo
ancor
più
la
sua
economia
già
immiserita
da
vent
'
anni
di
disastri
.
Senza
pensare
ai
massacri
che
deriverebbero
da
eventuali
scoppi
di
disperata
rivolta
.
Ascoltando
ora
ogni
sera
la
meravigliosa
catena
di
stazioni
cecoslovacche
che
oppongono
la
voce
della
libertà
a
quella
nauseante
delle
stazioni
«
collaborazioniste
»
e
«
piratiche
»
,
ripenso
agli
amici
,
alle
loro
parole
:
«
Tu
tornerai
in
Occidente
,
ma
noi
...
chissà
che
cosa
ci
aspetta
»
.
Vorrei
nominarli
ad
uno
ad
uno
,
tutti
coloro
vicino
ai
quali
ho
trascorso
i
mesi
più
caldi
della
loro
rivoluzione
,
giornalisti
e
scrittori
,
quelli
che
già
lavorano
nel
sottosuolo
e
organizzano
la
lotta
clandestina
e
quelli
che
sono
stati
rapiti
con
metodi
da
Gestapo
.
Vorrei
rassicurarli
del
nostro
affetto
e
della
nostra
ammirazione
,
dir
loro
:
voi
siete
la
coscienza
del
mondo
.
Ma
so
che
le
parole
,
guaste
e
caricate
da
troppi
abusi
,
non
valgono
più
nulla
.