Tipi di Ricerca: Ricerca per parole
Trova:
> categoria_s:"StampaPeriodica" > categoria_s:"StampaPeriodica"
ESTETICA E PSICOLOGIA DEL LINGUAGGIO ( CROCE BENEDETTO , 1907 )
StampaPeriodica ,
Il mio trattato di Estetica ha richiamato , pei rapporti che stabilisce tra Filosofia dell ' arte e Filosofia del linguaggio , l ' attenzione degli studiosi del linguaggio . Ciò mi fa piacere , perché contribuirà a trasportare i problemi estetici in ambienti di cultura e di scienza , togliendoli dalle mani degli sfaccendati sin oficio ni beneficio ( assai simili a quegli hombres honrados , che Sancho trovò nell ' isola di Barataria ) , i quali , a tempo perso , si mettono a cercare " che cosa è il Bello " . Ed essendo il mio libro uscito quasi contemporaneamente alla vasta opera del Wundt sul linguaggio non è maraviglia che sia accaduto come un urto tra l ' indirizzo del Wundt , e quello , assai diverso , che io cerco di promuovere . Anche ciò non mi dispiace : l ' urto , ossia il confronto , metterà in mostra le virtù e le deficienze dell ' uno e dell ' altro indirizzo . Una manifestazione di questo contrasto è nell ' esame che il dr . O . Dittrich ( autore di un ' opera : Grundzüge der Sprachpsychologie , e di uno scritto : Die Grenzen der Sprachwissenschaft ) ha rivolto testé al mio libro , ai due volumetti del Vossler e all ' opera del Wundt , nella " Zeitschrift für romanische Philologie " . Il Dittrich , seguace del Wundt , riconosce che la mia trattazione è " logisch straffe und lückenlose " ( p . 472 ) , o , come dice anche , che ha una " innere logische Geschlossenheit " ( p . 476 ) ; e mi risparmia ( e di ciò gli sono grato ) quelle critiche di particolari , che spesso si fondano su fraintendimenti . Ma egli afferma che le mie tesi riposano sopra una " psicologia da lungo tempo superata " , e sopra " una teoria del valore affatto inadoprabile " ( p . 473 ) ; e , per queste due ragioni , stima di gran lunga preferibile l ' indirizzo del Wundt . Non che il Dittrich non nutra qualche speranza di portare a un certo componimento le mie teorie con la " Psicologia moderna " ( p . 476 ) . Il punto di unione a lui sembra che ci sia : è il mio concetto dell ' espressione , che egli mette in rapporto col concetto wundtiano dell ' appercezione . Per il Wundt , l ' appercezione è appunto " quella forma di sintesi creatrice nella quale , con l ' attenzione come sintomo soggettivo , viene in atto la chiarezza e distinzione oggettiva di singoli elementi e gruppi di elementi di un ' unità totale associativa che riempie il momento della coscienza " . Senonché questo concetto del Wundt è meramente psicologico ; e se il Croce ( dice il Dittrich ) accetta l ' identificazione di esso col suo concetto dell ' espressione , entra sì , in rapporto col " sistema della Psicologia moderna " , ma è un uomo perduto ; o , meglio , salvato , ma la cui teoria estetica e linguistica è totalmente fallita . Infatti ( come il Dittrich prova ) , dato il carattere psicologico dell ' appercezione del Wundt , non si può più sostenere , come io sostengo , che il valore estetico sia il fatto stesso della sintesi , ma così per i fatti estetici come per quelli logici e morali bisogna porre valori transubiettivi , in conformità della moderna teoria dei valori . " Il valore , come si attua o si deve attuare nell ' oggetto che si valuta esteticamente , logicamente o eticamente , e la legge del valore , giacciono di là della psiche dell ' individuo valutatore ; e valore e legge del valore hanno da fare con questa psiche solamente in quanto debbono venire riconosciuti da essa in forma di sentimento di valore , al fine di esistere per essa . Per tal modo l ' estetico deve stabilire le leggi transubiettive della intuizione pregevole ( wertvolle ) , il logico quelle del concetto pregevole ( partendo per ciò dal giudizio pregevole ) , e l ' etico quelle del volere pregevole " ( p . 479 ) . Determinato così il rapporto tra Psicologia ed Estetica , e fermato il principio della transubiettività dei valori , è chiaro che cade l ' identificazione da me affermata di Estetica e Filosofia del linguaggio . L ' importanza delle mie teorie dunque ( per quel che pare al Dittrich ) sta nell ' accentuare la parte della psichicità e spiritualità nel linguaggio ; il che , per altro , aveva già fatto il Wundt medesimo con la sua teoria del linguaggio come funzione psicofisica ( p . 486 ) . Per ogni altro rispetto , quel tanto che c ' è di buono nella mia Estetica , pubblicata nel 1902 , si trova già nell ' Estetica di Jonas Kohn , pubblicata nel 1901 . Mi libero subito da quest ' ultima osservazione col controsservare , non già , come potrei , che la parte teorica della mia Estetica fu pubblicata nel 1900 e perciò un anno innanzi il libro del Kohn ( non mi è gradevole portare la questione su questo terreno ) ; ma che le parti , in cui il Kohn e io siamo d ' accordo , non sono altro che alcune tesi kantiane , la cui data è il 1790 . Quanto al resto , il Dittrich ragiona benissimo : se io ammettessi l ' identificazione della mia sintesi espressiva con l ' appercezione del Wundt , ne verrebbero tutte le conseguenze che egli trae , e io sarei un uomo esteticamente e linguisticamente perduto . Ma proprio quella identificazione io non ammetto , perché la mia sintesi espressiva ha valore gnoseologico e non psicologico . Se le si vuole trovare precedenti , bisogna pensare non all ' appercezione wundtiana , ma alla kantiana attività sintetica dello spirito : concetto , com ' è noto , niente affatto psicologico , e che valse a stabilire la profonda distinzione tra Filosofia dello spirito e Psicologia . La mia psicologia è poco moderna ? Non direi , perché , per essere antiquata o moderna , dovrebbe essere , anzitutto , psicologia . Il Dittrich , se non se n ' era avveduto prima , intenderà da quello che dico ora che io non mi aggiro nel campo della Psicologia , ma in quello della Gnoseologia e della Filosofia dello spirito ; e perciò gli annunzi delle " novità " psicologiche non possono recarmi nessuna sorpresa piacevole o spiacevole , e anzi mi lasciano indifferente . Vediamo , invece , se sia poco moderna la mia teoria del valore , la quale è antidualistica , fondata sul concetto che la realtà e il valore sono il medesimo . Ho esposto con le parole stesse del Dittrich la teoria che egli le contrappone come modernissima , e che consiste nel porre i valori come transubiettivi . I valori starebbero fuori dello spirito press ' a poco ( ho scritto una volta in un momento di buon umore ) come lo stellone caudato , che accompagna i re magi nel presepe . Questa " modernissima " teoria è dunque la dottrina herbartiana , o addirittura quella scolastica . Sono sicuro che il Dittrich , se continuerà a meditarvi intorno , si avvedrà della stranezza di codesto intrudere nello spirito dell ' uomo valori transubiettivi e trascendenti ; e , per fargli animo , gli confesserò che anch ' io , da giovane , seguivo siffatto modo di vedere , ma dovetti poi abbandonarlo , perché una più attenta e prolungata meditazione me ne dimostrò le contradizioni e l ' impossibilità . Concludo . A intendere la natura del linguaggio e dell ' arte occorre filosofia e non già psicologia ; e il Wundt è psicologo . Per liberare dalle difficoltà preliminari la tesi dell ' identità del linguaggio con l ' arte bisogna concepire dialetticamente il problema del bello e del brutto , del valore e del disvalore ; e il Wundt è intellettualista , non dialettico . Per fare che codesti studî progrediscano è necessario risalire alla migliore tradizione del pensiero tedesco ; e il Wundt , per l ' origine e pel metodo del suo lavoro , più che a quello si congiunge al pensiero empirico inglese e americano . Non è stato per l ' appunto il prof . Wundt , che è passato sopra con iscarsa reverenza alle teorie linguistiche del geniale Guglielmo di Humboldt , imitando i diportamenti dell ' americano Whitney ? E non sono stato io ( in questo più tedesco di lui , ma tedesco del buon vecchio tempo ) a prendere le parti dello Humboldt contro l ' americanizzante professore tedesco ? Riuniti ora nel volume citato : Idealismo e positivismo nella scienza del linguaggio ( Bari , Laterza , 1908 ) . Vol . XXX , 1906 , fasc . 4 , pp . 472-487 . - il VOSSLER ha risposto , per la parte che lo concerne , nell ' " Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen " , CXVIII , pp . 253-257 .
LA LINGUA UNIVERSALE ( CROCE BENEDETTO , 1905 )
StampaPeriodica ,
L ' idea di una lingua universale è la sublimazione del falso concetto che si è avuto per il passato e si ha ancora d ' ordinario circa il linguaggio . Questo falso concetto consiste nel credere che il linguaggio sia un congegno che l ' uomo si è foggiato per comunicare ai suoi simili il proprio pensiero . Secondo siffatto modo di vedere , il pensiero starebbe dapprima , nella mente dell ' uomo , senza linguaggio : il linguaggio gli si aggiungerebbe poi , per atto pratico , in vista dell ' utile e del comodo . E poiché i congegni nascono rozzi e si perfezionano via via nel corso dei secoli , non è maraviglia che , assimilato a essi , il parlare effettivo degli uomini , cioè il linguaggio quale si è storicamente formato , appaia quasi un lavorare con istrumenti vecchi o addirittura barbarici , riadattati alla meglio ma sempre pesanti e incomodi , e sorga il desiderio di sostituire a quei vecchi strumenti o di possedere accanto a quelli uno strumento nuovo , costruito di sana pianta . Pel quale si farà tesoro , sì , delle esperienze secolari , ma ci si atterrà a criterî razionali che permettano di raggiungere più facilmente e meglio il fine della comunicazione . I fucili a ripetizione hanno sostituito quelli a pietra ; i treni - lampo le vecchie diligenze : perché mai il linguaggio ultimo - modello non sostituirebbe il rappezzato neolatino , il frondoso tedesco e l ' ibrido inglese ? Il falso concetto del linguaggio è evidente in tutti i vagheggiatori e promotori di una lingua universale : dal Cartesio e dal Leibniz , giù giù fino al dottor Zamenhof , inventore dell ' Esperanto , e ai signori Couturat e Léau , membri della " Delegazione per l ' adottamento di una lingua internazionale ausiliare " e autori della Histoire de la langue universelle . A Cartesio ( com ' è noto ) pareva cosa agevole foggiare una lingua universale , nella quale si avesse un modo solo di declinare , di coniugare e di costruire le parole , e non fossero verbi difettivi o irregolari , " qui sont toutes choses venues de la corruption de l ' usage " . Il dottor Zamenhof , fin dal tempo che seguiva gli studi letterarî nel ginnasio di Varsavia , si persuase che " la complexité des grammaires naturelles était une richesse vaine et encombrante , et se mit à élaborer une grammaire simplifiée " . I signori Couturat e Léau accettano in proposito la conclusione a cui pervenne già nel 1855 il Renouvier : che una lingua internazionale debba essere " empirique par son vocabulaire et philosophique ( c ' est - à - dire , rationnelle ) par sa grammaire " . Ed ecco che cosa essi pensano dei linguaggi esistenti : " toute langue littéraire est , plus ou moins , artificielle " . E della poesia : " qu ' y a - t - il de plus artificiel , en tout cas , que la poésie ? et dans quel pays est - il naturel de parler en vers ? " . Dinanzi a codeste affermazioni si rimane sbalorditi . Che Cartesio e Leibniz non avessero ancora inteso la natura del linguaggio , si spiega per le condizioni del pensiero ai tempi loro . Ma , sulla fine del secolo decimonono o sui principi del ventesimo , udire ripetere ancora che le lingue sono irrazionali , che contengono elementi inutili , che possono venir semplificate per mezzo della logica , che la poesia è un fatto artificiale , è cosa non sopportabile . I moderni dissertatori intorno al linguaggio universale , che si valgono di concetti come quelli dei quali si è dato saggio , dovrebbero , a mio parere , non già essere ammessi alla discussione , ma rimandati puramente e semplicemente a studiare che cosa il linguaggio sia . È chiaro che sulla Filosofia del linguaggio non debbono aver mai meditato sul serio . L ' hanno creduta facile , di quelle cognizioni che si posseggono come per buon senso naturale ; ed è invece difficile e di faticoso acquisto . I promotori della lingua universale dichiarano di avere ormai affatto abbandonato l ' antica pretesa di una lingua filosofica , rispondente ai concetti esattamente determinati delle cose : quella lingua filosofica della quale Cartesio diceva per l ' appunto : " l ' invention de cette langue dépend de la vraye philosophie " . E non hanno difficoltà a riconoscere che , non essendo ancora la scienza bella e fatta , e mutando anzi di continuo , una lingua di tal sorta è impossibile . Ma con ciò non si è superato l ' errore , il quale non nasceva già dal presupposto della scienza perfetta : la lingua desiderata sarebbe stata certamente tanto più perfetta quanto più perfetta la scienza che le servisse di base , ma avrebbe , anche nell ' ipotesi di una scienza imperfetta , rappresentato pur sempre un progresso grande rispetto al linguaggio volgare , perché la scienza degli scienziati , imperfetta che sia , vale sempre meglio delle credenze del volgo . L ' errore , invece , in quella idea di una lingua filosofica era né più né meno il medesimo in cui s ' incorre ora con l ' idea della lingua universale ; vale a dire , concepire il linguaggio come qualcosa d ' estrinseco e di fissabile . Questo errore non è stato punto superato . Supposti due individui i quali abbiano gli stessissimi pensieri intorno a un oggetto , non per ciò essi potranno mai parlare una lingua comune a entrambi , identica in entrambi . Ciascuno dei due parlerà a modo suo , cioè in modo corrispondente al proprio animo e alla propria fantasia ; ciascuno con certe immagini , certi suoni , certi giri di periodi , certi gesti e certe enfasi , che non possono essere identici alle immagini , ai suoni , ai periodi , ai gesti e alle enfasi , con cui si esprime l ' altro . Il linguaggio , insomma , cioè il parlare , è nella sua realtà spontaneo , individuale , variabile ; e il linguaggio , che si domandava , quel linguaggio comune , sarebbe dovuto essere artificiale , universale e fisso , negando così la natura universale del linguaggio , contradicendo con l ' aggettivo il sostantivo . E ( si noti bene ) la diversità del parlare secondo gl ' individui e le . situazioni psicologiche in cui ciascuno di essi si trova , non esclude il reciproco intendersi ; perché intendere vuol dire appunto adeguarsi alla psicologia altrui movendo dalla propria e a questa tornando . Se gli uomini potessero parlare tutti allo stesso modo , sarebbero tutti identici ; con che non s ' intenderebbero già meglio , ma si scioglierebbero tutti insieme nell ' indistinto , e il mondo non esisterebbe . Per le ragioni che ho esposte o ricordate , l ' idea di una lingua universale resterà sempre un ' utopia della specie più stolta , perché utopia del contradittorio . Essa non cesserà di esercitare un certo fascino su qualche spirito irriflessivo ; così come vi sarà sempre taluno che si domanderà perché mai , consistendo la musica in combinazioni di note , e la pittura in combinazioni di colori , e la poesia in combinazioni di parole , non si possono ottenere nuove e meravigliose musiche , pitture , poesie mercé macchine combinatorie , facendo a meno di quella rara e costosa materia prima , che si chiama la genialità dell ' artista . E come vi sarà sempre qualche fanciullo che si domanderà perché mai i popoli facciano le guerre distruggendo pazzamente vite umane e ricchezze con tanta fatica prodotte , laddove potrebbero decidere le loro contese con duelli singolari , al modo di quello degli Orazi e dei Curiazi e degli altri , che non poterono avere effetto , tra Pietro d ' Aragona e Carlo d ' Angiò , tra Francesco I e Carlo V . Ma , ai giorni nostri , sembra che la ricerca del linguaggio universale abbia mutato carattere . Una lingua universale , o , come volentieri la chiamano , una " lingua internazionale sussidiaria " , viene richiesta da politici e commercianti , da scienziati ( di quelli che girano per tutti i congressi ) , da logici matematici ( inventori di specifici pel retto e comodo pensare ) , e da altri di simigliante genìa ; e la richiesta è confortata dall ' osservazione di certi fatti che già esistono e che si approssimano a quel che si desidera : quali sarebbero le lingue franche o i sabir della costa mediterranea e di altri paesi , la fortuna e la diffusione prima del Volapük e ora dell ' Esperanto , la crescente quantità di parole comuni che si osserva nei linguaggi della civiltà europea , le terminologie e notazioni scientifiche internazionali ; e altrettali . Perché mai un autorevole consesso , come l ' Accademia delle accademie ( bel nome , che par modellato su quello del Cantico dei cantici ) , o altro che sia , composto di delegati dei varî Stati , non potrebbe fissare un complesso di segni fonici , scelti con pratico buon senso , e agevolare con tale deliberato la comunicazione dei pensieri tra persone di diverso linguaggio ? Qual ' è l ' impossibilità intrinseca di questo desiderio ? Non si vede . Senza dubbio , l ' enunciato desiderio non ha alcuna impossibilità intrinseca , e anzi si è già in parte effettuato e si potrà effettuare in séguito anche più largamente . Ma , in ogni caso , quel che si ottiene a questo modo ( ecco il punto importante ) o non è lingua o non è universale . Mettere in corrispondenza certi suoni , arbitrariamente foggiati , con certe idee ed espressioni non è propriamente parlare , ma formare una convenzione . Si può convenire , per es . , che quel che gl ' italiani chiamano " pane " , e i francesi " pain " , e i tedeschi " brot " , e gl ' inglesi " bread " , sia indicato col suono " puk " ; quel che si dice " voglio , je veux , ich will , I will " , sia indicato col suono " ro " ; onde " ro puk " si tradurrà nelle rispettive lingue : " io voglio un pezzo di pane " . Ma con questa convenzione non si è data vita a nessun linguaggio : il linguaggio è l ' uomo che parla , nell ' atto che parla . La convenzione può avere pretese di universalità ed essere universalmente imposta o universalmente accettata ; ma l ' aggettivo " universale " cerca qui invano il sostantivo " linguaggio " . Perché questo sostantivo sia al suo posto , perché si abbia linguaggio , è necessario che i vari individui , che compongono l ' ipotetica società aderente alla convenzione , prendano a parlare , dicendo : " ro puk " , per dire che vogliono il pane . Ma , non appena quella convenzione si traduce in linguaggio , ecco che cessa di esser convenzione , diventa un semplice dato naturale , un ' impressione , un fatto psichico , che lo spirito di ciascun parlante risente ed elabora a suo modo : un dato , il quale è entrato con altri nella psiche del parlante , che lo trasforma in linguaggio vivo , facendone la sintesi estetica insieme con le altre impressioni , che parimente sono entrate in lui . La convenzione cessa per tal modo di essere convenzione , perché si è individualizzata . In ciascun individuo , e in ciascun atto del parlare , quei suoni " ro puk " acquistano un particolare significato o , ch ' è lo stesso , una particolare sfumatura di significato . Prima si aveva l ' universale , ma non la lingua ; ora si ha bensì la lingua , ma non più l ' universale . Questa obiezione , che la parola convenuta perda la sua fissità , quando entra nell ' uso vivo del parlare ; che quel solido , per così dire , caduto nel flusso di un liquido , si liquefaccia anch ' esso ; - è stata mossa ai sostenitori della lingua universale o è stata in qualche modo adombrata , quando si è notato che la lingua universale sarà variamente pronunciata dai vari individui , e che sarà alterata dai vari popoli secondo le tendenze e i precedenti di ciascuno e secondo tutte le circostanze e vicende storiche . I difensori della lingua universale , non avvertendo forse la gravità dell ' obiezione , hanno risposto : che , ammesso pure che la pronunzia sia causa di alterazioni , la lingua universale resterà sempre utile per le comunicazioni scritte ; che le alterazioni temute non avranno luogo , com ' è provato da esperienze fatte col Volapüik e con l ' Esperanto ; che la lingua artificiale non sarà sottomessa agli stessi motivi di alterazione , operanti nelle lingue storiche , perché dovrà servire solo per certi determinati scambi e sarà frenata da una tradizione e da una letteratura di modelli classici ; che le mutazioni , riconosciute opportune , potranno essere introdotte , cautamente , dall ' autorità medesima , costitutrice di quel linguaggio ; e così via . Ma sono tutte risposte le quali , come si vede , non giungono a eliminare l ' obiezione in quel che ha di sostanziale . Il vero è che nessuna parola è qualcosa di fissabile astrattamente , ma ciascuna attinge significato dalla connessione in cui si trova , e da cui non è separabile se non per violenta mutilazione . E quel che accade per le parole delle così dette lingue naturali , accade del pari per quelle che hanno , sì , il loro motivo extralinguistico in una convenzione , ma il cui motivo linguistico è , come per tutte le altre , nella spontaneità e naturalità del parlare , ritraente le svariate e mutabili impressioni dell ' animo umano . Non si tratta , dunque , di quelle sole alterazioni che s ' introdurrebbero saltuariamente e accidentalmente nel corso degli anni o dei secoli ; ma di quelle , continue , che s ' introducono a ogni attimo . La mutabilità incoercibile del linguaggio , e della convenzione divenuta che sia anch ' essa linguaggio , non esclude , certamente , che la convenzione , tradotta in linguaggio , possa avere qualche utilità . Per certi fini pratici , quel che importa è non la fissità rigorosa , ma quella approssimativa , nella quale si trascurano le sfumature e si considera un ' espressione all ' ingrosso . Epperò l ' Esperanto , e altre convenzioni dello stesso genere , potranno avere la loro utilità , piccola o grande che sia , per certi tempi e per certi luoghi . Ridotta la cosa in questi confini , essa è d ' interesse e di competenza dei pratici , alle cure dei quali bisogna commetterla e lasciarla . Ma , sotto l ' aspetto scientifico , conviene insistere nell ' affermazione che la così detta lingua universale si risolve in un processo diviso in due stadî , il primo dei quali ( convenzione ) è universale ma non è lingua , il secondo ( parlare effettivo ) è lingua ma non più universale . Perché , al filosofo importa che l ' umile questione pratica di un possibile espediente atto ad agevolare certi generi di scambî spirituali non faccia sorgere , o non rafforzi , idee false ( e già troppe ne vanno in giro ) intorno alla natura del linguaggio . Paris , Hachette , 1903 , 8° gr . , pp . xxx-576 . Op . cit . , p . 305 . Op . cit . , p . 514 . Op . cit . , p . 566 . Op . cit . , pp . 113-115 , 548 . Purtroppo il gran Leibniz , in conseguenza dei suoi errati concetti circa il linguaggio , fu uno di questi " taluni " e sognò di poter comporre con metodo infallibile e quasi dimostrativo poemi e canti " très beaux " ; al modo stesso che un predecessore di lui , il padre Kircher , nella Musurgia , pretendeva insegnare l ' arte di comporre arie senza sapere di musica . Si veda La logique de Leibniz , d ' après des documents inédits , par L . COUTURAT ( Paris , Alcan , 1901 ) , p . 63 . Op . cit . , pp . 559 e 565 . Cfr . la rivista " Leonardo " , fasc . di novembre 1904 , p . 37 . Op . cit . , pp . 559-569 .
IL RACCONTINO PUBBLICITARIO ( FEDERICO , 1939 )
StampaPeriodica ,
– Beh ? – chiese stupita la ragazza col costumino rosso al giovanotto dall ' accento spiccatamente romano che stava coll ' occhio incollato al buco della cabina – Beh ? Che state facendo ? – Il giovanotto dall ' accento spiccatamente romano si alzò . Aveva gambe magre e pelose ( volete divenir pelosi in pochi giorni ? Volete avere peli lunghissimi e talvolta superflui ? Acqua ossigenata Pop ! Ogni goccia un ciuffetto ) – I salti mortali ! – rispose calmissimo e ironico . Tacque un momento fissando la ragazza – Ma non lo vedete ? Sto guardando da questo buco . Perché ... – seguitò poi vedendo il gesto stizzito della ragazza col costumino rosso ( volete divenir rossi ? Guantone Pop ! Uno schiaffone la mattina appena alzati vuoi sulla guancia destra , vuoi sulla sinistra ! Rossi in pochi giorni ) – perché , vi dà fastidio ? – La ragazza col costumino rosso batté nervosamente i piedi sulla sabbia ( sabbia Pop ! La sola che tirata negli occhi ti renda definitivamente cieco ) – Che razza di villano mascalzone – cominciò corrugando le sopracciglia – Mi chiedete anche se ... – Vacce piano con le parole , vacce piano ! – interruppe il giovanotto dall ' accento spiccatamente romano – Sennò mannaggia la miseria – aggiunse facendo l ' atto di darle un ceffone ( ceffone Pop ! L ' unico che , una volta ricevuto , vi faccia sorridere per ore e ore e vi faccia mormorare " Datemi del fieno ! " ) . La ragazza col costumino rosso sbuffò – Bella prodezza ! Guardare le ragazze dal buco della cabina ! Ripeto , siete un mascalzone ! – ( è in vendita in tutte le librerie il manuale Pop Come si diventa mascalzone . In meno di dieci giorni saprete sputare con sicurezza e precisione in testa a signori calvi , saprete fare cianchettoni ai cavalli stanchi e assonnati , e saprete fare pernacchie agli usignuoli come ricompensa al loro canto ) . Ci fu una pausa , Il sole era tutto oro ... il mare calmo con qualche fremito di sudore ... la sabbia fina fina , bianca ... Poi il giovanotto dall ' accento spiccatamente romano parlò Ma forse voi signorina non sapete che questo buco l ' ho fatto io ... Tacque un momento guardando la ragazza . Io , col trapano Pop ! La ragazza col costumino rosso si morse un dito Ma dite la verità ? chiese poi dubbiosa . II giovanotto dall ' accento spiccatamente romano si portò una mano al cuore . Allora quand ' è così seguitò la ragazza un poco imbarazzata quand ' è così vado subito in cabina ... e voi guardate ! Sulla riva un bambino completamente rapato guazzava nell ' acqua . Trapano Pop ! Quando il buco è fatto col trapano Pop , farsi guardare signore e signorine è in verità un piacere senza fine !
LA LINGUA UNICA PRIMITIVA ( CROCE BENEDETTO , 1905 )
StampaPeriodica ,
Il Trombetti pubblica i principali risultati del lavoro al quale attende da molti anni , diretto a dimostrare l ' unità d ' origine del linguaggio . Ma poiché , sia per il premio reale dei Lincei conferito nel passato anno all ' autore , e per il gran discorrere che ne seguì nei giornali , e per la cattedra speciale per lui istituita , sia per altre cause che indicheremo , si è fatta molta confusione intorno alla natura , al significato e all ' importanza del problema che il Trombetti si è proposto , a noi sembra opportuno ( prescindendo qui dal valore maggiore o minore delle sue dimostrazioni ) di determinare e circoscrivere il valore del problema stesso . E diciamo subito che si tratta di un problema di nessuna importanza filosofica . Pel filosofo , domandare se il linguaggio abbia avuto una o più origini , se bisogni tenere per la monogenesi o per la poligenesi , non ha significato . Il filosofo sa che le diversità dei linguaggi sono infinite , perché infinite sono le individuazioni dello spirito . Né ammette che si possa discutere dell ' origine storica del linguaggio , perché il linguaggio non è fatto storico , particolare e contingente , ma categoria . Ciò si è voluto esprimere nella moderna linguistica e filosofia del linguaggio col profondo detto , che il problema dell ' origine del linguaggio si risolve in quello della sua eterna natura . Il problema del Trombetti è nient ' altro che una ricerca di preistoria . Supponiamo che egli sia riuscito a provare il suo assunto dell ' origine di tutti i linguaggi esistenti da un ceppo comune ; che cosa avrebbe provato ? Questo : che le società ora sparse sulla terra , delle quali la lacunosa e assai recente tradizione storica non ci mostra le connessioni , dovettero in un certo tempo ( = tante migliaia d ' anni addietro ) formare un ' unica società . E prima di quel tempo ? E prima di prima ? L ' ulteriore domanda non appartiene al tema del Trombetti . Se la potenza romana avesse potuto assorbire o distruggere tutte le altre società esistenti , la civiltà presente , e con essa i suoi linguaggi , non avrebbero altra origine che Roma . Immaginiamo un antichissimo gruppo umano , il quale , sostituendosi a esseri inferiori o assorbendoli , si sia poi diramato per tutta la terra , nell ' Eurasia , nell ' Africa , nell ' Oceania , nelle Americhe ; e avremo la costruzione preistorica , giustificata o no che sia , rispondente all ' ipotesi del Trombetti . L ' ipotesi non ha nulla d ' impossibile ; ma , ammessa come vera , non tocca nessuno dei grandi problemi che interessano lo spirito umano . Anzi , dirò di più : a considerarla nei suoi limiti di ricerca preistorica , essa ha ben modesto interesse , perché modesto è in genere l ' interesse della preistoria , di questa scienza analfabeta ( come il Mommsen scherzosamente la chiamava ) , la quale indaga le zone grige , l ' indistinto , il rudimentale , il povero , laddove la storia ci pone di fronte ai grandi fatti dello svolgimento umano . Credo tutt ' altro che trascurabili le ricerche sulla vascolaria primitiva ; ma mi permetto di reputare alquanto più interessante lo studio di un vaso attico , di un piatto di mastro Giorgio o di una porcellana cinese . Se l ' interessamento comune sembra testimoniare del contrario e si accende vivacissimo innanzi a ogni rivelazione che concerna il " primitivo " , ciò accade , a mio parere , perché nel pensiero comune si suole scambiare l ' angusta ricerca preistorica con la ricerca filosofica e si aspetta dalla prima la risposta ai problemi della seconda . Per non dire che talvolta , come in questo caso , operano in quell ' interessamento motivi religiosi , sonnecchianti in fondo agli animi di tutti e anche di molti professionali dell ' irreligione . La monogenesi fa pensare , confusamente , a padre Adamo ; e , si ha voglia a essere miscredenti , certe cose fanno piacere . Di qui gran parte della curiosità che ha destata , e della popolarità che si è acquistata fin dal primo annunzio , la così detta scoperta del Trombetti . Il quale , purtroppo , non si è saputo guardare esso stesso dall ' esagerare il valore della sua ricerca e dall ' intorbidarne l ' indole . Il Trombetti crede , per esempio , che , dimostrata la monogenesi del linguaggio , sarà possibile studiare ben altrimenti " quali relazioni intercedano fra il segno e la cosa significata " ( p . VI , e cfr . pp . 41-3 ) ; si dice " conscio della straordinaria importanza , che ha l ' affermazione contenuta nel titolo del suo libro " ( p . VI ) ; asserisce che " solo con l ' unità di origine del linguaggio sia possibile la Glottologia generale comparativa , disciplina la quale può gettare viva luce sulle questioni che più agitano lo spirito umano " ( p . 53 ) . A questo modo egli mostra di possedere concetti poco esatti sul rapporto della Glottologia con la Filosofia del linguaggio , e manchevole intelligenza di quel che egli chiama segno e che divide dalla cosa significata . " La Glottologia ( dice altrove , p . VIII ) , avendo per oggetto il linguaggio , è il miglior legame tra le due grandi divisioni in cui sta ancora ripartito il sapere " . Né ha concetti esatti su quel che sia scienza : " Scienza vera , per quel che riguarda il rigore delle dimostrazioni , ammessi certi postulati , è soltanto la Matematica : le altre scienze devono tendere ad una rappresentazione matematica o simbolica delle cose , dalla quale però sono ancora ben lontane " ( p . 10 ) . Che più ? Egli immagina perfino che la monogenesi del linguaggio , con la conseguente monogenesi degli uomini , sia atta a recare consolazione morale . " La scienza e l ' arte , quando non siano accompagnate ad un ideale di bontà , sono , per lo meno , cose imperfette . Perciò richiamo l ' attenzione su certe deduzioni morali , che vengono spontanee dall ' esame dei fatti ; ma , soprattutto , sulla conclusione generale , che può ricavarsi in favore dell ' unità della specie umana , e , per conseguenza , anche in favore della fratellanza reale degli uomini . Tutti i buoni debbono augurarsi che non abbiano a trionfare le teorie , messe fuori in forma dogmatica , sulla pluralità delle specie umane , e che , piuttosto , anche per opera della scienza , venga confermato il concetto sublime della fratellanza degli uomini , frutto della intuizione e del sentimento , religioso o altro " ( p . VIII ) . L ' introduzione del libro si chiude con le parole : " Tutti gli uomini appartengono a una sola specie e sono realmente fratelli " ( p . 58 ) . Come se gli uomini non siano fratelli pel fatto stesso che sono uomini , cioè esseri pensanti ; o come se l ' asserita preistoria unitaria dei linguaggi storici abbia virtù d ' ingenerare un sentimento nuovo e più efficace di fratellanza , impedendo qualche guerra o addolcendo qualche spietata concorrenza commerciale . Della identità e dei nessi stabiliti dal Trombetti tra le lingue dell ' Eurasia , dell ' Africa e dell ' Oceania , e da lui presupposti anche per le lingue d ' America , discuteranno i competenti . Odo insistentemente susurrare da filologi e glottologi che nel giudizio circa questa parte del suo lavoro si è molto esagerato , e che le affermazioni del Trombetti vanno soggette a continue riserve . Ma l ' esagerazione , che si potrà dimostrare per questo rispetto , sarà sempre minore di quella che si è fatta col falsare , come abbiamo veduto , il significato stesso della ricerca . Con che non si vuole essere severi verso il Trombetti , il quale in gran parte , piuttosto che autore , è stato vittima delle esagerazioni ; né si vuole negargli il merito che gli spetta per avere consacrato tutto l ' ardore della sua laboriosa giovinezza a una ricerca , la quale , se ha natura diversa e importanza assai minore di quel che egli ha creduto , è pur sempre ricerca da non trascurare . ALFREDO TROMBETTI ( prof . ordin . nell ' Università di Bologna ) , L ' unità d ' origine del linguaggio ( Bologna , Beltrami , 1905 ) . Mi viene a mano un articolo del prof . A . MOCHI , intorno al libro del T . ( " Giornale d ' Italia " , del 20 agosto 1905 ) , che mostra aperta la confusione da me lamentata dell ' ipotesi del T . coi concetti di umanità , origine dell ' umanità , fratellanza umana , ecc . : " Agli argomenti favorevoli alla dottrina dell ' originaria fratellanza di tutti gli uomini ( dice il M . ) se ne aggiunge oggi uno capitale : la primitiva unità del linguaggio . La vecchia ed ardente questione , che tenne diviso per secoli il campo scientifico , si chiude finalmente per merito d ' un glottologo . È perciò che l ' opera di lui assume una grande importanza anche all ' infuori delle discipline linguistiche e richiama l ' attenzione di ogni cultore della storia umana ; anzi , per dir meglio , di tutti gli uomini che si sono posti un giorno la tormentosa domanda : donde veniamo ? " . E si veda anche , nello stesso " Giornale " , num . del 22 agosto , la lettera di " un Cattolico " .
UN'AGGIUNTA. LA 'CRISI' DELLA LINGUISTICA ( CROCE BENEDETTO , 1922 )
StampaPeriodica ,
Testé ho compiuto la lettura di parecchi scritti di linguistica e mi sono rimesso alquanto al corrente in questo campo di studî , al quale da circa venti anni non avevo quasi più rivolto l ' occhio , occupato com ' ero in altri problemi e indagini . E ho provato il compiacimento di notare che la scienza del linguaggio si trova adesso in piena benefica crisi , e che i concetti , che , oltre vent ' anni fa , io avevo sostenuti in tale materia , sono stati tutti confermati o riscoperti da recenti studiosi . Non già che quei miei concetti non avessero precedenti presso gli stessi cultori di Linguistica , perché i dubbî circa la validità delle cosidette leggi fonetiche , e la polemica contro i neogrammatici , potevano vantare nomi insigni , come quelli dell ' Ascoli e dello Schuchardt . Tali dubbi sono poi riapparsi e hanno , per così dire , esploso nello Gilliéron e nella sua scuola , operando un rivolgimento nel modo di studiare la storia delle parole . Ma io mi avvidi forse per il primo che le teorie allora correnti nella Lingusitica erano una delle forme del positivismo e dipendevano dalla concezione meccanica o naturalistica del parlare e , più in particolare , dalla ignoranza circa il concetto della creazione poetica e la natura dell ' arte . In qual modo era , allora , considerata la Linguistica dai filosofi , e non da quelli volgari ma da filosofi di molto acume e dottrina , irretiti nel naturalismo , nel determinismo e nello psicologismo ? Può vedersi in una pagina della importante prelezione , che nel 1887 il mio maestro Antonio Labriola tenne all ' università di Roma sui problemi della filosofia della storia . Il Labriola guardava alla storia delle lingue come a quella parte della storia che s ' era innalzata a scienza e splendeva quasi faro a segnar la via di salvezza alle altre parti . " La storiografia tradizionale ( egli scriveva ) , che usa del criterio prospettico della successione nel tempo per dati di cronologia uniforme , si risolve da sé come in tanti processi di formazioni specifiche , aventi il proprio ritmo , e indipendenti dalle divisioni convenzionali di Oriente e Occidente , di antico , di medievale e di moderno , o come altro si dicano . E , difatti , lo studio specifico di alcuno degli ordini precisi di fatti omogenei e graduati , ci ha dato ai nostri tempi i primi serî tentativi di scienza storica ; e se non in tutte le maniere di studî fu sino ad ora possibile di raggiungere l ' esattezza della Linguistica , e specie dell ' ariana , non è improbabile , a giudicare dagli avviamenti , che il medesimo debba accadere di altre forme e di altri prodotti dell ' attività umana . Con questi studî , come con vero e proprio oggetto di scienza il filosofo della storia deve simpatizzare , se non vuole che le sue elucubrazioni e il suo insegnamento divengano presto esercizio di rettorica speculativa " . Nel rileggere ora questa pagina , si prova l ' impressione di assistere a una delle non infrequenti " ironie della storia " . Il grande edifizio della Linguistica , con le sue esatte leggi fonetiche , è ora mezzo in rovina ; e i linguisti , anziché prestare il modello alle altre parti degli studî storici , chiedono a queste la regola per rinnovare e correggere le indagini loro proprie . È stato notato che la crisi è sorta non tanto nel campo della grammatica storica , quanto in quello dell ' etimologia . La cosa è affatto ovvia . La legge fonetica , che prima si concepiva come legge naturale nel senso di una legge " reale " , e che è invece naturalistica e astratta , scopre la sua impotenza o i suoi limiti innanzi al concreto etimologizzare , cioè al problema storico effettivo , che è sempre individuato . E quando lo Gilliéron intitola uno dei suoi scritti : " La faillité de l ' Étymologie phonétique " , che cosa fa egli se non ripetere la formola che abbiamo udito risuonare ogni volta che qualche parte della filosofia o della storia ripigliava la sua libertà di movimenti , scotendo via la brutale violenza procustea del positivismo : a cominciare da una certa celebre Banqueroute de la Science , che fu annunziata in un paese in cui la Science aveva avuto , forse più che in altri , senso e predominio esclusivamente positivistico ? Per questa ragione godo che alcuno dei recenti linguisti ( e degli italiani ricordo il Bartoli e il Bertoni , il quale più di ogni altro si è fatto presso di noi l ' apostolo del nuovo avviamento ) abbiano espressamente riattaccato le loro critiche e le loro indagini ai concetti della nuova Estetica e della nuova Filosofia dello spirito , che riporta il linguaggio all ' esprimersi ( all ' espressione in senso teoretico e non già all ' espressione in senso pratico , che è mero indizio o sintomo ) e , per questa via , lo identifica con la poesia e con l ' arte in genere , e tutti i problemi del linguaggio ritrova sostanzialmente identici a quelli teoretici e storici della poesia e dell ' arte . Tale ricongiungimento al metodico e sistematico pensiero filosofico ha il vantaggio non solo di rendere più rigorose e perspicue le dottrine , ma anche d ' impedire le esagerazioni o unilateralità a cui facilmente si lasciano andare gli specialisti novatori , acuti e anche geniali , ma non altrettanto esperti in concetti speculativi . Dei quali specialisti io riconosco l ' opera utile ed efficace , e li preferisco , pur coi loro eccessi o coi loro difetti , agli astratti filosofanti , e ho detto più volte che la loro audace e arrischiata filosofia , nascente dalla considerazione delle cose particolari e ritenente qualcosa di particolare e contingente , vale di gran lunga più di quella , avveduta e assottigliata ma arida , di molti filosofi di mestiere , anzi quella vale e questa non vale , perché quella è viva e questa è morta . Ma ciò non toglie che il meglio sia riunire la virtù della specialità a quella dell ' universalità . Parlo qui , in generale , della presente fase degli studî sul linguaggio , e perciò non entro in un esame critico delle dottrine che ora si propugnano : esame che , del resto , altri va facendo e con preparazione specifica migliore della mia . Ma , se dovessi dare un esempio della necessità di rendere più perspicui certi concetti della nuova scuola , mi fermerei su quello di etimologia popolare , che essa adopera con molto buon frutto , ma che , così come è formulato , non va esente da dubbiezze e confusioni . " Vous travaillez à l ' étymologie ( dice lo Gilliéron ai suoi uditori ) , mais souvenez - vous que le peuple y a travaillé avant vous " . Ora quell ' etimologizzare onde si forma la nuova parola ossia il nuovo significato e il nuovo fonema non è altro che l ' opera stessa della fantasia espressiva , la quale , come in una piccola parola o piccola frase così in una grande opera di poesia , crea sempre sul passato , e perciò volge a nuovo uso gli elementi del passato e ne dà una nuova sintesi in cui quel passato è e non è quello di prima , e , in fondo , ha ceduto il posto al presente e nuovo . Ma l ' etimologizzare propriamente detto è , invece , l ' opera riflessa dello storico , che ripercorre criticamente l ' anzidetto processo formativo . E , se dovessi dare un esempio delle cautele da osservare , vorrei mettere in guardia contro lo spregio delle cosiddette leggi fonetiche , della grammatica storica e normativa , e anche dell ' Académie , come la chiama lo Gilliéron . In verità , le leggi fonetiche sono utili in quel che possono , come tutte le leggi empiriche ; e della grammatica normativa e dell ' accademia non si potrà far mai di meno , perché sono discipline e istituti che si sforzano a serbare o a far muovere lo svolgimento linguistico in un certo indirizzo , che merita di essere difeso se anche non deve avere , e non ha poi mai nel fatto , prevalenza assoluta . Quel che importa combattere non è quegli istrumenti d ' indagine o di scuola , ma l ' ibridismo dei metodi che si tira dietro problemi insolubili o soluzioni immaginarie , e talvolta ridevoli . La Linguistica idealistica , o meglio la nuova filosofia e storia del parlare , sarà tanto più consapevole e sicura della propria verità , quanto più sarà moderata . Colgo l ' occasione per manifestare un desiderio . Anni sono , cercai di mettere sotto miglior luce gli storici e filologi , ligi all ' antico , che , nella prima metà del secolo decimonono , riluttavano e si opponevano violentemente alle teorie e ai metodi della Linguistica indoeuropea , e additai quel che di ragionevole mi pareva che fosse nella loro opposizione . Gioverebbe meglio lumeggiare quelle parti del loro scetticismo che coglievano nel giusto e quelle esigenze legittime che essi rappresentavano . A questo modo non solo si adempirebbe un dovere di pietà , ma si otterrebbe qualche istruzione ; e forse , talvolta , i dotti linguisti odierni si rivedrebbero innanzi , autenticati dai fatti , i " pareri di Perpetua " . Ristampata da me in LABRIOLA , Scritti varî di filosofia e politica ( Bari , Laterza , 1906 ) ; cfr . pp . 211-2 . Études sur la défectivité des verbes . La faillité de l ' Étymologie phonétique . Résumé de conférences faites à I ' École pratique des hautes études par J . GILLIÉRON , Neuveville ( Berne ) , 1919 . A proposito di queste : perché mai anche il MEYER - LÜBKE , Roman . Etym . Wörterb , n . 1721 , si ostina a derivare carosello o carrousel , con fonetica etimologia , da carrum , quando io ho dimostrato che l ' origine è tutt ' altra e assai più complicata ( v . La Spagna nella vita italiana durante la Rinascenza , pp . 194-5 ) ? Per quel vocabolo si potrebbe scrivere una divertente storia alla Gilliéron ( dove forse entrerebbe , ma assai tardi , anche il carrum ) . Della quale storia delle parole come storia della fantasia voglio segnare qui uno spontaneo avviamento o desiderio che ho trovato in un vecchio scrittore napoletano , nelle annotazioni ( 1588 ) di Tommaso Costo alla Storia di Napoli del Collenuccio . Il Costo , esaminando la disputata etimologia di " Terra di lavoro " ( dai " campi leborini " o leboriae , ovvero da " lavoro " ? ) , accetta tutte e due le derivazioni in contrasto e osserva : " Suole spesso accadere che si darà un nome ad una cosa a un proposito , ed in processo poi di tempo succederà qualche accidente di così strana conformità che , investendosi dello stesso nome , lo tira ad un altro proposito assai diverso dal primo " ; e aggiunge di questo processo altri esempi : " Gravina " , dalle " gravine " , valloni , e dal grano e vino onde abbonda ; " Montevergine " , da " Virgilio " e da Maria Vergine , ecc . ( v . nell ' ediz . della Istoria del Collenuccio , Napoli , 1771 , I , 12-13 ) . V . ora la mia Storia della storiografia italiana nel secolo XIX , I , 58-60 , 218-19 .
L''IDIOMA GENTILE' ( CROCE BENEDETTO , 1907 )
StampaPeriodica ,
Il libro di Edmondo de Amicis è l ' ultima manifestazione letteraria di un problema che ha molto occupato le menti degli italiani attraverso i secoli : il problema della lingua . Se i soli eruditi ricordano i periodi più remoti di quella grande controversia ( dal De vulgari eloquentia alle polemiche cinquecentesche , e giù giù ai libri del Cesarotti e del Napione dell ' ultimo Settecento , e a quelli del Monti e del Perticari e di tanti altri dei primi dell ' Ottocento ) , tutti hanno fresca la memoria della più recente guerra provocata dalla lettera del Manzoni al Di Broglio , e variamente combattuta tra manzoniani , antimanzoniani e moderati . Quelle dispute , considerate sotto l ' aspetto rigorosamente teorico e scientifico , non mancano di pregio e d ' importanza . Entrano in gruppo con altre dispute letterarie ( sul poema epico , sulla tragedia , sulla tragicommedia , sul melodramma , sulla commedia in prosa , sulle varie forme dello stile , sull ' imitazione , e via dicendo ) , che nei tempi moderni l ' Italia , prima di ogni altra nazione , formolò e agitò , e che dall ' Italia passarono agli altri paesi neolatini e germanici . Senza codeste dispute sulle regole e sui generi della poesia e della letteratura , non si sarebbe svolta la teoria filosofica della poesia e dell ' arte che si disse poi Estetica ; e senza le dispute intorno alla lingua non sarebbe sorta quella che si disse più particolarmente Filosofia del linguaggio . Nello sforzo per dominare col pensiero la massa dei fatti e penetrarne la natura , la mente umana non può non urtare e.impigliarsi dapprima nelle comuni e volgari classificazioni , e provarsi a sistemarle e a renderle razionali , proponendosi problemi insolubili ; fintanto che non si accorge come , per intendere davvero la verità dei fatti che indaga , convenga abbandonare del tutto quelle categorie empiriche , e collocarsi in un punto di vista affatto diverso . Sarebbe perciò da intelletti superficiali considerare con dispregio quegli sforzi del passato , i quali , per falliti che siano , rappresentano uno stadio di progresso , un errore in cui giovò essersi dibattuti per qualche tempo , perché ebbe efficacia esemplare , e a suo modo contribuì all ' avvenimento della verità . Dalla contradizione nasce la soluzione ; dalla indifferente quiete non nasce nulla . E opportunamente gl ' indagatori della storia delle idee vanno rivolgendo la loro attenzione alle dottrine letterarie e grammaticali italiane dei secoli passati , le quali a noi sembrano , come sono in effetto , pedantesche , ma che , pur con la loro pedanteria , si dimostrano feconde . Quei pedanti furono , se non i nostri padri , certamente i nostri antenati spirituali . Riconosciuto tutto ciò , non è men vero che così le dispute sulla lingua come quelle sulle regole letterarie , hanno perduto da lungo tempo ogni valore positivo . Il sistema delle regole letterarie venne rotto e spazzato via dal moto intellettuale del romanticismo , che abbozzò la nuova idea della poesia e dell ' arte ; e il suo proprio romanticismo ebbe anche la teoria del linguaggio col Vico , con lo Hamann , con lo Herder , con lo Humboldt , pensatori dopo i quali non sarebbe stato più lecito ragionare intorno a quella materia coi vecchi criterî . Sotto questo aspetto , la posizione manzoniana del problema linguistico non può non apparire anacronistica e retriva , perché il Manzoni non si liberò mai , nelle sue teorie sul linguaggio , da certe idee da intellettualista ed enciclopedista del secolo decimottavo : come si può desumere in ispecie dai frammenti , pubblicati alcuni anni orsono , del suo libro sulla lingua , che meriterebbero di essere studiati con cura . Qual ' era la fallacia del vecchio concetto del linguaggio , quale il contrasto tra esso e il concetto nuovo , formolato o almeno adombrato nei filosofi dei quali abbiamo fatto cenno ? - Si potrebbe delineare questo contrasto brevemente così : il vecchio concetto considerava il linguaggio come segno ; il nuovo lo considera come rappresentazione . Secondo la prima concezione , la lingua è quasi una raccolta di utensili che ciascuno adopera a volta a volta per comunicare agli altri il proprio pensiero ; secondo la concezione nuova , la lingua non è già mezzo per comunicare le idee o le rappresentazioni , ma è l ' idea o la rappresentazione stessa , qualcosa che non si può concepire mai distinto o staccato dal moto del pensiero . Secondo la prima , bisogna mettersi alla ricerca della lingua ottima , concordare segni ben definiti , di significato preciso e non equivoco , costanti per tutti gl ' individui della comunione linguistica ; secondo l ' altra , siffatta ricerca è vana , perché ciascun individuo si crea , volta per volta , la sua propria lingua , e quella che io parlo e scrivo oggi non è quella di ieri , e quella che conviene a me , non conviene ad altri . Secondo la prima , è possibile giudicare un parlante o uno scrivente in modo oggettivo , confrontando il suo parlare e scrivere col modello linguistico , e determinando con questo confronto se egli adoperi lingua buona o cattiva ; secondo l ' altra , questo giudizio è impossibile , perché il preteso modello linguistico è un ' astrazione , e ogni prodotto linguistico ha la propria legge e il proprio modello in sé stesso . Tra le due concezioni chiunque abbia qualche coscienza del modo moderno d ' intendere l ' arte , non esiterà nel prendere partito . Ed è appena necessario soggiungere che , accettando che alcuni , troppo facili a confondersi e a spaurirsi , temono : quasi che si venga ad abolire in forza di essa ogni distinzione tra scriver bene e scriver male , parlar bene e parlar male . Il parlare bene o male si giudica non con la misura estrinseca della lingua oggettiva , ma con quella intrinseca e affatto intuitiva del gusto . Così si è fatto e si farà sempre : da che il mondo è mondo , vi sono stati scrittori buoni , scrittori cattivi e scrittori mediocri , e sempre vi saranno : la concezione individualistica o estetica del linguaggio non cancella la loro differenza , che è affatto intuitiva . Scriver bene è nient ' altro che una forma d ' intensità spirituale ; scriver male è debolezza spirituale . Le questioni intorno alla lingua si convertono nelle altre intorno alla vivezza e coerenza estetica della rappresentazione , guardata nella sua individualità . Perciò la teoria moderna accetta autori e modi di scrivere che i vecchi grammatici e critici consideravano ibridi , rozzi , scorretti , o che accettavano collocandoli nella comoda quanto irrazionale categoria delle eccezioni . Sotto il dominio del vecchio concetto del linguaggio è ancora il De Amicis . Tutto il suo libro è informato al pensiero che la lingua si studî o , com ' egli dice , che non basti " amare " la lingua del proprio paese , ma convenga " studiarla " . E già lo stesso amore per la lingua nazionale è in lui non bene ragionato e alquanto rettoricamente declamato , affermando egli che si ami dagli italiani la lingua italiana e per le memorie gloriose che reca con sé e perché essa è bellissima , ricchissima , potentissima , e altre cose siffatte . E non è vero : io sfido a trovare un uomo che ami la lingua , cioè che faccia all ' amore con un ' astrazione . Ciò che si ama è la parola nella sua concretezza , la poesia , la pagina eloquente . Dante , Ariosto , Machiavelli ; e perciò quest ' amore supera i limiti della regione e della nazione , e , secondo la varia cultura di cui si dispone , abbraccia Orazio o Sofocle , Goethe o Shelley , la lingua latina , la greca , la tedesca o l ' inglese . Ma non insisterò su questo punto , perché mi preme insistere sull ' altro : sulla raccomandazione di studiare la lingua . Che cosa significa studiare la lingua ? L ' uomo intelligente studia quanto aiuta il suo svolgimento mentale e morale , ma non ciò che gli è inutile a questo fine . Il De Amicis consiglia d ' imparare i nomi di tutte le cose che accade ogni giorno di vedere o adoperare , e di mandarli a mente ; di meditare i prontuarî , dove sono registrati i vocaboli degli oggetti di uso domestico ; di fare la nomenclatura della roba che si porta addosso , per passare via via a quella degli oggetti che si maneggiano , ai mobili della propria camera , alla mensa , allo scrittorio , agli arredi e utensili di tutta la casa , alle varie parti della casa stessa ; di leggere e spogliare il vocabolario . E rafforza i suoi consigli col mostrare quanto sia vasta l ' ignoranza che ordinariamente si trova anche nelle persone colte intorno alla terminologia esatta delle più modeste occupazioni della vita : per es . , del riempire e vuotare un fiasco di vino . Ma ha egli pensato che cosa importi questo consiglio ? Ecco un giovane nel tempo in cui il suo cuore si gonfia di passioni gagliarde e la sua mente si viene travagliando sui problemi più alti della vita e della realtà ; un giovane , che sarà poeta , filosofo , uomo d ' azione . E a questo giovane , che ha tanta materia di lavoro nel suo spirito ( e che per ciò stesso , si noti bene , ha tutto il linguaggio che gli occorre , tutto il linguaggio che è correlativo a quel lavoro , non essendo concepibile pensiero senza linguaggio ) , a questo poeta , filosofo o uomo pratico in germe e in formazione , si vuole imporre , o almeno consigliare , di baloccarsi a imparare le cento denominazioni delle cento parti di un vestito , e le dugento della stanza da studio , o le trenta e quaranta delle svariate e minute operazioni che si compiono per riempire e vuotare un fiasco di vino ? Che cosa interessa a quell ' uomo , che forse infilerà distrattamente il suo soprabito , e tracannerà il suo vino , e maneggerà quasi macchinalmente gli oggetti del suo scrittorio , soffermarsi col pensiero nella contemplazione e nell ' analisi di quelle piccinerie ? Se alcuno gliene dice i vocaboli , li ascolterà con fastidio , e li dimenticherà poco dopo . E se non prova fastidio , se si lascia sedurre dal giochetto , cattivo segno : segno di spirito non serio , non concentrato , non fervido , ma frivolo o passivo . Leggere il vocabolario , è " passatempo piacevole " ( ripete ancora una volta il De Amicis ) . Sarà ; ma è anche perditempo . C ' è di meglio da fare che leggere vocabolarî e imparare a mente nomenclature . C ' è da studiare e leggere il mondo ; verba sequentur , e non potranno non seguire . Il sarto o chi parli del mestiere del sarto , la massaia o chi descriva un cervello di massaia , un servitore che spazzi la casa o chi descriva un servitore in quell ' operazione , si rappresenteranno insieme le parole rispondenti alle cose che concernono quei vari personaggi : le parole dei vestiti , dei fiaschi di vino , delle parti e dei mobili della stanza . Ma è un ' idea curiosa voler mutare codesti apprendimenti incidentali e relativi alle condizioni e riflessioni di questo o quell ' individuo in un obbligo di cultura : quasi al modo stesso che si consiglia lo studio della poesia e della storia , delle matematiche e della filosofia , per ottenere uno svolgimento mentale completo . Il De Amicis espone , non senza esagerazioni , i molti impacci in cui si càpita quando non si conoscono le parole italiane o toscane degli oggetti di uso domestico : viaggiando , cangiando paese , c ' è rischio di non essere intesi e di non intendere . Ma queste difficoltà sono pur delle tante nelle quali c ' imbattiamo nella vita ; e l ' ovviarvi non è ufficio di educatore . Altrimenti converrebbe spendere qualche semestre di lezioni per insegnare alla gioventù il gergo dei cuochi e le corrispondenti voci ( posto che vi siano ) italiane o toscane , affinché non accada ciò che accade spesso a me ( e certamente a molti altri uomini letterati ) , che quando siedo a una tavola di trattoria e do i miei ordini al cameriere sulla carta , non so precisamente che cosa sarà per essere la pietanza di cui ho indicato il titolo , avendo un ' idea molto approssimativa di quel che quel titolo significa . Ma è preferibile , di certo , provar di tanto in tanto qualche delusione gastronomica all ' improba fatica di studiare le creazioni linguistiche dei cuochi . Un uomo di buon senso , come il De Amicis , non avrebbe sprecato il fiato in queste raccomandazioni , ora superflue ora puerili , circa lo studio della lingua , se non fosse stato , come dicevo , dominato inconsapevolmente dalla vecchia e falsa idea che il parlare e scrivere bene abbia per condizione il possesso completo del cosiddetto arsenale dei cosiddetti utensili linguistici : cioè , se non avesse creduto che la lingua sia un utensile . " Ogni vocabolo che s ' impara ( egli dichiara espressamente ) è come uno di quegli utensili da nulla , dei quali non s ' ha bisogno quasi mai , ma che , una o due volte in molt ' anni , son necessarî , e , se non si ritrovano , non si sa che pesci pigliare " . " Quel che più preme , per riuscire nell ' uno o nell ' altro modo , nell ' una o nell ' altra delle due forme di stile a scrivere bene , è che tu possegga da padrone la lingua " . Le tracce di questo falso concetto si osservano quasi in ogni parte del suo libro . Così egli biasima il pudore fuori di luogo , che ci trattiene dall ' adoperare vocaboli bellissimi , efficacissimi e toscanissimi , come " striminzire " , " spiaccicare " , " baluginare " , " stintignare " : la paura del ridicolo che ci fa codardi nell ' uso della " buona lingua " . Ma non si accorge che ciò che egli chiama falso pudore e codardia può pur essere , a volte , un sano senso estetico , che ci vieta di usare vocaboli i quali non sarebbero coerenti con la nostra personalità , con la nostra psicologia , con la fisionomia generale del nostro parlare . Se un determinato vocabolo suona spiccatamente toscano o fiorentino , io , napoletano , non posso , senza sconcezza , incastrarlo in una mia prosa spontaneamente concepita , dalla quale la mia napoletanità è tanto ineliminabile quanto la patavinità dalla prosa di Livio o l ' ibericità da quella di Seneca . Se mi ostino a incastrarvelo , la più manzoniana delle teorie sulla lingua non mi salverà dal senso che provo in me ( e che gli altri proveranno di me ) di essere caduto in un peccato d ' affettazione . Per questa ragione , nelle scuole , poniamo , del Napoletano sorge spontaneo e irrefrenabile tra gli alunni un coro di canzonature , quando un loro compagno si mette a toscaneggiare : il vocabolo " toscaneggiare " è per sé stesso canzonatorio . Santa canzonatura , che a me non è stata risparmiata e che io ricordo di avere a mia volta spietatamente e beneficamente esercitata sopra i miei compagni . Come questo sentimento di ripugnanza è inesattamente interpretato e biasimato dal De Amicis , così egli non si rende esatto conto del valore estetico che hanno talvolta quelle che a lui sembrano inesattezze e povertà di lingua e che sono invece indeterminazioni di pensiero , che debbono restare così : di pensieri , cioè , la cui determinazione estetica è per l ' appunto quella indeterminazione . Allo stesso modo un pittore accademico trova mal disegnate o non disegnate le figure di un quadro , la cui bellezza sta proprio in quel certo che di vago e vaporoso , che a lui sembra difetto : in quell ' abbozzato , che è un finito , e che diventerebbe una sconciatura , se fosse disegnato minutamente in conformità dei canoni accademici . La lingua approssimativa può essere , senza dubbio , grave errore d ' arte , ma può essere , anche , forza d ' arte : secondo i casi . Per mio conto , credo che a volte parli benissimo anche chi presenti con frequenza i varî aspetti delle sue percezioni confusi nel vago vocabolo di " cose " : il " signor Coso " , del bozzetto satirico del De Amicis . A molti , in certe situazioni , accade appunto di vedere indistintamente o di non vedere certi oggetti , ai quali lo spirito non s ' interessa , tutto ripiegato com ' è su sé stesso ; e l ' espressione di questo disinteresse tradirebbe sé stessa , se si effondesse altrimenti che con abbondanza dell ' indeterminato " cosa " . Perfino il " signor La Nuance " , dell ' altro bozzetto satirico del De Amicis , non ha tutti i torti nel sostenere che ogni frase francese ha una nuance , che non si trova nella corrispondente italiana . Anzi , questa è appunto la rigorosa verità . E se colui aveva appreso a far l ' amore in francese , quale meraviglia che trovasse poi nell ' " au revoir " una dolcezza , che non trovava nell ' " a rivederci " italiano ? Ed è serio obbiettargli che l ' " au revoir " è tanto poco dolce , che è pieno di r ? O vogliamo credere ancora all ' onomatopea e all ' armonia imitativa , quali le concepivano i retori ? Certamente , il De Amicis conosce criterî più retti di quelli che si desumono dai luoghi citati e da altri , che potrei citare . Egli è scrittore innamorato della sincerità e semplicità : è manzoniano , non solamente nelle idee intorno alla lingua , ma anche in talune di quelle verità , che gl ' italiani moderni debbono ad Alessandro Manzoni ; e nel suo libro si troveranno sagge avvertenze sull ' affettazione , sui pericoli dello studiare la lingua , sul modo di comporre e di correggere le proprie scritture . Vi si troveranno , perfino , teorie che sono l ' effettiva negazione di quelle da noi contrastate , come : " Ecco il più utile dei precetti : pensare , prima di mettersi a scrivere " . Questi criterî , operando da freno , hanno evitato che il libro somministrasse da cima a fondo una dottrina falsa . Chi legge i capitoli e i bozzetti , di cui esso si compone , incontra molte cose alle quali è portato a dare pieno assenso ; e altre , che non gli paiono accettabili , vede nel corso stesso del libro opportunamente temperate . Senonché questi medesimi criterî retti , entrando in dissidio col criterio generale che è errato , hanno impedito che l ' Idioma gentile riuscisse quel che si dice un bel libro . Gli scritti del Manzoni intorno alla lingua sono maraviglie di ragionamento e di prosa : si può rifiutare la dottrina , si ammira lo scrittore , che sapeva bene quel che voleva . Ma nel libro del De Amicis si sente il vuoto . " Non scrivo un trattato ( dichiara l ' autore ) : non scenderò a disquisizioni grammaticali minute , né salirò a questioni alte di filologia ... Tratterò la materia semplicemente e praticamente ... " E sia pure . Ma , se non quella di un trattato , il libro dovrebbe avere un ' altra qualsiasi connessione di idee ; e non l ' ha . L ' autore non ha saputo essere profondo , ma non ha voluto essere pedante . E non vi sono se non gli scrittori profondi , o i pedanti logici e in buona fede , che riescano attraenti . Il " limbo dei bambini " credo che non sia divertente neppure pei bambini . Io auguro che quest ' ultima manifestazione della questione della lingua , che ci è data dal libro del De Amicis , sia anche definitivamente l ' ultima , e che il vecchio e vuoto dibattito muoia con l ' Idioma gentile . Morrebbe così tra le mani di uno dei nostri più amati e amabili scrittori . Il De Amicis nella prefazione alla nuova edizione dell ' Idioma gentile polemizza , senza far nomi , coi suoi critici ; e principalmente contro l ' autore del presente scritto ( pubblicato la prima volta nel " Giornale d ' Italia " del 7 luglio 1905 ) . Prendo occasione da questa polemica per aggiungere un ' avvertenza , che dimenticai nell ' esame del libro . L ' Idioma gentile , oltre a fondarsi sopra un concetto errato del linguaggio , è uno schietto prodotto della fissazione linguaiola , triste eredità della decadenza italiana , e della decadenza di quella regione che fu il cuore dell ' Italia poetica e artistica , la Toscana . La fissazione linguaiola pone un interesse esageratissimo , tutto il più fervido interesse della propria anima , nel dissertare e sottilizzare sulle denominazioni delle più piccole cose e più materiali ; e fa che uno si reputi letterariamente disonorato se , per es . , non riesca a sapere esattamente come si dica in Toscana , o nei circoli autorizzati dei ben parlanti , la " granata " , e come questa si denomini variamente secondo che sia fatta di " scopa " o di " saggina " o di " crine di cavallo " , e a dare in ismanie se oda un napoletano chiamare tutte queste sorte di granate , indistintamente , " scope " . Par che caschi il mondo ! In compenso , poi , l ' indifferenza è somma per quel che riguarda le distinzioni dei fatti psicologici e morali , dei concetti filosofici e simili . Si tratta , dunque , non tanto di raffinamento estetico , quanto , oso dire , di restringimento mentale . Sulla natura e la genesi di questa fissazione ci sarebbe ancora non poco da notare ; ma i lettori non avranno forse bisogno delle mie osservazioni e dei miei ragionamenti per avvertire quel che v ' ha di comico nelle fatiche e ambasce dei linguai . All ' effetto del chiarimento ha provveduto lo stesso De Amicis col promuovere l ' interminabile dibattito , che si è svolto tra l ' ottobre e il novembre del 1906 nelle colonne del " Giornale d ' Italia " , sull ' alta , grave e profonda questione della migliore parola che serva a esprimere il " rumore del pan fresco " . A una conclusione , veramente , questa volta non si è giunti ; e come si potrebbe concludere in questioni così alte , così gravi e così profonde ? Ma non voglio scherzare : la verità è che io , nel leggere quelle proposte e risposte e controrisposte , mi vergognavo non poco . Tanta mollezza e oziosità mentale c ' è dunque ancora in Italia ? .
PER UNA POLEMICA SULLA LINGUA ( CROCE BENEDETTO , 1906 )
StampaPeriodica ,
Nel libro del De Amicis sono affermazioni e sottintesi che , a mio parere , si fondano sopra un vecchio e falso concetto del linguaggio . E poiché quel libro , pel nome del suo autore , era destinato a molta divulgazione , volli mettere in guardia i lettori , contrapponendo il modo in cui si produce l ' arte dagli artisti e si giudica dagli uomini di gusto alle viete concezioni dei linguai , che in quel libro ricomparivano non certo con coerenza sistematica e intolleranza pedantesca , ma in forma temperata e perciò più insinuante . Sono lieto che il Gargàno ( al quale nessuno vorrà negare gusto di poesia e finezza di giudizio ) si sia manifestato d ' accordo con me e abbia inteso perfettamente che la mia protesta era mossa in nome dell ' arte contro coloro che esibiscono parole e frasi come merciaiuoli ambulanti i nastri e le matassine . Nondimeno ad alcuno è sembrato che gli scolaretti negligenti d ' Italia dovessero promuovere una dimostrazione di gratitudine verso di me ; ad altri , che volessi rendere superflue le cattedre d ' italiano , col relativo personale insegnante ; altri ancora ha gridato all ' anarchia ; finanche il mio venerato amico prof . D ' Ancona mi ha fatto un mezzo rabuffo : " La lingua non è una metafisicheria campata in aria , ad apprender la quale e ad usarla bastino dei concetti astratti ... Chi non la vuole studiare , non la studî ; ma non ambisca al vanto di scrittore , ecc . ecc . " . - " Pace , o esacerbati spiriti fraterni ! " . Se volete proporre , come si dice , uno " stringimento di freni " e rendere la scuola più rigorosa e laboriosa , accoglietemi , vi prego , tra i vostri gregarî . Io non ho pensato niente di ciò che mi attribuite . La scuola , si sa , non può procedere se non con le leggi stesse dello svolgimento dello spirito umano ; e la teoria da me sostenuta sarebbe falsa , se non avesse rispondenza in quel che ogni bravo insegnante fa da sé , senz ' aspettare la mia parola , per naturale dirittura di mente . Ogni bravo insegnante non insegna la lingua , ma fa leggere e gustare gli scrittori ; comunica , dunque , non la lingua astratta , ma la lingua incarnata . Non corregge sopra un modello arbitrario e meccanicamente gli scritti dei suoi alunni , ma , mettendosi nello spirito di ciascuno , mostra a ciascuno quel che veramente intendeva dire e non ha detto . Non uccide l ' individualità degli scolari , ma fa sì che ciascuno ritrovi veramente sé stesso . - Mi è stato domandato : deve o no un insegnante correggere una parola dialettale che sia nello scritto di un suo alunno , e sostituirvi la parola esatta italiana ? e , se sì , ciò non contrasta con la vostra teoria ? - Che cosa debba correggere , l ' insegnante intelligente deve saperlo lui , caso per caso : " vocabolo dialettale " è determinazione troppo vaga perché vi si possa fondare sopra una legge : sì , no , secondo i casi . Ecco perché quell ' eventuale " correzione " addotta in esempio non sta contro la tesi che io sostengo . Quanto agli insegnanti pedanti per fanatismo o per comodo ( essere pedanti è talvolta comodo , perché risparmia fatiche d ' indagini ) , quelli , senza dubbio , le stanno contro , come la mia tesi sta contro di loro . Ma non sarà poi da dolersi , se taluno di quegli insegnanti verrà scosso nel suo fanatismo e nella sua pigrizia e costretto a un esame di coscienza e , per avventura , a cangiare strada . Pure ( s ' incalza , ed è questa l ' obiezione che sembra assai grave ) , nelle scuole non si può far di meno di vocabolari , di frasarî , di nomenclature ; bisogna che l ' alunno si fornisca di una certa provvista di ricordi linguistici , che comporrà il fondo della sua cultura letteraria . - E qui io non so che cosa mi dire , perché ogni qual volta ( e sono già parecchie ) ho criticato l ' assurdità teorica della Rettorica , della Grammatica , delle Istituzioni letterarie e di altrettali formazioni didascaliche , non ho lasciato mai di avvertire che , nel rispetto pratico , quelle costruzioni hanno la loro buona ragione e la loro utilità ; che non se ne può far di meno come validi sussidî . alla memoria ; e che giovano , non solamente nella scuola , ma anche fuori di essa , nella vita . In quali proporzioni e modi bisogni usarne nella scuola è un altro problema , che solamente l ' insegnante intelligente può risolvere e , sempre , caso per caso . Ma ciò che è sussidio alla memoria dà la parte , per così dire , materiale ed estrinseca dell ' insegnamento ; e invece il nostro discorso si aggirava intorno all ' insegnamento vero e proprio . Se si esce dalla questione , si potrà sostenere perfino ( e non si sosterrà poi il falso ) che per l ' insegnamento dell ' italiano sia necessario che gli alunni non giungano a scuola con lo stomaco vuoto . Il male è che , laddove nessuno ( salvo forse qualche lombrosiano ) pretende giudicare una pagina secondo che lo scrittore l ' abbia scritta o no a stomaco digiuno , moltissimi invece , per confusione mentale , si fanno a cangiare i sussidî meccanici dell ' apprendimento in criterî di produzione e in giudizî sull ' arte . E questo è il nodo , molto semplice ma molto stretto , della questione . Nel " Marzocco " del 23 e del 30 luglio 1905 . " Rass . bibliogr . d . lett . ital . " , XIII , p . 268 .
I MAZZINIANI ( LABRIOLA ARTURO , 1900 )
StampaPeriodica ,
Un partito politico attivo e vitale come il Partito socialista è obbligato a pigliar posizione di fronte a tutte le correnti politiche che si formano nel paese . Non è quindi inopportuno fissare l ’ attenzione dei lettori su un movimento , iniziato a Roma da un giornale settimanale , la Terza Italia , e dalla Federazione mazziniana di Terni , allo scopo di ricondurre il Partito repubblicano alla tradizione cosiddetta intransigente della parte mazziniana . Il programma di questo movimento , che io reputo a priori capace di una certa diffusione , date le speciali condizioni politiche del paese , non è ben definito se non da un lato solo , quello negativo , essendo esso rivolto contro i metodi parlamentari , recentemente adottati dal Partito repubblicano . Non esclusa la fisima antiparlamentare , i neo - mazziniani di oggi non valgono più di quelli di ieri : non sanno quello che vogliono . Nel che sta il vero pericolo del movimento . Ragionando per filo di ipotesi più o meno fondate , la risurrezione mazziniana non può proporsi che uno scopo solo : far proseliti in mezzo al Partito repubblicano ufficiale . Fuori l ’ àmbito di questo partito gli è per logica naturale di cose interdetta ogni possibile diffusione di principi . Il neo - movimento mazziniano , essendo in fondo una semplice critica in azione del Partito repubblicano ufficiale , non può vivere che su di questo , come il parassita non può vivere che sull ’ organismo da esso sfruttato . Non applicandosi la critica mazziniana né agli altri partiti , né alla generale condizione del paese , essa non può agire , ove abbia veramente forza diffusiva il che è possibile , entro certo limiti , anche per le tradizioni schiettamente rivoluzionarie dei repubblicani italiani che come un movimento di secessione ed un tentativo di frazionamento . Perché la critica mazziniana non si applichi alle condizioni del paese , né abbia speranza di successo in mezzo agli altri partiti radicali , si dirà in appresso . Quanto al pericolo che essa operi come un movimento di secessione , il pericolo è già evidente passando in rassegna i pochi numeri sinora pubblicati della Terza Italia . Lasciando stare i soliti vanitosi , capricciosi ed inconcludenti , che ad ogni nuova pubblicazione sentono il bisogno di notificare ai popoli un qualche nuovo “ progresso ” del loro spirito , sta in fatto che una tendenza va pronunciandosi presso alcune frazioni sin qui aderenti al Partito repubblicano ufficiale , di proporre in seno al prossimo congresso del partito un ritorno ai metodi di papa Celestino , tanto cari ai repubblicani italiani sino al 1890 o giù di lì . La necessità di propugnare il “ ritorno all ’ integrale programma di Mazzini ” è consigliata dalla federazione di Terni ai mazziniani aderenti al Partito repubblicano ufficiale , a proposito dell ’ imminente congresso del partito . Ma , di fronte a questo congresso , la federazione di Terni serba un atteggiamento anche più sprezzante . Essa lo considera come inutile ai fini specifici del mazzinianismo , e già si propone di indire un contro - congresso . Cosicché è alle viste la costituzione di un nuovo partito repubblicano italiano . Troppa grazia ! È questo il vero pericolo al quale accennavo testé . Ma è bene spiegarci chiaramente . Che , essendovi dei mazziniani nel paese , questi sentano il bisogno di unirsi e diffondere le loro idee , è cosa perfettamente naturale e della quale siamo i primi a rallegrarci . La diffusione di qualsiasi idea , per quanto falsa o giudicata immorale alla stregua della moralità del tempo , non può riuscire che benefica al corso generale dell ’ evoluzione di un paese . Politicamente e moralmente noi abbiamo però il dovere di combattere tutte le idee e tutte le correnti che giudichiamo dannose . Nessun altro appello deve esser fatto in questa disputa fuorché alle armi della ragione . È indegno di servire la scienza chiunque in una disputa teorica fa entrare un appello alla forza del governo o alla violenza personale . Ora , rompere la compagine del Partito repubblicano italiano non torna dannoso allo sviluppo di tutti gli altri partiti popolari ? Il ritorno all ’ anarchismo mazziniano , rispetto ai metodi , quando il Partito repubblicano deve i suoi successi ad un metodo opposto , non è creare un nuovo ostacolo all ’ evoluzione degli altri partiti popolari , spingendo risolutamente all ’ indietro le forze di uno degli alleati ? Ed a vantaggio di che si fa poi questa conversione del repubblicanismo al mazzinianismo ? Su di una cosa i neo - mazziniani sono perfettamente in chiaro : sulla opportunità di respingere l ’ uso dei mezzi parlamentari . Ciò che essi propugnano in modo risoluto ed esplicito è l ’ astensione dalle lotte elettorali politiche ; e poiché essi sono repubblicani e quindi non negano , come gli anarchici , il male indispensabile dello Stato indispensabile almeno entro limiti di tempo abbastanza ampi ed ammettono pienamente il metodo rappresentativo , il loro astensionismo altro non è se non legittimismo repubblicano . In fondo , chi esamini la psicologia intima dell ’ astensionismo elettorale propugnato dal Mazzini , vi riscontrerà lo sdegno e la protesta dell ’ antico triumviro , sostituito al potere da un usurpatore . L ’ amore davvero mistico con cui il Mazzini circondò il nome di Roma , l ’ ardore religioso con il quale seppe vantarne una pretesa missione storica , e la pagina insigne , scritta col sacrificio di tanti , nel nome repubblicano dell ’ Urbe degenere , conferirono a fargli credere legata al suo nome ed a quello da esso inseparabile della futura repubblica italiana le sorti di Roma . Mazzini considerò la dinastia occupatrice come rea di usurpazione . Il papa laico e il papa cattolico consigliarono ai fedeli delle due chiese la stessa condotta : l ’ astensione dalle lotte politiche . L ’ astensionismo mazziniano era una protesta , tale e quale come quello papalino . Mazzini aveva scritto tante volte che la risurrezione unitaria dell ’ Italia non poteva essere se non repubblicana , e , quando vide che i fatti lo smentivano , non volle già credere ad una necessità storica operante al di là dei disegni volontari della mente umana , ma ad un intrigo riuscito per la forza stessa dell ’ inganno . La sua irreconciliabile avversione al nuovo regime , cui credeva di poter rimproverare l ’ inganno e l ’ usurpazione , prese corpo e sostanza nella costante predicazione dell ’ astensionismo politico , ed egli si illuse di poter così concorrere a demolire quel regime . Ma , uomo del resto del più alto senso politico , capì che la lotta negativa dell ’ astensione non bastava , ed occorreva attaccare il regime combattuto in modo più diretto . Mazzini fu astensionista dalle lotte elettorali per la assai semplice ragione che egli fu cospiratore . Finché il Partito repubblicano si fuse e si confuse con il mazzinianismo , la cospirazione fu il naturale complemento della propaganda pubblica . L ’ Alleanza repubblicana universale , istituita dal Mazzini e che ebbe esistenza ufficiale sin verso il 1890 , benché menasse vita stentata e poverissima , era un ’ associazione cospiratoria a molteplici gradi di iniziazione . Lo sfacelo dell ’ Alleanza , avvenuto per processo di naturale ed intima dissoluzione , senza alcun concorso né della violenza , né dell ’ inganno governativo , è la miglior critica che dei metodi cospiratori possa farsi in un paese che , anche senza possedere una libertà di stampa , di riunione e di associazione molto sicura e generale , si regge a sistema rappresentativo . Il cospiratorismo hoffenbacchiano dell ’ Alleanza , durato , come ho detto , sino a data recentissima , si sfasciava nella incoerenza della propria ragione di essere . Mazzini , naturalmente , non è responsabile di queste assurdità . Egli moriva nel 1872 , diciotto mesi dopo l ’ entrata in Roma della monarchia , e la vicinanza del periodo rivoluzionario vero e proprio poteva ancora persuadere metodi cospiratori ed insurrezionali : anzi a dire la verità , la logica era tutta dalla parte di questi metodi . Ma chiuso il periodo dell ’ agitazione , inauguratosi il periodo dell ’ organizzazione , il Partito repubblicano doveva mutar via . La suggestione e la superstizione dei vecchi metodi aduggiò invece il campo . Ne avvenne quel che doveva avvenire . Siccome non è possibile differire all ’ infinito la realizzazione di un fine , i cui mezzi implichino una tensione permanente dei nervi , come il metodo cospiratorio , che involge un pericolo permanente , il partito si sfasciò . L ’ astensionismo e la cospirazione lo facevano a brandelli . La salute , infatti , non venne che dall ’ uso del metodo opposto , e questo non vedono i redattori della Terza Italia . Dal 1885 al 1892 la storia del Partito repubblicano italiano è la storia del proprio sfacelo . La riforma della legge elettorale manda alla Camera rinforzato il numero dei deputati che si qualificano repubblicani ; ma , mentre essi svolgono un ’ azione qualunque nella Camera , sono smentiti dal proprio partito organizzato . Le Società operaie affratellate , sotto il qual nome è compresa l ’ organizzazione pubblica del Partito repubblicano , non fanno che lacerarsi in lotte intestine . Dopo aver descritto fondo all ’ universo nei loro innumerevoli congressi , non sanno mai indicare la via per cui le cose votate si hanno da applicare . L ’ assoluta indipendenza elettorale delle società stesse toglie al partito ogni fisionomia di partito . La cospirazione e l ’ astensionismo uccidono , nella loro evidente incongruenza , un partito floridissimo e ricco di memorie storiche gloriose . La risurrezione cominciò solo quando i lombardi indussero il partito nelle vie elettorali e dell ’ agitazione pubblica . Ora si può anche , come chi scrive , non essere infetto dalla superstizione parlamentare , non dividere per i metodi sinceramente rivoluzionari tutto l ’ orrore evoluzionistico e scientifico di alcuni compagni nostri , e tuttavia scorgere l ’ assurdo della posizione entro cui si dibatte il neo - mazzinianismo . Mazzini almeno era logico . All ’ astensionismo elettorale egli univa la cospirazione politica ; ma poiché l ’ epoca nostra è manifestamente ripugnante , per necessità di cose , e nello stesso interesse dei fini rivoluzionari , dai metodi cospiratori , e la evidenza di questa osservazione non può non imporsi agli stessi mazziniani , ne deriva che essi sono condannati alla impotenza assai più facilmente che non i loro predecessori . Dovendo rinunziare all ’ azione cospiratoria e volendosi interdire quella parlamentare , quali mezzi d ’ azione restano al nuovo partito ? Non quelli della legale conquista della maggioranza parlamentare ; non quelli della settaria insurrezione e di colpi di mano ; dunque soltanto la mistica aspettazione , accompagnata dalla innocua e sterile diffusione di principi astratti , avulsi dal terreno della lotta quotidiana . Che per tal via essi possano esercitare un ’ azione qualunque sul Partito socialista appare impossibile sin da principio . Noi siamo il partito dei lavoratori ed abbiamo la responsabilità della difesa dei loro interessi quotidiani . Poiché noi non pensiamo attuabile il socialismo , ovverossia la generica società dell ’ eguaglianza , uno ictu , ma anzi per opera di successive conquiste , sino all ’ espropriazione totale e definitiva della borghesia , ci è giuocoforza ottenere dai parlamenti borghesi tutto quel massimo di riforme di cui essi sono capaci . Anche senza essere profondamente ammalati di infatuamento parlamentare , la tattica dei parlamenti ci si impone per necessità di cose . La forma della setta non ci si addice affatto . Ecco perché i mazziniani non possono sperare di esercitare una azione qualunque su di noi . E allora torniamo al punto di partenza . Il neo - mazzinianismo sarà costretto ad esercitarsi a spesa del Partito repubblicano vero e proprio , di cui la parte meno socialmente definibile , e più portata per temperamento ai facili entusiasmi del rivoluzionarismo verbale , cadrà nella sfera d ’ influenza del mazzinianismo . L ’ esistenza di due partiti repubblicani quello anarchico e quello parlamentare scomunicantisi in nome della stessa idea , non contribuirà ad accrescere prestigio alla soluzione repubblicana . L ’ epoca della confusione propagandistica risorgerà ancora una volta per il Partito repubblicano , e con essa le conseguenze dissolventi di un tempo . Alberto Mario scrisse una volta che il Partito repubblicano avrà allora forma ed importanza veramente politica , quando la tradizione settaria del mazzinianismo sarà completamente scomparsa . È probabile che il Mario , facile alle ire polemiche , esagerasse ; ma non è negabile che , in tutto il periodo posteriore all ’ unificazione d ’ Italia , la tradizione dei metodi mazziniani non è stata propizia alle sorti del Partito repubblicano . Il nuovo tentativo già si annunzia gravido di dissensioni . Ecco perché io penso che la condotta del Partito socialista debba essere deliberatamente ostile di fronte all ’ iniziativa della Terza Italia e della federazione di Terni .
StampaPeriodica ,
Verso la fine del quattrocento grande era il disordine in cui s ' aggirava il concetto della lingua nostra e delle lettere , che da un lato erano declinanti , dall ' altro sentivano se stesse per anche non bene mature . Da noi si chiama buon secolo della lingua nostra quello di Dante o del Petrarca e del Boccaccio ; ma gli scrittori in quella età non ebbero tanta fiducia di se stessi né tanta superbia . Il che si dimostra in primo luogo dal disputare che si fece subito intorno alla lingua , la quale avendo taccia , di bassezza non era , autorevole bastantemente sulla nazione ; era un dialetto venuto su quando una spinta maravigliosa fu data agli ingegni , ma senza corredo di scienza bastante . Sentìano mancare all ' efficacia della lingua l ' arte del dire ; in quella età noi cerchiamo la potenza della parola e della frase , ma non vi troviamo bastante evidenza dei costrutti , e l ' orditura dei periodi si dimostra per lo più timida o intralciata . Questo sentivano gli scrittori , massimamente poi quando ebbero assaggiato gli autori latini : Filippo Villani ( nel Proemio ) tace di Giovanni , e di Matteo suo padre dice avere egli usato « lo stile che a lui fu possibile ; apparecchiando materia a più dilicati ingegni d ' usare più felice e più alto stile » . Né avrebbe il Boccaccio al nostro idioma fatto la violenza ch ' egli fece , so non avesse egli nella prosa creduto trovarlo come giacente e da cercare altrove i modi e le forme a dargli grandezza . Le varie parti della coltura non avendo le uno con lo altre avuto in Italia proporzione sufficiente , quei primi sommi parve , si alzassero come giganti per virtù propria , dopo sé lasciando un intervallo per cui le lettere cominciassero un altro corso dove i primi gradi già fossero stati con inverso ordine preoccupati . Il che nelle arti belle non avvenne , e quindi poterono esse regolatamente salire alla loro perfezione : ma le lettere invece di Giotto ebbero subito Michelangelo , terrore agli altri piuttosto che guida ; ed il Boccaccio avendo trovato la lingua già bene adulta ma inesperta , la fece andare per mala via : il solo Petrarca più degli altri fortunato , lasciò dietro sé lunga e prospera discendenza . Avvenne per questa mala sorte che la lingua innanzi di farsi e di tenersi donna e madonna come si conveniva a tali uomini ed a tale popolo , non bene osasse distaccarsi dal latino che stava siccome suo legittimo signore , talché all ' italiano si diede per grazia l ' umile titolo di volgare . Né questa ignobile appellazione cessava col volger dei tempi , le traduzioni dal latino s ' intitolavano volgarizzamenti ed anche oggi quel che si scrive da noi letterati diciamo scrivere in volgare , Dio ce lo perdoni . Ma quando pei cercatori dei libri classci il latino fu ogni cosa , e chi non facesse di quello il suo unico studio ebbe nome d ' uomo senza lettere ; allora alla lingua stata compagna , dei loro affetti mandarono i dotti il libello del ripudio , anzi fu cacciata via come la serva quando torna la matrona . Sarebbe al Poggio ed ai suo pari sembrato vergogna scrivere italiano , onde egli scriveva latine le Istorie dei tempi suoi e le Lettere e perfino le Facezie . I poveri scritti di chi aveva narrato le cose come le aveva fatte , si traducevano in latino perché si acquistassero un poco di stima . Né Pico Della Mirandola fu il primo che dicesse mancare le cose al Petrarca e a Dante le parole ; questi era stato già tempo innanzi vituperato come sciupatore del bello classico da Niccolò Niccoli erudito raccoglitore di vecchi libri , che lui chiamava ( così almeno lo fanno parlare ) « poeta da fornai e da calzolaj » , perché non seppe né bene intendere Virgilio né avviarsegli dietro pei compi floridi della poesia ( Leonardi Aretini Dialog . I Ad Petrum Istrum . Fu già stampato a Basilea , ed è manoscritto nella Laurenziana ) . Più tardi Cristoforo Landino , che fra tutti difese la lingua toscana e la usava felicemente , sentenziò pure « ch ’ era mestieri essere latino chi vuole essere buono toscano » ( Orazione di Cristoforo Landino , Firenze , 1853 ) . Encomia l ' industria che Leon Battista Alberti pose a trasferire in noi l ' eloquenza dei latini ; né certo si vuole togliere merito a siffatto uomo , né a Matteo Palmieri né ad altri lodati con lui : ma fatto è poi che seguitare nell ' italiano le norme latine come essi fecero , tolse loro di essere letti mai popolarmente , così che si giacquero per lungo tempo come dimenticati , ed oggi guardandoli a fine di studio ne pare di leggere una lingua morta . Cotesti almeno erano uomini educati ai buoni studi : ve n ' erano altri d ' ingegno più rozzo , i quali per volere essere eloquenti in verso ed in prosa , cercando norme all ' italiano fuori di se stesso , facevano certi pasticci di lingua , né latina né volgare , la quale usciva come per singhiozzi , che Dio ce ne scampi ; di che strani esempi potrei allegare se fosse qui luogo . Ma vale fra tutti quello di Giovanni Cavalcanti , autore di Storie fiorentine a mezzo il quattrocento : non fu senza ingegno , e dove narrando le cose interne della repubblica descrive gli umori o riferisce i parlari dei cittadini , dice il fatto suo con evidenza sovente felice ; ma , quando vuol essere ornato o facondo e soprattutto nelle descrizioni , tenendo dietro agli esempi dei latini non bene letti o non bene intesi , diventa oltremodo fastidioso per lungaggini e peggio ancora per l ' ambizione dei falsi colori : costui che avrebbe potuto essere buon cronista , fu dall ' abuso dei precetti che allora correvano condotto ad essere malo istorico . Così andarono le cose nella repubblica delle lettere fino a Lorenzo dei Medici e al Poliziano ; questi certamente mostrò nelle Stanze scritte da lui a venticinque anni e poi non finite , una squisita forma di poesia che annunziava già i tempi nuovi di cui può dirsi prima e gentile apparizione . Cionondimeno quell ' uomo stesso faceva latini poi finché visse i versi e le prose fino al racconto della Congiura dei Pazzi , fatto domestico e tremendo al quale era stato in mezzo e che tante passioni doveva destargli nell ' animo . Nella poesia il Poliziano pareva trovarsi più in casa sua quando scriveva latino : più imitatore in quelle stanze di fina bellezza che s ' era arrischiato egli a scrivere italiane . Lorenzo dei Medici si scusa d ' avere in lingua volgare commentato i suoi Sonetti , tale quale come Dante se n ' era scusato dugent ' anni prima . Ma nulla dunque si era fatto in quei dugent ' anni quanto all ' uso della nostra lingua ? S ' era fatto molto ed ogni giorno si faceva ; ma il male stava in ciò che tale uso procedeva bipartito , essendo pel naturale andamento suo più cólto nei popoli ma insieme più guasto nei libri . Un assai grande numero di lettere scritte nel quattrocento furono in questi anni pubblicate , e ne abbiamo noi vedute molte manoscritte ; e molte tratte dagli Archivi di Firenze sono allegate nel grande Vocabolario . Ora le lettere familiari danno sempre l ' espressione più naturale e più immediata del vivo parlare , e chi le raffrontiad altre più antiche le troverà scritte in modo che annunzia lingua più adulta e più conforme a quella che poi fu la moderna italiana lingua . Ma nei libri stessi umili in quel secolo , sebbene pallido ne sia lo stile , pure il discorso procedeva meglio ordinato e più finito e più somigliante ed acuto già fatto ; ma non però bello quanto promettevano le grazie e il fuoco delle età prime . Io pure grido , studiamo il trecento , secolo che aveva in sé certamente quella potenza che più non ebbe la lingua nostra ; ma vero è poi che di tutte le nazioni gli antichi scrittori si riveriscono come vecchi intanto che si amano come fanciulli ; si ammirano per la ingenuità loro e per la forza , ma non si saprebbe né si vorrebbe per l ' appunto scrivere a quel modo . Tuttociò avviene sempre e dappertutto ; ma fu a noi tristo privilegio che la lingua o si dovesse o si credesse dovere attingere dal trecento , quasiché in essa il corso del tempo facesse il vuoto o altro non avesse fatto che guastarla . Negli ultimi anni del quattrocento aveva la lingua dunque per se medesima progredito quanto a una struttura più regolare , ma dall ' essere usata poco e trascuratamente nei libri , pareva e anche oggi a noi pare , in fatto essere decaduta da ciò che ella era nel secolo precedente . Lorenzo de ' Medici , il Landino ed altri dicono spesso alla lingua nostra essere mancati gli uomini e lo stile di chi la usasse ; il che fu vero quanto allo scriverla come abbiamo qui sopra notato ; ma fu anche vero quanto al parlare questa lingua in modo che fosse norma ed esempio agli scrittori : su questo punto conviene ora , un poco fermarsi . Mi sovviene avere una volta udito il Foscolo dire nell ' impeto del discorso che « la lingua nostra non era stata mai parlata » nella quale enfasi di parola pare a me stesse il germe di un vero che ora si svolge sotto agli occhi nostri . Ma il campo non era libero a quel tempo , e si disputava chi avesse ragione se il Cesari purista , o il Cesarotti licenzioso , o il Perticari con quella sua lingua che stava per aria . Oggi il Manzoni sgombrando quel campo ha dato a noi terreno fermo col fare consistere nell ’ uso ogni cosa : né chi voglia uscire da quella dottrina può stare sul vero . Ma se a dire lingua si dice qualcosa fuori d ' iena , semplice nomenclatura , e se invece si tenga essere l ’ espressione di tutto il pensare d ' un popolo colto , certo è che gli usi di questa lingua sono diversi ( quanto diverse le relazioni cui deve servire ; e che in ciascuna , oltre all ' essere disuguale il numero delle parole che si adoprano , varia è anche la scelta di queste parole : al che si aggiunga ( e ciò è capitale ) che oltre alle parole , le frasi e il giro e i collocamenti di esse o la contestura del periodo ed in certi suoi elementi la forma di tutto il discorso che sempre ha del proprio e del distinto in ogni nazione , tutte queste cose fanno insieme la lingua di quella nazione . So che la lingua in tal modo intesa dovrebbe piuttosto chiamarsi linguaggio , ma so che a distinguere con secco rigore l ' una dall ' altra , queste due parole , starebbe la lingua tutta intera nei vocabolari dov ' ella si giace come cosa morta . Sotto questo aspetto bisogna pur dire che la lingua che si parla differisce in molte sue forme dalla lingua che si scrive , secondo che variano parlando o scrivendo gli intendimenti , le volontà ed in qualche modo lo stato degli animi in chi mette fuori il suo pensiero , e in chi lo ascolta presente o deve poi da sé leggerlo sulla carta . Per esempio , nella rapidità del discorso familiare non sempre avviene fare periodi che stieno in gambe come suol dirsi , perché in tal caso alla intelligenza molti aiuti provvedono , e la parola come alterata da una concitazione d ' affetti ne diventa spesso più efficace . Chiaro esprimeva questo pensiero Giovan Battista Gelli nella Prefazione d ' una sua Commedia stampata in Firenze l ' anno 1550 : « Altra lingua è quella che si scrive ne le cose alte e leggiadre , e altra è quella che si parla familiarmente ; sì che non sia alcuno che creda che quella nella quale scrisse Tullio , sia quella che egli par - lava giornalmente » , questo dice il Gelli , né intendevano del comun parlare coloro che innanzi di lui scrivevano essere mancati gli uomini alla lingua ( Landino , Proemio al Commento sulla Divina Commedia ) Ma se poi si guardi non più al discorso familiare , sibbene a quello di chi parla solo ed a bell ' agio e non interrotto , in faccia ad un pubblico o ad una qualsiasi radunanza ; allora il linguaggio s ' avvicina molto allo scrivere , di cui ben fu detto non essere altro che un pensato parlare : nondimeno chi ponga mente per non dire altro al tempo elle mette generalmente più lungo in questo pensare l ' uomo che scrive di colui che parla , non che al discorso che n ' esce fuori ; noterà essere delle differenze per cui la parola scritta è meno viva sempre di quella ch ' esce parlando quanto mai si possa pensatamente . Si vede nei libri quando l ' autore poco avvezzo a dire le cose , va cercando ed esse una forma che si adatti ai libri : nei Greci antichi e nei Latini ci si fa innanzi sempre l ' oratore . Imperocché allo scrivere con efficacia è grande aiuto l ' uso del parlare , dove uno s ' addestra a certo artifizio cui più di rado pervengono le scritture , dico quella distribuzione sagace di concisione e di abbondanza e di facilità e di sostenutezza , e quei colori appropriati a ' luoghi secondo richiedono i varii argomenti e le diverse parti dell ' orazione : s ' imparano queste cose dagli effetti che in altrui produce la nostra parola . Laonde a chi scrive manca una scuola molto essenziale quando egli non abbia la mente già instrutta in quelle forme per cui si esprimono parlando le cose che egli vuole scrivere . la quale mancanza che fu in Italia , dai tempi antichi e si protrasse poi nei moderni , ha dato spesso ai nostri libri certa aridità solenne la quale ebbe nome di stile accademico . Da questo vizio salvò i Francesi la conversazione , la quale fu ad essi come una sorta di vita pubblica e informò lo scrivere in ogni qualsiasi più grave argomento ; talché gli scrittori nel tempo medesimo che ne acquistavano maggior vita , divennero anche più facilmente e più generalmente popolari , così da esercitare nella lingua qual maestrato il quale ha bisogno la lingua medesima che venga dai libri . Questa , sorta di maestrato quale si sia , disse tanto bene Vito Fornari in un recente suo libretto , chi ' io farei torto al mio concetto se non lo esprimessi con le medesime sue parole . « Se egli è giusto il dire che il linguaggio non istà tutto negli scrittori , non si vorrà per questo affermare che si trovi intero fuori degli scrittori . Certi fatti mentali , e certe più fine relazioni e determinazioni del pensiero , non si vedono distintamente e non vengono significate , se non quando si scrive , cosicché alcuna piccola parte de ' vocaboli o molta parte de ' modi di dire o de ' costrutti non si può imparare altrove che nelle scritture » ( Lettera stampata nel Propugnatore , Bologna , 1869 ) . Per essere in questo modo imperfetta la lingua nostra poté nel secolo di cui scriviamo essere accusata « di viltà e non capace o degna di alcuna eccellente materia e subietto » , come attesta Lorenzo de ' Medici in quel commento del quale abbiamo poc ' anzi discorso . Bene egli l ' assolse da tale accusa , con argomenti di ragione e con gli esempi di Dante e del Petrarca e del Boccaccio . Ma quasi non fossero per sé valevoli quegli esempi , afferma al suo tempo essere la lingua « tuttora nella adolescenza perché ognora più si fa elegante e gentile . E potrebbe facilmente nella gioventù e adulta età sua venire ancora in maggiore perfezione , tanto più se il Fiorentino impero venisse ad ampliarsi e a distendersi maggiormente » ( Proemio al Commento sulle Canzoni ) ; pensiero nel quale stavano adombrati , ma certo assai timidamente , il male e il rimedio . Tali erano dunque le condizioni di questa lingua negli ultimi anni del quattrocento ; l ' abbiamo veduta per l ' andamento suo naturale progredire nelle sue più familiari ed umili forme , o nella opinione dei letterati intanto scadere . Ma ricorrendo ora col pensiero per tutto quello che si è fin qui scritto , abbiamo noi ed avrà chi legge , dovuto accorgersi che il discorso nostro non v ' era mai stato caso che uscisse fuori dei confini della Toscana . Di ciò cagione fu la mancanza non dirò intera ma poco meno , di libri o scritture in lingua italiana usciti dalle altre provincie d ' Italia . Volere discernere se dalla cultura dei primi Toscani uscisse la lingua o dalla lingua la colture , somiglierebbe troppo l ' antica lite di precedenza che fu tra l ' ovo e la gallina ; poiché la lingua essendo una materiale determinazione dei pensieri e degli affetti che si produssero dentro a quel popolo che la forma , diviene strumento che rende capace quel popolo a nuove produzioni del pensiero e a viepiù estendere la sua coltura . Oltrediché una lingua è monca e dappoco finch ' ella non abbia la sua finitezza negli usi letterarii , cioè finché non sia capace ad esprimere le cose pensate fuori del continuo uso e prima ordinate dalla lenta opera degli intelletti , finché non abbia insomma prodotto dei libri . Ciò avvenne in Toscana subito dopo al 1230 , prima di quel tempo dovendosi credere non bene compita questa moderna favella come Dante la chiamava . Ma ebbe ad un tratto scrittori in buon numero , e si cominciò a tradurre in lingua volgare gli autori latini ; tanta fiducia ebbe acquistata allora il pensiero in quella sua nuova e giovane forma . E furono gli anni nei quali Firenze , divenuta possente ad un tratto , si rivendicava in libertà , fondava una repubblica popolare , pigliava in Italia egemonia delle città guelfe , diveniva maestra delle Arti e produceva il libro di Dante . La lingua latina come noi l ' abbiamo era il portato di una solenne elaborazione del pensiero la quale si fece dentro a Roma stessa , sovrapponendosi alla forma latina che aveva quivi il parlare dei greco - italici : nata nel fôro e nel Senato o già sovrana sul Campidoglio , si distendeva per tutta Italia come lingua insieme politica e letteraria ; discesa quindi nelle Basiliche dei cristiani , divenne propria della religione . Nacque il volgare nel modo stesso ma con effetti dissomiglianti dentro ad un popolo d ' artisti , ed ebbe tosto una letteratura che per due secoli manteneva l ' impronta in se stessa . della città che l ' avea formata . In quella stavano per due secoli tutte le lettere italiane ; ma perché s ' intenda come le altre provincie nulla a quel moto partecipassero , vorremmo che studi maggiori si facessero sopra i vari dialetti d ' Italia , mostrando per quali più lenti passi si conducessero anch ' essi ad avere scrittori che fossero da contare oggi tra gli Italiani . Allora si vedrebbe fino a qual punto ciò conseguissero per via d ' imprestiti sopra i libri d ' autori toscani , ma né potevano questo fare né il farlo sarebbe stato sufficiente finché i dialetti più inferiori avessero tutta serbata l ' antica loro povertà . E rozzezza . Era il toscano in fine dei conti un italiano più compiuto e più determinato , più omogeneo in se stesso e più latino , perché il parlare dell ' antica plebe a questo più affine , aveva , in se stesso trovato la forma della lingua nuova a cui si era più presto condotto . Nello altre provincie più era da fare , e quello che si fece , rimase dialetto perché le misture avevano in sé troppo forti discordanze ; i suoni , gli accenti sempre non erano italiani . A mezzo il dugento uno scrittore pugliese Matteo Spinelli da Giovinazzo , avrebbe prima dal Malespini in una sua Cronaca mostrato esempio di lingua italiana che poi rimaneva lungamente solitario . Né un tale fatto io seppi mai come spiegarmi : se non che adesso da un erudito tedesco viene accertato , la Cronaca del pugliese non essere altro che una falsificazione fatta tre secoli dopo ; il che era facile sospettare dal dettato corrente più che non sia quello dell ' ispido Malespini , e dove si scorge sopra una forma tutta moderna spruzzate parole e desinenza napoletane da chi a quel gioco s ' era dilettato ( Bernardi , Dissertazione , ecc . , Berlino , 1868 ) . Gran tempo corse prima e uscissero da quello provincie e meno ancora dalle settentrionali , libi di prosa scritti in una lingua la quale non fosse come rinchiusa nel natio dialetto . Ne abbiamo esempio in quella vita di Cola di Rienzo la quale fu scritta dal romano Fortifiocca dopo alla metà del trecento . Qui perché siamo nella Italia media , la penna corre facile e sciolta ; ma tanto è ivi del romanesco , tanto le alterazioni dei suoni e quelle che a tutto il resto d ' Italia infino d ' allora comparivano brutture , da porre quel libro fuori del registro dei libri italiani . Quanto alle letterefamiliari un maggiore studio sarebbe da farne secondo i tempi e le provincie , ma , per via d ' esempio , quelle clic abbiamo degli Sforza irte e stentate , fanno contrasto alle bellissime elle allora e prima scrivevano l ' Albizi e altri Commissari fiorentini ( Commissioni di Rinaldo degli Albizzi , vol . I , 2 , Firenze . – Il terzo è in corso di stampa ) Le cronache in lingua italiana ma di autori non toscani che si hanno dalla metà , del XIV fino verso la fine del XV secolo nulla c ’ insegnano di quello che importi al nostro proposito , perché il Muratori che lo pubblicava badando ai fatti e non volendo ml oscurarli con le rozzezze dei dialetti , né tener dietro alle ignoranze dei copisti , tradusse ( com ' egli accennava nelle prefazioni ) coteste Cronache nella lingua comune al suo tempo . Generalmente però è da notare che appartengono all ' Italia media o alla Venezia , poche estendendosi verso il mezzogiorno : in quelle provincie la lingua italiana si era formata più ( l ' accordo con se stessa per la maggiore affinità che era tra ' popoli primitivi , e poté quindi salire al grado di lingua scritta più presto che non potessero quelle dov ' erano popoli usciti di razza celtica od iberica . Lo versioni dei romanzi di cavalleria generalmente scritti in lingua francese , dovrebbe cercarsi se alle volte non appartenessero ai luoghi dov ' ebbe maggiore entrata questo idioma . Tutto ciò vorrei che gli eruditi ci dichiarassero , pigliando esempio dalla non mai infingarda curiosità degli uomini tedeschi . Ma si tenga a monte come tra l ' uso della poesia e quello della prosa le cose andassero in modo diverso . La poesia lirica fu italiana dai suoi primordi e si mantenne : da Ciullo d ' Alcamo siciliano al Guinicelli bolognese ed al Petrarca un andamento sempre uniforme la conduceva fino al sommo della perfezione per una via che rimase sempre l ' istessa nel corso dei secoli . Emancipatasi dal latino prima della prosa , fa in essa più certo l ' uso della lingua ed ebbe consenso che l ' altra non ebbe : quindi noi troviamo che in sulla fine del quattrocento v ' era una lingua nazionale della poesia , che nulla ha per noi né d ' antiquato né di provinciale ; il che non può dirsi dei libri di prosa . Ma quello era il tempo nel quale in Europa non che in Italia pareano le cose pigliare un essere tutto nuovo ; ciascuna nazione d ' allora in poi ebbe la propria sua lingua più o meno perfetta , ma in tutto recata a foggia moderna . Era un procedere naturale , ma che in Italia più vivo che altrove , doveva estendersi dappertutto : le minori città meno chiuse in se medesime poiché avevano perduto ciascuna , la fiera indipendenza municipale , si aggregavano alle grandi , e l ' una con l ' altra più si mescolavano ; la vita più agiata voleva relazioni più frequenti , gli Stati col farsi più vasti creavano nuovi centri di cultura , le corti ambivano essere accademie . Intanto lo studio classico diffuso per tutta l ' Italia valeva molto a correggere quei volgari ch ' erano rimasti infino allora meno latini ; dal fondo di ciascun dialetto cavava lo studio dei libri classici una forma , la quale applicata all ' uso colto di quei dialetti , faceva quest ’ uso naturalmente essere più italiano e più capace di trarre a sé quella finitezza che prima avevano acquistata i soli libri dei Toscani : venivano i suoni a farsi più molli , più agevole certa speditezza di costrutti ; molte proprietà di lingua che i Toscani avevano appreso dall ' uso antico tra loro , gli altri imparavano dal latino . Notava sapientemente il Tommaseo come le etimologie sieno più assai che non si crederebbe mantenute dall ' uso del popolo non che da quello dei grandi scrittori : ciò era in Toscana più spesso che altrove ; negli altri dialetti gli uomini colti le ritrovavano qualche volta per lo studio dell ' antico latino e quindi le riconducevano nei libri . A questo modo il latino ch ’ era stato impedimento allo scrivere dei Toscani , condusse nelle altre provincie i dialetti a meglio rendersi italiani . In questo tempo era trovata la stampa , dal che la parola aveva acquistato come un nuovo organo a diffondersi . In tutti i tempi fino allora ed in tutti i luoghi chi si metteva a scrivere un libro sapeva bene che sarebbe andato in mano di pochi ; cercavano quindi il loro teatro a così dire nella posterità : di qui è che i libri ne uscivano più pensati e meno curanti di essere popolari ; questo vantaggio hanno i libri classici e quindi più servono alla disciplina del pensiero . Mia lasciando stare queste cose , gli autori toscani , eccetto i poeti , scrivevano fino allora per la provincia loro , né credeano essere intesi nelle altre : quindi è che i libri che apparissero meritevoli venivano tradotti in lingua latina per dare ad essi , così dicevano , maggiore divulgazione . Quando poi si cominciò a stampare ( com ’ è naturale ) quei libri ch ’ erano più cercati , ebbe il Petrarca la prima edizione l ' anno 1470 , e la ebbe il Boccaccio nel tempo medesimo ; nel 1472 tre non delle non maggiori città d ' Italia si onoravano pubblicando ciascuna il Poema di Dante che usciva a Napoli poi nel 1473 , ed aveva ben tosto l ' aggiunta , di nuovi commenti , ma in lingua latina . D ' altri toscani antichi non mi pare che avesse edizioni in quei primi anni altri che il Cavalca sparsamente per l ' Italia ma per tutte quasi le varie sue opere ; e oltre lui pochi degli ascetici : stamparono questi perché erano i soli elle avessero faina allora in Italia . Nel mentre che autori delle altre provincie pubblicavano commentato in lingua latina il libro di Dante , un toscano che da principio soleva scrivere latina ogni cosa , Cristoforo Landino , poneva le mani a stenderne un molto ampio commento in lingua italiana . Di già i vecchi commentatori del trecento pareano a lui essere un poco antiquati ed io per me credo che senza la stampa non avrebbe egli pensato un lavoro il quale intendeva riuscisse , come ora si direbbe , popolare . Lo stesso Landino avea pubblicato l ' anno 1476 una versione dell ' Istoria naturale di Plinio , dov ' entra un numero stragrande di voci ; questa ed il Commento che fu stampato nel 1481 io credo non poco servissero agli scrittori tuttora inesperti che ebbero in quei libri un esemplare di lingua vivente ma non toscana soverchiamente , perché il Landino per antico abito disdegnava quei modi di scrivere che a lui sapessero di plebeo . Nello stesso anno 1481 usciva il Morgante di Luigi Pulci , e insieme i tre libri non poco servirono a rendere meglio familiare l ' uso dello scrivere in lingua comune . Imperocché il Pulci che sollevava l ' ottava rima dalla pesantezza del Boccaccio e dalle bassezze degli altri , scrittore di vena copiosa e facile , ha in sé qualcosa quanto alla lingua , di meglio compito nella struttura del discorso , di più andante nei periodi , qualcosa insomma di più avanzato e più universale di quello che fosse generalmente negli autori del trecento e che annunzia maggiore coltura . Lorenzo de ' Medici e Angiolo Poliziano ebbero fama e non del tutto immeritata come restauratori del buono scrivere italiano . Lorenzo promosse l ' uso di questa lingua e lo difese dandone egli stesso in verso e in prosa pregiati esempi . Seguendo il genio suo nativo che lo conduceva bene all ' acquisto della grandezza , cercò egli essere popolare ; la conversazione lo avea formato più che lo studio dei libri greci e de ' latini che a lui erano passatempo : si atteneva quindi assai di buon grado all ' uso fiorentino in quelle minori poesie , le quali o sacre o sollazzevoli , bramava che fossero cantate dal popolo ; facea versi anche po ' contadini . Per tutto questo meritò bene della lingua più ancora che non facesse il classico Poliziano il quale insegnava a trarre la forma della poesia italiana dai greci autori e dai latini . Finiva il secolo , e la lingua toscana pareva che già s ' avviasse a farsi italiana . Alle altre provincie secondo che divenivano più cólte , non bastava l ' uso di quei volgari plebei a cui rimase nome di dialetti ; perché a cotesto uso mancavano spesso non che le voci per cui si esprimono idee non pensate dagli uomini rozzi , ma più ancora le frasi o locuzioni e il giro e la forma di quel discorso più condensato che si chiama scelto , più breve e rapido perché cerca comprendere un maggior numero d ' idee ; forma che serve generalmente a chi si mette a scrivere un libro . Non so che i dialetti fossero insegnati nelle scuole , né che si pensasse molto a coltivarli come lingua letteraria . Ciò tanto è vero che il fare libri nel dialetto proprio agli autori non toscani cominciò tardi e fu per gioco e come una sorta di prova non tanto facile , perché lo scrittore deve in quel suo dialetto cacciare e costringere le frasi e i costrutti ch ' egli era solito pigliare da un uso più colto e più universale . Ma per contrario , quando nel primo tempo l ' autore avvezzo al suo dialetto voleva innalzarlo fino a quella lingua , ch ' era intesa da tutti , ne aveva in sé il germe che la coltura vi avea già posto : e il nuovo processo veniva spontaneo , essendo per molta parte il compimento di quell ' antico suo parlare . È stato già detto che a scrivere bene in lingua italiana , la meglio è cercarla in ciascuno nel fondo del suo dialetto , perché a correggere o a dirozzare questo si vede uscirne fuori quella lingua , comune di cui la lingua toscana già diede agli altri dialetti la forma e che n ' è il fiore e la perfezione . Ma questi dialetti poiché non bastavano a quell ' uso più ampio e più scelto , chiunque , volesse parlare o scrivere in tal modo , non poteva pigliarne le forme da un altro dialetto , perché non s ' intendono questi fra loro ; poteva bene da quel linguaggio e da quell ' uso più accettabile universalmente , che vivo in Toscana corregge da per tutto i plebei parlari perché più italiano di ciascuno d ' essi . Ciò veramente poteva in qualche parte dirsi opera di traduzione , ma non di quella che si fa pigliando parole e forme da lingua straniera ; e questo fu il caso di quei primi non toscani , i quali sul finire del secolo XV cominciarono a scrivere libri in lingua toscana . Vorremmo allegare qui alcuni di quelli sparsi documenti che a noi fu lecito di raccogliere da varie provincie d ' Italia , se fosse qui luogo a minute ricerche o se quelle che abbiamo fatte ci apparissero comprendere tutta la vasta materia . Crediamo però che i pochi esempi sieno conferma di quello che abbiamo sopra accennato quanto alla difficoltà che avevano maggiore o minore le altre provincie a farsi nello scrivere italiane , secondo le varie qualità delle misture ch ' erano entrate in ciascun dialetto . Abbiamo un Testamento politico di Ludovico il Moro scritto sulla fine del quattrocento in lingua milanese che vorrebb ' essere italiana ( Documenti di storia italiana , copiati a Parigi da G . Molini , tom . I in fine ) ; e nella città stessa abbiamo l ' istoria di Bernardino Corio che finisce al primo entrare del secolo susseguente : qui sembra il dialetto nascondersi affatto , ma lo stile duro e faticato ha proprio l ’ aspetto d ' un nuovo e non sempre felice sforzo che l ' autore fece usando una lingua che tutti leggessero . Questa , e l ' istoria napoletana di Pandolfo Collenuccio da Pesaro credo sieno i primi libri dove il toscano fosse cercato da scrittori non toscani : il Corio di molto sopravanzò l ' altro per la materia , ma il Pesarese più franco e sicuro in quanto alla lingua , scrive anche in modo assai più scorrevole . Generalmente gli uomini più meridionali e su su venendo quelli della sponda dell ' Adriatico , si erano prima fidati più degli altri al natio dialetto così da usarlo anche nello scrivere . I Veneziani , etruschi d ' origine , come hanno dialetto meno degli altri discordante , così lo usarono sebbene con qualche temperamento sino al finire della repubblica nelle arringhe che si facevano in Senato o nella sala del Gran Consiglio , tanto che v ' era un ' eloquenza in veneziano , quale non credo che fosse nemmeno in Firenze dove il Gran Consiglio durò poco e prima era scarso l ’ uso del parlare in modo solenne . La vita e la lingua qui erano nel popolo , da cui venivano come a scuola gli scrittori quando al principio del cinquecento l ' urto straniero ci ebbe insegnato a rendere cose quanto si poteva nazionali , la vita almeno civile e la lingua . Pochi anni prima di quel tempo Fra Girolamo Savonarola venuto giovane da Ferrara dove il parlare aveva qualcosa del veneto , cominciò in Firenze a predicare . « Da principio diceva ti e mi , di che gli altri Frati si ridevano » ( Cambi , Storia di Firenze , anno 1498; sta nelle Delizie , ecc . del P . Ildefonso ) . Divenne poi grande oratore avendo appreso qui la correttezza e la proprietà della favella , senza mai troppo cercare addentro nell ' uso più familiare di questo popolo Fiorentino . Dal quale poi trasse non poco un altro Ferrarese , l ' Ariosto , ma con quel fino e squisito gusto ch ' era a lui proprio ; e se io dovessi dire quali autori allora o poi meglio adoprassero nelle scritture quell ' idioma che solo era degno di essere nazionale , porrei senza fallo il nome dell ' Ariosto accanto a quelli di due Toscani , che sono il Berni ed il Machiavelli . Lo scrivere andante si poteva bene imparare anche da due poeti come questi , perciò infine la lingua della poesia viene dalla lingua della prosa , di cui non è altro che un uso più libero . Cosi alla fine questo volgare che aveva data ne ' suoi primordii una promessa poco attenuta , che fu negletto per oltre un secolo , o rinnegato da chi teneva il latino essere tuttavia l ' idioma illustre della nazione , questo volgare divenne allora quel che non era ma prima stato , lingua italiana . A questo effetto andavano tutte insieme le cose allora in Italia : già la coltura diffondendosi agguagliava presso a poco l ’ intera nazione ad un comune livello , intantoché le armi forestiere distruggevano in un con le forze provinciali e cittadine quanto nei piccoli Stati soleva in antico essere di splendore e di bellezza ; l ' idea , nazionale che allora spuntava cominciò a farsi strada nella lingua . Ma era troppo tardi : gli ingegni fiorivano , le lettere e le arti toccavano il colmo , l ’ Italia insegnava alle altre nazioni fino alle eleganze e alle corruttele della vita ; possedeva una esperienza accumulata d ’ uomini e di cose tale che una piccola città italiana aveva in corso più idee che non fossero allora in tutto il resto d ' Europa ; di scienza politica ve n ' era anche troppa . Ma quando poi sopravvennero i tempi duri , questo tanto sfoggiare d ' ingegni non approdò a nulla , perché le volontà in Italia , erano o guaste o consumate dall ' abuso , o vôlte a male . Quegli anni che diedero i grandi scrittori passarono in mezzo a guerre straniere dove gli Italiani da sé nulla fecero , nulla impedirono ; e come ne uscisse acconcia l ' Italia non occorre dire . Dopo le guerre o dopo i primi trent ' anni del cinquecento , erano i tempi ed il pensare ed il sentire di questa nazione tanto mutati da mostrare il vuoto che era sotto a quella civiltà splendida ma incompiuta ; da quelli anni in poi calava il nostro valore specifico ( se dirlo sia lecito ) , e il nostro livello a petto alle altre nazioni d ' Europa venne a discendere ogni giorno . Mancò nel pensiero , perché era mancato prima nella vita , l ' incitamento ad ogni cosa che non fosse chiusa dentro ad un cerchio molto angusto ; manco la fiducia che all ’ uomo deriva dall ’ aperto consentire insieme di molti : v ' era in Italia poco da fare . Né ai tanti padroni che aveva essa dentro andava , a genio che si facesse , ma già la stanchezza o una mala sorta d ' incuranza disperata menavano all ' ozio , interrotto solamente da quelle passioni che non hanno scusa nemmen dal motivo ; la conversazione tra gente svogliata o avvilita o malcontenta non pigliava vigore né ampiezza dai gravi argomenti ; i libri meno che per l ’ innanzi andavano al fondo nelle cose della vita : dice il Fornari molto bene che « tra ' letterati e lettori non v ' era in Italia quella comunicazione intima e piena » per cui la vita , la lingua , le lettere tra loro s ' ajutano . Noi crediamo che nei libri qualcosa debba essere che sia imparata fuori dei libri , perché altrimenti lo scrivere viene quasi a pigliare la forma d ' un gergo necessariamente arido e meno efficace , da cui s ' aliena , il comune dei lettori . Ciò avvenne bentosto in Italia , e fu in quel tempo quando la lingua più si voleva rendere universale e n ' era essa stessa , divenuta più capace avendo perdute allora le asprezze d ' un uso ristretto , e nel diffondersi la coltura avendo acquistato migliore esercizio nelle arti della composizione . Ma giusto in quel tempo questa lingua per certi rispetti più accuratamente scritta , fu meno parlata ; e la parola meno di prima fu espressione di forti pensieri ed autorevoli e accetti a molti : vennero fuori i letterati , sparve il cittadino ; scrivea per il pubblico chi nella , vita non era avvezzo parlare ad altri che alla sua combriccola : quindi l ' eloquenza cercò appropriarsi all ' uso delle accademie le quali erano una sorta di sparse chiesuole . Mancò alla lingua , un centro comune perché mancava alla nazione : ne avevano entrambe lo stesso bisogno che appunto allora cominciò ad essere più sentito , sebbene in modo confuso ed incerto ; nulla si poteva quanto alla nazione , rimedii alla lingua si cercavano in più modi , varii , discordanti e quasi a tentone . Un snodo semplice vi sarebbe stato , ed era l ' attingere copiosamente da quel dialetto ch ' era il più finito ; ma questo invece di tenere sugli altri l ' impero , vedeva in quel tempo scadere non poco o farsi dubbia , l ' autorità sua . Al solo pregio della lingua molti sdegnavano ubbidire : condizioni tutte differenti sarebbonsi allora volute in Italia perché tante voci , tante locuzioni , tante figure con l ’ acquistare sanzione solenne potessero farsi moneta corrente pel comune uso degli scrittori . Avrebbe la sede naturale della lingua dovuto almeno stare in alto cosicché tutte le parti d ' Italia a quella guardassero , e che al toscano fossero toccate lo condizioni dell ' idioma parigino ; « perché il toscano ( dice il Manzoni da pari suo ) faceva dei discepoli fuori dei suoi confini , il francese si creava dei sudditi ; quello era offerto , questo veniva imposto » . A questo modo solamente potea l ' ossequio delle altre provincie essere necessario o inavvertito , perché non venissero tra ' letterati a sorgere le contese che nate una volta non hanno mai fine . Se ( come fu detto ) lo stile è l ' uomo , la lingua può dirsi che sia la nazione : quindi all ' esservi una linguaggio bisognava , ci fosse una Italia , né altrimenti poteva cessare l ' eterna lagnanza che il linguaggio scritto si allontanasse troppo dai modi che si adoprano favellando ; né bene potesse fare sue le grazie e gli ardimenti del volgar nostro , il quale da molti ignorato ebbe anche taccia , di abbietto e triviale ( Alcune parole di questo discorso erano scritte fino dal 1826 , e sono stampate negli Atti dell ’ Accademia della Crusca ) . Cotesta accusa molto antica tutti parevano confermare contro alla povera nostra lingua , che ci avea colpa meno di tutti . Poco badando all ’ uso vivo , nelle scuole di lettere insegnavano per tutta Italia dopo ai latini quei pochi autori toscani che allora fossero conosciuti , cercando alla meglio di mettere insieme su questi esemplari una sorta di linguaggio comune che fosse atto alle scritture . Un letterato molta solenne , Gian Giorgio Trissino da Vicenza , poneva in credito il linguaggio illustre con la versione da lui fatta del libro De Vulgari Eloquio ; Baldassarre Castiglione mantovano , uomo e scrittore di bella fama , sebbene dichiari la lingua essere una consuetudine , biasima l ' andare sulle pedate dei toscani sia vecchi , sia nuovi : sentenziò il Bembo che l ' antica lingua stava nel Boccaccio , di cui gli piacevano le grandi cadenze ; tutti i chiarissimi dell ' Italia , per ben tre secoli dopo lui accettarono la sentenza . Ma della comune popolare come in Firenze si parlava e si scriveva , niuno voleva sapere : negli anni stessi del Bembo , cioè verso il 1530 , Marino Sanudo scriveva in una lettera stampata « che Leonardo Aretino trasse ( l ' Istoria di Firenze ) da un Giovanni Villani il quale scrisse in lingua rozza , toscana » ( Estratti del sig . Rawdon Brown , Tomo III , p . 318 ) . Il Bembo era il solo autore vivente di cui s ' innalzasse non contestata l ’ autorità : basta ciò solo a dimostrare come si vivesse in fatto di lettere , quando gli Spagnuoli furono rimasti padroni d ' Italia . Al Machiavelli nella sua patri istessa nuoceva la vita , gli nocque più tardi , quanto al numero dei lettori , l ' essere all ' Indice ; l ' Istoria , del Guicciardini fu lasciata , stampare , ed anche mutilata , solamente nel 1561 , due anni dopo a che l ' Italia per grande accordo tra ' potentati si può dire fosse bello e sotterrata , e quando la voce degli italiani ormai più non faceva , paura a nessuno ( Nel 1559 il Trattato di Castel Cambrese aveva finito le guerre d ’ Italia ; ma in quell ’ anno stesso dal piè delle Alpi si preparava il 1859 , tre secoli tondi e date che importano la storia della lingua ) . Frattanto era disputa più volte rinnovata se si dovesse dire lingua italiana o toscana o fiorentina : chi affermava la lingua essere in Firenze facea nondimeno poca stima degli autori che ivi nascessero ; in certe parole recate dal Bembo si va fino a dire che « a scrivere bene la lingua italiana , meglio è non essere fiorentino » . E in questa medesima città noi vedemmo quante incuranze o quanti dispregi soffrisse la lingua nei più eminenti tra ' suoi cultori : la Divina Commedia non vi ebbe più quasi edizioni , e verso il 1520 certi maestri di scuola vietavano agli scolari leggere il Petrarca . Questa ed altre cose che stanno a dimostrare la confusione dominante tra ' letterati sono a disteso esposte in un libro di qualche pregio e di molta noja che ha per titolo l ' Ercolano ; autore di esso fu Benedetto Varchi il quale pel vario ingegno non ebbe chi lo agguagliasse dentro a quella età che scendeva . In quel medesimo suo libro si vede come allora molto dominassero i grammatici ai quali avviene quel che ai fisiologi , perché entrambi avvezzi a tenere fermo il pensiero sopra le minute particelle delle cose , riescono spesso corti o disadatti a quelli studj più comprensivi che bene in antico nella loro massima estensione ebbero nome di umanità . Consente il Varchi prudenzialmente al Bembo : ma solo nelle apparenze ; confessa la lingua in Firenze essere trascurata , ma vuole si cerchi nel fondo dell ' uso , mettendo egli fuori per via , d ' esempi gran copia di voci e soprattutto di locuzioni familiari , dovizie nascoste da farne a chi scrive ricco patrimonio ( Varchi , Ercolano , Padova , 1744 , in 4° , pag . 84 e segg . – 357 e segg . – 446 e segg . – 508 e in molti luoghi ) . In questo avrebbe egli dato nel segno , né vi è anch ' oggi da fare di meglio , tantoché sarebbe alla unità della lingua mezzo utilissimo un Vocabolario com ' è proposto dal Manzoni . Ma il guajo stava in ciò che non erano i più di quei modi entrati abbastanza nell ' uso comune ; molti erano figure che un tempo ebbero qualche voga , capricci d ' un popolo arguto e faceto , e spesso allusioni a cose locali : cotesti Firenze non avea diritto d ' imporre all ' Italia . Inoltre non era , più questo popolo quello che aveva creato una lingua educatrice di tanti ingegni ; meno operando inventava meno , e fatto più inerte anche nell ' animo , i suoi discorsi andavano spesso a cose da ridere . I letterati seguendo in queste nuove condizioni l ' antico genio popolare e avendo qui molto in uggia il sussiego recato dagli Spagnuoli , si dilettavano oltre al giusto di certe bassezze da essi chiamalo grazie della lingua : così tra le bassezze e nobiltà false viveano le lettere poi tutto quel secolo . Ma dentro a quegli anni nacque Galileo . Le scienze matematiche e le fisiche hanno questo , che l ' uomo le pensa dentro a se medesimo , si tengono fuori dal corso vivo degli umani eventi , e vanno da sé per la via loro qualunque si sieno le cose all ' intorno . Galileo che pure in mezzo all ' sperimentare minuto e sottile teneva lo sguardo volto all ' universo , portò nella fisica , l ' ampiezza d ' una filosofia , degna li questo nome , e fu in secolo di decadenza , scrittore sommo , perché al bell ' ordine del discorso unisce la copia e una dignitosa naturalezza . Continuava da cento anni in Firenze la scuola fondata da Galileo e di sé lasciava traccie indelebili nelle scienze fisiche ; da quella uscirono anche uomini dotti nelle razionali , e assai le lettere se ne avvantaggiarono nella seconda metà del seicento . Ma quando la lingua , o le idee francesi predominarono e quando poi gli eccitamenti nuovi destarono gli animi degli Italiani a cercare almeno in fatto di lingua l ' unione vietata , la Toscana sofferse rimproveri dalle altre provincie quasi ella fosse gelosa , ma inutile custoditrice di quel tesoro che aveva in casa ma non lo adoprava . Più grave è fatto il nostro debito ora in tempi di sorti mutate , di sorti maggiori ma più difficili a portare ; noi siamo venuti ad esse non preparati , e s ' io dovessi quanto alle future condizioni della lingua fare un pronostico , direi senz ' altro : la lingua in Italia sarà quello che sapranno essere gli Italiani .
MEMORIE E PROPOSITI ( MARTINI FERDINANDO , 1882 )
StampaPeriodica ,
Non ci siamo lasciati senza rammarico ; lo vidi nascere quel Fanfulla della Domenica e mi costò , nei suoi primi giorni specialmente , ogni maniera di fatiche e di angoscie . S ' era di luglio : la mia Valdinievole , sorridente tra il verde delle pinete , inaugurava il monumento del Giusti e me aveva prescelto a ricevere le deputazioni , a sorvegliare l ' imbandigione delle tavole e a dar l ' aire ai fuochi d ' artifizio . Forse parve alla gente che io compiessi gli uffici o solenni o modesti con assai dignità : e non ero che un uomo scombussolato ; pensavo che il futuro giornale sarebbe stato il Fanfulla del martedì o del mercoledì , ma della domenica no di certo : perché nessuno aveva scritto una riga , ed io non potevo mandare in luce il foglio , candido come le nevi alpine , o come i sogni di una adolescente . Paragoni che non erano nuovi lo so : ma chi aveva tempo in quel brusio , in quell ' assillo di cercarne dei più originali ? E poi non si trattava mica di stamparli nel primo numero ! ... La sorella del poeta morta a 70 anni giorni or sono , ultima della famiglia non si sapeva capacitare che ci fossero musi lunghi quando la presidenza della Camera e i Lincei si muovevano a posta da Roma per fare omaggio alla memoria del suo Geppino ; i Lincei segnatamente le avevano ferito la fantasia . Vedendomi pensieroso a quel modo mi domandava ogni poco colla voce lenta e sottile : Che fa ? È stanco ? Lo credo , dopo tutto quello che ha fatto ! Ed era invece il non aver fatto , ciò che mi impensieriva ! Buona signora Ildegarde ! Mi sia lecito rammentarla qui col rispetto che meritò , colla affettuosa melanconia onde ricordo ogni cosa di quel tempo pieno di trepidazioni che or si rinnovano . Parlando di lei qui , mentre son calde ancora le ceneri sue , mi par quasi di invocare il patrocinio del suo illustre congiunto sopra queste pagine ; e mi dà nuovi vigori il desiderio di non far scomparire per me quel paesello che ci fu patria comune , e alla cui solitudine tanto più vanamente oggi sospiro quanto più cresce il dovere e la necessità del lavoro . Era una donna semplice , assai più meravigliata che persuasa della gloria che aveva a un tratto circondato il suo nome : della madre , bella così che discorrendo di lei i pochi decrepiti i quali la videro mezzo secolo fa si accendono ancora di fiamme quasi giovanili , non aveva né l ' ingegno acuto né le forme opulente ; mingherlina , asciutta , tirava , nel fisico , dal padre : ma tanto rimessa e pacifica quant ' egli disinvolto e irrequieto : culto , scettico , arguto : peccatore impenitente sino all ' ultimo , ripicchiato , vago di gingilli e di mode , che morendo lasciò nel guardaroba centododici paia di pantaloni ! Ma torniamo al giornale . Enrico Panzacchi aveva promesso due cose : leggere il discorso inaugurale a piè della statua e scrivere un articolo per il giornale nascituro . Capitò all ' alba in frac e cravatta bianca , ricusò una tazza di caffè e chiese una penna : all ' articolo non aveva neppure pensato , del discorso aveva scritto due pagine a mala pena . E lì nella stanza del Sindaco , non visitata sino a quel giorno dalle vergini Muse , improvvisò quello studio critico che avete letto ( No ? leggetelo e ve ne troverete bene ) nel volume delle Teste quadre . La orazione parve breve a tutti , a me eterna ; avrei voluto che l ' amico si sbrigasse ; due periodi più , due meno la fama del Giusti rimaneva tal quale , ma senza la prosa del Panzacchi il giornale non veniva alla luce . Uscì , come Dio volle , e le angustie si fecero anche più dure . Primo , ineffabile strazio i consigli . Peuh ! ammoniva un avvocato semi - illustre , tra una sonata e l ' altra della banda municipale in piazza Colonna . Peuh ! Tentativi , nobili tentativi , ma tentativi . Conati . Il mondo , caro Martini , non legge più ; ha troppo da fare . Capisco : il vostro non è un libro , è un giornale , ma fa lo stesso . Oh ! Ci sarebbe , sicuro , da farlo un giornale ; ma niente letteratura ; un giornale finanziario a un soldo ; s ' incassano 50,000 lire di annunzi per anno . Piglio io l ' appalto . Conati , amico mio . Generosi , non lo nego : ma conati . E poi , chi scriverà ? Gli italiani son pigri . Basta , provate . Cercate i migliori , e forse ... Associatevi , associatevi , date retta a me : l ' associazione è la gran forza del mondo moderno . Cerea . Non ho mai capito perché , a dare il buon esempio , non si associava lui per il primo . Poi veniva il giornalista provetto che conosce il suo pubblico : si piantava innanzi a me , colle lenti sul naso , le mani in tasca e alzava la testa e torceva le pupille come uno strabico per darsi il gusto , lui più piccolo , di guardarmi dall ' alto in basso . Amico mio , quello è un giornale che ti muore in mano fra un mese . Un articolo sul Beccaria ? Ma ci hai pensato ? Sul Beccaria ? Ma come si fa a scovare il Beccaria ? Neanche a farlo apposta . E poi tre colonne e mezzo ! Io , lo sai , son vecchio di queste cose : i giornali si fanno col metro . « Lei mi farà trentacinque centimetri d ' articolo » : se no , il pubblico non legge . E fa ' metter de ' cartelloni , santo Dio ! sulle cantonate ! Pare un giornale clandestino . E nomi , nomi , nomi . E articoli brevi , e roba leggera , commovente . Pensa alle donne e il Beccaria lascialo in santa pace . Quattro cose , tienlo bene a mente : le donne , i nomi , i cartelloni e il metro . Tò ! un endecasillabo Le donne , i cavalier , l ' armi e gli amori . Ciao . Dopo queste due cavatine , il coro . Il giornale era uggioso , era peso , era insopportabile . Non si adoperava in Italia che una sola forma di maledizione : che tu possa leggere il Fanfulla della Domenica ! Chi ci voleva una cosa , chi un ' altra : i più l ' attualità . « Non muore nessuno , non muore nessuno » smaniava ogni giorno uno dei compilatori invocando l ' attualità dalla biografia d ' un illustre defunto . Il grand ' uomo non si risolse a morire in quel subito , per far piacere all ' amico : ma il giornale visse . Vita , mi sia conceduto affermarlo , non inonorata né inutile . Ed oggi , daccapo ; daccapo cogli stessi intenti , colla stessa energia , colla stessa schiettezza : daccapo quali che sieno gl ' impedimenti che ci si frappongano o la sorte che ci si prepari . Già , la sorte di noi che ci affatichiamo in questa tormentosa opera del giornalismo , vuoi politico , vuoi letterario , è una sola . Dopo aver lavorato ogni giorno e nutriti gli altri de ' propri studi e svagatili colle proprie fantasie , ed esserci stillati il cervello a contentare gli incontentabili ; dopo aver sofferto le calunnie de ' malvagi e i dileggi degli sciolti e costretto noi stessi a serbare nelle pubbliche polemiche quella pacatezza di cui ci saremmo volentieri liberati nel disputare a quattr ' occhi ; e misurati gli atti propri e le proprie parole In verbis etiam tenuis cautusque serendis , che ci resta di tanti sopraccapi , di così assidua fatica , di così difficile pazienza ? Uditeli i lamenti di quanti più famosi salirono ai massimi gradi di quest ' arte effimera del giornale , rumore d ' un giorno , potenza d ' un momento . Chi tocca più , se non forse i custodi delle biblioteche per spolverarli ogni tanto , i settanta volumi delle Nouvelles de la Republique des lettres ? E Pietro Bayle fu de ' giornalisti il primo e il più grande ! Quel pezzo di foglio sciagattato , stracciato , strascicato per le tavole dei caffè , macchiato di birra e di vino , ecco l ' opera mia e la mia vita e la mia anima e il mio ingegno , e le lezioni de ' miei maestri , il mio zelo , la mia ambizione , la mia fortuna hic jacent . E gli altri scritti più gravi muoiono , lo so ; ma il non omnis moriar o il plaudite cives sono felici speranze di chi compie il libro o dà al dramma l ' ultima mano ; inganno non consentito a noi che istilliamo nell ' opera nostra giorno per giorno il germe dell ' oblio . Giornalisti e trappisti , uno stesso ammonimento e una stessa divisa : fratelli , bisogna morire . E nondimeno chi entrò in questa via non se ne ritrarrà se non quando abbia logora la salute e infrante le membra . Chi ha la testa alle melanconie il dì de ' conforti ? E bisogna aver fatto un giornale dubitando delle sorti sue e della sua vita , per sapere che conforto sieno l ' aiuto e la simpatia de ' migliori . Bisogna aver annunziato il Fanfulla della Domenica senza un ' ombra di manoscritto per capire che cosa portassero con sé , quando giunsero , uno scritto del Carducci , una novella del Guerrini , e gli articoli del Bartoli , del Nencioni , del Chiarini , del De Zerbi , degli altri che allora mi soccorsero ed oggi mi seguono ; bisogna aver sfogliato , trepido , tutta quanta la raccolta di un giornale compilato per quattro anni con amore operoso , per sapere che beato orgoglio si senta nel ripetere sicuri a se stessi : posso avere sbagliato , ma non ho mentito mai . L ' animo s ' invigorisce , le forze s ' accrescono preparate ad ogni traversia , disposte a ogni prova più ardua : e ci si sente il coraggio di presentarsi di nuovo ai lettori culti ed onesti , di chieder loro anche una volta la confidenza , necessaria perché non sia inefficace l ' opera che continuiamo e a cui ci consacriamo risoluti ed interi . Roma , 4 febbraio 1882 .