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> categoria_s:"StampaPeriodica" > anno_i:[1880 TO 1910}
STILE, RITMO, RIMA E ALTRE COSE ( CROCE BENEDETTO , 1904 )
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Tra le difficoltà della critica letteraria ( e , converrebbe dire , di ogni discorso ) è che non si può nella pratica di essa non introdurre , insieme coi concetti scientificamente rigorosi , altri che non sono tali e che , interpretati poi con rigidezza , danno origine a pedanterie ed errori , talvolta assai gravi . Sono espedienti , senza dubbio , alquanto pericolosi , ma dei quali non si può far di meno ; onde non rimane altro partito che aver fiducia nel lettore intelligente . Come si fa a scrivere di critica senza parlare , per es . , talvolta o spesso , di metro , stile , ritmo , rima , metafore , figure , realismo , simbolo , romanzo , tragedia , lirismo , drammatismo , musicalità , pittoresco , scultorio , e via discorrendo ? E , tuttavia , nessuno di questi termini risponde a un concetto scientifico esatto . Il proposito di tenersene libero e immune sarebbe non meno ingenuo della pretesa di liberarsi del linguaggio , ossia di saltare sulla propria ombra . Ciò che importa è che quei concetti empirici non vengano scambiati per teorie scientifiche ; che di quei vocaboli s ' intenda il limite , ossia l ' ufficio loro , che è di vocaboli e non già di pensieri ; che se ne faccia uso pratico e non si pretenda , col possederli , possedere insieme una dottrina filosofica . Questo e non altro è il significato della polemica che vado conducendo da un pezzo contro di essi : contro di essi , non in quanto vocaboli ( ché anzi intendo riserbarmi pienissimo il diritto di servirmene anch ' io , quando mi accomodano ) , ma in quanto vocaboli gonfiati a teorie . Nella Miscellanea di studî critici in onore di Arturo Graf si legge un lavoro del Vossler : Stil , Rhythmus und Reim in ihrer Wechselwirkung bei Petrarca und Leopardi , che è tutto riempito , e come travagliato , dalla coscienza circa il valore limitato delle distinzioni , che pure l ' autore foggia e adopera . Il Vossler , analizzando alcuni sonetti del Petrarca e alcune canzoni del Leopardi , e facendo osservazioni circa le attitudini poetiche di vari popoli e le forme poetiche proprie di determinati tempi e di determinati temperamenti di poeti , distingue , per comodo d ' indagine , una versificazione stilistica e una versificazione acustica . Posti i quattro accenti , ritmico , tonico , sintattico e stilistico , egli chiama ritmo rigorosamente stilistico quello in cui tutti i quattro accenti vanno d ' accordo ; ritmo acustico , quello in cui l ' accento stilistico diverge ; e , principali casi intermedi tra questi estremi , quello in cui coincidono tre accenti ma non il tonico , e l ' altro in cui l ' accento sintattico si allontana dal ritmico . Analogamente , la rima si può distinguere in rima stilistica , quando cadono sopra di essa così l ' arsi ritmica come quella stilistica ; e in rima acustica , nel caso opposto ( nell ' enjambement ) . Vi sono tipi di poesie in prevalenza acustiche , e altre in prevalenza stilistiche ; e tipi misti , nei quali la rima è acustica e il ritmo stilistico , o la rima stilistica e il ritmo acustico . Ma il Vossler non solamente sa e dichiara a più riprese che codeste distinzioni non sono giudizi estetici , potendo essere bellissima così una poesia di tipo stilistico come una di tipo acustico , e bellissimi ( egli dice ) versi , in cui il ritmo sia sacrificato allo stile , e all ' inverso ; ma sa anche , e dichiara , che la sua distinzione fondamentale è affatto arbitraria . Non esiste dualismo tra acustico e psichico o stilistico : ogni espressione stilistica è insieme acustica , e all ' inverso : la distinzione , proposta da lui , è semplice espediente verbale ( Nothbehelf ) . Egli si rifiuta perciò di moltiplicare i tipi dei sonetti , temendo di foggiare un troppo pesante schematismo e cadere in pedanterie ; e pedanteria chiama , infine , la sua stessa partizione di rima e ritmo in stilistici e acustici , mettendo in guardia contro la pretesa di staccare suono e significato in poesia , come , in genere , contro ogni divisione meccanica di ciò che è organico . " Pure non si dimentichi ( egli aggiunge ) che il modo corrente di considerare la metrica divisa dallo stile è pedanteria egualmente grande ; e ci si perdonerà se abbiamo tentato di scacciare il diavolo con Belzebù " ( pp . 480-1 ) . Pedanteria l ' una e pedanteria l ' altra ; ma non pedanteria né l ' una né l ' altra , quando così le distinzioni del Vossler come quelle della metrica usuale si adoperino senza attribuire loro quel valore di verità , al quale non pretendono . Il punto è sempre questo : se la letteratura è fatto estetico , essa non può essere indagata in quanto letteratura se non in modo conforme alla sua natura , cioè esteticamente ( critica estetica o storia artistica , da una parte ; ed estetica o filosofia dell ' arte , dall ' altra ) . Ogni altra indagine che si proponga di cogliere in qualsiasi modo la letteratura in quanto letteratura e insieme di evitare lo studio estetico non ha speranza di buona riuscita . Sarà un espediente ( un Nothbehelf , come ben lo denomina il Vossler ) ; ma adoperare un espediente non significa compiere un ' indagine scientifica . Perché mai il Vossler vuole che non s ' insista troppo su quelle sue partizioni , e che esse non siano usate rigidamente ? La verità è rigorosa , e non le si fa torto con l ' osservarla rigidamente . Ma egli ha coscienza che quelle partizioni non sono scientifiche , e che trattarle come tali sarebbe abusarne . La Metrica , se non vuoi essere cosa assurda , non ha se non due vie dinanzi : o rassegnarsi a essere semplicemente Metrica , cioè schematismo mnemonico ; o trasformarsi in Estetica , cioè annullarsi in quanto Metrica . II Ma io ho , da qualche tempo , come un conto aperto col mio valoroso amico Vossler , e voglio liquidarlo ora che me ne fornisce egli medesimo i fondi . Anni addietro , discussi con lui intorno a certe teorie del Gröber sulla sintassi e la stilistica , negando a quelle teorie carattere di scienza e di criterio valutativo . Sembrava che si trattasse di una questione del tutto finita ; ma , di recente , a proposito di alcuni lavori del Lisio e del Trabalza , il Vossler è tornato a sostenere , almeno in parte , quelle teorie e a muovermi alcune obiezioni . Egli dice che il Gröber non vuole fare punto critica estetica , sì bene un pretto studio grammaticale . Il che io avevo compreso da un pezzo ; ma la mia obiezione era che la grammatica non possa dar luogo a concetti rigorosi , speculativamente validi : proprio come di sopra abbiamo conchiuso circa la Metrica . Prendo un esempio che il Vossler reca . Lo svolgimento storico delle lingue romanze ( egli dice ) condusse a porre il verbo innanzi all ' oggetto ; ma restano sparse sopravvivenze della collocazione latina nel francese in frasi come sans coup ferir , e , se nell ' italiano moderno non si conosce nessuna di queste sopravvivenze , nell ' antico se ne ha qualche esempio . Quando perciò Dante dice : " E par che sia una cosa venuta Di cielo in terra a miracol mostrare " , fa una inversione affettiva , che reca insieme un leggiero profumo di cosciente arcaismo . E di rimando io osservo : - Perché inversione affettiva ? non è affettivo lo stile di Dante , anche quando non adopera siffatta inversione ? e , se l ' affettività non è qualificata necessariamente dall ' inversione , se affettività e inversione non sono il medesimo , che cosa è allora l ' inversione ? come si stabilisce ? rispetto a che cosa è inversione ? - Fino a quando non si risponde a codeste obiezioni scettiche ( e rispondervi mi sembra difficile ) , una scienza grammaticale e non estetica della forma letteraria rimane priva di fondamento . Ed ecco un altro esempio , fornito dallo stesso Vossler . Il modo congiuntivo delle parole flessibili serve sempre e unicamente in tutte le lingue romanze a esprimere una cosa non , come si credeva prima , in quanto irreale o in quanto ipotetica , ma in quanto pensata . Onde il Gröber dice : " Der Konjunktiv ist der Modus des Gedachten " . Scrive il Pellico nel principio de Le mie prigioni : " Il custode ... si fece da me rimettere con gentile invito ... orologio , danaro e ogni altra cosa ch ' io avessi in tasca " . Il custode , dunque , da spia e aguzzino ch ' egli è per natura , non si contenta del contenuto reale della tasca del Pellico ; desidera non quello che c ' è , ma quello che , secondo la sua sospettosa immaginazione , ci può essere . Ora non c ' è congiuntivo che non sia adoperato così ; quantunque il Grbber si guardi bene dal sostenere l ' inverso , ossia che , per esprimere una cosa in quanto pensata , sia indispensabile il congiuntivo . - E io osservo : - Ottimamente ; ma che cosa è il modo ? e che cosa è il congiuntivo ? Avendo il congiuntivo in comune con altre espressioni l ' espressione del pensato , definirlo come il modo del pensato non è sufficiente . Quando , dunque , mi si sarà data la definizione generale dei modi , nonché quella particolare del congiuntivo , ne riparleremo . Ma nessuno me le darà , perché quelle definizioni contrasterebbero con la natura delle sempre varie e individue espressioni linguistiche . Quale scarso valore abbia lo schematismo delle parti del discorso , ho detto altra volta e non occorre che mi ripeta . III Al Gröber spetta il merito di aver sentito l ' insufficienza scientifica della Grammatica usuale ; ma egli tenta , a parer mio , l ' impossibile , quando vuole correggerla col determinare le funzioni delle forme espressive , laddove converrebbe abbandonarla senz ' altro ( abbandonarla , dico , come scienza e ricerca rigorosa ) . Emanuele Kant nel saggio sulla Falsa sottigliezza delle quattro figure del sillogismo , a proposito di certe correzioni che il Crusius aveva cercato d ' introdurre in quella teoria , esclama : " Peccato che uno spirito superiore si dia tanta pena per migliorare una cosa inutile . La cosa utile sarebbe non già di migliorarla , ma di abolirla " ( Man kann nur was Nützliches thun , wenn man sie vernichtigt ) . Il quale detto si applica esattamente al caso presente . E voglio spiegare anche , in ultimo , perché io me la sia presa proprio col Gröber . Non certo pel gusto di punzecchiare e tormentare un dotto uomo , che altamente stimo , ma per atto di omaggio . Il Gröber riduce la Grammatica a cosa tanto lieve , tanto sottile , tanto evanescente , che ormai è facile soffiarvi sopra e dissiparla . Il perfezionamento di certe cose è la loro morte . La vecchia Grammatica normativa era un muro bronzeo , e per abbatterla sarebbe bisognato il martello ; ma il Gröber e il Vossler l ' hanno ora affinata in modo che è diventata un sottilissimo tramezzo di vetro , anzi di carta velina . Sottile , sottilissimo ; ma sempre impedimento alla visione scientifica precisa , con l ' annesso pericolo che il tramezzo venga rinsaldato e rifatto muro possente . Mandando in frantumi quel vetro , o , se piace meglio , con un lieve colpo di mano lacerando quella carta velina , non credo di avere compiuto una grande fatica , ma nemmeno di aver fatto cosa inutile . Bergamo , Istituto italiano d ' arti grafiche , 1903 , pp . 453-481 . Il Vossler parla ( p . 457 n . ) del compenso che per la perdita del valore acustico si ha nel guadagno di un valore stilistico , e all ' inverso . In realtà , in quei casi non vi ha perdita o guadagno , non vi ha sacrificio di una parte a un ' altra : un ' espressione bella , che appartenga al tipo detto acustico , non contiene una fiacchezza stilistica , compensata dal piacere acustico , ma ciò che si dice acustico è , a guardar bene , il particolare contenuto psichico di essa e lo stile che gli è proprio . I due casi d ' imperfezione estetica che il Vossler considera , nel primo dei quali il contenuto sarebbe guastato dalla rima e dal ritmo , e nell ' altro il ritmo e la rima sarebbero guastati dal contenuto , formano un caso solo , e contenuto e forma ( rima , ritmo , ecc . ) si guastano sempre vicendevolmente . Difetto di contenuto è difetto di forma , difetto di forma è difetto di contenuto . In una recensione nell ' " Archiv f . d . Studium d . neu . Sprach . u . Lit . " ( vol . 112 , pp . 230-234 ) del libro di L.E. KASTNER , A history of french versification ( Oxford , 1903 ) , il Vossler prende apertamente partito per una riforma estetica della Metrica . Egli mostra il difetto delle solite trattazioni , con l ' esempio non solo del libro del Kastner , ma anche di quello sul medesimo argomento del Tobler , e delle monografie del Biadene e di altri , e sostiene che non si possano scindere in modo netto verso e prosa , che lo studio dei versi si debba fare guardando al fine artistico e non mercé regole estrinseche , e che perciò la loro storia non sia da considerare quasi ramo indipendente del sapere , ma da unire alla storia della poesia . Assurdo è il procedere dei trattatisti della metrica storica , che prendono un verso francese antico , per es . il decasillabo , e di questo una determinata varietà , per es . , quello con cesura epica dopo la sesta , e costruiscono su tali basi un più antico tipo volgare - latino con cesura e terminazione proparossitona , ricongiungendo a questo modo il verso francese al saturnio latino . Come se la metrica storica sia in grado di stabilire una continuità di schemi metrici , indipendente dalla continuità della storia letteraria ; come se si possano , così semplicemente , restituire i termini medi , andati perduti nella storia dello spirito ; come se , guardando solo le lettere , sia dato trovare una connessione tra alòpex e " volpe " ! Conseguenza del modo di vedere del Vossler è ( come si è detto di sopra ) l ' annullamento della Metrica , risoluta , in quanto teoria , nell ' Estetica , e , in quanto storia e critica , nella Storia e Critica letteraria . - Per mia parte , non vedo difficoltà a lasciare vivere una Metrica , a un dipresso del vecchio stampo , come produzione schematica o naturalistica . " Zeitschr . für roman . Philol . " , vol . XXVII , 1903 , pp . 352-364 . Anche il SAVI LOPEZ , Un nuovo libro di sintassi storica e psicologica ( in " Nuovo ateneo siciliano di Catania " , I , 1904 , pp . 2-5 ) , mi spiega qualcosa di simile ; e soggiunge : " Sono concetti elementari ; ma si direbbe che in Italia abbiano ancor bisogno di chi ne bandisca la verità e l ' efficacia " . Con licenza del Savi Lopez , credo che la cosa stia proprio all ' inverso : cioè , che i concetti elementari , dei quali conviene che si " bandisca " ancora la verità , non siano quelli ricordati da lui , ma questi che io sostengo . La verità dei quali par che sia da " bandire " non solo in Italia . Il Vossler domanda : - Se l ' uso linguistico , come vuole il Croce , è un ente immaginario , in qual modo è possibile l ' apprendimento di una lingua , che cangia sempre rapidamente da individuo a individuo ? - L ' obiezione si risolve col riflettere che noi non apprendiamo la lingua che parliamo , ma apprendiamo a crearla ; forniamo , sì , la memoria di prodotti linguistici ( del nostro ambiente storico - linguistico ) , ma ciò serve come base e presupposto della nuova produzione e creazione . Così la lingua cangia da individuo a individuo e da una proposizione all ' altra dello stesso individuo , sebbene a chi guarda di fuori e all ' ingrosso sembri qualcosa di costante : come costante ci appare per lunghi tratti di tempo il nostro corpo , che pure cangia a ogni attimo . Ho accolto nel volume questo scritto e i due che lo precedono , perché giovano a risolvere difficoltà che a volte si riaffacciano . Ma essi non serbano più valore alcuno nei rapporti del Vossler , i cui concetti sulla lingua e lo stile hanno preso forma nuova e ben più matura nel volume : Positivismo e idealismo nella scienza del linguaggio ( trad . ital . , Bari , Laterza , 1908 ) ; intorno al quale , si vedano Conversazioni critiche , I , 87-105 .
'QUESTA TAVOLA ROTONDA È QUADRATA' ( CROCE BENEDETTO , 1905 )
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Lo Steinthal , nella polemica contro il Becker , per rendere chiara la differenza tra Logica e Grammatica si vale di quest ' esempio : " Qualcuno si avvicina a una tavola rotonda e dice : Questa tavola rotonda è quadrata . Il grammatico tace , perfettamente soddisfatto ; ma il logico grida : Assurdità ! " ' . Che il logico debba dare in quel grido è altrettanto evidente quanto ragionevole . Il concetto geometrico di figura rotonda è nettamente distinto da quello di figura quadrata : che l ' uno sia l ' altro è in geometria , o in una certa parte almeno della geometria2 , impensabile . Quelle affermazioni contradittorie eccitano la mente come se volessero apprenderle qualcosa , e la deludono ; donde l ' impeto d ' insofferenza contro l ' assurdo che si vorrebbe imporle . Anche evidente sembra che la Grammatica , dinanzi a una proposizione di quella sorta , si debba mostrare soddisfatta . Le sue regole vi sono perfettamente osservate : il femminile " tavola " è trattato come femminile ; l ' aggettivo " rotonda " è accordato col sostantivo in genere , numero e caso ; il verbo è in terza persona singolare e si accorda col soggetto , come col soggetto si accorda l ' attributo ; e così via . Senonché lo Steinthal ha dimenticato di proporsi una terza domanda : " Che cosa direbbe dinanzi a quella proposizione l ' estetico ? " . O , piuttosto , non si pone questa domanda a causa degli insufficienti concetti di teoria estetica che portava nelle sue indagini , pur tanto pregevoli , dei rapporti tra linguaggio e pensiero . Proponendocela , noi diciamo che l ' estetico , a differenza dal grammatico e in pieno accordo col logico , dichiarerà anche lui assurda quella proposizione . Non che l ' uomo estetico in quanto tale si dia pensiero dei concetti geometrici e della loro esattezza e verità ; ma , entrati che si sia nella sfera di quei concetti , l ' Estetica , come la Logica , esige che se ne segua l ' interna necessità . Il politeismo sarà , come concezione filosofica , erroneo ; ma niente vieta che s ' immagini una società di esseri potentissimi , che vivano in un certo luogo inattingibile , e variamente intervengano nelle cose umane , come gli dèi d ' Omero nelle contese degli eroi , o come gli abitanti di Marte , in un recente romanzo fantastico , scendono sulla terra . Onde il politeismo , fin tanto che non gli si attribuisca valore logico e filosofico , serba valore estetico . Ma io non posso immaginare qualcosa di rotondo che sia quadrato . Quelle parole sono , anche pel mio spirito estetico , vuote : non sono parole ma suoni , che sembrano promettermi qualcosa e non attengono la promessa : eccitano il pensiero ( e la fantasia che si lega al pensiero ) e lo deludono . - Se voglio dare concretezza d ' immagine a quella proposizione , debbo considerarla , per es . , come costruita intenzionalmente a rappresentare un ' incoerenza mentale ; cioè immaginare l ' atto arbitrario di chi combini voci prive di senso : il che facciamo per l ' appunto in questo momento col valercene al modo dello Steinthal come esempio , e per questo ci è possibile tenervi sopra fissa la mente e discorrerne . Ma , quando non se ne cangia il primo significato e valore , la proposizione : " Questa tavola rotonda è quadrata " , come è impensabile così non è immaginabile , come è illogica così è inestetica ; e anzi , in questo caso , è inestetica , perché illogica . Ciò importa che quella proposizione è falsa senza remissione : falsa nella sfera della coscienza estetica , falsa nella sfera della coscienza logica . E , poiché altra forma di conoscenza non v ' ha fuori dell ' intuitiva e della concettuale , quella proposizione è respinta fuori della cerchia dello spirito teoretico . Pure , la Grammatica , secondo lo Steinthal , si è dichiarata e persiste a dichiararsi soddisfatta . Come dunque l ' inimmaginabile e l ' impensabile può essere grammaticalmente razionale ? È , la Grammatica , forma speciale di conoscenza ? Vi è forse , accanto alla verità della poesia e della filosofia , la verità grammaticale , cioè una visione grammaticale delle cose ? Se una verità delle cose secondo Grammatica si confuta col suo stesso enunciato , cioè con un sorriso , viene di conseguenza che le regole , della cui applicazione gode il grammatico , non sono leggi di verità , e , dunque , che la Grammatica non ha valore teoretico e scientifico . Il dilemma è : - o porre quella tale verità secondo Grammatica o negare valore di scienza alla Grammatica ; - e dal canto nostro già sappiamo , per esservi giunti per altra via , quel che sia da pensare della Grammatica , complesso di astrazioni e di arbitri di uso affatto pratico . Ma , poiché taluni non riescono a persuadersi di codesta mancanza di verità scientifica nella Grammatica , è bene invitarli a meditare sull ' esempio arrecato e esortarli a risolvere i seguenti problemi : - Come mai quel che è assurdo logicamente ed esteticamente , può essere grammaticalmente soddisfacente ? Come mai sarebbe scienza quella che farebbe la teoria di prodotti del genere di " Una tavola rotonda è quadrata " , ossia di voci vuote di senso ? Appunto se fosse scienza , la Grammatica sarebbe la scienza della " tavola rotonda che è quadrata " , l ' Estetica di una poesia , che avrebbe per tipo i versi famosi , grammaticalmente e metricamente impeccabili : C ' era una volta un ricco pover ' uomo , che cavalcava un nero caval bianco ; salìa scendendo il campanil del Duomo poggiandosi sul destro lato manco ... L ' Etica teorizza le azioni degli eroi e dei santi , l ' Estetica , i poemi e le sculture dei Danti e dei Michelangeli , la Logica , i sistemi filosofici dei Platoni e dei Kant : la Grammatica come scienza teorizzerebbe , invece , la " tavola rotonda - quadrata " e il " ricco pover ' uomo " . Ma la Grammatica non è nata e non vive per essere scienza e filosofia e critica , né a tal fine dirige i suoi sforzi . Al qual proposito conviene tornare in parte sull ' affermazione dello Steinthal , perché , a dir vero , dinanzi a un detto del tipo : " Questa tavola rotonda è quadrata " , il grammatico che sia veramente consapevole del proprio ufficio , il grammatico che non varchi i limiti della propria competenza , non si dichiara soddisfatto , come crede lo Steinthal , e neppure insoddisfatto . Egli sa che suo ufficio non è di pronunziare giudizio alcuno , ma di porre certe regole , che hanno una determinata utilità . Dinanzi a una pagina qualsiasi , che venga sottoposta al suo giudizio , non si domanda dunque se sia approvabile o no , secondo che le regole grammaticali vi siano sta - te o no applicate ; ma dichiara la propria incompetenza , scrivendo nel margine di quelle pagine : Videat logicus , videat aestheticus . Se facesse altrimenti , si cangerebbe in critico grammaticale dell ' arte o della scienza , in pedante degno di quella irrisione onde è stato tante volte colpito . Questo passaggio dalla Grammatica alla pedanteria è , in verità , accaduto e accade spesso ; ma , tuttavia , non v ' ha ragione alcuna intrinseca per la quale un grammatico debba essere di necessità pedante , non essendovi ragione intrinseca che lo spinga a confondere il campo pratico con quello filosofico , e a convertirsi da costruttore di tipi astratti in giudice di realtà concreta e viva . H . STEINTHAL , Grammatik , Logik und Psychologie , ihre Principien und ihr Verhältniss zu einander ( Berlino , Dümmler , 1855 ) , p . 220 . Sotto un certo aspetto , il geometra non rifugge da quelle unioni di contrari , e , come diceva lo Hegel criticando il principio del terzo escluso : " Per quanto a siffatto principio ripugni un circolo poligonale o un arco di cerchio rettilineo , i geometri non si fanno scrupolo di considerare e trattare un circolo come un poligono di lati rettilinei " (Encykl., § 119 Anm . ) . Ma tali considerazioni , come le disquisizioni dello Stuart Mill e di altri sulla possibilità di un mondo dove si abbiano circoli rettangoli e via discorrendo , non hanno che vedere con la questione presente .
LE LEGGI FONETICHE ( CROCE BENEDETTO , 1903 )
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Le leggi fonetiche sono legittime e utili , e sono anche un grave errore di teoria del linguaggio , secondo che in uno o in altro modo vengano intese . Legittime e utili , quando servono solamente a presentare in compendio e per approssimazione certe diversità che si notano nei linguaggi da un tempo a un altro o da un popolo a un altro . La loro utilità è in tal caso quella medesima della Grammatica ; e anzi , esse nell ' intrinseco non sono altro che Grammatica . Né a rigore è dato neppure distinguere Grammatica storica e Grammatica dell ' uso vivo , perché anche l ' " uso vivo " che cos ' altro è se non un momento storico ? Neppure si può porre divario nell ' intrinseco tra Grammatica storica e Grammatica normativa , perché la forma di norma o comando , che sia data all ' enunciazione di una regolarità , non ne cangia la natura teoretica . Quando invece , dimenticandosi la loro origine arbitraria e di comodo , quelle leggi vengono ipostatate e considerate come leggi reali del parlare , si entra nell ' errore . L ' uomo , nel parlare , non ubbidisce alle leggi fonetiche , ma alla legge dello spirito estetico , che gli fa trovare volta per volta l ' espressione adatta di quel che gli si agita nell ' animo : espressione sempre nuova , perché il sentimento da esprimere è sempre nuovo . Considerare le leggi fonetiche come leggi reali significa compiere l ' indebito passaggio dai concetti empirici ai filosofici , che è proprio dell ' empirismo e materialismo . L ' esattezza di quanto si è ora osservato trova conferma in ogni punto di uno studio di Eduardo Wechssler , che vorrebbe essere favorevole alla realtà e verità delle leggi fonetiche . Il Wechssler comincia dal ricordare un ' osservazione dello Schuchardt : che " la tesi dell ' assolutezza delle leggi fonetiche e quella della classificabilità dei dialetti , sono strettamente congiunte tra loro " . In effetto , senza questo primo . arbitrio grammaticale onde gli svariatissimi prodotti linguistici di un paese e di un ' epoca o serie di epoche vengono trattati come entità costanti e distinguibili per segni certi da altre entità siffatte , mancherebbe la materia per qualsiasi legge fonetica . Ma non basta : il Wechssler è costretto anche ad ammettere l ' esistenza delle parole isolate . Certamente , egli si rende conto di tutte le obiezioni dei linguisti in proposito , ma finisce con l ' acconciarsi alla conclusione " che ciò che noi parliamo sono , sì , proposizioni o espressioni ( Äusserungen ) , ma ciò con cui parliamo , ossia il materiale linguistico , sono parole " ( p . 369 ) . L ' arbitrio è qui nell ' immaginare che l ' uomo adoperi come mezzi le parole isolate : arbitrio subito svelato quando si consideri che la coscienza della parola isolata proviene dalla Grammatica empirica . Per l ' uomo primitivo , o pregrammaticale che si dica , ossia nella spontaneità del parlare , la proposizione è un continuum , e non sussistono parole staccate , quasi pietre con cui si costruisca un edifizio : vi sono nient ' altro che impressioni o commozioni , sintetizzate e oggettivate in una formola o proposizione . Nell ' analfabeta può mancare , o essere debolissima , la coscienza delle parole staccate , e nondimeno il parlare raggiungere un alto grado di perfezione . Né basta ancora : il Wechssler deve compiere un terzo arbitrio e parlare dell ' esistenza del suono singolo ( Einzellaut ) . Anche qui egli si rende conto dell ' impossibilità di distinguere tra loro i suoni che passano l ' uno nell ' altro per infinite gradazioni ; ma pur si appiglia al mezzo termine , che sia lecito stabilire gruppi o categorie di suoni affini e considerarli come suoni singoli ( pp . 369-374 ) . Il procedere affatto arbitrario è designato in questa sua arbitrarietà con chiarezza tale che parole non vi appulcro . E anzi il Sievers , al quale il Wechssler si appoggia , dice nella sua Phonetik proprio così : " Dies Verfahren ist an sich willkürlich , sondern praktisch berechtigt " . Che poi gli uomini , nel parlare e ascoltare apprendano codeste categorie arbitrarie , o codeste medie di suoni singoli , e non invece ciascun suono nella sua particolare sfumatura , mi sembra asserzione gratuita e anche contradittoria . Movendo da questi supposti ( pratici e non scientifici ) , si possono ben notare mutamenti di suoni , cioè il triplice fenomeno della sostituzione dei suoni ( Lautersatz ) , della sparizione ( Lautschwund ) e dell ' accrescimento ( Lautzuwachs ) ; e si può ben chiamarli " leggi fonetiche " . Si compie per tal modo una finzione concettuale , la cui validità è dentro i limiti della finzione , ma che , trasportata in scienza pura o filosofia , perde ogni valore , o , se ci si ostina a serbarglielo , si converte in errore . Lasciamo da parte le cause dei mutamenti ( delle quali il Wechssler enumera dodici ) ; e prendiamo un esempio di codesti mutamenti , già formolato dall ' Ascoli e dal Nigra : le variazioni cui andò soggetta la lingua romana nel passare sulla bocca dei celti pel fatto che questi erano abituati a pronunziare una diversa lingua . Trattando come qualcosa di fisso la lingua romana e le abitudini di pronunzia dei celti , si possono stabilire le leggi fonetiche di questi mutamenti . Ma non bisogna dimenticare che queste leggi non son altro che il compendio dei fatti osservati , e che la realtà spetta a questi fatti , non al compendio che li impoverisce e falsifica . Un qualcosa , comune più o meno ai celti e più o meno assente nei romani , c ' era di certo ; ma circoscriverlo e determinarlo in astratto non si può se non per atto di arbitrio . In concreto , quel qualcosa è determinabile , ma solo come individualità , per diretta e individua percezione . Se il Wechssler non si forma un concetto giusto delle leggi fonetiche , la ragione è da cercare nel concetto poco esatto che egli ha del linguaggio . Si veda la dottrina sulla origine o natura del linguaggio , esposta nel primo capitolo del suo lavoro , e che consiste nel riattaccare il linguaggio ai movimenti riflessi ( Reflexbewegungen ) . Vi sarebbero , secondo lui , cinque classi di movimenti espressivi umani : 1 ) quelli originarî dell ' eccitamento interno , come l ' impallidire e l ' arrossire , poco suscettibili di essere sottomessi alla volontà ; 2 ) il gioco della fisionomia , anche difficile a dominare ; 3 ) i cenni o gesti , più dominabili , tanto che si discorre di un linguaggio di gesti ; 4 ) il linguaggio in senso proprio , in cui prevalgono i movimenti volontarî ; e 5 ) i movimenti espressivi secondarî , come quegli ottici , che danno origine alle varie scritture . In una convivenza umana si vedono e si odono spesso ripetuti un determinato gesto ( per es . , scuotere il capo in segno di contrarietà ) o un determinato grido ( per es . , di orrore ) ; e si forma la facile osservazione , che il medesimo segno accompagna sempre un medesimo stato di coscienza . E alcuni , i meglio dotati , compiono il breve passo che resta ancora da compiere , e riproducono quel gesto o quel suono come movimento volontario ; ed ecco nascere il linguaggio ( p . 353 ) . - Con questa teoria , si torna al concetto ( che pareva morto e sotterrato ) del linguaggio convenzione o associazione di due rappresentazioni volontariamente messe in rapporto . Più importante della debole dottrina del linguaggio e delle leggi fonetiche è la parte storica che il Wechssler aggiunge alla sua trattazione e che si aggira segnatamente su tre punti : sul concetto delle leggi fonetiche , su quello del linguaggio come organismo , e sulla divisione della storia del linguaggio in due periodi , il periodo di formazione e il periodo di svolgimento . Potrà sembrare strano che il concetto di leggi fonetiche risalga ( come dimostra il Wechssler ) proprio a Guglielmo di Humboldt , il quale lo accenna per la prima volta in una lettera al Bopp del 1826 . Ma lo Humboldt non portò mai a compiuta chiarezza le sue geniali idee di filosofia linguistica ; donde le frequenti contradizioni che in lui si notano . Dopo avere avuta molta fortuna in principio , le leggi fonetiche cominciarono a suscitare dubbi nel campo stesso dei glottologi e filologi , e furono assai discusse segnatamente negli anni tra il 1876 e il 1885 . Da quel tempo , sebbene si seguiti a farne uso pratico ( attenuandone spesso il nome pomposo nell ' altro di " regole " o di " mutamenti fonetici " ) , sono in teoria molto scosse . Sfavorevole , tra gli altri , si dimostra ad esse un linguista dell ' acume di Hugo Schuchardt . L ' errore del linguaggio come organismo culmina nello Schleicher , il quale , sedotto dal metaforico vocabolo " organismo " che lo Humboldt adoperava in significato idealistico , pretese trattare la Linguistica come scienza naturale , cioè cadde nell ' accennato errore materialistico . Allo Schleicher risalgono anche i tentativi di una " fisiologia del linguaggio " . " La storia della dottrina dell ' organismo in Linguistica ( dice il Wechssler ) si può considerare in sostanza come la storia di una metafora presa alla lettera ed elevata a teoria " . Del terzo errore , cioè di quello onde la storia del linguaggio viene divisa in due periodi , non rimasero immuni del tutto né lo Humboldt né lo Steinthal ; ma se ne sono avveduti e lo hanno accusato di recente lo Scherer e il Paul . Contro le leggi fonetiche , contro il principio di pigrizia degli organi e di comodità quale spiegazione dei mutamenti fonetici , contro le pretese dei linguisti di farla da fisiologi ( ossia di compilare i risultati del sapere altrui invece di dare quelli del campo loro proprio di studi ) è rivolto un breve scritto del prof . Scerbo . Gli odierni trattati di Linguistica cominciano sovente col descrivere l ' apparato della gola e della bocca , cioè con un capitolo tolto alla Fisiologia . Nell ' Università di Pisa , è stato fondato un gabinetto fisioglottologico ; nel Collegio di Francia , un laboratorio di fonetica sperimentale . Opponendosi alle confusioni e stravaganze di cui codeste nuove istituzioni danno prova , lo Scerbo sostiene che il linguaggio ha leggi spirituali e non fonetiche ; che non domina in esso la pigrizia o la comodità , ma , tutt ' al più , l ' economia , forma spirituale anch ' essa ; che nessun concetto utile al linguista è stato finora fornito dalla Fisiologia . Il linguaggio ( egli dice ripetutamente ) è opera dello spirito : l ' intelligenza , la volontà , la memoria , l ' attenzione , la fantasia spiegano , esse solamente , il suo prodursi . Ma le varie attività spirituali che lo Scerbo chiama a raccolta entrano poi davvero tutte , e alla pari , nella produzione del linguaggio ? Egli non dà sufficiente rilievo all ' intuizione ( o fantasia ) come atto spirituale primitivo , dal quale soltanto si origina il linguaggio e che , anzi , è il linguaggio stesso . L ' intelletto ( inteso come intelletto logico ) non ha nel linguaggio parte primaria ; la memoria non è una speciale categoria o attività dello spirito ; la volontà può entrare nel linguaggio solamente nel fatto esterno della comunicazione agli altri , ma non è essenziale , costitutiva e peculiare della formazione linguistica . E se lo Scerbo , come ne siamo sicuri , affinerà in questa parte i suoi pensieri , non scriverà più come ha scritto in principio , che " la parola qual puro segno convenzionale ( se non nell ' origine , certo in progresso di tempo , allorché le primitive accezioni , massime degli elementi formali del linguaggio , si sono oscurate o dimenticate ) non ha verun intimo e necessario rapporto con l ' idea " . In verità , la parola non è mai segno convenzionale , e , se tale non era in principio , tale non può divenire nel séguito , perché le attività spirituali non cangiano natura ; e ha sempre rapporto strettissimo con l ' idea in quanto è rappresentazione , benché non ne abbia alcuno con l ' idea in quanto concetto . Poniamo ( tanto per intenderci ) che un uomo primitivo o selvaggio esprima l ' apparire di un cane con la proposizione : " Ecco un baubau " . Questa proposizione non ha verun rapporto col concetto ( con la verità scientifica ) del cane ; ma ne ha uno diretto con le impressioni che l ' apparire del cane desta nell ' uomo primitivo . Un uomo moderno dirà invece : " Ecco un cane " . Neanche questo detto ha alcun rapporto col concetto astratto del cane , ma anch ' esso ha rapporto con le impressioni che il fatto desta nell ' uomo moderno ; il quale , diverso dal selvaggio , fornito di un ricco patrimonio di rappresentazioni e idee , all ' apparizione del cane prova impressioni diverse da quelle provate dall ' uomo primitivo : donde le parole : " Ecco un cane " , e non le altre : " Ecco un baubau " . Se l ' uomo dell ' ipotesi fosse un naturalista , vivente tutto nella sua scienza , le impressioni suscitate in lui dalla vista del cane potrebbero dare luogo addirittura a un detto come : " Ecco un canis familiaris " . E queste parole sarebbero tanto poco convenzionali , quanto poco convenzionali e affatto spontanee erano le ipotetiche parole del selvaggio . Ciò che diciamo qui in modo quasi popolare è semplice conseguenza dell ' importante principio onde è stata abolita la distinzione di periodo originario e periodo posteriore del linguaggio . Il periodo originario di creazione non è stato mai , perché è stato , è e sarà sempre ; il periodo di puro svolgimento senza creazione non c ' è , e non è stato né sarà mai . La creazione primitiva ( Urschöpfung ) e il parlare quotidiano sono una sola e medesima cosa . Sempre che si parla , si crea il linguaggio ; e , come lo creò l ' immaginario uomo primitivo che aprì la bocca la prima volta a parlare , così lo creiamo noi , in ogni istante della vita , ripetendo all ' infinito il gran miracolo , che è poi il miracolo stesso della realtà . Gibt es Lautgesetze ? ( Halle , 1900 : nelle Forsch . z . roman . Philol . , Festgabe f . H . Suchier , pp . 349-538 ) . F . SCERBO , Spiritualità del linguaggio ( Firenze , Tip . della " Rassegna nazionale " , 1902 ) .
ESTETICA E PSICOLOGIA DEL LINGUAGGIO ( CROCE BENEDETTO , 1907 )
StampaPeriodica ,
Il mio trattato di Estetica ha richiamato , pei rapporti che stabilisce tra Filosofia dell ' arte e Filosofia del linguaggio , l ' attenzione degli studiosi del linguaggio . Ciò mi fa piacere , perché contribuirà a trasportare i problemi estetici in ambienti di cultura e di scienza , togliendoli dalle mani degli sfaccendati sin oficio ni beneficio ( assai simili a quegli hombres honrados , che Sancho trovò nell ' isola di Barataria ) , i quali , a tempo perso , si mettono a cercare " che cosa è il Bello " . Ed essendo il mio libro uscito quasi contemporaneamente alla vasta opera del Wundt sul linguaggio non è maraviglia che sia accaduto come un urto tra l ' indirizzo del Wundt , e quello , assai diverso , che io cerco di promuovere . Anche ciò non mi dispiace : l ' urto , ossia il confronto , metterà in mostra le virtù e le deficienze dell ' uno e dell ' altro indirizzo . Una manifestazione di questo contrasto è nell ' esame che il dr . O . Dittrich ( autore di un ' opera : Grundzüge der Sprachpsychologie , e di uno scritto : Die Grenzen der Sprachwissenschaft ) ha rivolto testé al mio libro , ai due volumetti del Vossler e all ' opera del Wundt , nella " Zeitschrift für romanische Philologie " . Il Dittrich , seguace del Wundt , riconosce che la mia trattazione è " logisch straffe und lückenlose " ( p . 472 ) , o , come dice anche , che ha una " innere logische Geschlossenheit " ( p . 476 ) ; e mi risparmia ( e di ciò gli sono grato ) quelle critiche di particolari , che spesso si fondano su fraintendimenti . Ma egli afferma che le mie tesi riposano sopra una " psicologia da lungo tempo superata " , e sopra " una teoria del valore affatto inadoprabile " ( p . 473 ) ; e , per queste due ragioni , stima di gran lunga preferibile l ' indirizzo del Wundt . Non che il Dittrich non nutra qualche speranza di portare a un certo componimento le mie teorie con la " Psicologia moderna " ( p . 476 ) . Il punto di unione a lui sembra che ci sia : è il mio concetto dell ' espressione , che egli mette in rapporto col concetto wundtiano dell ' appercezione . Per il Wundt , l ' appercezione è appunto " quella forma di sintesi creatrice nella quale , con l ' attenzione come sintomo soggettivo , viene in atto la chiarezza e distinzione oggettiva di singoli elementi e gruppi di elementi di un ' unità totale associativa che riempie il momento della coscienza " . Senonché questo concetto del Wundt è meramente psicologico ; e se il Croce ( dice il Dittrich ) accetta l ' identificazione di esso col suo concetto dell ' espressione , entra sì , in rapporto col " sistema della Psicologia moderna " , ma è un uomo perduto ; o , meglio , salvato , ma la cui teoria estetica e linguistica è totalmente fallita . Infatti ( come il Dittrich prova ) , dato il carattere psicologico dell ' appercezione del Wundt , non si può più sostenere , come io sostengo , che il valore estetico sia il fatto stesso della sintesi , ma così per i fatti estetici come per quelli logici e morali bisogna porre valori transubiettivi , in conformità della moderna teoria dei valori . " Il valore , come si attua o si deve attuare nell ' oggetto che si valuta esteticamente , logicamente o eticamente , e la legge del valore , giacciono di là della psiche dell ' individuo valutatore ; e valore e legge del valore hanno da fare con questa psiche solamente in quanto debbono venire riconosciuti da essa in forma di sentimento di valore , al fine di esistere per essa . Per tal modo l ' estetico deve stabilire le leggi transubiettive della intuizione pregevole ( wertvolle ) , il logico quelle del concetto pregevole ( partendo per ciò dal giudizio pregevole ) , e l ' etico quelle del volere pregevole " ( p . 479 ) . Determinato così il rapporto tra Psicologia ed Estetica , e fermato il principio della transubiettività dei valori , è chiaro che cade l ' identificazione da me affermata di Estetica e Filosofia del linguaggio . L ' importanza delle mie teorie dunque ( per quel che pare al Dittrich ) sta nell ' accentuare la parte della psichicità e spiritualità nel linguaggio ; il che , per altro , aveva già fatto il Wundt medesimo con la sua teoria del linguaggio come funzione psicofisica ( p . 486 ) . Per ogni altro rispetto , quel tanto che c ' è di buono nella mia Estetica , pubblicata nel 1902 , si trova già nell ' Estetica di Jonas Kohn , pubblicata nel 1901 . Mi libero subito da quest ' ultima osservazione col controsservare , non già , come potrei , che la parte teorica della mia Estetica fu pubblicata nel 1900 e perciò un anno innanzi il libro del Kohn ( non mi è gradevole portare la questione su questo terreno ) ; ma che le parti , in cui il Kohn e io siamo d ' accordo , non sono altro che alcune tesi kantiane , la cui data è il 1790 . Quanto al resto , il Dittrich ragiona benissimo : se io ammettessi l ' identificazione della mia sintesi espressiva con l ' appercezione del Wundt , ne verrebbero tutte le conseguenze che egli trae , e io sarei un uomo esteticamente e linguisticamente perduto . Ma proprio quella identificazione io non ammetto , perché la mia sintesi espressiva ha valore gnoseologico e non psicologico . Se le si vuole trovare precedenti , bisogna pensare non all ' appercezione wundtiana , ma alla kantiana attività sintetica dello spirito : concetto , com ' è noto , niente affatto psicologico , e che valse a stabilire la profonda distinzione tra Filosofia dello spirito e Psicologia . La mia psicologia è poco moderna ? Non direi , perché , per essere antiquata o moderna , dovrebbe essere , anzitutto , psicologia . Il Dittrich , se non se n ' era avveduto prima , intenderà da quello che dico ora che io non mi aggiro nel campo della Psicologia , ma in quello della Gnoseologia e della Filosofia dello spirito ; e perciò gli annunzi delle " novità " psicologiche non possono recarmi nessuna sorpresa piacevole o spiacevole , e anzi mi lasciano indifferente . Vediamo , invece , se sia poco moderna la mia teoria del valore , la quale è antidualistica , fondata sul concetto che la realtà e il valore sono il medesimo . Ho esposto con le parole stesse del Dittrich la teoria che egli le contrappone come modernissima , e che consiste nel porre i valori come transubiettivi . I valori starebbero fuori dello spirito press ' a poco ( ho scritto una volta in un momento di buon umore ) come lo stellone caudato , che accompagna i re magi nel presepe . Questa " modernissima " teoria è dunque la dottrina herbartiana , o addirittura quella scolastica . Sono sicuro che il Dittrich , se continuerà a meditarvi intorno , si avvedrà della stranezza di codesto intrudere nello spirito dell ' uomo valori transubiettivi e trascendenti ; e , per fargli animo , gli confesserò che anch ' io , da giovane , seguivo siffatto modo di vedere , ma dovetti poi abbandonarlo , perché una più attenta e prolungata meditazione me ne dimostrò le contradizioni e l ' impossibilità . Concludo . A intendere la natura del linguaggio e dell ' arte occorre filosofia e non già psicologia ; e il Wundt è psicologo . Per liberare dalle difficoltà preliminari la tesi dell ' identità del linguaggio con l ' arte bisogna concepire dialetticamente il problema del bello e del brutto , del valore e del disvalore ; e il Wundt è intellettualista , non dialettico . Per fare che codesti studî progrediscano è necessario risalire alla migliore tradizione del pensiero tedesco ; e il Wundt , per l ' origine e pel metodo del suo lavoro , più che a quello si congiunge al pensiero empirico inglese e americano . Non è stato per l ' appunto il prof . Wundt , che è passato sopra con iscarsa reverenza alle teorie linguistiche del geniale Guglielmo di Humboldt , imitando i diportamenti dell ' americano Whitney ? E non sono stato io ( in questo più tedesco di lui , ma tedesco del buon vecchio tempo ) a prendere le parti dello Humboldt contro l ' americanizzante professore tedesco ? Riuniti ora nel volume citato : Idealismo e positivismo nella scienza del linguaggio ( Bari , Laterza , 1908 ) . Vol . XXX , 1906 , fasc . 4 , pp . 472-487 . - il VOSSLER ha risposto , per la parte che lo concerne , nell ' " Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen " , CXVIII , pp . 253-257 .
LA LINGUA UNIVERSALE ( CROCE BENEDETTO , 1905 )
StampaPeriodica ,
L ' idea di una lingua universale è la sublimazione del falso concetto che si è avuto per il passato e si ha ancora d ' ordinario circa il linguaggio . Questo falso concetto consiste nel credere che il linguaggio sia un congegno che l ' uomo si è foggiato per comunicare ai suoi simili il proprio pensiero . Secondo siffatto modo di vedere , il pensiero starebbe dapprima , nella mente dell ' uomo , senza linguaggio : il linguaggio gli si aggiungerebbe poi , per atto pratico , in vista dell ' utile e del comodo . E poiché i congegni nascono rozzi e si perfezionano via via nel corso dei secoli , non è maraviglia che , assimilato a essi , il parlare effettivo degli uomini , cioè il linguaggio quale si è storicamente formato , appaia quasi un lavorare con istrumenti vecchi o addirittura barbarici , riadattati alla meglio ma sempre pesanti e incomodi , e sorga il desiderio di sostituire a quei vecchi strumenti o di possedere accanto a quelli uno strumento nuovo , costruito di sana pianta . Pel quale si farà tesoro , sì , delle esperienze secolari , ma ci si atterrà a criterî razionali che permettano di raggiungere più facilmente e meglio il fine della comunicazione . I fucili a ripetizione hanno sostituito quelli a pietra ; i treni - lampo le vecchie diligenze : perché mai il linguaggio ultimo - modello non sostituirebbe il rappezzato neolatino , il frondoso tedesco e l ' ibrido inglese ? Il falso concetto del linguaggio è evidente in tutti i vagheggiatori e promotori di una lingua universale : dal Cartesio e dal Leibniz , giù giù fino al dottor Zamenhof , inventore dell ' Esperanto , e ai signori Couturat e Léau , membri della " Delegazione per l ' adottamento di una lingua internazionale ausiliare " e autori della Histoire de la langue universelle . A Cartesio ( com ' è noto ) pareva cosa agevole foggiare una lingua universale , nella quale si avesse un modo solo di declinare , di coniugare e di costruire le parole , e non fossero verbi difettivi o irregolari , " qui sont toutes choses venues de la corruption de l ' usage " . Il dottor Zamenhof , fin dal tempo che seguiva gli studi letterarî nel ginnasio di Varsavia , si persuase che " la complexité des grammaires naturelles était une richesse vaine et encombrante , et se mit à élaborer une grammaire simplifiée " . I signori Couturat e Léau accettano in proposito la conclusione a cui pervenne già nel 1855 il Renouvier : che una lingua internazionale debba essere " empirique par son vocabulaire et philosophique ( c ' est - à - dire , rationnelle ) par sa grammaire " . Ed ecco che cosa essi pensano dei linguaggi esistenti : " toute langue littéraire est , plus ou moins , artificielle " . E della poesia : " qu ' y a - t - il de plus artificiel , en tout cas , que la poésie ? et dans quel pays est - il naturel de parler en vers ? " . Dinanzi a codeste affermazioni si rimane sbalorditi . Che Cartesio e Leibniz non avessero ancora inteso la natura del linguaggio , si spiega per le condizioni del pensiero ai tempi loro . Ma , sulla fine del secolo decimonono o sui principi del ventesimo , udire ripetere ancora che le lingue sono irrazionali , che contengono elementi inutili , che possono venir semplificate per mezzo della logica , che la poesia è un fatto artificiale , è cosa non sopportabile . I moderni dissertatori intorno al linguaggio universale , che si valgono di concetti come quelli dei quali si è dato saggio , dovrebbero , a mio parere , non già essere ammessi alla discussione , ma rimandati puramente e semplicemente a studiare che cosa il linguaggio sia . È chiaro che sulla Filosofia del linguaggio non debbono aver mai meditato sul serio . L ' hanno creduta facile , di quelle cognizioni che si posseggono come per buon senso naturale ; ed è invece difficile e di faticoso acquisto . I promotori della lingua universale dichiarano di avere ormai affatto abbandonato l ' antica pretesa di una lingua filosofica , rispondente ai concetti esattamente determinati delle cose : quella lingua filosofica della quale Cartesio diceva per l ' appunto : " l ' invention de cette langue dépend de la vraye philosophie " . E non hanno difficoltà a riconoscere che , non essendo ancora la scienza bella e fatta , e mutando anzi di continuo , una lingua di tal sorta è impossibile . Ma con ciò non si è superato l ' errore , il quale non nasceva già dal presupposto della scienza perfetta : la lingua desiderata sarebbe stata certamente tanto più perfetta quanto più perfetta la scienza che le servisse di base , ma avrebbe , anche nell ' ipotesi di una scienza imperfetta , rappresentato pur sempre un progresso grande rispetto al linguaggio volgare , perché la scienza degli scienziati , imperfetta che sia , vale sempre meglio delle credenze del volgo . L ' errore , invece , in quella idea di una lingua filosofica era né più né meno il medesimo in cui s ' incorre ora con l ' idea della lingua universale ; vale a dire , concepire il linguaggio come qualcosa d ' estrinseco e di fissabile . Questo errore non è stato punto superato . Supposti due individui i quali abbiano gli stessissimi pensieri intorno a un oggetto , non per ciò essi potranno mai parlare una lingua comune a entrambi , identica in entrambi . Ciascuno dei due parlerà a modo suo , cioè in modo corrispondente al proprio animo e alla propria fantasia ; ciascuno con certe immagini , certi suoni , certi giri di periodi , certi gesti e certe enfasi , che non possono essere identici alle immagini , ai suoni , ai periodi , ai gesti e alle enfasi , con cui si esprime l ' altro . Il linguaggio , insomma , cioè il parlare , è nella sua realtà spontaneo , individuale , variabile ; e il linguaggio , che si domandava , quel linguaggio comune , sarebbe dovuto essere artificiale , universale e fisso , negando così la natura universale del linguaggio , contradicendo con l ' aggettivo il sostantivo . E ( si noti bene ) la diversità del parlare secondo gl ' individui e le . situazioni psicologiche in cui ciascuno di essi si trova , non esclude il reciproco intendersi ; perché intendere vuol dire appunto adeguarsi alla psicologia altrui movendo dalla propria e a questa tornando . Se gli uomini potessero parlare tutti allo stesso modo , sarebbero tutti identici ; con che non s ' intenderebbero già meglio , ma si scioglierebbero tutti insieme nell ' indistinto , e il mondo non esisterebbe . Per le ragioni che ho esposte o ricordate , l ' idea di una lingua universale resterà sempre un ' utopia della specie più stolta , perché utopia del contradittorio . Essa non cesserà di esercitare un certo fascino su qualche spirito irriflessivo ; così come vi sarà sempre taluno che si domanderà perché mai , consistendo la musica in combinazioni di note , e la pittura in combinazioni di colori , e la poesia in combinazioni di parole , non si possono ottenere nuove e meravigliose musiche , pitture , poesie mercé macchine combinatorie , facendo a meno di quella rara e costosa materia prima , che si chiama la genialità dell ' artista . E come vi sarà sempre qualche fanciullo che si domanderà perché mai i popoli facciano le guerre distruggendo pazzamente vite umane e ricchezze con tanta fatica prodotte , laddove potrebbero decidere le loro contese con duelli singolari , al modo di quello degli Orazi e dei Curiazi e degli altri , che non poterono avere effetto , tra Pietro d ' Aragona e Carlo d ' Angiò , tra Francesco I e Carlo V . Ma , ai giorni nostri , sembra che la ricerca del linguaggio universale abbia mutato carattere . Una lingua universale , o , come volentieri la chiamano , una " lingua internazionale sussidiaria " , viene richiesta da politici e commercianti , da scienziati ( di quelli che girano per tutti i congressi ) , da logici matematici ( inventori di specifici pel retto e comodo pensare ) , e da altri di simigliante genìa ; e la richiesta è confortata dall ' osservazione di certi fatti che già esistono e che si approssimano a quel che si desidera : quali sarebbero le lingue franche o i sabir della costa mediterranea e di altri paesi , la fortuna e la diffusione prima del Volapük e ora dell ' Esperanto , la crescente quantità di parole comuni che si osserva nei linguaggi della civiltà europea , le terminologie e notazioni scientifiche internazionali ; e altrettali . Perché mai un autorevole consesso , come l ' Accademia delle accademie ( bel nome , che par modellato su quello del Cantico dei cantici ) , o altro che sia , composto di delegati dei varî Stati , non potrebbe fissare un complesso di segni fonici , scelti con pratico buon senso , e agevolare con tale deliberato la comunicazione dei pensieri tra persone di diverso linguaggio ? Qual ' è l ' impossibilità intrinseca di questo desiderio ? Non si vede . Senza dubbio , l ' enunciato desiderio non ha alcuna impossibilità intrinseca , e anzi si è già in parte effettuato e si potrà effettuare in séguito anche più largamente . Ma , in ogni caso , quel che si ottiene a questo modo ( ecco il punto importante ) o non è lingua o non è universale . Mettere in corrispondenza certi suoni , arbitrariamente foggiati , con certe idee ed espressioni non è propriamente parlare , ma formare una convenzione . Si può convenire , per es . , che quel che gl ' italiani chiamano " pane " , e i francesi " pain " , e i tedeschi " brot " , e gl ' inglesi " bread " , sia indicato col suono " puk " ; quel che si dice " voglio , je veux , ich will , I will " , sia indicato col suono " ro " ; onde " ro puk " si tradurrà nelle rispettive lingue : " io voglio un pezzo di pane " . Ma con questa convenzione non si è data vita a nessun linguaggio : il linguaggio è l ' uomo che parla , nell ' atto che parla . La convenzione può avere pretese di universalità ed essere universalmente imposta o universalmente accettata ; ma l ' aggettivo " universale " cerca qui invano il sostantivo " linguaggio " . Perché questo sostantivo sia al suo posto , perché si abbia linguaggio , è necessario che i vari individui , che compongono l ' ipotetica società aderente alla convenzione , prendano a parlare , dicendo : " ro puk " , per dire che vogliono il pane . Ma , non appena quella convenzione si traduce in linguaggio , ecco che cessa di esser convenzione , diventa un semplice dato naturale , un ' impressione , un fatto psichico , che lo spirito di ciascun parlante risente ed elabora a suo modo : un dato , il quale è entrato con altri nella psiche del parlante , che lo trasforma in linguaggio vivo , facendone la sintesi estetica insieme con le altre impressioni , che parimente sono entrate in lui . La convenzione cessa per tal modo di essere convenzione , perché si è individualizzata . In ciascun individuo , e in ciascun atto del parlare , quei suoni " ro puk " acquistano un particolare significato o , ch ' è lo stesso , una particolare sfumatura di significato . Prima si aveva l ' universale , ma non la lingua ; ora si ha bensì la lingua , ma non più l ' universale . Questa obiezione , che la parola convenuta perda la sua fissità , quando entra nell ' uso vivo del parlare ; che quel solido , per così dire , caduto nel flusso di un liquido , si liquefaccia anch ' esso ; - è stata mossa ai sostenitori della lingua universale o è stata in qualche modo adombrata , quando si è notato che la lingua universale sarà variamente pronunciata dai vari individui , e che sarà alterata dai vari popoli secondo le tendenze e i precedenti di ciascuno e secondo tutte le circostanze e vicende storiche . I difensori della lingua universale , non avvertendo forse la gravità dell ' obiezione , hanno risposto : che , ammesso pure che la pronunzia sia causa di alterazioni , la lingua universale resterà sempre utile per le comunicazioni scritte ; che le alterazioni temute non avranno luogo , com ' è provato da esperienze fatte col Volapüik e con l ' Esperanto ; che la lingua artificiale non sarà sottomessa agli stessi motivi di alterazione , operanti nelle lingue storiche , perché dovrà servire solo per certi determinati scambi e sarà frenata da una tradizione e da una letteratura di modelli classici ; che le mutazioni , riconosciute opportune , potranno essere introdotte , cautamente , dall ' autorità medesima , costitutrice di quel linguaggio ; e così via . Ma sono tutte risposte le quali , come si vede , non giungono a eliminare l ' obiezione in quel che ha di sostanziale . Il vero è che nessuna parola è qualcosa di fissabile astrattamente , ma ciascuna attinge significato dalla connessione in cui si trova , e da cui non è separabile se non per violenta mutilazione . E quel che accade per le parole delle così dette lingue naturali , accade del pari per quelle che hanno , sì , il loro motivo extralinguistico in una convenzione , ma il cui motivo linguistico è , come per tutte le altre , nella spontaneità e naturalità del parlare , ritraente le svariate e mutabili impressioni dell ' animo umano . Non si tratta , dunque , di quelle sole alterazioni che s ' introdurrebbero saltuariamente e accidentalmente nel corso degli anni o dei secoli ; ma di quelle , continue , che s ' introducono a ogni attimo . La mutabilità incoercibile del linguaggio , e della convenzione divenuta che sia anch ' essa linguaggio , non esclude , certamente , che la convenzione , tradotta in linguaggio , possa avere qualche utilità . Per certi fini pratici , quel che importa è non la fissità rigorosa , ma quella approssimativa , nella quale si trascurano le sfumature e si considera un ' espressione all ' ingrosso . Epperò l ' Esperanto , e altre convenzioni dello stesso genere , potranno avere la loro utilità , piccola o grande che sia , per certi tempi e per certi luoghi . Ridotta la cosa in questi confini , essa è d ' interesse e di competenza dei pratici , alle cure dei quali bisogna commetterla e lasciarla . Ma , sotto l ' aspetto scientifico , conviene insistere nell ' affermazione che la così detta lingua universale si risolve in un processo diviso in due stadî , il primo dei quali ( convenzione ) è universale ma non è lingua , il secondo ( parlare effettivo ) è lingua ma non più universale . Perché , al filosofo importa che l ' umile questione pratica di un possibile espediente atto ad agevolare certi generi di scambî spirituali non faccia sorgere , o non rafforzi , idee false ( e già troppe ne vanno in giro ) intorno alla natura del linguaggio . Paris , Hachette , 1903 , 8° gr . , pp . xxx-576 . Op . cit . , p . 305 . Op . cit . , p . 514 . Op . cit . , p . 566 . Op . cit . , pp . 113-115 , 548 . Purtroppo il gran Leibniz , in conseguenza dei suoi errati concetti circa il linguaggio , fu uno di questi " taluni " e sognò di poter comporre con metodo infallibile e quasi dimostrativo poemi e canti " très beaux " ; al modo stesso che un predecessore di lui , il padre Kircher , nella Musurgia , pretendeva insegnare l ' arte di comporre arie senza sapere di musica . Si veda La logique de Leibniz , d ' après des documents inédits , par L . COUTURAT ( Paris , Alcan , 1901 ) , p . 63 . Op . cit . , pp . 559 e 565 . Cfr . la rivista " Leonardo " , fasc . di novembre 1904 , p . 37 . Op . cit . , pp . 559-569 .
LA LINGUA UNICA PRIMITIVA ( CROCE BENEDETTO , 1905 )
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Il Trombetti pubblica i principali risultati del lavoro al quale attende da molti anni , diretto a dimostrare l ' unità d ' origine del linguaggio . Ma poiché , sia per il premio reale dei Lincei conferito nel passato anno all ' autore , e per il gran discorrere che ne seguì nei giornali , e per la cattedra speciale per lui istituita , sia per altre cause che indicheremo , si è fatta molta confusione intorno alla natura , al significato e all ' importanza del problema che il Trombetti si è proposto , a noi sembra opportuno ( prescindendo qui dal valore maggiore o minore delle sue dimostrazioni ) di determinare e circoscrivere il valore del problema stesso . E diciamo subito che si tratta di un problema di nessuna importanza filosofica . Pel filosofo , domandare se il linguaggio abbia avuto una o più origini , se bisogni tenere per la monogenesi o per la poligenesi , non ha significato . Il filosofo sa che le diversità dei linguaggi sono infinite , perché infinite sono le individuazioni dello spirito . Né ammette che si possa discutere dell ' origine storica del linguaggio , perché il linguaggio non è fatto storico , particolare e contingente , ma categoria . Ciò si è voluto esprimere nella moderna linguistica e filosofia del linguaggio col profondo detto , che il problema dell ' origine del linguaggio si risolve in quello della sua eterna natura . Il problema del Trombetti è nient ' altro che una ricerca di preistoria . Supponiamo che egli sia riuscito a provare il suo assunto dell ' origine di tutti i linguaggi esistenti da un ceppo comune ; che cosa avrebbe provato ? Questo : che le società ora sparse sulla terra , delle quali la lacunosa e assai recente tradizione storica non ci mostra le connessioni , dovettero in un certo tempo ( = tante migliaia d ' anni addietro ) formare un ' unica società . E prima di quel tempo ? E prima di prima ? L ' ulteriore domanda non appartiene al tema del Trombetti . Se la potenza romana avesse potuto assorbire o distruggere tutte le altre società esistenti , la civiltà presente , e con essa i suoi linguaggi , non avrebbero altra origine che Roma . Immaginiamo un antichissimo gruppo umano , il quale , sostituendosi a esseri inferiori o assorbendoli , si sia poi diramato per tutta la terra , nell ' Eurasia , nell ' Africa , nell ' Oceania , nelle Americhe ; e avremo la costruzione preistorica , giustificata o no che sia , rispondente all ' ipotesi del Trombetti . L ' ipotesi non ha nulla d ' impossibile ; ma , ammessa come vera , non tocca nessuno dei grandi problemi che interessano lo spirito umano . Anzi , dirò di più : a considerarla nei suoi limiti di ricerca preistorica , essa ha ben modesto interesse , perché modesto è in genere l ' interesse della preistoria , di questa scienza analfabeta ( come il Mommsen scherzosamente la chiamava ) , la quale indaga le zone grige , l ' indistinto , il rudimentale , il povero , laddove la storia ci pone di fronte ai grandi fatti dello svolgimento umano . Credo tutt ' altro che trascurabili le ricerche sulla vascolaria primitiva ; ma mi permetto di reputare alquanto più interessante lo studio di un vaso attico , di un piatto di mastro Giorgio o di una porcellana cinese . Se l ' interessamento comune sembra testimoniare del contrario e si accende vivacissimo innanzi a ogni rivelazione che concerna il " primitivo " , ciò accade , a mio parere , perché nel pensiero comune si suole scambiare l ' angusta ricerca preistorica con la ricerca filosofica e si aspetta dalla prima la risposta ai problemi della seconda . Per non dire che talvolta , come in questo caso , operano in quell ' interessamento motivi religiosi , sonnecchianti in fondo agli animi di tutti e anche di molti professionali dell ' irreligione . La monogenesi fa pensare , confusamente , a padre Adamo ; e , si ha voglia a essere miscredenti , certe cose fanno piacere . Di qui gran parte della curiosità che ha destata , e della popolarità che si è acquistata fin dal primo annunzio , la così detta scoperta del Trombetti . Il quale , purtroppo , non si è saputo guardare esso stesso dall ' esagerare il valore della sua ricerca e dall ' intorbidarne l ' indole . Il Trombetti crede , per esempio , che , dimostrata la monogenesi del linguaggio , sarà possibile studiare ben altrimenti " quali relazioni intercedano fra il segno e la cosa significata " ( p . VI , e cfr . pp . 41-3 ) ; si dice " conscio della straordinaria importanza , che ha l ' affermazione contenuta nel titolo del suo libro " ( p . VI ) ; asserisce che " solo con l ' unità di origine del linguaggio sia possibile la Glottologia generale comparativa , disciplina la quale può gettare viva luce sulle questioni che più agitano lo spirito umano " ( p . 53 ) . A questo modo egli mostra di possedere concetti poco esatti sul rapporto della Glottologia con la Filosofia del linguaggio , e manchevole intelligenza di quel che egli chiama segno e che divide dalla cosa significata . " La Glottologia ( dice altrove , p . VIII ) , avendo per oggetto il linguaggio , è il miglior legame tra le due grandi divisioni in cui sta ancora ripartito il sapere " . Né ha concetti esatti su quel che sia scienza : " Scienza vera , per quel che riguarda il rigore delle dimostrazioni , ammessi certi postulati , è soltanto la Matematica : le altre scienze devono tendere ad una rappresentazione matematica o simbolica delle cose , dalla quale però sono ancora ben lontane " ( p . 10 ) . Che più ? Egli immagina perfino che la monogenesi del linguaggio , con la conseguente monogenesi degli uomini , sia atta a recare consolazione morale . " La scienza e l ' arte , quando non siano accompagnate ad un ideale di bontà , sono , per lo meno , cose imperfette . Perciò richiamo l ' attenzione su certe deduzioni morali , che vengono spontanee dall ' esame dei fatti ; ma , soprattutto , sulla conclusione generale , che può ricavarsi in favore dell ' unità della specie umana , e , per conseguenza , anche in favore della fratellanza reale degli uomini . Tutti i buoni debbono augurarsi che non abbiano a trionfare le teorie , messe fuori in forma dogmatica , sulla pluralità delle specie umane , e che , piuttosto , anche per opera della scienza , venga confermato il concetto sublime della fratellanza degli uomini , frutto della intuizione e del sentimento , religioso o altro " ( p . VIII ) . L ' introduzione del libro si chiude con le parole : " Tutti gli uomini appartengono a una sola specie e sono realmente fratelli " ( p . 58 ) . Come se gli uomini non siano fratelli pel fatto stesso che sono uomini , cioè esseri pensanti ; o come se l ' asserita preistoria unitaria dei linguaggi storici abbia virtù d ' ingenerare un sentimento nuovo e più efficace di fratellanza , impedendo qualche guerra o addolcendo qualche spietata concorrenza commerciale . Della identità e dei nessi stabiliti dal Trombetti tra le lingue dell ' Eurasia , dell ' Africa e dell ' Oceania , e da lui presupposti anche per le lingue d ' America , discuteranno i competenti . Odo insistentemente susurrare da filologi e glottologi che nel giudizio circa questa parte del suo lavoro si è molto esagerato , e che le affermazioni del Trombetti vanno soggette a continue riserve . Ma l ' esagerazione , che si potrà dimostrare per questo rispetto , sarà sempre minore di quella che si è fatta col falsare , come abbiamo veduto , il significato stesso della ricerca . Con che non si vuole essere severi verso il Trombetti , il quale in gran parte , piuttosto che autore , è stato vittima delle esagerazioni ; né si vuole negargli il merito che gli spetta per avere consacrato tutto l ' ardore della sua laboriosa giovinezza a una ricerca , la quale , se ha natura diversa e importanza assai minore di quel che egli ha creduto , è pur sempre ricerca da non trascurare . ALFREDO TROMBETTI ( prof . ordin . nell ' Università di Bologna ) , L ' unità d ' origine del linguaggio ( Bologna , Beltrami , 1905 ) . Mi viene a mano un articolo del prof . A . MOCHI , intorno al libro del T . ( " Giornale d ' Italia " , del 20 agosto 1905 ) , che mostra aperta la confusione da me lamentata dell ' ipotesi del T . coi concetti di umanità , origine dell ' umanità , fratellanza umana , ecc . : " Agli argomenti favorevoli alla dottrina dell ' originaria fratellanza di tutti gli uomini ( dice il M . ) se ne aggiunge oggi uno capitale : la primitiva unità del linguaggio . La vecchia ed ardente questione , che tenne diviso per secoli il campo scientifico , si chiude finalmente per merito d ' un glottologo . È perciò che l ' opera di lui assume una grande importanza anche all ' infuori delle discipline linguistiche e richiama l ' attenzione di ogni cultore della storia umana ; anzi , per dir meglio , di tutti gli uomini che si sono posti un giorno la tormentosa domanda : donde veniamo ? " . E si veda anche , nello stesso " Giornale " , num . del 22 agosto , la lettera di " un Cattolico " .
L''IDIOMA GENTILE' ( CROCE BENEDETTO , 1907 )
StampaPeriodica ,
Il libro di Edmondo de Amicis è l ' ultima manifestazione letteraria di un problema che ha molto occupato le menti degli italiani attraverso i secoli : il problema della lingua . Se i soli eruditi ricordano i periodi più remoti di quella grande controversia ( dal De vulgari eloquentia alle polemiche cinquecentesche , e giù giù ai libri del Cesarotti e del Napione dell ' ultimo Settecento , e a quelli del Monti e del Perticari e di tanti altri dei primi dell ' Ottocento ) , tutti hanno fresca la memoria della più recente guerra provocata dalla lettera del Manzoni al Di Broglio , e variamente combattuta tra manzoniani , antimanzoniani e moderati . Quelle dispute , considerate sotto l ' aspetto rigorosamente teorico e scientifico , non mancano di pregio e d ' importanza . Entrano in gruppo con altre dispute letterarie ( sul poema epico , sulla tragedia , sulla tragicommedia , sul melodramma , sulla commedia in prosa , sulle varie forme dello stile , sull ' imitazione , e via dicendo ) , che nei tempi moderni l ' Italia , prima di ogni altra nazione , formolò e agitò , e che dall ' Italia passarono agli altri paesi neolatini e germanici . Senza codeste dispute sulle regole e sui generi della poesia e della letteratura , non si sarebbe svolta la teoria filosofica della poesia e dell ' arte che si disse poi Estetica ; e senza le dispute intorno alla lingua non sarebbe sorta quella che si disse più particolarmente Filosofia del linguaggio . Nello sforzo per dominare col pensiero la massa dei fatti e penetrarne la natura , la mente umana non può non urtare e.impigliarsi dapprima nelle comuni e volgari classificazioni , e provarsi a sistemarle e a renderle razionali , proponendosi problemi insolubili ; fintanto che non si accorge come , per intendere davvero la verità dei fatti che indaga , convenga abbandonare del tutto quelle categorie empiriche , e collocarsi in un punto di vista affatto diverso . Sarebbe perciò da intelletti superficiali considerare con dispregio quegli sforzi del passato , i quali , per falliti che siano , rappresentano uno stadio di progresso , un errore in cui giovò essersi dibattuti per qualche tempo , perché ebbe efficacia esemplare , e a suo modo contribuì all ' avvenimento della verità . Dalla contradizione nasce la soluzione ; dalla indifferente quiete non nasce nulla . E opportunamente gl ' indagatori della storia delle idee vanno rivolgendo la loro attenzione alle dottrine letterarie e grammaticali italiane dei secoli passati , le quali a noi sembrano , come sono in effetto , pedantesche , ma che , pur con la loro pedanteria , si dimostrano feconde . Quei pedanti furono , se non i nostri padri , certamente i nostri antenati spirituali . Riconosciuto tutto ciò , non è men vero che così le dispute sulla lingua come quelle sulle regole letterarie , hanno perduto da lungo tempo ogni valore positivo . Il sistema delle regole letterarie venne rotto e spazzato via dal moto intellettuale del romanticismo , che abbozzò la nuova idea della poesia e dell ' arte ; e il suo proprio romanticismo ebbe anche la teoria del linguaggio col Vico , con lo Hamann , con lo Herder , con lo Humboldt , pensatori dopo i quali non sarebbe stato più lecito ragionare intorno a quella materia coi vecchi criterî . Sotto questo aspetto , la posizione manzoniana del problema linguistico non può non apparire anacronistica e retriva , perché il Manzoni non si liberò mai , nelle sue teorie sul linguaggio , da certe idee da intellettualista ed enciclopedista del secolo decimottavo : come si può desumere in ispecie dai frammenti , pubblicati alcuni anni orsono , del suo libro sulla lingua , che meriterebbero di essere studiati con cura . Qual ' era la fallacia del vecchio concetto del linguaggio , quale il contrasto tra esso e il concetto nuovo , formolato o almeno adombrato nei filosofi dei quali abbiamo fatto cenno ? - Si potrebbe delineare questo contrasto brevemente così : il vecchio concetto considerava il linguaggio come segno ; il nuovo lo considera come rappresentazione . Secondo la prima concezione , la lingua è quasi una raccolta di utensili che ciascuno adopera a volta a volta per comunicare agli altri il proprio pensiero ; secondo la concezione nuova , la lingua non è già mezzo per comunicare le idee o le rappresentazioni , ma è l ' idea o la rappresentazione stessa , qualcosa che non si può concepire mai distinto o staccato dal moto del pensiero . Secondo la prima , bisogna mettersi alla ricerca della lingua ottima , concordare segni ben definiti , di significato preciso e non equivoco , costanti per tutti gl ' individui della comunione linguistica ; secondo l ' altra , siffatta ricerca è vana , perché ciascun individuo si crea , volta per volta , la sua propria lingua , e quella che io parlo e scrivo oggi non è quella di ieri , e quella che conviene a me , non conviene ad altri . Secondo la prima , è possibile giudicare un parlante o uno scrivente in modo oggettivo , confrontando il suo parlare e scrivere col modello linguistico , e determinando con questo confronto se egli adoperi lingua buona o cattiva ; secondo l ' altra , questo giudizio è impossibile , perché il preteso modello linguistico è un ' astrazione , e ogni prodotto linguistico ha la propria legge e il proprio modello in sé stesso . Tra le due concezioni chiunque abbia qualche coscienza del modo moderno d ' intendere l ' arte , non esiterà nel prendere partito . Ed è appena necessario soggiungere che , accettando che alcuni , troppo facili a confondersi e a spaurirsi , temono : quasi che si venga ad abolire in forza di essa ogni distinzione tra scriver bene e scriver male , parlar bene e parlar male . Il parlare bene o male si giudica non con la misura estrinseca della lingua oggettiva , ma con quella intrinseca e affatto intuitiva del gusto . Così si è fatto e si farà sempre : da che il mondo è mondo , vi sono stati scrittori buoni , scrittori cattivi e scrittori mediocri , e sempre vi saranno : la concezione individualistica o estetica del linguaggio non cancella la loro differenza , che è affatto intuitiva . Scriver bene è nient ' altro che una forma d ' intensità spirituale ; scriver male è debolezza spirituale . Le questioni intorno alla lingua si convertono nelle altre intorno alla vivezza e coerenza estetica della rappresentazione , guardata nella sua individualità . Perciò la teoria moderna accetta autori e modi di scrivere che i vecchi grammatici e critici consideravano ibridi , rozzi , scorretti , o che accettavano collocandoli nella comoda quanto irrazionale categoria delle eccezioni . Sotto il dominio del vecchio concetto del linguaggio è ancora il De Amicis . Tutto il suo libro è informato al pensiero che la lingua si studî o , com ' egli dice , che non basti " amare " la lingua del proprio paese , ma convenga " studiarla " . E già lo stesso amore per la lingua nazionale è in lui non bene ragionato e alquanto rettoricamente declamato , affermando egli che si ami dagli italiani la lingua italiana e per le memorie gloriose che reca con sé e perché essa è bellissima , ricchissima , potentissima , e altre cose siffatte . E non è vero : io sfido a trovare un uomo che ami la lingua , cioè che faccia all ' amore con un ' astrazione . Ciò che si ama è la parola nella sua concretezza , la poesia , la pagina eloquente . Dante , Ariosto , Machiavelli ; e perciò quest ' amore supera i limiti della regione e della nazione , e , secondo la varia cultura di cui si dispone , abbraccia Orazio o Sofocle , Goethe o Shelley , la lingua latina , la greca , la tedesca o l ' inglese . Ma non insisterò su questo punto , perché mi preme insistere sull ' altro : sulla raccomandazione di studiare la lingua . Che cosa significa studiare la lingua ? L ' uomo intelligente studia quanto aiuta il suo svolgimento mentale e morale , ma non ciò che gli è inutile a questo fine . Il De Amicis consiglia d ' imparare i nomi di tutte le cose che accade ogni giorno di vedere o adoperare , e di mandarli a mente ; di meditare i prontuarî , dove sono registrati i vocaboli degli oggetti di uso domestico ; di fare la nomenclatura della roba che si porta addosso , per passare via via a quella degli oggetti che si maneggiano , ai mobili della propria camera , alla mensa , allo scrittorio , agli arredi e utensili di tutta la casa , alle varie parti della casa stessa ; di leggere e spogliare il vocabolario . E rafforza i suoi consigli col mostrare quanto sia vasta l ' ignoranza che ordinariamente si trova anche nelle persone colte intorno alla terminologia esatta delle più modeste occupazioni della vita : per es . , del riempire e vuotare un fiasco di vino . Ma ha egli pensato che cosa importi questo consiglio ? Ecco un giovane nel tempo in cui il suo cuore si gonfia di passioni gagliarde e la sua mente si viene travagliando sui problemi più alti della vita e della realtà ; un giovane , che sarà poeta , filosofo , uomo d ' azione . E a questo giovane , che ha tanta materia di lavoro nel suo spirito ( e che per ciò stesso , si noti bene , ha tutto il linguaggio che gli occorre , tutto il linguaggio che è correlativo a quel lavoro , non essendo concepibile pensiero senza linguaggio ) , a questo poeta , filosofo o uomo pratico in germe e in formazione , si vuole imporre , o almeno consigliare , di baloccarsi a imparare le cento denominazioni delle cento parti di un vestito , e le dugento della stanza da studio , o le trenta e quaranta delle svariate e minute operazioni che si compiono per riempire e vuotare un fiasco di vino ? Che cosa interessa a quell ' uomo , che forse infilerà distrattamente il suo soprabito , e tracannerà il suo vino , e maneggerà quasi macchinalmente gli oggetti del suo scrittorio , soffermarsi col pensiero nella contemplazione e nell ' analisi di quelle piccinerie ? Se alcuno gliene dice i vocaboli , li ascolterà con fastidio , e li dimenticherà poco dopo . E se non prova fastidio , se si lascia sedurre dal giochetto , cattivo segno : segno di spirito non serio , non concentrato , non fervido , ma frivolo o passivo . Leggere il vocabolario , è " passatempo piacevole " ( ripete ancora una volta il De Amicis ) . Sarà ; ma è anche perditempo . C ' è di meglio da fare che leggere vocabolarî e imparare a mente nomenclature . C ' è da studiare e leggere il mondo ; verba sequentur , e non potranno non seguire . Il sarto o chi parli del mestiere del sarto , la massaia o chi descriva un cervello di massaia , un servitore che spazzi la casa o chi descriva un servitore in quell ' operazione , si rappresenteranno insieme le parole rispondenti alle cose che concernono quei vari personaggi : le parole dei vestiti , dei fiaschi di vino , delle parti e dei mobili della stanza . Ma è un ' idea curiosa voler mutare codesti apprendimenti incidentali e relativi alle condizioni e riflessioni di questo o quell ' individuo in un obbligo di cultura : quasi al modo stesso che si consiglia lo studio della poesia e della storia , delle matematiche e della filosofia , per ottenere uno svolgimento mentale completo . Il De Amicis espone , non senza esagerazioni , i molti impacci in cui si càpita quando non si conoscono le parole italiane o toscane degli oggetti di uso domestico : viaggiando , cangiando paese , c ' è rischio di non essere intesi e di non intendere . Ma queste difficoltà sono pur delle tante nelle quali c ' imbattiamo nella vita ; e l ' ovviarvi non è ufficio di educatore . Altrimenti converrebbe spendere qualche semestre di lezioni per insegnare alla gioventù il gergo dei cuochi e le corrispondenti voci ( posto che vi siano ) italiane o toscane , affinché non accada ciò che accade spesso a me ( e certamente a molti altri uomini letterati ) , che quando siedo a una tavola di trattoria e do i miei ordini al cameriere sulla carta , non so precisamente che cosa sarà per essere la pietanza di cui ho indicato il titolo , avendo un ' idea molto approssimativa di quel che quel titolo significa . Ma è preferibile , di certo , provar di tanto in tanto qualche delusione gastronomica all ' improba fatica di studiare le creazioni linguistiche dei cuochi . Un uomo di buon senso , come il De Amicis , non avrebbe sprecato il fiato in queste raccomandazioni , ora superflue ora puerili , circa lo studio della lingua , se non fosse stato , come dicevo , dominato inconsapevolmente dalla vecchia e falsa idea che il parlare e scrivere bene abbia per condizione il possesso completo del cosiddetto arsenale dei cosiddetti utensili linguistici : cioè , se non avesse creduto che la lingua sia un utensile . " Ogni vocabolo che s ' impara ( egli dichiara espressamente ) è come uno di quegli utensili da nulla , dei quali non s ' ha bisogno quasi mai , ma che , una o due volte in molt ' anni , son necessarî , e , se non si ritrovano , non si sa che pesci pigliare " . " Quel che più preme , per riuscire nell ' uno o nell ' altro modo , nell ' una o nell ' altra delle due forme di stile a scrivere bene , è che tu possegga da padrone la lingua " . Le tracce di questo falso concetto si osservano quasi in ogni parte del suo libro . Così egli biasima il pudore fuori di luogo , che ci trattiene dall ' adoperare vocaboli bellissimi , efficacissimi e toscanissimi , come " striminzire " , " spiaccicare " , " baluginare " , " stintignare " : la paura del ridicolo che ci fa codardi nell ' uso della " buona lingua " . Ma non si accorge che ciò che egli chiama falso pudore e codardia può pur essere , a volte , un sano senso estetico , che ci vieta di usare vocaboli i quali non sarebbero coerenti con la nostra personalità , con la nostra psicologia , con la fisionomia generale del nostro parlare . Se un determinato vocabolo suona spiccatamente toscano o fiorentino , io , napoletano , non posso , senza sconcezza , incastrarlo in una mia prosa spontaneamente concepita , dalla quale la mia napoletanità è tanto ineliminabile quanto la patavinità dalla prosa di Livio o l ' ibericità da quella di Seneca . Se mi ostino a incastrarvelo , la più manzoniana delle teorie sulla lingua non mi salverà dal senso che provo in me ( e che gli altri proveranno di me ) di essere caduto in un peccato d ' affettazione . Per questa ragione , nelle scuole , poniamo , del Napoletano sorge spontaneo e irrefrenabile tra gli alunni un coro di canzonature , quando un loro compagno si mette a toscaneggiare : il vocabolo " toscaneggiare " è per sé stesso canzonatorio . Santa canzonatura , che a me non è stata risparmiata e che io ricordo di avere a mia volta spietatamente e beneficamente esercitata sopra i miei compagni . Come questo sentimento di ripugnanza è inesattamente interpretato e biasimato dal De Amicis , così egli non si rende esatto conto del valore estetico che hanno talvolta quelle che a lui sembrano inesattezze e povertà di lingua e che sono invece indeterminazioni di pensiero , che debbono restare così : di pensieri , cioè , la cui determinazione estetica è per l ' appunto quella indeterminazione . Allo stesso modo un pittore accademico trova mal disegnate o non disegnate le figure di un quadro , la cui bellezza sta proprio in quel certo che di vago e vaporoso , che a lui sembra difetto : in quell ' abbozzato , che è un finito , e che diventerebbe una sconciatura , se fosse disegnato minutamente in conformità dei canoni accademici . La lingua approssimativa può essere , senza dubbio , grave errore d ' arte , ma può essere , anche , forza d ' arte : secondo i casi . Per mio conto , credo che a volte parli benissimo anche chi presenti con frequenza i varî aspetti delle sue percezioni confusi nel vago vocabolo di " cose " : il " signor Coso " , del bozzetto satirico del De Amicis . A molti , in certe situazioni , accade appunto di vedere indistintamente o di non vedere certi oggetti , ai quali lo spirito non s ' interessa , tutto ripiegato com ' è su sé stesso ; e l ' espressione di questo disinteresse tradirebbe sé stessa , se si effondesse altrimenti che con abbondanza dell ' indeterminato " cosa " . Perfino il " signor La Nuance " , dell ' altro bozzetto satirico del De Amicis , non ha tutti i torti nel sostenere che ogni frase francese ha una nuance , che non si trova nella corrispondente italiana . Anzi , questa è appunto la rigorosa verità . E se colui aveva appreso a far l ' amore in francese , quale meraviglia che trovasse poi nell ' " au revoir " una dolcezza , che non trovava nell ' " a rivederci " italiano ? Ed è serio obbiettargli che l ' " au revoir " è tanto poco dolce , che è pieno di r ? O vogliamo credere ancora all ' onomatopea e all ' armonia imitativa , quali le concepivano i retori ? Certamente , il De Amicis conosce criterî più retti di quelli che si desumono dai luoghi citati e da altri , che potrei citare . Egli è scrittore innamorato della sincerità e semplicità : è manzoniano , non solamente nelle idee intorno alla lingua , ma anche in talune di quelle verità , che gl ' italiani moderni debbono ad Alessandro Manzoni ; e nel suo libro si troveranno sagge avvertenze sull ' affettazione , sui pericoli dello studiare la lingua , sul modo di comporre e di correggere le proprie scritture . Vi si troveranno , perfino , teorie che sono l ' effettiva negazione di quelle da noi contrastate , come : " Ecco il più utile dei precetti : pensare , prima di mettersi a scrivere " . Questi criterî , operando da freno , hanno evitato che il libro somministrasse da cima a fondo una dottrina falsa . Chi legge i capitoli e i bozzetti , di cui esso si compone , incontra molte cose alle quali è portato a dare pieno assenso ; e altre , che non gli paiono accettabili , vede nel corso stesso del libro opportunamente temperate . Senonché questi medesimi criterî retti , entrando in dissidio col criterio generale che è errato , hanno impedito che l ' Idioma gentile riuscisse quel che si dice un bel libro . Gli scritti del Manzoni intorno alla lingua sono maraviglie di ragionamento e di prosa : si può rifiutare la dottrina , si ammira lo scrittore , che sapeva bene quel che voleva . Ma nel libro del De Amicis si sente il vuoto . " Non scrivo un trattato ( dichiara l ' autore ) : non scenderò a disquisizioni grammaticali minute , né salirò a questioni alte di filologia ... Tratterò la materia semplicemente e praticamente ... " E sia pure . Ma , se non quella di un trattato , il libro dovrebbe avere un ' altra qualsiasi connessione di idee ; e non l ' ha . L ' autore non ha saputo essere profondo , ma non ha voluto essere pedante . E non vi sono se non gli scrittori profondi , o i pedanti logici e in buona fede , che riescano attraenti . Il " limbo dei bambini " credo che non sia divertente neppure pei bambini . Io auguro che quest ' ultima manifestazione della questione della lingua , che ci è data dal libro del De Amicis , sia anche definitivamente l ' ultima , e che il vecchio e vuoto dibattito muoia con l ' Idioma gentile . Morrebbe così tra le mani di uno dei nostri più amati e amabili scrittori . Il De Amicis nella prefazione alla nuova edizione dell ' Idioma gentile polemizza , senza far nomi , coi suoi critici ; e principalmente contro l ' autore del presente scritto ( pubblicato la prima volta nel " Giornale d ' Italia " del 7 luglio 1905 ) . Prendo occasione da questa polemica per aggiungere un ' avvertenza , che dimenticai nell ' esame del libro . L ' Idioma gentile , oltre a fondarsi sopra un concetto errato del linguaggio , è uno schietto prodotto della fissazione linguaiola , triste eredità della decadenza italiana , e della decadenza di quella regione che fu il cuore dell ' Italia poetica e artistica , la Toscana . La fissazione linguaiola pone un interesse esageratissimo , tutto il più fervido interesse della propria anima , nel dissertare e sottilizzare sulle denominazioni delle più piccole cose e più materiali ; e fa che uno si reputi letterariamente disonorato se , per es . , non riesca a sapere esattamente come si dica in Toscana , o nei circoli autorizzati dei ben parlanti , la " granata " , e come questa si denomini variamente secondo che sia fatta di " scopa " o di " saggina " o di " crine di cavallo " , e a dare in ismanie se oda un napoletano chiamare tutte queste sorte di granate , indistintamente , " scope " . Par che caschi il mondo ! In compenso , poi , l ' indifferenza è somma per quel che riguarda le distinzioni dei fatti psicologici e morali , dei concetti filosofici e simili . Si tratta , dunque , non tanto di raffinamento estetico , quanto , oso dire , di restringimento mentale . Sulla natura e la genesi di questa fissazione ci sarebbe ancora non poco da notare ; ma i lettori non avranno forse bisogno delle mie osservazioni e dei miei ragionamenti per avvertire quel che v ' ha di comico nelle fatiche e ambasce dei linguai . All ' effetto del chiarimento ha provveduto lo stesso De Amicis col promuovere l ' interminabile dibattito , che si è svolto tra l ' ottobre e il novembre del 1906 nelle colonne del " Giornale d ' Italia " , sull ' alta , grave e profonda questione della migliore parola che serva a esprimere il " rumore del pan fresco " . A una conclusione , veramente , questa volta non si è giunti ; e come si potrebbe concludere in questioni così alte , così gravi e così profonde ? Ma non voglio scherzare : la verità è che io , nel leggere quelle proposte e risposte e controrisposte , mi vergognavo non poco . Tanta mollezza e oziosità mentale c ' è dunque ancora in Italia ? .
PER UNA POLEMICA SULLA LINGUA ( CROCE BENEDETTO , 1906 )
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Nel libro del De Amicis sono affermazioni e sottintesi che , a mio parere , si fondano sopra un vecchio e falso concetto del linguaggio . E poiché quel libro , pel nome del suo autore , era destinato a molta divulgazione , volli mettere in guardia i lettori , contrapponendo il modo in cui si produce l ' arte dagli artisti e si giudica dagli uomini di gusto alle viete concezioni dei linguai , che in quel libro ricomparivano non certo con coerenza sistematica e intolleranza pedantesca , ma in forma temperata e perciò più insinuante . Sono lieto che il Gargàno ( al quale nessuno vorrà negare gusto di poesia e finezza di giudizio ) si sia manifestato d ' accordo con me e abbia inteso perfettamente che la mia protesta era mossa in nome dell ' arte contro coloro che esibiscono parole e frasi come merciaiuoli ambulanti i nastri e le matassine . Nondimeno ad alcuno è sembrato che gli scolaretti negligenti d ' Italia dovessero promuovere una dimostrazione di gratitudine verso di me ; ad altri , che volessi rendere superflue le cattedre d ' italiano , col relativo personale insegnante ; altri ancora ha gridato all ' anarchia ; finanche il mio venerato amico prof . D ' Ancona mi ha fatto un mezzo rabuffo : " La lingua non è una metafisicheria campata in aria , ad apprender la quale e ad usarla bastino dei concetti astratti ... Chi non la vuole studiare , non la studî ; ma non ambisca al vanto di scrittore , ecc . ecc . " . - " Pace , o esacerbati spiriti fraterni ! " . Se volete proporre , come si dice , uno " stringimento di freni " e rendere la scuola più rigorosa e laboriosa , accoglietemi , vi prego , tra i vostri gregarî . Io non ho pensato niente di ciò che mi attribuite . La scuola , si sa , non può procedere se non con le leggi stesse dello svolgimento dello spirito umano ; e la teoria da me sostenuta sarebbe falsa , se non avesse rispondenza in quel che ogni bravo insegnante fa da sé , senz ' aspettare la mia parola , per naturale dirittura di mente . Ogni bravo insegnante non insegna la lingua , ma fa leggere e gustare gli scrittori ; comunica , dunque , non la lingua astratta , ma la lingua incarnata . Non corregge sopra un modello arbitrario e meccanicamente gli scritti dei suoi alunni , ma , mettendosi nello spirito di ciascuno , mostra a ciascuno quel che veramente intendeva dire e non ha detto . Non uccide l ' individualità degli scolari , ma fa sì che ciascuno ritrovi veramente sé stesso . - Mi è stato domandato : deve o no un insegnante correggere una parola dialettale che sia nello scritto di un suo alunno , e sostituirvi la parola esatta italiana ? e , se sì , ciò non contrasta con la vostra teoria ? - Che cosa debba correggere , l ' insegnante intelligente deve saperlo lui , caso per caso : " vocabolo dialettale " è determinazione troppo vaga perché vi si possa fondare sopra una legge : sì , no , secondo i casi . Ecco perché quell ' eventuale " correzione " addotta in esempio non sta contro la tesi che io sostengo . Quanto agli insegnanti pedanti per fanatismo o per comodo ( essere pedanti è talvolta comodo , perché risparmia fatiche d ' indagini ) , quelli , senza dubbio , le stanno contro , come la mia tesi sta contro di loro . Ma non sarà poi da dolersi , se taluno di quegli insegnanti verrà scosso nel suo fanatismo e nella sua pigrizia e costretto a un esame di coscienza e , per avventura , a cangiare strada . Pure ( s ' incalza , ed è questa l ' obiezione che sembra assai grave ) , nelle scuole non si può far di meno di vocabolari , di frasarî , di nomenclature ; bisogna che l ' alunno si fornisca di una certa provvista di ricordi linguistici , che comporrà il fondo della sua cultura letteraria . - E qui io non so che cosa mi dire , perché ogni qual volta ( e sono già parecchie ) ho criticato l ' assurdità teorica della Rettorica , della Grammatica , delle Istituzioni letterarie e di altrettali formazioni didascaliche , non ho lasciato mai di avvertire che , nel rispetto pratico , quelle costruzioni hanno la loro buona ragione e la loro utilità ; che non se ne può far di meno come validi sussidî . alla memoria ; e che giovano , non solamente nella scuola , ma anche fuori di essa , nella vita . In quali proporzioni e modi bisogni usarne nella scuola è un altro problema , che solamente l ' insegnante intelligente può risolvere e , sempre , caso per caso . Ma ciò che è sussidio alla memoria dà la parte , per così dire , materiale ed estrinseca dell ' insegnamento ; e invece il nostro discorso si aggirava intorno all ' insegnamento vero e proprio . Se si esce dalla questione , si potrà sostenere perfino ( e non si sosterrà poi il falso ) che per l ' insegnamento dell ' italiano sia necessario che gli alunni non giungano a scuola con lo stomaco vuoto . Il male è che , laddove nessuno ( salvo forse qualche lombrosiano ) pretende giudicare una pagina secondo che lo scrittore l ' abbia scritta o no a stomaco digiuno , moltissimi invece , per confusione mentale , si fanno a cangiare i sussidî meccanici dell ' apprendimento in criterî di produzione e in giudizî sull ' arte . E questo è il nodo , molto semplice ma molto stretto , della questione . Nel " Marzocco " del 23 e del 30 luglio 1905 . " Rass . bibliogr . d . lett . ital . " , XIII , p . 268 .
I MAZZINIANI ( LABRIOLA ARTURO , 1900 )
StampaPeriodica ,
Un partito politico attivo e vitale come il Partito socialista è obbligato a pigliar posizione di fronte a tutte le correnti politiche che si formano nel paese . Non è quindi inopportuno fissare l ’ attenzione dei lettori su un movimento , iniziato a Roma da un giornale settimanale , la Terza Italia , e dalla Federazione mazziniana di Terni , allo scopo di ricondurre il Partito repubblicano alla tradizione cosiddetta intransigente della parte mazziniana . Il programma di questo movimento , che io reputo a priori capace di una certa diffusione , date le speciali condizioni politiche del paese , non è ben definito se non da un lato solo , quello negativo , essendo esso rivolto contro i metodi parlamentari , recentemente adottati dal Partito repubblicano . Non esclusa la fisima antiparlamentare , i neo - mazziniani di oggi non valgono più di quelli di ieri : non sanno quello che vogliono . Nel che sta il vero pericolo del movimento . Ragionando per filo di ipotesi più o meno fondate , la risurrezione mazziniana non può proporsi che uno scopo solo : far proseliti in mezzo al Partito repubblicano ufficiale . Fuori l ’ àmbito di questo partito gli è per logica naturale di cose interdetta ogni possibile diffusione di principi . Il neo - movimento mazziniano , essendo in fondo una semplice critica in azione del Partito repubblicano ufficiale , non può vivere che su di questo , come il parassita non può vivere che sull ’ organismo da esso sfruttato . Non applicandosi la critica mazziniana né agli altri partiti , né alla generale condizione del paese , essa non può agire , ove abbia veramente forza diffusiva il che è possibile , entro certo limiti , anche per le tradizioni schiettamente rivoluzionarie dei repubblicani italiani che come un movimento di secessione ed un tentativo di frazionamento . Perché la critica mazziniana non si applichi alle condizioni del paese , né abbia speranza di successo in mezzo agli altri partiti radicali , si dirà in appresso . Quanto al pericolo che essa operi come un movimento di secessione , il pericolo è già evidente passando in rassegna i pochi numeri sinora pubblicati della Terza Italia . Lasciando stare i soliti vanitosi , capricciosi ed inconcludenti , che ad ogni nuova pubblicazione sentono il bisogno di notificare ai popoli un qualche nuovo “ progresso ” del loro spirito , sta in fatto che una tendenza va pronunciandosi presso alcune frazioni sin qui aderenti al Partito repubblicano ufficiale , di proporre in seno al prossimo congresso del partito un ritorno ai metodi di papa Celestino , tanto cari ai repubblicani italiani sino al 1890 o giù di lì . La necessità di propugnare il “ ritorno all ’ integrale programma di Mazzini ” è consigliata dalla federazione di Terni ai mazziniani aderenti al Partito repubblicano ufficiale , a proposito dell ’ imminente congresso del partito . Ma , di fronte a questo congresso , la federazione di Terni serba un atteggiamento anche più sprezzante . Essa lo considera come inutile ai fini specifici del mazzinianismo , e già si propone di indire un contro - congresso . Cosicché è alle viste la costituzione di un nuovo partito repubblicano italiano . Troppa grazia ! È questo il vero pericolo al quale accennavo testé . Ma è bene spiegarci chiaramente . Che , essendovi dei mazziniani nel paese , questi sentano il bisogno di unirsi e diffondere le loro idee , è cosa perfettamente naturale e della quale siamo i primi a rallegrarci . La diffusione di qualsiasi idea , per quanto falsa o giudicata immorale alla stregua della moralità del tempo , non può riuscire che benefica al corso generale dell ’ evoluzione di un paese . Politicamente e moralmente noi abbiamo però il dovere di combattere tutte le idee e tutte le correnti che giudichiamo dannose . Nessun altro appello deve esser fatto in questa disputa fuorché alle armi della ragione . È indegno di servire la scienza chiunque in una disputa teorica fa entrare un appello alla forza del governo o alla violenza personale . Ora , rompere la compagine del Partito repubblicano italiano non torna dannoso allo sviluppo di tutti gli altri partiti popolari ? Il ritorno all ’ anarchismo mazziniano , rispetto ai metodi , quando il Partito repubblicano deve i suoi successi ad un metodo opposto , non è creare un nuovo ostacolo all ’ evoluzione degli altri partiti popolari , spingendo risolutamente all ’ indietro le forze di uno degli alleati ? Ed a vantaggio di che si fa poi questa conversione del repubblicanismo al mazzinianismo ? Su di una cosa i neo - mazziniani sono perfettamente in chiaro : sulla opportunità di respingere l ’ uso dei mezzi parlamentari . Ciò che essi propugnano in modo risoluto ed esplicito è l ’ astensione dalle lotte elettorali politiche ; e poiché essi sono repubblicani e quindi non negano , come gli anarchici , il male indispensabile dello Stato indispensabile almeno entro limiti di tempo abbastanza ampi ed ammettono pienamente il metodo rappresentativo , il loro astensionismo altro non è se non legittimismo repubblicano . In fondo , chi esamini la psicologia intima dell ’ astensionismo elettorale propugnato dal Mazzini , vi riscontrerà lo sdegno e la protesta dell ’ antico triumviro , sostituito al potere da un usurpatore . L ’ amore davvero mistico con cui il Mazzini circondò il nome di Roma , l ’ ardore religioso con il quale seppe vantarne una pretesa missione storica , e la pagina insigne , scritta col sacrificio di tanti , nel nome repubblicano dell ’ Urbe degenere , conferirono a fargli credere legata al suo nome ed a quello da esso inseparabile della futura repubblica italiana le sorti di Roma . Mazzini considerò la dinastia occupatrice come rea di usurpazione . Il papa laico e il papa cattolico consigliarono ai fedeli delle due chiese la stessa condotta : l ’ astensione dalle lotte politiche . L ’ astensionismo mazziniano era una protesta , tale e quale come quello papalino . Mazzini aveva scritto tante volte che la risurrezione unitaria dell ’ Italia non poteva essere se non repubblicana , e , quando vide che i fatti lo smentivano , non volle già credere ad una necessità storica operante al di là dei disegni volontari della mente umana , ma ad un intrigo riuscito per la forza stessa dell ’ inganno . La sua irreconciliabile avversione al nuovo regime , cui credeva di poter rimproverare l ’ inganno e l ’ usurpazione , prese corpo e sostanza nella costante predicazione dell ’ astensionismo politico , ed egli si illuse di poter così concorrere a demolire quel regime . Ma , uomo del resto del più alto senso politico , capì che la lotta negativa dell ’ astensione non bastava , ed occorreva attaccare il regime combattuto in modo più diretto . Mazzini fu astensionista dalle lotte elettorali per la assai semplice ragione che egli fu cospiratore . Finché il Partito repubblicano si fuse e si confuse con il mazzinianismo , la cospirazione fu il naturale complemento della propaganda pubblica . L ’ Alleanza repubblicana universale , istituita dal Mazzini e che ebbe esistenza ufficiale sin verso il 1890 , benché menasse vita stentata e poverissima , era un ’ associazione cospiratoria a molteplici gradi di iniziazione . Lo sfacelo dell ’ Alleanza , avvenuto per processo di naturale ed intima dissoluzione , senza alcun concorso né della violenza , né dell ’ inganno governativo , è la miglior critica che dei metodi cospiratori possa farsi in un paese che , anche senza possedere una libertà di stampa , di riunione e di associazione molto sicura e generale , si regge a sistema rappresentativo . Il cospiratorismo hoffenbacchiano dell ’ Alleanza , durato , come ho detto , sino a data recentissima , si sfasciava nella incoerenza della propria ragione di essere . Mazzini , naturalmente , non è responsabile di queste assurdità . Egli moriva nel 1872 , diciotto mesi dopo l ’ entrata in Roma della monarchia , e la vicinanza del periodo rivoluzionario vero e proprio poteva ancora persuadere metodi cospiratori ed insurrezionali : anzi a dire la verità , la logica era tutta dalla parte di questi metodi . Ma chiuso il periodo dell ’ agitazione , inauguratosi il periodo dell ’ organizzazione , il Partito repubblicano doveva mutar via . La suggestione e la superstizione dei vecchi metodi aduggiò invece il campo . Ne avvenne quel che doveva avvenire . Siccome non è possibile differire all ’ infinito la realizzazione di un fine , i cui mezzi implichino una tensione permanente dei nervi , come il metodo cospiratorio , che involge un pericolo permanente , il partito si sfasciò . L ’ astensionismo e la cospirazione lo facevano a brandelli . La salute , infatti , non venne che dall ’ uso del metodo opposto , e questo non vedono i redattori della Terza Italia . Dal 1885 al 1892 la storia del Partito repubblicano italiano è la storia del proprio sfacelo . La riforma della legge elettorale manda alla Camera rinforzato il numero dei deputati che si qualificano repubblicani ; ma , mentre essi svolgono un ’ azione qualunque nella Camera , sono smentiti dal proprio partito organizzato . Le Società operaie affratellate , sotto il qual nome è compresa l ’ organizzazione pubblica del Partito repubblicano , non fanno che lacerarsi in lotte intestine . Dopo aver descritto fondo all ’ universo nei loro innumerevoli congressi , non sanno mai indicare la via per cui le cose votate si hanno da applicare . L ’ assoluta indipendenza elettorale delle società stesse toglie al partito ogni fisionomia di partito . La cospirazione e l ’ astensionismo uccidono , nella loro evidente incongruenza , un partito floridissimo e ricco di memorie storiche gloriose . La risurrezione cominciò solo quando i lombardi indussero il partito nelle vie elettorali e dell ’ agitazione pubblica . Ora si può anche , come chi scrive , non essere infetto dalla superstizione parlamentare , non dividere per i metodi sinceramente rivoluzionari tutto l ’ orrore evoluzionistico e scientifico di alcuni compagni nostri , e tuttavia scorgere l ’ assurdo della posizione entro cui si dibatte il neo - mazzinianismo . Mazzini almeno era logico . All ’ astensionismo elettorale egli univa la cospirazione politica ; ma poiché l ’ epoca nostra è manifestamente ripugnante , per necessità di cose , e nello stesso interesse dei fini rivoluzionari , dai metodi cospiratori , e la evidenza di questa osservazione non può non imporsi agli stessi mazziniani , ne deriva che essi sono condannati alla impotenza assai più facilmente che non i loro predecessori . Dovendo rinunziare all ’ azione cospiratoria e volendosi interdire quella parlamentare , quali mezzi d ’ azione restano al nuovo partito ? Non quelli della legale conquista della maggioranza parlamentare ; non quelli della settaria insurrezione e di colpi di mano ; dunque soltanto la mistica aspettazione , accompagnata dalla innocua e sterile diffusione di principi astratti , avulsi dal terreno della lotta quotidiana . Che per tal via essi possano esercitare un ’ azione qualunque sul Partito socialista appare impossibile sin da principio . Noi siamo il partito dei lavoratori ed abbiamo la responsabilità della difesa dei loro interessi quotidiani . Poiché noi non pensiamo attuabile il socialismo , ovverossia la generica società dell ’ eguaglianza , uno ictu , ma anzi per opera di successive conquiste , sino all ’ espropriazione totale e definitiva della borghesia , ci è giuocoforza ottenere dai parlamenti borghesi tutto quel massimo di riforme di cui essi sono capaci . Anche senza essere profondamente ammalati di infatuamento parlamentare , la tattica dei parlamenti ci si impone per necessità di cose . La forma della setta non ci si addice affatto . Ecco perché i mazziniani non possono sperare di esercitare una azione qualunque su di noi . E allora torniamo al punto di partenza . Il neo - mazzinianismo sarà costretto ad esercitarsi a spesa del Partito repubblicano vero e proprio , di cui la parte meno socialmente definibile , e più portata per temperamento ai facili entusiasmi del rivoluzionarismo verbale , cadrà nella sfera d ’ influenza del mazzinianismo . L ’ esistenza di due partiti repubblicani quello anarchico e quello parlamentare scomunicantisi in nome della stessa idea , non contribuirà ad accrescere prestigio alla soluzione repubblicana . L ’ epoca della confusione propagandistica risorgerà ancora una volta per il Partito repubblicano , e con essa le conseguenze dissolventi di un tempo . Alberto Mario scrisse una volta che il Partito repubblicano avrà allora forma ed importanza veramente politica , quando la tradizione settaria del mazzinianismo sarà completamente scomparsa . È probabile che il Mario , facile alle ire polemiche , esagerasse ; ma non è negabile che , in tutto il periodo posteriore all ’ unificazione d ’ Italia , la tradizione dei metodi mazziniani non è stata propizia alle sorti del Partito repubblicano . Il nuovo tentativo già si annunzia gravido di dissensioni . Ecco perché io penso che la condotta del Partito socialista debba essere deliberatamente ostile di fronte all ’ iniziativa della Terza Italia e della federazione di Terni .
MEMORIE E PROPOSITI ( MARTINI FERDINANDO , 1882 )
StampaPeriodica ,
Non ci siamo lasciati senza rammarico ; lo vidi nascere quel Fanfulla della Domenica e mi costò , nei suoi primi giorni specialmente , ogni maniera di fatiche e di angoscie . S ' era di luglio : la mia Valdinievole , sorridente tra il verde delle pinete , inaugurava il monumento del Giusti e me aveva prescelto a ricevere le deputazioni , a sorvegliare l ' imbandigione delle tavole e a dar l ' aire ai fuochi d ' artifizio . Forse parve alla gente che io compiessi gli uffici o solenni o modesti con assai dignità : e non ero che un uomo scombussolato ; pensavo che il futuro giornale sarebbe stato il Fanfulla del martedì o del mercoledì , ma della domenica no di certo : perché nessuno aveva scritto una riga , ed io non potevo mandare in luce il foglio , candido come le nevi alpine , o come i sogni di una adolescente . Paragoni che non erano nuovi lo so : ma chi aveva tempo in quel brusio , in quell ' assillo di cercarne dei più originali ? E poi non si trattava mica di stamparli nel primo numero ! ... La sorella del poeta morta a 70 anni giorni or sono , ultima della famiglia non si sapeva capacitare che ci fossero musi lunghi quando la presidenza della Camera e i Lincei si muovevano a posta da Roma per fare omaggio alla memoria del suo Geppino ; i Lincei segnatamente le avevano ferito la fantasia . Vedendomi pensieroso a quel modo mi domandava ogni poco colla voce lenta e sottile : Che fa ? È stanco ? Lo credo , dopo tutto quello che ha fatto ! Ed era invece il non aver fatto , ciò che mi impensieriva ! Buona signora Ildegarde ! Mi sia lecito rammentarla qui col rispetto che meritò , colla affettuosa melanconia onde ricordo ogni cosa di quel tempo pieno di trepidazioni che or si rinnovano . Parlando di lei qui , mentre son calde ancora le ceneri sue , mi par quasi di invocare il patrocinio del suo illustre congiunto sopra queste pagine ; e mi dà nuovi vigori il desiderio di non far scomparire per me quel paesello che ci fu patria comune , e alla cui solitudine tanto più vanamente oggi sospiro quanto più cresce il dovere e la necessità del lavoro . Era una donna semplice , assai più meravigliata che persuasa della gloria che aveva a un tratto circondato il suo nome : della madre , bella così che discorrendo di lei i pochi decrepiti i quali la videro mezzo secolo fa si accendono ancora di fiamme quasi giovanili , non aveva né l ' ingegno acuto né le forme opulente ; mingherlina , asciutta , tirava , nel fisico , dal padre : ma tanto rimessa e pacifica quant ' egli disinvolto e irrequieto : culto , scettico , arguto : peccatore impenitente sino all ' ultimo , ripicchiato , vago di gingilli e di mode , che morendo lasciò nel guardaroba centododici paia di pantaloni ! Ma torniamo al giornale . Enrico Panzacchi aveva promesso due cose : leggere il discorso inaugurale a piè della statua e scrivere un articolo per il giornale nascituro . Capitò all ' alba in frac e cravatta bianca , ricusò una tazza di caffè e chiese una penna : all ' articolo non aveva neppure pensato , del discorso aveva scritto due pagine a mala pena . E lì nella stanza del Sindaco , non visitata sino a quel giorno dalle vergini Muse , improvvisò quello studio critico che avete letto ( No ? leggetelo e ve ne troverete bene ) nel volume delle Teste quadre . La orazione parve breve a tutti , a me eterna ; avrei voluto che l ' amico si sbrigasse ; due periodi più , due meno la fama del Giusti rimaneva tal quale , ma senza la prosa del Panzacchi il giornale non veniva alla luce . Uscì , come Dio volle , e le angustie si fecero anche più dure . Primo , ineffabile strazio i consigli . Peuh ! ammoniva un avvocato semi - illustre , tra una sonata e l ' altra della banda municipale in piazza Colonna . Peuh ! Tentativi , nobili tentativi , ma tentativi . Conati . Il mondo , caro Martini , non legge più ; ha troppo da fare . Capisco : il vostro non è un libro , è un giornale , ma fa lo stesso . Oh ! Ci sarebbe , sicuro , da farlo un giornale ; ma niente letteratura ; un giornale finanziario a un soldo ; s ' incassano 50,000 lire di annunzi per anno . Piglio io l ' appalto . Conati , amico mio . Generosi , non lo nego : ma conati . E poi , chi scriverà ? Gli italiani son pigri . Basta , provate . Cercate i migliori , e forse ... Associatevi , associatevi , date retta a me : l ' associazione è la gran forza del mondo moderno . Cerea . Non ho mai capito perché , a dare il buon esempio , non si associava lui per il primo . Poi veniva il giornalista provetto che conosce il suo pubblico : si piantava innanzi a me , colle lenti sul naso , le mani in tasca e alzava la testa e torceva le pupille come uno strabico per darsi il gusto , lui più piccolo , di guardarmi dall ' alto in basso . Amico mio , quello è un giornale che ti muore in mano fra un mese . Un articolo sul Beccaria ? Ma ci hai pensato ? Sul Beccaria ? Ma come si fa a scovare il Beccaria ? Neanche a farlo apposta . E poi tre colonne e mezzo ! Io , lo sai , son vecchio di queste cose : i giornali si fanno col metro . « Lei mi farà trentacinque centimetri d ' articolo » : se no , il pubblico non legge . E fa ' metter de ' cartelloni , santo Dio ! sulle cantonate ! Pare un giornale clandestino . E nomi , nomi , nomi . E articoli brevi , e roba leggera , commovente . Pensa alle donne e il Beccaria lascialo in santa pace . Quattro cose , tienlo bene a mente : le donne , i nomi , i cartelloni e il metro . Tò ! un endecasillabo Le donne , i cavalier , l ' armi e gli amori . Ciao . Dopo queste due cavatine , il coro . Il giornale era uggioso , era peso , era insopportabile . Non si adoperava in Italia che una sola forma di maledizione : che tu possa leggere il Fanfulla della Domenica ! Chi ci voleva una cosa , chi un ' altra : i più l ' attualità . « Non muore nessuno , non muore nessuno » smaniava ogni giorno uno dei compilatori invocando l ' attualità dalla biografia d ' un illustre defunto . Il grand ' uomo non si risolse a morire in quel subito , per far piacere all ' amico : ma il giornale visse . Vita , mi sia conceduto affermarlo , non inonorata né inutile . Ed oggi , daccapo ; daccapo cogli stessi intenti , colla stessa energia , colla stessa schiettezza : daccapo quali che sieno gl ' impedimenti che ci si frappongano o la sorte che ci si prepari . Già , la sorte di noi che ci affatichiamo in questa tormentosa opera del giornalismo , vuoi politico , vuoi letterario , è una sola . Dopo aver lavorato ogni giorno e nutriti gli altri de ' propri studi e svagatili colle proprie fantasie , ed esserci stillati il cervello a contentare gli incontentabili ; dopo aver sofferto le calunnie de ' malvagi e i dileggi degli sciolti e costretto noi stessi a serbare nelle pubbliche polemiche quella pacatezza di cui ci saremmo volentieri liberati nel disputare a quattr ' occhi ; e misurati gli atti propri e le proprie parole In verbis etiam tenuis cautusque serendis , che ci resta di tanti sopraccapi , di così assidua fatica , di così difficile pazienza ? Uditeli i lamenti di quanti più famosi salirono ai massimi gradi di quest ' arte effimera del giornale , rumore d ' un giorno , potenza d ' un momento . Chi tocca più , se non forse i custodi delle biblioteche per spolverarli ogni tanto , i settanta volumi delle Nouvelles de la Republique des lettres ? E Pietro Bayle fu de ' giornalisti il primo e il più grande ! Quel pezzo di foglio sciagattato , stracciato , strascicato per le tavole dei caffè , macchiato di birra e di vino , ecco l ' opera mia e la mia vita e la mia anima e il mio ingegno , e le lezioni de ' miei maestri , il mio zelo , la mia ambizione , la mia fortuna hic jacent . E gli altri scritti più gravi muoiono , lo so ; ma il non omnis moriar o il plaudite cives sono felici speranze di chi compie il libro o dà al dramma l ' ultima mano ; inganno non consentito a noi che istilliamo nell ' opera nostra giorno per giorno il germe dell ' oblio . Giornalisti e trappisti , uno stesso ammonimento e una stessa divisa : fratelli , bisogna morire . E nondimeno chi entrò in questa via non se ne ritrarrà se non quando abbia logora la salute e infrante le membra . Chi ha la testa alle melanconie il dì de ' conforti ? E bisogna aver fatto un giornale dubitando delle sorti sue e della sua vita , per sapere che conforto sieno l ' aiuto e la simpatia de ' migliori . Bisogna aver annunziato il Fanfulla della Domenica senza un ' ombra di manoscritto per capire che cosa portassero con sé , quando giunsero , uno scritto del Carducci , una novella del Guerrini , e gli articoli del Bartoli , del Nencioni , del Chiarini , del De Zerbi , degli altri che allora mi soccorsero ed oggi mi seguono ; bisogna aver sfogliato , trepido , tutta quanta la raccolta di un giornale compilato per quattro anni con amore operoso , per sapere che beato orgoglio si senta nel ripetere sicuri a se stessi : posso avere sbagliato , ma non ho mentito mai . L ' animo s ' invigorisce , le forze s ' accrescono preparate ad ogni traversia , disposte a ogni prova più ardua : e ci si sente il coraggio di presentarsi di nuovo ai lettori culti ed onesti , di chieder loro anche una volta la confidenza , necessaria perché non sia inefficace l ' opera che continuiamo e a cui ci consacriamo risoluti ed interi . Roma , 4 febbraio 1882 .