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Sulla viltà dei docenti universitari ( Sofri Adriano , 1998 )
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Perché il tradimento dei professori è ritenuto peggiore e ' senz ' altro più colpevole ' di quello della gente comune ? Lo spiega il diario di un grande filologo ebreo tedesco , Victor Klemperer . Victor Klemperer era un professore di filologia nell ' università di Dresda . Suo fratello Otto era un celebre direttore d ' orchestra . Siccome erano di famiglia ebraica , negli anni 30 non poterono più essere tedeschi . Otto andò in esilio . Victor fu cacciato dall ' università , cacciato da casa , assegnato al lavoro obbligatorio - spazzino , scaricatore in fabbriche e altri simili - costretto a indossare la stella gialla . Gli era vietato possedere libri e leggere giornali , o prendere un autobus . Ma Victor fu molto fortunato . Prima per aver militato nella guerra del '14 , poi perché aveva una moglie ariana , e alla fine per il disordine dei catastrofici bombardamenti su Dresda , riuscì a scampare alla deportazione e a sopravvivere . In tutti quegli anni si impegnò sistematicamente , perfino un po ' pedantescamente , a studiare le mutazioni che il Terzo Reich imponeva alla lingua tedesca : chiamò questa neolingua Lti , ' Lingua tertii imperii ' . Pubblicò questo trattatello sulla persecuzione nel 1947 , nella Dresda ormai appartenente alla Repubblica democratica tedesca . La traduzione italiana ( di Paola Buscaglione : eccellente ) è stata appena pubblicata dalla Giuntina . ' Scrupoloso e non geniale ' ( così lo elogia Michele Ranchetti nella prefazione ) il diario di Victor Klemperer dà una idea esatta e turbante della vita ordinaria nella persecuzione ' minore ' : sulla quale lo sterminio incombeva , ma capricciosamente dilazionato . Fra le osservazioni più specifiche di Klemperer segnalerò il destino delle parole ' fanatico ' e ' fanatismo ' , che il nazismo capovolge rendendole sinonimi di virtù . E anche l ' auge della ' weltanschauung ' ( la visione del mondo ) , che spodesta la filosofia e sostituisce con una venatura magico - intuitiva il rispetto per il pensiero e il linguaggio chiaro e distinto . Molte preziose notizie si troveranno in questo taccuino di filologo , che si applica , con la testa bassa , a una lingua che , per volontà di dominio , ' si è votata alla povertà ' . Ma si troverà anche una testimonianza illuminante su un rovello grande e ancora da esplorare : la viltà , non genericamente degli ' intellettuali ' , ma di quella loro aristocrazia del lustro e del reddito che era l ' insegnamento universitario . Davanti ai ' segnati ' i banchi diventano ogni giorno più vuoti , fino all ' espulsione ( nel 1935 ) . Il francesista Victor Klemperer ricorda gli antichi versi di Rutebeuf sugli ' amis que vent emporte et il ventait devant ma porte ' : ' Il vento ha soffiato davanti alla mia porta . Però non voglio essere ingiusto : ho trovato amici fedeli e coraggiosi , soltanto che fra loro non c ' erano appunto i colleghi e i collaboratori più stretti ' . Licenziando il suo diario , Victor Klemperer guardava indietro i ' tradimenti a perdita d ' occhio ' di letterati , poeti , giornalisti , professori universitari . ' Peggiore ' , quell ' ambiente di studenti e professori , ' della gente comune , e senz ' altro più colpevole ' . Klemperer , cui le circostanze suggerivano un ' ammirazione per la Russia e il suo regime , scriveva contemporaneamente a Vasilij Grossman , la cui titanica opera ( Tutto scorre , ma soprattutto Vita e destino , usciti ambedue postumi ) ha al centro la debolezza , l ' abiezione , il tradimento - e anche la resistenza - dei maestri , degli accademici , letterati e scienziati , nell ' Unione Sovietica staliniana . Forse i professori universitari devono essere più coraggiosi , o più dignitosi , degli operai o degli impiegati di banca ? Certamente no , immagino che abbiate già risposto . Forse sì . O almeno la loro è una prostituzione più indecorosa . Ben prima del '68 , quando nessuno avrebbe immaginato la rivolta studentesca contro l ' accademia e i suoi baroni , c ' era già fra i giovani un ' insofferenza contro le carriere universitarie . Non era universale , ma neanche era soltanto questione di individui eccentrici . Era un ' impazienza morale , o moralistica , come volete : non c ' è differenza , all ' inizio . Aspirare alla carriera universitaria ( eufemismi : alla ricerca , alla docenza ) costava servilismo , cortigianeria , conformismo , rivalità sleale o meschina . Fra i miei ( più o meno ) coetanei , potrei citare un certo numero di persone che per questo esclusero dal proprio orizzonte la carriera universitaria , magari per tornarci molto più tardi , quando sia loro che l ' università erano un ' altra cosa . Non ho nostalgia di quel moralismo , e tanto meno penso che quei disertori di concorsi fossero perciò più stimabili di altri . La questione che resta è quella della viltà della categoria intellettuale privilegiata costituita dai professori universitari . Si sono appena ricordate ( altro che '68 ) le leggi razziste del fascismo , sessant ' anni fa . Nell ' università italiana , passarono tra viltà e soddisfazione : non tanto di fanatici , quanto di aspiranti ai posti che si erano liberati . In appendice al suo L ' università italiana e le leggi antiebraiche ( Editori Riuniti 1997 ) Roberto Finzi pubblica i 96 nomi di professori ' ebrei ' espulsi . E che nomi ! Più del 7 per cento delle cattedre . Ernesto Rossi , dalla galera , commentò : ' Una manna per tutti i candidati che si affolleranno ora ai concorsi ' .
Il significato della sofferenza ( Sofri Adriano , 1999 )
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Indro Montanelli ha rivendicato l ' intenzione di disporre di sé anche al momento della propria morte e si è augurato di trovare un medico ad aiutarlo . Ha spiegato di non voler accettare la degradazione fisica e tantomeno morale . In apparenza , si è trattato di un intervento sull ' eutanasia . Ma solo in apparenza , come ha mostrato Lalla Romano , la quale ha sostenuto l ' opinione di Montanelli , dichiarando la propria avversione ( se ho capito bene ) alle discussioni categoriali , in particolare su una nozione carica di ombre come quella di eutanasia ; e soprattutto ha trasferito la riflessione sul rifiuto della sofferenza , della rassegnazione alla sofferenza , e di qualunque sua valorizzazione . Per questo rifiuto , ha detto , « non possiamo dirci cristiani » . Mi pare un punto molto importante e complicato . Esso eccede il tema del triste diritto a decidere di sé anche per la propria morte , che riconosco senz ' altro . È invece il punto del significato della sofferenza e , anzitutto , se la sofferenza abbia un significato . Di recente , Paolo Flores è intervenuto con passione contro il divieto religioso o legale al suicidio assistito e contro il suo pregiudizio profondo : il « dovere » della sofferenza . « La condanna a una sofferenza ... senza fine , senza scopo , senza riscatto . Insensata , innanzitutto ( a meno che non soccorra la fede di chi considera la sofferenza un bene in sé , ovviamente ) . Nella malattia terminale non c ' è più nulla , infatti , oltre la sofferenza stessa . Quando l ' anestesia era ancora e solo qualche sorsata di acquavite , le mostruose sofferenze di un ' amputazione possedevano il senso della differenza capitale : quella tra la vita e la morte . L ' agonia irreversibile del malato terminale è , invece , semplice certezza di tortura a morte » . Flores , che ha dovuto pensare a ciò di cui parla , parla tuttavia della malattia terminale : che non è l ' orizzonte esclusivo della discussione ora riaccesa . In una vecchiezza che immagina il modo della propria fine , la malattia terminale è la vita stessa che si approssima al suo compimento , e minaccia la perdita di sé . Con questa forte differenza , resta il problema posto da quell ' inciso : « A meno che non soccorra la fede di chi considera la sofferenza un bene in sé , ovviamente » . Esso vuol dire , com ' è davvero ovvio , che il diritto al « suicidio assistito » è appunto solo un diritto e non un opposto dovere , e che non può coinvolgere se non la libera volontà delle persone , senza di che diventa un fanatismo opposto e abominevole , come la decisione di Stato , o medicale , o di qualunque altra autorità o convenienza fuori delle persone , a metter fine a vite « inutili » . Pascal pregava « pour demander à Dieu le bon usage des maladies » : « Fate che io mi senta in questa malattia come in una specie di morte , separato dal mondo , privo di tutto , solo in vostra presenza ... » . La domanda delicata è un ' altra : solo la fede può indurre a considerare la sofferenza « un bene in sé » ? Anche a Flores la questione non sfugge , benché non vi veda che un espediente estremo del bigottismo per replicare alla perdita di autorità dogmatica della gerarchia ecclesiastica . È la questione della « natura » , del « lasciare che la natura faccia il suo corso » . In suo nome , e ipocritamente , dice Flores , si rifiuta il farmaco che « in una volta » abbrevi la sofferenza insopportabile , e si somministrano i farmaci che , pur micidiali , accorciano la vita in una specie di eutanasia al rallentatore . Lasciar fare alla natura imporrebbe , per coerenza , di rinunciare a ogni vaccino , a ogni antibiotico . Che cosa , se non un ' ipocrisia , separa l ' omissione , l ' astensione dall ' accanimento terapeutico , la spina staccata , dall ' azione ( una flebo attaccata , una compressa fornita ) che ottiene lo stesso risultato ? Io sono , tremando , d ' accordo . Ma ho fatto in tempo ad appartenere a una cultura umana millenaria , solo da poco abbandonata , per la quale ( non solo nella sua versione cristiana ) il timore nei confronti della violazione della « natura » , il senso del sacrilegio , era forte e profondo . Si sentiva che una febbre doveva alzarsi e bruciare , prima di ricadere . Si sentiva che il dolore era parte della guarigione , e anzi ne era il prezzo . La « natura » , e per essa il tempo , il tempo che uccide , o risana , erano sentiti come inviolabili e pronti a prendersi la rivincita . L ' anestesia era sentita con vergogna come una debolezza da quella cultura virile , ma anche come un ' usurpazione . Quella cultura era spaventata e coraggiosa insieme , superstiziosa e nobile . Per essa Tolstoj avversava come immorale la cura del mal di denti e si teneva la sofferenza . Non ho nostalgia di quella cultura , al contrario . Bisogna che tutti gli esseri viventi vengano liberati quanto è possibile dal dolore e dalla debolezza . Ma so che nel modo di questa liberazione c ' è un prezzo alto . Che la longevità spinta in cerca dell ' immortalità e l ' anestesia universale possono storcere il disegno della vita umana in qualcosa di cattivo . Che nel modo della manipolazione della natura può esserci l ' eccesso e la ritorsione . Sia lode agli antibiotici : ma abbiamo imparato a temerne gli effetti di ritorno . La sanità personale , come l ' ecologia comune , non ci promettono più solo felicità e progresso , ma vulnerabilità e riparazione perpetua . Anche a non voler vedere la folla di persone condannate alla fame , all ' umiliazione e a una breve vita che riterremmo per noi peggiore della morte . Dunque : c ' è un significato nella sofferenza , e che significato è ? Io non lo so . Provo a immaginarlo , da molto lontano , immagino che l ' esperienza della sofferenza dia un solo acquisto : la comprensione della sofferenza altrui . La cognizione del dolore . Non è poco . Nel Cristianesimo c ' è anche questo , oltre al bigottismo della sofferenza salvifica ed espiatrice .
La neolingua della galera ( Sofri Adriano , 1999 )
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Nelle prigioni nascono e si affermano parole nuove . Il detenuto che viene spedito in un altro carcere è ' sballato ' , ' impacchettato ' . Oppure si dice che ' l ' hanno partito ' . Cambia il gergo , ma il recluso resta sempre un pacco . Se i linguisti lo sapessero , e in particolare i vocabolaristi , farebbero carte false per venire in galera . Intanto , i luoghi chiusi funzionano come isole per la lingua , producendo un lessico e un gergo peculiare , e conservando intatte parole e forme dal contagio con la lingua di fuori . Benché minata dalla presenza della tv e dal tramonto della malavita tradizionale e dei suoi gerghi , questa capacità di autosufficienza e di congelamento linguistico resta notevole . Al tempo stesso , le galere , ' isolate ' dal mondo fuori , tengono una comunicazione fra loro , assicurata non solo dall ' alto - le autorità e i regolamenti , e i loro idiomi , spesso agghiaccianti , spesso esilaranti - ma anche , orizzontalmente , dai travasi di prigionieri dentro il così detto ' circuito carcerario ' . Norma non estirpabile dell ' amministrazione carceraria è infatti una specie di moto perpetuo per cui i detenuti vengono trasferiti da un carcere all ' altro , come patelle staccate dallo scoglio , per evitare che ci si attacchino troppo . Questo maniacale moto perpetuo produce l ' effetto di far tornare periodicamente le cose al punto di partenza . Così , l ' innovazione linguistica sorta nella prigione X , e dimostrata capace di successo , si trasferisce , viaggiando addosso al detenuto , come un pidocchio mutante , nella prigione Y , e in un giro breve di tempo , mentre il mondo di fuori non ne sa niente , il mondo di dentro aggiorna il suo magazzino linguistico . L ' esempio che voglio illustrare è proprio quello della parola che designa il trasferimento . Il termine più ricorrente è : sballare . In subordine : impacchettare . È chiara la parentela fra i due verbi . Il loro successo era legato alla capacità di cogliere due aspetti essenziali del trasferimento penitenziario . Il primo , che il suo oggetto non è una persona , ma un pacco ; il secondo , che la dislocazione dell ' oggetto avviene in modo brusco e burocraticamente brutale , come quando si dà un calcio a un barattolo su una strada di periferia . Sballare , e il suo contrario , imballare , descrivono l ' oggetto ( l ' ' unità detenuta ' , sic ) incartato e legato come un salame , e buttato , più che verso la destinazione ulteriore , lì , fuori dai piedi , qui . Significazione indispensabile , perché il trasferimento di un detenuto somiglia , rudezza a parte , a una prestidigitazione , a un illusionismo : un momento fa c ' era , ora non c ' è più . Sballato , scomparso . Non ha avuto il tempo di salutare , non gli si è detto perché , né dove sta andando . Qualcuno , al passeggio , dice : ' Ma il tale , oggi , non scende ? ' . E un altro , con un po ' di rammarico , o neanche , risponde : ' L ' hanno sballato ' . Si fa la mattina presto , quando tutti dormono , o sono chiusi . C ' era una volta Gigino e Gigetto , via Gigino , via Gigetto . A volte , altrettanto inopinatamente , torna Gigino , torna Gigetto . Il detenuto ora graziato dopo trent ' anni di galera , ne aveva girate una cinquantina . Il tempo di attaccare una cartolina di ragazza al muro e via , al prossimo scoglio . Ora , sempre di più , sento impiegare il verbo ' partire ' , in una sua forma transitiva . Un grido nella mattina : ' Mi stanno partendo ' . Una domanda al passeggio : ' Ma Gigino dov ' è ? ' . ' L ' hanno partito ' . Trovo questa variazione molto interessante . È chiara la sua matrice meridionale : ma già la ripetono anche detenuti italiani che meridionali non sono , per non dire degli stranieri , che non hanno alcun pregiudizio ad accogliere e ripetere una forma ascoltata , da qualunque parte provenga . Meridionale è l ' impiego transitivo dei verbi di moto : scendimi la valigia , escimi la bicicletta . Se di ' partire ' transitivo , fuori , gli esempi mancano , è perché alla gente di fuori non capita spesso di essere impacchettati e spediti con un calcio da un ' altra parte : cioè di ' venire partiti ' . Un trasferimento di fuori , non so , da un provveditorato all ' altro , avviene in forme meno brusche . L ' estremizzazione di attività - in chi parte qualcuno - e passività - in chi viene partito - è affare di carcere . Uno è un po ' indocile , e l ' occhio clinico dei compagni , e la testa scossa , prevedono : ' A questo lo partono subito ' . Se non sapessi che bisogna guardarsi dalle etimologie grossolane , se non ricordassi Varrone dagli anni della scuola ( che avevano pure loro delle belle parole - timbro : promosso , bocciato , ' mandato a ottobre ' ) , mi piacerebbe suggerire un ' analogia di ' mi stanno partendo ' col verbo partorire : per sottolineare , invece , che l ' ottimistica idea di essere dati alla luce , messi al mondo , la perigliosa e non richiesta espulsione dal grembo . Un rifiuto , piuttosto che un ' ammissione , che in carcere si ripete all ' infinito . Infine , partire è un po ' morire . Morire era , fino a poco fa , anche transitivo , ma nel senso di ammazzare . ' Ohimè , che m ' hai morto ' . Più affascinanti sono quelle lingue in cui morire è riflessivo : morirsi . Sembrano più consapevoli del fatto che morire è un tornare dentro , e che quando si muore , si muore soli . Questo avviene in Abruzzo . ' Quiju s ' è mortu ' , il tale è morto . Ne Ji Raccunti de Cazzirru dell ' aquilano Giuseppe Placidi , leggo : ' Me sembra ieri che s ' è mortu ju poru Luiggi , oi ' . ( Non so se rientri in questo uso il romanesco ' sinnò me moro ' , più parente del traslato morire d ' amore , o dalle risate ) . Con ciò si conclude il mio avviso ai linguisti , Crusca e gli altri , che vorranno apprezzare la comunicazione e passarla sotto i loro ferri . Io , da dilettante , sto meditando il colpo grosso . Chi non ha desiderato di coniare , di creare , una parola nuova e inaudita , piena di vocali , come quella di Hamsun in Fame ? Una parola bellissima , come ' idea ' , oppure un nome di ragazza , come Anahita . Peccato che ci siano già . Io oggi posso inventare la mia , e metterla in circolazione nel mio piccolo . Di qui , la gente via via partita la porterà in giro nel circuito . Quanto al mondo di fuori , prima o poi qualcuno dovrà pur uscire e portarsela dietro , la parola nuova .
Paolina, io e la salubre Pisa ( Sofri Adriano , 1999 )
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La notizia di un convegno sull ' inquinamento atmosferico fa tornare alla mente le lettere della sorella nubile di Leopardi , reclusa dalla madre a Recanati . Che sognava l ' aria sana della cittá sull ' Arno . Come i detenuti di oggi . Pisano già da oltre due anni , leggo ogni giorno le cose locali sul Tirreno . Ora ho letto un annuncio del servizio ambiente della Provincia : " 29-30 gennaio 1999 . Prima Conferenza sulla qualità dell ' aria nella provincia di Pisa " . Sapete che fra gli effetti della galera c ' è di tramutare le cose più elementari in concessioni regolamentate , sicché l ' aria che si respira diventa " l ' ora d ' aria " : una specie di apnea a intervalli ossigenati . Così ritagliata , l ' aria viene convocata con un grido dell ' agente : " Aria " , e i detenuti si infilano nel loro sfiatatoio . Dunque , chi di noi più interessato alla qualità dell ' aria di Pisa ? Ma tutto questo è solo un pretesto per parlarvi di Paolina , la sorella nubile di Giacomo Leopardi , e dell ' aria di Pisa . ( Mi piace , " nubile " , altri la chiamarono zitella : destino più amaro , avendole Giacomo dedicato la precoce canzone Nelle nozze della sorella Paolina . Nubile vuol dire sposabile , e lei lo fu a lungo e invano , in trattative penose sulla dote , la quale bisognava che fosse appetitosa per quella giovane intelligente e bruttina , doppio difetto . E nubile fa pensare a qualcosa di lievemente annuvolato , una turbolenza in aria chiara , in quella creatura che scriveva : " Unico godimento mio in tutta la vita - quello di mirare il cielo sereno - sicché quando vedi nuvole di ' pure che la tua amica è più triste del solito " ) . Giacomo visse in una prigionia stretta in quella casa maniacale , e invano tentò di fuggirne con una vera evasione , di notte e con carte false . Figurarsi una figlia femmina , che solo il matrimonio avrebbe fatto uscire . " Quello che io posso vedere dalla finestra è sempre sorvegliato da mia madre , la quale gira per tutta la casa , si trova per tutto , e a tutte le ore " . Paolina restò ai suoi arresti domestici fino a un ' età anziana , e perfino il suo carteggio con poche amiche dovette essere clandestino , per scampare al rigore pazzesco della madre . Le lettere arrivavano a un bravo prete alla casa di fronte , lui esponeva una pianta alla finestra , e lei furtivamente andava a ritirarle . Una lettera le arrivò un giorno da Pisa , dove Giacomo era venuto a svernare , e restò memorabile , per quella sorella appassionata , e per tutti gli scolari a venire , e per Pisa . Era datata al 12 novembre 1827 : " Questo lung ' Arno è uno spettacolo così bello , così ampio , così magnifico , così gaio , così ridente , che innamora : non ho veduto niente di simile ... Vi si passeggia poi nell ' inverno con gran piacere , perché v ' è quasi sempre un ' aria di primavera ... " . Così l ' aria " balsamica " di Pisa soffiò fino alla galera domiciliare di Paolina , al suo " orrido e aborrito " Recanati , alla sua " infame aria , vera rovina per la salute , per i denti , per tutto " , " aria essiccatrice di polmoni " . Paolina si compiangeva , come quella che non aveva " per sollievo né un viaggio di Parigi e di Londra , e né pure quello di Sinigaglia ( Senigallia ) " ! Aveva i furori smaniosi e impossibili di ogni carcerato . " Non puoi credere quanto mi abbia tormentata sempre il pensiero che vi sia qualche cosa a questo mondo ch ' io non vi vedrò mai ! e se queste cose poi sono belle , belle assai , come le ghiacciaie della Svizzera , il cielo di Napoli , un ' aurora boreale e Pietroburgo ... " . Soffocò le illusioni d ' amore , e leggeva racconti di viaggi altrui : " Solo amerei che la mia catena fosse un tantino più lenta " . Studiava il Journal des Modes , leggeva il " suo " Stendhal , e traduceva una Vita di Mozart , che l ' avrà fatta pensare all ' affetto fra sorella e fratello , e incitata alla sua parolaccia più temeraria e cara : " Diavolo ! " . Tradusse anche , e questo è particolarmente commovente se si pensa alla sua clausura , il Viaggio notturno intorno alla mia camera di Joseph de Maistre . " Io non sono lieta e non posso esserla che in sogno " . La lettera dell ' adorato Giacomo dovette restarle fissa in mente . Quando una sua amica va ad abitare a Pisa , le invidia la sua fortuna : quella " deliziosa Città ... che in ogni stagione deve essere un soggiorno incantatore " ( 1829 ) . Là , " se io fossi indipendente , vorrei abitare perpetuamente " ( 1830 ) . E " godere di quel caro cielo , e di quell ' aria che io t ' invidio tanto " ( 1833 ) . A un ' altra amica , di passaggio a Pisa , aveva scritto : " Hai fatto bene a scegliere il tuo albergo lungo l ' Arno , del quale Giacomo mi ha fatto una descrizione incantevole " . Paolina uscì da Recanati solo dopo che tutti i suoi furono morti . Anzi , fece passare altri anni . " Io già lo so che mi sono ricalcati i miei ferri da me stessa " . E dopo che la casa - carcere fu prodigalmente rinnovata . " In questo momento alla porta del mio giardino si sta compiendo un bel lavoro - si fa una camera di cristallo per levarmi l ' aria cattiva che mi veniva da quella striscia di mare che si vedeva in quel punto " . Successe nel 1864 , quell ' ergastolo graziato : era una donna libera di 64 anni . Rinnovò il suo guardaroba e lo rese civettuolo . Andò in Emilia , in Umbria , nelle Puglie . Pensava a Napoli : " Spero alle prime benefiche aure di primavera di muovermi di qui e respirare l ' aria di Napoli " ; e finalmente ci andò , nel 1867 , a pregare sulla tomba di Giacomo . L ' anno dopo decise che avrebbe passato l ' inverno a Pisa . Scese all ' albergo sul lungarno , il Victoria , che è ancora lì , il più bello di Pisa . Non riuscì a svernare , ma per poco : morì a Pisa il 13 marzo del 1869 , " dei postumi di un ' infreddatura " presa in gita a Firenze , quando alla primavera mancavano otto giorni . " Ma io ... io non ho vissuto mai " . Ho un libro - antologia di Alessandro Agostinelli e Daniele Luti , Sotto il cielo di Pisa . Ci sono molte notizie sull ' aria di Pisa al tempo che fu . Carlo Goldoni : " L ' aria della città è considerata la migliore d ' Italia " . E Gabriele D ' Annunzio : " Pisa ... primaverile e tutta d ' argento " . Mi ha colpito soprattutto una riga di Charles Dickens : " Non c ' è altro che si muova in Pisa , eccetto l ' aria tiepida " . Noi abbiamo alcune ore d ' aria . A giorni alterni , in un cortile più piccolo e uno meno piccolo . Tre giorni quelli in attesa di giudizio , tre giorni quelli in attesa di niente . La domenica a turno . Ci diamo delle arie . Li chiamiamo l ' aria grande e l ' aria piccola .