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> categoria_s:"StampaQuotidiana" > anno_i:[1940 TO 1970} > autore_s:"Arpino Giovanni"
Un piemontese di campagna ( Arpino Giovanni , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Rileggo Fenoglio . La figura del piemontese di campagna è antica , e assai diversa da quella del piemontese di città , più sfumata e rapida nel mettersi al passo del mondo . Testardaggine e diffidenza , orgoglio e pudicizia , senso del limite e segreta ambizione formano , nel piemontese di campagna , un nocciolo di resistenza al destino , alla delusione dei fatti quotidiani , resistenza che non gli viene meno neppure negli istanti più duri . Il piemontese di campagna è capace di dannarsi l ' anima in lotta perpetua con una vigna arida ; e con uno schioppo in mano può mettersi freddamente a sparare contro un carro armato tedesco : non importa la palese inferiorità , la vigna che ti imbroglia o il carro armato che neppure si accorge dei tuoi pallini da lepre . Vuoi dire che ti butterai nel pozzo , a dispetto delle viti e degli eredi , o sbatterai la testa contro le lamiere del Tigre . È destino , però , non « darla mai vinta » a niente e a nessuno , costi quel che costi fino alla fine . E così era Beppe Fenoglio , seppure naturalmente velato da una raffinata esperienza di cultura . Composto di questa materia , non poteva non vivere duramente , e duramente morire , subendo e tacendo , in immensa solitudine , e tuttavia con l ' altissima convinzione di colui che sa come , coltivando il suo pezzo di terra e coltivandolo bene , senza riposo , finisce per avvantaggiare tutti gli altri , prima ancora che se stesso . A un certo punto , il traduttore elegantissimo di Coleridge , il lettore di Lawrence e Stevenson , l ' uomo moderno che sa vedere con distacco di penna un acre spiraglio di vita contadina o di guerra , tornava vittima di un mondo feroce - qual è quello contadino , ma anche borghese , del più chiuso Piemonte - e lo subiva in silenzio , come a negare qualsiasi altra possibilità di vivere e agire , al di fuori di quei territori ed usanze . E in questo modo dava terreno non casuale alle storie da fabbricare , dalla Malora allo splendido Giorno di fuoco , nutrendole di un furore narrativo e stilistico che sublimava , finalmente , i residui velenosi dell ' esistenza e in astratto intaccavano come perfezionatissimi proietti , la cupola crudele tesa a chiudere la vita - delle Langhe , di ieri e di oggi , del mondo dei rapporti familiari intrigati dalla presenza costante del denaro , dell ' invidia , del dispetto , dell ' aridità di cuore - impedendole di liberarsi secondo intelligenza e bontà . Imminenti edizioni e riedizioni dei suoi racconti , già conosciuti o appena usciti dal cassetto , faranno conoscere a un più largo pubblico uno scrittore che nel suo microcosmo lavorò più a fondo dello stesso Pavese , perché non deviato da alcuna mitologia ma perdutamente teso a raggiungere un risultato realistico , pulito , a costo di profondere ogni riserva intellettuale e di cuore . Non gli ho mai detto una cosa simile , lui vivo . Non me lo consentivano i nostri scarsi rapporti , la nostra scorbutica amicizia piemontese , la rara corrispondenza . E ancora adesso mi pento di non aver tentato , una volta per tutte , di sfondare il suo orgoglioso riserbo , o almeno , consciamente , di non aver gettato olio sul fuoco della sua estrema consapevolezza . In segreto , ne avrebbe avuta una qualche consolazione , al di là di tante amarezze e di irrimediabili solitudini e pietosi infingimenti . Ci resta questo : trenta o quaranta pagine di Fenoglio , qualunque cosa succeda , sono già stampate in quell ' ideale antologia delle lettere italiane di questo secolo che , per fortuna , deve ancora veder nascere i suoi curatori . Da quelle pagine viene fuori non solo un ritratto magistrale del mondo accoltellato della Langa , ma in filigrana appare il narratore stesso , quel « piemontese di campagna » tanto più trepido quanto più sa di affondare , con occhio asciutto , nel dolore proprio e altrui .