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> categoria_s:"StampaQuotidiana" > anno_i:[1940 TO 1970} > autore_s:"Citati Pietro"
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Una profonda rivoluzione sta trasformando , secondo Pier Paolo Pasolini , la lingua italiana parlata . Sotto l ' influenza unificatrice delle grandi aziende settentrionali , il linguaggio della tecnica invade il lessico ; e fissa o stravolge le forme , avvicinandole a quelle del francese moderno . La forza dei dialetti si spegne , il latino finisce di influenzare le nostre strutture sintattiche . La nuova lingua italiana non cerca , come l ' antica , l ' espressione ricca , varia ed efficace ; ma « la precisione inespressiva della comunicazione tecnica » . « D ' ora in poi alla guida della lingua non sarà più la letteratura , ma la tecnica . Quindi il fine della lingua rientrerà nel ciclo produzione - consumo , dando all ' italiano quella spinta rivoluzionaria che sarà appunto il prevalere del fine comunicativo su quello espressivo » . Con la sua insinuante protervia pedagogica , con una comunicativa degna di un grande capitano di folle , Pasolini produce e si trascina dietro avvenimenti e configurazioni storiche , come un albero , ogni primavera , mette fiori e foglie . Mentre scrivo , forse qualche manipolo di imitatori blasfemi , che da tempo contemplava invano l ' unica sorgente delle proprie gioie e dei propri dolori , già si affanna a ripeterlo fedelmente . Non potrei né vorrei arrestare questa nuova ondata di storia : e mi limiterò dunque a correggere , come posso , il profilo dell ' italiano moderno tracciato da Pasolini . In appendice alla recente traduzione della « Linguistica generale e linguistica francese » del Bally ( Il Saggiatore ) , Cesare Segre ha mostrato come l ' italiano moderno conservi , assai più del francese , le sue forme fondamentali . Difende i propri paradigmi verbali , continua a distinguere tra il singolare e il plurale , non scorcia né scioglie la parola nelle selvagge agglutinazioni che fioriscono sulle labbra infantili di Zazie . E non sacrifica nemmeno quella ricchezza morfologica , fraseologica ed espressiva , che ha sempre entusiasmato i linguisti romantici . Naturalmente conservatore , l ' italiano non corre rischi di rivoluzioni né di evoluzioni precipitose . Con il suo « passato posato e tranquillo » , sa conciliare e filtrare assai meglio del francese le tendenze opposte alla lingua , come l ' aggressione degli avvenimenti . Non so condividere completamente le osservazioni di Segre . Mi sembra , ad esempio , che il congiuntivo stia attraversando una crisi profonda . La ricchezza fraseologica tradizionale si offusca , come un bene ignorato o dimenticato in un angolo della memoria . E , tuttavia , negli ultimi anni il divario tra l ' evoluzione del francese e dell ' italiano è perfino aumentato . L ' americano si confonde con il francese : ne distrugge e ne cambia le forme ; e questo connubio sembra sul punto di generare una lingua nuova , un esperanto giornalistico e infantile ( Etiemble , « Parlez - vous franglais ? » , Gallimard ) . Nemmeno il più geniale fra i nostri inventori pubblicitari riuscirebbe a esaltare le « télébrités » o il « chocorêve » ( chocolat + rêve ) : nessun giornalista oserebbe anticipare normalmente , come in inglese , l ' aggettivo al nome , spiegando ai propri lettori la « scientifique composition de l ' idéal équipage » , che avrebbe comunicato agli americani « ses cosmiques impressions » ; o stravolgere la costruzione dei verbi . Se lo paragoniamo con il « franglais » , l ' italiano del 1965 sembra dunque rivendicare la propria anima conservatrice . Ma anche l ' italiano muta . Di colpo , mentre leggiamo o ascoltiamo , la nostra sensibilità linguistica viene offesa da qualcosa che ci sembra inaudito , inosabile , e tuttavia si proroga senza sosta . Prendiamo il caso della sintassi . Nemmeno trent ' anni fa Giorgio Pasquali scriveva che « l ' italiano corrente , in gran parte nuovo nel lessico , è rimasto quanto alla sintassi arcaicissimo » ; e aggiungeva che il passaggio « dallo stile verbale al nominale » , caratteristico di tutte le lingue moderne , avveniva da noi in modo assai cauto e lento ( « Lingua nuova e antica » , Le Monnier ) . Oggi , mi sembra , lo stile nominale sta cacciando quello verbale , con effetti assai più rovinosi che in francese , dove il puro intarsio dei sostantivi può comunicare alla frase un ' astratta , rigida e aerea , eleganza . E il periodo italiano , sopraffatto dai sostantivi , reagisce in due modi diversi . Da un lato , nella prosa giornalistica e tecnica davvero semplice e « comunicativa » , si alleggerisce . Abbiamo una linea esilissima , composta da nomi legati da preposizioni , da una copula o da pochi verbi svuotati della loro forza . Nello stesso tempo , una nuova sintassi boccaccesca dilaga nella lingua scritta e parlata . Enormi periodi di venti o di trenta righe si disegnano , ostentando le loro grazie sublimi , sulla bocca dei nostri vicini di treno . Mentre la sintassi italiana disponeva le proposizioni secondo un piano e un ordine logico sovente complesso , il tronco di questi nuovi periodi potrebbe venir enunciato da un bambino di sei anni . Poi , via via , su quel tronco lievissimo , senza badare né al senso né al nesso , sempre nuove frasi si aggiungono , si aggrappano , si accavallano : una foltissima vegetazione verbale cresce penosamente , con il soccorso di un groviglio di apposizioni , di preposizioni , di costrutti avverbiali , di participi presenti ( « al di là di » , « in forza di » , « di fronte a » , « attraverso » : « per » , « su » e « come » usati a caso : « riguardante » , «concernente»...) . E , quando l ' emissione di voce o di penna si è calmata , noi ci guardiamo intorno prostrati e confusi . Non abbiamo compreso nulla . Urtiamo contro un ' armatura di preposizioni e di avverbi , che sta in piedi da sé , quale sia il pensiero che le affidiamo : un intrico di cerniere neutre e inespressive : una pseudo - sintassi automatica . Se davvero vogliamo capire , dobbiamo distruggere il periodo , individuare gli elementi primi del pensiero , scoprire il loro ordine nascosto e riedificarlo ... Colui che sta parlando o scrivendo rinuncia , in modo assai più radicale di qualsiasi « Dada » , alla costruzione elementare del proprio pensiero . Si trova davanti un lessico accresciuto : non cerca di metterlo in rapporto con l ' idea che gli affiora alla mente ; e lo affida alla voce o lo butta sulla carta , con l ' aiuto di qualche strano legame sintattico . E intanto insegue , più o meno consciamente , un ideale estetico . Con i mezzi espressivi di un analfabeta , si sforza di ripetere la dignità del « cursus » latino . Nata e coltivata amorosamente nelle anticamere dei ministri , negli studi degli avvocati e dei letterati , capace di ornare le schermaglie dei nostri uomini politici , questa vegetazione sintattica non funesta , io credo , nessun ' altra lingua europea . Intanto ha raggiunto anche le grandi aziende del Nord . E forse fiorisce volentieri soprattutto lì , tra quei tecnocrati e tecnici piemontesi e lombardi , che , secondo Pasolini , starebbero per imporci una lingua « strumentale » . Quanto al linguaggio della tecnica e della scienza , non credo che esso ci stia conducendo , come pensa Pasolini , verso una lingua « precisa e inespressiva » . Certo il fisico che discorre di « protoni » e di « neutroni » rinuncia a qualsiasi finalità espressiva . Poi i termini tecnici raggiungono la lingua quotidiana , dove vengono utilizzati , stravolti , trasformati in metafore . Così Rita Hayworth diventò per sempre « l ' atomica » . E in quelle parole irte , inaudite , una volta quasi impronunciabili , colui che parla non insegue il sogno di una pura comunicazione razionale . Come nei dialetti , vi trova un tesoro di espressività , di colore , talvolta di decorazione linguistica . Sovente le due lingue confondono e contaminano le loro acque ; e le forme del dialetto cuneese accolgono confidenzialmente la parola impiegata anche a Chicago e nella Ruhr . In quest ' impasto , l ' espressività tecnica brilla di una luce sempre più intensa ; giacché soltanto essa ci conferisce prestigio davanti agli altri e a noi stessi . Sempre più di frequente ci sentiamo rispondere , per una ragione analoga , « esatto » invece di « Sì » . Perché mai « esatto » ? Avevamo chiesto il nome di una strada ; o qualcosa di vago e opinabile , come un parere su un libro o una persona . Ma il generoso sorriso di soddisfazione , la pronuncia enfatica con un « esatto » esce dalla chiostra dei denti , ci garantisce che il nostro interlocutore sa di rivoluzionare , anche lui , le forme della tribù . E intanto rivendica la propria efficienza : con una sola parola ci dimostra l ' incontestabile verità di tutto quello che gli accadrà di pensare o di testimoniare . Si direbbe , qualche volta , che la « comunicazione » sia l ' ultima tra le mete delle lingue moderne . La loro ossatura diventa così fragile e inconsistente , da impedirci di comunicare . Ma , in superficie , quale straordinaria ricchezza ! Proprio la lingua media , nella quale gli stimoli espressivi dovrebbero spegnersi o filtrarsi , ostenta la sua infrazione alla media . Neologismi , metafore , analogie , allusioni , parodici , corti circuiti espressivi vengono inventati di continuo , e si attraggono o migrano da Nuova York a Roma , da Leningrado a Pechino : sembrano , per qualche mese , dominare l ' orizzonte e scompaiono come non fossero mai esistiti . La temperatura linguistica cresce : quello che ieri era « bello » o « brutto » , oggi sembra « stupendo » , « meraviglioso » , « orribile » , « osceno » . Questi fenomeni sono sempre accaduti . Ma un tempo non avvenivano ad una velocità così sconvolgente . Mentre l ' innovazione linguistica scocca , mentre la parola o la metafora nuova cancellano quelle antiche , mentre il mare della lingua ribolle - ecco che , in questo stesso momento , l ' invenzione si sclerotizza , e raggiunge il cimitero delle parole perdute . Ci troviamo in mano una forma piena di forza enfatica ; e inespressiva come un numero o una preposizione . La lingua trabocca di relitti arcaicissimi , che ieri mattina minacciavano di far esplodere il mondo . Fra poco ci vorrà un archeologo per spiegarli . E intanto usiamo una formula che significa tutto e nulla : possiamo interpretarla in molti modi diversi : simile a un cartellino o a una bandiera , che tenta di ricordarci che , lì sotto , giace un oscuro significato . Un tempo , in un angolo dei grandi sistemi espressivi , esistevano , e talvolta esistono ancora , delle lingue « speciali » : il gergo della malavita , delle caserme , degli studenti o , perfino , il lessico di certi gruppi familiari . In confronto alla lingua , possedevano una fortissima carica di allusività , al punto da trasformare ogni parola in una parola d ' ordine . Gridando « me ne frego ! » , il fascista della prima ora stabiliva con altri fascisti un rapporto di complicità che la parola « albero » non gli avrebbe mai consentito . Mentre le lingue speciali decadono rapidamente , tutta la lingua sembra oggi trasformarsi in un gergo furbesco . Intorno alle nuove forme si stabilisce un arco larghissimo di complicità : ognuna di loro ci ricorda la persona o la situazione che l ' hanno suggerita , ricostruisce una psicologia o una classe , allude ai nostri ideali compagni . Metà delle parole che pronunciamo sono tra virgolette . Continue associazioni collegano tra loro tutti i parlanti del mondo . Quei Riccetti e quei Tommasi che sembrano a Pasolini , dieci anni dopo « Ragazzi di Vita » , « remoti come su un ' urna greca » , sono , forse , entrati da padroni nell ' edificio della lingua .