Tipi di Ricerca: Ricerca per parole
Trova:
> categoria_s:"StampaQuotidiana" > anno_i:[1940 TO 1970} > autore_s:"Jacoviello Alberto"
StampaQuotidiana ,
Vienna , 12 . - Da ieri l ' Ungheria è alle nostre spalle . Abbiamo lasciato Budapest nel primo pomeriggio di sabato , in una delle tre auto a bordo delle quali hanno viaggiato altri dodici giornalisti italiani , e siamo giunti alla frontiera austriaca a mezzogiorno circa di ieri . L ' ultimo posto di blocco sovietico lo abbiamo superato a poche centinaia di metri dalla frontiera : sei o sette soldati bivaccavano attorno ad un carro armato , ai margini della strada , stretti nei loro ruvidi cappotti di panno . Un rapido controllo ai nostri passaporti , un saluto a mezzavoce , un agitarsi di mano sotto il cielo livido e via verso l ' Austria . Un giovane soldato , dall ' alto della torretta del carro armato , è rimasto a lungo con lo sguardo rivolto verso la nostra auto che si allontanava . Poi ha agitato in segno di saluto lo straccio col quale stava pulendo la sua arma . I tratti del suo volto mi sono rimasti impressi nella memoria . Era un giovane soldato sui 20 anni , dall ' aria quasi infantile , nel quale s ' era notato come un lampo di gioia quando aveva inteso che io ero l ' inviato di un giornale comunista . Era lo stesso rapido lampo che avevo colto altre volte , negli occhi di altri soldati sovietici in Ungheria , nel corso del mio viaggio avventuroso e qualche volta drammatico . Ero partito da Vienna , alla volta di Budapest , il mattino di martedì scorso , passando attraverso la frontiera che porta a Sopron , dopo un tentativo effettuato senza successo la sera precedente all ' altro tratto di frontiera con l ' Austria , allora controllata da un gruppo di insorti . Eravamo in due , io e un cittadino austriaco autista e interprete . I doganieri austriaci e i giornalisti che stazionavano alla frontiera , nel tentativo di dissuaderci dall ' intraprendere il viaggio , ci avevano detto che andavamo incontro ad una morte certa per mano dei sovietici , i quali , a sentir loro , sparavano senza preavviso su chiunque si avvicinasse . Era , naturalmente , una menzogna grossolana . Il primo carro armato sovietico lo avvistammo a poche centinaia di metri dalla frontiera . I1 tenente che lo comandava ci controllò i passaporti , poi decise di accompagnarci egli stesso a Sopron , a pochi chilometri , per rimettere al locale comando sovietico la decisione se farci o meno proseguire . Le formalità furono qui rapidamente sbrigate , ma noi volemmo approfittare della sosta per parlare con la gente . La piccola città era pavesata di bandiere nazionali ungheresi , tutti coloro che incontrammo sulle strade avevano una coccarda all ' occhiello . Le fabbriche erano ferme , i negozi chiusi . Per terra , manifestini che invitavano i lavoratori a non riprendere il lavoro prima del ritiro delle truppe sovietiche . L ' Università era occupata da un gruppo di studenti e di armati . Il giorno precedente il comandante sovietico aveva chiesto loro di deporre le armi e di tornare al lavoro ed alle occupazioni normali . La richiesta non era stata accolta . Il comandante sovietico si era allora limitato a far circondare l ' edificio nell ' attesa che la ragione prevalesse . Fino al momento in cui noi lasciammo Sopron non si era sparato un sol colpo di fucile . Non so come le cose siano andate dopo . Nel viaggio da Sopron a Györ fummo fermati almeno dieci volte , ricevendo sempre l ' autorizzazione a proseguire . Nel viaggio incontrammo gente impaurita ed al tempo stesso curiosa : alle finestre bandiere nazionali , coccarde e bandiere nere in segno di lutto per i morti . Ogni tanto echi di fucilate nei boschi . A Györ , dove giungemmo con le prime ombre della sera , l ' atmosfera era assai tesa . I carri armati sovietici bloccano tutte le strade . Davanti al municipio , una folla guarda verso i carri schierati a difesa dello stabile e che hanno i motori sotto pressione . Un gruppo ci circonda , vuole sapere chi siamo , ci dice di volere il ritiro dei sovietici , prima di tornare al lavoro . Ci danno questa versione dei fatti di dieci giorni prima : gli insorti manifestano chiedendo le dimissioni del vecchio gruppo di dirigenti comunisti . Si viene allo scontro e alla sparatoria , e nello scontro la polizia uccide alcune persone , ma gli insorti hanno poi successivamente il sopravvento : massacrano alcune decine di agenti , straziano i loro corpi , cavano gli occhi a colui che aveva dato ordine di sparare . La città è di nessuno , per tre giorni . Sparito ogni potere legale , dissolte tutte le forze attorno alle quali si potessero organizzare altre forze , la città piomba nell ' anarchia . Si costituisce una sorta di consiglio degli operai , degli studenti e dei soldati che tenta di governare la città . Ma questo organismo viene rapidamente travolto dall ' inestricabile groviglio per cui la situazione va rapidamente evolvendo . Le notizie che giungono da Budapest e dal resto dell ' Ungheria in quei giorni sono confuse , spesso contraddittorie , cambiano da un minuto all ' altro . Le diverse formazioni armate , che all ' inizio avevano trovato un terreno comune di intesa nelle rivendicazioni contro i dirigenti comunisti ungheresi cominciano a scontrarsi tra di loro . La caccia all ' agente di polizia si trasforma nella caccia al comunista . Nel contempo si affacciano sulla scena vecchi arnesi dell ' horthysmo , della classe dirigente reazionaria spodestata , che operano perché si ritorni al passato . Il governo Nagy , che all ' inizio aveva goduto di larga popolarità , diventa rapidamente impotente a controllare la situazione e passa di concessione in concessione . Nessuno capisce più nulla in Ungheria , salvo , forse , il vecchio cardinale Mindszenty , che opera sempre più attivamente e le cui richieste si fanno sempre più pressanti ed insidiose . La città di Györ , per quello che c ' è stato possibile apprendere , vive questa tragedia . All ' entusiasmo iniziale , succede lo sbandamento , il disorientamento , l ' amarezza della impotenza di chi si accorge di essere andato assai al di là di quanto si volesse . I comunisti si dividono , rimasti senza guida ; si disperdono , spariscono praticamente come forza politica organizzata . In questa situazione , domenica alle 4 del mattino , a Györ entrano i carri armati sovietici . Obiettivamente , da quel momento , e solo da quel momento , a Györ c ' è una forza che garantisce l ' ordine o che almeno impedisce lo sfasciarsi definitivo , non solo di ogni conquista socialista ma dello stesso potere dello Stato . I soldati e gli ufficiali sovietici si presentano col volto onesto degli operai , dei contadini , dei comunisti . Ma difficile e grave è il loro compito in una situazione in cui pesano tragicamente gli errori del passato , la rottura , le lacerazioni , i risentimenti di questi giorni sconvolgenti . Amaro è stato dunque il compito toccato a questi soldati , a questi ufficiali dell ' Armata Rossa , a questi uomini buoni , generosi , a questi figli del popolo sovietico , accorsi qui per isolare o battere le bande rivoluzionarie , per rimettere ordine in un paese che si stava sfasciando . Io non so come ognuno di loro , come ognuno di questi comunisti ha reagito . È certo , tuttavia , che essi hanno fatto di tutto , pur nella estrema difficoltà della situazione , per dare al popolo ungherese la sensazione che assolvevano al loro compito col cuore pieno di amarezza e con la mano tesa verso tutti coloro che non hanno preso le armi . Non dimenticherò mai la contrazione dei muscoli del volto di un giovane ufficiale sovietico , che ci aveva fermato 50 km dopo Györ , per controllare i nostri documenti , mentre viaggiavamo verso la capitale . Gli avevamo chiesto se la strada era sicura , se vi erano o meno bande di ungheresi armati . Qualcuno vicino a noi , forse nella intenzione di rendere più chiara la domanda , ha aggiunto la parola « partigiani » . Il giovane ufficiale sovietico , che sino ad allora era stato cortese , calmo e gentile , ci ha guardato con un volto teso , con negli occhi una luce tagliente ed amara , limitandosi a fare un cenno di diniego con la testa , e subito dopo ci ha fatto segno di partire . Partigiani ? Forse , egli stesso lo era stato , nel suo Paese , nei boschi dell ' Ucraina od altrove . Come poteva ammettere che lo stesso nome potesse essere dato a degli uomini che attaccano i soldati rossi , e contro i quali i soldati rossi sparavano ? Eppure , non si può dire che tutti coloro che hanno preso le armi in Ungheria siano fascisti o banditi . Certamente , molti fra di loro erano tipi di malaffare , forse al servizio diretto delle vecchie classi dirigenti reazionarie , che operano per il ritorno di queste sulla scena politica . Ma errore sarebbe dimenticare che al movimento hanno partecipato anche lavoratori . Non so quanti erano gli operai tra coloro che si battevano , forse nessuno lo potrà mai controllare . Le cause profonde le vedremo dopo nel dettaglio . Ma anche ora non bisogna chiudere gli occhi davanti a questo aspetto della realtà , che se non è certo quello determinante , non è neppure il più marginale . Per tornare al filo del viaggio : sono partito da Györ alla luce dell ' alba di mercoledì . Alle porte di Budapest , dove l ' auto viene bloccata da due carri armati , è in corso uno scontro . Le pallottole fischiano da tutte le parti . Due soldati sovietici , assai giovani , quasi dei bambini , cadono a pochi metri da me . L ' ufficiale sovietico mi controlla i documenti poi mi chiede di mostrargli la tessera del Partito . Gli rispondo che ho creduto più giusto non portarla con me in questa situazione . La sua replica è dura : un comunista porta sempre con sé la tessera del Partito , dovunque . E lì , sotto il fuoco delle pallottole , mi mostra la sua . Ma poi mi batte la mano sulla spalla , e , appena c ' è una sosta nel fuoco , mi invita a ripartire . Da quel momento sono preso nell ' atmosfera della città . L ' auto corre su una strada deserta : da una parte il muro di cinta di una fabbrica , dall ' altra blocchi di case operaie , basse , a un piano , dalle mura assai deboli . Abbiamo percorso trecento o quattrocento metri e le pallottole ricominciano a fischiare . Poi , improvvisamente , una scarica di mitraglia inchioda l ' automobile . Scendiamo , cerchiamo di ripararci sotto la macchina . Ma dopo pochi minuti un carro armato si profila sferragliando e sparando a cento metri . Proviamo per un attimo una sensazione terribile : quella di poter essere uccisi lì , in quella strada deserta , alla periferia di Budapest , per errore . L ' uomo che è con me mi dice convulsamente che l ' unico modo di salvarsi è quello di levarsi in piedi e far vedere che siamo disarmati . Lo facciamo . Sentiamo su di noi l ' occhio vigile del mitragliere . Attraversiamo lentamente la strada , con il carro armato che si fa sempre più vicino , sparando contro quelli che a loro volta sparano a duecento metri da noi . Entriamo nella fabbrica . Siamo salvi . E lo siamo soltanto grazie all ' estremo scrupolo e alla estrema padronanza di nervi del mitragliere sovietico . Apprenderò dopo che in tutta Budapest i carristi sovietici si sono comportati allo stesso modo , evitando sempre di sparare se non sul punto preciso dal quale partiva l ' attacco , e solo dopo di essere stati attaccati . Ma quando si tenga conto del fatto che , per due giorni e due notti , questo tipo di scontro si è svolto nella città , si comprende la ragione del numero delle case sconquassate , dello aspetto desolante che ha il centro di Budapest , con un grande numero di case bruciacchiate , con le strade sconvolte , con le rotaie dei tram divelte , con fili aerei che pendono attorcigliati da tutte le parti . Per capire come si è giunti alla tragedia , ecco un episodio fra i tanti . Alla prima fase della rivolta di Budapest , parteciparono gli allievi ufficiali dell ' accademia militare . Membri del Partito nella loro maggioranza , essi hanno probabilmente creduto che questo fosse il solo mezzo per uscire da una situazione che sembrava loro senza uscita . Quando Nagy divenne Primo ministro , essi condivisero la gioia disordinata di Budapest . Poi le cose precipitarono rapidamente . La capitale pullulava di gruppi , di giornali , di manifesti , di programmi . Tra questo pullulare di movimenti senza tradizione , senza idee , senza forza , assenti , come partito , erano i comunisti . Il Partito cambiò nome , il giornale anche , i suoi dirigenti non ebbero collegamenti , né strumenti di organizzazione . Furono divisi , dispersi , mentre l ' anarchia circolava , e così anche loro , anche gli allievi ufficiali comunisti della accademia militare furono travolti , come tanti . Alcuni pensando forse di essersi irrimediabilmente compromessi adoperarono ancora una volta le armi all ' arrivo dei reparti sovietici , altri si dispersero , altri probabilmente cercarono il collegamento col Partito , qualcuno è forse uno di quelli che ho visto collaborare con le forze sovietiche nell ' opera di ristabilimento dell ' autorità e del potere dello Stato . Uscito dalla fabbrica , la mattina successiva ho attraversato la città a piedi , riparandomi , di tanto in tanto nei portoni all ' accendersi degli scambi di colpi di arma da fuoco . Un giorno intero , così , è passato prima che potessi raggiungere l ' albergo Duna . Ho negli occhi , pensando a quei giorni , l ' immagine di strade deserte , squallide , di gente che cammina lungo i muri , di rovine , di terriccio , di soldati , di bambini che chiedevano pane . Ho avvicinato altra gente , ho parlato con molti , cercando sempre di ritrovare un filo di orientamento . Confusione , amarezza , delusione : ecco il quadro di quei primi giorni . Poi , a partire da venerdì , cessati i combattimenti , più gente per le strade , soldati ungheresi accanto a quelli sovietici , qualche negozio di generi alimentari riconoscibile per la lunga fila di gente in attesa del pane . La vita riprendeva lentamente , nelle sue forme più elementari , grazie occorre proprio dirlo , all ' unica forza di cui si avvertiva fisicamente , e sia pure così drammaticamente , la presenza : soldati ed ufficiali sovietici . Più tardi la radio comincia a dare notizie precise , rappresentando almeno così un primo elemento di orientamento per la popolazione , che sembrava uscire a poco a poco dall ' incubo . Difficile è dire quanta forza di convinzione vi fosse nelle parole che uscivano dalla radio , negli appelli del governo ; difficile sarebbe dire quale sia la forza reale del governo Kadar . Eppure , nelle terribili condizioni in cui esso ha assunto la responsabilità , esso ha , se non altro , permesso agli ungheresi di non restare completamente senza una direzione . E non è poco . Abbiamo lasciato Budapest nel pomeriggio di sabato . I giornalisti italiani , com ' è noto , hanno potuto essere i primi , perché di buon grado ho fatto presente alle autorità sovietiche , preoccupate di verificare la professione di tutti coloro che in un momento ancora oscuro ed incerto desideravano di lasciare il paese , che si trattava appunto di giornalisti . Sembra che di questo gesto mi siano stati grati , sebbene d ' altro non si sia trattato che di un elementare gesto di solidarietà che chiunque , penso , al mio posto , avrebbe fatto . Ho lasciato il paese col cuore stretto dall ' angoscia . Migliaia di mani si agitavano al nostro passaggio , come ad affidarci un messaggio confuso e tuttavia , nel fondo del cuore , semplice ed umano . Erano uomini , donne e bambini che hanno terribilmente sofferto e che ancora soffriranno a lungo le conseguenze di questi giorni di furia devastatrice . Essi vogliono vivere , essi vogliono una Ungheria felice , e coloro che non hanno perduto la fede nel socialismo vogliono anche un ' Ungheria socialista . Si tratta ora di darsi una coscienza del tremendo pericolo corso , e trovare assieme , nella pace e nella concordia nazionali , la strada migliore . È un compito duro , difficile , doloroso . Una cosa tuttavia è certa : un tale compito non può e non deve toccare al giovane soldato rosso , che sulla frontiera con l ' Austria ci ha salutato dall ' alto del suo carro armato , agitando lo straccio col quale puliva la sua arma . Egli ha finito , o sta per finire . Almeno , lo spera . Buon soldato rosso , buon figlio del popolo sovietico , egli è accorso , esponendo la sua vita , laddove era necessario correre per salvare le conquiste essenziali della rivoluzione . Adesso , o fra poco , egli dovrà tornarsene a casa , col cuore gonfio di tristezza per i compagni caduti , per i poveri soldati rossi morti lungo le strade di Budapest e d ' Ungheria , per le altre vittime di questa tragedia . È ai comunisti , ai patrioti ungheresi , alla classe operaia , al popolo di questo tormentato Paese , che già oggi cercano nelle fabbriche , nei ministeri ed in quello che resta dell ' esercito , di rimettere in piedi la macchina della vita in Ungheria , è a costoro che spetta il compito di ricominciare , di riguadagnare le masse al socialismo , di salvare tutto quanto è possibile salvare della rivoluzione . A questi uomini , con tutto il cuore , auguriamo buona fortuna nelle settimane , nei mesi e negli anni difficili che li aspettano . Vienna , 13 . Le notizie che giungono a Vienna da varie fonti ungheresi , coincidono almeno in un punto : la situazione in Ungheria , salvo qualche caso sporadico , va lentamente avviandosi verso il completo ristabilimento della calma . Nessuno può ancora dire se si tratta di qualche cosa di definitivo , oppure se nelle prossime ore o nei prossimi giorni , nuovi scontri armati si verificheranno in qualche parte . L ' incertezza è data dal fatto che gruppi armati , sebbene in piccolo numero , circolano ancora per il Paese , soprattutto nelle zone dove i reparti sovietici non sono mai arrivati perché la situazione non lo richiedeva . In queste zone , secondo quanto si afferma , alcuni gruppi avrebbero trovato rifugio , nascondendo le armi , e assumendo per ora le caratteristiche di pacifici cittadini . Si tratta , nella quasi totalità dei casi , di uomini che ritengono di non poter essere perdonati qualora si presentassero alle autorità sovietiche o di governo : uomini , dunque , che si sono probabilmente macchiati di delitti che non avevano nulla a che vedere con gli obiettivi della sollevazione popolare . Altrimenti non si comprenderebbe perché preferiscano nascondersi e conservare le armi , o battere i boschi . Sia i sovietici , sia il governo Kadar , infatti , hanno rifuggito da qualsiasi misura di repressione contro coloro i quali , pur avendo partecipato alla lotta armata , si sono poi presentati alle autorità consegnando le armi . Misure di clemenza sono state adottate anche nei confronti di coloro i quali , fino a mercoledì o giovedì della scorsa settimana , sono stati presi con le armi in pugno . Personalmente abbiamo assistito , mercoledì scorso , ad un episodio significativo . In un posto di blocco sovietico , in un quartiere periferico di Budapest , l ' autista di un camion che chiedeva di passare veniva fermato e perquisito come gli altri in quei giorni . Nonostante egli avesse dichiarato di non possedere armi , gli veniva trovata addosso una pistola carica . I soldati sovietici si limitavano a sequestrarla , lasciandolo però proseguire quasi subito nella direzione voluta . Completamente inventate sono , d ' altra parte , le notizie , comparse sui giornali italiani , di deportazioni della gente rastrellata dopo scontri armati . Anche qui possiamo citare un episodio esemplare . La sera di sabato , scorso quando assieme agli altri giornalisti italiani fummo bloccati , sulla strada del ritorno , a 50 km circa da Budapest e invitati , per nostra sicurezza , a passare la notte , prima di proseguire , presso il locale comando delle truppe sovietiche , avemmo modo di osservare , in un camion fermo accanto alle nostre auto , una decina di ungheresi catturati poco prima nella zona dove si era svolto uno scontro a fuoco . Al momento di ripartire , li perdemmo di vista . Ieri , un giornalista italiano mi ha riferito di essere stato riconosciuto da un gruppo di costoro in un campo profughi di Vienna . Il che vuol dire che , dopo averli fatti prigionieri , i sovietici hanno chiesto loro dove preferissero andare , e a quelli che hanno risposto di voler raggiungere l ' Austria , non è stata opposta difficoltà di sorta . Vi è poi un ' altra calunnia che bisogna smentire : quella secondo cui i sovietici avrebbero bombardato Budapest con gli aeroplani . Del resto , anche qui posso citare una mia personale esperienza . Ho vissuto , quasi attimo per attimo , uno scontro armato , tra un centinaio di ungheresi asserragliati in un vecchio castello ed un reparto di carri armati sovietici appoggiati da alcune decine di soldati di fanteria . Il vecchio castello si trovava in una posizione estremamente vulnerabile da un bombardamento dall ' alto : isolato , in un raggio di cento metri , avrebbe potuto essere distrutto in pochi minuti da un paio di grosse bombe . Eppure , lo scontro è durato per tutta una giornata e la notte successiva , con perdite di uomini da parte sovietica : io stesso , ripassando il mattino dopo , a poche ore dalla fine del combattimento , ho visto sulla strada i cadaveri di cinque o sei soldati sovietici orribilmente maciullati dalle granate tirate dagli insorti . La ragione di un tale comportamento sta nel fatto che i soldati e gli ufficiali sovietici hanno agito a Budapest e in tutta la Ungheria , in modo da rendere possibile , se non il recupero immediato , almeno la neutralizzazione del maggior numero possibile di insorti . Se il castello non è stato distrutto dalle bombe , ciò è accaduto perché tra i cento armati ungheresi che vi erano asserragliati , e che facevano un fuoco di inferno , si è ritenuto possibile salvarne una parte , anche a costo di mettere in gioco la vita dei soldati sovietici . Non scrivo queste cose nel tentativo di minimizzare quanto è accaduto a Budapest . La città - scrivevo ieri e lo ripeto - ha un aspetto che stringe il cuore . Le distruzioni sono grandi , i danni incalcolabili , i disagi della popolazione pesantissimi . Scrivo queste cose perché in una tragedia così grande come quella vissuta dall ' Ungheria , che ha cause così complesse e aspetti così profondamente amari , è la verità che bisogna cercare prima di tutto : perché tutti comprendano e ne ricavino l ' esperienza necessaria . Allo stesso modo bisogna cercare di fare luce , in modo pacato ma coraggioso e leale , sulle cause più profonde , sui fatti obiettivi , recenti e lontani , che hanno favorito il crearsi di una così tragica situazione in Ungheria . È stato ad esempio scritto , e non so se si tratta di leggerezza o di malafede , che i sovietici avrebbero agito di frodo quando sono intervenuti , all ' alba di domenica , nonostante il governo Nagy fosse decisamente , apertamente contrario . Personalmente io credo che una discussione sia possibile sull ' opportunità del primo intervento sovietico . Credo però che , per quanto amaro , doloroso , terribile , il secondo intervento non è stato , in alcun modo , evitabile . Il governo Nagy , in quel momento , non connetteva assolutamente nulla . Tutto era in pericolo . Era in pericolo la stessa struttura dello Stato ungherese , poiché ogni forma di organizzazione civile , di ordine , di potere amministrativo , era scomparsa . Gruppi armati , di origine , di formazione o di intendimenti diversi e spesso contrastanti si impadronivano di punti diversi della città , di questo o di quel ministero , di questa o di quella fabbrica , di questo o di quell ' impianto tipografico . Ci è accaduto ad esempio - l ' episodio è bizzarro , ma serve ad aiutare a comprendere l ' atmosfera di quei giorni - di parlare per telescrivente da Varsavia con il gruppo di insorti che poche ore prima si era impadronito a Budapest della tipografia dello « Szabad Nep » . Ho chiesto loro che cosa volessero , a quale uomo politico fossero favorevoli , quale programma appoggiassero . Mi è stato risposto dal loro capo , un giovane tenente di ventidue anni , che volevano « La libertà e la proibizione di radere i capelli ai soldati » . Siamo evidentemente a un caso limite . Ma non bisogna dimenticare che si trattava di un gruppo armato autonomo , non sottoposto ad alcuna disciplina , ad alcun controllo . Contro chi si sarebbero serviti questi uomini delle armi che avevano in mano ? In nome di che cosa ? In quale direzione avrebbero agito ? Tutti i giornalisti italiani a Budapest concordano , mi pare , del resto , nel fornire il quadro di una esplosione disordinata e incontrollabile : ed è da qui che bisogna serenamente partire per giudicare le cose e per ristabilire la verità . Si può discutere , invece , secondo una mia personale opinione , l ' opportunità del primo appello del governo ungherese all ' intervento sovietico , il 24 ottobre : nel senso che in quel momento , una prova di energia , di unità , di legame effettivo con il popolo da parte dei dirigenti comunisti ungheresi avrebbe potuto forse evitare la tragedia . So di parlare di uomini anch ' essi tragicamente colpiti dagli avvenimenti , ma credo tuttavia che bisogna pur dire , di fronte a quanto è accaduto , quel che vi è da dire sul filo della verità . Ai funerali di Rajk , quelle centinaia di migliaia di uomini che seguirono in silenzio il feretro di un dirigente comunista , ingiustamente ucciso - di un dirigente comunista , si badi , e non di un nemico del socialismo - avrebbero dovuto parlare alla mente , all ' intelligenza e al cuore di coloro i quali in quel momento avevano nelle loro mani il destino dell ' Ungheria . In quel momento essi avrebbero dovuto comprendere che il popolo di Budapest - pur disorientato profondamente , lacerato da posizioni contrastanti , senza una guida effettiva - era per il socialismo , nella sua più autentica forma , che poi è l ' unica e non contro il socialismo . Quelle centinaia di migliaia di persone non erano nemici . Nella loro larga maggioranza essi avrebbero potuto sostenere uomini capaci di salvare il socialismo nella pace civile , attraverso misure rapide , sagge , giuste , ed aiutarli a isolare e a battere i provocatori . Purtroppo , questo non avvenne . Manca qui , e bisogna dirlo , ogni giustificazione . Le ragioni sono vicine e lontane , e riguardano , tutte , la vita interna del Partito dei lavoratori ungheresi , le lotte che nei suoi organismi dirigenti si sono svolte recentemente e meno recentemente e che avevano origine sia nelle questioni dell ' orientamento da dare alla politica interna sia nei riflessi di quel che accadeva altrove : lotte che per il modo con cui erano state condotte avevano contribuito a disgregare e a spezzare il partito lasciando praticamente i lavoratori senza una direzione . Ma qui entriamo in una materia che deve essere trattata a parte e nella quale la parola spetta prima di tutto a coloro che sono i direttamente interessati .