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> categoria_s:"StampaQuotidiana" > anno_i:[1940 TO 1970} > autore_s:"Ottieri Ottiero"
IL LAMENTO DI UN SENZA DIALETTO ( Ottieri Ottiero , 1965 )
StampaQuotidiana ,
Il problema della lingua e le tesi di Pasolini Non ho mai scritto poesie , non sono mai stato ermetico ( anagraficamente , avrei avuto il tempo di esserlo ) . Non ho mai creduto troppo alla letteratura ; la filosofia , la scienza , la tecnica mi hanno sempre interessato di più . E pazienza . Il tecnicismo può sempre venir buono . Il grave è che non ho mai maneggiato dialetti . Mai ho avuto un mio dialetto . Ciò mi ha dato , negli anni Cinquanta , un penoso complesso di inferiorità . Per forza : pareva che nessuna operazione letteraria di avvicinamento alla realtà sociale , popolare ( cui tenevo tanto ) , cioè di mimesi , risultasse efficace senza o un dialetto o un pasticcio di dialetti o una prosa che risentisse del dialetto . Ma come facevo , se il dialetto non ce l ' avevo ? Mi sentivo , dalla lingua , condannato a essere un signorino di buona famiglia , che , nato a Roma da genitori senesi , era determinato dal privilegio di parlare romano con una bocca toscana : privilegio che mi rovinava agli occhi della storia e dell ' engagement . Come romanziere degli operai e dell ' industria uno con una bocca come la mia , che non riusciva nemmeno a dire « sifulum » e nemmeno « e mo ' che famo » , era spacciato . Ho pensato a prendere lezioni di dialetto : ma da chi ? Gli operai che frequentavo si sforzavano di parlare pulito , come me , l ' italiano medio era la spia della coscienza sindacale e politica cui tendevano con me , spasmodicamente . Se chiedevo loro qualche spiegazione sul milanese , credevano che li prendessi in giro . Parlare italiano era il loro vanto culturale e quando ricadevano istintivamente nel dialetto , si sentivano risucchiati dalla schiavitù . Una Berlitz School per i dialetti non c ' era . Mi tormentavo . Il mio carnefice linguistico era Pasolini , l ' amico che ho sempre amato e ammirato e che mi metteva soggezione perché oltre che essere geniale , ne aveva due , di dialetti : il suo , il friulano , e un altro , il romanesco , che aveva imparato . Lui due dialetti e io nessuno . Scrivevo senza accorgermene una lingua molto pasticciata di terminologie tecniche , psicotecniche , metalmeccaniche e commerciali : che risente del gergo industriale più che a livello operaistico - popolare , a livello degli operai specializzati , dei periti , degli ingegneri e dei venditori . Non lo facevo apposta , vivo con loro , sono uno di loro . Con la tecnica mi consolavo della castrazione di non aver dialetto ; mi vendicavo della letteratura ( che non stimava la mia bocca ) fornicando con la psicotecnica . Un notissimo critico diceva che avrebbe cominciato a farmi delle recensioni decenti solo quando mi fossi deciso a buttare via la psicologia e l ' industria . E avevo davanti a me il fantasma di Pasolini , abitando io a Milano e lui a Roma : egli non mi rimproverava soltanto la poca dimestichezza con la lingua , il non saperla riplasmare con picaresca reinvenzione ( quanto ho sofferto di non riuscire mai a essere un picaro ! ) . No . Dentro la lingua , percepivo la condanna ideologica di tradire , macchinando con le aristocrazie operaie imborghesite , con la tecnocrazia neocapitalistica portatrice di riformismi e false rivoluzioni , la carica rivoluzionaria vera , di cui soltanto il sottoproletariato è depositario : quindi il dialetto . La mia bocca denunciava in me il goffo populista da strapazzo , senza cuore autentico e senza orecchio per il popolo autentico . Ma il dialetto è come il coraggio : uno non se lo può dare . Sono passati così lunghi anni che hanno medicato la piaga , alla meglio . Il gergo della tecnocrazia D ' un tratto , una grigia sera d ' autunno , ascolto al teatro Manzoni di Milano Pasolini , il tanto invidiato . Egli dichiara che andiamo finalmente verso una lingua nazionale italiana , ad opera di un gergo egemone , quello industriale della tecnocrazia . Quali semi esemplari del nuovo italiano , verso cui Pasolini è ambivalentissimo ( lo sento ) , ma cui rende l ' onore delle armi e che accetta di porre sul trono anche della letteratura ( nonostante ciò segni una sconfitta della letteratura e una vittoria della tecnica ) , Pasolini cita due brani : uno del presidente del Consiglio onorevole Aldo Moro , e uno mio ( cioè tratto da un mio libro ) . Che dire ? Non sono mai stato un antilinguista . Ma , quasi sempre , un alinguista . Che cosa è l ' alinguismo ? È una inconsapevolezza verso la lingua che si adopera : come si adopera un braccio , o una gamba . Chi è consapevole dei propri arti , tranne il filosofante e colui al quale si rompono ? Descrivendo il modo in cui il bambino impara la lingua , Von Mises dice : « Né fa stupire il fatto che , data una tale maniera quasi istintiva di apprendere la lingua , la grande maggioranza degli uomini abbia un atteggiamento acritico di fronte alla propria lingua » . L ' alinguismo è dunque diffuso e comprensibile . Ciò non toglie che sia una forma d ' incoscienza . Senza dubbio ha le sue ragioni psicologiche , per le quali si prolunga in qualcuno più che in qualcun altro . È il segno di una opacità di qualcosa di noi e del mondo a noi stessi : e ritengo che dipenda da una cecità psicosociologica particolare , che colpisce proprio la presa di coscienza della lingua . Viene il momento in cui , piano piano , l ' uomo può « rendersi conto » della lingua che usa . Se è uno scrittore , diventa - come ha detto un critico francese - responsabile della propria scrittura . La distacca da sé , e la classifica , vi incide . Alcuni scrittori accentuano questo processo , altri lo annacquano . La maggiore o minore sensibilità al determinismo linguistico - che è un determinismo sociale - e alla presa di coscienza di esso , può rappresentare due modi diversi di essere scrittori . Oggi , ad esempio , la linguistica , la scienza che aiuta alla presa di coscienza della lingua ( come il marxismo aiuta alla comprensione dei determinismi economici ) , è di gran moda . La nuova linguistica ha una sua carica rivoluzionaria che si estende , con illuminazioni e terminologie , a scienze dell ' uomo attigue e non riguarda unicamente la letteratura . Il momento filosofico della scoperta della lingua è capitale . La rivelazione delle leggi interne della lingua è affascinante , come sempre quando si aprono gli occhi su qualcosa che è sempre stato sotto il naso ; è gravida di conseguenze fuori e nella letteratura . Le distinzioni , dovute alla linguistica , fra significante e significato , fra Lingua e Parola e , in genere , lo strutturalismo smuovono dal di dentro i modi dello scrivere , dell ' estetista , della critica . Lo strutturalismo , l ' ultimo degli « ismi » contemporanei , rischia di assumere un valore analogo a quello , mettiamo , dell ' esistenzialismo ; è un modo del conoscere : e nasce per la gran parte dalla linguistica nuova . Il momento filosofico offusca , almeno per me , il successivo momento storico , la disputa circa la formazione di una lingua nazionale , circa la supremazia di un tipo di lingua su un altro : problemi per i quali , come vecchio alinguista , non ho nessuna competenza e che certe volte danno l ' idea di essere noiosi . Soprattutto se affermazioni sulla situazione linguistica d ' oggi , previsioni sulla lingua di domani , subiscono il medesimo pericolo delle poetiche : essere razionalizzazioni , ammantate con storicità e razionalità , di fatti personali . Davvero l ' epicentro linguistico muove da Roma a Milano , o non è Pasolini che , pensando di tornare alla letteratura , si accorge di aver consumato linguisticamente Roma e scopre Milano per suo uso privato ? Lo accenno , perché spesso salgono da Roma a Milano persone che hanno bisogno di ricaricarsi poeticamente : allora immaginando l ' industria e vedendola da fuori , la mitizzano . La mitizzano come strapotere o kafkismo , o produttrice di occultismi , di nevrosi , eccetera . Quella linguistica potrebbe essere l ' ennesima mitizzazione ( ambivalentissima ) del mondo industriale . ( Teniamo però presenti il fiuto e la genialità di Pasolini . Tra lui e altri c ' è differenza ... ) Certo , se mi arriva la domanda di impiego di un neolaureato della provincia - e non sempre meridionale - il quale inizia con « Il sottoscritto » ; fa tutto un periodo fino alla firma , spezzandolo con « dichiara ... fa rispettosa istanza ... compiega ... » messi soli al centro della pagina ; usa magari la carta da bollo e conclude affermando : « Possiede patente auto » - mi trovo davanti un documento di un mondo che l ' industria ( ma lentamente ) erode . Ma il bello è che all ' interno dell ' industria gli uomini migliori ( ingegneri intendo e non umanisti , quegli ingegneri che alla moglie si rivolgerebbero chiamandola comunicativamente e non espressivamente « mia programmazione a tutti i livelli » « stocastica » e « algoritmo mio » ) già si preoccupano di ridimensionare (scusatemi...) l ' ondata tecnocratica , il fanatismo per « l ' uomo della organizzazione » e per l ' organizzazione stessa . Anzi , dall ' America arrivano ultime notizie che auspicano « l ' uomo della disorganizzazione » e teorizzano la necessità di una personalità artistica a capo delle aziende , invece che di personalità tecnocratiche ! La verità è che , almeno in Italia , cessato il boom , l ' industria si accorge di non poter continuare con il mito passepartout dell ' organizzazione ; e che i suoi uomini di avanguardia lavorano di continuo perché sulla tecnica vinca la scienza e sulla tecnocrazia la mentalità scientifica . Lo scontro supera quello , che sembra tanto concreto , invece è astratto , fra dialetto e gergo dei periti industriali . È lo scontro , che sta nel fondo della nostra epoca , fra l ' arte e la scienza , fra la proposizione filosofico - scientifica e la proposizione lirico - narrativa .