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> categoria_s:"StampaQuotidiana" > anno_i:[1940 TO 1970} > autore_s:"Rossi Ernesto"
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Quali risultati vogliono raggiungere con la nazionalizzazione dell ' industria elettrica ? - oggi si domanda anche chi presta meno attenzione ai problemi di politica economica . - Perché la sinistra democratica ha posto questo problema al centro del suo programma economico ? Non c ' erano molte cose più importanti da fare ? Non sarebbe stato meglio spendere in strade , ospedali , scuole , le centinaia di miliardi che occorreranno per riscattare gli impianti delle società elettriche ? Mi propongo di rispondere nel modo più esauriente possibile a queste domande riepilogando le principali ragioni economiche e politiche che militano in favore della nazionalizzazione . Dico che riepilogherò perché , dopo sedici anni di dibattiti nelle aule parlamentari , nei convegni , alla RAI , sulle riviste e sui giornali , credo non ci sia più niente di nuovo da aggiungere sull ' argomento . Le principali difese dello statu quo sono in un libro di 165 pagine edito dall ' ANIDEL nel dicembre del 1946 , col titolo Aspetti e problemi della nazionalizzazione , e nell ' opuscolo di 129 pagine , intitolato : Il monopolio privato sotto accusa , ovvero Della obiettività e della logica - Replica a Ernesto Rossi , edito , dalla stessa organizzazione di categoria degli industriali elettrici , nel maggio del 1960 . Citerò , per brevità , la prima pubblicazione come « libro del 1946» , e la seconda come « opuscolo del 1960» . Nella prefazione all ' opuscolo del 1960 - dedicato tutto quanto a controbattere la mia relazione su Le baronie elettriche al IX Convegno degli « amici del Mondo » - l ' ANIDEL mi accusò di dare al problema dell ' industria elettrica « una impostazione di carattere moralistico e religioso , che portava ad istituire , con i dogmi , la dittatura più pesante intesa a garantire la sicurezza e la felicità del carcere per tutti gli italiani . Non vi può , infatti , essere libertà personale e libertà politica se non vi è libertà economica e di iniziativa » . È vano obiettare che la nazionalizzazione di uno solo o di pochi settori industriali può non compromettere la libertà dell ' individuo . La differenza rispetto ai paesi ad economia collettiva si ridurrebbe ad una pura questione di misura , non certo di sostanza . Con rispetto parlando - come dicono i contadini toscani quando devono parlare dei piedi , o di altre parti del corpo che ritengono poco pulite - queste considerazioni sociologiche possono far concorrenza ai pensierini di Cecco Grullo . Nulla nella vita pratica è bene , e nulla è male in via assoluta . Ogni cosa ha un diverso valore a seconda delle circostanze cui si accompagna , ed a seconda del più o del meno : a parità delle altre condizioni , aumentando la dose , una medicina diventa veleno ; l ' utile risulta dannoso ; l ' atto morale diviene riprovevole ; l ' intervento autoritario liberatore si trasforma in un intervento che soffoca la personalità umana . Carlo Rosselli nel 1935 scriveva : La socializzazione parziale è garanzia di libertà ; la universale socializzazione è causa di schiavitù . Le nostre ferrovie furono nazionalizzate con le leggi 21 aprile 1905 e 15 luglio 1906 . A tali date non erano presidenti del Consiglio in Italia né Lenin , né Stalin ; ma l ' on. Fortis e l ' on. Giolitti . E nel luglio del 1907 Giolitti fece approvare il riscatto delle reti telefoniche ; nell ' aprile del 1912 il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita . Per l ' ing. De Biasi , presidente dell ' ANIDEL e consigliere delegato della Edison , era un comunista camuffato anche Giolitti ? Tutte le costituzioni economiche che si sono succedute , nel corso della storia delle società umane che conosciamo , sono costituzioni di economia miste : anche in quelle costituzioni in cui era garantito alle iniziative private il più ampio respiro , sono sempre stati riservati all ' ente pubblico particolari settori dell ' attività economica . Ed oggi vediamo che alcuni dei paesi che si sono spinti con maggior ardimento sulla strada delle nazionalizzazioni sono proprio i paesi che meglio realizzano princìpi di libertà civile e politica che più ci stanno a cuore . L ' Inghilterra ha nazionalizzato integralmente l ' industria elettrica fin dal 1948 . La nazionalizzazione dell ' industria elettrica viene richiesta in Italia per cinque ordini di ragioni . Con essa si vuole : - eliminare , o almeno ridurre al minimo , gli sperperi della ricchezza nazionale provocati dall ' attuale sistema ; - impedire lo sfruttamento monopolistico del mercato interno da parte delle società elettrocommerciali ; - creare le condizioni per fornire l ' energia elettrica come servizio pubblico , a vantaggio dell ' intera collettività nazionale ; - trasferire allo Stato una delle più importanti leve di comando per lo sviluppo economico del paese ; - contrastare l ' eccessivo accentramento del potere economico in poche mani ; accentramento che diviene sempre più pericoloso per la vita stessa delle nostre istituzioni democratiche . Comincio ad esporre il primo ordine di ragioni , che richiede un più ampio svolgimento . La maggior parte dell ' energia elettrica è prodotta ancora in Italia sfruttando i corsi di acqua , proprietà dello Stato : nel 1960 , su una produzione complessiva di 56.240 milioni di kWh , 46.100 milioni di kWh sono stati generati da impianti idroelettrici . Il Testo Unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici , dell'11 dicembre 1933 , tuttora in vigore , dispone che lo Stato può dare in concessione ai privati le sue forze idrauliche . Queste concessioni hanno , di regola , la durata di sessant ' anni , al termine dei quali dovrebbero passare gratuitamente allo Stato tutte le opere di raccolta , di regolazione e di derivazione , i canali adduttori delle acque , le condotte forzate e i canali di scarico . Alle medesime scadenze lo Stato avrebbe la facoltà di espropriare ogni altro edificio , macchinario , impianto di utilizzazione , di trasformazione e di distribuzione inerente alle concessioni , corrispondendo il valore di stima del materiale messo in opera , indipendentemente da qualsiasi valutazione del reddito da esso ricavabile . La nazionalizzazione dell ' industria elettrica - si legge nel libro dell ' ANIDEL del 1946 - si andrà così attuando nel tempo anche nel quadro delle leggi vigenti , senza bisogno di ricorrere a provvedimenti rivoluzionari e senza che lo Stato violi con atto unilaterale il contratto liberamente accettato al momento del rilascio della concessione . E se poi lo Stato volesse impiegare parte delle risorse a sua disposizione in impianti idroelettrici , sembrerebbe più consono alla logica e alla necessità del momento che esso facesse impianti nuovi , piuttosto che espropriare quelli esistenti . Le leggi in vigore gli offrono tutti i mezzi allo scopo occorrenti : basterà che i pubblici poteri riservino allo sfruttamento diretto dello Stato quella parte che vorranno delle forze idrauliche ancora disponibili ; una volta costruiti tutti gli impianti ancora possibili si potrà eventualmente porre di nuovo sul tappeto , e questa volta in maniera più logica , il problema del riscatto anticipato degli impianti concessi ai privati . Quando l ' ANIDEL scrisse queste righe l ' Assemblea costituente stava approvando l ' articolo 43 della Costituzione , che così dispone : Ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire , mediante espropriazione e salvo indennizzo , allo Stato [...] imprese o categorie di imprese , che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio , ed abbiano carattere di preminente interesse nazionale . Avendo , nel modo più evidente , tutt ' e quattro queste caratteristiche , sembrava che l ' industria elettrica dovesse essere subito nazionalizzata . Invece , cessato il vento di tempesta , è sopravvenuta la bonaccia dei governi di centro e 1'ANIDEL si è completamente dimenticata della « eventualità » , che col passar del tempo avrebbe dovuto divenire sempre più logica , del riscatto anticipato degli impianti , e la nazionalizzazione gratuita alle scadenze si è sempre più allontanata nel tempo . Infatti , per ottenere il massimo rendimento in energia dalle acque disponibili , gli impianti idroelettrici andrebbero molto spesso rinnovati , ed anche completamente ricostruiti , in rapporto al progresso della tecnica e alla espansione dei consumi . Ma quanto più si avvicina il termine delle concessioni e tanto meno le società concessionarie hanno convenienza ad investire gli ingenti capitali necessari per modificare gli impianti . La pubblica amministrazione si trova allora davanti al dilemma : o mantenere fissi i termini , rinunciando alla massima possibile valorizzazione delle disponibilità idrauliche , o concedere nuovi termini alle concessioni ( come è consentito dalla legge per i casi di modificazioni sostanziali degli impianti ) , rinunciando al trasferimento gratuito allo Stato . Il primo grosso gruppo di concessioni dovrebbe scadere nel 1977; le ultime concessioni verrebbero a scadere dopo il 2010 . Se - come pare abbia cominciato a verificarsi negli ultimi anni ( non ne sono sicuro perché , in questa materia , tutto è tenuto gelosamente segreto dagli uffici competenti ) - la pubblica amministrazione sceglie il secondo corno del dilemma , le concessioni formalmente temporanee diventano di fatto perpetue e la nazionalizzazione gratuita progressiva non può avere più neppure un inizio di attuazione . Il sistema vigente delle concessioni ai privati ha causato gravissimi sperperi del patrimonio idrico nazionale , perché i contrasti fra i gruppi capitalistici concorrenti allo sfruttamento dei medesimi bacini idrici ( contrasti ai quali hanno partecipato i partiti politici e i giornali finanziati dagli stessi gruppi ) hanno fatto ritardare di parecchi anni , ed anche di decenni , la costruzione degli impianti che avrebbero potuto utilizzare nel modo più economico le acque disponibili . In molti casi il ministero dei Lavori Pubblici non ha neppure assegnato le concessioni a chi aveva veramente intenzione di costruire gli impianti , ma a chi voleva riscattare le società elettriche , timorose della nascita di concorrenti , o voleva rivenderle , facendone un commercio simile a quello che vediamo fare dai titolari delle licenze di importazione e delle autorizzazioni all ' apertura di nuovi negozi . È vero che le « concessioni - ipoteca » sono severamente proibite dalle leggi ; ma quando sono in ballo i miliardi non possiamo fidarci dei controllori selezionati con i crivelli burocratici e compensati con remunerazioni di poco superiori a quelle degli uscieri . Con mille pretesti , e sempre in via del tutto eccezionale , sono state sovente consentite proroghe a ripetizione delle scadenze fissate nei capitolati . D ' altra parte , anche se la nostra pubblica amministrazione fosse stata sempre in grado di scegliere fra i gruppi capitalistici concorrenti quelli che presentavano i migliori programmi per l ' utilizzazione delle acque pubbliche e davano più sicure garanzie tecniche ed economiche di realizzarli entro i termini stabiliti , il sistema delle concessioni avrebbe sempre causato gravi sperperi del patrimonio idrico nazionale . Per valorizzare al massimo le risorse disponibili non basta , infatti , produrre la maggiore quantità possibile di energia : occorre anche che , una volta prodotta , l ' energia venga consumata nel modo più conforme all ' interesse generale . Nell ' opuscolo del 1960,1'ANIDEL afferma : Chiunque abbia anche una superficiale conoscenza della realtà economica sa che il massimo profitto ( parliamo qui , naturalmente , non del massimo profitto conseguibile a mezzo di prezzi esagerati rispetto ai costi , ma di quello realizzabile , nel rispetto delle leggi economiche massimizzando le vendite ) , sa , dicevamo , che il massimo profitto individuale o di una attività industriale o commerciale coincide con il massimo di utilità dell ' intera nazione ; è infatti dalla somma dei guadagni dei singoli che si ha la prosperità di un paese . Qualora a questo principio si sostituisca quello inverso - cioè che l ' utilità dell ' intera nazione nasce non dal massimo , ma dal minimo profitto - si avrebbe il fallimento del paese . Ma neppure queste considerazioni brillano per eccezionale intelligenza . Nessuno sa che cosa sia un prezzo « non esagerato » ; nessuna legge economica fa massimizzare le vendite a chi può conseguire un maggiore utile netto vendendo quantità inferiori ; chiunque conosca anche solo superficialmente la letteratura economica moderna sa bene che la somma dei redditi individuali non dà la misura della prosperità di un paese , e che , neppure nell ' ipotesi teorica di un regime di concorrenza perfetta , il massimo profitto dei singoli coincide col massimo di utilità collettiva . E nessuna persona di buon senso penserebbe mai di dimostrare la validità di un principio facendo risultare l ' assurdità del suo inverso . La verità è che - liberi di fare tutto quello che desiderano dell ' energia prodotta con le acque pubbliche , e mirando esclusivamente a rendere massimi i profitti aziendali - le società elettrocommerciali possono avere , e di fatto hanno spesso , interesse a distribuire col contagocce l ' energia nelle zone depresse , che ne avrebbero più bisogno quale stimolo allo sviluppo industriale : e gli autoproduttori possono avere , e spesso di fatto hanno , convenienza a impiegare l ' energia direttamente in usi relativamente poveri ( elettrochimica , elettrometallurgica , carburo , cemento , eccetera ) , sottraendola a impieghi socialmente di maggior importanza ( illuminazione , forza motrice , eccetera ) . Altri gravi sperperi della ricchezza nazionale sono la inevitabile conseguenza della molteplicità delle società elettrocommerciali e dello spezzettamento del territorio nazionale in tante distinte riserve di sfruttamento , tendenzialmente autarchiche . La molteplicità delle imprese produttrici indipendenti e in contrasto tra loro ha finora impedito di costruire gli impianti idroelettrici secondo piani d ' insieme , per ottenere da ogni bacino imbrifero il massimo di energia al minor costo possibile , e di coordinare nel modo più economico la distribuzione dell ' energia prodotta nei diversi bacini che hanno regimi idrologici complementari . La divisione dell ' Italia in tanti feudi - della Edison , della SADE , della SIP , della Valdarno , della Romana , della SME , della SGES , delle aziende municipali - ha così fatto investire ingentissimi capitali in linee e in cabine di trasformazione tecnicamente non necessarie , ed ha causato enormi dispersioni di energia in trasporti che avrebbero potuto essere risparmiati . Per avere un ' idea della entità di questi sperperi basta osservare quante linee superflue arrivano nelle stesse località , e come alcune regioni consumino energia prodotta da centrali termiche , mentre esportano la loro energia idroelettrica . Ad Apuania , ad esempio , arrivano linee costruite dalla Edison , dalla Montecatini , dalla Terni , dalla Valdarno , dalla Falk , dalle Ferrovie , dall ' Azienda municipale di Torino ; ed a questa molteplicità di linee corrisponde la molteplicità delle sottostazioni , ognuna delle quali viene gestita separatamente , con proprio personale . Da parte loro la SIP e la Valdarno producono in Alto Adige l ' energia che distribuiscono rispettivamente in Piemonte e in Toscana , sicché il Veneto , invece di consumare la propria energia idroelettrica , consuma energia termoelettrica , che avrebbe potuto essere la razionale integrazione delle centrali alimentate con le acque fluenti e delle centrali termiche ( che , per dare il massimo rendimento , dovrebbero avere un funzionamento continuo ) con le centrali idroelettriche , fornite di serbatoi dove può essere accumulata l ' acqua nei periodi in cui c ' è minore domanda di energia per disporne nei periodi di maggior richiesta . Se non si provvedesse subito alla nazionalizzazione dell ' industria elettrica , questo difetto di interconnessione provocherebbe perdite molto maggiori quando entrassero in funzione le tre centrali elettronucleari attualmente in costruzione : non potendo mai interrompere la loro attività produttiva , queste centrali sarebbero costrette a disperdere nell ' atmosfera , o a impiegare in usi poveri la loro energia ( molto più costosa dell ' energia prodotta nelle altre centrali ) che non riuscissero a immettere continuamente nelle reti . Non dobbiamo , infine , dimenticare che - per far fronte alla eventualità di guasti e alle necessità della manutenzione , e per sopperire alla variabilità della domanda - qualsiasi sistema , da qualunque fonte ottenga l ' energia , ha bisogno di una riserva di potenza tanto maggiore quanto più è frazionato fra gruppi indipendenti . Per analoghe ragioni , prima del 1926 , i quattro istituti di emissione dovevano avere , a copertura dei loro impegni , riserve molto maggiori di quelle di cui ha avuto bisogno la sola Banca d ' Italia , dopo che l ' emissione dei biglietti è stata unificata in un solo istituto . Parlando nel marzo del 1960 al sopraricordato convegno sui vantaggi economici della nazionalizzazione dell ' industria elettrica in Inghilterra , sir Josiah Eccles , vicepresidente dell ' Electricity Council , disse che quella nazionalizzazione « rendendo più efficiente la interconnessione e migliorando il trasporto dell ' energia su scala nazionale aveva ridotto al minimo la necessità di una potenza di riserva , ed aveva quindi di molto ridotto il costo degli impianti di produzione atti a soddisfare un dato carico » . Mi sembra questo un risultato di enorme importanza economica .