StampaQuotidiana ,
Quali
risultati
vogliono
raggiungere
con
la
nazionalizzazione
dell
'
industria
elettrica
?
-
oggi
si
domanda
anche
chi
presta
meno
attenzione
ai
problemi
di
politica
economica
.
-
Perché
la
sinistra
democratica
ha
posto
questo
problema
al
centro
del
suo
programma
economico
?
Non
c
'
erano
molte
cose
più
importanti
da
fare
?
Non
sarebbe
stato
meglio
spendere
in
strade
,
ospedali
,
scuole
,
le
centinaia
di
miliardi
che
occorreranno
per
riscattare
gli
impianti
delle
società
elettriche
?
Mi
propongo
di
rispondere
nel
modo
più
esauriente
possibile
a
queste
domande
riepilogando
le
principali
ragioni
economiche
e
politiche
che
militano
in
favore
della
nazionalizzazione
.
Dico
che
riepilogherò
perché
,
dopo
sedici
anni
di
dibattiti
nelle
aule
parlamentari
,
nei
convegni
,
alla
RAI
,
sulle
riviste
e
sui
giornali
,
credo
non
ci
sia
più
niente
di
nuovo
da
aggiungere
sull
'
argomento
.
Le
principali
difese
dello
statu
quo
sono
in
un
libro
di
165
pagine
edito
dall
'
ANIDEL
nel
dicembre
del
1946
,
col
titolo
Aspetti
e
problemi
della
nazionalizzazione
,
e
nell
'
opuscolo
di
129
pagine
,
intitolato
:
Il
monopolio
privato
sotto
accusa
,
ovvero
Della
obiettività
e
della
logica
-
Replica
a
Ernesto
Rossi
,
edito
,
dalla
stessa
organizzazione
di
categoria
degli
industriali
elettrici
,
nel
maggio
del
1960
.
Citerò
,
per
brevità
,
la
prima
pubblicazione
come
«
libro
del
1946»
,
e
la
seconda
come
«
opuscolo
del
1960»
.
Nella
prefazione
all
'
opuscolo
del
1960
-
dedicato
tutto
quanto
a
controbattere
la
mia
relazione
su
Le
baronie
elettriche
al
IX
Convegno
degli
«
amici
del
Mondo
»
-
l
'
ANIDEL
mi
accusò
di
dare
al
problema
dell
'
industria
elettrica
«
una
impostazione
di
carattere
moralistico
e
religioso
,
che
portava
ad
istituire
,
con
i
dogmi
,
la
dittatura
più
pesante
intesa
a
garantire
la
sicurezza
e
la
felicità
del
carcere
per
tutti
gli
italiani
.
Non
vi
può
,
infatti
,
essere
libertà
personale
e
libertà
politica
se
non
vi
è
libertà
economica
e
di
iniziativa
»
.
È
vano
obiettare
che
la
nazionalizzazione
di
uno
solo
o
di
pochi
settori
industriali
può
non
compromettere
la
libertà
dell
'
individuo
.
La
differenza
rispetto
ai
paesi
ad
economia
collettiva
si
ridurrebbe
ad
una
pura
questione
di
misura
,
non
certo
di
sostanza
.
Con
rispetto
parlando
-
come
dicono
i
contadini
toscani
quando
devono
parlare
dei
piedi
,
o
di
altre
parti
del
corpo
che
ritengono
poco
pulite
-
queste
considerazioni
sociologiche
possono
far
concorrenza
ai
pensierini
di
Cecco
Grullo
.
Nulla
nella
vita
pratica
è
bene
,
e
nulla
è
male
in
via
assoluta
.
Ogni
cosa
ha
un
diverso
valore
a
seconda
delle
circostanze
cui
si
accompagna
,
ed
a
seconda
del
più
o
del
meno
:
a
parità
delle
altre
condizioni
,
aumentando
la
dose
,
una
medicina
diventa
veleno
;
l
'
utile
risulta
dannoso
;
l
'
atto
morale
diviene
riprovevole
;
l
'
intervento
autoritario
liberatore
si
trasforma
in
un
intervento
che
soffoca
la
personalità
umana
.
Carlo
Rosselli
nel
1935
scriveva
:
La
socializzazione
parziale
è
garanzia
di
libertà
;
la
universale
socializzazione
è
causa
di
schiavitù
.
Le
nostre
ferrovie
furono
nazionalizzate
con
le
leggi
21
aprile
1905
e
15
luglio
1906
.
A
tali
date
non
erano
presidenti
del
Consiglio
in
Italia
né
Lenin
,
né
Stalin
;
ma
l
'
on.
Fortis
e
l
'
on.
Giolitti
.
E
nel
luglio
del
1907
Giolitti
fece
approvare
il
riscatto
delle
reti
telefoniche
;
nell
'
aprile
del
1912
il
monopolio
statale
delle
assicurazioni
sulla
vita
.
Per
l
'
ing.
De
Biasi
,
presidente
dell
'
ANIDEL
e
consigliere
delegato
della
Edison
,
era
un
comunista
camuffato
anche
Giolitti
?
Tutte
le
costituzioni
economiche
che
si
sono
succedute
,
nel
corso
della
storia
delle
società
umane
che
conosciamo
,
sono
costituzioni
di
economia
miste
:
anche
in
quelle
costituzioni
in
cui
era
garantito
alle
iniziative
private
il
più
ampio
respiro
,
sono
sempre
stati
riservati
all
'
ente
pubblico
particolari
settori
dell
'
attività
economica
.
Ed
oggi
vediamo
che
alcuni
dei
paesi
che
si
sono
spinti
con
maggior
ardimento
sulla
strada
delle
nazionalizzazioni
sono
proprio
i
paesi
che
meglio
realizzano
princìpi
di
libertà
civile
e
politica
che
più
ci
stanno
a
cuore
.
L
'
Inghilterra
ha
nazionalizzato
integralmente
l
'
industria
elettrica
fin
dal
1948
.
La
nazionalizzazione
dell
'
industria
elettrica
viene
richiesta
in
Italia
per
cinque
ordini
di
ragioni
.
Con
essa
si
vuole
:
-
eliminare
,
o
almeno
ridurre
al
minimo
,
gli
sperperi
della
ricchezza
nazionale
provocati
dall
'
attuale
sistema
;
-
impedire
lo
sfruttamento
monopolistico
del
mercato
interno
da
parte
delle
società
elettrocommerciali
;
-
creare
le
condizioni
per
fornire
l
'
energia
elettrica
come
servizio
pubblico
,
a
vantaggio
dell
'
intera
collettività
nazionale
;
-
trasferire
allo
Stato
una
delle
più
importanti
leve
di
comando
per
lo
sviluppo
economico
del
paese
;
-
contrastare
l
'
eccessivo
accentramento
del
potere
economico
in
poche
mani
;
accentramento
che
diviene
sempre
più
pericoloso
per
la
vita
stessa
delle
nostre
istituzioni
democratiche
.
Comincio
ad
esporre
il
primo
ordine
di
ragioni
,
che
richiede
un
più
ampio
svolgimento
.
La
maggior
parte
dell
'
energia
elettrica
è
prodotta
ancora
in
Italia
sfruttando
i
corsi
di
acqua
,
proprietà
dello
Stato
:
nel
1960
,
su
una
produzione
complessiva
di
56.240
milioni
di
kWh
,
46.100
milioni
di
kWh
sono
stati
generati
da
impianti
idroelettrici
.
Il
Testo
Unico
delle
disposizioni
di
legge
sulle
acque
e
sugli
impianti
elettrici
,
dell'11
dicembre
1933
,
tuttora
in
vigore
,
dispone
che
lo
Stato
può
dare
in
concessione
ai
privati
le
sue
forze
idrauliche
.
Queste
concessioni
hanno
,
di
regola
,
la
durata
di
sessant
'
anni
,
al
termine
dei
quali
dovrebbero
passare
gratuitamente
allo
Stato
tutte
le
opere
di
raccolta
,
di
regolazione
e
di
derivazione
,
i
canali
adduttori
delle
acque
,
le
condotte
forzate
e
i
canali
di
scarico
.
Alle
medesime
scadenze
lo
Stato
avrebbe
la
facoltà
di
espropriare
ogni
altro
edificio
,
macchinario
,
impianto
di
utilizzazione
,
di
trasformazione
e
di
distribuzione
inerente
alle
concessioni
,
corrispondendo
il
valore
di
stima
del
materiale
messo
in
opera
,
indipendentemente
da
qualsiasi
valutazione
del
reddito
da
esso
ricavabile
.
La
nazionalizzazione
dell
'
industria
elettrica
-
si
legge
nel
libro
dell
'
ANIDEL
del
1946
-
si
andrà
così
attuando
nel
tempo
anche
nel
quadro
delle
leggi
vigenti
,
senza
bisogno
di
ricorrere
a
provvedimenti
rivoluzionari
e
senza
che
lo
Stato
violi
con
atto
unilaterale
il
contratto
liberamente
accettato
al
momento
del
rilascio
della
concessione
.
E
se
poi
lo
Stato
volesse
impiegare
parte
delle
risorse
a
sua
disposizione
in
impianti
idroelettrici
,
sembrerebbe
più
consono
alla
logica
e
alla
necessità
del
momento
che
esso
facesse
impianti
nuovi
,
piuttosto
che
espropriare
quelli
esistenti
.
Le
leggi
in
vigore
gli
offrono
tutti
i
mezzi
allo
scopo
occorrenti
:
basterà
che
i
pubblici
poteri
riservino
allo
sfruttamento
diretto
dello
Stato
quella
parte
che
vorranno
delle
forze
idrauliche
ancora
disponibili
;
una
volta
costruiti
tutti
gli
impianti
ancora
possibili
si
potrà
eventualmente
porre
di
nuovo
sul
tappeto
,
e
questa
volta
in
maniera
più
logica
,
il
problema
del
riscatto
anticipato
degli
impianti
concessi
ai
privati
.
Quando
l
'
ANIDEL
scrisse
queste
righe
l
'
Assemblea
costituente
stava
approvando
l
'
articolo
43
della
Costituzione
,
che
così
dispone
:
Ai
fini
di
utilità
generale
la
legge
può
riservare
originariamente
o
trasferire
,
mediante
espropriazione
e
salvo
indennizzo
,
allo
Stato
[...]
imprese
o
categorie
di
imprese
,
che
si
riferiscono
a
servizi
pubblici
essenziali
o
a
fonti
di
energia
o
a
situazioni
di
monopolio
,
ed
abbiano
carattere
di
preminente
interesse
nazionale
.
Avendo
,
nel
modo
più
evidente
,
tutt
'
e
quattro
queste
caratteristiche
,
sembrava
che
l
'
industria
elettrica
dovesse
essere
subito
nazionalizzata
.
Invece
,
cessato
il
vento
di
tempesta
,
è
sopravvenuta
la
bonaccia
dei
governi
di
centro
e
1'ANIDEL
si
è
completamente
dimenticata
della
«
eventualità
»
,
che
col
passar
del
tempo
avrebbe
dovuto
divenire
sempre
più
logica
,
del
riscatto
anticipato
degli
impianti
,
e
la
nazionalizzazione
gratuita
alle
scadenze
si
è
sempre
più
allontanata
nel
tempo
.
Infatti
,
per
ottenere
il
massimo
rendimento
in
energia
dalle
acque
disponibili
,
gli
impianti
idroelettrici
andrebbero
molto
spesso
rinnovati
,
ed
anche
completamente
ricostruiti
,
in
rapporto
al
progresso
della
tecnica
e
alla
espansione
dei
consumi
.
Ma
quanto
più
si
avvicina
il
termine
delle
concessioni
e
tanto
meno
le
società
concessionarie
hanno
convenienza
ad
investire
gli
ingenti
capitali
necessari
per
modificare
gli
impianti
.
La
pubblica
amministrazione
si
trova
allora
davanti
al
dilemma
:
o
mantenere
fissi
i
termini
,
rinunciando
alla
massima
possibile
valorizzazione
delle
disponibilità
idrauliche
,
o
concedere
nuovi
termini
alle
concessioni
(
come
è
consentito
dalla
legge
per
i
casi
di
modificazioni
sostanziali
degli
impianti
)
,
rinunciando
al
trasferimento
gratuito
allo
Stato
.
Il
primo
grosso
gruppo
di
concessioni
dovrebbe
scadere
nel
1977;
le
ultime
concessioni
verrebbero
a
scadere
dopo
il
2010
.
Se
-
come
pare
abbia
cominciato
a
verificarsi
negli
ultimi
anni
(
non
ne
sono
sicuro
perché
,
in
questa
materia
,
tutto
è
tenuto
gelosamente
segreto
dagli
uffici
competenti
)
-
la
pubblica
amministrazione
sceglie
il
secondo
corno
del
dilemma
,
le
concessioni
formalmente
temporanee
diventano
di
fatto
perpetue
e
la
nazionalizzazione
gratuita
progressiva
non
può
avere
più
neppure
un
inizio
di
attuazione
.
Il
sistema
vigente
delle
concessioni
ai
privati
ha
causato
gravissimi
sperperi
del
patrimonio
idrico
nazionale
,
perché
i
contrasti
fra
i
gruppi
capitalistici
concorrenti
allo
sfruttamento
dei
medesimi
bacini
idrici
(
contrasti
ai
quali
hanno
partecipato
i
partiti
politici
e
i
giornali
finanziati
dagli
stessi
gruppi
)
hanno
fatto
ritardare
di
parecchi
anni
,
ed
anche
di
decenni
,
la
costruzione
degli
impianti
che
avrebbero
potuto
utilizzare
nel
modo
più
economico
le
acque
disponibili
.
In
molti
casi
il
ministero
dei
Lavori
Pubblici
non
ha
neppure
assegnato
le
concessioni
a
chi
aveva
veramente
intenzione
di
costruire
gli
impianti
,
ma
a
chi
voleva
riscattare
le
società
elettriche
,
timorose
della
nascita
di
concorrenti
,
o
voleva
rivenderle
,
facendone
un
commercio
simile
a
quello
che
vediamo
fare
dai
titolari
delle
licenze
di
importazione
e
delle
autorizzazioni
all
'
apertura
di
nuovi
negozi
.
È
vero
che
le
«
concessioni
-
ipoteca
»
sono
severamente
proibite
dalle
leggi
;
ma
quando
sono
in
ballo
i
miliardi
non
possiamo
fidarci
dei
controllori
selezionati
con
i
crivelli
burocratici
e
compensati
con
remunerazioni
di
poco
superiori
a
quelle
degli
uscieri
.
Con
mille
pretesti
,
e
sempre
in
via
del
tutto
eccezionale
,
sono
state
sovente
consentite
proroghe
a
ripetizione
delle
scadenze
fissate
nei
capitolati
.
D
'
altra
parte
,
anche
se
la
nostra
pubblica
amministrazione
fosse
stata
sempre
in
grado
di
scegliere
fra
i
gruppi
capitalistici
concorrenti
quelli
che
presentavano
i
migliori
programmi
per
l
'
utilizzazione
delle
acque
pubbliche
e
davano
più
sicure
garanzie
tecniche
ed
economiche
di
realizzarli
entro
i
termini
stabiliti
,
il
sistema
delle
concessioni
avrebbe
sempre
causato
gravi
sperperi
del
patrimonio
idrico
nazionale
.
Per
valorizzare
al
massimo
le
risorse
disponibili
non
basta
,
infatti
,
produrre
la
maggiore
quantità
possibile
di
energia
:
occorre
anche
che
,
una
volta
prodotta
,
l
'
energia
venga
consumata
nel
modo
più
conforme
all
'
interesse
generale
.
Nell
'
opuscolo
del
1960,1'ANIDEL
afferma
:
Chiunque
abbia
anche
una
superficiale
conoscenza
della
realtà
economica
sa
che
il
massimo
profitto
(
parliamo
qui
,
naturalmente
,
non
del
massimo
profitto
conseguibile
a
mezzo
di
prezzi
esagerati
rispetto
ai
costi
,
ma
di
quello
realizzabile
,
nel
rispetto
delle
leggi
economiche
massimizzando
le
vendite
)
,
sa
,
dicevamo
,
che
il
massimo
profitto
individuale
o
di
una
attività
industriale
o
commerciale
coincide
con
il
massimo
di
utilità
dell
'
intera
nazione
;
è
infatti
dalla
somma
dei
guadagni
dei
singoli
che
si
ha
la
prosperità
di
un
paese
.
Qualora
a
questo
principio
si
sostituisca
quello
inverso
-
cioè
che
l
'
utilità
dell
'
intera
nazione
nasce
non
dal
massimo
,
ma
dal
minimo
profitto
-
si
avrebbe
il
fallimento
del
paese
.
Ma
neppure
queste
considerazioni
brillano
per
eccezionale
intelligenza
.
Nessuno
sa
che
cosa
sia
un
prezzo
«
non
esagerato
»
;
nessuna
legge
economica
fa
massimizzare
le
vendite
a
chi
può
conseguire
un
maggiore
utile
netto
vendendo
quantità
inferiori
;
chiunque
conosca
anche
solo
superficialmente
la
letteratura
economica
moderna
sa
bene
che
la
somma
dei
redditi
individuali
non
dà
la
misura
della
prosperità
di
un
paese
,
e
che
,
neppure
nell
'
ipotesi
teorica
di
un
regime
di
concorrenza
perfetta
,
il
massimo
profitto
dei
singoli
coincide
col
massimo
di
utilità
collettiva
.
E
nessuna
persona
di
buon
senso
penserebbe
mai
di
dimostrare
la
validità
di
un
principio
facendo
risultare
l
'
assurdità
del
suo
inverso
.
La
verità
è
che
-
liberi
di
fare
tutto
quello
che
desiderano
dell
'
energia
prodotta
con
le
acque
pubbliche
,
e
mirando
esclusivamente
a
rendere
massimi
i
profitti
aziendali
-
le
società
elettrocommerciali
possono
avere
,
e
di
fatto
hanno
spesso
,
interesse
a
distribuire
col
contagocce
l
'
energia
nelle
zone
depresse
,
che
ne
avrebbero
più
bisogno
quale
stimolo
allo
sviluppo
industriale
:
e
gli
autoproduttori
possono
avere
,
e
spesso
di
fatto
hanno
,
convenienza
a
impiegare
l
'
energia
direttamente
in
usi
relativamente
poveri
(
elettrochimica
,
elettrometallurgica
,
carburo
,
cemento
,
eccetera
)
,
sottraendola
a
impieghi
socialmente
di
maggior
importanza
(
illuminazione
,
forza
motrice
,
eccetera
)
.
Altri
gravi
sperperi
della
ricchezza
nazionale
sono
la
inevitabile
conseguenza
della
molteplicità
delle
società
elettrocommerciali
e
dello
spezzettamento
del
territorio
nazionale
in
tante
distinte
riserve
di
sfruttamento
,
tendenzialmente
autarchiche
.
La
molteplicità
delle
imprese
produttrici
indipendenti
e
in
contrasto
tra
loro
ha
finora
impedito
di
costruire
gli
impianti
idroelettrici
secondo
piani
d
'
insieme
,
per
ottenere
da
ogni
bacino
imbrifero
il
massimo
di
energia
al
minor
costo
possibile
,
e
di
coordinare
nel
modo
più
economico
la
distribuzione
dell
'
energia
prodotta
nei
diversi
bacini
che
hanno
regimi
idrologici
complementari
.
La
divisione
dell
'
Italia
in
tanti
feudi
-
della
Edison
,
della
SADE
,
della
SIP
,
della
Valdarno
,
della
Romana
,
della
SME
,
della
SGES
,
delle
aziende
municipali
-
ha
così
fatto
investire
ingentissimi
capitali
in
linee
e
in
cabine
di
trasformazione
tecnicamente
non
necessarie
,
ed
ha
causato
enormi
dispersioni
di
energia
in
trasporti
che
avrebbero
potuto
essere
risparmiati
.
Per
avere
un
'
idea
della
entità
di
questi
sperperi
basta
osservare
quante
linee
superflue
arrivano
nelle
stesse
località
,
e
come
alcune
regioni
consumino
energia
prodotta
da
centrali
termiche
,
mentre
esportano
la
loro
energia
idroelettrica
.
Ad
Apuania
,
ad
esempio
,
arrivano
linee
costruite
dalla
Edison
,
dalla
Montecatini
,
dalla
Terni
,
dalla
Valdarno
,
dalla
Falk
,
dalle
Ferrovie
,
dall
'
Azienda
municipale
di
Torino
;
ed
a
questa
molteplicità
di
linee
corrisponde
la
molteplicità
delle
sottostazioni
,
ognuna
delle
quali
viene
gestita
separatamente
,
con
proprio
personale
.
Da
parte
loro
la
SIP
e
la
Valdarno
producono
in
Alto
Adige
l
'
energia
che
distribuiscono
rispettivamente
in
Piemonte
e
in
Toscana
,
sicché
il
Veneto
,
invece
di
consumare
la
propria
energia
idroelettrica
,
consuma
energia
termoelettrica
,
che
avrebbe
potuto
essere
la
razionale
integrazione
delle
centrali
alimentate
con
le
acque
fluenti
e
delle
centrali
termiche
(
che
,
per
dare
il
massimo
rendimento
,
dovrebbero
avere
un
funzionamento
continuo
)
con
le
centrali
idroelettriche
,
fornite
di
serbatoi
dove
può
essere
accumulata
l
'
acqua
nei
periodi
in
cui
c
'
è
minore
domanda
di
energia
per
disporne
nei
periodi
di
maggior
richiesta
.
Se
non
si
provvedesse
subito
alla
nazionalizzazione
dell
'
industria
elettrica
,
questo
difetto
di
interconnessione
provocherebbe
perdite
molto
maggiori
quando
entrassero
in
funzione
le
tre
centrali
elettronucleari
attualmente
in
costruzione
:
non
potendo
mai
interrompere
la
loro
attività
produttiva
,
queste
centrali
sarebbero
costrette
a
disperdere
nell
'
atmosfera
,
o
a
impiegare
in
usi
poveri
la
loro
energia
(
molto
più
costosa
dell
'
energia
prodotta
nelle
altre
centrali
)
che
non
riuscissero
a
immettere
continuamente
nelle
reti
.
Non
dobbiamo
,
infine
,
dimenticare
che
-
per
far
fronte
alla
eventualità
di
guasti
e
alle
necessità
della
manutenzione
,
e
per
sopperire
alla
variabilità
della
domanda
-
qualsiasi
sistema
,
da
qualunque
fonte
ottenga
l
'
energia
,
ha
bisogno
di
una
riserva
di
potenza
tanto
maggiore
quanto
più
è
frazionato
fra
gruppi
indipendenti
.
Per
analoghe
ragioni
,
prima
del
1926
,
i
quattro
istituti
di
emissione
dovevano
avere
,
a
copertura
dei
loro
impegni
,
riserve
molto
maggiori
di
quelle
di
cui
ha
avuto
bisogno
la
sola
Banca
d
'
Italia
,
dopo
che
l
'
emissione
dei
biglietti
è
stata
unificata
in
un
solo
istituto
.
Parlando
nel
marzo
del
1960
al
sopraricordato
convegno
sui
vantaggi
economici
della
nazionalizzazione
dell
'
industria
elettrica
in
Inghilterra
,
sir
Josiah
Eccles
,
vicepresidente
dell
'
Electricity
Council
,
disse
che
quella
nazionalizzazione
«
rendendo
più
efficiente
la
interconnessione
e
migliorando
il
trasporto
dell
'
energia
su
scala
nazionale
aveva
ridotto
al
minimo
la
necessità
di
una
potenza
di
riserva
,
ed
aveva
quindi
di
molto
ridotto
il
costo
degli
impianti
di
produzione
atti
a
soddisfare
un
dato
carico
»
.
Mi
sembra
questo
un
risultato
di
enorme
importanza
economica
.