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> categoria_s:"StampaQuotidiana" > anno_i:[1970 TO 2000} > autore_s:"Serra Michele"
Dio, patria e Rock'N'Roll ( Serra Michele , 1999 )
StampaQuotidiana ,
Tra un ragazzo praghese che offriva fiori ai carristi russi e un ragazzo occidentale che manifestava contro la guerra nel Vietnam non era facile , a partire dai blue - jeans e dai capelli lunghi , marcare le differenze . C ' è stato un tempo , tutto sommato lungo ( diciamo , grosso modo , da Easy Rider ai rave -party...), nel quale ci è parso che il cosmopolitismo fosse , per i giovani del mondo quasi intero , un destino inevitabile e soprattutto condiviso . Oggi gli studenti di Belgrado cresciuti a rock ' n ' roll rivoltano il loro stesso ritmo contro i sorvoli Nato . Ed è come assistere al disastro finale di un tacito , lunghissimo Piano Marshall infine vomitato dai suoi destinatari in faccia al mittente . I loro omologhi montenegrini disertano per non obbedire a Milosevic , preferendo onorare remote pulsioni micronazionali , memorie di re antichissimi , Lari e Penati i cui frantumi vengono ricomposti con devozione certosina , e furore quasi medianico , davanti ai focolari domestici . Ovunque rivegetano radici profonde e dimenticate , e sbucano dal suolo superficialmente mondializzato i fantasmi delle identità ancestrali : ossari di battaglie vecchie di secoli , santi vendicatori della fede , martiri della Nazione , decrepite date che ricominciano a sanguinare . I satelliti , che vagamente e forse presuntuosamente identificano in un campo smosso di fresco le tracce di una fossa comune , non riescono a sorvegliare e neppure a indovinare questo sinistro e rigoglioso risorgimento , che pure muta il territorio , e la sua percezione , ben più di quanto vogliano o possano gli eserciti e i bombardamenti . Se sono i vecchi pope maledicenti , gli anziani governanti , i consumati generali a predicare la guerra , sono poi i giovani , gli studenti , gli adolescenti ad accettarla , a farla e a sostenerne , sempre , ovunque , il maggior peso emotivo . Sono giovani i volontari russi che scalpitano per andare a battersi in Serbia , giovani i manifestanti di Belgrado , giovani i top - gun americani , tedeschi , francesi , italiani . Per la prima volta nella storia ascoltano la stessa musica , vedono gli stessi film , bevono la stessa birra , bivaccano in caffè e pubs identici , vestono gli stessi panni . Non è bastato , questo , a preservarli dalla guerra più di quanto sia accaduto , cinquant ' anni fa , a un nero americano o a un cosacco o a un siciliano , lontani l ' uno dagli altri quanto le loro diversissime culture , psicologie , antropologie , allora ancora separate , non comunicanti . Solo la guerra , allora , li fece incontrare . Oggi la guerra divide ciò che la pace era riuscita miracolosamente - ma quanto fragilmente - a unire . Quanti hanno creduto e sperato ( io pure ) che il cosmpolitismo delle gioventù mondiali , lanciato in groppa allo sfrenato galoppo di consumi culturali assai simili , favorito dai viaggi , dagli incontri , dalla condivisione di un ' identità e addirittura di un pathos giovanile comune , potesse favorire una convivenza meno bellicosa tra i popoli e le culture , devono ricredersi , e costringersi a ri - ragionare su moltissime cose . è come se una foresta dalla chioma uniforme ricominciasse a manifestare l ' irrimediabile differenza delle sue radici . Che gli umori rimessi in circolo da queste radici siano spesso velenosi e altrettanto spesso pretestuosi , posticci come può esserlo il culto di identità etniche ormai cancellate dalle migrazioni e dalla storia , è cosa che rende ancora più grave il fallimento della precedente , supposta uniformità delle speranze e delle buone volontà . Ben superficiale doveva essere la patina del cosmopolitismo , se a bucarla ovunque sono le minute ma acute pulsioni etniche : evidentemente , e purtroppo , per molti è più desiderabile ed efficace un ' identità locale , per quanto imparaticcia , piuttosto di un molto generico passaporto di cittadino del mondo , di quelli che sognavano i beatnik e gli studenti " alla pari " valicando decine di frontiere in autostop . Toccherà interrogarsi , di qui in poi , sulla precarietà e forse sulla stessa legittimità di un ' idea di concittadinanza , di amicizia , di somiglianza che ha viaggiato , per decenni e per due generazioni almeno , solo a cavallo dei consumi , culturali e non . Che molti di noi , per due generazioni almeno , abbiano saputo aggiungere a un disco , a un paio di jeans , a un ostello promiscuo anche il serio e maturo sogno di sentirsi a casa anche in casa altrui , non toglie evidenza , e drammaticità , allo spaesamento che questa promiscuità , al contrario , produce in tanti altri , e oggi specialmente in tanti giovani . Un mostruoso , ricchissimo catalogo di risposte false ( ma percepite come utili , e risolutive ) sforna in mezzo mondo quantità industriali di nuove identità . Escono dai bauli vecchie uniformi , vecchie icone , vecchi " Dio è con noi " che propongono il confortante calore della tribù . L ' illusione che a mondializzare il mondo bastasse il mercato non pare , in questi giorni , meno patetica dell ' illusione internazionalista , al cui ritirarsi , come quando la marea arretra , sono tornati alla luce tutti i rottami del nazionalismo , e neanche troppo arrugginiti . L ' identità delle persone e dei popoli è , evidentemente , una faccenda ben più complessa e ambigua di quanto risulti dai gloriosi grafici che illustrano la penetrazione delle merci , la rapidità di circolazione delle notizie , l ' incremento esponenziale del turismo , i matrimoni misti tra capitali finanziari e azioni . In mezzo a questa spaventosa crisi c ' è di buono , almeno , che i concetti di reazione e progresso , pur ridisegnandosi , riacquistano senso , e un senso bene intelligibile e spendibile . Tipicamente reazionario è ripudiare lo spaesamento della mondializzazione riaprendo i vecchi bauli della razza e della nazione . Tipicamente ( e disperatamente , oggi ) progressista è ricominciare a chiedersi quali strade sminare , quali frontiere dismettere perché nuovamente si possano incontrare e parlare , domani , coloro che la guerra divide : i giovani soldati e i giovani profughi , prima di tutto , perché toccherà a loro , per forza , riprendere il cammino di una vita che per i capi di oggi , che sono i giovani di ieri , è meno promettente , e molto più breve . Internet , musica e cinema , viaggi geografici e quelli virtuali , chissà . Purché si possa ripartire proprio da quel poco di utile , e di generoso , che la breve era cosmopolita ha lasciato sul campo , disperso e malinconico come le lattine dopo un concerto rock . C ' è , in mezzo alle macerie , un disco rotto da raccattare . Il vantaggio è che ognuno dei reduci , l ' americano , il serbo , il kosovaro , può riconoscere dalle prime note qual è la canzone . È quasi nulla , come vantaggio , ma è forse il solo che ci lascia il nostro secolo lungo .