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DIRITTO E GIUSTIZIA ( Abbagnano Nicola , 1966 )
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Quando a Socrate , che era in carcere in attesa del processo , gli amici proposero la fuga da Atene , egli rifiutò perché fuggire sarebbe stato azione ingiusta nei confronti delle leggi ateniesi che avevano presieduto alla sua nascita , alla sua educazione e all ' intera sua vita . « Giusto » è , in modo tipico , il comportamento di Socrate : cioè , in generale , di chi si ispira al rispetto delle leggi anche quando esse si rivolgono contro il suo interesse privato . Ma che cosa accade quando le leggi stesse , cui si dovrebbe obbedire per essere giusti , si ritengono « ingiuste » ? E come si fa a giudicare , in generale , se una legge è « giusta » o non lo è ? Gli uomini hanno presto fatto l ' amara esperienza che non tutte le leggi sono giuste . E per valutare la giustizia delle leggi , hanno fatto appello a una legge più alta , data dalla natura o da Dio , che sarebbe il fondamento di tutte le leggi umane . In un passo famoso del De Republica , Cicerone esaltava la legge eterna , razionale e conforme a natura che è immutabile in tutti i luoghi e in tutti i tempi ed è l ' espressione stessa della divinità che governa il mondo . E già Aristotele , in un ' illustrazione rimasta classica del concetto di « equità » , mostrava come questa fosse la correzione che i giudici apportano alle imperfezioni della legge positiva , mediante il ricorso alla legge eterna della giustizia . Per duemila anni circa , questi fondamenti del giusnaturalismo sono stati i principi incontestabili di ogni dottrina del diritto . Quando , nel '600 , la ragione umana cominciò a rivendicare la sua autonomia nei confronti dell ' ordine cosmico e della stessa divinità , la legge naturale apparve come la manifestazione della ragione e Grozio affermava che essa aveva la stessa necessità dei principi della matematica . Con ciò , essa non perdeva , ovviamente , la sua certezza assoluta , ma mutava soltanto il suo fondamento : che non veniva più riconosciuto nell ' ordine naturale o divino , ma nella infallibilità dell ' umana ragione . La consolante credenza in un ' unica , immutabile legge di giustizia ha continuato a permeare , anche dopo il tramonto del giusnaturalismo razionalistico del '700 , la maggior parte delle teorie filosofiche del diritto , che ne hanno dato ora questa ora quella giustificazione o l ' hanno in molti modi camuffata o mistificata . Soltanto negli ultimi decenni , ad opera di quella corrente che suol chiamarsi « positivismo giuridico » ma che non ha niente a che fare con il vecchio positivismo e perciò meglio si chiamerebbe « neoempirismo giuridico » , quella certezza è stata messa in crisi . La crisi è il riflesso , nel campo della teoria del diritto , della crisi generale della metafisica cioè della credenza in elementi assoluti , soprannaturali , trascendenti per spiegare il mondo della realtà umana . Quali sono le ragioni specifiche della crisi ? Il diritto naturale è stato invocato a fondare le leggi più disparate . Si è ricorso ad esso per giustificare l ' autorità assoluta dello Stato come per giustificare la lotta e l ' insurrezione contro lo Stato . Si è fondata su di esso la divisione naturale tra schiavi e liberi ( come fecero Platone e Aristotele ) e l ' uguaglianza naturale di tutti gli uomini ( come fecero gli Stoici , i Cristiani e gli Illuministi ) . Si è ritenuta legge di natura che il più forte prevalga sul più debole ( come dicevano gli antichi Sofisti e alcuni moderni ) e che tutti gli uomini debbano comportarsi come fratelli . Se ne è vista l ' espressione nella guerra belluina di tutti contro tutti e nella « solidarietà » che lega tutti gli uomini fra loro . Si è « dedotto » da esso l ' assolutismo politico ( Hobbes ) come il liberalismo ( Locke e molti moderni ) . Ma a che può servire una « legge unica ed eterna » che consente di giustificare le leggi positive più contrastanti e non permette di scegliere razionalmente tra esse ? È questo l ' interrogativo che domina il libro recente di una lancia spezzata del neoempirismo giuridico , il danese Alf Ross ( Diritto e giustizia ; l ' edizione italiana è del 1965 ) . « Il diritto naturale » scrive Ross « cerca l ' assoluto , l ' eterno , ciò che deve rendere il diritto qualcosa di più di una creazione dell ' uomo e che esonera il legislatore dalle penose responsabilità della decisione ... Ma l ' esperienza mostra che le dottrine costruite dagli uomini su questo fondamento , ben lungi dall ' essere eterne e immutabili , sono mutate a seconda dei tempi , dei luoghi e delle persone . La nobile sembianza del diritto naturale è stata usata per difendere o combattere ogni possibile tipo di richieste nascenti da una specifica situazione di vita o determinate da interessi politici ed economici di classe , dalla tradizione culturale , dai suoi pregiudizi e dalle sue aspirazioni . » Sotto quelle nobili sembianze si cela perciò , secondo Ross , « una sgualdrina che è a disposizione di tutti » . Il risultato di quest ' atteggiamento è la dissociazione totale tra i concetti di « diritto » e di « giustizia » . Le parole « giusto » e « ingiusto » sono interamente prive di significato se riferite , non ad un comportamento , ma ad una norma generale o ad un ordinamento giuridico . L ' ideologia della giustizia conduce solo al fanatismo e al conflitto perché pretende dar valore assoluto a interessi che si oppongono ad altri interessi e chiude la strada alla discussione diretta a trovare una soluzione razionale dei conflitti . Pertanto dichiarare ingiusta una norma o un riordinamento giuridico non è un atto di ragione ma l ' espressione di una reazione emotiva , cioè di atteggiamenti o di interessi che sono in contrasto con quella norma o non trovano in essa una sufficiente difesa . Sembrerebbe con ciò che ogni critica del diritto vigente , ogni tentativo di modificarlo o correggerlo , appartenesse al dominio dell ' irrazionale e consistesse solo in una cieca lotta di interessi . Ma Ross non spinge sino a questo punto la sua coerenza . Egli si preoccupa di stabilire anche il compito della « politica del diritto » cioè della disciplina di trasformazione del diritto . La politica del diritto concerne problemi che non sono , o non sono soltanto , giuridici perché appartengono all ' economia , alla finanza , pubblica o privata , al commercio , all ' educazione , ai rapporti con gli Stati esteri , alla difesa e via dicendo . Questi problemi devono ovviamente essere trattati o elaborati con le tecniche specifiche del campo cui appartengono e in base a tali tecniche vanno trovate le soluzioni di essi . La considerazione giuridica interviene soltanto per prevedere , nei limiti del possibile , quali sono le possibilità di influenzare , nel senso previsto da quelle soluzioni , le azioni umane mediante sanzioni giuridiche . E in questo senso la politica del diritto è « sociologia giuridica applicata » o « tecnica giuridica » . In tal modo all ' ideale di una unica norma di giustizia valida come criterio o fondamento di tutte le leggi si sostituisce come criterio per la valutazione e la correzione delle leggi il pluralismo delle tecniche invalse nei vari campi che sono , o possono essere , oggetto di regolamentazione giuridica . Soltanto queste tecniche potranno infatti dirci quali sono i fini che nei campi rispettivi è conveniente , o utile o indispensabile realizzare ; mentre la dottrina giuridica ci dirà se , e in quale misura , questa regolamentazione , agendo sui comportamenti , potrà condurre alla realizzazione di quei fini . Ma se così stanno le cose , può ancora dirsi , come vuole Ross , che dichiarare « ingiusta » una legge significa semplicemente abbandonarsi ad una « reazione emotiva » ? Mettendo tra parentesi l ' appello all ' ideale assoluto di giustizia del vecchio giusnaturalismo , affermare che una legge è « ingiusta » può avere proprio il significato chiarito da Ross , che essa non risponde alle tecniche del campo che dovrebbe regolamentare o alla tecnica causale delle sanzioni . Se per esempio l ' esperienza prova che la pena di morte non è un deterrente più efficace di altri , la sua abolizione diventa « razionale » perché fra l ' altro evita le conseguenze fatali di un possibile errore giudiziario . Norme legislative che aggravano i conflitti invece di evitarli o risolverli o che impediscono , limitano o inceppano attività che è interesse comune garantire e sviluppare o che negano ai cittadini , o a gruppi di cittadini , possibilità che sono a loro stessi o ad altri utili , convenienti o indispensabili , possono ben dichiararsi « irrazionali » nel senso ristretto e specifico di questo termine . E se per razionale s ' intende , non già il dettato di una ragione infallibile , ma ogni tecnica efficace , convalidata e correggibile , di un campo qualsiasi , il vecchio ideale della giustizia trascendente e normativa si converte in quello della razionalizzazione delle norme giuridiche , mediante l ' adeguazione a queste tecniche . Un compito limitato e fallibile quanto si vuole , ma profondamente umano e impegnativo , perché consente agli uomini di guardare con più fiducia al loro avvenire .
UTILITARISMO VECCHIO E NUOVO ( Abbagnano Nicola , 1966 )
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Alle domande : « Come devo agire ? Quale deve essere la guida delle mie azioni ? » , Si possono dare due risposte diverse . Si può dire : « Agisci secondo la voce della tua coscienza che è quella stessa della ragione o dell ' ordine cosmico o della volontà divina » . O si può dire : « Agisci in modo che la tua azione tenda ad accrescere la somma del benessere o della felicità comune » . Quest ' ultima è la risposta data al problema morale dall ' utilitarismo . Questa dottrina ( di cui si possono scorgere le prime tracce nei Sofisti e nello stesso Platone ) fu difesa , oltreché dagli Illuministi , da economisti e filosofi inglesi nella prima metà dell ' '800 ed è rimasta una delle alternative fondamentali della filosofia morale nel mondo moderno . Secondo l ' utilitarismo , un ' azione è buona o cattiva a seconda che tende ad accrescere o a diminuire il benessere pubblico . L ' azione morale dev ' essere la risultanza di un calcolo : bisogna pesare l ' entità rispettiva del piacere attuale e del piacere futuro e mai sacrificare il piacere maggiore al piacere minore . « L ' uomo virtuoso » diceva Bentham « accumula per l ' avvenire un tesoro di felicità ; l ' uomo vizioso è un prodigo che dissipa senza calcolo il suo reddito di felicità . » Chi resiste alla tentazione di un piacere presente in vista del danno che esso procurerà a sé o agli altri , si comporta moralmente ; chi soggiace a quella tentazione senza pensare a ciò che accadrà domani , si comporta immoralmente . Il benessere privato coincide con il benessere pubblico : l ' azione apparentemente disinteressata dell ' individuo che sacrifica il suo piacere al benessere comune , risponde all ' autentico interesse dell ' individuo ed è frutto di un calcolo intelligente che considera entrambi i piatti della bilancia . Bentham ( che dette la prima sistemazione rigorosa all ' utilitarismo ) riteneva che solo per questa via la morale può diventare una scienza esatta e sottrarsi alla saggezza decorativa , alle parole sacramentali , alle distinzioni casistiche e ai dogmi dell ' intolleranza . L ' utilitarismo ( egli diceva ) rende di facile uso la regola del dovere e ne fa un aiuto efficace per il benessere quotidiano degli uomini . La critica che Alessandro Manzoni rivolse all ' utilitarismo nell ' appendice al capitolo terzo della Morale cattolica ( 1855 ) è rimasta decisiva per la filosofia italiana . Manzoni opponeva all ' utilitarismo che ciò che è moralmente giusto non si può confondere con ciò che è utile all ' individuo e alla società , che l ' azione morale autentica è ispirata non dall ' interesse , ma da una norma che obbliga la coscienza e che il concetto stesso di obbligazione non nascerebbe se la morale fosse fondata sull ' utilità perché seguire l ' interesse non è un obbligo ma una tendenza . Manzoni riconosceva che ciò che è giusto è anche utile , nel senso che chi agisce giustamente può attendersi una ricompensa e chi agisce ingiustamente un castigo ; ma riteneva che questo legame tra giustizia e utilità non indicasse l ' identità dei due termini ma piuttosto la loro distinzione . E negava che il criterio dell ' utilità servisse a rendere più facile la scelta dell ' azione da compiere . Infatti , prevedere tutti gli effetti che una azione determinata avrà nel futuro su noi stessi e sugli altri , per determinarne il grado di utilità , è un compito difficile e quasi impossibile sulla scorta delle indicazioni che l ' esperienza passata può dare : tanto più che l ' esperienza può farci prevedere il corso probabile delle cose , non quello certo . Dopo la critica manzoniana , l ' utilitarismo ( che era stata la premessa filosofica dell ' opera di Beccaria , Dei delitti e delle pene ) non ha suscitato in Italia che un blando interesse storico ma non è stato assunto , neppure da pensatori positivisti , come punto di partenza dell ' indagine della vita morale . Nella filosofia anglo - americana invece esso è rimasto , con poche eccezioni , l ' indirizzo dominante , pur essendo sottoposto a critiche minute , e continua ad essere l ' unica alternativa all ' interpretazione metafisica o teologica del mondo morale . Dopo la guerra , esso ha assunto una nuova forma ed è stato chiamato utilitarismo « modificato » , « ristretto » , o « indiretto » , perché non si applica più alle azioni ma solo alle regole da cui esse sono dirette . Secondo il vecchio utilitarismo , un ' azione è buona o cattiva a seconda che contribuisce o no al benessere o alla felicità comune . Secondo il nuovo utilitarismo , un ' azione è buona o cattiva se si conforma o no a una regola ; ma una regola è buona o cattiva a seconda che contribuisce o no al benessere comune . Secondo il vecchio utilitarismo , il calcolo dei piaceri o dei dolori che possono derivare da un ' azione determinata deve essere fatto da chiunque si appresta a compiere l ' azione stessa ; secondo il nuovo utilitarismo , questo calcolo dev ' essere fatto solo da coloro che si accingono a dare un giudizio sulle regole della morale e vogliono saggiarne o determinarne il valore . Da questo punto di vista , mentre la vita morale consiste ( proprio come crede il comune buon senso ) nell ' obbedienza alle leggi e non ha bisogno di appellarsi al criterio utilitario , l ' indagine morale , al livello della riflessione filosofica , deve fare appello a quel criterio nella valutazione e nella critica delle norme morali , delle leggi giuridiche e delle istituzioni sociali . Si tratta , certamente , di un punto di vista assai più scaltrito che si sottrae in buona parte alle critiche cui andava soggetto l ' utilitarismo classico . Rimane da vedere se esso si sottrae veramente a tutte le critiche decisive , cioè se dà conto di tutti gli aspetti della vita morale . E su questo punto i pareri sono ancora discordi . Un libro recente di David Lyons ( Forms and Limits of Utilitarianism , Oxford , 1965 ) giunge su questo punto a conclusioni negative . L ' utilitarismo nuovo , come il vecchio , non risolve tutti i problemi della morale . Soprattutto non dà conto dei diritti , dei doveri , delle obbligazioni nel loro carattere assoluto e incondizionato : in quanto non ammettono le limitazioni cui la clausola delle utilità li sottoporrebbe . Una promessa , ad esempio , è un impegno che è giusto sia mantenuto ad ogni costo , anche se il suo mantenimento cessa di essere utile per uno dei contraenti . Ancora una volta , il criterio dell ' utilità non risponde ( pare ) a tutte le esigenze della giustizia ed è dichiarato insufficiente a spiegare la vita morale . In un passo de La Repubblica , Platone diceva che neppure una banda di briganti o di ladri potrebbe mettersi insieme e portare a termine una malefatta qualsiasi , se non rispettasse , nel suo interno , le regole della giustizia . Non si potrebbe esprimere meglio il carattere funzionale delle regole che costituiscono la giustizia o , in generale , la vita morale . Queste regole tendono a far sì che gli uomini , invece di ammazzarsi e nuocersi a vicenda , possano vivere insieme e progettare e coordinare le attività da cui dipende la loro vita nel mondo . Tendono altresì a eliminare i conflitti o a diminuirli o a stabilire criteri per la loro soluzione pacifica ; nonché a favorire e dirigere certe trasformazioni dei moduli cui si conforma la vita associata o a escluderne altre . Si può discutere all ' infinito sul fondamento trascendente o immanente delle regole morali , sulle vie in cui sono manifestate o rivelate all ' uomo , sulla loro assolutezza o relatività e via dicendo . Ma sul fatto fondamentale della funzione che esse assolvono o debbono assolvere nella vita associata , cioè di rendere possibile questa vita e di non votarla alla distruzione ( che sarebbe la distruzione degli stessi individui che la compongono ) , si trovano d ' accordo i più disparati sistemi di etica . Ora proprio su questa funzione delle regole morali ha fatto leva l ' utilitarismo antico e moderno e fanno leva soprattutto le nuove forme di utilitarismo indiretto . Forse il termine stesso di « utilità » ( e quindi anche di « utilitarismo » ) è troppo ristretto per indicare la molteplicità delle funzioni che le norme morali devono assolvere nel contesto sociale , perché sembra riferirsi all ' interesse ristretto dell ' individuo che va in cerca del suo utile particolare . E certo avevano ragione i critici del vecchio utilitarismo ( Manzoni compreso ) di dubitare che l ' utile individuale coincidesse sempre con l ' utile comune . Ma il concetto di funzionalità delle regole morali ( come di quelle giuridiche ) non soggiace a queste critiche , perché si situa a un livello più alto di generalizzazione e non concerne più l ' utile privato come tale . Il criterio della funzionalità è presente , almeno implicitamente , a tutte le critiche ben fondate che oggi si rivolgono a istituzioni , ordinamenti giuridici o costumi o atteggiamenti ricorrenti : in quanto mostrano che istituzioni , ordinamenti , atteggiamenti non assolvono più la loro funzione o mirano a realizzare scopi che sono estranei al funzionamento di certi aspetti della società moderna . E se si considera la varietà e la disparità delle credenze , dei costumi , delle istituzioni dei popoli che ormai vivono a contatto di gomito in un mondo divenuto troppo stretto , e tra i quali c ' è una ferrea solidarietà di fatto che ha preceduto di gran lunga la buona volontà della comprensione reciproca , si vede subito come la considerazione funzionalistica della morale , indipendente com ' è , per sua natura , dai conflitti ideologici , è la sola capace di preparare la condizione per una effettiva coesistenza pacifica .
OTTIMISMO E PESSIMISMO ( Abbagnano Nicola , 1966 )
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Nel Candide di Voltaire , il protagonista , sottoposto dalla sorte ad ogni specie di immeritate e dolorose vicende , si consola asserendo , in accordo con gli insegnamenti del suo maestro Pangloss , che « tutto va per il meglio nel miglior dei mondi possibili » . Pochi di noi sarebbero oggi disposti a ripetere l ' insegnamento di Pangloss o a consolarsi come Candido . L ' esperienza di due guerre mondiali particolarmente feroci , con il loro accompagnamento di orrori , di distruzioni e di crudeltà inaudite ; quella , altrettanto decisiva , del carattere ostile e maligno delle forze naturali che , per quanto imbrigliate e dominate dalla tecnica scientifica , non mancano ad ogni occasione di rifarsi a danno della vita e dei beni degli uomini ; l ' eco dei disastri che colpiscono ora questa ora quella popolazione del globo , senza eccettuarne nessuna ; e il timore o la previsione di disastri e difficoltà ancora maggiori cui il genere umano può andare incontro nel prossimo o lontano futuro , sono tutti elementi che distolgono le persone pensose dall ' ottimismo di Candido . La stessa facilità e rapidità delle comunicazioni e la solidarietà di fatto che si è creata fra tutto il genere umano e per la quale niente che accada a una parte di esso è privo di conseguenze per le altre parti , rendono immediatamente presente anche all ' uomo più fortunato i dolori o le minacce che incombono su altri suoi simili e gli rendono difficile creder di vivere nel migliore dei mondi . Tuttavia , l ' atteggiamento suggerito dall ' ottimismo tende a conservarsi per inerzia anche quando la credenza nell ' ottimismo è stata ripudiata . Ci sono atteggiamenti ricorrenti , ai quali ciascuno di noi si abbandona frequentemente nel corso della vita , che sarebbero giustificabili solo sulla base della dottrina di Pangloss . Che il mondo vada avanti da sé , anche se io non mi preoccupo , nei limiti delle mie possibilità , di farlo andare avanti ; che le cose alla fine si accomodino e che il buon senso e la giustizia prevalgano in ogni caso ; che tutti i mali che capitano agli uomini siano portatori o forieri di altrettanti beni , sono forme di consolazione o di evasione cui ognuno è tentato di ricorrere in determinate circostanze ; e soprattutto quando l ' egoismo , la sfiducia o la pigrizia vanno in cerca di una giustificazione . Sembra che , in questi casi , una dottrina opposta a quella di Pangloss , cioè il pessimismo , sia una medicina salutare . Sembra , cioè , che l ' uomo sia meglio stimolato all ' azione e a una condotta razionale delle proprie faccende dalla credenza che il mondo non va da sé ma ha bisogno , per andare avanti , del contributo di tutti e che le cose volgono al peggio se nessuno fa nulla per migliorarle . Filosoficamente parlando , l ' ottimismo si fonda sulla dottrina che il mondo è stato fatto per gli uomini , cioè per rendere possibile la loro vita e la loro felicità e che la storia è indirizzata , dall ' ordine stesso del mondo , verso il progresso del genere umano . Il finalismo della natura e il progresso della storia sono le due espressioni dell ' ottimismo filosofico . Le grandi sintesi speculative dell ' '800 , dall ' idealismo al positivismo , hanno dato una base diversa a questi due pilastri , ma si sono accordate nel tenerli in piedi . L ' idealismo fondò questi pilastri sulla presenza , nel mondo , di una Ragione onnipotente che indirizza il divenire del mondo verso le istituzioni e le attività umane di natura più alta e spirituale ( lo Stato , l ' arte , la religione e la filosofia ) . Il positivismo ritenne che al divenire del mondo presiedesse un meccanismo infallibile , destinato a garantire la conservazione del genere umano e il suo progresso continuo . Nell ' uno e nell ' altro caso , l ' uomo appariva come il fine ultimo dell ' intera vita cosmica e le attività specificamente umane , cioè quelle spirituali , apparivano radicate nella sostanza del mondo e garantite da essa nella loro conservazione e nel loro sviluppo . È ovvio che da questo punto di vista c ' è poco da temere per le sorti dell ' uomo nel mondo . Il corso degli eventi , anche se apparentemente disordinato o sfavorevole , provvede , a lungo andare , alla correzione del disordine e alla restaurazione dei valori , nonostante la cattiva o deficiente volontà degli uomini , che può anche essere , a volte , uno strumento di quella correzione . Dall ' altro lato , quando Schopenhauer , nella sua polemica contro l ' idealismo , ne volle battere in breccia l ' ottimismo , ne capovolse proprio i presupposti metafisici . Il mondo non è l ' espressione di una Ragione onnipotente ma di una Volontà irrazionale e cieca , internamente dilaniata da conflitti insanabili , che mette gli esseri viventi gli uni contro gli altri e non garantisce a nessuno di essi la felicità e il progresso . Da questo punto di vista , la vita è un desiderare continuo senza meta e senza riposo ; è bisogno o mancanza , cioè dolore , e l ' infelicità è la condizione insuperabile dell ' uomo nel mondo . Schopenhauer additava l ' unica salvezza possibile nella negazione della volontà di vivere ( il nirvana buddistico ) cioè nell ' ascesi che fa tacere gradualmente tutti i bisogni e annulla la vita alla sua radice . Se questo fosse tutto quanto il pessimismo può dirci , l ' atteggiamento che ne deriva per l ' uomo non sarebbe diverso da quello dell ' ottimismo . Per ciò che riguarda la sua vita nel mondo , l ' uomo non può far nulla . Se c ' è una forza benigna o maligna , che regge le sorti del mondo e cui l ' uomo stesso è soggetto , la parte dell ' uomo si riduce a zero . La ragion pigra è la conseguenza di ogni impostazione filosofica di questo genere : una volta decisa qual è la natura del mondo , le situazioni in cui l ' uomo viene a trovarsi perdono ogni importanza perché si sa già in anticipo che si risolveranno in quell ' unico modo . L ' uomo può assumere la figura di un attore più o meno importante , nella storia del mondo , solo se le sorti di questa storia non sono decise in anticipo . In realtà , circa la natura del mondo nel suo complesso , gli uomini non sanno nulla . Pessimismo e ottimismo sono ipotesi molto azzardate che i filosofi formulano generalizzando certe situazioni , in cui l ' uomo viene frequentemente a trovarsi . In alcune di queste situazioni , l ' uomo riesce ad avere la meglio , in altre soccombe . Questo è tutto ciò che sappiamo . Generalizzare su questa base , decidere una volta per tutte che la natura del mondo è questa o quella , è un inutile azzardo che ha l ' unico risultato di fare dell ' uomo un pigro spettatore di eventi . Ciò che l ' uomo può fare di utile e di positivo è di rendersi conto , con analisi precise , delle situazioni che più frequentemente gli si offrono e di darsi alla ricerca dei mezzi che possono permettergli di superarle con successo . Questo gli impedirà di abbandonarsi troppo fiduciosamente al corso delle cose o di rinunziare in partenza a ogni tentativo di modificarlo . Lo renderà vigilante e attivo , seppure alieno dall ' illusione che ogni sua impresa sarà coronata dal successo . Gli darà una misurata fiducia nelle sue forze , facendogli apparire indegna di lui la rinuncia o la disperazione passiva . Lo aiuterà a progettare le varie forme della sua attività ma gli darà anche il senso del limite dei suoi progetti , delle condizioni cui debbono soddisfare e che possono determinarne la sorte . A conti fatti , si tratterà pur sempre di un pessimismo ma di un pessimismo , per così dire , di metodo , non di dottrina . Noi non sappiamo se l ' uomo riuscirà a sottrarre se stesso alla fame , alla distruzione , alla degenerazione , agli innumerevoli flagelli che lo minacciano . Sappiamo che dobbiamo provarci . Sappiamo anche che molto dipenderà dalla coordinazione e dalla tenacia dei nostri sforzi e molto , ancora , dalla conoscenza spregiudicata delle condizioni in cui questi sforzi si effettueranno e delle reazioni che susciteranno . E a questo fine , l ' uomo dovrà meglio conoscere se stesso e le sue capacità , oltre che le energie che la natura gli può offrire . Più che di miti , di apocalissi , di diagnosi totalitarie , l ' uomo ha bisogno , in ogni campo , e in primo luogo nella filosofia , di conoscenze e di norme che reggano alla prova dei fatti e che siano adatte a correggere i fatti stessi . Un pessimismo di questo genere non s ' arrende di fronte ai fatti , non dà sempre ragione ai fatti , ma non cessa di tenerne conto . E può consentire a ciascun uomo di aiutare meglio se stesso e di tendere con più efficacia la mano al suo prossimo .
LE RAGIONI DEL CUORE ( Abbagnano Nicola , 196 )
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« Il cuore ha ragioni che la ragione non conosce » , aveva detto Pascal , che attribuiva al cuore , tra gli altri compiti , quello di regolare i rapporti degli uomini fra loro e con Dio . A questo muscolo già tanto affaticato dalle sue funzioni fisiologiche , si continua a far ricorso per la correzione dei mali e degli errori che si riscontrano nella vita pubblica e privata dell ' uomo , come a un giudice supremo della verità , del bene e della giustizia . È un luogo comune che non basta conoscere il modo in cui il lavoro va fatto : occorre anche « prendersi a cuore » il lavoro , per farlo bene . L anche un luogo comune che ogni regola , legge o norma deve essere rafforzata o integrata dall ' impulso del cuore ; che solo il cuore può correggere l ' egoismo con l ' altruismo , la grettezza con la generosità , la fredda e impersonale giustizia con l ' umana comprensione . Gli appelli al cuore si moltiplicano in tutti i campi ( anche nella politica ) in cui le cose non vanno come dovrebbero o in cui la condotta dell ' uomo è disordinata , meschina o incoerente . Sembra che , lasciandosi guidare dal cuore , l ' uomo possa trovare , oltre che la sua felicità , anche quella dei suoi simili e in generale l ' armonia di tutto il genere umano . A questo sovraccarico morale del cuore hanno contribuito , esplicitamente o implicitamente , dottrine disparate . Rousseau voleva che l ' uomo si lasciasse guidare dalla « voce interiore del cuore » in tutte le sue faccende . La rivolta romantica dell ' individuo contro la società e le sue leggi fu condotta nel nome del cuore ; Hegel stesso , che si opponeva a questa rivolta , vedeva nel cuore ciò che rende immediata e vivente la forza della ragione . Molte filosofie dell ' '800 imponevano alla filosofia il compito di rispondere ai « bisogni del cuore » oltre che alle esigenze della ragione . Bergson contrapponeva alla morale dell ' obbligazione e della legge , propria delle società chiuse , la morale dell ' amore o dello slancio mistico propria delle società aperte . E molti positivisti e analisti contemporanei , considerando irriducibile il linguaggio della morale a quello della scienza , vedono nella morale un insieme di « atteggiamenti emotivi » cioè di desideri o di tendenze prive di giustificazione razionale , il cui organo specifico è ciò che tradizionalmente si chiama « cuore » . In generale , ogni volta che della ragione si fa un organo a sé , inserito nella struttura dell ' uomo ma indipendente da essa , si tende a contrapporre alla ragione un altro organo destinato a correggere l ' astrattezza , l ' impersonalità , la « freddezza » dei procedimenti razionali o a rendere immediati e vivi questi procedimenti . Ma che cosa sia il cuore , è domanda che difficilmente trova risposta . Certo , esso si identifica solitamente con la sfera dei sentimenti o delle emozioni ; ma né agli elementi di questa sfera , né alla sua totalità possono essere attribuite le funzioni di giudice infallibile che si ritengono proprie del cuore . La sfera delle emozioni è stata estesamente analizzata sia dalla psicologia sia dalla filosofia . Nessuno , oggi , ne sottovaluta l ' importanza . Ma le emozioni spirano dove vogliono e non si può sempre far conto sulla loro utilità , bontà ed efficacia nel dirigere le azioni dell ' uomo . Ci sono emozioni buone e cattive , emozioni che stimolano all ' azione e altre che paralizzano l ' azione stessa . Tra le emozioni , ci sono la paura , l ' odio , il risentimento , l ' angoscia , come c ' è l ' amore e lo slancio altruistico . Ma anche un amore cieco e indiscriminato può fare più male che bene e il sentimento più nobile può capovolgersi nel suo contrario , se non è sorretto da una disciplina lungimirante . In tutta questa schiera variopinta , non c ' è nulla che somigli a una guida infallibile , a un organo naturale capace di far sentire la sua voce nell ' interno dell ' uomo e di esprimere un giudizio sicuro su ciò che egli deve credere e fare . Sicché , per quanto la sfera del cuore sia generalmente identificata con quella del sentimento , la più elementare analisi di quest ' ultima esclude che essa possa svolgere da sola la funzione miracolosa che si attende dal cuore . Dall ' altro lato nessuno ha mai conferito al cuore il carattere o la dignità di una facoltà specifica , diversa dal sentimento e dalla ragione . L ' esistenza di facoltà come principi sostanziali diversi e autonomi delle attività umane , è stata da un pezzo revocata in dubbio . « Ragione » , « sentimento » , « volontà » , non sono facoltà ma schemi classificatori , utili per raggruppare le attività umane in base a certi loro caratteri dominanti . Il cuore non è dunque una facoltà ; che cosa è allora ? È semplicemente un mito del senso comune e della filosofia ; o , se si vuole , il simbolo idealizzato di certi atteggiamenti che si ritengono utili o necessari alla vita dell ' uomo o , comunque , si vogliono raccomandare o rafforzare . L ' invito a sentire la voce del cuore o a seguirne le ragioni significa in realtà l ' invito ad assumere atteggiamenti determinati , da cui attendiamo effetti benefici per noi stessi e per gli altri . « Prendersi a cuore il proprio lavoro » significa interessarsi ad esso , non lasciarsi andare alla routine , eseguirlo con la presenza vigile dell ' attenzione . Essere altruisti , generosi o comprensivi significa rinunziare a certi vantaggi minuti o a breve scadenza , ma in compenso procurarsi la possibilità di vivere in pace con se stessi e con gli altri . Sono tutte cose indispensabili ; ma , diciamolo pure , il cuore non c ' entra per nulla . Ciò che dà valore a un atteggiamento e consente di giudicarlo è la regola a cui esso obbedisce . L ' attività umana , in qualsiasi campo si svolga , è guidata da regole e il giudizio che si dà su di essa , quando si dice che è buona o cattiva , utile o dannosa , ecc . , suppone sempre la validità di una regola . Perfino un gusto artistico determinato ( per esempio il gusto classico o quello romantico o impressionistico , ecc . ) è un insieme di regole che guidano l ' attività degli artisti e il giudizio su di essa . Negli ultimi decenni abbiamo visto formarsi o determinarsi , sotto i nostri occhi , codici di regole che non esistevano in passato ; per esempio , quelle del traffico . La consuetudine prima , la sanzione giuridica dopo , intervengono a disciplinare , con regole , qualsiasi forma di attività che coinvolge un certo numero di persone e queste regole diventano tanto più importanti quanto più vitale è l ' interesse che quell ' attività ha per gli uomini in generale . Poiché gli uomini sono sempre vissuti insieme , certe regole fondamentali che rendono possibile la loro convivenza sono state accettate e seguite da tutti i gruppi umani e costituiscono il codice morale fondamentale , quello che garantisce la sopravvivenza di ogni raggruppamento umano . Ma queste regole assumono forme diverse nei diversi gruppi e nelle diverse civiltà . Certo , se tutti gli uomini fossero guidati dal « cuore » , quest ' organo ( come il corrispondente organo fisiologico ) dovrebbe funzionare identicamente in tutti gli uomini . Ma è facile constatare che non è così . Ancora oggi siamo colpiti ( e scandalizzati ) dall ' assenza in certe civiltà , che tuttavia non possono chiamarsi « primitive » , di atteggiamenti che siamo portati a ritenere propri di tutto il genere umano : per esempio , della pietà . La regola di partecipare in qualche modo alle sofferenze altrui e dell ' obbligo di alleviarle non esiste affatto in estese porzioni dell ' umanità vivente . Il « cuore » , a queste porzioni , non suggerisce nulla . In realtà ciò che può rafforzare l ' azione di certe regole e il rispetto di esse da parte di un numero crescente di persone è soltanto la convinzione ragionevole del loro effettivo valore , della loro funzionalità ai fini della sopravvivenza dei singoli e delle comunità , del loro sviluppo e del loro benessere . Non è possibile , in un ' epoca di critica come la nostra , in un ' epoca in cui anche il lavoro più semplice tende a evolversi in un ' attività che richiede l ' intelligente vigilanza dell ' individuo , affidare la validità delle regole morali a un organo supposto , misterioso e incomprensibile . La vita morale del genere umano offre oggi molti e gravi problemi ; ma uno dei modi di eluderli è quello di lasciarli affogare nel giulebbe del cuore .
DIRITTO E MORALE ( Abbagnano Nicola , 1966 )
StampaQuotidiana ,
Episodi recenti e situazioni in corso nella società contemporanea italiana conferiscono attualità al problema dei rapporti tra diritto e morale . Sembra a prima vista che non solo nell ' interpretazione di molte norme giuridiche ma nella stessa formulazione delle norme , nelle proposte di modifiche o correzioni dell ' ordinamento giuridico vigente , la questione decisiva sia spesso di natura morale . Il diritto , ad esempio , considera come reati le pubblicazioni « oscene » ; ma che cosa si deve intendere per oscenità ? Va considerata senz ' altro oscena ogni pubblicazione che comunque discuta problemi sessuali o che presenti o descriva situazioni , esigenze , conflitti che si riferiscono alla sfera sessuale ? Sembra che la risposta a questa domanda non possa esser data se non da quella che comunemente si chiama « coscienza morale » . La legislazione italiana non consente al cittadino il divorzio , mentre altre legislazioni lo ammettono . È un bene o un male che sia così ? Anche qui la questione si sposta immediatamente sul piano morale : se il divorzio è « immorale » , la legislazione farà bene ( sembra ) a non concederne la possibilità ai cittadini . Altre volte il rapporto tra diritto e morale è più sottile , ma egualmente evidente . L ' adulterio è certamente « immorale » , ma è dubbio se possa essere considerato un « reato » : un chiarimento della questione può ottenersi soltanto attraverso una delimitazione rispettiva delle sfere della morale e del diritto . In tutti questi casi , come in altri che si potrebbero addurre , il rapporto tra morale e diritto sembra un dato di fatto indiscutibile : il passaggio da una sfera all ' altra è suggerito dalle questioni concrete che insorgono in una delle due sfere . Ma le cose si complicano quando da tali questioni si passa alla teoria generale del diritto e all ' etica . A questo secondo livello si può incontrare e si incontra spesso la posizione che è in netto contrasto con quella che sembra suggerita dai casi accennati : la negazione di ogni rapporto tra morale e diritto . L ' ultimo libro di Hans Kelsen , La dottrina pura del diritto ( 1960 ) , la cui recente edizione italiana beneficia dell ' ottima traduzione di M.G. Losano , offre il vantaggio di presentare questa tesi negativa nel suo estremo rigore . Diritto e morale differiscono , secondo Kelsen , nel modo in cui prescrivono o vietano un certo comportamento umano . Il diritto è un ordinamento coercitivo , che tende a determinare un certo comportamento umano collegando al comportamento opposto un atto coercitivo dell ' organizzazione sociale ; la morale invece è un ordinamento privo di valore coercitivo , le cui sanzioni consistono soltanto nell ' approvazione o nella disapprovazione dei comportamenti a seconda che siano conformi o contrari alla norma . Ma il diritto , secondo Kelsen , non si fonda in alcun modo sulla morale . Potrebbe fondarsi sulla morale soltanto se esistesse una morale assoluta , un sistema unico di valori , che permettesse di affermare che ciò che è bene è sempre bene in tutte le circostanze e ciò che è male è sempre male . Ma questa morale assoluta non c ' è , secondo Kelsen . Non esiste una esigenza comune a tutti i sistemi morali . L ' ideale della pace o della non - violenza , che sembra il più universale , è stato spesso contraddetto . L ' antico Eraclito affermava che la guerra è la legge suprema di tutte le cose e il liberalismo moderno ha esaltato la competizione , la concorrenza , il conflitto come strumento di progresso . Perché allora un ordinamento giuridico dovrebbe essere più conforme a un sistema morale anziché a un altro ? Coloro che giustificano il diritto ricorrendo alla morale , vogliono solo mostrare che un certo sistema di diritto positivo è l ' unico possibile e che ogni tentativo di mutarlo è illegittimo . Questa presunta legittimazione del diritto positivo può essere uno strumento politico efficace , ma non ha base scientifica . « La scienza del diritto » dice Kelsen « non ha il compito di legittimare il diritto né di giustificare mediante una morale assoluta o relativa l ' ordinamento giuridico ma deve solo curare la conoscenza e la . descrizione del diritto » . Senza dubbio , queste vedute di Kelsen obbediscono a un indirizzo assai diffuso nel mondo della cultura moderna , indirizzo che tende a svincolare le discipline scientifiche da ogni impegno politico , religioso o genericamente ideologico per renderle adatte a comprendere tutti i molteplici aspetti della realtà cui si riferiscono . Una teoria del diritto , ad esempio , non può limitarsi a giustificare un determinato ordinamento giuridico : dev ' essere in grado di comprendere la natura e il funzionamento di qualsiasi ordinamento , perciò dev ' essere scevra di presupposti ideologici e in tal senso « pura » , cioè neutrale . Non si può dubitare della validità di una tale esigenza cui cercano di rispondere del loro meglio tutte le scienze umane , dopo che essa si è affermata vittoriosamente e con risultati eccellenti nelle scienze naturali . Tuttavia si può dubitare che la conoscenza e la descrizione del diritto non includa una qualche determinazione del modo in cui un complesso di norme giuridiche possa essere stabilito , conservato , difeso , corretto e interpretato . Le norme giuridiche intervengono , direttamente e indirettamente , negli Stati moderni , a disciplinare le più diverse attività umane : il lavoro , la produzione e lo scambio dei beni , l ' istruzione , le professioni e la condotta morale . Ciò che in tutti questi campi il diritto prescrive non è scelto a caso , ma sul fondamento delle conoscenze tecniche di cui si dispone in ciascuno di questi campi . L ' economia , l ' ingegneria , la medicina come la morale e in generale l ' intero corpus del sapere , forniscono il contenuto e determinano i limiti delle scelte del legislatore . Indubbiamente , una volta effettuata questa scelta , la norma positiva così introdotta diventa valida indipendentemente dalle esigenze che l ' hanno suggerita , in virtù del suo potere coercitivo . E in questo senso la forma della norma giuridica è indipendente dal suo contenuto e può essere considerata a parte . Ma ciò non toglie che ogni volta che una norma appaia antiquata rispetto allo sviluppo delle conoscenze tecniche o inoperante rispetto ai fini che si propone o diretta a fini che non possono essere realizzati per suo mezzo , nasce l ' esigenza oggettiva della sua modifica o della sua abolizione . Perciò il compito legislativo non è mai finito né concluso ; e a questo compito , che è fondamentale degli Stati moderni , la teoria pura del diritto di Kelsen non dà alcun aiuto . Esiste poi un limite intrinseco del diritto che risulta dalla natura coercitiva del diritto stesso . Una tecnica che agisce mediante sanzioni di natura fisica può garantire , nella maggior parte dei casi , certi comportamenti ma non certi altri . Può garantire l ' assistenza familiare e la coabitazione , ma non l ' affetto e l ' unità della famiglia . Può impedire certe espressioni artistiche , letterarie e scientifiche , ma non può far sì che siano feconde e riuscite quelle permesse . Può produrre il conformismo degli atti e delle parole , non la convinzione ragionevole . Può impedire iniziative e scoperte , ma non può produrne . Si può certo escludere che una qualsiasi organizzazione giuridica sia suscettibile di una giustificazione assoluta di natura morale o di altra natura . Ma ogni complesso particolare di norme , riferentesi a uno specifico oggetto , può essere tecnicamente valutato rispetto all ' efficacia dei mezzi di cui si avvale per raggiungere i suoi fini e rispetto alla validità di questi fini . Talvolta questa valutazione è assai facile , come ad esempio quando si tratti di norme che riguardino l ' edilizia o l ' igiene pubblica , perché in questi campi la scienza fornisce criteri poco discutibili , ai quali la legislazione non fa che adeguarsi . In altri casi , la valutazione è più difficile , come quando si tratta di norme che concernono il comportamento morale . Ma in ogni caso , poiché il diritto non è un mondo in sé concluso , senza alcuna relazione con il resto del mondo umano ma fa parte di questo , la sua funzione non può essere che strumentale rispetto alle esigenze , ai bisogni e agli interessi degli uomini . E si può subito , su questa base , stabilire una distinzione fondamentale . Esistono ordinamenti giuridici che non includono , tra le proprie possibilità , quella di un aggiornamento o di una correzione delle norme che li costituiscono ; e ci sono invece ordinamenti che la includono e sono organizzati proprio in vista di essa . Soltanto questa seconda specie di ordinamento costituisce quello che , con una vecchia espressione , si chiama « Stato di diritto » : come solo un sistema di conoscenze che può essere continuamente messo a prova e corretto si chiama , oggi , « scienza » .
CRIMINE E PUNIZIONE ( Abbagnano Nicola , 1966 )
StampaQuotidiana ,
Ad ogni crimine particolarmente crudele , a ogni fenomeno delittuoso che si ripeta con insolita frequenza o gravità , l ' opinione pubblica di tutto il mondo reagisce chiedendo l ' aggravamento delle pene corrispondenti . Si tratta di una reazione naturale , perché la società e i singoli individui che la compongono si sentono minacciati da quei fenomeni nella loro sicurezza e nella base stessa della loro coesistenza . Ma è una reazione che dà per scontato che basti l ' aggravamento della pena per impedire il ripetersi o l ' aggravarsi dei crimini ; ed è questa una credenza tutt ' altro che naturale perché si fonda su una determinata teoria filosofica della punizione . La filosofia morale e giuridica ha sempre dibattuto e dibatte oggi con maggiore frequenza e vivacità il problema del fondamento o della giustificazione della punizione , problema che , nella forma più generale , si può esprimere dicendo : Su che cosa si fonda il diritto di punire ? La risposta a questo problema consiste nello specificare il fine che la punizione deve raggiungere . E questo fine può essere specificato in tre modi diversi . In primo luogo , si può ritenere che la pena ha lo scopo di restituire l ' integrità dell ' ordine morale offeso o violato dal crimine , di ripristinare nella coscienza del reo , come degli altri , la maestà o la sacralità della legge lesa . Nella terminologia contemporanea , questo è detto il concetto remunerativo della pena . In secondo luogo , la pena può avere per scopo l ' emendamento o la salvezza del reo , cioè la sua rieducazione al rispetto della legge . Questo si chiama il concetto emendativo o curativo della pena . In terzo luogo , la pena può avere lo scopo di difendere la società , sia prevenendo il reato con il timore che essa ispira , sia mettendo il reo nell ' impossibilità di nuocere ulteriormente . Questo si chiama il concetto utilitario della pena perché è stato per la prima volta introdotto e difeso da filosofi utilitaristi ( Beccaria , Bentham ) . Questi tre concetti , per quanto abbiano basi teoretiche diverse , sono spesso utilizzati in modo misto o confuso , sia da filosofi o giuristi che discutono il fondamento della pena , sia dai sistemi penali vigenti che spesso si ispirano indiscriminatamente a più d ' uno di essi . Ma le discussioni recenti hanno mostrato che essi sono tra loro incompatibili e che conducono a conseguenze diverse soprattutto nella determinazione della misura della pena . La teoria remunerativa della punizione deriva dal presupposto che esiste nel mondo una legge universale di giustizia la quale esige che chi ha inflitto ad altri un danno qualsiasi debba subirlo nella stessa misura . Kant conduceva sino al paradosso questo concetto , affermando che anche quando la società civile si dissolvesse con il consenso di tutti i suoi membri , dovrebbe prima giustiziare l ' ultimo assassino che si trovasse in prigione . t chiaro che da questo punto di vista la somministrazione della pena dovrebbe rispondere alla regola dell ' occhio per occhio , dente per dente ed escluderebbe ogni possibilità di considerare le circostanze che possono aggravare o attenuare la colpa del reo . La misura della pena sarebbe stabilita una volta per tutte e non sarebbe suscettibile di essere aumentata o diminuita , perché sarebbe determinata unicamente dall ' entità dell ' offesa ... Dall ' altro lato , la concezione terapeutica della punizione , che ha nobili precedenti perché si può trovare esposta nel Gorgia di Platone , sembra negare ogni proporzione oggettiva tra il reato e la pena . Se la pena è come la purga , che deve purificare il reo dalle scorie del male , essa è tanto più efficace quanto più è forte , indipendentemente dalla colpa commessa . E perché non infliggere punizioni a tempo indeterminato cioè sino al ravvedimento del reo e che durino ( per una colpa qualsiasi ) anche tutta la vita , se egli non si ravvede ? Il concetto curativo della pena è oggi sostenuto da moralisti , psicanalisti e filantropi che vorrebbero abolito , nei confronti del reo , ogni atteggiamento di condanna o di indignazione affinché egli sia considerato soltanto come un malato da curare . E a un malato non c ' è nulla da rimproverare né da perdonare come non c ' è nulla da rimproverare o perdonare a chi agisce sotto l ' azione di una droga o dell ' ipnosi . Dall ' altro lato , non manca chi vede in questo concetto un magnifico pretesto per giustificare l ' azione di qualsiasi governo assolutista del tipo di quello descritto da Orwell nel 1984 . Per mandare una persona a « curarsi » ( cioè per toglierla dalla circolazione ) non è necessario che essa si dimostri delinquente o malvagia : basta che sia considerata « malata » cioè che non si adegui alle regole imposte dal governo . In ogni caso , da questo punto di vista , non soltanto la pena non può essere commisurata all ' offesa , ma , strettamente parlando , non esiste neppure una « pena » ; esiste una « cura » che , nonostante la sua apparenza filantropica , può prestarsi a tutti gli arbitri . A queste difficoltà si sottrae il terzo concetto della pena , quello che la considera come uno strumento di difesa della società civile . Cesare Beccaria esprimeva con una formula aurea questo concetto quando affermava : « Le pene che oltrepassano la necessità di conservare il deposito della salute pubblica sono ingiuste di loro natura » ( Dei delitti e delle pene , par . 2 ) . La dannosità che un ' azione comporta per la società è , come già riconosceva Hegel , la sola possibile misura per l ' entità della pena . Ma Hegel osservava anche ( e giustamente ) che questa misura è variabile in rapporto alla situazione storica della società stessa . La gravità della pena non può essere stabilita una volta per tutte , in rapporto al danno o all ' offesa cui essa corrisponde , né può essere stabilita in rapporto alla « malvagità » del delinquente o , se si preferisce , alla « malattia » di cui è affetto . Le circostanze storiche possono rendere opportuno o indispensabile l ' aggravamento di pena per reati considerati comunemente « minori » e una diminuzione di pena per reati « maggiori » . « Un codice penale » diceva Hegel « appartiene particolarmente al suo tempo e alla situazione della società civile nel tempo » . L questo indubbiamente il concetto della punizione cui implicitamente si fa appello quando , in certe circostanze , l ' opinione pubblica o i politici o i giuristi e gli stessi legislatori chiedono per certi reati l ' aggravamento o la diminuzione della pena . Non avrebbe senso infatti una modificazione qualsiasi della pena se questa dovesse corrispondere sempre esattamente al danno che il reo ha inflitto ad altri : d ' altra parte , non avrebbe senso il prolungamento della cura dei singoli nel caso di una epidemia o l ' abbreviazione di essa nei casi isolati . L ' atteggiamento dell ' opinione pubblica nei confronti dei crimini che per la loro gravità o per la loro frequenza la colpiscono in modo particolare è determinato , sia pure inconsciamente , dal senso della pericolosità che un crimine assume nelle situazioni che si ripetono con una certa frequenza in un periodo o in una fase della società civile . Certamente questo atteggiamento , forse proprio per la sua motivazione inconscia , è più emotivo che razionale e l ' emozione non è una buona guida in simili faccende . Un calcolo , per quanto possibile esatto , degli effetti che un aumento di pena può avere , a lunga scadenza , sulla frequenza e la gravità dei crimini , è indispensabile e questo calcolo può essere fondato soltanto su dati psicologici e sociologici , su statistiche e su previsioni probabili . Ed è da tener presente , a questo proposito , un ' avvertenza di Cesare Beccaria che troppo spesso viene ignorata e cioè che « la certezza di un castigo , benché moderato , farà sempre una maggiore impressione che non il timore di un altro più terribile , unito con la speranza dell ' impunità » . Pene terrificanti , ma inapplicate o inapplicabili , non hanno alcun effetto deterrente e non costituiscono una difesa efficace della società e dei suoi membri . Pene minime , ma certe e adeguate al danno che un reato può arrecare alla società civile in una certa situazione , sono le più efficaci . La misura , dicevano gli antichi saggi , è l ' ottima fra le cose ; ma è anche la più difficile . E nella nostra società così complessa , nella quale una quantità di fattori , talora imprevisti , entrano continuamente in azione , la misura della punizione non può essere fornita da concezioni antiquate , da vecchie tavole di leggi , da vaghe aspirazioni umanitarie , ma solo da indagini precise , illuminate da una valida teoria .
ADOLESCENZA DELL'UMANITÀ ( Abbagnano Nicola , 1967 )
StampaQuotidiana ,
« Inversione di tutti i valori : ecco la formula per il supremo riconoscimento di sé » , diceva Nietzsche . E sembrerebbe che , a distanza di quasi settant ' anni dalla sua morte , la sua formula sia fatta propria da un numero crescente di persone . La polemica di Nietzsche era diretta contro i valori tradizionali del disinteresse , dell ' abnegazione , della rinuncia , del sacrificio , e intendeva difendere i valori vitali , terrestri , corporei che esaltano la vita e , nonostante i dolori e gli orrori di essa , la fanno godere nella sua disordinata espansione . Questi valori vitali sembrano i soli veramente presenti e agenti nella società contemporanea . Nulla c ' è di più estraneo a questa società di tutte le innumerevoli forme dell ' ascetismo , contro le quali Nietzsche scagliava i suoi fulmini . La corsa al benessere , la ricerca incessante di soddisfazioni intense e immediate , l ' insofferenza verso ogni rinuncia o limitazione , il disprezzo o l ' oblio della disciplina imposta dalle regole tradizionali ( a meno che non siano appoggiate dalla forza ) , sono i tratti macroscopici della vita contemporanea , tratti che suscitano l ' indignazione dei moralisti , le lamentele obbligate dei benpensanti . e l ' annuncio di catastrofi imminenti dei profeti pessimisti . La letteratura e l ' arte che , almeno in una certa misura , sono lo specchio di un ' epoca , rappresentano ingranditi questi tratti e consentono di abbracciarli nel loro insieme . Il romanzo , il teatro , il cinema , le arti figurative , i fumetti , suscitano interesse e hanno successo solo nella misura in cui rappresentano nella forma più cruda e brutale eventi o situazioni negative , sconcertanti o anormali . Il naufragio dell ' esistenza umana in tutti i suoi aspetti , il sesso nelle sue forme aberranti o semplicemente sfacciate o sordide , la violenza interessata o gratuita , la volontà di dominio e l ' abiezione , l ' omicidio , il suicidio fisico o morale o , nel campo figurativo , la presentazione di oggetti insignificanti o ripugnanti , costituiscono i terni principali delle espressioni artistiche contemporanee . La critica stessa si adatta ai criteri impliciti in questa selezione di temi . La « favola bella » , il « lieto fine » , il dramma romantico , il trionfo della giustizia e ingredienti simili sono , dalla maggior parte dei critici , considerati clichés convenzionali che tolgono , alle opere in cui ricorrono , interesse e valore artistico . Dall ' altro lato , il marchese di Sade , i poeti e gli scrittori « maledetti » cominciano a godere di una popolarità che non ebbero ai loro tempi e ad essere considerati i capostipiti di una svolta decisiva della storia letteraria ; e la tendenza iconoclastica contro figure sinora ritenute venerande si accentua negli scrittori di tutti i campi . Perfino l ' uso delle droghe è talora apertamente difeso ed esaltato come uno strumento di felicità personale o per vedere il mondo in una luce imprevista o addirittura per accedere all ' esperienza mistica del soprannaturale . Solo i filosofi sembrano vivere in un ' isola separata dal resto del mondo . Tranne qualche eccezione , discettano del bene e del male come se tutti sapessero dove stanno . Ma è proprio questo che gli uomini oggi non sanno o si rifiutano di sapere . t proprio questo il problema per ognuno e per tutti : rendersi conto , con cognizione di causa , di come e dove dev ' essere diretta la vita dell ' uomo . La radice di questa incertezza è la totale sfiducia nelle garanzie di cui i valori tradizionali vantano l ' appoggio . Pochi sono oggi coloro che credono che i valori trovino il loro fondamento nella natura stessa delle cose o del mondo , o nell ' essenza dell ' uomo o in qualche realtà trascendente : che ci credono , intendo , non per un ' astratta professione di fede ma in modo praticamente operante . Si sa che ci sono stati e ci sono sistemi di valori diversi , culture e civiltà eterogenee , modi opposti di considerare il mondo e la vita . Si sa che i valori preferiti da una stessa società possono mutare nel tempo e mutano , anzi , molto rapidamente . Non si ha fiducia che l ' interesse singolo coincida sempre e necessariamente con l ' interesse collettivo , giacché si vede o si avverte che talora i due interessi sono in conflitto . Non si è certi che il progresso collettivo del genere umano verso l ' ordine e la disciplina dell ' organizzazione tecnologica , e gli stessi vantaggi che ne derivano , garantiscano a tutti gli individui il tipo di felicità che desiderano . Questa somma di incertezze non è una novità dei nostri tempi perché , in un modo o nell ' altro , ha accompagnato dovunque il cammino del genere umano . La tragedia greca , per citare un esempio , deve il suo valore umano esemplare proprio all ' aver dibattuto alcune di queste incertezze . Ma la novità consiste nella scala in cui esse sono ora avvertite , cioè nell ' estensione in cui il senso del dubbio è penetrato negli uomini investendo tutti gli aspetti della loro vita quotidiana . Ogni civiltà tende a esaltare le sue conquiste , e noi , uomini dell ' Occidente , siamo particolarmente orgogliosi delle nostre . Siamo portati a dimenticare che la nostra civiltà non ha avuto soltanto Socrate e Cristo , ma anche i Torquemada e gli Hitler che hanno avuto forse , nella nostra storia , una parte maggiore . Siamo portati a scambiare per realtà incrollabili , per cose scontate e radicate nel nostro più lontano passato , ideali nebulosi e norme generiche che vengono dimenticate nella pratica della vita nove volte su dieci . Accade così che si può asservire in nome della libertà , fanatizzare in nome della fede , violentare in nome dell ' amore . Siamo portati a credere che con la sola forza di questi ideali si possono salvare e riscattare tutti gli uomini , anche quelli che non vogliono essere salvati ; mentre il valore di quegli ideali consiste proprio nel mettere in guardia contro questa credenza . La libertà , la fede , l ' amore , come gli altri capisaldi della nostra scala dei valori , non si impongono da sé e non possono essere imposti : perché ciò che esigono è proprio questo : ogni essere umano deve poterli scegliere per se stesso . L ' immoralismo contemporaneo serve in primo luogo a ricordarci che la vita non è quella perfetta adeguazione della realtà all ' ideale , che i coltivatori degli ideali ci hanno voluto far credere ; che non bisogna illudersi d ' aver già realizzato nei nostri modi di vivere il patrimonio ideale di cui disponiamo ; e che occorre in primo luogo guardare con sincerità spietata al modo effettivo in cui viviamo , alle scelte su cui si regge la nostra vita , per renderci conto di ciò che siamo e di ciò che possiamo diventare . Si può ( e si dovrebbe in ogni caso ) avvertire un senso di repulsione o di rivolta contro le realtà che le cronache della vita e dell ' arte ci presentano con cruda evidenza ; e questo è già un effetto benefico di quelle cronache . Ma occorre trarre da esse l ' insegnamento decisivo : quello di cercare nuove vie per la libertà dell ' individuo e l ' ordine della comunità umana . Attraverso i disordini , gli sbandamenti , le proteste , lo scetticismo e l ' apatia verso cose o valori ritenuti essenziali , è in corso un grande esperimento per la ricerca di nuovi modi di convivenza , di nuove regole per orientare la vita degli individui . Gli uomini oggi non sono disposti ad accogliere senza beneficio d ' inventario l ' eredità del passato o il messaggio di nuovi profeti . Vogliono trovare da sé , attraverso errori , delusioni e sconfitte , la via buona ( se ce n ' è una ) da imbroccare . Il loro atteggiamento dominante è quello proprio degli adolescenti e dei giovani ai quali poco giovano gli insegnamenti degli adulti , finché non li abbiano essi stessi messi a prova e convalidati con la loro esperienza vissuta . Nonostante gli enormi e rapidi progressi che ha fatto in certi campi , l ' umanità vive oggi la sua fase di adolescenza : ma di un ' adolescenza non remissiva né docile , ma vigile e aggressiva , che non accetta facilmente lezioni . « L ' uomo » diceva Montaigne « é sempre in tirocinio ed in prova . » Ma oggi al tirocinio e alla prova non partecipano più solamente le élites privilegiate , ma strati sempre più vasti del genere umano ; e questo costituisce il contrassegno e l ' originalità del nostro tempo . Certamente il rischio è grande e conquiste decisive , valori fondamentali possono andare perduti , come possono essere riscoperti e convalidati . Ma non si può evitare il rischio disconoscendo o ignorando semplicemente la situazione che lo provoca . Non si diminuisce il rischio insistendo su valori collaterali , rifiutando di muoversi e di cercare , appellandosi alla natura o all ' autorità o ad altre garanzie estrinseche dei valori che si vogliono difendere . Se l ' umanità vuol sopravvivere , non può dimenticare il rispetto che deve a se stessa e a ognuno dei suoi membri . Questo è l ' unico punto fermo . Ma le vie o i modi per realizzare questo rispetto nelle forme concrete di regole e di atteggiamenti che reggano di giorno in giorno e di ora in ora la vita degli uomini possono essere diversi . Il problema consiste nel rendersi conto delle alternative che quel rispetto consente all ' uomo e di quelle che esclude . Consiste nell ' individuare le scelte che si possono ancora e sempre ripetere dopo ogni prova e che siano partecipabili dalla maggior parte degli uomini . Scelte siffatte si limitano a vicenda e possono , al limite , circoscrivere la sfera d ' azione dell ' individuo nei confronti di quella degli altri . Ma l ' arte delle scelte è difficile e in questo campo l ' uomo non può affidarle a una macchina calcolatrice . Solo quest ' arte , tuttavia , può far uscire l ' uomo dall ' adolescenza e avviarlo alla maturità : sempre con l ' avvertenza che la maturità del genere umano , più di quella dell ' individuo , non sarà mai una conquista definitiva .
IL TEMPO ( Abbagnano Nicola , 1964 )
StampaQuotidiana ,
Delle tre dimensioni del tempo , passato , presente e futuro , i filosofi hanno il più delle volte privilegiato il presente . Non l ' hanno inteso tuttavia come l ' attimo fuggente ma come la costanza di un ritmo che si conserva identico attraverso il mutare degli eventi . La poetica definizione di Platone « il tempo è l ' immagine mobile dell ' eternità » significa appunto che il ritmo in cui il tempo consiste e che è scandito dai suoi periodi ( anni , mesi , giorni , ore ) ha la stessa immutabilità che è propria dell ' essere eterno . Il tempo appartiene alle cose che fluiscono ma in queste cose introduce ciò che è proprio dell ' eternità , un ordine che permane attraverso il divenire . Gli astri ritornano , a intervalli determinati , nella stessa posizione ; le stagioni si ripetono con una successione invariabile e si ripetono , sia pure con minor esattezza , i cicli di tutti gli esseri viventi , ognuno dei quali ha un suo ritmo costante di nascita , di formazione , di sviluppo e di morte . Nell ' interpretazione popolare , il tempo è la forza distruttiva cui nulla resiste , la forza che logora tutte le cose e le conduce , più o meno rapidamente , all ' annullamento o all ' oblio . Nell ' interpretazione dei filosofi , il tempo è ciò che nel logorio o nella distruzione vien conservato e ripetuto ; il ritmo eterno cui il fluire delle cose obbedisce . Questo ritmo perciò non è mai né passato né futuro : è sempre presente perché è sempre lo stesso . E quando alcuni filosofi ( Plotino , Sant ' Agostino , Hegel , Bergson , Husserl ) hanno concepito il tempo come lo stesso fluire o divenire della coscienza , come una corrente di vita interiore che ad ogni istante si rinnova e in cui perciò non ci sono due istanti omogenei , la dimensione del tempo cui han fatto ricorso è ancora quella del presente : perché in questa corrente tutto il passato viene conservato come in un fiume che trasporta tutte le acque che vi confluiscono ed è , dall ' altro lato , presente , almeno in potenza , l ' intero futuro . Questa interpretazione del tempo in termini di presenza totale rende possibile considerarlo come la forma immutabile delle cose che mutano , e consente la misura di esso . La misura non sarebbe infatti possibile se tutto fosse a ogni istante nuovo e tutto a ogni istante cadesse nel nulla : non ci sarebbe , in questo caso , un ' unità di misura omogenea , e inoltre come potrebbe quest ' unità , anche se ci fosse , applicarsi a ciò che non è più ( il passato ) o a ciò che non è ancora ( il futuro ) ? Ma accanto a questo vantaggio , l ' interpretazione del tempo come presente ha lo svantaggio di trascurare quel carattere del tempo che all ' uomo comune appare evidente , la sua azione logorante e distruttiva . Che il tempo non possa solo conservare ma anche distruggere ; che ciò che vive nel tempo sia in una condizione di instabilità radicale in cui le alternative dell ' acquisto e della perdita sono ugualmente importanti ; e che per ciò che riguarda l ' uomo , il tempo sia l ' indeterminazione fondamentale che non gli lascia mai padroneggiare del tutto il suo destino , sono considerazioni banali eppure inconfutabili , sia della saggezza comune che della filosofia . Ma se queste considerazioni hanno una certa verità , l ' interpretazione del tempo come presenza o simultaneità appare unilaterale . E in questo caso la dimensione del futuro comincia ad avere la meglio su quella del presente . Le filosofie contemporanee che s ' imperniano sulla considerazione dell ' uomo e del suo mondo ( soprattutto il pragmatismo e l ' esistenzialismo ) hanno , perciò , insistito su quest ' altra dimensione del tempo . L ' uomo è , secondo queste filosofie , costitutivamente orientato verso il futuro : la sua esistenza o la sua esperienza è un continuo venirgli incontro , dall ' avvenire , di ciò che egli prevede o non prevede , teme o desidera , progetta o cerca di evitare . Certamente il passato è là , a determinare i suoi timori o le sue speranze , a limitare e condizionare le sue attese o le sue progettazioni ; ma se il passato gli fosse tutto presente e lo urgesse alle spalle con la sua forza preponderante come una fiumana o una valanga irresistibile , attese e progettazioni sarebbero inutili . Il passato può anche , in certi casi , inchiodarlo alla sua situazione e rendergli impraticabile ogni via d ' uscita ; ma solo l ' avvenire può dirgli se sarà cosa o no . L ' avvenire è la dimensione della libertà umana che s ' inserisce nelle falle del tempo e cerca di volgerle a suo profitto . Non è detto che l ' avvenire debba necessariamente prospettarsi come mutamento , novità o progresso : l ' uomo può rivolgersi con amore al passato , può farne oggetto di nostalgia o di rimpianto , può volerne il ritorno e la conservazione : ma in tutti questi atteggiamenti non fa che progettarlo o anticiparlo come avvenire . L ' avvenire è il serbatoio delle possibilità che costituiscono l ' esistenza dell ' uomo . Non si tratta , purtroppo , di un serbatoio inesauribile . Alla giovinezza , le possibilità del futuro appaiono ricchissime e promettenti per quanto vaghe e indeterminate e dànno il senso di una libertà illimitata ; la maturità è contrassegnata dal loro limitarsi e determinarsi in un serio impegno di realizzazione ; mentre il loro diradarsi o impoverirsi costituisce la tristezza della vecchiaia . Ma in ogni caso le possibilità autenticamente tali , cioè quelle che si conservano e rinvigoriscono dopo la prova e la riprova cui le sottopone l ' esperienza della vita , sono , per ciascun uomo , in numero limitato . E quando un uomo sa e teme che le possibilità che il futuro gli prospetta sono futili o nulle va incontro a quegli stati di angoscia , di disperazione , di frustrazione , che la filosofia , la psichiatria e la letteratura contemporanea hanno illustrato come le malattie dell ' uomo moderno , ma che forse di moderno non hanno che la chiara diagnosi che ne è stata fatta . Diceva Kierkegaard : « Come quando uno sviene si ricorre ai sali o all ' acqua di colonia , così quando qualcuno si dispera bisogna dire : " Trovate una possibilità , trovategli una possibilità ! " . La possibilità è l ' unico rimedio , perché se l ' uomo rimane senza possibilità è come se gli mancasse l ' aria » . La forza della fede religiosa consiste , come Kierkegaard stesso diceva , nel prospettare all ' uomo la possibilità della salvezza quando ogni altra possibilità gli è negata , in quanto « a Dio tutto è possibile » . La ragione , come guida autonoma dell ' uomo , è la tecnica che consente l ' accertamento delle possibilità autentiche e disciplina le scelte che si possono operare tra esse . Essa , esattamente come la fede , orienta l ' uomo verso il futuro : non è quindi fuori del tempo ma legata a una dimensione temporale determinata . A differenza della fede , tuttavia , ha bisogno di fatti constatabili , di prove , di documenti , di testimonianze . Fa parte integrante dell ' orientamento dell ' uomo verso l ' avvenire , l ' interesse per il passato , l ' esigenza di comprenderlo e ricostruirlo nella sua autenticità quindi di conservarne i documenti e di rispettarne le vestigia . E da questo interesse si origina la ricerca storiografica che investe tutti i campi dell ' attività umana . Ciò che infatti rafforza o autentica le possibilità a venire dell ' uomo è il radicarsi di esse nel passato . Ma l ' uomo può anche vivere nell ' ingenua fiducia che l ' avvenire sia la pura e semplice ripetizione del passato e che il passato si conservi automaticamente nel futuro . Così fanno i popoli primitivi per i quali il tempo , come per certi filosofi , è un eterno presente . Essi non hanno storici perché non hanno storia ; ma di fronte all ' imprevedibile che emerge dal tempo , sono senza difesa .
IL SIGNIFICATO DELLA STORIA ( Abbagnano Nicola , 1966 )
StampaQuotidiana ,
Circa 35.000 anni fa l ' homo sapiens sapiens , cioè il prodotto di una lunga e discontinua evoluzione che era cominciata più di mezzo milione di anni prima , ha invaso l ' Europa proveniente da qualche regione sconosciuta dell ' Asia o dell ' Africa . È cominciata allora la storia dell ' uomo su questa terra ? O è cominciata prima , con l ' apparizione dell ' homo sapiens e dei primi ominidi ? O è cominciata dopo , con la formazione delle grandi civiltà delle quali ci rimangono monumenti e notizie ? Comunque si risponda a questa domanda , la storia dell ' uomo è stata assai lunga e complessa . Una somma enorme di trasformazioni e differenziazioni biologiche , di tentativi diretti nei sensi più disparati , di ingegnosità , d ' invenzioni , di lotte , di sacrifici e di morti costituisce il materiale grezzo di questa storia della quale abbiamo solo conoscenze scarse , frammentarie o parziali . A prima vista , questo materiale è un caos , una mescolanza disordinata degli eventi più disparati . Ma è , questa apparenza , la vera sostanza della storia ? Difficilmente l ' uomo si adatta a questo pensiero . E non ci si adatta perché , a quanto sembra , esso lo lascerebbe privo di ogni fede nel futuro . Se la storia è un caos di eventi , questi eventi continueranno a sommarsi o a elidersi come è accaduto nel passato . L ' uomo non può contare di dirigerli , di imprimere ad essi una direzione favorevole al proprio progresso ; non può presumere che essi gli consentiranno di salvare i valori che gli stanno a cuore e in primo luogo lui stesso , l ' uomo : questo essere unico ( per quel che ne sappiamo finora ) che è riuscito a sopravvivere nelle circostanze più disgraziate e a creare , contro l ' ostilità dello stesso ambiente che lo ospita , un mondo nuovo di idee , di valori , di civiltà al di sopra del mondo muto e cieco della natura inorganica ed organica . Il problema del significato della storia nasce su questi fondamenti . La storia non ha il minimo significato se il destino dell ' uomo su questa terra è del tutto simile a quello degli innumerevoli esseri che la natura vi ha disseminato , se gli eventi che la compongono non hanno un ordine o uno scopo e se l ' uomo può sparire dalla faccia della terra senza lasciar traccia , com ' è accaduto di altre innumerevoli specie animali . La storia ha un significato se , nonostante l ' indipendenza e l ' eterogeneità apparenti degli episodi che entrano in essa talvolta a distanze enormi di tempo e di spazio , essa costituisce un ' unica totalità ; se questa totalità ha un ordine o un disegno complessivo che subordina a sé tutti gli episodi ; se quest ' ordine o disegno complessivo ha un unico scopo , un termine ultimo immanente o trascendente ; e se infine l ' uomo può , sia pure approssimativamente o genericamente , comprendere questo scopo . Gli antichi , che concepirono la storia come un ciclo che eternamente si ripete , non dettero una risposta esauriente al problema del suo significato perché non riconobbero alla storia uno scopo , un termine o una direzione verso cui essa muove . Gli Stoici credevano che in ogni ciclo le faccende umane si ripetono identicamente : c ' è di nuovo Socrate , di nuovo Platone , di nuovo ciascuno degli uomini con gli stessi amici e concittadini , con le stesse credenze e gli stessi errori . A giusto titolo questa concezione appariva terrificante a Nietzsche che tuttavia la credeva vera ma tale da poter essere accettata soltanto dai superuomini . Ma quando Origene disse che attraverso i cicli successivi l ' umanità espia le sue colpe e si avvia a riconquistare la perfezione originaria da cui è decaduta ; o quando Sant ' Agostino concepì la storia come la lotta tra la città terrena e la città celeste , che si concluderà con la vittoria di quest ' ultima ; o quando in qualsiasi modo si riconosce nella storia una totalità ordinata che cammina verso un certo scopo ( la spiritualità , la giustizia , l ' uguaglianza e via dicendo ) si ha una di quelle filosofie della storia , teologiche o laiche , che riescono ad attribuire alla storia un significato totale , trascendente o immanente che sia . Ma purtroppo , di fronte a questa prospettiva edificante , si ergono difficoltà insormontabili . L ' uomo non ha strumenti né informazioni sufficienti per comprendere , o anche solo pensare , la totalità assoluta del mondo storico . Lo stesso concetto di mondo come « totalità assoluta » è illusorio perché , come dimostrò Kant , è al di là di ogni esperienza possibile . Ciò che effettivamente sappiamo della storia è quanto ne dicono gli storici , il cui lavoro trova limiti precisi nella stessa disciplina della loro scienza : che ha bisogno di fonti d ' informazione e deve attenersi a metodi esatti nell ' utilizzazione di tali fonti . E per gli storici non esiste un ' unica storia totale ; esistono solo storie diverse e particolari che concernono particolari popoli , nazioni , culture , personalità , istituzioni o particolari settori dell ' attività umana ( la politica , l ' economia , il diritto , la scienza , ecc . ) . Certamente , tra queste storie particolari e settoriali si possono ( e si debbono ) , per quanto è possibile , cercare e trovare rapporti , interdipendenze , connessioni ; ma saranno , anche questi , particolari e settoriali c non consentiranno di parlare di una totalità unica e integrata . Se poi , oltre le enormi lacune della nostra conoscenza del passato , si considera anche la nostra ignoranza totale del futuro , il quale fa parte della storia come totalità , si vede subito che una storia siffatta può essere solo l ' oggetto di un intelletto divino che abbracci nella sua eternità tutto il tempo , non dell ' intelletto umano che vive nel tempo . Queste difficoltà sono decisive , per il problema del significato della storia . Parlare di questo significato nel senso che si è detto , significa parlare da romanzieri fantastici o da profeti soprannaturalmente ispirati ; oppure significa agitare un ' ideologia , presentare come realtà presente o inevitabilmente futura un pio desiderio . Tutto ciò che a questo proposito può dire il filosofo che voglia attenersi alle regole del suo lavoro si riduce a una constatazione : l ' uomo cerca di dare un senso alla storia . Questa constatazione è confermabile e trova conferma ogni volta che abbiamo informazioni sufficienti su una cultura o una civiltà qualsiasi ; giacché ogni cultura o civiltà , per quanto primitiva , può essere interpretata come il tentativo di dare alla storia , cioè alla vita dell ' uomo sulla terra , un significato determinato . Ma da questo punto di vista non si può parlare di un significato unico e totale come non si può parlare di un unico « mondo storico » . I significati che gli uomini cercano di attribuire alla loro storia sono molteplici , talora disparati , spesso in conflitto . Ogni significato è iscritto nella struttura d ' una società determinata e ne costituisce nello stesso tempo la condizione di vita e lo scopo dominante . Per quanto creduto destinato al successo , il significato non è che il limite ideale dei tentativi che si fanno per realizzarlo ; e questi tentativi non sempre riescono , com ' è dimostrato dalla decadenza e dalla morte delle civiltà . Quando il problema del significato della storia venga sottratto al tradizionale orizzonte teologico e metafisico e ricondotto nei limiti e nella misura dell ' uomo , esso assume questa forma : qual è il significato che intendiamo dare alla nostra storia ? E quali possibilità abbiamo di realizzarlo ? Per rispondere a queste domande , dobbiamo certo rivolgerci all ' indagine storica e rintracciare , nell ' ambito della civiltà cui apparteniamo , linee di tendenza , direzioni di marcia che prevalgono in questo o quell ' aspetto di essa . Ma non abbiamo alcun diritto di considerare inevitabili le prospettive aperte da queste direzioni o tendenze , che possono essere rafforzate o indebolite dalle nostre scelte o da nuove circostanze . Accade spesso che le scelte umane si orientino in senso nettamente contrario alle tendenze meglio riconoscibili nella storia : così accade ad esempio nei confronti della tendenza pressoché universale dei regimi politici a trasformarsi in assolutismi . L ' indagine storica ci offre certamente utili insegnamenti , ma si tratta spesso di insegnamenti negativi : stimolano gli uomini a combattere e a modificare radicalmente modi di vivere o di pensare che sono sostenuti da una lunga tradizione . I biologi insegnano che la specie umana è , tra le specie animali , quella che comprende la maggiore varietà . Gli antropologi e i sociologi insistono sulla disparità delle strutture culturali che disciplinano la vita associata dell ' uomo . Gli storici mettono in luce l ' individualità irriducibile delle istituzioni umane . Non è detto , in queste circostanze , che tutti gli uomini debbano dare alla storia lo stesso significato . La scoperta di significati nuovi ed imprevisti può arricchire la loro vita ; ed anche i conflitti , che la diversità dei significati può far nascere , non hanno nulla di tragico se essi sanno affrontarli nel rispetto reciproco e nella libertà .
L'UTOPIA ( Abbagnano Nicola , 1966 )
StampaQuotidiana ,
Utopia , l ' isola sconosciuta della quale Tommaso Moro descrisse in un famoso libro ( 1516 ) il perfetto governo e i perfetti costumi , ha dato e dà il nome a ogni progetto ideale di governo e di costituzione , a ogni tentativo di delineare la forma che la società dovrebbe assumere per garantire a tutti i suoi membri la più completa felicità . Quando Platone si fu convinto che il regime politico di Atene , che aveva condannato a morte Socrate , « l ' uomo più saggio e più giusto di tutti » , non offriva speranze di miglioramento , si dette a costruire l ' immagine di una città ideale che fosse governata da filosofi , cioè da uomini educati sull ' esempio di Socrate ; e scrisse la Repubblica che è la prima e più famosa utopia , su cui tutte le altre si sono modellate . Ogni utopia presenta l ' immagine di un mondo nuovo , radicalmente diverso da quello in cui si è vissuto o si vive . Ma il mondo nuovo è anche la correzione o il completamento del mondo reale : garantisce l ' eliminazione delle ingiustizie e degli errori che questo presenta , la conciliazione dei suoi conflitti , l ' appagamento delle sue aspirazioni . Tommaso Moro , vedendo i contadini inglesi scacciati dalle campagne ( che venivano trasformate in pascoli di montoni per la produzione della lana ) e ridotti all ' accattonaggio o alla ruberia , vagheggiava l ' abolizione della proprietà privata ; come vagheggiava la più completa libertà religiosa in opposizione all ' intolleranza che affliggeva la società del suo tempo . I socialisti utopisti della prima metà dell ' '800 ( Saint - Simon , Fourier , Proudhon ) , che avevano l ' occhio alla rivoluzione industriale che si profilava nella società del tempo , vagheggiavano un ' organizzazione sociale che portasse a compimento quella rivoluzione e insieme ne evitasse i malanni . E lo stesso Marx , che criticava il socialismo utopistico e vedeva nello sviluppo della struttura economica la sola forza determinante delle trasformazioni sociali , additava come termine ultimo di queste trasformazioni una « società senza classi » che eliminasse la lotta e l ' alienazione della società industriale . Esistono utopie rivoluzionarie e utopie conservatrici , utopie che vogliono cambiare il mondo dalle fondamenta e utopie che vogliono ripristinarlo in qualche vecchia forma o conservarlo nella sua struttura attuale , ritenuta perfetta o imperfezionabile . Le une pretendono indirizzare verso un termine fisso i mutamenti sociali , le altre pretendono fermare questi mutamenti o indirizzarli all ' indietro . Ma in tutti i casi l ' utopia mira a correggere la situazione attuale , a presentare un modello unico e semplice cui la società dovrebbe adeguarsi per raggiungere la sua forma perfetta . Non è un ' obiezione sufficiente contro l ' utopia la sua irrealizzabilità . Un sociologo tedesco ( Karl Mannheim ) ha definito anzi « utopia » ogni idea che tende a trasformare l ' ordine esistente e in qualche misura ci riesce ; e l ' ha distinta dall ' ideologia che non riesce mai ad attuare i suoi progetti . Da questo punto di vista , l ' utopia appare irrealizzabile solo ai gruppi sociali che si oppongono ad essa : un ' utopia rivoluzionaria sembra irrealizzabile ai gruppi conservatori , un ' utopia conservatrice sembra irrealizzabile agli innovatori . Certamente , l ' utopia assume , il più delle volte , la forma di un sogno favoloso , di un paradiso perduto o da conquistare , di un ' evasione dalle strettoie del presente verso il passato o l ' avvenire . Ma è anche vero che l ' utopia esercita o può esercitare una funzione direttiva e orientativa delle trasformazioni sociali ; che ciò che appare come « utopistico » in un ' epoca diventa talvolta realtà in epoca diversa ; e che ciò che è « realizzabile » o « non realizzabile » , non è determinabile una volta per tutte e in base a un criterio assoluto . Dall ' altro lato , la perfezione attribuita all ' utopia è spesso solo apparente . Difficilmente l ' utopia riesce a tener presente l ' intera situazione dell ' uomo nel mondo : spesso s ' impegna a prospettare una modifica della società che dovrebbe salvare la società stessa dai mali che all ' utopista appaiono più gravi e diffusi . Perciò accade che , in ogni disegno utopistico , alcuni valori umani siano trascurati o ignorati a vantaggio di altri , riconosciuti come i soli importanti . Certe utopie esaltano la libertà a scapito della giustizia , altre esaltano la giustizia a scapito della libertà . Alcune mettono sopra ogni cosa il benessere , altre i valori morali ; alcune vogliono la supremazia della tecnica , altre quella della religione . Ma in generale ogni utopia dà per scontato tre cose : l ' uniformità delle aspirazioni umane , l ' immutabilità delle istituzioni e la saggezza infallibile dei governanti . Queste tre cose non esistono sulla terra . Le aspirazioni umane sono irriducibilmente diverse e spesso in conflitto tra loro ; le istituzioni sono sempre sottoposte al logorio e alla trasformazione e anche lo sforzo di conservarle finisce per modificarle . E i governanti sono raramente saggi , mai infallibili . Ma il carattere che soprattutto distingue l ' utopia dal pensiero politico positivo , è la sua pretesa totalitaria . Lo schema , in cui essa consiste , dovrebbe inquadrare e reggere la vita di tutto il genere umano per tutti i tempi . Essa ignora o trascura il fatto fondamentale che i problemi che concernono la vita umana nel mondo sono suscettibili di soluzioni diverse , e che la scelta tra queste soluzioni è e deve rimanere aperta . L ' utopia si ispira costantemente alla vecchia idea millenaristica di una soluzione definitiva , dopo la quale non vi saranno problemi . Essa intende far leva sulla storia e sulle sue incessanti trasformazioni per immobilizzare la storia stessa in istituzioni definitive , non più trasformabili . È portata perciò a prevedere un complesso di accorgimenti che garantiscano l ' immutabilità dell ' ordine finale e a sopravvalutare la forza delle leggi o della costrizione politica per la garanzia di quell ' ordine . Ogni utopia prospetta una forma di assolutismo politico e ha la pretesa di rendere gli uomini liberi e felici anche loro malgrado . Questa pretesa costituisce l ' aspetto più pericoloso e urtante della mentalità utopistica . Noi sappiamo oggi che essa è completamente infondata . Le leggi , l ' educazione , le forze conformistiche o costrittrici di qualsiasi genere possono determinare in larga misura il comportamento degli uomini , ma non possono infondere alla creta umana uno spirito nuovo che duri nei secoli . L ' azione di quelle forze , costrette ad affrontare sempre nuove difficoltà , deve , per essere efficace , prendere nuove iniziative , trovare nuove vie , inventare nuovi procedimenti ; e questo si può ottenere solo facendo appello a quella stessa irriducibile diversità e ricchezza dei talenti , delle aspirazioni e delle capacità umane , che esse dovrebbero reprimere . Si dice che le giovani generazioni sono completamente aliene da ogni sogno utopistico e che la loro mentalità è fredda e realistica . Se è così ( come parrebbe da certi indizi ) , si tratta di una vera fortuna . L ' utopia non è oggi un aiuto , ma un ostacolo alla ricerca di soluzioni felici e durature dei nostri problemi sociali e politici . Queste soluzioni vanno oggi cercate sulla base dei dati messi a nostra disposizione dalle discipline scientifiche e in vista dello scopo di offrire a ciascun membro del corpo sociale maggiori opportunità di scelte . Non l ' eliminazione delle scelte o il loro appiattimento uniforme in uno schema di perfezione fittizia , ma l ' estensione delle scelte al massimo numero possibile di persone e la loro ricchezza e varietà , può essere oggi la direttiva generale di un pensiero politico e sociale efficace . L ' utopia può incoraggiare il fanatismo o l ' entusiasmo fittizio , non ispirare la ricerca paziente delle soluzioni , la loro messa a prova e la loro correzione eventuale . E soprattutto può far dimenticare che tutti i vantaggi che la società umana può conseguire nel suo complesso hanno un loro prezzo di rinunce e di limitazioni ; e che gli uomini non debbono attenderseli , come un dono , dall ' avvento di un ' utopia qualsiasi , ma soltanto dalla loro intelligenza e dal loro lavoro .