StampaQuotidiana ,
Sentiamo
dunque
la
prima
impressione
:
cosa
c
'
è
di
diverso
,
in
Mosca
,
per
questi
italiani
che
ne
vedono
sfilare
una
fetta
periferica
,
da
bordo
dell
'
autobus
diretto
all
'
albergo
?
Le
risposte
sono
:
le
strade
più
larghe
,
almeno
il
doppio
delle
nostre
,
il
traffico
incredibilmente
più
raro
e
tranquillo
;
i
casamentoni
brutti
,
tutti
uguali
,
d
'
un
giallino
sporco
,
peggio
d
'
una
nostra
brutta
periferia
urbana
;
la
città
scura
.
E
quest
'
ultima
è
forse
la
differenza
che
conta
di
più
:
i
lampioni
ci
sono
,
ma
non
c
'
è
il
neon
della
pubblicità
,
quello
appunto
che
dà
il
tono
notturno
a
una
capitale
in
Occidente
.
Manca
il
neon
,
manca
il
fragore
del
traffico
,
mancano
i
grammofoni
a
gettone
,
così
Mosca
,
per
chi
ci
arriva
da
Occidente
,
sembra
prima
di
tutto
una
città
buia
e
silenziosa
:
il
totale
delle
differenze
,
almeno
per
me
,
pare
positivo
,
in
altre
parole
qui
si
potrebbe
vivere
bene
.
A
tratti
nell
'
aria
c
'
è
una
zaffata
d
'
odore
dolciastro
che
sembra
di
menta
:
mi
spiegano
che
dipende
dalla
diversa
qualità
della
benzina
bruciata
nei
motori
.
Ma
abbiamo
tutti
una
gran
voglia
di
sapere
di
più
,
vedere
di
più
,
e
invece
,
all
'
albergo
Turist
,
il
nostro
(
che
è
semmai
un
enorme
ostello
della
gioventù
,
un
intero
villaggio
di
palazzotti
a
quattro
piani
,
dalle
parti
della
fiera
)
,
è
ormai
chiusa
la
cassa
e
non
si
può
cambiare
,
e
in
giro
per
una
città
di
notte
,
senza
quattrini
,
chi
si
azzarda
?
Pare
quasi
sicuro
ormai
che
staremo
a
girellare
dentro
il
villaggio
,
o
a
spedire
una
cartolina
con
la
fotografia
di
Valentina
Vladimirovna
Tereshkova
,
quando
arriva
Riccio
e
fa
segno
che
ha
trovato
-
nessuno
gli
chiede
dove
-
un
rublo
e
mezzo
.
Dovrebbero
bastare
a
portarci
tutti
e
quattro
fino
all
'
albergo
Leningradskaia
,
in
centro
,
dove
stanno
calciatori
e
giornalisti
,
e
lì
qualcuno
che
ci
presti
un
po
'
di
soldi
lo
troveremo
di
certo
.
Allora
via
di
corsa
alla
fermata
dell
'
autobus
.
Differenza
:
non
c
'
è
il
controllore
,
soltanto
il
guidatore
,
che
alle
fermate
prende
il
microfono
e
spiega
dove
siamo
,
e
poi
una
cassettina
di
vetro
,
dove
ciascuno
mette
i
suoi
tre
copechi
e
stacca
il
biglietto
da
solo
.
Lo
spiega
a
Riccio
una
biondina
gentilissima
,
e
anzi
ci
cambia
il
mezzo
rublo
,
perché
possiamo
mettere
in
cassetta
i
dodici
copechi
.
Quindici
anzi
,
perché
siamo
cresciuti
,
sull
'
autobus
dietro
a
noi
è
salito
anche
un
torinese
un
po
'
balengo
,
che
già
avevo
notato
in
treno
.
Ha
gli
occhi
sempre
assonnati
e
parla
a
strascico
.
«
I
quattrini
ce
l
'
hai
?
»
«
No
,
ma
così
,
ecco
,
volevo
vedere
la
cosa
,
qui
no
,
la
città
.
Casomai
ecco
,
potrei
venire
con
voi
,
no
?
»
Riccio
lo
guarda
storto
,
mi
dà
una
gomitata
,
barbotta
:
«
Ma
cosa
vuole
quello
.
Via
,
mandalo
via
.
Piemontese
fesso
»
.
Fessi
invece
siamo
noi
terroni
,
non
ci
regge
il
cuore
di
abbandonarlo
per
una
strada
di
Mosca
,
il
piemontese
balengo
e
così
ce
lo
tiriamo
dietro
fino
alla
stazione
del
metrò
.
La
biondina
è
sparita
,
e
al
suo
posto
c
'
è
un
giovanotto
che
spiega
come
si
fa
:
pezzi
da
cinque
copechi
,
capito
?
Piet
capieca
,
da
mettere
nell
'
apposita
fessura
,
all
'
imbocco
della
scala
mobile
.
C
'
è
una
cellula
fotoelettrica
che
si
blocca
con
quel
soldone
,
e
se
invece
non
ce
l
'
hai
messo
,
fa
scattare
il
cancellino
e
chiude
.
Allora
cinque
da
cinque
,
e
va
bene
,
diamo
la
pieccapieca
anche
al
torinese
.
I
primi
due
o
tre
metri
della
scala
mobile
sono
in
piano
,
poi
all
'
improvviso
ecco
il
pozzo
:
vertiginoso
,
profondo
,
precipita
per
ottanta
metri
sotto
terra
a
velocità
da
infarto
.
Sulla
scala
opposta
salgono
,
altrettanto
veloci
,
e
sembra
che
pendano
in
avanti
,
forse
pendono
davvero
(
angolo
di
45
gradi
)
per
tenersi
in
equilibrio
,
forse
è
un
effetto
della
legge
di
Einstein
,
secondo
la
quale
,
come
è
noto
,
l
'
universo
in
movimento
assume
la
forma
di
una
saponetta
consumata
.
Chi
lo
sa
?
La
stazione
vera
,
quella
interna
,
è
giù
,
meravigliosa
,
sembra
d
'
essere
al
terzo
atto
dell
'
Aida
,
fra
stucchi
,
ori
,
mosaici
,
panoplie
,
colonne
e
bandieroni
.
Il
bello
poi
è
che
il
treno
funziona
,
si
ferma
,
apre
le
porte
,
riparte
fulmineo
,
un
treno
modernissimo
,
efficiente
,
che
per
di
più
corre
dal
terzo
atto
dell
'
Aida
al
primo
del
Nabucco
,
passando
per
la
Vedova
Allegra
,
i
Nibelunghi
e
la
Norma
.
Da
un
momento
all
'
altro
qui
arrivano
le
comparse
con
le
spade
di
latta
,
i
negri
tinti
,
Cleopatra
col
serpente
,
un
paio
di
elefanti
e
le
bighe
.
Con
quel
bel
soldone
da
cinque
copechi
puoi
restare
un
giorno
intero
sotto
terra
,
e
ammirare
le
sessanta
stazioni
tutte
diverse
e
tutte
bellissime
.
Tanto
è
vero
che
ci
siamo
spersi
e
non
si
ritrova
più
il
buco
giusto
della
Leningradskaia
.
Però
,
riecco
la
biondina
dell
'
autobus
,
che
ci
rimprovera
d
'
averla
abbandonata
e
ci
spiega
che
bisogna
prendere
quest
'
altra
linea
,
arrivare
fino
al
secondo
atto
del
Godunov
,
e
scendere
.
Anzi
,
sale
con
noie
ci
accompagna
fino
alla
stazione
,
da
dove
partono
i
treni
per
Leningrado
.
Spassiba
.
La
prima
cosa
che
vediamo
,
nella
strada
buia
che
sa
di
menta
,
è
uno
steso
per
terra
,
ligneo
,
quasi
cianotico
,
livido
,
di
certo
un
ubriaco
allo
stadio
della
cirrosi
spappolante
.
Intorno
c
'
è
un
capannello
che
lo
sta
a
guardare
,
tutti
fermi
,
e
una
guardia
,
ferma
anche
lei
,
immobile
.
Italiani
al
soccorso
!
Il
piemontese
balengo
si
china
a
sentire
il
polso
,
poi
fa
di
no
col
capo
,
come
a
dire
che
questo
ormai
è
buono
solo
per
il
becchino
.
Io
apostrofo
la
guardia
,
in
italiano
,
smanettando
:
«
Che
diavolo
fate
,
qui
?
Non
lo
raccatta
nessuno
,
questo
poveraccio
?
»
.
E
la
guardia
deve
aver
capito
,
perché
smanettando
più
di
me
bercia
qualcosa
in
russo
,
che
interpreto
così
:
«
E
a
te
che
te
ne
importa
?
Perché
non
ti
fai
gli
affari
tuoi
?
»
.
Così
entriamo
nella
stazione
davanti
,
traversata
la
piazza
di
corsa
,
è
la
kazaka
,
mi
pare
,
e
col
rublo
che
ci
resta
ordiniamo
cinque
frappé
,
molto
buoni
perché
al
latte
e
allo
sciroppo
la
donnetta
aggiunge
,
dal
frigorifero
,
marca
Moskava
,
mezzo
panetto
di
burro
.
Uscendo
,
il
capannello
di
gente
immobile
non
c
'
è
più
,
e
nemmeno
il
cirrotico
,
né
la
guardia
.
Si
vede
che
avevano
già
telefonato
,
all
'
ambulanza
,
o
forse
al
cellulare
,
chi
lo
sa
.
Allora
via
al
Leningradskaia
,
che
è
un
albergo
immenso
,
di
stile
assiro
,
con
l
'
atrio
ingombro
di
statue
,
colonne
,
mostri
e
italiani
:
Otturino
Barassi
,
il
vecchio
centravanti
frascatano
,
Amadei
,
tre
giovanotti
con
la
giacca
blu
spacchettata
e
i
capelli
scolpiti
a
rasoio
.
Ivano
si
ferma
a
salutarne
uno
,
che
è
Orlando
,
poi
mi
spiega
che
gli
altri
si
chiamano
uno
Tumburus
e
uno
Janich
;
tutti
e
tre
riserve
,
segno
che
hanno
mandato
a
nanna
i
titolari
,
anzi
i
prestipedatori
.
Evocato
dal
pensiero
compare
Gianni
Brera
,
col
toscano
in
bocca
:
vale
dunque
ancora
l
'
ovvia
constatazione
,
che
si
può
vivere
a
Milano
dieci
anni
senza
incontrare
mai
una
persona
,
che
per
conoscerla
bisogna
andare
fino
a
Mosca
.
Mi
piglia
per
un
braccio
e
mi
tira
su
in
camera
sua
,
al
quinto
piano
,
mi
versa
da
bere
,
mi
tappa
la
bocca
con
un
avana
formidabile
e
attacca
la
lezione
etnico
-
storica
sul
popolo
ungherese
.
Dunque
sta
a
sentire
:
gli
ungheresi
sono
la
pars
alba
,
il
pollone
chiaro
venuto
su
dallo
stesso
ceppo
che
ha
espresso
,
come
pars
nigra
,
li
turchi
.
Smisero
di
lavorare
ai
tempi
di
Attila
.
Tu
prendi
la
lingua
:
il
lessico
campagnolo
-
zappa
,
aratro
,
solco
eccetera
-
è
tutto
di
origine
croata
.
Infatti
,
cosa
facevano
gli
ungheresi
,
dalla
mattina
alla
sera
?
Montavano
a
pelo
,
ballavano
il
valzer
a
Vienna
con
le
mogli
dei
generali
austriaci
(
naturalmente
cornuti
)
e
prendevano
a
calci
nel
sedere
gli
slavi
del
Sud
,
cioè
i
croati
contadini
.
Ora
cosa
gli
è
successo
?
Gli
è
successo
che
i
calci
nel
sedere
li
stanno
prendendo
loro
,
e
proprio
dagli
slavi
.
Slavi
del
Nord
,
ma
sempre
slavi
.
Che
vanno
sulla
luna
,
ma
sempre
contadini
.
Ergo
,
le
facce
rinceppate
che
tu
hai
visto
a
Budapest
.
Tutto
qui
,
il
comunismo
non
c
'
entra
.
Te
capì
?
Ho
capito
,
ma
da
sotto
telefonano
,
così
mi
faccio
prestare
cinque
rubli
dal
professore
,
scendo
nell
'
atrio
assiro
,
recupero
Mimmo
,
Ivano
,
Riccio
e
il
balengo
torinese
,
andiamo
a
prendere
un
altro
frappé
col
burro
alla
stazione
di
fronte
,
la
leningradese
appunto
,
e
poi
è
ora
di
rincasare
,
col
taxi
.
Lo
guida
un
giovanotto
capelluto
,
col
maglione
,
che
prima
di
muoversi
vuole
patti
chiari
:
«
Trit
rublia
,
carasciò
?
»
.
Va
bene
,
tre
rubli
,
autista
ladro
e
teddiboia
,
che
non
hai
nemmeno
fatto
scattare
il
tassametro
,
e
guidi
da
cane
,
metti
dentro
le
marce
peggio
d
'
uno
scimmione
,
tanto
la
macchina
è
dello
Stato
,
vero
?
Domani
ti
faccio
rapporto
.
Tanto
più
che
a
un
certo
punto
si
è
fermato
e
dice
che
il
Turist
Hotel
è
qui
,
Riccio
invece
non
è
convinto
per
nulla
,
ordina
che
non
scendiamo
mentre
lui
va
a
controllare
.
Siamo
al
Turist
,
ma
all
'
entrata
opposta
,
bisognerà
traversare
il
villaggio
a
piedi
,
perché
il
tassista
lavativo
non
vuole
sentir
ragioni
,
più
oltre
non
va
.
Accidenti
a
lui
.
Ormai
sono
quasi
le
due
,
la
maggior
parte
dorme
,
e
andiamo
a
cuccia
anche
noi
:
quattro
letti
di
ferro
,
quattro
sedie
,
un
armadio
con
quattro
stampelle
,
la
bottiglia
con
quattro
bicchieri
e
basta
.
Vetri
doppi
alle
finestre
,
ma
niente
tapparelle
,
niente
persiane
né
scuri
,
così
domattina
siamo
certi
che
il
primo
sole
ci
sveglia
.
Il
primo
sole
e
radio
Mosca
che
dà
il
buongiorno
intonando
«
guai
a
chi
tocca
la
Russia
dei
Soviet
»
:
ogni
camera
ha
il
suo
altoparlante
posato
sullo
spigolo
dell
'
armadio
,
e
ieri
sera
ci
siamo
scordati
di
staccare
la
spina
.
Per
il
corridoio
già
sfilano
diretti
ai
bagni
italiani
,
italiane
,
un
negro
con
addosso
un
barracano
vasto
come
una
tenda
,
di
tessuto
damascato
,
molto
bello
.
Le
docce
invece
sono
al
pianterreno
,
e
già
fanno
la
fila
,
per
tramutare
i
bigliettoni
con
padre
Dante
,
e
gli
altri
con
Lincoln
e
Washington
,
in
bigliettini
microscopici
che
sembrano
i
buoni
-
premio
delle
scatole
di
detersivo
,
e
invece
sono
rubli
.
La
ragazza
fa
i
conti
col
pallottoliere
,
velocissima
,
qualcuno
al
solito
se
ne
meraviglia
,
salta
fuori
il
solito
piccoletto
con
gli
occhiali
,
nero
e
pingue
,
che
in
romanesco
si
mette
a
difendere
,
con
argomenti
da
critica
della
ragion
politica
,
l
'
utilità
del
pallottoliere
,
e
il
suo
inserimento
nella
tradizione
slava
.
A
questo
punto
Marcello
,
che
mi
è
accanto
,
scatta
e
insulta
il
piccoletto
:
non
può
sopportare
i
comunisti
saccenti
di
Roma
,
che
spiegano
il
plusvalore
con
la
calata
di
Trastevere
,
si
abboffano
di
rigatoni
,
fanno
,
quando
possono
,
la
dolce
vita
,
e
poi
la
vituperano
come
un
segno
della
decadenza
occidentale
,
così
mettono
su
pancia
e
salvano
persino
la
buona
coscienza
proletaria
.
Gli
dico
di
stare
calmo
,
perché
qui
l
'
obiettività
tanto
ripetuta
in
viaggio
sta
per
andare
a
farsi
benedire
,
nessuno
è
venuto
a
Mosca
senza
preconcetti
,
tranne
forse
la
signora
Lucia
,
e
già
si
capisce
che
non
sono
disposti
a
cambiarli
.
Unto
più
che
le
due
ragazzine
del
treno
sono
sparite
,
non
vedi
più
Natascia
la
pari
-
pari
,
e
nemmeno
Svetlana
-
Chiara
dal
bel
sorriso
.
Al
loro
posto
c
'
è
una
stangona
magra
,
con
le
occhiaie
livide
,
il
viso
stirato
,
che
sembra
una
supersegretaria
d
'
azienda
.
E
d
'
un
'
azienda
vastissima
,
che
si
chiama
Unione
delle
Repubbliche
Socialiste
Sovietiche
.
Il
nome
della
ragazza
è
invece
Ludmilla
.
StampaQuotidiana ,
La
supersegretaria
Ludmilla
fa
il
suo
mestiere
di
accompagnatrice
con
grande
scrupolo
:
ritta
vicino
al
guidatore
,
faccia
a
noi
,
in
mano
un
microfono
che
gracchia
,
comincia
dall
'
uovo
.
Mosca
era
alle
origini
una
fortezza
sulla
Moscova
,
imprendibile
,
superficie
un
ettaro
.
Oggi
87
ettari
,
sei
milioni
di
abitanti
esclusi
i
sobborghi
,
più
un
milione
di
turisti
che
ogni
giorno
affluiscono
alla
capitale
dallo
sterminato
contado
e
anche
dall
'
estero
;
in
occasione
della
partita
,
cinquemila
italiani
.
Ogni
giorno
si
costruiscono
a
Mosca
trecento
nuovi
alloggi
,
anche
col
sistema
delle
case
prefabbricate
:
l
'
inquilino
paga
in
ragione
di
tredici
copechi
per
metro
quadrato
,
meno
di
cento
lire
.
A
destra
(
sua
,
cioè
alla
nostra
sinistra
)
statua
di
operaio
e
colcosiana
,
altezza
metri
venticinque
,
in
acciaio
inossidabile
,
e
smontabile
:
la
portarono
alla
mostra
di
Parigi
.
Facciata
del
teatro
Bolscioi
,
scendere
per
fotografare
ma
solo
cinque
minuti
.
Stazione
di
Riga
,
e
dal
lato
opposto
chiesa
di
San
Cipollone
,
oggi
conservata
a
mo
'
di
museo
.
Domande
da
fare
?
Sì
,
la
signora
padovana
chiede
se
domattina
è
possibile
andare
a
messa
.
Possibile
,
perché
in
Unione
Sovietica
restano
chiese
aperte
,
israelite
,
ortodosse
e
cristiane
,
ma
«
puoche
puoche
»
perché
popolo
sovietico
«
puoco
puoco
»
religioso
.
E
la
chiesa
cattolica
c
'
è
?
Certo
,
Ludmilla
lo
ignora
,
ma
molti
fra
noi
sanno
che
si
chiama
San
Luigi
dei
Francesi
,
e
la
padovana
domani
andrà
senz
'
altro
da
questo
santo
dei
francesi
,
in
mancanza
di
meglio
.
Ludmilla
però
non
l
'
accompagnerà
:
domani
Piazza
Rossa
.
«
E
mì
vado
a
messa
,
e
quella
lì
vada
al
diavolo
»
,
conclude
indicando
la
giovane
senza
Dio
.
Ecco
i
grattacieli
,
costruiti
con
sistemi
modernissimi
,
cioè
pietra
su
pietra
,
mattone
su
mattone
,
fino
ad
arrivare
,
con
le
guglie
,
ai
non
so
più
quanti
metri
e
mezzo
dell
'
Università
.
È
il
mastodonte
,
che
sorge
sulla
Collina
dei
Passeri
.
Di
qui
si
vedono
le
anse
della
Moscova
,
tutta
la
città
distesa
,
accanto
c
'
è
un
grande
trampolino
per
il
salto
con
gli
sci
.
Appena
scesi
ci
aggrediscono
nugoli
di
ragazzetti
chiedendo
«
biro
,
biro
,
biro
»
,
e
mostrando
in
cambio
distintivi
.
Per
una
penna
a
sfera
danno
anche
quattro
stelle
rosse
.
Sarebbe
bello
discorrere
un
po
'
con
questi
giovanotti
sprovveduti
.
Ludmilla
spiega
solo
che
sono
ragazzi
«
non
molto
buoni
»
e
che
bisognerebbe
-
fa
il
gesto
-
sculacciarli
.
Ci
tira
via
fino
al
mastodonte
,
e
non
ci
risparmia
nulla
:
seimila
studenti
alloggiati
,
trentamila
universitari
in
tutta
Mosca
,
agli
studi
superiori
,
dopo
il
decimo
anno
delle
elementari
,
si
entra
per
concorso
,
e
si
riceve
una
borsa
minima
di
un
rublo
al
giorno
.
Entro
università
mensa
,
pasto
minimo
venticinque
copechi
,
non
granché
buono
ma
«
sufficiente
per
saturarsi
»
.
In
università
sei
ascensori
ultraveloci
portano
fino
al
piano
ventottesimo
,
ci
sono
aule
e
laboratori
,
teatri
e
auditori
,
studenti
di
tutte
le
razze
,
anche
sessanta
italiani
.
Si
può
entrare
dovunque
:
nelle
aule
mentre
fanno
lezione
,
nelle
mense
,
negli
atri
,
nelle
camerette
,
persino
nei
cessi
.
E
siccome
ogni
giorno
deve
essere
un
pellegrinaggio
di
turisti
,
come
faranno
a
studiare
questi
ragazzi
lo
sa
il
diavolo
.
L
'
impressione
è
che
questo
brutto
mastodonte
serva
più
come
simbolo
che
come
strumento
,
che
sia
poco
funzionale
,
che
sarebbe
stato
molto
meglio
fare
una
città
degli
studi
,
con
molti
edifici
staccati
in
mezzo
al
verde
.
Uno
degli
architetti
fiorentini
mi
fa
notare
che
i
corridoi
interni
sono
bui
,
e
infatti
è
acceso
il
neon
in
continuazione
;
che
le
camere
sono
sbagliate
,
se
apri
la
finestra
non
apri
più
l
'
armadio
.
Marcello
si
è
messo
a
bisticciare
con
lo
spoletino
baffuto
:
«
Guardi
le
nostre
università
»
,
dice
quest
'
ultimo
,
«
relegate
nei
vecchi
conventi
,
nei
palazzacci
antichi
.
E
poi
i
risultati
si
sono
visti
,
no
?
L
'
abbiamo
visto
o
no
se
quest
'
università
funziona
?
Ci
sono
andati
o
no
,
primi
nello
spazio
?
»
.
Basta
con
Ludmilla
,
nel
pomeriggio
andremo
in
centro
noi
quattro
da
soli
.
Per
strada
ci
ferma
un
giovanotto
alto
,
gobbo
e
occhialuto
,
parla
in
russo
con
Riccio
,
dice
che
vuol
comprare
roba
italiana
,
vestiti
,
impermeabili
,
maglie
.
È
successo
a
noi
,
come
a
tutti
gli
altri
indistintamente
,
perfino
alla
padovana
coi
baffi
un
'
inserviente
dell
'
albergo
ha
chiesto
un
paio
di
calze
di
nailon
.
«
Mi
carezzava
,
mi
carezzava
,
quasi
mi
faceva
piangere
,
povera
!
Le
ho
detto
tieni
le
calze
,
e
va
'
a
farte
benedire
,
Mariavergine
»
.
In
taxi
il
giovanotto
nostro
,
l
'
occhialuto
spiega
che
aspetterà
fuori
del
villaggio
,
andiamo
dentro
noi
a
prendere
la
roba
e
ci
ritroviamo
lì
fra
un
quarto
d
'
ora
.
Entrare
lui
è
proibito
,
specialmente
al
blocco
due
,
il
nostro
,
«
a
very
bad
block
»
,
spiega
.
Questo
lumacone
deve
passare
le
giornate
a
trafficare
in
impermeabili
empolesi
.
Cos
'
abbiamo
da
vendergli
?
Mimmo
tira
fuori
un
par
di
mutandoni
di
lana
che
gli
aveva
comprato
la
mamma
per
viaggiare
in
Russia
(
andranno
bene
?
Quanto
posso
chiedere
?
)
;
poi
ci
sono
le
maglie
,
col
collo
e
senza
,
una
decina
fra
tutti
,
d
'
ogni
colore
,
da
riempirne
la
borsa
dell
'
Alitalia
.
Stiamo
per
uscire
di
camera
col
malloppo
quattro
magliari
penso
,
oltre
tutto
piove
,
ci
pentiamo
quasi
contemporaneamente
,
e
che
il
lumacone
rimanga
pure
sotto
l
'
acqua
ad
aspettarci
che
ben
gli
sta
.
La
mattina
dopo
Ludmilla
,
puntuale
e
tenace
,
riattacca
con
le
cifre
,
al
Cremlino
vedremo
il
campanone
crollato
prima
ancora
di
arrivare
in
vetta
al
campanile
,
lei
sa
quanto
pesa
,
quanto
ha
di
diametro
,
quanto
di
altezza
,
vedremo
il
«
re
dei
cannoni
»
,
un
enorme
pezzo
di
artiglieria
che
forse
non
ha
mai
sparato
,
e
casomai
ha
sparato
solo
a
mitraglia
,
perché
le
quattro
palle
,
da
due
tonnellate
ciascuna
,
lì
davanti
,
sono
dell
'
Ottocento
,
e
a
fine
decorativo
.
Dentro
il
Cremlino
c
'
è
anche
l
'
unico
edificio
davvero
moderno
veduto
a
Mosca
,
il
palazzo
dei
Congressi
,
ardito
col
suo
vetro
e
cemento
in
mezzo
a
tante
cipollone
.
Ludmilla
spara
le
sue
cifre
,
e
sarà
meglio
squagliarsela
per
andare
a
comprare
,
da
buon
italiano
,
il
colbacco
e
la
balalaica
.
Sulla
Piazza
Rossa
c
'
è
un
omone
,
un
armadio
che
cammina
,
e
si
tira
dietro
sei
balalaiche
;
gli
chiedo
dove
l
'
ha
comprate
,
lui
si
volta
ed
è
il
Rollamatic
.
I
poliziotti
ci
fischiano
dietro
,
ma
lui
dice
«
italianski
futbalisti
»
e
ci
lasciano
passare
,
di
corsa
,
fuori
delle
strisce
.
Così
andiamo
al
Gum
,
e
il
Rollamatic
-
armadio
è
efficientissimo
,
si
fa
largo
senza
nemmeno
sgomitare
,
per
pura
forza
intimidatoria
-
pagiostie
,
pagiostie
-
e
gli
acquisti
si
sbrigano
in
un
baleno
.
Tutti
e
due
incolbaccati
torniamo
sulla
Piazza
Rossa
,
il
Rollamatic
si
congeda
,
io
ritrovo
la
comitiva
con
Ludmilla
,
e
senza
fare
la
fila
entriamo
al
mausoleo
rosso
e
nero
,
coi
soldatini
imberbi
dal
fucilino
lustro
che
pare
un
giocattolo
,
immobili
,
consapevoli
.
Saranno
anche
«
puoco
puoco
»
religiosi
,
questi
russi
,
ma
la
fila
è
interminabile
,
avanza
lenta
lenta
,
perché
non
si
sosta
davanti
alla
mummia
,
le
si
gira
attorno
.
C
'
è
buio
,
solo
tre
lampade
che
illuminano
il
viso
di
cera
e
le
mani
,
una
aperta
,
una
stretta
a
pugno
.
Alla
fine
del
giro
incontro
lo
sguardo
di
Marcello
,
e
per
poco
non
ci
mettiamo
a
ridere
.
So
quello
che
pensa
:
che
è
finto
,
che
sembra
d
'
essere
al
miracolo
di
san
Gennaro
,
che
il
cielo
ci
scampi
dalla
sorte
d
'
essere
imbalsamati
,
dopo
morti
,
e
conservati
in
cantina
per
ricordo
ai
nipoti
.
«
O
vieni
un
po
'
a
vedere
com
'
era
fatto
il
tu
'
nonnino
!
»
Ma
basta
col
sacrilegio
.
Pensiamo
a
fare
il
tifo
per
l
'
Italia
.
Lo
stadione
è
bello
,
l
'
altoparlante
alterna
canzoni
italiane
e
russe
,
il
tabellone
luminoso
dà
le
informazioni
in
cirillico
(
non
pare
,
ma
c
'
è
scritto
proprio
Negri
,
Facchetti
,
Maldini
)
,
c
'
è
l
'
orologio
che
segna
i
minuti
trascorsi
,
e
quelli
del
recupero
,
per
il
tempo
perso
fra
incidenti
,
moine
e
pugni
in
faccia
.
Una
figura
da
ladri
,
e
grazie
,
grazie
al
pubblico
sovietico
che
non
ci
ha
sbeffeggiati
,
alla
fine
,
come
meritavamo
,
con
la
nostra
sicumera
del
mattino
,
quando
dall
'
autobus
facevamo
segno
con
le
mani
,
che
gliele
avremmo
suonate
.
Dopo
lo
stadio
devo
andare
al
Leningradesc
per
telefonare
,
Ludmilla
mi
insegna
dove
scendere
e
dove
prendere
il
3
,
che
però
arriva
solo
alla
Komsomolskaia
,
poi
fare
un
tratto
a
piedi
.
Non
ci
capisco
più
niente
,
nessuno
parla
altro
che
russo
,
io
non
riesco
a
dire
bene
Lieningradscaia
,
anche
perché
la
parola
è
sdrucciola
.
Per
fortuna
un
brav
'
uomo
scende
con
me
e
mi
indica.Di
sopra
il
professore
ha
già
avuto
in
linea
Milano
:
«
...
e
Dubinsky
ci
mette
il
piedone
,
va
bene
?
...
e
Sormani
incorna
,
va
bene
?
...
e
rimedia
il
Trap
,
va
bene
?
»
.
Al
piano
di
sotto
c
'
è
Manlio
Cancogni
in
crisi
,
il
Rollamatic
mi
ci
accompagna
,
lo
abbraccio
e
per
consolazione
viene
sopra
anche
lui
a
far
merenda
con
caviale
,
champagne
,
salmone
e
vodka
.
Mi
piacerebbe
star
lì
a
discutere
,
e
magari
scendere
nell
'
atrio
assiro
per
sfottere
un
po
'
i
prestipedatori
,
gli
abatini
che
l
'
hanno
prese
dai
cavalli
della
steppa
,
ma
la
tradotta
aspetta
e
a
mezzanotte
in
punto
salpiamo
.
Alla
stazione
di
Kiev
ci
sono
ucraini
fierissimi
che
ridono
con
noi
della
partita
,
e
donne
che
si
caricano
sul
groppone
sacchi
e
casse
.
Poi
c
'
è
una
comitiva
ungherese
che
intona
un
coro
,
gli
italiani
rispondono
col
mazzolino
di
fiori
,
e
tutti
insieme
si
canta
Marina
,
Ludmilla
è
sparita
,
riecco
Svetlana
e
Natascia
,
e
il
treno
accenna
a
muoversi
.
Comincia
l
'
anabasi
.
StampaQuotidiana ,
Ieri
alla
partita
,
fermo
sotto
l
'
acquerugiola
fredda
,
uno
degli
architetti
fiorentini
s
'
è
raffreddato
malamente
e
,
siccome
sua
moglie
non
aveva
più
aspirina
nella
borsetta
,
si
sono
rivolti
a
Ludmilla
.
La
solerte
nostra
accompagnatrice
lo
ha
portato
dal
medico
del
villaggio
-
albergo
,
che
gli
ha
fatto
prendere
una
sua
pillola
:
il
raffreddore
è
passato
dopo
mezz
'
ora
,
ma
stanotte
lui
tribola
,
ha
il
vomito
e
un
'
eruzione
su
tutta
la
pelle
.
Nel
vagone
accanto
c
'
è
il
veterinario
con
pizzetto
,
e
dice
subito
che
si
tratta
di
un
'
allergia
:
purtroppo
non
ha
il
rimedio
.
Ma
ci
pensa
Svetlana
:
va
dal
capotreno
e
fa
radiotelefonare
a
Kiev
che
sul
nostro
vagone
,
scompartimento
tale
,
c
'
è
un
italiano
malato
,
e
che
tengano
pronto
un
medico
.
Infatti
ecco
Kiev
,
ed
ecco
il
medico
:
una
donna
più
larga
che
lunga
,
vestita
da
cuoca
,
la
quale
monta
trafelata
sul
vagone
,
visita
l
'
infermo
,
ribadisce
la
diagnosi
dell
'
allergia
,
e
conclude
che
bisogna
senz
'
altro
ricoverarlo
nell
'
ospedale
cittadino
.
«
No
,
no
,
no
»
,
dice
la
moglie
dell
'
architetto
,
«
da
da
da
»
ribatte
la
cuoca
,
ma
la
signora
non
cede
.
Pazienza
,
allora
,
e
ordina
che
il
treno
sosti
in
stazione
qualche
minuto
di
più
,
per
fare
un
'
iniezione
:
accorre
infatti
un
'
altra
cuoca
con
la
siringa
e
buca
l
'
architetto
sul
braccio
,
a
regola
d
'
arte
,
senza
il
minimo
dolore
.
Poi
radiotelefonano
alla
stazione
successiva
:
sia
pronto
un
altro
medico
con
il
farmaco
così
e
così
,
per
un
allergico
italiano
che
non
vuol
farsi
ricoverare
e
che
bisogna
curare
strada
facendo
.
Pronta
la
medicina
alla
prossima
stazione
,
la
terza
cuoca
ordina
espressamente
al
ferroviere
del
nostro
vagone
che
controlli
:
ogni
quattro
ore
,
pillola
al
malato
.
E
ogni
quattro
ore
l
'
omino
gentilissimo
bussa
e
s
'
accerta
.
Presa
la
medicina
?
Bravo
.
Terza
visita
,
per
un
ultimo
controllo
,
alla
frontiera
(
stavolta
è
un
cuoco
)
.
Tutto
a
posto
:
cessato
il
vomito
,
va
scomparendo
a
vista
d
'
occhio
l
'
eruzione
cutanea
,
resta
solo
una
gran
fatica
addosso
all
'
architetto
fiorentino
che
ci
ha
dato
modo
di
constatare
,
sulla
pelle
sua
,
come
funzioni
l
'
assistenza
sanitaria
sui
treni
sovietici
:
ottimamente
.
A
Ciop
la
dogana
è
anche
più
sbrigativa
che
all
'
andata
,
chi
vuole
può
riconvertire
i
rubli
in
moneta
occidentale
(
era
una
diceria
,
che
non
lo
facessero
)
,
si
fanno
gli
ultimi
acquisti
di
distintivi
e
stelle
rosse
,
molti
completano
la
collezione
di
monetino
,
dal
copeco
al
rublo
.
Al
bar
c
'
è
una
macchina
per
gli
espressi
di
fabbricazione
ungherese
,
e
decidiamo
di
osare
,
dopo
una
settimana
di
astinenza
:
quasi
buono
.
Le
tre
del
mattino
,
intonandoci
sul
meridiano
nostro
,
diventano
le
cinque
,
ci
stiamo
caricando
sul
vagone
ungherese
,
che
è
lo
stesso
di
prima
,
cioè
brutto
,
poi
quando
è
il
segno
di
partire
ecco
gli
italiani
tutti
che
intonano
Ciao
,
ciao
ciao
bambina
,
per
le
due
ragazze
sovietiche
ferme
lì
davanti
.
Svetlana
-
Chiara
sta
alla
parte
,
smette
il
suo
bel
sorriso
e
fa
finta
di
piangere
;
Natascia
la
pari
-
pari
invece
si
mette
a
piangere
davvero
,
proprio
lei
che
finora
era
rimasta
sempre
sulle
sue
,
e
a
me
pare
di
aver
capito
per
chi
di
noi
-
fortunato
!
-
sta
piangendo
.
Però
,
come
fanno
presto
i
popoli
,
a
intendersi
!
Sul
brutto
treno
ungherese
c
'
è
un
bel
vagone
ristorante
,
coi
camerieri
alti
e
distinti
che
servono
una
meravigliosa
frittata
al
prosciutto
.
Si
chiamano
tutti
Utasellato
-
lo
hanno
scritto
sul
taschino
della
giacca
-
ma
anche
i
piatti
e
i
tovaglioli
di
carta
sono
Utasellato
.
In
questo
modo
si
chiarisce
il
mistero
:
quell
'
incredibile
parola
significa
,
pressappoco
,
«
servizio
ristorante
»
.
A
Budapest
,
inevitabile
come
una
tassa
,
c
'
è
Giorgio
Suveniri
,
che
stavolta
però
non
ci
sollecita
a
cambiare
.
Anzi
,
è
l
'
architetto
fiorentino
convalescente
che
vorrebbe
riconvertire
in
soldi
nostri
i
duecento
e
passa
fiorini
che
gli
sono
rimasti
in
tasca
,
ma
Suveniri
pare
sordo
a
questo
discorso
.
Forse
cambieremo
alla
frontiera
.
E
invece
anche
lì
fanno
orecchi
da
mercante
al
discorso
del
cambio
di
moneta
,
e
così
l
'
architetto
fiorentino
se
ne
torna
nella
città
del
fiore
coi
duecento
e
passa
fiorini
:
li
terrà
per
ricordo
e
per
ammonimento
al
viaggiatore
sprovveduto
in
terra
magiara
.
Piccola
inchiesta
tra
i
compagni
di
viaggio
.
Di
che
cosa
avete
sentito
più
la
mancanza
,
in
questi
giorni
?
Le
risposte
sono
,
nell
'
ordine
:
caffè
,
vino
,
tapparelle
,
bidet
.
Che
cosa
vi
è
piaciuto
di
più
?
La
metropolitana
,
l
'
università
,
la
piscina
coperta
,
lo
stadio
.
E
che
cosa
di
meno
?
Le
donne
che
lavorano
pesante
,
le
file
davanti
ai
carrettini
,
troppi
uomini
in
divisa
.
Acquisti
?
Tutti
la
balalaica
,
molti
il
colbacco
,
alcuni
il
caviale
,
nessuno
la
vodka
,
che
costa
meno
da
noi
che
a
Mosca
,
perché
a
Mosca
vogliono
scoraggiare
gli
alcolisti
.
II
tabaccaio
senese
porta
appesa
al
collo
una
stupenda
macchina
fotografica
,
da
settanta
rubli
.
Non
si
preoccupa
più
per
il
mangiare
,
ma
per
la
nostra
dogana
,
che
forse
gli
farà
pagare
il
balzello
.
Avventure
galanti
?
Zero
via
zero
.
Qualcuno
ha
cambiato
parere
su
qualcosa
?
Nessuno
,
su
niente
.
Tutti
sapevano
già
tutto
,
e
hanno
trovato
conferma
:
che
va
bene
,
oppure
che
va
male
,
oppure
che
va
così
e
così
.
La
verità
è
che
a
Mosca
,
nessuno
va
con
animo
obiettivo
,
come
andrebbe
a
Tokio
o
a
Carachi
;
ognuno
ha
in
testa
le
sue
idee
precise
(
anzi
le
sue
idee
fisse
)
e
non
si
sposta
d
'
un
palmo
.
Diffusa
tra
tutti
la
tendenza
a
generalizzare
,
a
dedurre
dai
minimi
particolari
di
questi
due
vertiginosi
giorni
moscoviti
(
il
gesto
di
un
taxista
,
la
cortesia
d
'
un
passante
,
una
frase
colta
a
volo
)
conclusioni
amplissime
,
perfino
universali
.
Ma
su
una
cosa
sono
concordi
tutti
quanti
,
nella
simpatia
per
la
gente
di
Russia
:
buona
,
cordiale
,
tollerante
,
un
po
'
approssimativa
,
un
po
'
pelandrona
,
simile
a
noi
,
migliore
di
noi
.
Simpatia
e
gratitudine
,
mi
dice
Marcello
mentre
si
fa
buio
e
Vienna
si
avvicina
.
«
Quelle
donne
che
sgobbano
,
le
hai
viste
,
sgobbano
anche
per
noi
,
sì
,
per
te
e
per
me
.
Tengono
in
piedi
un
Paese
,
un
ideale
e
un
mito
.
Se
il
socialismo
oggi
in
certi
paesi
è
una
sostanza
,
e
in
altri
un
lievito
,
e
cioè
una
continua
spinta
verso
il
meglio
,
il
merito
va
soprattutto
a
loro
,
e
il
nostro
debito
è
grande
.
Ci
pensi
?
In
quarantacinque
anni
hanno
avuto
due
guerre
mondiali
,
la
rivoluzione
,
la
carestia
,
e
poi
Stalin
,
hanno
perso
milioni
di
uomini
,
eppure
sulle
loro
spalle
,
sulla
loro
pazienza
,
il
socialismo
ha
retto
.
Ti
confesso
che
a
questa
gente
auguro
di
cuore
un
mucchio
di
bene
,
perché
se
lo
meritano
»
.
C
'
è
da
chiedersi
semmai
quale
bene
augurargli
.
Gli
impermeabili
empolesi
?
Le
penne
a
sfera
,
che
tanto
ci
chiedevano
giovanotti
e
ragazzi
,
i
cittadini
di
domani
,
per
le
strade
di
Mosca
?
«
Anche
quelli
.
Saranno
sciocchezze
,
in
sé
,
ma
valgono
come
simbolo
:
vogliono
più
gioia
,
più
fantasia
,
più
agio
.
Dopo
gli
impermeabili
chiederanno
la
nostra
musica
,
la
nostra
arte
,
i
nostri
libri
,
i
nostri
film
(
non
hanno
forse
già
premiato
Fellini
?
)
,
insomma
maggiori
scambi
con
noialtri
.
Stanno
comprando
il
grano
,
lo
sai
,
ma
già
dicono
che
non
si
vive
di
solo
pane
,
veramente
...
Ma
guarda
quanta
luce
,
a
Vienna
!
»
E
veramente
sembra
d
'
essere
usciti
da
un
lungo
tunnel
:
la
stazione
è
lucida
,
razionale
,
le
strade
sfavillanti
di
pubblicità
luminosa
,
il
traffico
denso
e
alacre
,
la
gente
vestita
bene
,
le
donne
eleganti
.
C
'
è
poco
da
dire
,
è
già
casa
nostra
.
Tutto
quel
che
di
solito
rimproveriamo
alle
nostre
metropoli
,
adesso
ci
accorgiamo
d
'
averlo
ormai
nel
sangue
.
E
i
nostri
compagni
di
viaggio
sono
già
diversi
:
è
finita
la
distensione
un
po
'
pigra
e
ottimistica
dei
giorni
passati
,
pare
che
tutti
abbiano
ritrovato
l
'
argento
vivo
di
sempre
,
e
si
muovono
a
vanvera
,
pur
di
andare
dove
c
'
è
più
luce
,
più
lustro
,
più
colore
,
come
tanti
farfalloni
.
Ivano
,
Riccio
,
Mimmo
,
appena
ingozzata
la
cena
,
mi
trascinano
al
tabellone
degli
orari
,
e
poi
al
nostro
binario
,
dove
ancora
il
treno
non
si
vede
perché
manca
più
di
un
'
ora
alla
partenza
,
e
poi
al
chiosco
delle
sigarette
,
e
a
quello
dei
giornali
,
e
sul
piazzale
davanti
alla
stazione
,
e
al
bar
per
l
'
ultimo
bicchierino
.
Ricomincia
a
prevalere
l
'
iniziativa
privata
,
quel
lavorare
di
gomiti
della
nostra
esistenza
quotidiana
,
la
furia
d
'
arrivare
,
la
paura
di
non
farcela
.
A
trovare
le
cuccette
,
per
esempio
sul
treno
austriaco
dagli
scompartimenti
a
sei
,
e
il
giaciglio
stretto
,
scomodo
,
senza
lenzuola
,
e
il
bagno
così
razionale
che
non
ci
si
entra
quasi
,
e
si
sbatte
la
testa
,
i
gomiti
,
i
ginocchi
,
a
tentare
di
lavarsi
.
Dobbiamo
prendere
con
noi
altri
due
compagni
di
viaggio
,
uno
per
fortuna
è
Marcello
,
l
'
altro
un
bottegaio
ligure
che
avrà
di
certo
passato
la
sessantina
.
Senza
pietà
lo
releghiamo
nella
cuccetta
più
bassa
,
più
scomoda
perché
è
arrivato
ultimo
,
lo
chiamiamo
vigliaccamente
«
nonno
»
,
gli
diamo
del
tu
,
e
intanto
sgomitiamo
apprestandoci
all
'
ultima
dormita
su
ruote
.
È
inutile
che
io
raccomandi
di
stare
calmi
,
di
mettere
le
valigie
al
posto
,
di
non
ingombrare
il
poco
spazio
libero
che
c
'
è
:
non
mi
danno
più
retta
.
«
È
finito
il
socialismo
,
vero
?
»
mi
fa
Marcello
ridendo
dalla
sua
cuccetta
.
«
Non
sei
più
il
presidente
del
vagone
cooperativo
,
caro
mio
.
Buona
notte
,
piccolo
padre
»
Al
mattino
non
c
'
è
nemmeno
bisogno
di
affacciarsi
per
capire
che
siano
in
Italia
:
basta
la
fila
davanti
al
bagno
,
le
voci
che
salgono
di
tono
,
qualche
primo
insulto
che
ricomincia
a
circolare
.
E
a
Venezia
ci
salutiamo
in
fretta
,
già
quasi
estranei
:
il
tabaccaio
senese
con
la
bella
macchina
fotografica
nuova
,
le
due
bolognesi
coi
calzoni
,
la
padovana
barbuta
,
il
piemontese
balengo
che
finalmente
apre
bene
gli
occhi
e
non
parla
più
con
quello
strascico
della
prima
notte
a
Mosca
.
Siamo
nel
Paese
dell
'
iniziativa
privata
,
dell
'
individualismo
,
e
ognuno
bada
soltanto
a
non
farsi
fare
fesso
.
Ma
noi
quattro
ci
scambiamo
un
abbraccio
,
la
promessa
di
scriversi
,
di
rivedersi
.
Spero
proprio
che
sia
vero
,
che
Ivano
,
Minimo
e
Riccio
non
si
scordino
tanto
presto
la
tradotta
per
Mosca
,
nell
'
ottobre
del
'63
.
StampaQuotidiana ,
«
Oramai
il
sabato
qua
non
ci
si
Intra
più
»
.
È
facile
il
gioco
di
parole
,
ma
vero
.
In
fondo
a
via
Montebianco
,
fermano
sempre
più
numerose
le
macchine
;
soci
e
ospiti
del
«
Derby
»
.
Fino
all
'
anno
scorso
era
arredato
a
scuderia
,
con
staffe
,
barbazzali
,
coperte
da
cavallo
,
e
ci
suonavano
ottimo
jazz
:
con
Enrico
Intra
,
Pupo
De
Luca
(
«
the
best
drummer
in
Europe
»
)
e
Pallino
Salonia
«
au
contrebas
»
.
Ora
è
diverso
:
arredamento
barbarico
-
rinascimentale
,
arricchita
la
compagine
del
jazz
da
Franco
Cerri
chitarrista
e
da
Barigozzi
flautista
,
aggiunto
il
cabaret
.
L
'
unico
locale
italiano
che
faccia
di
queste
cose
.
Certe
sere
lo
spettacolo
dura
fino
a
due
ore
,
e
poi
si
ripete
,
dopo
che
ha
servito
gli
spaghetti
al
dente
.
Stipata
la
sala
,
neanche
al
bar
c
'
è
più
un
posto
libero
.
Franco
Nebbia
è
indispensabile
:
riceve
gli
ospiti
,
presenta
i
colleghi
,
racconta
le
storie
del
Fagioli
(
massimo
autore
inedito
del
Novecento
)
,
canta
la
sua
disavventura
col
grammofono
che
non
funziona
,
perché
è
di
sesso
femminile
,
è
una
grammofona
,
e
nemmeno
ad
alta
fedeltà
.
Ha
finito
l
'
altro
giorno
di
musicare
:
Ma
il
commendator
mio
non
muore
,
valzerone
all
'
italiana
che
comincia
così
:
«
Ha
trasferito
i
capitali
in
Svizzera
per
me
»
.
Dopo
di
lui
Enzo
Jannacci
:
storie
di
barboni
,
di
papponi
,
di
sprovveduti
che
perdono
l
'
ombrello
.
Il
pubblico
ne
sa
alcune
a
memoria
e
fa
coro
sul
ritornello
:
«
El
purtava
i
scarp
de
tennis
,
e
parlava
deperlù
»
.
Basterebbe
,
e
invece
c
'
è
un
giovane
chitarrista
classico
,
Augusto
Righetti
,
e
dopo
di
lui
-
in
breve
licenza
premio
-
un
altro
chitarrista
,
ma
moderno
,
che
canta
bossanove
in
dialetto
genovese
,
assai
simile
,
come
suono
,
al
portoghese
.
Si
chiama
Bruno
Lauzi
.
Via
la
chitarra
,
al
pianoforte
va
Gino
Negri
e
suona
,
naturalmente
in
piedi
,
la
storia
della
donna
barbuta
,
che
è
sempre
piaciuta
.
Che
gente
ci
capita
?
Un
po
'
di
tutto
:
Mike
Bongiorno
tirato
a
lucido
,
Paola
Penni
col
faccino
dispettoso
,
i
sociologi
Guiducci
,
moglie
e
marito
,
del
circolo
Turati
,
Naka
Skoglund
,
Lucio
Mastronardi
,
Tino
Buazzelli
col
barbone
di
Galileo
,
Fausto
Cardini
,
Ornella
Vanoni
che
se
non
è
stanca
del
Rugantino
prende
il
microfono
e
canta
,
Nicola
Arigliano
,
il
pittore
Casella
incompreso
e
ingrugnato
,
Carletto
Colombo
.
In
sala
ora
c
'
è
silenzio
perché
Corti
e
Barcellini
stanno
mimando
una
seduta
dal
dentista
.
Al
bar
la
signora
Angela
,
vigile
e
materna
,
zittisce
certi
giovani
senza
cravatta
,
che
hanno
fatto
crocchio
e
intonano
certe
canzoni
mai
registrate
alla
SIAE
.
Il
cabaret
di
via
Montebianco
è
così
ricco
,
così
pieno
,
che
si
può
permettere
una
opposizione
interna
,
di
sinistra
naturalmente
:
«
Quando
che
muore
un
prete
,
suonano
le
campane
...
»
.
StampaQuotidiana ,
Tanto
per
cominciare
,
stamani
dal
terrazzo
si
vedeva
il
Monte
Rosa
,
illuminato
a
gloria
da
un
impensabile
sole
novembrino
.
E
poi
Inter
-
Bologna
è
sempre
stata
una
bella
partita
:
due
anni
or
sono
finì
sei
a
quattro
,
e
fu
roba
da
infarto
,
velocissima
,
manovrata
,
pulita
.
E
comunque
l
'
Inter
bisogna
vederla
sempre
:
non
a
caso
è
già
entrata
nella
storia
della
poesia
contemporanea
,
insieme
alle
sole
Juve
e
Triestina
;
ha
un
pubblico
fra
i
più
passionali
,
un
po
'
simile
negli
umori
ai
contradaioli
senesi
.
Insomma
,
si
va
.
Lo
stadio
è
lustro
,
riverniciato
:
danno
fastidio
le
due
pubblicità
di
lancette
che
chiudono
le
porte
,
e
quella
specie
di
teepee
da
pellerossa
che
al
centro
parla
di
«
fibra
viva
»
.
Cos
'
altro
non
va
?
Ecco
,
ci
vorrebbe
il
cartellone
luminoso
,
per
le
formazioni
delle
squadre
,
tanto
più
che
gli
altoparlanti
gracchiano
,
e
si
capisce
poco
.
Ci
vorrebbe
anche
l
'
orologio
grande
,
che
segni
lo
scorrere
dei
minuti
,
altrimenti
trovi
sempre
un
tifoso
che
ti
domanda
di
continuo
quanto
manca
.
In
ogni
modo
sono
entrati
:
dalla
parte
nostra
c
'
è
Facchetti
,
quello
dal
compasso
lungo
,
e
siccome
contrasta
Perani
,
che
è
un
'
aletta
bassa
,
speriamo
che
non
faccia
come
a
Mosca
.
Invece
se
la
cava
bene
,
e
il
pubblico
l
'
applaude
.
Applaude
Ricami
,
incoraggia
Mazzola
(
lo
chiamano
«
Sandrino
»
e
se
sbaglia
danno
la
colpa
al
rigore
che
sbagliò
domenica
scorsa
a
Roma
,
e
che
lo
avrebbe
demoralizzato
)
;
applaude
soprattutto
Corso
,
cioè
Mariolino
,
che
fa
sempre
bene
,
non
ne
sbaglia
una
.
Quando
poi
Bulgarelli
resta
a
terra
,
e
i
suoi
compagni
lanciati
verso
il
go1
non
buttano
fuori
la
palla
,
e
ci
pensa
invece
lui
,
allora
gli
applausi
diventano
uragano
.
Bravo
,
corretto
e
sportivo
:
tenace
nel
gioco
,
specialmente
con
Bulgarelli
che
è
il
suo
più
naturale
avversario
,
ma
sportivo
.
Con
Jair
usano
due
misure
.
Se
dribbla
due
avversari
è
«
il
negretto
»
,
ma
se
poi
insiste
e
dribbla
anche
se
medesimo
,
allora
diventa
«
quel
negher
lì
»
.
Intervallo
:
rimettono
a
posto
le
lamette
e
la
tenda
indiana
,
ricominciano
a
vendere
boccette
di
cognac
e
di
amaro
(
per
la
verità
dicono
di
«
amarildo
»
)
entrano
in
campo
certi
municipali
in
divisa
e
coi
rastrelli
rattoppano
il
terreno
,
da
chissà
dove
compare
il
Rollamatic
,
vestito
da
boscaiolo
canadese
,
va
a
sedersi
sulla
panchina
di
Fulvio
Bernardini
,
e
mette
ordine
nei
suoi
appunti
.
Poi
sparisce
,
chissà
dove
,
e
sulla
panchina
c
'
è
di
nuovo
l
'
allenatore
,
tranquillo
,
sorridente
,
con
gli
occhiali
,
come
un
vero
dottore
.
E
pensare
che
ai
suoi
tempi
era
il
miglior
centrocampista
d
'
Europa
:
da
quanto
era
bravo
,
lo
escludevano
dalla
Nazionale
.
Gli
altri
,
dicevano
,
non
sarebbero
stati
in
grado
di
capire
le
finezze
del
suo
gioco
.
Ed
era
vero
.
Ora
il
compasso
lungo
s
'
è
spostato
dall
'
altra
parte
,
l
'
ombra
degli
spalti
erti
ha
invaso
quasi
tutto
il
campo
,
il
gioco
continua
velocissimo
e
a
uno
a
uno
si
sfiatano
tutti
,
per
primo
Haller
,
il
biondo
tavolone
duro
come
il
sasso
.
La
gente
si
sgola
,
ma
si
capisce
di
già
che
finisce
zero
a
zero
.
Hanno
accesi
i
transistors
,
e
gli
onnivori
del
gioco
del
calcio
guardano
la
partita
e
ne
ascoltano
intanto
altre
sei
.
Quando
il
discorso
cade
sulla
nostra
,
vien
fatto
di
controllare
se
il
cronista
dice
giusto
o
se
invece
tira
a
indovinare
.
Dice
giusto
.
Quando
l
'
arbitro
dà
il
segno
della
fine
,
fischiano
,
ma
hanno
torto
,
perché
gol
non
ce
ne
sono
stati
è
vero
,
ma
la
partita
vale
quella
di
due
anni
or
sono
:
veloce
,
manovrata
e
pulita
.
Tutti
fanno
calca
alle
sbarre
,
c
'
è
un
po
'
di
pigia
pigia
,
ma
fra
poco
siamo
liberi
:
lo
stadio
si
vuota
.
A
guardarlo
da
lontano
,
con
tutta
la
gente
che
scende
per
la
rampa
elicoidale
,
sembra
un
enorme
bullone
che
tenti
di
avvitarsi
al
cielo
.
StampaQuotidiana ,
L
'
estate
scorsa
al
mare
conobbi
Walter
Chiari
.
Gli
parlavo
e
lui
accennava
di
sì
con
la
testa
,
la
stessa
faccia
di
quando
sulla
scena
fa
il
ciclista
tonto
:
credevo
che
mi
canzonasse
.
Poi
a
cena
la
ragazza
che
l
'
accompagnava
rovesciò
una
bottiglia
di
vino
,
e
la
più
parte
mi
finì
sulla
camicia
:
si
tolse
subito
il
maglione
blu
e
me
lo
infilò
addosso
,
quasi
di
forza
.
In
due
giorni
gli
vidi
fare
tutto
:
teneva
banco
sul
peschereccio
in
gita
verso
il
largo
,
ballava
il
«
tamouret
»
inventandoselo
,
carezzava
i
bambini
,
quasi
fosse
un
taumaturgo
,
a
richiesta
delle
madri
,
rimase
fino
alle
tre
di
notte
a
discutere
di
politica
con
Giorgio
Ghezzi
,
romagnolo
,
di
poche
e
chiarissime
idee
,
mentre
lui
,
Walter
,
di
idee
ne
ha
fin
troppe
e
confuse
.
Ma
soprattutto
parlava
della
sua
adolescenza
milanese
,
là
fuori
porta
Magenta
,
fra
piazza
Piemonte
e
via
Domenichino
,
allievo
assai
scadente
eppure
prediletto
di
pugili
,
«
spicciolisti
»
,
pescatori
di
frodo
.
A
nessuno
confessava
che
suo
padre
era
brigadiere
scacciato
con
ignominia
.
La
figura
del
padre
,
poi
,
gli
diventava
leggendaria
:
come
quando
inseguì
un
ladro
a
bordo
d
'
un
tram
,
perché
non
aveva
né
l
'
auto
né
i
soldi
per
pagarsi
il
tassì
.
Dubitavo
che
ci
fosse
un
po
'
di
mitologia
e
invece
l
'
altra
sera
,
quando
ha
tenuto
la
«
prolusione
»
(
proprio
così
diceva
l
'
invito
)
alla
prima
de
La
rimpatriala
,
nella
figura
di
Cesarino
c
'
erano
tante
cose
che
appartengono
a
Walter
:
l
'
altruismo
,
il
candore
quasi
musulmano
del
bigamo
,
il
filo
rosso
di
pazzia
lombarda
che
traspare
sempre
nei
suoi
discorsi
,
la
voglia
scatenata
di
regalare
sempre
qualcosa
,
una
risata
,
un
maglione
,
un
'
avventura
.
E
,
finita
la
proiezione
,
a
tavola
non
sai
più
se
accanto
ti
siede
Cesarino
oppure
Walter
:
abbraccia
i
camerieri
,
si
preoccupa
se
qualcuno
è
rimasto
in
piedi
,
cuoce
sul
fornelletto
a
spirito
un
pezzo
di
carne
,
lo
condisce
con
misteriose
salse
inventate
dal
signor
Pino
,
e
poi
m
'
imbocca
,
come
se
fossi
un
suo
fratello
maggiore
che
si
trascura
per
disattenzione
.
E
ancora
il
padre
:
«
La
miseria
diventa
nobiltà
,
capisci
?
Gli
avevo
comprato
un
buco
di
casa
in
Riviera
,
con
pochi
metri
di
terra
,
e
lui
ci
faceva
nascere
tutto
.
Col
gelo
,
la
notte
metteva
una
coperta
sopra
le
piantine
.
Perché
,
vedi
,
per
chi
è
padrone
di
un
bosco
un
albero
è
un
albero
,
ma
per
chi
ha
solo
l
'
orto
una
pianta
diventa
come
un
figliolo
,
bisogna
farlo
venire
su
a
tutti
i
costi
,
anche
perché
poi
lo
mandi
al
lavoro
e
ti
porta
a
casa
la
paga
»
.
Chiama
al
tavolo
i
suoi
amici
di
allora
,
posteggiatori
,
ex
pugili
,
maschere
di
cinema
,
«
spicciolisti
»
forse
,
e
alle
quattro
del
mattino
sono
ancora
lì
per
strada
a
ridere
,
a
rincorrersi
,
a
scambiarsi
pacche
sulla
schiena
,
senza
badare
alle
signore
in
pelliccia
che
vorrebbero
andare
a
nanna
.
La
vera
«
rimpatriata
»
eccola
qua
,
in
una
nobile
stradetta
di
Milano
che
fra
qualche
mese
sparirà
.
E
al
momento
del
congedo
non
sai
se
dirgli
Walter
oppure
Cesarino
.
StampaQuotidiana ,
Per
mangiare
bene
,
dicono
,
bisogna
andare
dove
vanno
i
camionisti
.
Può
darsi
,
ma
è
difficile
.
Più
facile
mettersi
alle
calcagna
dei
librai
,
che
sono
i
più
formidabili
banchettatori
di
Milano
,
e
non
perdono
un
'
occasione
.
Una
strenna
-
per
esempio
il
libro
contenuto
nella
bottiglia
,
che
tratta
scientificamente
la
questione
dei
cocktails
-
basta
e
avanza
per
mettere
su
una
cena
sontuosa
:
spuma
di
gamberetti
,
brodino
di
coda
di
manzo
,
anatra
all
'
arancio
;
al
momento
del
gelato
portano
un
mulino
a
vento
di
marzapane
,
che
muove
le
pale
ma
non
viene
mangiato
.
Nel
gruppo
dei
librai
,
solitamente
massicci
di
corporatura
,
Oriana
Fallaci
sembra
anche
più
piccolina
,
ma
li
tiene
a
bada
benissimo
,
con
la
loquela
:
«
Antipatici
»
,
gli
dice
.
E
domani
saranno
di
nuovo
a
cena
,
per
decidere
se
assegnare
il
loro
premio
annuale
a
Oreste
Del
Buono
,
scrittore
non
facile
e
mangiatore
quasi
inesistente
.
Da
un
po
'
di
tempo
in
qua
non
si
cena
più
a
casa
:
si
va
con
la
Jole
,
poi
con
Ugo
Tognazzi
,
poi
coi
reduci
del
Curtatone
e
Montanara
.
Ma
la
cena
più
bella
fu
martedì
alla
Bovisa
,
in
casa
di
Jenkiro
,
cioè
nello
stanzone
attiguo
all
'
altro
stanzone
che
gli
serve
da
studio
.
Servono
l
'
aperitivo
e
alla
spicciolata
arrivano
gli
altri
ospiti
:
il
Duardin
Franceschini
,
con
la
moglie
che
si
crede
grassa
,
poi
un
bel
ragazzetto
col
capoccione
biondo
che
a
domanda
risponde
:
«
Giuliottavo
Crippa
,
anni
otto
e
mezzo
.
Il
mio
papà
ha
preso
sei
fagiani
,
Hisachika
invece
due
soltanto
.
Lo
sai
che
ci
hanno
regalato
un
cane
da
mezzo
milione
?
»
.
Hisachika
(
di
cognome
Takahashi
)
è
un
giovanissimo
pittore
giapponese
che
lavora
da
alcuni
anni
nello
studio
di
Roberto
Crippa
,
invitato
anche
lui
.
Entra
senza
nemmeno
il
bastone
,
zoppica
un
poco
ma
sta
benissimo
:
mi
spiega
che
quando
l
'
apparecchio
gli
precipitò
a
foglia
morta
,
ebbe
trecento
fratture
alle
ossa
delle
gambe
.
Una
mamma
didascalica
interroga
il
suo
bambino
:
«
Questi
signori
,
vedi
,
sono
giapponesi
.
Guardali
bene
e
dimmi
che
cos
'
hanno
di
diverso
da
noi
?
»
.
Il
piccolo
ci
pensa
un
po
'
,
e
conclude
:
«
Sorridono
sempre
»
.
Sorridono
anche
mentre
si
mangia
il
sukivaki
;
al
centro
del
tavolo
c
'
è
un
fornelletto
a
spirito
,
e
sopra
una
pignatta
di
ferro
.
Con
le
bacchette
ci
mettono
dentro
grasso
,
pezzi
di
carne
,
e
man
mano
cavolfiore
,
spinaci
,
carote
,
porri
.
Danno
un
uovo
a
testa
,
crudo
:
bisogna
romperlo
e
sbatterlo
nella
ciotolina
.
Poi
si
pesca
nel
calderone
sempre
acceso
,
si
passa
il
boccone
nell
'
uovo
sbattuto
,
si
condisce
con
salsa
di
soia
e
si
mangia
.
Nell
'
altra
ciotolina
c
'
è
brodo
con
bambù
:
chi
vuole
può
prendere
del
pesce
secco
,
duro
come
il
legno
,
che
va
grattugiato
e
mischiato
al
riso
.
Tutti
armeggiano
con
le
bacchette
d
'
osso
,
il
più
bravo
è
Roberto
Crippa
,
mentre
Hisachika
ha
impugnato
la
forchetta
,
e
viene
accusato
di
deviazionismo
e
di
occidentalismo
decadente
.
Poi
,
ecco
la
definizione
,
che
mi
pare
calzante
,
di
questo
sukivaki
:
è
una
frittata
di
carne
e
verdura
fatta
alla
rovescia
.
StampaQuotidiana ,
Fino
a
domenica
scorsa
di
questo
benedetto
film
non
ne
sapevo
più
d
'
un
lettore
qualunque
.
E
neanche
me
ne
davo
pensiero
:
dopo
tutto
il
cinema
è
mestier
loro
,
e
anzi
,
meno
l
'
autore
del
libro
ci
mette
le
mani
e
meglio
è
.
Poi
,
invece
,
sono
arrivati
in
massa
da
Roma
,
ed
eccoli
lì
:
prima
della
guerra
il
produttore
recitava
parti
di
bello
cattivo
,
me
lo
ricordo
vestito
di
nero
,
aitante
.
La
spada
in
pugno
,
attentava
alla
virtù
della
primadonna
e
uccideva
l
'
amico
del
protagonista
,
ma
poi
gli
toccava
sempre
una
brutta
fine
.
Nino
Crisman
oggi
è
un
bel
signore
alto
,
grigio
,
cordiale
,
paziente
.
Alto
,
ma
bruno
,
nasuto
e
occhialuto
,
Carlo
Lizzani
lo
vidi
morire
vestito
da
prete
nel
Sole
sorge
ancora
:
adesso
scopro
che
siamo
coetanei
,
che
abbiamo
pressappoco
gli
stessi
amici
,
che
eravamo
sotto
le
armi
lo
stesso
anno
,
ma
lui
granatiere
,
insieme
a
Gassman
e
a
Squarzina
.
Amidei
e
Vincenzoni
,
finalmente
,
mi
danno
da
leggere
la
sceneggiatura
,
ed
è
per
me
una
bella
sorpresa
constatare
il
rispetto
che
hanno
avuto
per
il
mio
libro
.
Giuro
che
non
speravo
tanto
.
Mi
incuriosiva
sapere
come
avevano
battezzato
il
protagonista
,
che
nel
romanzo
non
ha
none
.
Ebbene
,
si
chiama
Luciano
.
Ancora
:
certi
brani
che
non
sono
racconto
,
ma
oratoria
,
predica
,
ero
convintissimo
che
dovessero
di
necessità
cadere
,
e
invece
no
,
restano
quasi
tutti
:
l
'
interprete
li
dirà
,
pari
pari
,
guardando
in
macchina
,
come
rivolto
al
pubblico
.
Ci
fa
vedere
con
che
faccia
,
e
mi
si
conferma
il
dubbio
che
m
'
assomigli
quest
'
altro
coetaneo
,
Ugo
Tognazzi
.
La
prima
idea
del
film
,
l
'
ebbe
lui
,
e
gliene
sono
grato
,
perché
ha
insistito
,
fino
a
trovare
il
produttore
che
ci
voleva
.
Le
differenze
rispetto
al
libro
:
nel
finale
,
Luciano
,
perfettamente
integrato
,
ritorna
con
la
moglie
.
La
sua
provincia
non
è
la
Maremma
,
ma
l
'
Emilia
vicina
al
Po
.
È
giusto
,
Tognazzi
con
l
'
accento
toscano
farebbe
subito
pensare
a
Bartali
.
Discutiamo
tutti
e
sei
certe
situazioni
,
certe
difficoltà
di
realizzazione
,
e
comincio
a
capire
che
il
cinema
è
un
'
altra
cosa
,
un
mestiere
diverso
dal
mio
,
e
tutto
sommato
più
difficile
,
ma
intanto
è
arrivato
Sergio
Cossu
per
le
fotografie
:
siccome
con
noi
c
'
è
,
silenziosissima
,
Anna
-
quella
vera
-
lui
la
scambia
per
quella
finta
,
per
l
'
attrice
protagonista
,
e
la
prega
di
posare
.
Grazie
anche
a
lui
.
StampaQuotidiana ,
Siano
alla
scaletta
,
ma
di
ferro
:
quadro
comandi
stazione
,
tu
entri
in
campo
,
lei
è
al
finestrino
,
le
dici
via
perché
non
scendi
?
Ma
niente
dramma
,
il
magone
l
'
ho
dentro
,
quasi
sembra
che
scherzi
.
E
lei
niente
,
muta
,
una
faccia
dietro
un
vetro
.
Poi
c
'
è
la
valigia
in
testa
,
io
mi
volto
,
guardo
in
macchina
:
«
Porcaccia
miseria
che
botta
.
No
,
dico
,
che
botta
quando
dopo
un
anno
insieme
lei
ti
lascia
!
Magari
lo
sapevi
che
era
finita
,
ma
quando
sei
lì
e
vedi
che
parte
,
allora
...
»
.
Il
primattore
adesso
sta
davanti
al
transatlantico
,
al
modellino
dell
'
atrio
e
riflette
.
Comodo
per
riflettere
,
il
Rex
,
perché
se
uno
riflette
senza
nulla
davanti
,
guardate
un
po
'
che
faccia
!
...
Come
minimo
gli
chiedono
se
si
sente
male
.
Dissolvenza
,
albergo
diurno
,
lui
che
si
taglia
le
unghie
dei
piedi
,
arrivano
cinque
o
sei
di
corsa
,
lei
apre
,
entra
e
chiude
.
Però
queste
unghie
dei
piedi
...
Lo
sceneggiatore
adesso
dubita
.
Rifacciamo
la
scaletta
così
:
Luciano
sale
dalla
scaletta
del
diurno
,
e
viene
bene
perché
Ugo
ha
la
faccia
di
uno
che
esce
dal
bagno
,
sempre
.
Un
momento
,
fammi
finire
:
arriva
Maria
.
Cosa
c
'
entra
Maria
?
Insomma
,
arriva
Anna
,
Io
piglia
per
un
braccio
,
farmacia
,
cachet
,
bicchiere
d
'
acqua
.
Lo
beve
lei
,
il
cachet
serbalo
,
caso
mai
ti
pigli
un
'
altra
botta
in
testa
.
Idrante
,
schiaffo
d
'
acqua
in
faccia
a
Luciano
,
oltre
tutto
Ugo
sta
bene
coi
capelli
incollati
sulla
fronte
,
ed
entrano
in
Duomo
.
Ci
vorrà
il
permesso
?
Sentiremo
all
'
arcivescovado
.
Lei
gli
leva
la
sciarpa
dal
collo
,
se
la
mette
in
testa
,
e
per
un
attimo
ritorna
devota
,
nello
sguardo
.
Comunista
fin
che
volete
ma
sempre
italiana
,
e
cioè
cattolica
.
Stacco
,
subito
la
latteria
.
Oggi
non
si
fanno
più
le
barricate
,
oggi
si
tira
dalle
finestre
e
dai
tetti
;
di
lassù
diventa
pericoloso
anche
un
vaso
da
notte
.
Anzi
,
facciamoci
un
bel
tormentone
.
Sul
vaso
da
notte
stacco
,
e
siamo
nel
bagno
,
io
sto
seduto
sul
vaso
e
leggo
.
Alzo
gli
occhi
un
po
'
sopra
il
foglio
e
dico
che
in
questo
sono
sempre
stato
regolare
.
Invece
Anna
deve
prendere
le
pillole
,
così
quando
arriva
la
moglie
trova
la
scatola
,
e
domanda
com
'
è
che
prendi
le
pillole
,
eppure
eri
sempre
stato
regolare
.
Tormentone
di
Carlone
.
Volevo
dire
di
Taccone
.
Stacco
sul
torracchione
,
sempre
alle
spalle
,
sempre
visibile
,
questo
grattacielo
della
B.R.S.
Tu
entri
in
ascensore
,
la
vedova
Viganò
t
'
aveva
comandato
di
andare
in
tipografia
,
e
in
ascensore
chi
trovi
?
Trovi
Taccone
,
che
pigia
il
bottone
degli
scantinati
,
della
centrale
termica
.
Però
di
sopra
se
ne
sono
accorti
,
quelli
dell
'
FBI
,
volevo
dire
quelli
della
BRS
,
col
fatto
della
trasmittente
tascabile
,
una
penna
che
porti
al
taschino
e
fa
bip
,
bip
,
bip
.
La
sua
lunghezza
d
'
onda
non
è
quella
della
tipografia
.
Lei
dottor
Bianchi
è
licenziato
.
Casa
nuova
,
cambiali
,
mobili
,
elettrodomestici
,
falso
benessere
,
la
Seicento
,
i
tafanatori
,
le
telefonate
.
Tormentone
delle
telefonate
.
Pronto
dottor
Bianchi
?
Parlo
con
il
dottor
Bianchi
?
È
in
casa
il
dottor
Bianchi
?
Dottor
Bianchi
al
telefono
.
Dottor
Amidei
al
telefono
,
da
Roma
.
Dottor
Lizzani
al
telefono
,
da
Praga
.
Dottor
Vincenzoni
al
telefono
,
da
Tokio
.
Dottor
Tognazzi
al
telefono
,
da
Cremona
.
StampaQuotidiana ,
Manoscritto
in
una
bottiglia
lo
sapevamo
:
anzi
,
dopo
il
celebre
racconto
di
Poe
,
è
tra
le
immagini
che
piacciono
alla
critica
letteraria
:
ma
il
libro
in
una
bottiglia
nessuno
l
'
aveva
mai
inteso
,
prima
di
questo
Natale
.
Ora
eccolo
,
un
libro
da
tenere
sugli
scaffali
non
della
biblioteca
ma
del
bar
:
I
cocktails
di
Luigi
Veronelli
,
lire
diecimila
.
Potrà
sembrare
la
più
frivola
fra
le
strenne
,
e
invece
è
un
'
opera
scientifica
che
è
costata
all
'
autore
fatiche
,
ripensamenti
,
riassaggiamenti
,
per
mettere
insieme
un
colossale
fastello
di
schede
,
pronte
alla
fine
di
aprile
.
Da
maggio
a
ottobre
ci
hanno
lavorato
,
con
la
pazienza
certosina
dei
bibliografi
,
tre
grafici
e
due
redattori
,
ed
a
capo
dell
'
équipe
c
'
era
Giampaolo
Dossena
,
giovane
studioso
cremonese
che
notoriamente
beve
soltanto
vini
-
e
talvolta
grappe
-
piemontesi
.
Carta
speciale
,
due
indici
analitici
(
generale
e
per
«
basi
»
)
,
risguardi
orientativi
,
a
mo
'
d
'
illustrazione
autentiche
etichette
di
liquori
,
che
vanno
attaccate
al
foglio
una
per
una
,
con
quattro
goccioline
di
colla
ai
vertici
.
Divertente
,
dirà
chi
lo
acquista
,
ignorando
l
'
immane
opus
d
'
un
manipolo
di
specialisti
.
Per
chi
la
compra
,
dunque
,
la
strenna
libraria
ha
sapore
di
festa
,
di
caldarroste
,
vischio
e
panettone
;
a
chi
la
confeziona
,
ma
specialmente
a
chi
la
scrive
,
rievoca
invece
il
solleone
,
la
città
che
comincia
a
vuotarsi
,
la
sospirata
imminenza
delle
valigie
fatte
per
andarsene
in
campagna
.
Alle
strenne
di
quest
'
anno
,
personalmente
ho
contribuito
con
un
racconto
per
ragazzi
,
che
,
insieme
ad
altri
undici
,
forma
una
antologia
intitolata
Cuore
1963
.
La
consegnai
all
'
editore
il
12
di
giugno
,
e
con
il
compenso
mi
ci
pagai
la
casa
alla
Polveriera
,
in
Versilia
.
Lo
scorso
anno
non
feci
strenne
.
Nel
'61
invece
collaborai
a
un
almanacco
letterario
:
siccome
m
'
era
toccato
il
calendario
dei
fatti
,
non
ricordo
come
riuscii
ad
arrivare
sino
al
mese
di
ottobre
,
con
la
mia
cronachetta
,
e
senza
sballare
un
solo
turno
in
tipografia
.
Nel
'60
invece
tradussi
di
gran
furia
un
grosso
volume
bene
illustrato
su
Roma
antica
e
moderna
,
di
autore
anglo
-
indiano
.
Ci
misi
una
settimana
,
consegnai
il
malloppo
,
incassai
il
compenso
e
senza
nemmeno
tornare
a
casa
presi
il
treno
per
Sarzana
,
dato
che
l
'
editore
,
a
quei
tempi
,
aveva
la
sede
vicino
alla
stazione
centrale
.
Nel
'58
non
andai
in
vacanza
,
passai
il
mese
d
'
agosto
in
canottiera
,
porte
e
finestre
aperte
per
dare
l
'
illusione
d
'
un
po
'
di
brezza
,
a
tradurre
un
'
altra
strenna
,
che
era
poi
un
volumone
antologico
sulla
vita
dei
cowboys
,
scritto
in
buona
parte
da
allevatori
e
vaccai
autentici
.
Nel
'57
me
la
vidi
con
le
memorie
di
un
soldato
al
Messico
,
e
fu
una
brutta
strenna
:
appena
l
'
ebbi
finita
,
mi
consegnarono
la
lettera
di
licenziamento
.
Così
feci
Natale
senza
nemmeno
i
fichi
secchi
.