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> categoria_s:"StampaQuotidiana" > autore_s:"Bianciardi Luciano"
Un teatro sterminato a 80 metri sotto terra ( Bianciardi Luciano , 1963 )
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Sentiamo dunque la prima impressione : cosa c ' è di diverso , in Mosca , per questi italiani che ne vedono sfilare una fetta periferica , da bordo dell ' autobus diretto all ' albergo ? Le risposte sono : le strade più larghe , almeno il doppio delle nostre , il traffico incredibilmente più raro e tranquillo ; i casamentoni brutti , tutti uguali , d ' un giallino sporco , peggio d ' una nostra brutta periferia urbana ; la città scura . E quest ' ultima è forse la differenza che conta di più : i lampioni ci sono , ma non c ' è il neon della pubblicità , quello appunto che dà il tono notturno a una capitale in Occidente . Manca il neon , manca il fragore del traffico , mancano i grammofoni a gettone , così Mosca , per chi ci arriva da Occidente , sembra prima di tutto una città buia e silenziosa : il totale delle differenze , almeno per me , pare positivo , in altre parole qui si potrebbe vivere bene . A tratti nell ' aria c ' è una zaffata d ' odore dolciastro che sembra di menta : mi spiegano che dipende dalla diversa qualità della benzina bruciata nei motori . Ma abbiamo tutti una gran voglia di sapere di più , vedere di più , e invece , all ' albergo Turist , il nostro ( che è semmai un enorme ostello della gioventù , un intero villaggio di palazzotti a quattro piani , dalle parti della fiera ) , è ormai chiusa la cassa e non si può cambiare , e in giro per una città di notte , senza quattrini , chi si azzarda ? Pare quasi sicuro ormai che staremo a girellare dentro il villaggio , o a spedire una cartolina con la fotografia di Valentina Vladimirovna Tereshkova , quando arriva Riccio e fa segno che ha trovato - nessuno gli chiede dove - un rublo e mezzo . Dovrebbero bastare a portarci tutti e quattro fino all ' albergo Leningradskaia , in centro , dove stanno calciatori e giornalisti , e lì qualcuno che ci presti un po ' di soldi lo troveremo di certo . Allora via di corsa alla fermata dell ' autobus . Differenza : non c ' è il controllore , soltanto il guidatore , che alle fermate prende il microfono e spiega dove siamo , e poi una cassettina di vetro , dove ciascuno mette i suoi tre copechi e stacca il biglietto da solo . Lo spiega a Riccio una biondina gentilissima , e anzi ci cambia il mezzo rublo , perché possiamo mettere in cassetta i dodici copechi . Quindici anzi , perché siamo cresciuti , sull ' autobus dietro a noi è salito anche un torinese un po ' balengo , che già avevo notato in treno . Ha gli occhi sempre assonnati e parla a strascico . « I quattrini ce l ' hai ? » « No , ma così , ecco , volevo vedere la cosa , qui no , la città . Casomai ecco , potrei venire con voi , no ? » Riccio lo guarda storto , mi dà una gomitata , barbotta : « Ma cosa vuole quello . Via , mandalo via . Piemontese fesso » . Fessi invece siamo noi terroni , non ci regge il cuore di abbandonarlo per una strada di Mosca , il piemontese balengo e così ce lo tiriamo dietro fino alla stazione del metrò . La biondina è sparita , e al suo posto c ' è un giovanotto che spiega come si fa : pezzi da cinque copechi , capito ? Piet capieca , da mettere nell ' apposita fessura , all ' imbocco della scala mobile . C ' è una cellula fotoelettrica che si blocca con quel soldone , e se invece non ce l ' hai messo , fa scattare il cancellino e chiude . Allora cinque da cinque , e va bene , diamo la pieccapieca anche al torinese . I primi due o tre metri della scala mobile sono in piano , poi all ' improvviso ecco il pozzo : vertiginoso , profondo , precipita per ottanta metri sotto terra a velocità da infarto . Sulla scala opposta salgono , altrettanto veloci , e sembra che pendano in avanti , forse pendono davvero ( angolo di 45 gradi ) per tenersi in equilibrio , forse è un effetto della legge di Einstein , secondo la quale , come è noto , l ' universo in movimento assume la forma di una saponetta consumata . Chi lo sa ? La stazione vera , quella interna , è giù , meravigliosa , sembra d ' essere al terzo atto dell ' Aida , fra stucchi , ori , mosaici , panoplie , colonne e bandieroni . Il bello poi è che il treno funziona , si ferma , apre le porte , riparte fulmineo , un treno modernissimo , efficiente , che per di più corre dal terzo atto dell ' Aida al primo del Nabucco , passando per la Vedova Allegra , i Nibelunghi e la Norma . Da un momento all ' altro qui arrivano le comparse con le spade di latta , i negri tinti , Cleopatra col serpente , un paio di elefanti e le bighe . Con quel bel soldone da cinque copechi puoi restare un giorno intero sotto terra , e ammirare le sessanta stazioni tutte diverse e tutte bellissime . Tanto è vero che ci siamo spersi e non si ritrova più il buco giusto della Leningradskaia . Però , riecco la biondina dell ' autobus , che ci rimprovera d ' averla abbandonata e ci spiega che bisogna prendere quest ' altra linea , arrivare fino al secondo atto del Godunov , e scendere . Anzi , sale con noie ci accompagna fino alla stazione , da dove partono i treni per Leningrado . Spassiba . La prima cosa che vediamo , nella strada buia che sa di menta , è uno steso per terra , ligneo , quasi cianotico , livido , di certo un ubriaco allo stadio della cirrosi spappolante . Intorno c ' è un capannello che lo sta a guardare , tutti fermi , e una guardia , ferma anche lei , immobile . Italiani al soccorso ! Il piemontese balengo si china a sentire il polso , poi fa di no col capo , come a dire che questo ormai è buono solo per il becchino . Io apostrofo la guardia , in italiano , smanettando : « Che diavolo fate , qui ? Non lo raccatta nessuno , questo poveraccio ? » . E la guardia deve aver capito , perché smanettando più di me bercia qualcosa in russo , che interpreto così : « E a te che te ne importa ? Perché non ti fai gli affari tuoi ? » . Così entriamo nella stazione davanti , traversata la piazza di corsa , è la kazaka , mi pare , e col rublo che ci resta ordiniamo cinque frappé , molto buoni perché al latte e allo sciroppo la donnetta aggiunge , dal frigorifero , marca Moskava , mezzo panetto di burro . Uscendo , il capannello di gente immobile non c ' è più , e nemmeno il cirrotico , né la guardia . Si vede che avevano già telefonato , all ' ambulanza , o forse al cellulare , chi lo sa . Allora via al Leningradskaia , che è un albergo immenso , di stile assiro , con l ' atrio ingombro di statue , colonne , mostri e italiani : Otturino Barassi , il vecchio centravanti frascatano , Amadei , tre giovanotti con la giacca blu spacchettata e i capelli scolpiti a rasoio . Ivano si ferma a salutarne uno , che è Orlando , poi mi spiega che gli altri si chiamano uno Tumburus e uno Janich ; tutti e tre riserve , segno che hanno mandato a nanna i titolari , anzi i prestipedatori . Evocato dal pensiero compare Gianni Brera , col toscano in bocca : vale dunque ancora l ' ovvia constatazione , che si può vivere a Milano dieci anni senza incontrare mai una persona , che per conoscerla bisogna andare fino a Mosca . Mi piglia per un braccio e mi tira su in camera sua , al quinto piano , mi versa da bere , mi tappa la bocca con un avana formidabile e attacca la lezione etnico - storica sul popolo ungherese . Dunque sta a sentire : gli ungheresi sono la pars alba , il pollone chiaro venuto su dallo stesso ceppo che ha espresso , come pars nigra , li turchi . Smisero di lavorare ai tempi di Attila . Tu prendi la lingua : il lessico campagnolo - zappa , aratro , solco eccetera - è tutto di origine croata . Infatti , cosa facevano gli ungheresi , dalla mattina alla sera ? Montavano a pelo , ballavano il valzer a Vienna con le mogli dei generali austriaci ( naturalmente cornuti ) e prendevano a calci nel sedere gli slavi del Sud , cioè i croati contadini . Ora cosa gli è successo ? Gli è successo che i calci nel sedere li stanno prendendo loro , e proprio dagli slavi . Slavi del Nord , ma sempre slavi . Che vanno sulla luna , ma sempre contadini . Ergo , le facce rinceppate che tu hai visto a Budapest . Tutto qui , il comunismo non c ' entra . Te capì ? Ho capito , ma da sotto telefonano , così mi faccio prestare cinque rubli dal professore , scendo nell ' atrio assiro , recupero Mimmo , Ivano , Riccio e il balengo torinese , andiamo a prendere un altro frappé col burro alla stazione di fronte , la leningradese appunto , e poi è ora di rincasare , col taxi . Lo guida un giovanotto capelluto , col maglione , che prima di muoversi vuole patti chiari : « Trit rublia , carasciò ? » . Va bene , tre rubli , autista ladro e teddiboia , che non hai nemmeno fatto scattare il tassametro , e guidi da cane , metti dentro le marce peggio d ' uno scimmione , tanto la macchina è dello Stato , vero ? Domani ti faccio rapporto . Tanto più che a un certo punto si è fermato e dice che il Turist Hotel è qui , Riccio invece non è convinto per nulla , ordina che non scendiamo mentre lui va a controllare . Siamo al Turist , ma all ' entrata opposta , bisognerà traversare il villaggio a piedi , perché il tassista lavativo non vuole sentir ragioni , più oltre non va . Accidenti a lui . Ormai sono quasi le due , la maggior parte dorme , e andiamo a cuccia anche noi : quattro letti di ferro , quattro sedie , un armadio con quattro stampelle , la bottiglia con quattro bicchieri e basta . Vetri doppi alle finestre , ma niente tapparelle , niente persiane né scuri , così domattina siamo certi che il primo sole ci sveglia . Il primo sole e radio Mosca che dà il buongiorno intonando « guai a chi tocca la Russia dei Soviet » : ogni camera ha il suo altoparlante posato sullo spigolo dell ' armadio , e ieri sera ci siamo scordati di staccare la spina . Per il corridoio già sfilano diretti ai bagni italiani , italiane , un negro con addosso un barracano vasto come una tenda , di tessuto damascato , molto bello . Le docce invece sono al pianterreno , e già fanno la fila , per tramutare i bigliettoni con padre Dante , e gli altri con Lincoln e Washington , in bigliettini microscopici che sembrano i buoni - premio delle scatole di detersivo , e invece sono rubli . La ragazza fa i conti col pallottoliere , velocissima , qualcuno al solito se ne meraviglia , salta fuori il solito piccoletto con gli occhiali , nero e pingue , che in romanesco si mette a difendere , con argomenti da critica della ragion politica , l ' utilità del pallottoliere , e il suo inserimento nella tradizione slava . A questo punto Marcello , che mi è accanto , scatta e insulta il piccoletto : non può sopportare i comunisti saccenti di Roma , che spiegano il plusvalore con la calata di Trastevere , si abboffano di rigatoni , fanno , quando possono , la dolce vita , e poi la vituperano come un segno della decadenza occidentale , così mettono su pancia e salvano persino la buona coscienza proletaria . Gli dico di stare calmo , perché qui l ' obiettività tanto ripetuta in viaggio sta per andare a farsi benedire , nessuno è venuto a Mosca senza preconcetti , tranne forse la signora Lucia , e già si capisce che non sono disposti a cambiarli . Unto più che le due ragazzine del treno sono sparite , non vedi più Natascia la pari - pari , e nemmeno Svetlana - Chiara dal bel sorriso . Al loro posto c ' è una stangona magra , con le occhiaie livide , il viso stirato , che sembra una supersegretaria d ' azienda . E d ' un ' azienda vastissima , che si chiama Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche . Il nome della ragazza è invece Ludmilla .
La supersegretaria non ci accompagna a messa ( Bianciardi Luciano , 1963 )
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La supersegretaria Ludmilla fa il suo mestiere di accompagnatrice con grande scrupolo : ritta vicino al guidatore , faccia a noi , in mano un microfono che gracchia , comincia dall ' uovo . Mosca era alle origini una fortezza sulla Moscova , imprendibile , superficie un ettaro . Oggi 87 ettari , sei milioni di abitanti esclusi i sobborghi , più un milione di turisti che ogni giorno affluiscono alla capitale dallo sterminato contado e anche dall ' estero ; in occasione della partita , cinquemila italiani . Ogni giorno si costruiscono a Mosca trecento nuovi alloggi , anche col sistema delle case prefabbricate : l ' inquilino paga in ragione di tredici copechi per metro quadrato , meno di cento lire . A destra ( sua , cioè alla nostra sinistra ) statua di operaio e colcosiana , altezza metri venticinque , in acciaio inossidabile , e smontabile : la portarono alla mostra di Parigi . Facciata del teatro Bolscioi , scendere per fotografare ma solo cinque minuti . Stazione di Riga , e dal lato opposto chiesa di San Cipollone , oggi conservata a mo ' di museo . Domande da fare ? Sì , la signora padovana chiede se domattina è possibile andare a messa . Possibile , perché in Unione Sovietica restano chiese aperte , israelite , ortodosse e cristiane , ma « puoche puoche » perché popolo sovietico « puoco puoco » religioso . E la chiesa cattolica c ' è ? Certo , Ludmilla lo ignora , ma molti fra noi sanno che si chiama San Luigi dei Francesi , e la padovana domani andrà senz ' altro da questo santo dei francesi , in mancanza di meglio . Ludmilla però non l ' accompagnerà : domani Piazza Rossa . « E mì vado a messa , e quella lì vada al diavolo » , conclude indicando la giovane senza Dio . Ecco i grattacieli , costruiti con sistemi modernissimi , cioè pietra su pietra , mattone su mattone , fino ad arrivare , con le guglie , ai non so più quanti metri e mezzo dell ' Università . È il mastodonte , che sorge sulla Collina dei Passeri . Di qui si vedono le anse della Moscova , tutta la città distesa , accanto c ' è un grande trampolino per il salto con gli sci . Appena scesi ci aggrediscono nugoli di ragazzetti chiedendo « biro , biro , biro » , e mostrando in cambio distintivi . Per una penna a sfera danno anche quattro stelle rosse . Sarebbe bello discorrere un po ' con questi giovanotti sprovveduti . Ludmilla spiega solo che sono ragazzi « non molto buoni » e che bisognerebbe - fa il gesto - sculacciarli . Ci tira via fino al mastodonte , e non ci risparmia nulla : seimila studenti alloggiati , trentamila universitari in tutta Mosca , agli studi superiori , dopo il decimo anno delle elementari , si entra per concorso , e si riceve una borsa minima di un rublo al giorno . Entro università mensa , pasto minimo venticinque copechi , non granché buono ma « sufficiente per saturarsi » . In università sei ascensori ultraveloci portano fino al piano ventottesimo , ci sono aule e laboratori , teatri e auditori , studenti di tutte le razze , anche sessanta italiani . Si può entrare dovunque : nelle aule mentre fanno lezione , nelle mense , negli atri , nelle camerette , persino nei cessi . E siccome ogni giorno deve essere un pellegrinaggio di turisti , come faranno a studiare questi ragazzi lo sa il diavolo . L ' impressione è che questo brutto mastodonte serva più come simbolo che come strumento , che sia poco funzionale , che sarebbe stato molto meglio fare una città degli studi , con molti edifici staccati in mezzo al verde . Uno degli architetti fiorentini mi fa notare che i corridoi interni sono bui , e infatti è acceso il neon in continuazione ; che le camere sono sbagliate , se apri la finestra non apri più l ' armadio . Marcello si è messo a bisticciare con lo spoletino baffuto : « Guardi le nostre università » , dice quest ' ultimo , « relegate nei vecchi conventi , nei palazzacci antichi . E poi i risultati si sono visti , no ? L ' abbiamo visto o no se quest ' università funziona ? Ci sono andati o no , primi nello spazio ? » . Basta con Ludmilla , nel pomeriggio andremo in centro noi quattro da soli . Per strada ci ferma un giovanotto alto , gobbo e occhialuto , parla in russo con Riccio , dice che vuol comprare roba italiana , vestiti , impermeabili , maglie . È successo a noi , come a tutti gli altri indistintamente , perfino alla padovana coi baffi un ' inserviente dell ' albergo ha chiesto un paio di calze di nailon . « Mi carezzava , mi carezzava , quasi mi faceva piangere , povera ! Le ho detto tieni le calze , e va ' a farte benedire , Mariavergine » . In taxi il giovanotto nostro , l ' occhialuto spiega che aspetterà fuori del villaggio , andiamo dentro noi a prendere la roba e ci ritroviamo lì fra un quarto d ' ora . Entrare lui è proibito , specialmente al blocco due , il nostro , « a very bad block » , spiega . Questo lumacone deve passare le giornate a trafficare in impermeabili empolesi . Cos ' abbiamo da vendergli ? Mimmo tira fuori un par di mutandoni di lana che gli aveva comprato la mamma per viaggiare in Russia ( andranno bene ? Quanto posso chiedere ? ) ; poi ci sono le maglie , col collo e senza , una decina fra tutti , d ' ogni colore , da riempirne la borsa dell ' Alitalia . Stiamo per uscire di camera col malloppo quattro magliari penso , oltre tutto piove , ci pentiamo quasi contemporaneamente , e che il lumacone rimanga pure sotto l ' acqua ad aspettarci che ben gli sta . La mattina dopo Ludmilla , puntuale e tenace , riattacca con le cifre , al Cremlino vedremo il campanone crollato prima ancora di arrivare in vetta al campanile , lei sa quanto pesa , quanto ha di diametro , quanto di altezza , vedremo il « re dei cannoni » , un enorme pezzo di artiglieria che forse non ha mai sparato , e casomai ha sparato solo a mitraglia , perché le quattro palle , da due tonnellate ciascuna , lì davanti , sono dell ' Ottocento , e a fine decorativo . Dentro il Cremlino c ' è anche l ' unico edificio davvero moderno veduto a Mosca , il palazzo dei Congressi , ardito col suo vetro e cemento in mezzo a tante cipollone . Ludmilla spara le sue cifre , e sarà meglio squagliarsela per andare a comprare , da buon italiano , il colbacco e la balalaica . Sulla Piazza Rossa c ' è un omone , un armadio che cammina , e si tira dietro sei balalaiche ; gli chiedo dove l ' ha comprate , lui si volta ed è il Rollamatic . I poliziotti ci fischiano dietro , ma lui dice « italianski futbalisti » e ci lasciano passare , di corsa , fuori delle strisce . Così andiamo al Gum , e il Rollamatic - armadio è efficientissimo , si fa largo senza nemmeno sgomitare , per pura forza intimidatoria - pagiostie , pagiostie - e gli acquisti si sbrigano in un baleno . Tutti e due incolbaccati torniamo sulla Piazza Rossa , il Rollamatic si congeda , io ritrovo la comitiva con Ludmilla , e senza fare la fila entriamo al mausoleo rosso e nero , coi soldatini imberbi dal fucilino lustro che pare un giocattolo , immobili , consapevoli . Saranno anche « puoco puoco » religiosi , questi russi , ma la fila è interminabile , avanza lenta lenta , perché non si sosta davanti alla mummia , le si gira attorno . C ' è buio , solo tre lampade che illuminano il viso di cera e le mani , una aperta , una stretta a pugno . Alla fine del giro incontro lo sguardo di Marcello , e per poco non ci mettiamo a ridere . So quello che pensa : che è finto , che sembra d ' essere al miracolo di san Gennaro , che il cielo ci scampi dalla sorte d ' essere imbalsamati , dopo morti , e conservati in cantina per ricordo ai nipoti . « O vieni un po ' a vedere com ' era fatto il tu ' nonnino ! » Ma basta col sacrilegio . Pensiamo a fare il tifo per l ' Italia . Lo stadione è bello , l ' altoparlante alterna canzoni italiane e russe , il tabellone luminoso dà le informazioni in cirillico ( non pare , ma c ' è scritto proprio Negri , Facchetti , Maldini ) , c ' è l ' orologio che segna i minuti trascorsi , e quelli del recupero , per il tempo perso fra incidenti , moine e pugni in faccia . Una figura da ladri , e grazie , grazie al pubblico sovietico che non ci ha sbeffeggiati , alla fine , come meritavamo , con la nostra sicumera del mattino , quando dall ' autobus facevamo segno con le mani , che gliele avremmo suonate . Dopo lo stadio devo andare al Leningradesc per telefonare , Ludmilla mi insegna dove scendere e dove prendere il 3 , che però arriva solo alla Komsomolskaia , poi fare un tratto a piedi . Non ci capisco più niente , nessuno parla altro che russo , io non riesco a dire bene Lieningradscaia , anche perché la parola è sdrucciola . Per fortuna un brav ' uomo scende con me e mi indica.Di sopra il professore ha già avuto in linea Milano : « ... e Dubinsky ci mette il piedone , va bene ? ... e Sormani incorna , va bene ? ... e rimedia il Trap , va bene ? » . Al piano di sotto c ' è Manlio Cancogni in crisi , il Rollamatic mi ci accompagna , lo abbraccio e per consolazione viene sopra anche lui a far merenda con caviale , champagne , salmone e vodka . Mi piacerebbe star lì a discutere , e magari scendere nell ' atrio assiro per sfottere un po ' i prestipedatori , gli abatini che l ' hanno prese dai cavalli della steppa , ma la tradotta aspetta e a mezzanotte in punto salpiamo . Alla stazione di Kiev ci sono ucraini fierissimi che ridono con noi della partita , e donne che si caricano sul groppone sacchi e casse . Poi c ' è una comitiva ungherese che intona un coro , gli italiani rispondono col mazzolino di fiori , e tutti insieme si canta Marina , Ludmilla è sparita , riecco Svetlana e Natascia , e il treno accenna a muoversi . Comincia l ' anabasi .
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Ieri alla partita , fermo sotto l ' acquerugiola fredda , uno degli architetti fiorentini s ' è raffreddato malamente e , siccome sua moglie non aveva più aspirina nella borsetta , si sono rivolti a Ludmilla . La solerte nostra accompagnatrice lo ha portato dal medico del villaggio - albergo , che gli ha fatto prendere una sua pillola : il raffreddore è passato dopo mezz ' ora , ma stanotte lui tribola , ha il vomito e un ' eruzione su tutta la pelle . Nel vagone accanto c ' è il veterinario con pizzetto , e dice subito che si tratta di un ' allergia : purtroppo non ha il rimedio . Ma ci pensa Svetlana : va dal capotreno e fa radiotelefonare a Kiev che sul nostro vagone , scompartimento tale , c ' è un italiano malato , e che tengano pronto un medico . Infatti ecco Kiev , ed ecco il medico : una donna più larga che lunga , vestita da cuoca , la quale monta trafelata sul vagone , visita l ' infermo , ribadisce la diagnosi dell ' allergia , e conclude che bisogna senz ' altro ricoverarlo nell ' ospedale cittadino . « No , no , no » , dice la moglie dell ' architetto , « da da da » ribatte la cuoca , ma la signora non cede . Pazienza , allora , e ordina che il treno sosti in stazione qualche minuto di più , per fare un ' iniezione : accorre infatti un ' altra cuoca con la siringa e buca l ' architetto sul braccio , a regola d ' arte , senza il minimo dolore . Poi radiotelefonano alla stazione successiva : sia pronto un altro medico con il farmaco così e così , per un allergico italiano che non vuol farsi ricoverare e che bisogna curare strada facendo . Pronta la medicina alla prossima stazione , la terza cuoca ordina espressamente al ferroviere del nostro vagone che controlli : ogni quattro ore , pillola al malato . E ogni quattro ore l ' omino gentilissimo bussa e s ' accerta . Presa la medicina ? Bravo . Terza visita , per un ultimo controllo , alla frontiera ( stavolta è un cuoco ) . Tutto a posto : cessato il vomito , va scomparendo a vista d ' occhio l ' eruzione cutanea , resta solo una gran fatica addosso all ' architetto fiorentino che ci ha dato modo di constatare , sulla pelle sua , come funzioni l ' assistenza sanitaria sui treni sovietici : ottimamente . A Ciop la dogana è anche più sbrigativa che all ' andata , chi vuole può riconvertire i rubli in moneta occidentale ( era una diceria , che non lo facessero ) , si fanno gli ultimi acquisti di distintivi e stelle rosse , molti completano la collezione di monetino , dal copeco al rublo . Al bar c ' è una macchina per gli espressi di fabbricazione ungherese , e decidiamo di osare , dopo una settimana di astinenza : quasi buono . Le tre del mattino , intonandoci sul meridiano nostro , diventano le cinque , ci stiamo caricando sul vagone ungherese , che è lo stesso di prima , cioè brutto , poi quando è il segno di partire ecco gli italiani tutti che intonano Ciao , ciao ciao bambina , per le due ragazze sovietiche ferme lì davanti . Svetlana - Chiara sta alla parte , smette il suo bel sorriso e fa finta di piangere ; Natascia la pari - pari invece si mette a piangere davvero , proprio lei che finora era rimasta sempre sulle sue , e a me pare di aver capito per chi di noi - fortunato ! - sta piangendo . Però , come fanno presto i popoli , a intendersi ! Sul brutto treno ungherese c ' è un bel vagone ristorante , coi camerieri alti e distinti che servono una meravigliosa frittata al prosciutto . Si chiamano tutti Utasellato - lo hanno scritto sul taschino della giacca - ma anche i piatti e i tovaglioli di carta sono Utasellato . In questo modo si chiarisce il mistero : quell ' incredibile parola significa , pressappoco , « servizio ristorante » . A Budapest , inevitabile come una tassa , c ' è Giorgio Suveniri , che stavolta però non ci sollecita a cambiare . Anzi , è l ' architetto fiorentino convalescente che vorrebbe riconvertire in soldi nostri i duecento e passa fiorini che gli sono rimasti in tasca , ma Suveniri pare sordo a questo discorso . Forse cambieremo alla frontiera . E invece anche lì fanno orecchi da mercante al discorso del cambio di moneta , e così l ' architetto fiorentino se ne torna nella città del fiore coi duecento e passa fiorini : li terrà per ricordo e per ammonimento al viaggiatore sprovveduto in terra magiara . Piccola inchiesta tra i compagni di viaggio . Di che cosa avete sentito più la mancanza , in questi giorni ? Le risposte sono , nell ' ordine : caffè , vino , tapparelle , bidet . Che cosa vi è piaciuto di più ? La metropolitana , l ' università , la piscina coperta , lo stadio . E che cosa di meno ? Le donne che lavorano pesante , le file davanti ai carrettini , troppi uomini in divisa . Acquisti ? Tutti la balalaica , molti il colbacco , alcuni il caviale , nessuno la vodka , che costa meno da noi che a Mosca , perché a Mosca vogliono scoraggiare gli alcolisti . II tabaccaio senese porta appesa al collo una stupenda macchina fotografica , da settanta rubli . Non si preoccupa più per il mangiare , ma per la nostra dogana , che forse gli farà pagare il balzello . Avventure galanti ? Zero via zero . Qualcuno ha cambiato parere su qualcosa ? Nessuno , su niente . Tutti sapevano già tutto , e hanno trovato conferma : che va bene , oppure che va male , oppure che va così e così . La verità è che a Mosca , nessuno va con animo obiettivo , come andrebbe a Tokio o a Carachi ; ognuno ha in testa le sue idee precise ( anzi le sue idee fisse ) e non si sposta d ' un palmo . Diffusa tra tutti la tendenza a generalizzare , a dedurre dai minimi particolari di questi due vertiginosi giorni moscoviti ( il gesto di un taxista , la cortesia d ' un passante , una frase colta a volo ) conclusioni amplissime , perfino universali . Ma su una cosa sono concordi tutti quanti , nella simpatia per la gente di Russia : buona , cordiale , tollerante , un po ' approssimativa , un po ' pelandrona , simile a noi , migliore di noi . Simpatia e gratitudine , mi dice Marcello mentre si fa buio e Vienna si avvicina . « Quelle donne che sgobbano , le hai viste , sgobbano anche per noi , sì , per te e per me . Tengono in piedi un Paese , un ideale e un mito . Se il socialismo oggi in certi paesi è una sostanza , e in altri un lievito , e cioè una continua spinta verso il meglio , il merito va soprattutto a loro , e il nostro debito è grande . Ci pensi ? In quarantacinque anni hanno avuto due guerre mondiali , la rivoluzione , la carestia , e poi Stalin , hanno perso milioni di uomini , eppure sulle loro spalle , sulla loro pazienza , il socialismo ha retto . Ti confesso che a questa gente auguro di cuore un mucchio di bene , perché se lo meritano » . C ' è da chiedersi semmai quale bene augurargli . Gli impermeabili empolesi ? Le penne a sfera , che tanto ci chiedevano giovanotti e ragazzi , i cittadini di domani , per le strade di Mosca ? « Anche quelli . Saranno sciocchezze , in sé , ma valgono come simbolo : vogliono più gioia , più fantasia , più agio . Dopo gli impermeabili chiederanno la nostra musica , la nostra arte , i nostri libri , i nostri film ( non hanno forse già premiato Fellini ? ) , insomma maggiori scambi con noialtri . Stanno comprando il grano , lo sai , ma già dicono che non si vive di solo pane , veramente ... Ma guarda quanta luce , a Vienna ! » E veramente sembra d ' essere usciti da un lungo tunnel : la stazione è lucida , razionale , le strade sfavillanti di pubblicità luminosa , il traffico denso e alacre , la gente vestita bene , le donne eleganti . C ' è poco da dire , è già casa nostra . Tutto quel che di solito rimproveriamo alle nostre metropoli , adesso ci accorgiamo d ' averlo ormai nel sangue . E i nostri compagni di viaggio sono già diversi : è finita la distensione un po ' pigra e ottimistica dei giorni passati , pare che tutti abbiano ritrovato l ' argento vivo di sempre , e si muovono a vanvera , pur di andare dove c ' è più luce , più lustro , più colore , come tanti farfalloni . Ivano , Riccio , Mimmo , appena ingozzata la cena , mi trascinano al tabellone degli orari , e poi al nostro binario , dove ancora il treno non si vede perché manca più di un ' ora alla partenza , e poi al chiosco delle sigarette , e a quello dei giornali , e sul piazzale davanti alla stazione , e al bar per l ' ultimo bicchierino . Ricomincia a prevalere l ' iniziativa privata , quel lavorare di gomiti della nostra esistenza quotidiana , la furia d ' arrivare , la paura di non farcela . A trovare le cuccette , per esempio sul treno austriaco dagli scompartimenti a sei , e il giaciglio stretto , scomodo , senza lenzuola , e il bagno così razionale che non ci si entra quasi , e si sbatte la testa , i gomiti , i ginocchi , a tentare di lavarsi . Dobbiamo prendere con noi altri due compagni di viaggio , uno per fortuna è Marcello , l ' altro un bottegaio ligure che avrà di certo passato la sessantina . Senza pietà lo releghiamo nella cuccetta più bassa , più scomoda perché è arrivato ultimo , lo chiamiamo vigliaccamente « nonno » , gli diamo del tu , e intanto sgomitiamo apprestandoci all ' ultima dormita su ruote . È inutile che io raccomandi di stare calmi , di mettere le valigie al posto , di non ingombrare il poco spazio libero che c ' è : non mi danno più retta . « È finito il socialismo , vero ? » mi fa Marcello ridendo dalla sua cuccetta . « Non sei più il presidente del vagone cooperativo , caro mio . Buona notte , piccolo padre » Al mattino non c ' è nemmeno bisogno di affacciarsi per capire che siano in Italia : basta la fila davanti al bagno , le voci che salgono di tono , qualche primo insulto che ricomincia a circolare . E a Venezia ci salutiamo in fretta , già quasi estranei : il tabaccaio senese con la bella macchina fotografica nuova , le due bolognesi coi calzoni , la padovana barbuta , il piemontese balengo che finalmente apre bene gli occhi e non parla più con quello strascico della prima notte a Mosca . Siamo nel Paese dell ' iniziativa privata , dell ' individualismo , e ognuno bada soltanto a non farsi fare fesso . Ma noi quattro ci scambiamo un abbraccio , la promessa di scriversi , di rivedersi . Spero proprio che sia vero , che Ivano , Minimo e Riccio non si scordino tanto presto la tradotta per Mosca , nell ' ottobre del '63 .
Jazz con spaghetti al dente ( Bianciardi Luciano , 1963 )
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« Oramai il sabato qua non ci si Intra più » . È facile il gioco di parole , ma vero . In fondo a via Montebianco , fermano sempre più numerose le macchine ; soci e ospiti del « Derby » . Fino all ' anno scorso era arredato a scuderia , con staffe , barbazzali , coperte da cavallo , e ci suonavano ottimo jazz : con Enrico Intra , Pupo De Luca ( « the best drummer in Europe » ) e Pallino Salonia « au contrebas » . Ora è diverso : arredamento barbarico - rinascimentale , arricchita la compagine del jazz da Franco Cerri chitarrista e da Barigozzi flautista , aggiunto il cabaret . L ' unico locale italiano che faccia di queste cose . Certe sere lo spettacolo dura fino a due ore , e poi si ripete , dopo che ha servito gli spaghetti al dente . Stipata la sala , neanche al bar c ' è più un posto libero . Franco Nebbia è indispensabile : riceve gli ospiti , presenta i colleghi , racconta le storie del Fagioli ( massimo autore inedito del Novecento ) , canta la sua disavventura col grammofono che non funziona , perché è di sesso femminile , è una grammofona , e nemmeno ad alta fedeltà . Ha finito l ' altro giorno di musicare : Ma il commendator mio non muore , valzerone all ' italiana che comincia così : « Ha trasferito i capitali in Svizzera per me » . Dopo di lui Enzo Jannacci : storie di barboni , di papponi , di sprovveduti che perdono l ' ombrello . Il pubblico ne sa alcune a memoria e fa coro sul ritornello : « El purtava i scarp de tennis , e parlava deperlù » . Basterebbe , e invece c ' è un giovane chitarrista classico , Augusto Righetti , e dopo di lui - in breve licenza premio - un altro chitarrista , ma moderno , che canta bossanove in dialetto genovese , assai simile , come suono , al portoghese . Si chiama Bruno Lauzi . Via la chitarra , al pianoforte va Gino Negri e suona , naturalmente in piedi , la storia della donna barbuta , che è sempre piaciuta . Che gente ci capita ? Un po ' di tutto : Mike Bongiorno tirato a lucido , Paola Penni col faccino dispettoso , i sociologi Guiducci , moglie e marito , del circolo Turati , Naka Skoglund , Lucio Mastronardi , Tino Buazzelli col barbone di Galileo , Fausto Cardini , Ornella Vanoni che se non è stanca del Rugantino prende il microfono e canta , Nicola Arigliano , il pittore Casella incompreso e ingrugnato , Carletto Colombo . In sala ora c ' è silenzio perché Corti e Barcellini stanno mimando una seduta dal dentista . Al bar la signora Angela , vigile e materna , zittisce certi giovani senza cravatta , che hanno fatto crocchio e intonano certe canzoni mai registrate alla SIAE . Il cabaret di via Montebianco è così ricco , così pieno , che si può permettere una opposizione interna , di sinistra naturalmente : « Quando che muore un prete , suonano le campane ... » .
SANDRINO MARIOLINO E QUEL NEGHER ( Bianciardi Luciano , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Tanto per cominciare , stamani dal terrazzo si vedeva il Monte Rosa , illuminato a gloria da un impensabile sole novembrino . E poi Inter - Bologna è sempre stata una bella partita : due anni or sono finì sei a quattro , e fu roba da infarto , velocissima , manovrata , pulita . E comunque l ' Inter bisogna vederla sempre : non a caso è già entrata nella storia della poesia contemporanea , insieme alle sole Juve e Triestina ; ha un pubblico fra i più passionali , un po ' simile negli umori ai contradaioli senesi . Insomma , si va . Lo stadio è lustro , riverniciato : danno fastidio le due pubblicità di lancette che chiudono le porte , e quella specie di teepee da pellerossa che al centro parla di « fibra viva » . Cos ' altro non va ? Ecco , ci vorrebbe il cartellone luminoso , per le formazioni delle squadre , tanto più che gli altoparlanti gracchiano , e si capisce poco . Ci vorrebbe anche l ' orologio grande , che segni lo scorrere dei minuti , altrimenti trovi sempre un tifoso che ti domanda di continuo quanto manca . In ogni modo sono entrati : dalla parte nostra c ' è Facchetti , quello dal compasso lungo , e siccome contrasta Perani , che è un ' aletta bassa , speriamo che non faccia come a Mosca . Invece se la cava bene , e il pubblico l ' applaude . Applaude Ricami , incoraggia Mazzola ( lo chiamano « Sandrino » e se sbaglia danno la colpa al rigore che sbagliò domenica scorsa a Roma , e che lo avrebbe demoralizzato ) ; applaude soprattutto Corso , cioè Mariolino , che fa sempre bene , non ne sbaglia una . Quando poi Bulgarelli resta a terra , e i suoi compagni lanciati verso il go1 non buttano fuori la palla , e ci pensa invece lui , allora gli applausi diventano uragano . Bravo , corretto e sportivo : tenace nel gioco , specialmente con Bulgarelli che è il suo più naturale avversario , ma sportivo . Con Jair usano due misure . Se dribbla due avversari è « il negretto » , ma se poi insiste e dribbla anche se medesimo , allora diventa « quel negher lì » . Intervallo : rimettono a posto le lamette e la tenda indiana , ricominciano a vendere boccette di cognac e di amaro ( per la verità dicono di « amarildo » ) entrano in campo certi municipali in divisa e coi rastrelli rattoppano il terreno , da chissà dove compare il Rollamatic , vestito da boscaiolo canadese , va a sedersi sulla panchina di Fulvio Bernardini , e mette ordine nei suoi appunti . Poi sparisce , chissà dove , e sulla panchina c ' è di nuovo l ' allenatore , tranquillo , sorridente , con gli occhiali , come un vero dottore . E pensare che ai suoi tempi era il miglior centrocampista d ' Europa : da quanto era bravo , lo escludevano dalla Nazionale . Gli altri , dicevano , non sarebbero stati in grado di capire le finezze del suo gioco . Ed era vero . Ora il compasso lungo s ' è spostato dall ' altra parte , l ' ombra degli spalti erti ha invaso quasi tutto il campo , il gioco continua velocissimo e a uno a uno si sfiatano tutti , per primo Haller , il biondo tavolone duro come il sasso . La gente si sgola , ma si capisce di già che finisce zero a zero . Hanno accesi i transistors , e gli onnivori del gioco del calcio guardano la partita e ne ascoltano intanto altre sei . Quando il discorso cade sulla nostra , vien fatto di controllare se il cronista dice giusto o se invece tira a indovinare . Dice giusto . Quando l ' arbitro dà il segno della fine , fischiano , ma hanno torto , perché gol non ce ne sono stati è vero , ma la partita vale quella di due anni or sono : veloce , manovrata e pulita . Tutti fanno calca alle sbarre , c ' è un po ' di pigia pigia , ma fra poco siamo liberi : lo stadio si vuota . A guardarlo da lontano , con tutta la gente che scende per la rampa elicoidale , sembra un enorme bullone che tenti di avvitarsi al cielo .
LA FOLLIA LOMBARDA DI WALTER CHIARI ( Bianciardi Luciano , 1963 )
StampaQuotidiana ,
L ' estate scorsa al mare conobbi Walter Chiari . Gli parlavo e lui accennava di sì con la testa , la stessa faccia di quando sulla scena fa il ciclista tonto : credevo che mi canzonasse . Poi a cena la ragazza che l ' accompagnava rovesciò una bottiglia di vino , e la più parte mi finì sulla camicia : si tolse subito il maglione blu e me lo infilò addosso , quasi di forza . In due giorni gli vidi fare tutto : teneva banco sul peschereccio in gita verso il largo , ballava il « tamouret » inventandoselo , carezzava i bambini , quasi fosse un taumaturgo , a richiesta delle madri , rimase fino alle tre di notte a discutere di politica con Giorgio Ghezzi , romagnolo , di poche e chiarissime idee , mentre lui , Walter , di idee ne ha fin troppe e confuse . Ma soprattutto parlava della sua adolescenza milanese , là fuori porta Magenta , fra piazza Piemonte e via Domenichino , allievo assai scadente eppure prediletto di pugili , « spicciolisti » , pescatori di frodo . A nessuno confessava che suo padre era brigadiere scacciato con ignominia . La figura del padre , poi , gli diventava leggendaria : come quando inseguì un ladro a bordo d ' un tram , perché non aveva né l ' auto né i soldi per pagarsi il tassì . Dubitavo che ci fosse un po ' di mitologia e invece l ' altra sera , quando ha tenuto la « prolusione » ( proprio così diceva l ' invito ) alla prima de La rimpatriala , nella figura di Cesarino c ' erano tante cose che appartengono a Walter : l ' altruismo , il candore quasi musulmano del bigamo , il filo rosso di pazzia lombarda che traspare sempre nei suoi discorsi , la voglia scatenata di regalare sempre qualcosa , una risata , un maglione , un ' avventura . E , finita la proiezione , a tavola non sai più se accanto ti siede Cesarino oppure Walter : abbraccia i camerieri , si preoccupa se qualcuno è rimasto in piedi , cuoce sul fornelletto a spirito un pezzo di carne , lo condisce con misteriose salse inventate dal signor Pino , e poi m ' imbocca , come se fossi un suo fratello maggiore che si trascura per disattenzione . E ancora il padre : « La miseria diventa nobiltà , capisci ? Gli avevo comprato un buco di casa in Riviera , con pochi metri di terra , e lui ci faceva nascere tutto . Col gelo , la notte metteva una coperta sopra le piantine . Perché , vedi , per chi è padrone di un bosco un albero è un albero , ma per chi ha solo l ' orto una pianta diventa come un figliolo , bisogna farlo venire su a tutti i costi , anche perché poi lo mandi al lavoro e ti porta a casa la paga » . Chiama al tavolo i suoi amici di allora , posteggiatori , ex pugili , maschere di cinema , « spicciolisti » forse , e alle quattro del mattino sono ancora lì per strada a ridere , a rincorrersi , a scambiarsi pacche sulla schiena , senza badare alle signore in pelliccia che vorrebbero andare a nanna . La vera « rimpatriata » eccola qua , in una nobile stradetta di Milano che fra qualche mese sparirà . E al momento del congedo non sai se dirgli Walter oppure Cesarino .
FRITTATA ALLA ROVESCIA ( Bianciardi Luciano , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Per mangiare bene , dicono , bisogna andare dove vanno i camionisti . Può darsi , ma è difficile . Più facile mettersi alle calcagna dei librai , che sono i più formidabili banchettatori di Milano , e non perdono un ' occasione . Una strenna - per esempio il libro contenuto nella bottiglia , che tratta scientificamente la questione dei cocktails - basta e avanza per mettere su una cena sontuosa : spuma di gamberetti , brodino di coda di manzo , anatra all ' arancio ; al momento del gelato portano un mulino a vento di marzapane , che muove le pale ma non viene mangiato . Nel gruppo dei librai , solitamente massicci di corporatura , Oriana Fallaci sembra anche più piccolina , ma li tiene a bada benissimo , con la loquela : « Antipatici » , gli dice . E domani saranno di nuovo a cena , per decidere se assegnare il loro premio annuale a Oreste Del Buono , scrittore non facile e mangiatore quasi inesistente . Da un po ' di tempo in qua non si cena più a casa : si va con la Jole , poi con Ugo Tognazzi , poi coi reduci del Curtatone e Montanara . Ma la cena più bella fu martedì alla Bovisa , in casa di Jenkiro , cioè nello stanzone attiguo all ' altro stanzone che gli serve da studio . Servono l ' aperitivo e alla spicciolata arrivano gli altri ospiti : il Duardin Franceschini , con la moglie che si crede grassa , poi un bel ragazzetto col capoccione biondo che a domanda risponde : « Giuliottavo Crippa , anni otto e mezzo . Il mio papà ha preso sei fagiani , Hisachika invece due soltanto . Lo sai che ci hanno regalato un cane da mezzo milione ? » . Hisachika ( di cognome Takahashi ) è un giovanissimo pittore giapponese che lavora da alcuni anni nello studio di Roberto Crippa , invitato anche lui . Entra senza nemmeno il bastone , zoppica un poco ma sta benissimo : mi spiega che quando l ' apparecchio gli precipitò a foglia morta , ebbe trecento fratture alle ossa delle gambe . Una mamma didascalica interroga il suo bambino : « Questi signori , vedi , sono giapponesi . Guardali bene e dimmi che cos ' hanno di diverso da noi ? » . Il piccolo ci pensa un po ' , e conclude : « Sorridono sempre » . Sorridono anche mentre si mangia il sukivaki ; al centro del tavolo c ' è un fornelletto a spirito , e sopra una pignatta di ferro . Con le bacchette ci mettono dentro grasso , pezzi di carne , e man mano cavolfiore , spinaci , carote , porri . Danno un uovo a testa , crudo : bisogna romperlo e sbatterlo nella ciotolina . Poi si pesca nel calderone sempre acceso , si passa il boccone nell ' uovo sbattuto , si condisce con salsa di soia e si mangia . Nell ' altra ciotolina c ' è brodo con bambù : chi vuole può prendere del pesce secco , duro come il legno , che va grattugiato e mischiato al riso . Tutti armeggiano con le bacchette d ' osso , il più bravo è Roberto Crippa , mentre Hisachika ha impugnato la forchetta , e viene accusato di deviazionismo e di occidentalismo decadente . Poi , ecco la definizione , che mi pare calzante , di questo sukivaki : è una frittata di carne e verdura fatta alla rovescia .
StampaQuotidiana ,
Fino a domenica scorsa di questo benedetto film non ne sapevo più d ' un lettore qualunque . E neanche me ne davo pensiero : dopo tutto il cinema è mestier loro , e anzi , meno l ' autore del libro ci mette le mani e meglio è . Poi , invece , sono arrivati in massa da Roma , ed eccoli lì : prima della guerra il produttore recitava parti di bello cattivo , me lo ricordo vestito di nero , aitante . La spada in pugno , attentava alla virtù della primadonna e uccideva l ' amico del protagonista , ma poi gli toccava sempre una brutta fine . Nino Crisman oggi è un bel signore alto , grigio , cordiale , paziente . Alto , ma bruno , nasuto e occhialuto , Carlo Lizzani lo vidi morire vestito da prete nel Sole sorge ancora : adesso scopro che siamo coetanei , che abbiamo pressappoco gli stessi amici , che eravamo sotto le armi lo stesso anno , ma lui granatiere , insieme a Gassman e a Squarzina . Amidei e Vincenzoni , finalmente , mi danno da leggere la sceneggiatura , ed è per me una bella sorpresa constatare il rispetto che hanno avuto per il mio libro . Giuro che non speravo tanto . Mi incuriosiva sapere come avevano battezzato il protagonista , che nel romanzo non ha none . Ebbene , si chiama Luciano . Ancora : certi brani che non sono racconto , ma oratoria , predica , ero convintissimo che dovessero di necessità cadere , e invece no , restano quasi tutti : l ' interprete li dirà , pari pari , guardando in macchina , come rivolto al pubblico . Ci fa vedere con che faccia , e mi si conferma il dubbio che m ' assomigli quest ' altro coetaneo , Ugo Tognazzi . La prima idea del film , l ' ebbe lui , e gliene sono grato , perché ha insistito , fino a trovare il produttore che ci voleva . Le differenze rispetto al libro : nel finale , Luciano , perfettamente integrato , ritorna con la moglie . La sua provincia non è la Maremma , ma l ' Emilia vicina al Po . È giusto , Tognazzi con l ' accento toscano farebbe subito pensare a Bartali . Discutiamo tutti e sei certe situazioni , certe difficoltà di realizzazione , e comincio a capire che il cinema è un ' altra cosa , un mestiere diverso dal mio , e tutto sommato più difficile , ma intanto è arrivato Sergio Cossu per le fotografie : siccome con noi c ' è , silenziosissima , Anna - quella vera - lui la scambia per quella finta , per l ' attrice protagonista , e la prega di posare . Grazie anche a lui .
LA SCALETTA E IL TORMENTONE ( Bianciardi Luciano , 1963 )
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Siano alla scaletta , ma di ferro : quadro comandi stazione , tu entri in campo , lei è al finestrino , le dici via perché non scendi ? Ma niente dramma , il magone l ' ho dentro , quasi sembra che scherzi . E lei niente , muta , una faccia dietro un vetro . Poi c ' è la valigia in testa , io mi volto , guardo in macchina : « Porcaccia miseria che botta . No , dico , che botta quando dopo un anno insieme lei ti lascia ! Magari lo sapevi che era finita , ma quando sei lì e vedi che parte , allora ... » . Il primattore adesso sta davanti al transatlantico , al modellino dell ' atrio e riflette . Comodo per riflettere , il Rex , perché se uno riflette senza nulla davanti , guardate un po ' che faccia ! ... Come minimo gli chiedono se si sente male . Dissolvenza , albergo diurno , lui che si taglia le unghie dei piedi , arrivano cinque o sei di corsa , lei apre , entra e chiude . Però queste unghie dei piedi ... Lo sceneggiatore adesso dubita . Rifacciamo la scaletta così : Luciano sale dalla scaletta del diurno , e viene bene perché Ugo ha la faccia di uno che esce dal bagno , sempre . Un momento , fammi finire : arriva Maria . Cosa c ' entra Maria ? Insomma , arriva Anna , Io piglia per un braccio , farmacia , cachet , bicchiere d ' acqua . Lo beve lei , il cachet serbalo , caso mai ti pigli un ' altra botta in testa . Idrante , schiaffo d ' acqua in faccia a Luciano , oltre tutto Ugo sta bene coi capelli incollati sulla fronte , ed entrano in Duomo . Ci vorrà il permesso ? Sentiremo all ' arcivescovado . Lei gli leva la sciarpa dal collo , se la mette in testa , e per un attimo ritorna devota , nello sguardo . Comunista fin che volete ma sempre italiana , e cioè cattolica . Stacco , subito la latteria . Oggi non si fanno più le barricate , oggi si tira dalle finestre e dai tetti ; di lassù diventa pericoloso anche un vaso da notte . Anzi , facciamoci un bel tormentone . Sul vaso da notte stacco , e siamo nel bagno , io sto seduto sul vaso e leggo . Alzo gli occhi un po ' sopra il foglio e dico che in questo sono sempre stato regolare . Invece Anna deve prendere le pillole , così quando arriva la moglie trova la scatola , e domanda com ' è che prendi le pillole , eppure eri sempre stato regolare . Tormentone di Carlone . Volevo dire di Taccone . Stacco sul torracchione , sempre alle spalle , sempre visibile , questo grattacielo della B.R.S. Tu entri in ascensore , la vedova Viganò t ' aveva comandato di andare in tipografia , e in ascensore chi trovi ? Trovi Taccone , che pigia il bottone degli scantinati , della centrale termica . Però di sopra se ne sono accorti , quelli dell ' FBI , volevo dire quelli della BRS , col fatto della trasmittente tascabile , una penna che porti al taschino e fa bip , bip , bip . La sua lunghezza d ' onda non è quella della tipografia . Lei dottor Bianchi è licenziato . Casa nuova , cambiali , mobili , elettrodomestici , falso benessere , la Seicento , i tafanatori , le telefonate . Tormentone delle telefonate . Pronto dottor Bianchi ? Parlo con il dottor Bianchi ? È in casa il dottor Bianchi ? Dottor Bianchi al telefono . Dottor Amidei al telefono , da Roma . Dottor Lizzani al telefono , da Praga . Dottor Vincenzoni al telefono , da Tokio . Dottor Tognazzi al telefono , da Cremona .
PER LO SCRITTORE IL NATALE VIENE A FERRAGOSTO ( Bianciardi Luciano , 1963 )
StampaQuotidiana ,
Manoscritto in una bottiglia lo sapevamo : anzi , dopo il celebre racconto di Poe , è tra le immagini che piacciono alla critica letteraria : ma il libro in una bottiglia nessuno l ' aveva mai inteso , prima di questo Natale . Ora eccolo , un libro da tenere sugli scaffali non della biblioteca ma del bar : I cocktails di Luigi Veronelli , lire diecimila . Potrà sembrare la più frivola fra le strenne , e invece è un ' opera scientifica che è costata all ' autore fatiche , ripensamenti , riassaggiamenti , per mettere insieme un colossale fastello di schede , pronte alla fine di aprile . Da maggio a ottobre ci hanno lavorato , con la pazienza certosina dei bibliografi , tre grafici e due redattori , ed a capo dell ' équipe c ' era Giampaolo Dossena , giovane studioso cremonese che notoriamente beve soltanto vini - e talvolta grappe - piemontesi . Carta speciale , due indici analitici ( generale e per « basi » ) , risguardi orientativi , a mo ' d ' illustrazione autentiche etichette di liquori , che vanno attaccate al foglio una per una , con quattro goccioline di colla ai vertici . Divertente , dirà chi lo acquista , ignorando l ' immane opus d ' un manipolo di specialisti . Per chi la compra , dunque , la strenna libraria ha sapore di festa , di caldarroste , vischio e panettone ; a chi la confeziona , ma specialmente a chi la scrive , rievoca invece il solleone , la città che comincia a vuotarsi , la sospirata imminenza delle valigie fatte per andarsene in campagna . Alle strenne di quest ' anno , personalmente ho contribuito con un racconto per ragazzi , che , insieme ad altri undici , forma una antologia intitolata Cuore 1963 . La consegnai all ' editore il 12 di giugno , e con il compenso mi ci pagai la casa alla Polveriera , in Versilia . Lo scorso anno non feci strenne . Nel '61 invece collaborai a un almanacco letterario : siccome m ' era toccato il calendario dei fatti , non ricordo come riuscii ad arrivare sino al mese di ottobre , con la mia cronachetta , e senza sballare un solo turno in tipografia . Nel '60 invece tradussi di gran furia un grosso volume bene illustrato su Roma antica e moderna , di autore anglo - indiano . Ci misi una settimana , consegnai il malloppo , incassai il compenso e senza nemmeno tornare a casa presi il treno per Sarzana , dato che l ' editore , a quei tempi , aveva la sede vicino alla stazione centrale . Nel '58 non andai in vacanza , passai il mese d ' agosto in canottiera , porte e finestre aperte per dare l ' illusione d ' un po ' di brezza , a tradurre un ' altra strenna , che era poi un volumone antologico sulla vita dei cowboys , scritto in buona parte da allevatori e vaccai autentici . Nel '57 me la vidi con le memorie di un soldato al Messico , e fu una brutta strenna : appena l ' ebbi finita , mi consegnarono la lettera di licenziamento . Così feci Natale senza nemmeno i fichi secchi .