StampaQuotidiana ,
Anzi
Elegia
di
Madonna
Fiammetta
,
come
Vincenzo
Pernicone
ha
restituito
dai
codici
nella
sua
nuova
edizione
.
Nuova
non
solo
per
questo
.
Ché
il
testo
da
lui
dato
supera
di
gran
lunga
in
esattezza
e
proprietà
e
quello
del
Fanfani
,
e
quello
del
Gigli
,
e
l
'
altro
finora
più
noto
e
più
attendibile
del
Moutier
.
Senza
dire
d
'
una
primizia
di
finissimo
pregio
,
di
certe
«
chiose
»
e
di
lui
Boccaccio
,
che
il
Pernicone
pubblica
per
la
prima
volta
,
e
che
aiuteranno
il
lavoro
degli
studiosi
,
se
mai
ci
sarà
uno
che
dalla
ricerca
delle
fonti
classiche
di
questa
Fiammetta
vorrà
finalmente
estendere
l
'
esame
a
un
'
analisi
di
stile
condotta
a
fondo
su
sicurissime
basi
e
non
su
delle
semplici
impressioni
.
Ma
è
una
fortuna
intanto
che
un
libro
sì
importante
si
possa
leggere
senza
più
storpiature
,
ché
storpiature
d
'
ogni
genere
erano
nelle
precedenti
edizioni
,
di
lingua
,
d
'
ortografia
,
e
perfino
d
'
interpolazioni
.
Parve
al
Moutier
,
per
esempio
,
che
il
testo
del
Boccaccio
più
ricco
fosse
,
più
fosse
proprio
di
lui
.
E
invece
la
Fiammetta
in
questo
appunto
segna
la
maturità
della
prosa
boccaccesca
,
che
partita
dal
Filocolo
e
dall
'
Ameto
operò
in
essa
un
incredibile
alleggerimento
e
isveltimento
.
Precede
di
cinque
anni
soli
la
composizione
o
,
diciamo
meglio
,
l
'
inizio
della
composizione
del
Decameron
.
Lo
stesso
lavoro
di
prosa
latineggiante
,
lo
stesso
studio
di
esemplari
latini
,
sia
prosatori
e
sopra
tutto
storici
(
Giustino
,
Valerio
Massimo
)
,
sia
poeti
(
Virgilio
,
Ovidio
,
Seneca
,
Lucano
,
Stazio
)
;
ma
,
vorrei
dire
,
un
più
commosso
lavoro
,
a
volte
;
oltre
quell
'
alleggerimento
,
quell
'
isveltimento
,
specie
in
certo
dialogare
con
sé
,
in
certi
mesti
soliloquii
.
L
'
ultima
infaticabile
prova
,
avanti
di
cominciare
il
Decameron
,
e
fu
appunto
dopo
ch
'
ebbe
finita
la
Fiammetta
,
la
condusse
nella
forma
più
strenua
,
traducendo
le
Deche
terza
e
quarta
di
Livio
,
per
respirare
l
'
aria
grande
del
più
poetico
degli
storici
;
e
s
'
era
mosso
dalle
Artes
o
Summae
dictaminis
,
dalle
traduzioni
di
oratori
e
di
poeti
,
quasi
come
,
in
semplice
scolaro
di
retorica
.
Su
questo
tradurre
,
come
aiuto
al
formarsi
dello
scrittore
,
il
discorso
sarebbe
lungo
assai
.
Noi
ne
abbiamo
un
esempio
bellissimo
e
novissimo
in
quello
del
Leopardi
,
che
voltando
in
italiano
gli
idilli
di
Mosco
prima
scoprì
se
stesso
e
toccò
certe
eleganze
tutte
sue
,
certi
modi
pianissimi
;
e
componendo
il
Saggio
sopra
gli
errori
popolari
degli
antichi
nella
sua
prosa
rapì
qualcosa
ai
classici
,
anche
ai
poeti
,
e
ne
dedusse
leggi
alla
sua
arte
.
Ecco
,
abbiamo
toccato
un
punto
che
fa
al
caso
nostro
.
Il
Foscolo
,
nel
quarto
dei
suoi
Discorsi
sulla
lingua
italiana
(
e
bisogna
,
s
'
intende
,
tener
presente
anche
il
suo
Discorso
storico
sul
testo
del
Decamerone
)
,
disse
che
il
Boccaccio
«
armonizzava
la
sua
prosa
,
aiutandosi
della
prosodia
de
'
poeti
latini
.
Li
traduceva
,
talora
letteralmente
e
,
mentre
la
loro
misura
suonavagli
tuttavia
intorno
all
'
orecchio
,
inserivali
nel
suo
libro
»
.
Parla
del
Decameron
,
e
l
'
osservazione
,
esattissima
,
tornerebbe
,
e
s
'
è
visto
,
bene
applicata
alla
Fiammella
.
I
moderni
,
sulla
scoperta
di
quel
dato
stilistico
,
sono
andati
oltre
,
e
oggi
si
parla
del
grande
libro
boccaccesco
come
d
'
un
libro
di
«
poesia
o
canto
»
,
«
ancorché
composta
di
metri
che
difficilmente
si
riesca
a
scomporre
e
fissare
nei
paradigmi
dei
trattati
di
metrica
»
;
si
parla
d
'
una
«
apparente
prosa
che
è
poesia
»
,
e
che
non
è
per
nulla
«
prosa
poetica
»
(
lo
stesso
disse
tant
'
anni
fa
Serra
di
Panzini
)
.
Strano
però
che
il
nome
del
Foscolo
non
ricorra
come
dovrebbe
nei
saggi
e
negli
scritti
degli
studiosi
del
Boccaccio
.
Ché
il
Foscolo
disse
altro
ancora
,
e
avvertì
un
dissidio
che
la
decantata
poesia
ch
'
egli
vi
trovava
,
e
i
moderni
ritrovano
,
non
valse
a
nascondere
al
suo
occhio
infallibile
.
Quella
«
poesia
»
annidava
per
lui
,
dentro
di
sé
,
un
vizio
.
Una
«
facondia
a
descrivere
minutamente
e
con
maravigliosa
proprietà
ed
esattezza
ogni
cosa
»
;
certe
«
arti
meretricie
dell
'
orazione
»
;
e
quel
non
rifinire
,
ch
'
era
proprio
della
sua
natura
,
di
«
ricrearti
con
la
sua
musica
»
.
Dice
sì
il
Foscolo
che
il
Boccaccio
è
«
scrittore
unico
forse
»
,
per
la
«
varietà
degli
umani
caratteri
»
che
«
porsero
occasione
all
'
autore
di
applicare
ogni
colore
e
ogni
studio
alla
lingua
,
e
farla
parlare
a
principi
ed
a
matrone
e
a
furfanti
e
a
fantesche
e
a
tonsurati
ed
a
vergini
»
;
ma
anche
dice
che
la
sua
lingua
egli
la
«
vezzeggia
da
innamorato
»
,
e
diresti
ch
'
egli
vedesse
«
in
ogni
parola
una
vita
che
le
fosse
propria
,
né
bisognosa
altrimenti
d
'
essere
animata
dall
'
intelletto
»
.
Ma
è
quistione
,
questa
,
da
non
potere
esser
trattata
così
brevemente
e
corrivamente
,
e
basta
avervi
accennato
per
dimostrare
ancor
fondati
i
nostri
dubbi
,
che
sono
poi
dubbi
antichi
,
che
cioè
i
moderni
studiosi
,
contenti
a
quella
novità
speciosa
(
«
poesia
o
canto
»
,
«
apparente
prosa
che
è
poesia
»
)
,
siano
passati
troppo
disinvoltamente
sopra
a
quei
vizi
che
il
Foscolo
denuncia
;
e
per
passarvi
sopra
,
quasi
fingano
d
'
ignorare
le
dure
difficoltà
da
lui
proposte
.
Può
una
formula
sanare
quelle
difficoltà
?
Diciamo
allora
che
quella
«
poesia
»
,
quell
'
«
apparente
prosa
che
è
poesia
»
,
spesso
sente
più
l
'
«
arte
»
che
la
«
natura
»
,
come
sempre
il
Foscolo
asserisce
,
e
che
è
un
«
lavoro
raffinatissimo
d
'
arte
»
,
per
sé
indipendente
,
e
non
nato
in
un
«
conflato
di
fatti
,
ragioni
,
immagini
e
affetti
»
.
L
'
interesse
,
forse
,
che
alla
prosa
boccaccesca
,
alla
sua
complicata
ricchezza
,
han
posto
sempre
,
e
più
,
ultimamente
,
e
grammatici
e
stilisti
e
storici
della
lingua
,
ha
fatto
scambiare
per
ragioni
poetiche
quelle
che
sono
,
sovente
,
ragioni
retoriche
;
e
di
qui
tutti
i
danni
.
Diceva
ancora
il
Foscolo
,
del
Machiavelli
,
che
nella
sua
prosa
il
«
significato
d
'
ogni
vocabolo
par
che
partecipi
della
profondità
della
sua
mente
»
.
Profonda
o
no
,
questa
partecipazione
,
e
dunque
questa
necessità
,
questa
viva
essenzialità
,
per
il
Boccaccio
è
più
poca
assai
.
Che
se
poi
si
consideri
l
'
«
ardente
,
diritta
,
evidente
velocità
»
dell
'
altra
prosa
,
nata
contemporaneamente
a
quella
del
Boccaccio
,
senza
«
artifici
di
sintassi
»
moltiplicantisi
«
per
via
di
traduzioni
e
imitazioni
libere
dal
latino
»
,
ma
tanto
più
schietta
,
come
fu
la
prosa
della
corrente
popolare
,
governata
«
da
quella
grammatica
»
che
è
«
la
vera
e
perpetua
»
e
che
«
in
ogni
lingua
vien
suggerita
dalla
natura
»
;
se
si
consideri
tutto
questo
,
appariranno
più
manifesti
e
quell
'
iniziale
distacco
e
le
conseguenti
fatali
aberrazioni
.
Ma
si
voleva
parlare
della
Fiammella
.
Del
valore
di
questo
libro
,
quanto
a
scoperta
del
linguaggio
nell
'
arte
del
Boccaccio
,
s
'
è
detto
:
lo
studio
comparativo
con
le
fonti
classiche
s
'
aspetta
che
aiuti
a
dire
di
più
.
Ma
il
libro
ha
,
per
sé
,
un
suo
caratteristico
valore
di
tono
o
di
toni
.
È
un
romanzo
amoroso
narrato
in
prima
persona
,
un
romanzo
tutto
interno
,
lentissimo
.
Si
direbbe
,
e
non
è
altro
,
la
variazione
d
'
un
tema
solo
,
fiorito
a
volte
di
modi
labili
,
quasi
un
parlar
dell
'
anima
;
e
a
volte
arricchentesi
di
contrasti
,
curiosamente
legati
,
a
posta
cercati
.
«
Deh
,
or
non
è
questa
mirabile
cosa
,
o
donne
,
che
ciò
ch
'
io
veggio
mi
sia
materia
di
doglia
,
né
mi
possa
rallegrare
cosa
alcuna
?
Deh
,
quale
anima
è
in
inferno
con
tanta
pena
,
che
,
queste
cose
veggendo
,
non
dovesse
sentire
allegrezza
?
»
.
Con
una
tal
giustificazione
è
facile
al
Boccaccio
,
al
Boccaccio
naturalmente
prezioso
,
«
alessandrino
»
come
piaceva
dire
al
Parodi
,
ricco
,
intralciato
,
dar
splendida
prova
di
sé
,
di
quella
sua
«
facondia
a
descrivere
minutamente
e
con
maravigliosa
proprietà
ed
esattezza
»
,
avanti
di
darne
una
assai
più
splendida
nel
libro
del
Decameron
.
Feste
,
giostre
,
luoghi
ameni
,
con
bei
colori
,
begli
arnesi
e
vesti
,
belle
pitture
;
e
non
so
che
languore
che
senti
nel
periodo
un
poco
rilassato
.
Ma
in
quel
progredire
della
narrazione
quanto
mai
lenta
,
tra
conforti
e
sconforti
e
disperazioni
della
donna
amante
,
una
semplicità
,
a
volte
,
monda
,
con
parola
sofferta
e
quasi
nuda
,
un
parlar
dimesso
e
,
vorrei
dire
,
un
altro
Boccaccio
.
«
Ogni
uomo
si
rallegra
e
fa
festa
,
e
io
sola
piango
»
.
Allora
certe
intonazioni
quasi
di
canto
(
«
come
le
preste
ali
di
Progne
,
qualora
vola
più
forte
,
battono
i
bianchi
lati
»
)
,
un
'
aggettivazione
nettissima
(
«
mansueto
nel
viso
,
biondissimo
e
pulito
»
)
,
la
novità
d
'
una
parola
saputa
spiegare
(
«
l
'
aere
esultante
per
le
voci
del
popolo
circustante
»
)
,
la
forza
risuscitata
d
'
un
verbo
per
una
sapiente
collocazione
(
«
O
bellezza
,
dubbioso
bene
de
'
mortali
,
dono
di
picciolo
tempo
,
la
quale
più
tosto
vieni
e
pàrtiti
....
»
)
,
un
che
di
arcano
,
perfino
,
nel
rendere
la
passione
,
che
sa
di
Vita
nova
,
con
la
stessa
apprensione
d
'
anima
(
«
io
già
tutta
come
novella
fronda
agitata
dal
vento
tremava
»
)
.
E
ci
sono
versi
scopertissimi
,
con
altri
da
scoprire
(
«
Deh
,
vieni
,
vieni
,
ché
'
l
cor
ti
chiama
:
non
lasciar
perire
la
mia
giovinezza
presta
a
'
tuoi
piaceri
»
)
;
traduzioni
dov
'
è
qualcosa
di
più
che
la
semplice
misura
del
verso
,
e
c
'
è
sì
Ovidio
,
e
lo
cita
egli
stesso
esattissimamente
(
«
O
Sonno
,
piacevolissima
quiete
di
tutte
le
cose
e
degli
animi
vera
pace
»
)
,
ma
c
'
è
,
anche
,
una
progressione
tutta
sua
,
così
ben
condotta
e
sostenuta
(
«
O
domatore
de
'
mali
...
O
languido
fratello
della
dura
morte
....
O
porto
di
vita
....
O
dolcissimo
Sonno
»
)
.
Anche
quando
il
discorso
un
poco
s
'
intralcia
,
un
fermento
di
piacevol
alito
solleva
e
fa
men
fitta
la
sintassi
.
Pare
che
,
parlando
così
,
pianissimo
,
svegli
dal
di
dentro
una
segretezza
nuova
;
e
questo
è
proprio
un
dar
la
mano
all
'
altra
prosa
di
gusto
popolare
,
per
niente
latineggiante
,
né
poeticheggiante
,
né
lavorata
,
né
studiata
;
se
mai
,
libera
e
ardita
,
e
tutta
«
candidezza
e
soavità
»
,
come
il
Leopardi
appunto
diceva
,
e
ch
'
egli
sentiva
così
vicina
,
e
aveva
ragione
,
alla
lingua
greca
.
Quel
sempre
variare
lo
stesso
tema
avrà
dato
al
Boccaccio
,
spesso
,
monotonia
e
lentezza
;
ma
gli
diede
,
anche
,
una
nuova
ricchezza
,
una
ricchezza
per
estenuazione
.
Del
Boccaccio
fastoso
nel
descriver
minuto
,
quanti
esempi
,
e
di
che
forza
,
noi
troveremo
nel
suo
gran
libro
!
Ma
di
quest
'
altro
,
più
apparentemente
povero
e
più
parlante
,
assai
meno
ne
troveremo
,
e
non
,
forse
,
di
più
valore
.
Ché
mancherà
la
fatica
a
dare
quel
fiore
,
quella
labile
parvenza
;
mancherà
la
necessità
di
sempre
rifarsi
da
capo
,
come
per
ricontare
ex
-
novo
,
che
aiuta
un
poco
a
inventare
.
StampaQuotidiana ,
Il
Bembo
aveva
ragione
:
che
il
Boccaccio
,
«
come
che
in
verso
altresì
molte
cose
componesse
,
nondimeno
assai
apertamente
si
conosce
che
solamente
nacque
alla
prosa
»
.
O
,
per
meglio
dire
,
di
quanto
arricchì
la
sua
prosa
,
d
'
altrettanto
smorzò
e
impoverì
la
poesia
.
E
proprio
cominciò
a
comporre
in
prosa
,
riportando
su
un
piano
tanto
più
alto
una
vicenda
popolaresca
,
con
suoi
caratteri
ben
netti
.
Parlo
del
Filocolo
,
trascrizione
piuttosto
infarcita
d
'
un
tema
e
d
'
una
storia
come
quella
di
Florio
e
Biancofiore
:
l
'
opera
«
giovanile
»
del
Boccaccio
,
che
,
secondo
il
Battaglia
,
rappresenterebbe
«
il
momento
romantico
di
uno
scrittore
che
col
volgere
degli
anni
avrebbe
educato
la
sua
grande
arte
al
più
schietto
realismo
»
.
Ma
,
dire
«
romantico
»
è
dir
troppo
;
e
contentiamoci
di
battere
l
'
accento
sulla
più
semplice
definizione
«
giovanile
»
;
e
spieghiamoci
così
quel
che
di
intemperante
e
di
folto
passò
tra
le
fila
di
quella
vicenda
romanzesca
,
e
che
furono
specialmente
ricordi
di
letture
,
e
di
poetiche
letture
;
tutto
,
insomma
,
un
mondo
classico
mescolato
confusamente
a
personali
esperienze
,
personali
affetti
,
e
avvisi
del
tempo
nuovo
.
Tra
il
Filocolo
e
l
'
Ameto
passarono
all
'
incirca
dieci
anni
;
e
ne
passeranno
poco
meno
dal
principio
della
composizione
del
Decamerone
,
e
un
poco
più
dal
suo
compimento
.
La
Fiammetta
è
un
'
eccezione
:
l
'
ultima
opera
di
prosa
,
e
si
può
dire
l
'
unica
,
avanti
il
Decamerone
,
dove
il
Boccaccio
parve
,
in
una
volta
,
cantare
e
licenziare
le
memorie
della
sua
vita
.
L
'
Ameto
,
dunque
,
sta
in
mezzo
,
e
anche
idealmente
occupa
il
giusto
mezzo
e
,
composto
com
'
è
di
prosa
e
di
verso
,
ripropone
più
sensibilmente
il
confronto
tra
prosa
e
poesia
boccaccesca
(
noi
non
accenneremo
neppure
alla
storia
di
queste
opere
miste
,
né
a
Boezio
né
a
Marziano
Capella
né
ad
Alano
da
Lilla
né
a
Dante
)
.
E
prendiamo
un
dato
solo
di
stile
.
Si
sa
quanto
il
Boccaccio
studiasse
e
imitasse
Dante
,
e
proprio
il
Dante
della
Commedia
.
Così
nel
Filocolo
,
così
nell
'
Ameto
.
Ma
non
già
,
nell
'
Ameto
,
per
sostenere
il
verso
;
sibbene
per
alzare
ancora
più
il
tono
della
prosa
,
di
quell
'
«
apparente
prosa
che
è
poesia
»
.
E
per
converso
,
in
prosa
,
egli
non
avrebbe
mai
toccato
modi
siffatti
(
«
Con
queste
bianche
e
rosse
come
foco
Ti
serbo
gelse
,
mandorle
e
susine
,
Fravole
e
bozzacchioni
in
questo
loco
,
Belle
peruzze
e
fichi
senza
fine
;
E
di
tortole
ho
preso
una
nidiata
,
Le
più
belle
del
mondo
,
piccoline
,
Colle
quai
tu
potrai
lunga
fiata
Prender
sollazzo
;
e
ho
due
leprettini
,
Pur
testé
tolti
alla
madre
piagata
ecc
.
»
)
;
e
per
l
'
appunto
in
terzine
stemperate
,
avvilite
direi
,
dove
c
'
è
già
un
sentore
di
ottava
,
dell
'
ottava
enumerativa
boccaccesca
,
e
poi
dell
'
altra
concertante
del
Poliziano
.
Proprio
quando
,
nella
prosa
dell
'
Ameto
,
tentava
un
maggior
arricchimento
e
un
periodare
più
complesso
.
E
l
'
aggettivo
il
peso
morto
della
prosa
boccaccesca
,
il
segno
della
sua
stanchezza
.
L
'
aggettivo
con
valore
attributivo
quasi
sempre
preposto
al
nome
,
e
che
nei
poeti
,
specie
nei
poeti
elegiaci
e
melici
,
forma
quel
finissimo
«
legato
»
,
(
diciamolo
un
'
altra
volta
con
un
termine
musicale
)
che
è
l
'
elemento
base
del
loro
melodizzare
,
l
'
affettuoso
connettivo
del
canto
;
dove
l
'
una
nota
par
tenuta
per
colorare
di
sé
l
'
altra
,
dar
senso
all
'
altra
,
mentre
questa
la
sostanzia
e
quasi
si
scioglie
in
essa
.
Proprio
su
questo
massimo
di
durata
,
su
questa
unità
armonica
,
s
'
appoggia
e
si
rinnova
di
tempo
in
tempo
,
e
direi
si
slancia
,
il
discorso
poetico
(
«
Quel
vago
impallidir
,
che
'
l
dolce
riso
D
'
un
'
amorosa
nebbia
ricoperse
»
.
«
Se
dell
'
eterne
idee
L
'
una
sei
tu
,
cui
di
sensibil
forma
Sdegni
l
'
eterno
senno
esser
vestita
,
O
fra
caduche
spoglie
Provar
gli
affanni
di
funerea
vita
»
)
;
e
vi
s
'
accorda
l
'
altro
elemento
,
con
l
'
aggettivo
posposto
al
nome
,
che
è
lo
«
staccato
»
(
e
anche
questa
volta
ricorreremo
alla
musica
)
,
e
serve
come
chiaroscuro
,
più
e
men
forte
,
sopra
tutto
nelle
riprese
,
nelle
chiuse
,
e
vive
unicamente
del
suo
contrario
(
«
e
fia
compagna
D
'
ogni
mio
vago
immaginar
,
di
tutti
I
miei
teneri
sensi
,
i
tristi
e
cari
-
Moti
del
cor
la
rimembranza
acerba
»
)
.
Nella
prosa
è
il
caso
inverso
,
quanto
più
il
gusto
della
prosa
progredisce
e
s
'
affina
.
Ed
è
lo
«
staccato
»
a
dare
il
colore
,
l
'
accento
,
la
forte
scansione
;
mentre
,
in
momenti
rari
,
in
toni
un
poco
più
alti
,
anch
'
essa
«
lega
»
col
finissimo
artificio
che
s
'
è
detto
.
Sarà
dunque
nel
Boccaccio
,
questo
continuo
«
legare
»
,
la
riprova
più
valida
di
quella
sua
«
apparente
prosa
che
è
poesia
»
?
Ma
si
osserverà
:
Boccaccio
tolse
quest
'
uso
dal
latino
.
Che
,
in
verità
,
non
distrugge
il
dato
stilistico
,
né
il
suo
particolare
valore
.
E
poi
sta
il
fatto
che
il
Boccaccio
,
specie
sul
principio
,
se
ne
appropriò
in
un
suo
periodare
monotono
,
per
successioni
,
per
addizioni
,
solo
più
tardi
arrivato
a
una
maggior
finezza
di
sintassi
.
Si
pensi
al
Novellino
,
alla
varietà
del
suo
parlare
,
per
cenni
,
alla
scrittura
magra
,
con
sensibili
contrasti
e
,
nell
'
uso
dell
'
aggettivo
,
appunto
,
con
inattese
libertà
.
Qui
davvero
non
si
compone
per
serie
,
ma
in
un
modo
tutto
inventivo
,
anche
se
corto
.
E
cessato
quell
'
inventare
,
il
discorso
svolta
e
varia
.
Disse
il
Foscolo
che
il
Boccaccio
vedeva
«
in
ogni
parola
una
vita
che
fosse
propria
,
né
bisognosa
altrimenti
d
'
essere
animata
dall
'
intelletto
»
.
E
badate
,
la
vena
di
certi
scrittori
spesso
consiste
non
di
parole
soltanto
,
ma
di
intere
frasi
e
cadenze
,
con
una
vita
loro
propria
,
né
bisognose
altrimenti
d
'
essere
animate
dall
'
intelletto
;
consiste
,
volevo
dire
,
in
una
sorta
di
elegantissimo
ozio
.
Come
nei
melodisti
a
oltranza
.
E
in
prosa
come
in
verso
solo
allora
si
tocca
la
perfezione
,
quando
l
'
inventare
e
l
'
ambito
compositivo
s
'
aiutano
e
si
condizionano
,
senza
squilibri
.
Il
Boccaccio
,
intanto
,
nell
'
Ameto
,
corresse
e
variò
certa
dovizia
aggettivale
,
studiò
più
accorte
collocazioni
(
«
e
le
rocche
fortissime
»
)
;
e
,
tirato
dal
suo
vivace
istinto
di
realista
,
sostituì
,
al
comporre
secondo
regole
e
cadenze
e
,
direi
,
secondo
un
ideale
ritmo
,
invenzioni
più
frequenti
,
vere
spezzature
o
discordanze
nel
suo
tessuto
prosastico
.
Ma
che
cosa
è
quest
'
Ameto
?
E
,
o
vuole
essere
,
la
rappresentazione
del
rinnovamento
dello
spirito
umano
per
mezzo
dell
'
amore
;
la
storia
di
Ameto
cacciatore
«
vagabondo
giovane
»
,
che
di
rozzo
e
selvaggio
,
ingentilito
dall
'
amore
,
e
aiutato
dalle
sette
virtù
,
s
'
innalza
alla
contemplazione
delle
verità
supreme
.
Questa
,
in
vero
,
è
la
macchina
del
libro
,
che
dà
la
spinta
al
libro
;
e
che
s
'
adatta
poi
,
via
facendo
,
alla
statura
e
al
gusto
dell
'
autore
.
Parrebbe
di
assistere
a
una
drammatica
«
riduzione
»
(
non
però
sofferta
,
s
'
intende
,
ma
che
non
cessa
d
'
esser
tale
)
d
'
un
'
alta
idea
,
viva
ancora
ai
tempi
del
Boccaccio
,
più
,
forse
,
come
ricordo
che
come
forza
attiva
,
e
che
nella
mente
del
Boccaccio
trova
un
suo
limite
,
e
,
per
questo
,
si
fa
a
suo
modo
vivente
.
Già
,
che
fosse
un
motivo
fortemente
sentito
,
lo
avvertì
fin
dal
principio
.
Vedi
Ameto
,
«
d
'
ogni
parte
carico
della
presa
preda
»
«
intorniato
da
'
cani
tornando
a
'
suoi
luoghi
»
«
vicino
a
quella
parte
ove
il
Mugnone
muore
con
le
sue
onde
»
,
fermarsi
ad
ascoltare
una
«
graziosa
voce
»
«
in
mai
più
non
udita
canzone
»
;
e
«
verso
quella
parte
,
ove
il
canto
estimava
,
porse
,
piegando
la
testa
sopra
la
manca
spalla
,
l
'
orecchio
ritto
»
(
ma
questa
punteggiatura
troppo
secondo
logica
,
troppo
minuta
,
per
il
sinuoso
periodare
boccaccesco
!
)
.
S
'
accosta
,
dunque
,
Ameto
,
e
vede
giovinette
,
«
alcuna
mostrando
nelle
basse
acque
i
bianchi
piedi
»
,
e
che
con
lento
passo
«
vagando
s
'
andavano
»
.
La
meraviglia
di
Ameto
vale
assai
più
delle
cose
che
descrive
,
rimane
come
un
vapore
sospeso
,
una
luce
primaverile
;
ché
le
cose
sono
sempre
le
stesse
,
e
un
poco
monotone
;
e
le
sette
virtù
,
anch
'
esse
troppo
uguali
,
Mopsa
,
Emilia
,
Adiona
,
Acrimonia
,
Agapes
,
Fiammetta
,
Lia
;
vere
donne
,
e
troppo
donne
.
E
Ameto
,
«
con
occhio
ladro
»
,
a
riguardare
«
l
'
aperte
bellezze
di
tutte
quante
»
.
Appunto
quest
'
occhio
di
Ameto
è
la
novità
del
libro
,
il
miracolo
che
trasforma
il
vario
nell
'
uno
;
e
la
pagina
ne
risulta
piena
d
'
infinite
sorprese
.
«
Con
fervente
disio
cercava
d
'
essere
Afron
o
di
mutarsi
in
Ibrida
o
divenire
Dioneo
o
parere
Apaten
o
Apiros
o
Caleone
»
.
E
il
circostante
mondo
di
natura
,
per
nulla
distinto
,
anzi
da
ogni
parte
mescolantesi
come
cosa
vivente
,
pieno
di
sensi
anch
'
esso
;
e
i
colori
presi
da
ogni
dove
,
dalla
realtà
e
dal
mondo
classico
e
dal
mito
.
Non
a
caso
,
nell
'
Ameto
,
spiccano
con
forte
rilievo
,
e
quasi
s
'
accordano
in
un
superiore
impegno
,
due
grandi
parti
:
una
minutissima
descrizione
d
'
un
orto
,
la
più
ricca
e
architettata
di
tutto
il
libro
;
e
una
storia
d
'
amore
,
quella
di
Agapes
,
che
altra
non
ne
scrisse
mai
,
avanti
il
Decamerone
,
con
penna
sì
ardita
,
e
con
la
sua
allegra
lascivia
.
Per
questo
vasto
accordo
,
quest
'
armonia
e
,
vorrei
dire
,
amorosa
prospettiva
,
l
'
Ameto
è
il
precedente
immediato
del
mondo
polizianesco
e
,
in
sé
,
segna
un
punto
assai
importante
nella
resurrezione
rinascimentale
.
Era
destino
che
lo
fissasse
prima
il
Boccaccio
.
Spiace
,
nella
pur
buona
edizione
che
Nicola
Bruscoli
ha
curato
dell
'
Ameto
per
l
'
editore
Laterza
,
trovare
una
dichiarazione
come
questa
:
«
L
'
autore
si
ripromette
di
tornare
in
seguito
sui
Manoscritti
dell
'
Ameto
,
aggiungendo
altri
dati
quali
sarà
possibile
ricavare
dall
'
esplorazione
di
nuovo
materiale
,
oggi
sotto
speciale
custodia
a
causa
dello
stato
di
guerra
»
.
E
chi
obbligava
mai
il
Bruscoli
a
pubblicare
con
una
tal
precipitazione
?
Ma
vorrei
dire
un
'
altra
cosa
ancora
,
ché
l
'
ho
appena
accennata
avanti
.
Sul
sistema
della
punteggiatura
adottato
per
questa
prosa
del
Boccaccio
,
come
sempre
tendente
,
con
una
leggera
enfasi
,
alla
poesia
.
Questa
interpunzione
,
così
spiccatamente
logica
,
non
pare
al
Bruscoli
che
debba
frastornare
un
poco
il
lettore
,
impedirgli
il
gusto
di
risentire
in
sé
quella
musica
che
è
del
periodare
boccaccesco
?
Eppure
il
Leopardi
,
nelle
Operette
morali
,
ci
aveva
lasciato
un
esempio
splendido
di
come
si
possa
con
la
interpunzione
aiutare
la
lettura
,
dividendo
secondo
pause
,
non
secondo
sintassi
,
o
secondo
una
più
interna
sintassi
.
Mi
si
potrebbe
rispondere
col
nome
del
Manzoni
.
Ma
già
la
prosa
del
Manzoni
è
ben
altra
da
quella
del
Boccaccio
,
e
non
è
poi
detto
che
il
Manzoni
,
qualche
volta
non
peccasse
in
minuziosità
,
per
iscrupolo
di
non
riuscire
mai
abbastanza
chiaro
,
affabile
.
E
un
'
ultima
osservazione
,
sull
'
uso
della
dieresi
.
Quest
'
uso
,
assai
intemperante
,
non
ha
portato
fortuna
,
e
s
'
è
visto
,
ad
altro
editore
del
Boccaccio
.
Davvero
che
un
verso
come
questo
«
stanti
all
'
ombra
d
'
un
fiorito
alloro
»
,
aveva
bisogno
della
dieresi
su
«
fiorito
»
(
così
:
«
fïorito
»
)
,
di
quest
'
errore
smaccato
,
di
questa
strascicatura
,
per
essere
un
verso
?
Ma
basterebbe
dividere
«
stanti
»
da
«
all
'
ombra
»
,
con
un
effetto
bellissimo
di
iato
,
e
l
'
endecasillabo
,
proprio
lì
,
si
slargherebbe
,
si
distenderebbe
;
e
s
'
avrebbe
proprio
dipinta
la
contentezza
di
stare
all
'
ombra
,
quieti
,
che
è
un
piacere
.
Se
questa
è
invenzione
nostra
,
del
nostro
strafare
,
chiediamo
venia
.
StampaQuotidiana ,
Non
si
contano
,
e
son
nominati
,
in
quest
'
ultimo
trentennio
,
gli
studi
intorno
al
Poliziano
;
ma
quelli
dell
'
abate
Vincenzio
Nannucci
continuano
a
dormire
nella
dimenticanza
.
L
'
abate
Vincenzio
Nannucci
non
ha
avuto
fortuna
presso
gli
studiosi
del
Poliziano
.
Il
suo
commento
alle
Stanze
è
del
1812
(
Firenze
,
nella
Stamperia
di
Giuseppe
Magheri
e
figli
)
,
e
la
gloria
se
la
prese
intera
il
Carducci
col
suo
.
«
Il
commento
del
Carducci
rifà
tutta
la
cultura
classica
del
Poliziano
,
e
della
ricerca
delle
fonti
non
ha
che
l
'
apparenza
.
In
realtà
è
un
monumento
di
sapienza
critica
;
a
lettura
finita
si
vede
in
quelle
note
il
terreno
,
nel
testo
il
fiore
che
ne
è
germogliato
.
Il
commento
è
la
ricostruzione
di
quella
lunga
e
squisita
disciplina
classica
che
mantenne
lo
spirito
nativamente
fine
del
Poliziano
in
un
ambiente
congeniale
,
è
l
'
aria
che
respirò
la
sua
fantasia
prima
di
diventare
essa
stessa
creatrice
»
.
Strano
!
Ma
la
massima
parte
di
questo
lavoro
di
esplorazione
si
deve
appunto
al
Nannucci
,
e
di
suo
,
il
Carducci
,
non
vi
aggiunse
veramente
che
assai
poco
.
Classici
greci
e
latini
,
e
poesia
italiana
antica
il
Nannucci
conosceva
per
una
sua
diuturna
esperienza
di
lettore
avvedutissimo
;
e
,
per
esempio
,
il
suo
Manuale
della
Letteratura
del
primo
secolo
della
Lingua
italiana
,
in
tre
volumi
(
Firenze
,
Magheri
,
1837-1839
)
,
«
per
uso
della
studiosa
gioventù
delle
isole
jonie
»
,
ristampato
poi
dal
Barbera
in
due
volumi
(
1856-1858
)
,
è
condotto
con
tale
apertura
di
mente
,
e
lumeggiato
con
un
gusto
sì
nuovo
della
lingua
del
tempo
,
e
del
linguaggio
di
quella
poesia
,
che
filologi
e
studiosi
ancora
vi
ricorrono
con
profitto
.
Diamo
dunque
all
'
abate
Vincenzio
Nannucci
«
del
Collegio
Eugeniano
di
Firenze
»
il
titolo
di
primo
scopritore
moderno
del
Poliziano
,
di
quella
sopra
detta
«
lunga
e
squisita
disciplina
classica
»
;
e
auguriamoci
che
qualche
volonteroso
riesamini
un
giorno
la
sua
opera
tutta
quanta
,
e
le
riconosca
il
giusto
valore
nella
storia
della
cultura
del
primo
trentennio
dell'800
.
E
mettiamo
subito
a
fianco
di
quel
commento
preziosissimo
una
mezza
paginetta
del
Foscolo
,
anch
'
essa
dimenticata
,
e
che
par
discendere
direttamente
,
quasi
come
una
conclusione
,
dalle
illustrazioni
del
Nannucci
.
È
nel
quinto
dei
suoi
Discorsi
sulla
lingua
italiana
,
che
sono
la
più
matura
e
alta
espressione
delle
conquiste
critiche
del
Foscolo
.
«
L
'
unico
poeta
degno
di
meraviglia
»
di
tutto
il
'400
egli
dice
che
fu
il
Poliziano
.
E
dice
che
come
«
gli
spiriti
e
i
modi
della
lingua
latina
de
'
classici
erano
già
stati
trasfusi
nella
prosa
dal
Boccaccio
,
e
da
altri
»
,
così
il
Poliziano
«
fu
il
primo
a
trasfonderli
nella
poesia
,
e
vi
trasfuse
ad
un
tempo
quanta
eleganza
poté
derivare
dal
greco
»
.
Ma
nel
commento
del
Nannucci
c
'
era
qualcos
'
altro
,
perché
il
Foscolo
potesse
meglio
determinare
il
suo
giudizio
;
c
'
erano
le
fonti
dell
'
antica
poesia
italiana
,
alle
quali
pure
il
Poliziano
s
'
abbeverò
.
Noi
,
leggiamone
gli
esempi
,
seguendo
quella
guida
;
e
la
storia
del
formarsi
della
poesia
polizianesca
sarà
fatta
.
Anzi
è
stata
già
fatta
.
Solo
che
si
credeva
d
'
esser
partiti
dal
Carducci
,
e
ci
si
moveva
e
dal
Nannucci
e
dal
Foscolo
.
Ma
,
questa
poesia
del
Poliziano
,
diremo
dunque
che
è
una
poesia
in
margine
alla
poesia
?
O
che
è
una
poesia
«
dell
'
orecchio
»
,
come
il
Leopardi
disse
della
poesia
del
Monti
?
Una
poesia
,
più
che
d
'
un
poeta
,
di
uno
«
squisitissimo
traduttore
»
,
se
«
ruba
ai
latini
o
greci
»
;
se
«
agl
'
italiani
,
come
a
Dante
»
,
di
uno
«
avvedutissimo
e
finissimo
rimodernatore
del
vecchio
stile
e
della
vecchia
lingua
»
?
Vero
sarebbe
,
fino
a
un
certo
segno
,
del
Monti
;
e
ad
ogni
modo
il
Leopardi
scrisse
questo
tenendo
l
'
occhio
alla
grande
poesia
.
Non
è
invece
per
nulla
vero
del
Poliziano
.
Quel
comporre
in
gara
,
ch
'
era
proprio
del
Monti
,
e
per
un
continuo
attrito
,
facile
,
epidermico
,
fu
lontanissimo
dalla
tempra
del
Poliziano
,
il
quale
,
da
una
sì
diversa
e
complessa
mistura
cavò
di
bellissime
dissonanze
;
e
l
'
aiutò
,
in
questo
sottile
lavoro
,
la
sua
natura
di
realista
commosso
,
di
innamorato
della
bellezza
,
di
elegantissimo
rinnovatore
.
Prendiamo
un
verso
solo
di
lui
:
Cresce
l
'
abete
schietto
e
senza
nocchi
.
Un
verso
che
l
'
occhio
,
dopo
letto
,
sempre
rivede
mutato
in
figura
.
Disegno
saldissimo
,
disegno
acuito
all
'
estremo
,
e
pur
come
nuovo
,
accenti
netti
,
una
qualità
vergine
che
resiste
e
resisterà
al
tempo
.
E
prendiamone
un
altro
:
L
'
erbe
e
'
fior
,
l
'
acqua
viva
chiara
e
ghiaccia
.
Qual
altro
poeta
seppe
adoprare
con
un
senso
sì
fresco
tre
aggettivi
in
una
volta
,
con
un
senso
sì
necessario
?
Quell
'
acqua
davvero
scorre
(
viva
)
,
luccica
(
chiara
)
,
ci
tocca
(
ghiaccia
)
.
E
le
parole
paiono
pietra
durissima
;
sebbene
abbiano
vita
e
moto
.
Questo
è
Poliziano
.
E
quante
cose
dipinse
nei
suoi
bellissimi
versi
,
fiori
,
colori
,
la
natura
in
tutti
i
suoi
più
vari
aspetti
,
fino
scene
e
figurazioni
in
apparenza
ricalcate
sulle
più
splendide
forme
delle
arti
figurative
,
quelle
più
splendidamente
severe
,
e
che
invece
furono
viste
direttamente
,
con
un
occhio
che
fruga
,
e
sollecita
in
ciò
che
vede
il
sentimento
dell
'
esistenza
.
Vivono
per
sé
,
le
immagini
e
le
creature
del
Poliziano
,
e
vivono
quasi
sempre
su
uno
sfondo
di
paese
che
,
per
più
verità
,
il
poeta
ha
fermato
con
veloci
tratti
,
perché
intorno
vi
circolasse
l
'
aria
,
vibrasse
un
che
di
magnetico
.
Un
misto
,
insomma
,
di
nuovo
,
intatto
,
e
di
stregato
.
In
quali
altri
versi
di
poeta
antico
è
dato
di
trovare
segni
d
'
un
'
arte
sì
fina
?
Un
qualsiasi
verso
del
Petrarca
:
«
Chiare
,
fresche
e
dolci
acque
»
!
E
solo
in
apparenza
,
per
una
pura
suggestione
verbale
,
voi
vi
ricordate
del
Poliziano
.
È
un
inganno
.
In
quelle
«
chiare
»
«
fresche
»
e
«
dolci
acque
»
Petrarca
vide
,
e
sempre
rivede
,
le
«
belle
membra
»
di
Laura
.
E
voi
stessi
non
potete
scompagnare
quelle
acque
da
quella
vista
.
Hanno
specchiato
quelle
membra
(
chiare
)
,
le
hanno
ravvivate
e
quasi
ringiovanite
(
fresche
)
,
le
hanno
avvolte
come
in
un
divino
abbraccio
(
dolci
)
.
In
quella
memoria
è
la
potenza
e
il
fascino
delle
parole
del
Petrarca
.
Per
il
Petrarca
,
tutta
la
natura
vive
per
la
memoria
di
Laura
,
si
anima
come
toccata
dalla
sua
presenza
,
dice
la
sua
presenza
.
Parmi
d
'
udirla
,
udendo
i
rami
e
l
'
òre
E
le
fronde
e
gli
augei
lagnarsi
e
l
'
acque
Mormorando
fuggir
per
l
'
erba
verde
.
Qui
siamo
nel
regno
fatato
della
musica
.
Tutti
suoni
,
dolci
suoni
,
inesprimibili
suoni
,
a
ricordare
con
indicibile
strazio
quella
voce
di
Laura
;
e
l
'
anima
,
sospesa
,
ora
ode
ora
non
ode
più
.
Poliziano
,
invece
,
volta
per
volta
,
è
come
se
ti
ammaliasse
l
'
occhio
;
e
tu
incantato
a
vedere
,
senza
essere
mai
sazio
.
Nascerà
di
qui
,
poi
,
da
quest
'
offrirti
in
successive
immagini
il
suo
vivacissimo
mondo
,
nascerà
di
qui
la
sua
ottava
,
nella
caratteristica
divisione
in
distici
,
per
tempi
e
modi
diversi
.
Non
è
l
'
ottava
dell
'
Ariosto
,
l
'
armoniosa
ottava
,
che
smorza
in
sé
e
dora
i
suoni
e
le
impressioni
,
obbediente
sempre
a
un
'
idea
nettissima
,
a
un
'
oncia
il
cui
disegno
è
sempre
uno
e
vario
,
un
mutevole
giro
vaghissimamente
chiuso
.
E
non
è
l
'
ottava
del
Tasso
,
franta
,
intarsiata
,
ricca
,
disuguale
,
intimamente
disarmonica
,
con
stanchi
languori
,
che
vorrebbero
,
e
non
riescono
a
conciliare
le
disarmonie
,
a
sciogliere
gli
intarsii
.
È
l
'
ottava
in
forma
di
concertato
.
Piccoli
strumenti
,
ciascuno
col
loro
timbro
nettissimo
,
anzi
un
poco
agro
,
un
sottile
sapore
di
terra
e
d
'
ingegno
.
Si
pensa
a
quelle
zone
felici
,
quand
'
è
cessato
il
tumulto
della
grande
orchestra
.
O
si
pensa
,
e
questo
suggerirebbe
il
modo
particolarissimo
di
leggere
Poliziano
,
e
nel
tempo
stesso
aiuta
a
capire
la
sua
arte
,
si
pensa
a
certe
esecuzioni
sinfoniche
,
dove
il
maestro
badi
a
conservare
la
distinzione
delle
diverse
zone
e
parti
,
fin
nelle
minime
pieghe
e
ombre
,
non
a
fondere
quelle
zone
e
parti
e
a
farne
,
come
dicono
,
uno
strumento
solo
.
Distinguere
e
mantenere
distinte
tutte
le
voci
,
fino
all
'
insoffribile
acuità
;
e
fare
che
il
miracolo
avvenga
per
sé
,
direi
per
magia
,
dentro
di
noi
,
in
un
secondo
tempo
,
in
un
tempo
stregato
.
Perché
,
insomma
,
se
con
l
'
ottava
dell
'
Ariosto
subito
ti
senti
preso
da
un
'
onda
di
suono
accordata
,
e
chiarissimamente
vedi
e
segui
e
godi
il
filo
di
quell
'
onda
;
se
con
l
'
ottava
del
Tasso
,
fatichi
e
ti
perdi
e
ti
ritrovi
,
come
per
sentieri
impervii
;
con
l
'
ottava
del
Poliziano
ti
piace
di
sentire
in
te
quel
variato
complesso
,
di
far
parte
tu
stesso
del
divino
lavoro
,
e
ti
par
quasi
di
avvertire
il
miracolo
nel
momento
che
si
crea
.
Sono
i
vari
accordi
che
si
scontrano
come
fosse
la
prima
volta
.
E
questo
è
veramente
cosa
nuova
nella
storia
della
poesia
.
Dove
dunque
ci
ha
portato
quel
felicissimo
artista
che
è
Angelo
Ambrogini
Poliziano
!
E
volevamo
dire
una
cosa
sola
,
oltre
a
sanare
presso
i
lettori
moderni
l
'
ingiustizia
antica
fatta
all
'
abate
Vincenzio
Nannucci
del
Collegio
Eugeniano
di
Firenze
.
Volevamo
,
alla
reale
commissione
chiamata
a
preparare
i
nuovi
programmi
per
la
nuova
scuola
media
italiana
,
fare
una
proposta
.
Al
secondo
,
al
terzo
anno
del
«
Liceo
classico
»
si
potrà
finalmente
cominciare
a
leggere
,
ma
in
classe
,
con
tutta
l
'
autorità
e
l
'
aiuto
del
maestro
,
le
Rime
del
Poliziano
?
L
'
Orfeo
,
le
rarissime
canzoni
a
ballo
,
i
rispetti
continuati
e
spicciolati
e
,
sopra
tutto
,
le
Stanze
.
Sono
,
queste
Stanze
,
centosettantuna
di
numero
,
milletrecentosessantotto
versi
.
Non
sono
gran
cosa
,
dunque
,
ma
sono
cosa
grande
.
Da
assaporare
e
considerare
con
un
continuo
confronto
dei
poeti
che
il
Poliziano
conobbe
,
studiò
,
e
che
certo
servirono
all
'
incognito
del
suo
linguaggio
.
Una
lettura
d
'
alto
stile
,
insomma
,
con
lenti
e
sapienti
indugi
,
per
scuola
d
'
umanità
.
Si
leggerà
poi
l
'
Ariosto
,
si
leggerà
il
Tasso
;
e
si
capirà
quanto
questi
poeti
debbano
a
quell
'
unico
poeta
.
Che
significa
,
alla
fine
,
capire
la
poesia
.
Che
,
lo
so
,
si
può
leggere
in
tanti
modi
.
Meglio
se
con
più
sussidi
possibile
,
che
la
cultura
e
gli
studi
seri
possono
offrire
,
a
fortificare
e
ad
arricchire
l
'
animo
e
l
'
ingegno
.
StampaQuotidiana ,
Si
farà
dunque
un
'
edizione
delle
Stanze
?
La
«
Biblioteca
Nazionale
Le
Monnier
»
annuncia
ora
gli
Scritti
in
volgare
del
Poliziano
a
cura
di
Natalino
Sapegno
,
e
a
un
'
edizione
critica
delle
Stanze
lavora
il
Pernicone
.
I
tempi
sarebbero
maturi
.
Negli
ultimi
dieci
anni
l
'
arte
del
Poliziano
ebbe
interpreti
assai
fini
,
portato
della
novissima
cultura
volta
particolarmente
alla
scoperta
del
linguaggio
poetico
,
e
a
certe
distinzioni
rivelatrici
tra
poesia
e
poesia
della
poesia
.
Il
Poliziano
è
il
rappresentante
tipico
di
questa
poesia
della
poesia
.
Solo
che
il
suo
testo
è
ancora
quello
dato
dal
Carducci
nel
'63
,
vecchio
ormai
.
Il
Carducci
ebbe
il
merito
,
allora
,
di
restaurare
in
buona
parte
la
lezione
giusta
,
contro
le
edizioni
cinquecentesche
,
nobilitate
ma
offese
,
secondo
le
teorie
del
Bembo
.
Compì
il
lavoro
a
mezzo
.
Perché
conobbe
,
sì
,
direttamente
i
due
Codici
riccardiani
2723
e
1576
(
il
primo
assai
importante
,
perché
compilato
vivente
il
Poliziano
)
,
ma
gli
altri
codici
solo
attraverso
le
stampe
su
essi
redatte
,
e
se
ne
fidò
.
Non
fece
la
storia
dei
codici
,
non
ne
accertò
il
valore
,
e
portò
nella
scelta
della
varia
lezione
le
sue
particolarissime
preferenze
.
Il
Carducci
,
spesso
così
giusto
lettore
,
fu
talvolta
non
pacato
lettore
;
e
nella
edizione
del
Poliziano
,
davanti
a
errori
passati
di
codice
in
codice
quasi
per
ozio
della
mente
,
né
ebbe
il
coraggio
di
congetturare
né
ci
lasciò
nel
commento
ombra
di
dubbio
.
Quel
quinto
verso
,
ad
esempio
,
della
stanza
CII
(
«
L
'
altra
al
bel
petto
e
bianchi
omeri
intesa
»
)
,
così
com
'
è
,
non
dà
senso
probabile
.
Altri
l
'
ha
piegato
a
un
'
interpretazione
strana
,
con
un
'
aperta
violazione
della
parola
intesa
(
«
intenta
,
chinata
coi
suoi
bianchi
omeri
»
)
;
io
correggerei
sicuramente
:
«
L
'
altra
al
bel
petto
e
a
'
bianchi
omeri
intesa
»
.
Ma
più
errò
il
Carducci
nelle
preferenze
.
E
finché
non
ci
saranno
altre
prove
,
noi
contrapporremo
le
nostre
preferenze
,
confortate
dall
'
autorità
dei
Codici
riccardiani
.
Nella
stanza
LIV
,
il
verso
secondo
suona
così
in
quei
codici
:
«
E
da
questi
arbor
cade
maggior
l
'
ombra
»
,
che
popola
il
luogo
d
'
alberi
e
ombre
(
«
all
'
ombre
»
,
dice
infatti
il
v
.
7
della
stanza
LII
)
.
Ma
il
Carducci
accetta
l
'
altra
lezione
ricavata
dalle
stampe
,
forse
da
un
errore
di
quelle
stampe
(
«
E
da
quest
'
arbor
ecc
.
»
)
.
Il
principio
della
stanza
XXXIII
chi
non
lo
ricorda
?
«
Ah
quanto
a
mirar
lulio
è
fera
cosa
!
Rompe
ecc
.
»
.
E
il
Carducci
annota
:
«
Veramente
i
due
Codd
.
ricc
.
leggono
romper
la
via
,
non
interrompendo
il
periodo
dopo
l
'
esclamazione
del
primo
verso
.
Ma
la
lezione
delle
stampe
fa
molto
più
viva
ed
efficace
la
descrizione
»
.
Che
non
è
osservazione
esatta
.
La
lezione
delle
stampe
rallenta
invece
la
descrizione
,
toglie
la
giusta
proporzione
delle
parti
,
confonde
e
livella
quelle
parti
.
La
lezione
dei
codici
,
oltre
la
novità
di
quell
'
impetuoso
romper
,
riempie
di
meraviglia
il
secondo
e
il
terzo
verso
,
gli
altri
tre
,
com
'
è
giusto
,
lascia
un
poco
in
ombra
,
per
quella
dizione
stremata
,
come
fosse
un
particolare
aggiunto
alla
pittura
che
ha
il
suo
accento
massimo
su
romper
,
e
non
dura
al
di
là
del
terzo
verso
.
Senza
dire
che
questo
è
un
esempio
di
bellissima
,
infrazione
al
comporre
polizianesco
per
distici
,
a
quell
'
ottava
concertante
che
fu
delizia
,
e
anche
croce
,
del
Poliziano
.
E
prima
di
tutto
fu
delizia
.
Da
questa
specie
di
ottava
,
si
sa
,
il
Poliziano
cavò
tutti
gli
effetti
,
e
vi
lavorò
con
finissimi
artifici
.
Pareva
avvertisse
che
nel
rigore
di
quella
«
divisione
»
stesse
la
sua
salvezza
,
e
che
l
'
asciuttezza
delle
impressioni
,
la
diversità
delle
influenze
non
potessero
trovare
che
in
quella
forma
la
loro
giustificazione
,
il
riscatto
.
Ciascuna
delle
influenze
si
traduceva
in
lui
in
impressione
fortissima
,
e
ciascuna
impressione
traboccava
in
un
distico
o
in
un
verso
solo
.
Dalla
varietà
poi
nasceva
l
'
accozzo
,
concordante
o
discordante
,
ma
sempre
un
accozzo
.
La
sua
natura
ripugnava
agli
sviluppi
,
alla
diffusione
.
Descriveva
per
segni
rapidi
,
per
cenni
,
quasi
per
simboli
.
Nessuna
ricchezza
di
partitura
,
che
pur
qualche
volta
gli
sarebbe
servita
per
fondere
e
sostenere
la
narrazione
,
per
esempio
nella
scena
della
caccia
.
Preferì
un
comporre
per
momenti
,
puntuale
,
vivacissimo
,
anche
se
talvolta
secco
.
Rovesciò
l
'
ordine
delle
similitudini
,
delle
similitudini
classiche
protratte
e
appoggiate
sui
due
pernii
soliti
(
come
....
così
)
;
riassorbì
l
'
una
parte
,
la
seconda
,
e
sempre
dié
risalto
all
'
altra
,
la
prima
,
in
una
sorta
d
'
improvviso
,
come
per
ribadimento
e
chiusa
del
discorso
.
Non
sacrificò
mai
nulla
alla
composizione
,
accettò
il
suo
limite
quasi
per
sfida
.
Ma
nel
suo
limite
si
dimostrò
artista
impareggiabile
.
E
variò
continuamente
l
'
ordine
della
sua
sintassi
,
con
modi
bellissimi
.
«
Feciono
e
'
boschi
allor
dolci
lamenti
,
E
gli
augelletti
a
pianger
cominciorno
»
.
Creata
la
distanza
dei
verbi
,
ecco
crearsi
come
un
doppio
di
spazio
,
ecco
una
maggior
vaghezza
dell
'
armonia
sostenuta
su
quei
termini
distanti
,
particolarmente
addolciti
dal
colore
antico
e
popolaresco
(
il
colore
antico
e
popolaresco
che
salvò
il
Poliziano
dall
'
alessandrinismo
)
.
Come
si
chiama
per
figura
quell
'
allontanare
due
stessi
elementi
sintattici
di
un
periodo
e
avvicinarne
due
altri
?
Si
chiama
«
chiasmo
»
.
Poliziano
adoprò
il
chiasmo
come
base
del
suo
armonizzare
.
«
Or
poi
che
il
sol
sue
rote
in
basso
cala
.
E
da
quest
'
arbor
cade
maggior
l
'
ombra
,
Già
cede
al
grillo
la
stanca
cicala
,
Già
il
rozo
zappator
del
campo
sgombra
ecc
.
»
.
Ecco
altro
effetto
dal
medesimo
artificio
,
fuggire
nella
successione
la
monotonia
,
con
una
perfetta
alternanza
.
Ma
l
'
esempio
più
bello
forse
è
dato
dalla
stanza
XXV
,
che
è
uno
dei
miracoli
del
Poliziano
,
e
su
cui
nulla
ha
potuto
né
l
'
abitudine
della
memoria
né
il
ricordo
scolastico
:
Zefiro
già
di
bei
fioretti
adorno
Avea
de
'
monti
tolta
ogni
pruina
:
Avea
fatto
al
suo
nido
già
ritorno
La
stanca
rondinella
peregrina
:
Risonava
la
selva
intorno
intorno
Soavemente
all
'
ora
mattutina
:
E
la
ingegnosa
pecchia
al
primo
albore
Giva
predando
or
uno
or
altro
fiore
.
Con
un
doppio
chiasmo
che
regola
le
due
parti
dell
'
ottava
,
ciascuna
di
quattro
versi
,
s
'
ottiene
nell
'
una
,
per
quell
'
avvicinare
i
verbi
,
quasi
un
ritmo
di
festa
,
di
festa
che
canta
e
s
'
affretta
,
e
nell
'
altra
s
'
ampliano
,
per
quell
'
allontanarli
,
i
confini
della
scena
,
già
commentati
in
anticipo
dal
suono
di
quell
'
«
intorno
intorno
»
.
Due
diverse
misure
,
per
una
più
perfetta
rispondenza
,
direi
meglio
,
per
una
più
felice
obbedienza
alla
verità
d
'
un
'
impressione
.
E
così
,
ancora
una
volta
,
il
Poliziano
ha
saputo
mantenere
,
preservare
,
la
sua
puntuale
forza
inventiva
;
eccitare
le
parole
in
brevissimo
,
portarle
al
loro
massimo
rendimento
.
Perché
questo
è
il
proprio
dell
'
arte
del
Poliziano
,
bruciare
i
suoi
temi
.
Nella
sua
povertà
,
egli
è
uno
sperperatore
.
Nel
secondo
libro
delle
Stanze
,
decisamente
,
la
poesia
va
mancando
,
ed
è
allora
che
al
poeta
pesa
l
'
angustia
del
suo
comporre
.
Sperimentati
ha
tutti
i
modi
per
salvarsi
dalla
monotonia
,
per
vincere
il
suo
limite
.
L
'
ottava
,
nella
sua
precisa
netta
divisione
,
consumata
in
ogni
minima
parte
,
non
gli
serve
più
,
non
gli
basta
;
e
adopra
altro
stile
.
Non
sa
,
non
intende
,
che
il
difetto
non
è
della
forma
,
che
gli
par
stanca
,
ma
della
poesia
che
gli
si
è
stancata
,
e
cerca
dall
'
esterno
il
rimedio
,
che
non
si
può
mai
.
Ma
tenta
.
(
Così
accadde
,
per
citare
un
poeta
di
felicissimo
istinto
,
all
'
ultimo
Di
Giacomo
,
negli
ultimi
suoi
inquieti
anni
,
quando
barattò
le
ben
chiuse
strofe
delle
Ariette
per
le
più
complesse
combinazioni
metriche
,
e
la
poesia
di
rado
le
allietò
)
.
Troviamo
qui
i
primi
esempi
di
similitudini
sviluppate
secondo
il
gusto
classico
,
spezzature
nel
verso
inusitate
,
infrazioni
nell
'
ordine
strutturale
delle
stanze
.
La
mente
ricorda
ben
altre
riuscite
.
(
«
Quasi
in
un
tratto
vista
amata
e
tolta
ecc
.
»
)
.
Quelle
erano
violenze
per
virtù
di
poesia
,
e
qui
si
applica
l
'
ingegno
;
lì
era
la
forza
del
realista
,
dell
'
osservatore
coraggioso
,
qui
è
l
'
industria
sostituita
all
'
ispirazione
.
Forza
di
realista
,
abbiamo
detto
,
e
prima
abbiamo
accennato
al
colore
antico
popolaresco
della
sua
lingua
.
Sono
i
dati
dello
stile
polizianesco
,
e
bastarono
,
sì
l
'
uno
che
l
'
altro
,
a
salvare
la
sua
poesia
dall
'
alessandrinismo
,
che
occhieggia
appunto
nell
'
ultime
stanze
,
ricche
dei
più
pensati
artifici
,
perfino
nelle
rime
,
nelle
rime
rare
,
nelle
rime
equivoche
,
tutti
vecchi
ricalchi
.
C
'
è
differenza
tra
questo
colore
,
questa
vivacità
da
realista
,
e
il
Petrarca
?
Oh
che
c
'
entra
il
Petrarca
?
È
stato
il
Flora
,
nella
sua
per
tante
parti
bella
Storia
della
lett
.
it
.
,
ad
avanzare
il
dubbio
d
'
una
confusione
.
«
E
non
si
tratta
di
riasserire
col
Foscolo
che
il
Poliziano
gli
spiriti
e
i
modi
della
lingua
latina
dei
classici
,
trasfusi
già
nella
prosa
dal
Boccaccio
,
fu
il
primo
a
trasfondere
nella
poesia
,
aggiungendovi
quanta
eleganza
poté
derivare
dal
greco
....
Perché
gli
spiriti
dei
classici
latini
erano
già
stati
trasfusi
nella
poesia
fin
da
Dante
:
e
il
Petrarca
giunse
a
un
'
eleganza
di
trasfusioni
,
al
cui
confronto
anche
quella
del
Poliziano
,
e
sia
pure
con
l
'
aggiunta
della
greca
eleganza
,
è
poco
men
che
rozzezza
»
.
Veramente
chi
riasserì
col
Foscolo
ecc
.
ecc
.
aveva
aggiunto
ben
altre
determinazioni
,
e
parlò
di
influenze
della
poesia
italiana
fino
al
Petrarca
,
parlò
della
poesia
antica
popolaresca
(
c
'
è
un
colorito
popolaresco
in
Petrarca
?
)
.
Sopra
tutto
insisté
sul
termine
«
trasfusione
»
,
che
è
del
Foscolo
,
ed
è
una
delle
sue
più
felici
invenzioni
,
da
applicare
,
approfondendola
,
a
quella
variazione
della
poesia
che
è
la
poesia
della
poesia
,
e
solo
a
quella
.
Del
Petrarca
,
il
Foscolo
,
per
fuggir
la
confusione
,
disse
ben
altro
.
«
Come
egli
dalle
reminiscenze
del
dialetto
materno
e
da
quanti
n
'
udì
,
e
da
rimatori
provenzali
,
siciliani
e
italiani
stillasse
,
per
così
dire
,
una
quintessenza
di
lingua
poetica
,
è
uno
di
que
'
misteri
ecc
.
ecc
.
»
.
Nel
Poliziano
,
nessuna
reminiscenza
,
intanto
,
di
rimatori
provenzali
,
e
neppur
l
'
ombra
di
quella
che
il
Foscolo
,
arcanamente
,
chiama
«
quintessenza
»
.
Niente
di
arcano
è
nel
lavoro
del
Poliziano
:
si
notano
,
si
toccano
con
mano
,
e
le
influenze
e
le
sue
reazioni
,
quel
che
riceve
e
quel
che
dà
.
Nel
Petrarca
,
come
in
ogni
poeta
assolutamente
grande
,
è
la
riemersione
originaria
d
'
una
lingua
poetica
.
Foscolo
dice
«
uno
di
que
'
misteri
che
si
sogliono
attribuire
al
genio
»
.
Che
non
sono
parole
da
spendere
per
il
Poliziano
,
ingegno
sopra
tutto
elegante
.
Di
quali
suoi
propri
colori
vestisse
,
dico
vestisse
,
la
poesia
,
s
'
è
mostrato
,
e
non
era
difficile
.
StampaQuotidiana ,
Sarebbe
dunque
maturo
un
«
caso
Leonardo
»
,
come
s
'
ebbe
tant
'
anni
fa
,
coll
'
apparire
delle
Carte
napoletane
,
e
tra
le
Carte
napoletane
degli
Appunti
e
ricordi
e
dei
frammenti
di
idilli
,
un
«
caso
Leopardi
»
?
Quello
fortemente
interessò
i
frammentisti
;
e
una
teoria
estetica
,
ridotta
alla
propria
causa
,
parve
porgere
aiuto
a
una
scrittura
rapida
e
estrosa
,
e
illudere
che
veramente
fosse
il
portato
ultimo
della
poesia
.
Il
gusto
del
non
finito
,
la
vaghezza
dell
'
espressione
incompiuta
,
un
quasi
alone
di
sogno
fecero
e
aiutarono
il
resto
.
E
chi
scrisse
,
e
scrive
ancora
,
appunti
;
e
chi
descrisse
e
chi
dipinse
.
Meglio
fu
per
chi
dipinse
,
cioè
trasfigurò
,
sia
pure
in
brevissimo
,
e
in
una
semplice
impressione
.
Ora
Leonardo
,
con
le
sue
illuminazioni
,
le
sue
folgorazioni
,
le
sue
visioni
,
proporrebbe
da
una
parte
antiche
prove
della
poesia
ermetica
,
dall
'
altra
creerebbe
,
e
l
'
ha
dichiarato
perentoriamente
e
con
brusca
chiarezza
Marinetti
,
l
'
antecedente
primo
e
glorioso
della
poesia
futurista
.
Marinetti
giorni
sono
proclamava
:
che
Leonardo
«
è
stato
il
grandissimo
futurista
(
senza
chiusure
stagne
e
con
la
massima
elasticità
espansiva
)
del
suo
tempo
ossessionato
dal
bisogno
quotidiano
d
'
inventare
profondità
psicologiche
di
pitture
macchine
aeree
fortezze
canali
carri
di
assalto
belletti
per
restaurare
il
viso
delle
donne
ecc
.
»
;
che
Leonardo
«
predisse
e
invocò
l
'
attuale
nostra
simultaneità
parolibera
»
;
che
Leonardo
«
è
l
'
avo
meraviglioso
dei
giovanissimi
ventenni
o
venticinquenni
poeti
futuristi
Buccafusca
Pattarozzi
Pennone
Veronesi
Averini
Ganzaroli
Forlin
»
ecc
.
ecc
.
ecc
.
Noi
,
dal
canto
nostro
,
che
cosa
avremmo
da
opporre
?
Una
cosa
sola
,
un
'
osservazione
quanto
mai
modesta
.
Che
,
sì
,
Leonardo
potrebbe
per
tanti
aspetti
e
apparenze
far
pensare
ai
futuristi
.
Solo
che
c
'
è
in
lui
,
oltre
l
'
inquietissima
e
demonica
inventiva
,
una
strapotenza
d
'
ingegno
e
d
'
esperienza
che
proprio
dà
valore
a
quelle
sue
invenzioni
,
e
dà
,
direi
,
una
qualità
rapinosa
.
In
Leonardo
,
noi
troviamo
,
sì
,
frantumi
e
scaglie
;
ma
hanno
una
loro
forza
drammatica
,
portano
i
segni
d
'
una
fatica
.
Nei
futuristi
non
portano
nessun
segno
;
sono
frantumi
e
scaglie
di
nulla
.
E
facciamo
credito
ai
venti
e
venticinque
anni
dei
Buccafusca
Pattarozzi
Pennone
Veronesi
,
che
sono
sempre
una
bella
età
.
Dove
ci
ha
dunque
tirati
Leonardo
,
questo
Leonardo
omo
sanza
lettere
che
Giuseppina
Fumagalli
ha
apprestato
con
sommo
amore
ai
lettori
moderni
!
Nessuna
industria
,
veramente
,
le
è
mancata
,
per
ordinare
questo
libro
,
e
dividerlo
e
suddividerlo
e
annotarlo
.
Se
nelle
note
non
ci
fosse
,
a
volte
,
troppa
industria
,
troppa
sottigliezza
,
non
ci
fossero
certe
estetizzanti
quisquilie
.
Un
esempio
basterà
,
e
dove
a
pagina
settanta
si
cita
a
gloria
la
famosa
interrogazione
alla
luna
:
«
La
luna
densa
e
grave
,
densa
e
grave
come
sta
,
la
luna
?
»
.
Non
so
per
quale
mai
richiamo
la
Fumagalli
ricorda
il
Leopardi
.
Ma
sentite
che
sfumanti
squisitezze
.
«
Incisi
lenti
e
bassi
,
intonati
su
due
sole
vocali
:
e
,
a
,
e
l
'
u
di
luna
echeggiante
al
principio
e
alla
fine
come
nota
lunga
di
flauto
cadente
in
deserta
immensità
»
.
Dice
proprio
così
.
E
dice
che
per
la
«
postura
stessa
delle
parole
»
,
quella
notazione
,
fa
pensare
al
Leopardi
;
io
immagino
al
principio
del
Canto
notturno
.
E
basterà
la
«
postura
delle
parole
»
a
convalidare
l
'
avvicinamento
?
Il
Leopardi
domanda
«
che
fa
»
la
luna
(
«
Che
fai
tu
,
luna
,
in
ciel
?
»
)
;
quale
,
cioè
,
è
lo
scopo
,
la
ragione
ultima
,
della
sua
esistenza
;
a
che
fine
sta
lassù
.
Leonardo
domanda
«
come
sta
»
,
come
sta
sospesa
nello
spazio
,
così
«
densa
e
grave
»
.
È
una
diversa
meraviglia
,
che
dà
diverso
tono
.
Io
insinuerei
,
e
si
prenda
cum
grano
salis
,
un
altro
raffronto
.
Con
gli
un
poco
freddi
,
un
poco
volontari
esperimenti
dei
più
giovani
liricisti
d
'
oggi
.
E
per
aiutare
il
raffronto
trascriverei
così
:
La
luna
densa
e
grave
densa
e
grave
come
sta
la
luna
?
Versi
senza
musica
,
o
con
una
loro
musica
raggelata
,
che
lascia
un
segno
spaziale
,
più
che
non
ne
lasci
uno
nella
memoria
,
a
scaldarsi
,
per
rifiorire
tutte
le
volte
,
com
'
è
della
poesia
grande
,
o
di
quella
particolare
poesia
grande
che
io
chiamerei
poesia
segreta
.
E
siamo
sulla
via
,
partiti
,
come
s
'
è
visto
,
da
un
motivo
polemico
.
E
s
'
intende
che
avremo
lasciato
per
istrada
i
futuristi
.
Scaglie
,
frantumi
,
ho
detto
,
di
un
ingegno
grandissimo
.
Vorrei
dire
di
più
.
Che
di
quelle
scaglie
,
di
quei
frantumi
,
sì
fortemente
collocati
sulla
pagina
bianca
,
a
pigliare
sempre
più
campo
,
noi
possiamo
rifare
la
storia
,
la
drammatica
formazione
,
possiamo
misurare
ciò
che
costano
.
Quando
Leonardo
dice
:
«
L
'
oro
,
vero
figliol
del
sole
»
,
non
fa
,
in
realtà
,
che
risolvere
in
un
lampo
il
suo
sforzo
di
capire
.
E
così
,
quando
dice
:
«
Negromanzia
,
stendardo
over
bandiera
volante
mossa
dal
vento
»
.
E
più
assai
,
quando
dice
:
«
Apare
tingere
il
suo
camino
colla
similitudine
del
suo
colore
»
,
a
cui
abbiamo
tolto
la
prima
riga
dilucidativa
per
servircene
come
d
'
un
titolo
,
ogni
corpo
che
con
velocità
si
move
....
E
avrà
,
in
questo
caso
,
prima
visto
l
'
immagine
folgorante
che
scoperto
una
verità
.
Solo
rarissime
volte
non
bisognerà
nessuna
dimostrazione
,
come
quando
improvvisamente
dice
:
«
Venne
Ercole
ad
aprire
il
mare
nel
Ponente
»
;
sebbene
la
dimostrazione
sia
sottintesa
e
non
paia
,
e
colorisca
e
sostanzi
quella
nozione
geografica
assunta
in
forma
di
mito
.
E
di
meno
assai
abbisognerà
questa
immagine
:
«
Movesi
l
'
aria
come
fiume
e
tira
con
seco
li
nuvoli
»
,
con
quella
facilità
delle
parole
a
specchiare
la
cosa
subito
vista
;
e
vi
aggiungerà
una
dolce
musicalissima
inclinazione
.
Anche
la
materia
verbale
nasce
in
Leonardo
da
una
lunga
fatica
.
Sempre
per
cercare
la
massima
aderenza
con
la
massima
brevità
,
ed
eccitare
l
'
inventiva
.
Pagine
intere
son
piene
di
mucchi
di
parole
,
di
elencazioni
interminabili
che
nella
sua
mente
dovevano
essere
tanti
nuclei
vivi
di
dove
aspettava
di
sprigionarsi
il
suo
parlar
metaforico
.
Così
,
ad
esempio
,
le
definizioni
e
i
vocaboli
sulla
materia
delle
acque
;
e
così
dove
studia
e
determina
le
diverse
qualità
delle
acque
(
«
consumamento
,
percussione
,
ruinamento
,
urtazioni
,
confregazioni
,
ondazioni
,
rigamenti
,
bollimenti
,
ricascamenti
,
ritardamenti
»
,
«
salutifera
,
dannosa
,
solutiva
,
stilla
,
sulfurea
,
salsa
,
sanguigna
,
malinconica
,
frematica
,
collerica
,
rossa
,
gialla
,
verde
,
nera
,
azzurra
,
untuosa
,
grassa
,
magra
»
)
.
Qualcosa
di
simile
si
troverà
più
tardi
nello
Zibaldone
leopardiano
,
e
dico
specialmente
in
quei
lunghi
e
sudati
spogli
linguistici
,
fatti
per
scaltrire
la
penna
,
o
dati
in
consegna
alla
memoria
,
perché
ne
fiorisse
all
'
occasione
un
segno
buono
.
Così
,
anche
,
si
legge
in
margine
ai
più
faticati
Canti
.
Questo
è
il
punto
più
alto
dell
'
arte
e
della
scrittura
di
Leonardo
.
Il
più
difficile
punto
.
Ma
vi
sono
notazioni
,
intuizioni
,
d
'
una
felicità
più
quieta
,
quasi
per
nulla
scontata
.
Sono
le
notazioni
,
le
intuizioni
che
non
vanno
oltre
il
particolare
,
pianamente
risolte
,
di
una
facile
grazia
,
fermate
in
poche
parole
attente
,
come
fossero
un
ricalco
.
«
Rugose
e
globulente
,
come
son
le
more
»
.
«
Quest
'
onde
si
fanno
per
ogni
linia
,
a
similitudine
della
spoglia
de
la
pina
»
.
«
Quelli
che
son
morti
vecchi
hanno
la
pelle
di
color
di
legnio
o
di
castagnia
secca
»
.
(
«
E
tale
tonica
di
vene
fa
nell
'
omo
come
nelli
pomeranci
,
alli
quali
tanto
più
ingrossa
la
scorza
e
diminuisce
la
midolla
quanto
più
si
fanno
vecchi
»
.
O
dove
descrive
gli
alberi
vecchi
,
dove
distingue
le
varie
nature
di
verde
,
e
in
certe
parti
delle
Lettere
sul
gigante
,
e
altrove
.
Una
propagazione
di
questa
forza
d
'
osservazione
puntuale
,
netta
,
sottile
,
un
potenziamento
di
questa
sensibile
facoltà
di
vedere
si
troverà
in
certi
studi
,
studi
di
pittore
che
lasciano
nella
pagina
assai
più
che
una
nota
di
colore
.
Sono
quasi
tutti
raccolti
in
quella
parte
del
libro
che
s
'
intitola
Le
visioni
,
e
più
precisamente
tra
le
«
visioni
naturalistiche
»
.
Ecco
le
verdure
nella
nebbia
;
gli
edilizi
della
città
e
gli
alberi
della
campagna
,
quando
l
'
aria
è
più
grossa
;
il
fioccar
della
neve
,
quand
'
è
più
bianca
e
quand
'
è
più
scura
;
e
l
'
azzurro
che
hanno
i
paesi
,
quando
il
sole
è
a
mezzodì
;
e
l
'
aria
e
il
cielo
e
il
color
delle
cose
,
quando
il
sole
è
in
occidente
;
e
i
prati
con
«
minima
,
anzi
quasi
insensibil
ombra
»
,
dove
l
'
erbe
sono
a
minute
e
sottili
di
foglie
»
;
e
tutto
,
sempre
,
con
«
terminate
ombre
e
lumi
»
.
Ma
la
vista
va
oltre
,
osserva
più
campo
,
cerca
,
vede
,
misura
.
«
Le
cose
vedute
da
lontano
sono
sproporzionate
,
e
questo
nasce
perché
la
parte
più
chiara
manda
all
'
occhio
il
suo
simulacro
con
più
vigoroso
raggio
che
non
fa
la
parte
sua
oscura
»
.
Su
quest
'
osservazione
,
ecco
l
'
improvviso
lampo
:
«
Ed
io
vidi
una
donna
vestita
di
nero
con
panno
bianco
in
testa
,
che
si
mostrava
due
tanti
maggiore
che
la
grossezza
delle
spalle
,
le
quali
erano
vestite
di
nero
»
.
Ma
,
seguente
ad
altra
ricerca
,
ecco
il
dato
realistico
a
dirittura
trasfigurato
,
con
un
movimento
,
uno
sbattimento
che
vien
dall
'
anima
:
«
Pon
mente
per
le
strade
,
sul
far
della
sera
,
i
volti
d
'
omini
e
donne
quando
è
cattivo
tempo
:
quanta
grazia
e
dolcezza
si
vede
in
loro
»
.
Per
altra
via
,
è
un
ricongiungersi
a
quello
che
s
'
è
detto
il
punto
più
alto
di
Leonardo
.
E
non
sono
che
pochi
esempi
di
ciò
che
si
vuoi
dimostrare
.
Tutto
Leonardo
è
in
questa
fatica
di
vedere
oltre
l
'
apparenza
,
o
dar
senso
,
un
vergine
senso
,
alle
apparenze
.
Alle
cose
più
labili
,
luci
,
ombre
,
colori
;
e
alle
cose
più
imprendibili
,
i
fenomeni
della
vita
universa
.
E
anche
nella
sua
fatica
c
'
è
la
luce
e
l
'
ombra
.
Dove
l
'
occhio
vede
e
direi
inventa
(
egli
parla
a
un
certo
luogo
del
disegno
come
invenzione
,
che
«
non
solo
ricerca
le
opere
di
natura
,
ma
infinite
più
che
quelle
che
fa
natura
»
)
;
e
dove
scruta
e
penetra
e
s
'
affanna
e
qualche
volta
si
perde
.
Questa
è
la
fascinosa
lettura
di
Leonardo
.
Egli
è
lo
scrittore
più
difficile
e
insieme
più
facile
.
Se
lo
leggi
intero
,
hai
il
premio
ch
'
egli
stesso
si
meritò
,
scrivendo
e
studiando
;
e
quasi
avverti
dove
si
stacca
a
volo
,
e
con
lui
voli
.
Se
lo
frammenti
troppo
,
lo
frantumi
,
ciò
che
è
vivo
smuore
,
e
non
gli
circola
più
l
'
aria
intorno
.
Giuseppina
Fumagalli
ha
fatto
bene
a
non
frammentarlo
e
frantumarlo
più
di
tanto
;
per
aiutar
la
voglia
del
lettore
,
e
quasi
condurlo
per
mano
agli
impennamenti
.
E
ha
fatto
bene
a
scegliere
altre
pagine
per
disteso
,
quasi
a
dare
la
controprova
della
grandezza
di
Leonardo
,
così
come
noi
crediamo
d
'
averla
spiegata
.
Sono
le
pagine
dove
lo
scrittore
sul
filo
d
'
un
ragionamento
,
in
forma
d
'
argomentazione
,
monta
coi
suoi
lunghi
periodi
,
mai
sazio
di
arricchirli
.
E
non
è
ricchezza
vera
,
ma
lusso
,
facile
lusso
.
O
è
un
esempio
di
prosa
eloquente
,
con
i
saputi
effetti
della
prosa
eloquente
.
Certo
non
è
il
Leonardo
che
noi
amiamo
,
il
Leonardo
poeta
,
il
Leonardo
segreto
.
La
via
per
cercarlo
c
'
è
.
Ma
è
una
via
che
ognuno
bisogna
ripercorra
per
suo
conto
,
da
sé
.
Giuseppina
Fumagalli
dice
ora
che
sta
preparando
una
scelta
di
questa
sua
scelta
,
una
specie
di
antologia
perversa
,
e
che
l
'
intitolerà
I
canti
di
Leonardo
.
È
un
'
idea
che
trent
'
anni
fa
avrebbe
incontrato
favore
.
Oggi
mi
par
tardi
.
Liberare
quelli
ch
'
ella
chiama
«
canti
»
,
è
fatica
vana
;
vuoi
dire
toglier
loro
qualcosa
;
ché
molto
rimarrà
imprigionato
nella
loro
matrice
.
Si
speculerà
allora
,
e
quanto
!
,
sui
frammenti
;
si
tradirà
il
senso
di
quei
frammenti
.
E
si
dimenticherà
ciò
che
in
Leonardo
è
più
bello
,
il
suo
sforzo
di
creare
.
Che
è
il
suo
canto
inespresso
,
il
suo
canto
per
tutto
imminente
.
StampaQuotidiana ,
La
storia
della
fortuna
dell
'
Aminta
è
,
s
'
intende
,
la
storia
delle
scoperte
e
degli
errori
del
lavoro
e
del
pensiero
critico
intorno
all
'
Aminta
,
storia
del
gusto
in
senso
alto
;
e
noi
la
faremo
,
più
specialmente
,
per
gli
ultimi
cinquant
'
anni
.
Da
quando
il
Carducci
,
con
i
suoi
tre
famosi
saggi
(
I
°
L
'
«
Aminta
»
e
la
vecchia
poesia
pastorale
;
2°
Precedenti
dell
'
«
Aminta
»
;
3°
Storia
dell
'
«
Aminta
»
)
,
tutto
cercò
,
a
tutto
badò
,
tranne
che
all
'
arte
dell
'
Aminta
,
alla
sua
formazione
,
anzi
alla
sua
elaborazione
,
fino
agli
ultimi
studi
,
volti
a
considerare
l
'
Aminta
in
sé
,
nel
suo
valore
poetico
,
ma
scissa
quasi
sempre
dalla
sua
vera
ragione
e
condizione
.
E
non
parliamo
dei
tradimenti
operati
dalla
critica
(
se
così
deve
chiamarsi
)
psicologica
e
romanticheggiante
che
,
al
solito
,
contagiò
l
'
esame
di
quella
«
favola
»
,
in
tutto
risolta
e
liberata
,
con
la
sovrapposizione
della
biografia
del
Tasso
.
L
'
arte
del
Tasso
fu
,
per
quella
cosiddetta
critica
,
un
pretesto
per
raccontare
,
complicandole
,
le
vicende
della
sua
vita
,
e
vederne
il
riflesso
,
per
l
'
appunto
,
in
una
delle
sue
opere
che
ne
restò
impeccabilmente
immune
.
I
critici
estetici
,
più
nel
vero
,
non
fecero
che
sviluppare
,
ma
spesso
astrattamente
,
più
con
sottigliezza
che
su
una
fidata
lettura
,
un
giudizio
del
De
Sanctis
,
sia
che
vi
si
accordassero
sia
che
se
ne
scostassero
;
un
giudizio
preparato
e
lavorato
nel
capitolo
,
sul
Tasso
,
della
sua
Storia
della
Letteratura
italiana
,
e
che
ribalena
nel
principio
del
capitolo
sul
Marino
.
«
Questo
mondo
lirico
,
che
nella
Gerusalemme
si
trova
mescolato
con
altri
elementi
,
apparisce
in
tutta
la
sua
purezza
idillica
ed
elegiaca
nell
'
Aminta
.
Ivi
il
Tasso
incontra
il
vero
mondo
del
suo
spirito
e
lo
conduce
a
grande
perfezione
»
.
Il
De
Sanctis
scoperse
questo
mondo
,
«
mescolato
con
altri
elementi
»
,
nella
Gerusalemme
.
Un
cenno
fuggevole
al
Rinaldo
,
un
insufficiente
cenno
alle
Rime
(
«
Delle
sue
rime
sopravvive
qualche
sonetto
e
qualche
canzone
,
effusione
di
anima
tenera
e
idillica
.
Invano
vi
cerco
i
vestigi
di
qualche
seria
passione
.
Repertorio
vecchio
di
concetti
e
di
forme
,
con
i
soliti
raffinamenti
»
,
e
seguitando
:
«
I
sentimenti
umani
sono
petrificati
nell
'
astrazione
di
mille
personificazioni
....
e
nel
gelo
di
dottrine
platoniche
e
di
forme
petrarchesche
»
)
,
rendono
chiaro
che
a
intendere
la
formazione
dell
'
Aminta
,
il
farsi
del
suo
linguaggio
,
era
al
tutto
fuori
strada
;
e
gli
mancava
il
gusto
per
queste
esplorazioni
.
Ma
dopo
?
Il
Carducci
perseguì
,
secondo
il
suo
costume
,
la
storia
(
storia
invero
tutta
esterna
)
della
particolare
forma
(
o
genere
)
di
quella
«
favola
pastorale
,
o
più
largamente
boschereccia
e
campestre
»
,
non
s
'
interessò
al
determinarsi
della
più
personale
forma
e
espressione
:
e
del
resto
mostrava
di
apprezzare
poco
le
Rime
,
e
di
conoscerle
ancora
meno
:
e
gli
sfuggì
il
problema
.
L
'
edizione
delle
Rime
del
Solerti
,
se
pure
incompiuta
e
imperfetta
,
ma
ragguardevole
,
non
decise
gli
studiosi
a
considerarle
altro
che
fuggevolmente
.
Il
Sainati
ne
cavò
una
sorta
di
commentario
perpetuo
,
ricco
di
osservazioni
e
notizie
puntuali
,
e
basta
.
Ma
il
suo
esame
né
lui
né
altri
poi
lo
approfondirono
.
Le
Rime
del
Tasso
rimasero
un
libro
non
letto
;
o
letto
e
frainteso
,
come
nel
caso
del
Donadoni
,
critico
per
eccellenza
impigliato
in
compromessi
psicologistici
,
impigliato
nelle
difficoltà
di
non
saper
risolvere
i
rapporti
tra
biografia
e
poesia
,
poetica
e
poesia
.
E
non
è
a
dire
che
quanti
si
misero
a
cercarle
in
seguito
fossero
trattenuti
dalle
imperfezioni
del
lavoro
del
Solerti
,
dal
suo
apparato
critico
difettoso
,
che
non
arriva
a
fare
storia
,
perché
non
chiarisce
i
tempi
e
i
passaggi
delle
varie
lezioni
,
e
insomma
i
tempi
del
linguaggio
poetico
delle
Rime
(
storia
che
noi
aspettiamo
da
un
giovane
a
ciò
preparato
,
il
Caretti
,
il
quale
darà
per
la
«
Crusca
»
la
novissima
edizione
delle
Rime
)
:
la
loro
attenzione
non
degnava
simili
squisitezze
.
La
ragione
è
invece
un
'
altra
.
Quei
distratti
lettori
,
per
dirla
semplicemente
,
non
s
'
accorsero
,
non
sospettarono
che
da
quelle
Rime
fosse
nata
l
'
Aminta
;
e
che
nasce
proprio
di
lì
il
suo
esprimersi
fuso
corrente
,
la
sua
metrica
,
la
sua
musica
,
anzi
ne
è
essa
,
sotto
questo
triplice
aspetto
,
la
conclusione
e
l
'
arricchimento
.
Mettiamoci
pure
l
'
influenza
di
quei
tanti
poeti
latini
e
cinquecentisti
che
scrissero
favole
pastorali
,
o
boscherecce
e
campestri
,
e
idilli
e
egloghe
;
e
mettiamoci
,
ancora
più
,
gli
elegiaci
latini
,
come
vide
il
Foscolo
.
Se
di
qui
viene
un
particolare
tono
e
impasto
,
e
un
'
inventività
melica
(
ben
altro
,
dunque
,
che
lo
studio
d
'
una
forma
e
d
'
un
genere
)
,
il
farsi
e
graduarsi
di
quel
tono
o
impasto
,
di
quella
inventività
melica
,
è
da
ricercare
appunto
nelle
Rime
del
Tasso
che
precedono
l
'
Aminta
(
ben
altro
,
dunque
,
che
«
portento
»
,
come
parve
al
Carducci
)
.
Ma
bisogna
distinguere
tra
rime
e
rime
.
Io
direi
che
l
'
avvio
alla
felicità
espressiva
dell
'
Aminta
,
nei
suoi
momenti
più
alti
,
è
da
ricercare
nei
madrigali
,
nello
stile
madrigalesco
;
la
durata
della
favola
,
nella
somma
delle
rime
nei
più
diversi
timbri
.
Il
Tasso
,
come
tutti
i
lirici
del
'500
,
pagò
prima
il
suo
tributo
al
bembismo
,
specie
nei
sonetti
,
in
quei
sonetti
di
una
tecnica
sempre
un
poco
«
scostata
»
,
che
ora
riflette
come
in
un
indifferente
specchio
l
'
autobiografismo
irrisolto
e
l
'
aggrava
,
ora
raggela
la
ineguale
lirica
occasionale
.
Per
questa
via
non
s
'
arriva
al
parlato
dell
'
Aminta
,
né
s
'
arriva
alle
risoluzioni
ariose
di
quel
parlato
,
né
,
tanto
meno
,
s
'
arriva
agl
'
intermedii
e
ai
cori
.
Ma
i
madrigali
sono
il
superamento
del
bembismo
(
crisi
per
saturazione
)
,
sebbene
di
pura
tecnica
,
e
perciò
stesso
affinamento
non
superamento
,
e
sostituiscono
al
rallentato
dei
sonetti
un
leggerissimo
fugato
,
con
un
gioco
di
esili
ritmi
e
un
contrappunto
labile
(
riscattano
però
anche
il
dato
biografico
in
fantasia
,
consumano
e
riconsumano
quel
dato
biografico
)
.
Ora
,
certe
parti
dell
'
Aminta
,
stando
tra
questi
due
opposti
modi
(
o
dizioni
)
,
e
rappresentandone
il
potente
accordo
,
sostengono
la
recitazione
dei
sonetti
con
un
accento
più
caldo
e
sciolto
,
il
fugato
dei
madrigali
con
un
respiro
poetico
.
Così
il
sofferto
si
cela
dietro
le
figure
e
i
miti
,
quasi
con
un
vivo
colore
di
perla
;
la
tecnica
,
né
tesa
né
sottesa
,
ha
una
sua
rozzezza
limpida
e
elegante
.
Fu
detto
che
l
'
Aminta
è
tutto
un
madrigale
;
io
direi
che
è
il
presentimento
della
favolosa
e
felice
opera
in
musica
settecentesca
e
,
come
in
essa
,
la
stessa
sensualità
è
felice
,
e
la
malinconia
è
felice
,
tutto
ombra
felice
.
Ma
c
'
è
un
'
altra
qualità
intrinseca
che
l
'
avvicina
alla
nominata
opera
in
musica
(
e
si
pensi
alla
musica
più
che
alle
parole
)
:
quello
sciogliersi
del
recitativo
e
del
parlato
in
canto
,
quel
salire
gradatamente
di
tono
fino
al
canto
.
Già
il
recitativo
,
il
parlato
,
porta
sempre
nell
'
Aminta
un
'
aria
di
canto
,
non
è
mai
prosastico
;
ed
è
quella
motivazione
del
recitativo
a
colorire
il
canto
,
direi
ad
appassionarlo
.
Uno
stile
madrigalesco
,
ma
nutrito
,
inebriato
.
Il
De
Sanctis
disse
che
l
'
interesse
dell
'
Aminta
«
è
tutto
nella
narrazione
,
sviluppata
liricamente
»
.
Avvicinate
i
due
termini
,
narrazione
,
lirica
,
e
dite
piuttosto
che
,
più
che
narrare
e
rinarrare
,
nell
'
Aminta
si
modula
e
rimodula
,
con
una
dolce
sazietà
.
Di
atto
in
atto
,
certi
temi
sono
riproposti
con
una
sempre
maggiore
affettuosità
d
'
intonazione
,
si
riprovano
in
tutta
la
loro
capacità
emotiva
.
Cosicché
se
le
parti
narrative
generano
ognuna
modi
più
liberi
e
sciolti
,
nella
stessa
logica
degli
atti
,
e
della
favola
intera
,
accadono
queste
fortunate
risollevazioni
.
A
posta
forse
il
Tasso
cominciò
l
'
Aminta
con
un
«
prologo
»
,
e
la
compì
con
un
«
epilogo
»
,
come
in
due
direzioni
distanti
e
congiunte
,
due
segni
,
due
simboli
;
quello
in
tutti
endecasillabi
,
questo
in
strofe
liriche
.
E
secondo
la
stessa
logica
finì
gli
atti
con
i
cori
e
gli
intermedii
,
cioè
con
strofe
liriche
.
Questi
cori
,
questi
intermedii
,
e
più
le
parti
liriche
portate
in
cima
dal
parlato
,
sono
il
fiore
della
poesia
tassesca
.
Nascono
insieme
da
ispirazione
e
da
un
mestiere
stragrande
.
Varrebbe
la
pena
farne
la
storia
.
Una
,
tutta
presente
,
toccante
,
e
vi
abbiamo
accennato
parlando
di
quello
stile
madrigalesco
motivato
dal
recitativo
,
un
'
altra
,
più
lontana
,
più
lunga
,
e
bisognerebbe
,
per
illustrarla
,
risalire
alle
Rime
e
alla
loro
formazione
lentissima
.
Per
far
questo
,
s
'
aspetta
che
il
Caretti
ci
abbia
dato
il
suo
studio
delle
lezioni
varianti
.