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> categoria_s:"StampaQuotidiana" > autore_s:"MONTANELLI INDRO" > anno_i:[1910 TO 1940}
FUOCHI SUL TIGRAI ( MONTANELLI INDRO , 1935 )
StampaQuotidiana ,
Il Tigrai è di una bellezza senza sorriso , incurante di se stessa e insensibile all ' elogio . Non si aderge e non si avvalla , nonostante le forre che lo solcano e le ambe che lo increspano : sta . Altri paesaggi di questa terra d ' Africa son mobili e vari , trasmutano di colore , si abbigliano con cangevole fantasia all ' alba e al tramonto , mutano secondo la prospettiva , civettano con chi guarda , cercano di sedurre con infingimenti da femmina . Ma il Tigrai taciturno supino sotto un cielo di cobalto , sembra aver dimenticato per sempre , o forse sempre ignorato , la chimica complicata del belletto . Né torvo né accogliente , ci si è parato davanti dopo la valle dell ' Hasamò bella e micidiale come il canto di una sirena : immenso scenario di pietra , refrattario all ' orpello e immemore dell ' avventura umana che nel suo sfondo si svolgeva . Re senza corona , ras Seium ha abbandonato il suo regno . Ma il suo ringhio feroce giunge ancora d ’ oltre i torrioni segmentati di monte Raio , dove andremo a scovarlo dopo la sosta . Le sue orde lo abbandonano : i fitaurari , i barambaràs , i barciai gli sfuggono di mano , si sottraggono all ' ipnosi di questo Marte etiope , temuto e odiato . Giusto ieri il Deggiaz Ghezzesillassi si presentò al campo del Ventesimo con la sua banda armata a far atto di omaggio al giusto e potente Governo italiano e al Signore bianco che lo rappresenta . Egli ci disse che Seium si ritirava e , pur ritirandosi si faceva sempre più torvo e solitario . " Tigre dell ' altopiano , " lo chiamano i Tigrini ; e , pur ora che la sua signoria volge al tramonto e le diserzioni gli fanno il vuoto attorno , il suo prestigio non crolla . Se ne paventa il ritorno che si lascerebbe dietro una scia lunga di stragi e incendi : se ne auspica la fine , come il risveglio da un incubo angoscioso . Intanto su questo Tigrai che , al primo entrarvi , trovammo deserto di uomini e di bestiami , rinascono come per incanto greggi e mandrie . Il Tigrino leva la testa al cielo e benedice la misericordia di Dio discesa in terra sotto le spoglie del Governo Italiano , che lascia , nonostante la guerra , intatti i campi e il bestiame . " Sono suddito del Governo , " disse un pastore a un ascari che tentava di rapirgli un capretto e si aderse minaccioso , fissandomi , ad attendere che Goitana sanzionasse con una parola o con un gesto . " Civis italicus sum . " So di qualche stregone che a donne e uomini di tribù confinanti , atterriti dal cupo brontolio del cannone , ha suggerito quella formula , pur debitamente tradotta in suo linguaggio , come antidoto di ogni possibile catastrofe . Solo il nuovo ascari non è convinto , guarda con malinconia . Si è arruolato per la guerra , con l ' idea della guerra : un ' idea che non ha niente che fare con questa realtà . Guerra implica morte o razzia . Qui , dietro al nemico che fugge , pascola il bestiame fra l ' erbe grasse , e nei tukul , a sera , cuoce la burgutta : tutto è come prima . Una guerra questa ? C ' è perfino l ' obbligo di camminare lungo i sentieri per non pestare il taf e la dura : è veramente misterioso questo Signore bianco venuto dall ' Italia con i suoi stormi d ' aeroplani , con le sue mitragliatrici crepitanti , con quelli strani cosi che somigliano a automobili , ma che salgono su ogni picco , discendono in qualsiasi fosso e spargono attorno morte e terrore . Potrebbe bruciare , saccheggiare , sterminare , e invece costruisce , protegge , bonifica . Bella pel nuovo ascari sarebbe la razzia secondo la vecchia consuetudine di guerra : precipitare , urlando , a valle e appiccar fuoco ai tukul e rubare femmine , talleri , buoi e poi , a sera , le folli fantasie attorno ai bracieri inceneriti , i lunghi cori della vittoria , la spartizione complicata del bottino sotto il controllo severo e imparziale di Goitana e il carnevaleggiare per tutta la notte nei manti rossi o sui drappi tolti al nemico , con gli spari a salve e le daghe arcobalenanti in aria . " Come allora " dice Teremmà Uorchè ch ' è stato a Adua . Invece , l ' hanno messo a far strade . Il nuovo ascari odia il lavoro in genere perché lo ritiene incompatibile con la dignità del soldato , e il lavoro di strada in specie perché toglie ogni fantasia al suo nomadismo . Seguir una strada significa accettare la logica di un altro . È un ' abdicazione troppo grave . All ' ascari che marcia piace inventarla la strada : non avere davanti a sé che il cavallo di Goitana e poi ricamar secondo capriccio , galoppando a traiettoria perpendicolare lungo la roccia , procedere o attardarsi lungo la petraia del torrente . Questo Signore bianco è veramente incomprensibile : in guerra lascia il fucile per la vanga e non si dà pace finché non si vede davanti e di dietro un rivolo di pietre bianche e di terra battuta . S ' è sparsa la notizia e da principio non ci volevan credere che in dieci giorni i nazionali che operano alla nostra destra hanno costruito la strada dal confine ad Adua : quaranta chilometri in dieci giorni , quaranta chilometri di Tigrai ! Il Tigrai soltanto sembra insensibile a questo miracolo . Gli indigeni , disorientati come formiche non riconoscono il loro sentiero , vanno , vengono , s ' inchinano ogni giorno più a terra , mescolano tutte queste cose incomprensibili con l ' idea di Dio e sigillano la loro incapacità a comprendere con un pio segno della Croce . Ma il Tigrai non se ne accorge . Di miracoli non crede che a quelli celesti e forse nemmeno a questi . La sua immobilità è già di per se stessa un miracolo , con quel che di eterno essa spira . Ha sentito penetrargli nel fianco la punta aguzza del piccone italiano che , implacabile e monotono , lo martella dall ' alba al tramonto , ma non se ne fa . Pensa che i picconi si smussano , che i muscoli s ' afflosciano , che i nervi si logorano . Forse pensa che noi non si potrà nulla contro questa sua granitica maestà . O Italia , che meraviglioso lavoro di civiltà Dio ti ha assegnato quaggiù ! Tigrai ! A me questo accigliato gigante di pietra dà una sensazione complessa , mescolata , come quando , piccino , m ' avvicinavo agli elefanti del Circo equestre , forte della mia fragilità , e chiedevo che mi issassero sul groppone . Qui , in questa petraia angusta di Alissàt Atri , me lo vedo tutto disteso con le sue scalinate digradanti a rilento e i suoi picchi improvvisi , come isolotti emersi da un mare di nebbia . Ma più bello è di notte , quando si veglia ai margini del bivacco e tutto s ' accende di fuochi che lo punteggiano , come fossero gli occhi fosforescenti di un immenso mostro silenzioso . Han ragione gli ascari che nei loro canti se lo rappresentano come l ' ultimo epigono di una razza di giganti partoriti direttamente dalla terra che li concepì in un amplesso smisurato col cielo e gli dànno voce e sensi e aspirazioni umane . È vivo , infatti , il Tigrai , anche se sono spenti i crateri dei suoi enormi vulcani . E credo anch ' io a quel che si dice : che , sotto la pelle dura , fluisca un sangue ricco di ferro che ogni tanto spumeggia anche , se si incrosta alla superficie . Il pensiero di quel sangue , a me Italiano , dà le vertigini . E qualcuno già sorride al sogno della ricchezza che ne prenderà domani .