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MORTE DELL'UOMO? ( Abbagnano Nicola , 1967 )
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Un giorno , forse prossimamente , l ' uomo sarà distrutto . Dalla bomba atomica ? No . Da qualche virus misterioso , dall ' inquinamento dell ' acqua o dell ' aria ? No . Dagli abitanti di qualche altro pianeta cui i nostri astronauti avranno pestato la coda ? Neppure . Sarà distrutto dal linguaggio . Questo è l ' oracolo sconcertante che il più recente ( ma non certo ultimo ) dei profeti che spuntano di tanto in tanto nel campo della filosofia ci ha annunziato . È il francese Michel Foucault , nel libro Le parole e le cose , Archeologia delle scienze umane , uscito nel 1966 e tradotto nel 1967 dall ' Editore Rizzoli di Milano . La tesi fondamentale del libro è che l ' uomo è un ' invenzione recente : un ' invenzione , si badi , non una scoperta . Un ' invenzione che è stata resa possibile , ai principi del secolo XIX , dal venir meno del concetto di linguaggio sul quale il pensiero classico era imperniato . Secondo questo concetto , il linguaggio non è che la rappresentazione delle cose . Le cose hanno un ordine fisso , necessario , immutabile ; quest ' ordine si riflette nel pensiero dell ' uomo , che perciò non è altro che la rappresentazione di quell ' ordine ed è espresso dal discorso . Il discorso , quindi anche il pensiero , è la trasparenza , l ' evidenza , la manifestazione o rappresentazione dell ' ordine delle cose . L ' uomo , in questa situazione , non ha nessuno spessore , nessuna opacità , non fa che lasciar trasparire le cose come sono , non fa che rappresentarle . Trova posto , indubbiamente , nell ' ordine totale ed ha una funzione definita in quest ' ordine , e così per esempio lo si caratterizza come « bipede implume » o « animale ragionevole » . Ma non ha funzione predominante ; non è l ' oggetto più difficile a conoscersi ( come ora crediamo ) , non è il soggetto sovrano di ogni conoscenza possibile ( come credono i filosofi ) : è semplicemente discorso cioè quadro esatto delle cose : raccolta delle verità , descrizione della natura , corpo di conoscenze , dizionario enciclopedico . Non era possibile in questa condizione , afferma Foucault , che « Si ergesse , al limite del mondo , la strana statura di un essere la cui natura ( quella che lo determina , lo ha in potere e lo traversa dal fondo dei tempi ) sarebbe di conoscere la natura e quindi se stesso in quanto essere naturale » . L ' uomo come tale è stato inventato quando è stato ritenuto non più trasparente alla realtà delle cose , quadro o specchio di esse , ma opaco , resistente , impenetrabile : cioè quando fu ritenuto finito , limitato nelle sue capacità , e su questa finitudine si impiantò l ' intero universo del sapere . L ' uomo è l ' individuo che vive , parla e lavora secondo le leggi della biologia , della filologia e dell ' economia ; e in queste leggi trova i limiti e le possibilità positive della sua azione . Ma è nello stesso tempo capace di conoscere queste leggi , di portarle alla luce e di costruire così quelle « scienze umane » che erano sconosciute al pensiero classico . Queste scienze sono sorte dunque sullo sfondo della finitudine dell ' uomo : quando l ' uomo si è riconosciuto imprigionato , senza liberazione possibile , nel suo corpo , nel suo linguaggio , nei suoi bisogni . Da questo riconoscimento sono nate le conquiste positive delle scienze umane : ma è nato pure l ' enigma dell ' uomo , l ' enigma insolubile . L ' uomo non si identifica con la vita , che continuamente gli sfugge e gli prescrive la morte . Non si identifica con il suo lavoro che gli sfugge non solo quando è già finito , ma spesso quando non è ancora iniziato . Non si identifica con il linguaggio che trova già dato e articolato nelle sue leggi prima di sé . L ' uomo è l ' impensato o piuttosto l ' impensabile . Appena nato , è maturo per scomparire . « L ' uomo è una corda tesa tra le bestie e il super - uomo , una corda sull ' abisso » , aveva detto Nietzsche . E il pensiero che l ' uomo non abbia una natura determinata che si tratti solo di scoprire e che , una volta scoperta , lo illumini su tutto ciò che può essere e fare domina la cultura contemporanea e l ' avvia verso le più disparate forme di indagine . L ' opera di Foucault è sostanzialmente una ripresentazione eloquente di questa tesi ; ma è , in più , l ' annuncio profetico dì un ' epoca nuova in cui l ' uomo non ci sarà e ci sarà invece ... che cosa ? Non si sa nulla . Come ogni profeta , Foucault adopera un linguaggio suggestivo e oscuro e si serve di allusioni più che di concetti . La bella chiarezza « cartesiana » ( ma che in realtà risale a Montaigne ) che è stata per tanto tempo il privilegio della filosofia francese la si cercherebbe invano nella sua opera . Le sue prove storiche sono desunte di preferenza non da filosofi , ma da letterati , scienziati , economisti e poeti . Foucault dichiara che solo quelli che non sanno leggere si meraviglieranno , che ha appreso a porsi le domande decisive da Cuvier , da Bopp , da Ricardo più che da Kant o da Hegel . Tuttavia , la fonte principale del suo pensiero è l ' ultimo Heidegger , che egli non cita neppure in un punto . Qual è infatti , per lui , il segno indiscutibile della prossima fine dell ' uomo ? La concezione del linguaggio come manifestazione dell ' essere . Il linguaggio non è lo strumento che l ' uomo ha creato per orientarsi tra le cose , dominarle e servirsene , per comunicare con gli altri uomini ed esprimere se stesso . È una creazione dell ' Essere . Ma che cos ' è l ' Essere ? È Dio ? È il Mondo ? È qualcosa di mezzo tra Dio e il Mondo , un Assoluto , una Natura infinita ? Heidegger si rifiuta di rispondere a queste domande ; e così fa Foucault . Se si domanda : chi parla ? , la risposta di Heidegger e di Foucault è ancora la stessa : è la Parola che parla , è il linguaggio che pone o crea il suo essere . In parole povere , un certo nonsoché crea un altro nonsoché , che è la stessa cosa oppure una cosa diversa , in qualche modo o forma che è a sua volta un nonsoché . Non si può dire che questi profeti si compromettano troppo . Si compromettono invece nel porre un crudo dilemma : o esiste l ' uomo o esiste il linguaggio . Se esiste l ' uomo , è l ' uomo che dispone se stesso e in qualche misura forgia o modifica il suo destino , costruisce la sua storia , facendo faticosamente le sue scelte e subendo la responsabilità dei suoi errori . Se esiste il linguaggio , è l ' essere del linguaggio che fa tutto e l ' uomo non fa nulla perché non esiste . Fra i due corni del dilemma , Foucault ( come Heidegger ) non esita . Il linguaggio sta ammazzando l ' uomo perché sta tornando alla sua unità , ritirandosi dalla frammentarietà in cui l ' invenzione dell ' uomo l ' aveva ridotto . L ' uomo « ha composto la propria figura fra gli interstizi di un linguaggio frantumato » . Ricomparso il linguaggio « l ' uomo tornerà all ' inesistenza serena in cui l ' unità imperiosa del discorso l ' aveva un tempo trattenuto » . E che cosa farà nel frattempo questa figura provvisoria , questa parvenza grottesca che ancora combatte senza sapere che è morto ? Non farà rigorosamente nulla . Lascerà ( come dice Heidegger ) che l ' Essere sia , si abbandonerà alle cose e agli eventi con tranquilla rassegnazione , in attesa . O , in parole povere , lascerà che accada quel che deve accadere : que serà serà . Foucault si domanda se non si deve presagire la nascita o la prima aurora di un giorno in cui il pensiero , che parla da millenni senza sapere quel che significa parlare e senza accorgersi di parlare , « si ricupererà nella sua integrità e acquisterà nuova luce nel fulgore dell ' essere » . Ma dichiara di non saper rispondere a questa domanda e di non . saper neppure se troverà un giorno ragioni per determinarsi a rispondere . Per ora , trova confortante pensare che l ' uomo è solo un ' invenzione recente , una figura che non ha nemmeno due secoli , una semplice piega del nostro sapere e che sparirà quando questo sapere avrà trovato una nuova forma . Ma altri forse troveranno più confortante pensare che l ' uomo , nonostante tutti i cambiamenti di un sapere che rimane suo cioè umano , potrà sopravvivere , proprio in virtù di questo sapere , nella sua libertà e dignità , nella sua solidarietà con gli altri uomini e nella sua capacità di comprendere e di amare .
CRISI DELL'EDUCAZIONE LIBERALE ( Abbagnano Nicola , 1964 )
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Se si domanda perché il sistema educativo vigente in Italia è comunemente giudicato insoddisfacente , la risposta è semplice : esso non risponde o risponde solo parzialmente e imperfettamente alle esigenze della società contemporanea . Le attitudini cui esso fa appello e che tende a sviluppare non sono quelle che mettono l ' individuo in grado di assolvere i suoi compiti nella vita sociale e di ottenere il successo ; l ' informazione generica e disordinata che esso fornisce , la cosiddetta « cultura generale » , non serve a dare all ' individuo il possesso di quel patrimonio limitato ma preciso di nozioni che lo rendono padrone della funzione che sarà chiamato a esercitare . Considerato nella sua impostazione generale , con l ' eccezione di alcune sue parti , il sistema educativo vigente si dimostra inadeguato rispetto allo scopo che ogni sistema educativo deve proporsi : quello di rendere gli individui adatti ad inserirsi in modo attivo ed efficace nel corpo sociale cui appartengono . La mancanza di un serio impegno di lavoro in tutti i partecipanti del sistema , siano essi docenti o discenti mancanza che viene spesso ascritta a cattiva volontà o a disprezzo per i valori culturali è probabilmente dovuta al senso di inutilità che accompagna un lavoro che non risponde al suo scopo , cioè che non apre agli individui la possibilità di una riuscita felice nella vita che li attende . Eppure il nostro sistema educativo ( come quello di altri popoli occidentali ) è l ' erede ultimo , per quanto degenere , di una tradizione nobilissima . L l ' erede della tradizione liberale dell ' educazione , della paideia greca , dell ' ideale educativo che gli antichi ritennero proprio degli uomini liberi e che il Cristianesimo medievale , il Rinascimento , l ' Illuminismo e il mondo moderno hanno esaltato e fatto proprio . Secondo questo ideale ( la cui presenza nel mondo greco è stata illustrata da Werner Jaeger nella sua monumentale Paideia ) , esiste una forma o natura perfetta dell ' uomo e l ' educazione deve realizzarla in tutti gli individui che ne sono capaci . L ' educazione è la formazione del singolo , la maturazione dell ' individuo , il raggiungimento di una forma compiuta ; ' è simile allo sviluppo di una pianta e di un organismo , è una « georgica dell ' anima » , secondo l ' efficace espressione di Francesco Bacone . Fa parte integrante di questo concetto la credenza nella fondamentale uniformità delle attitudini o delle disposizioni umane ; la credenza in un unico tipo di intelligenza , ritenuto adatto , una volta formato , ad affrontare tutti i problemi e le situazioni e a dirigere qualsiasi specie di lavoro o di attività umana . L ' educazione liberale tende perciò a formare l ' uomo come tale , l ' uomo nella totalità e maturità dei suoi poteri , nella sua essenza indipendente da ogni situazione specifica e da ogni compito particolare . Una formazione professionale o specifica , l ' addestramento a compiti particolari , la scoperta e lo sviluppo di attitudini specializzate , cadono fuori di questa educazione o sono ritenuti aspetti subordinati o accidentali di essa . Ciò che è importante è formare l ' uomo : una volta formatolo , ogni capacità particolare si sviluppa da sé . Un ' intelligenza diventata matura è pronta a qualsiasi funzione : questa maturità può dunque raggiungersi indipendentemente dalla diversità delle funzioni e anteriormente ad ogni applicazione a qualcuna di esse . Questo ideale educativo , che è forse la maggiore eredità del mondo classico , ha dominato il pensiero filosofico e pedagogico del secolo scorso ed è stato condiviso ugualmente da positivisti e idealisti , empiristi e razionalisti . Esso ha inoltre permeato di sé le istituzioni educative del mondo occidentale , dominando incontrastato fino ad alcuni decenni fa . Ma se si confronta questo ideale con le richieste che la società contemporanea pone all ' educazione , il contrasto appare lampante . Ad una fase sufficientemente avanzata dello sviluppo tecnico - industriale , la società esige che ogni individuo sia rapidamente addestrato al compito specifico che lo attende . Questa società non ha bisogno di « uomini » senz ' altra qualifica , ma di operai specializzati , di tecnici , di ingegneri , di ragionieri , di dirigenti d ' azienda ; nonché di avvocati , di giudici , di amministratori , di medici , di insegnanti e di innumerevoli altre categorie di persone , ognuna a sua volta divisa in numerose specificazioni . Essa non sa che farsene di un ' intelligenza buona a tutto , ma che in realtà è disarmata nei confronti di situazioni specifiche per le quali non abbia apposito addestramento , non sa che farsene di una « cultura generale » , lunga e difficile ad acquistarsi , ma difficilmente spendibile negli spiccioli delle informazioni occorrenti ai lavori specifici . Esige invece che i talenti o le disposizioni individuali siano messi in luce e sviluppati rapidamente con tecniche adatte di addestramento ; che ogni individuo sia istradato , appena possibile , verso quella specie di addestramento cui il suo talento l ' indirizza e che il suo bagaglio di informazioni sia rigorosamente limitato a questo scopo . Pertanto solo l ' individuo unilateralmente orientato , cioè attrezzato in un campo ristretto e specifico e tetragono ad ogni distrazione da questo campo , ha probabilità di successo nella società contemporanea . Questa certo non ignora che un certo quantum di umanità o di qualità umane è indissolubilmente connesso con le abilità che essa richiede ; ma non fa calcolo su questa umanità o la considera solo allo scopo di ottenere il rendimento massimo delle abilità di cui ha bisogno . Il rendimento nel lavoro è difatti l ' unica cosa cui una società tecnicamente organizzata ( qualunque sia il suo assetto politico - sociale ) è intrinsecamente o costituzionalmente interessata , perché è la condizione prima del suo funzionamento . In queste condizioni , la credenza nell ' unità dell ' intelligenza in tutti gli uomini tende a sparire o a divenire inoperante . Le parole famose che si trovano all ' inizio del Discorso del metodo di Cartesio , « Il buon senso o la ragione è naturalmente uguale in tutti gli uomini » , che già nel campo della filosofia avevano suscitato dubbi e contrasti , non trovano risonanza in un mondo tecnicamente organizzato . Certamente , nessuno dubita che l ' intelligenza sia la natura propria dell ' uomo e tutti rendono omaggio all ' antica e venerabile definizione dell ' uomo come animal rationale . Ma da un pezzo molti filosofi sanno che la cosiddetta intelligenza non è che la capacità di prevedere e progettare e che questa capacità assume , nei diversi individui , forme diverse , talora eterogenee , talora addirittura incompatibili l ' una con l ' altra . Ora proprio su questa diversità fa leva la struttura tecnologica della società contemporanea . Nello stesso dominio della scienza , la figura dello « scienziato » che con le sue « intuizioni » avvia la ricerca a nuovi indirizzi o scoperte non è sparita dalla realtà ma non rientra nel calcolo del progresso scientifico . Tale progresso fa calcolo oggi soltanto su una massa anonima e composita di « ricercatori » che spingono le loro indagini nel maggior numero di direzioni possibili in ogni campo specifico : sicché la scoperta o l ' innovazione insorga come un risultato statistico dal grande numero delle ricerche , più che dall ' intuizione geniale di un solo scienziato . Ed è chiaro che quando una tale situazione si realizzasse di fatto completamente , un premio , come il Nobel , che ora viene assegnato al merito della scoperta , assumerebbe lo stesso significato di quello offerto al biglietto vincente di una lotteria . L prevedibile che la crisi dell ' educazione liberale si concluderà con la fine dell ' educazione liberale . Se una società tecnicamente organizzata deve sopravvivere - e deve sopravvivere se deve sopravvivere la parte maggiore dell ' umanità - le esigenze che essa pone all ' educazione dovranno essere accolte e i sistemi educativi dovranno incardinarsi su di esse , abbandonando l ' antico ideale liberale . f prevedibile che , più o meno rapidamente , i sistemi educativi del nostro paese e dei paesi occidentali , e via via quelli degli altri paesi del inondo , si evolveranno nel senso di tali esigenze . Ma con quest ' evoluzione rischieranno di andare perduti i valori fondamentali cui mirava l ' ideale liberale dell ' educazione : l ' armonia o l ' equilibrio della personalità , lo spirito di critica e di libertà , la ricerca disinteressata , l ' agonismo sportivo , la comunicazione e la comprensione tra gli uomini . Un ragioniere o un tecnico che non abbia altri interessi fuori del suo lavoro e che per tutto il resto segua la routine offertagli dall ' ambiente che lo circonda , è , dal punto di vista umano , una specie di mostruosità : perché è incapace di entrare in colloquio con se stesso e con gli altri . Ci saranno sempre , certo , la letteratura e l ' arte , la religione o la filosofia come correttivi possibili di questo isolamento . Ma chi può garantire che queste cose non si riducano a riti formalistici , a suppellettili di lusso o a sterili passatempi , quando non facciano appello a interessi debitamente coltivati ? Il rimpianto del passato , l ' ignoranza e il misconoscimento del presente e dei suoi bisogni , le lamentele inconcludenti sono povere scappatoie di fronte a questo problema . Né fa avanzare di un passo verso la soluzione di esso l ' esaltazione dei valori che si presumono in pericolo . Forse l ' avviamento ad una soluzione si può ottenere soltanto , dopo una franca e serena accettazione della situazione contemporanea , proponendosi le seguenti domande : Possono i valori umani rientrare nelle condizioni di sopravvivenza della stessa struttura tecnologica della società moderna ? E se è così , in quali aspetti di questa struttura debbono inserirsi o conservarsi e quali forme devono assumere a questo scopo ? Una risposta spregiudicata a tali domande può essere solo frutto di indagini lunghe e difficili ; ma , se una risposta c ' è , forse ( si tratta però di una speranza più che di una previsione ) l ' educazione liberale potrà risorgere dalle sue ceneri .
LA FELICITÀ ( Abbagnano Nicola , 1964 )
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Due sono le ragioni che hanno convinto i filosofi moderni a schierarsi contro la felicità e a negare che essa sia la base della vita morale . La prima è che la felicità è uno stato praticamente irraggiungibile della condizione umana : è lo stato di un uomo al quale tutte le cose vanno bene , nel senso che le circostanze gli consentono l ' appagamento di tutti i bisogni e le aspirazioni . Ora all ' uomo manca il controllo di tutte le circostanze in cui viene a trovarsi : niente perciò gli garantisce o gli può garantire che i suoi bisogni e le sue aspirazioni siano tutte completamente appagate . La felicità è dunque un ideale chimerico . La seconda è che la felicità non può essere considerata come il fine della vita morale dell ' uomo : perché la moralità consiste nel compimento del dovere e il dovere non può essere subordinato ad alcun fine ulteriore ma è fine a se stesso . Un ' azione può dirsi morale unicamente se non solo è conforme al dovere , ma è fatta soltanto per rispetto al dovere : sicché , come non può dirsi morale chi agisce bene per il timore di una pena e per la speranza di un vantaggio , così non può dirsi morale chi agisce in vista della felicità . Il compimento del dovere viene a porsi , da questo punto di vista , su un piano totalmente diverso da quello della felicità : sul piano di una virtù austera , che non concede nulla all ' inclinazione naturale ed è in lotta contro tutte le inclinazioni , compresa quella che le riassume e comprende tutte , l ' inclinazione alla felicità . Queste ragioni , che furono presentate in tutta la loro forza da Kant alla fine del secolo XVIII , sono state e sono generalmente accettate dai filosofi , salvo poche eccezioni . Le eccezioni sono rappresentate da alcune sopravvivenze dell ' etica utilitaristica inglese , che riconosce il fondamento della morale nella ricerca della felicità del massimo numero possibile di persone ( secondo la formula del nostro Beccaria ) , e dagli scritti morali di Russell che si ispirano sostanzialmente allo stesso indirizzo e che sono riusciti ( come Russell stesso dice ) fortemente « impopolari » ma più tra i filosofi che tra il pubblico . In realtà i filosofi si vergognano oggi di parlare della felicità e ne ignorano perfino il concetto . La rigettano , forse , nel limbo dei sogni di ogni Giulietta che cerca il suo Romeo o di ogni Romeo che cerca la sua Giulietta ; e preferiscono parlare di « valori » o di « beni » come cose indipendenti dal desiderio umano ( troppo umano ) della felicità . Eppure proprio su questo desiderio gli antichi impiantavano l ' intera morale e solo discutevano se la felicità consistesse nel piacere o nella virtù . Né assumevano altra base dell ' etica i filosofi medievali , quelli del Rinascimento e gli Illuministi . E sembra difficile contestare ciò che tutti questi filosofi ritenevano ovvio ; cioè che la felicità è la molla abituale e costante del comportamento dell ' uomo . Un vasto materiale di prova in appoggio di questa tesi ci è offerto dall ' antropologia , dalla psicologia e dalla psichiatria contemporanee : un materiale di prova che getta una luce vivissima sugli stati opposti o negativi della felicità cioè sugli stati di insoddisfazione , di frustrazione , di inibizione , di repressione , che minano la personalità umana e la portano a crisi , a squilibri o alla totale catastrofe . La presenza o l ' insorgenza di questi stati nelle varie forme della follia , della nevrosi , e in qualsiasi tara , squilibrio , o imperfezione della personalità umana , con la paralisi totale o parziale , che essi implicano , delle attività produttive dell ' uomo e della sua capacità d ' inserirsi nel complesso della vita sociale , è un fatto che prova negativamente l ' importanza che un certo grado di « felicità » , cioè di soddisfazione o di appagamento consapevole , ha per il singolo uomo e per la vita associata . Un appagamento totale , una soddisfazione stabile , completa e garantita di tutti i bisogni e le esigenze dell ' uomo , è certamente fuori questione : la felicità « perfetta » o 1'« ideale » della felicità è un ' aspirazione chimerica , e porla a fondamento della condotta dell ' uomo significa votare quest ' ultima al sicuro insuccesso . Ma tra questo ideale e lo stato di insoddisfazione radicale e inevitabile che provoca le malattie o le crisi della personalità umana ci sono infiniti gradi intermedi ; e sono proprio questi gradi che condizionano la vita , l ' equilibrio e la capacità creativa dell ' uomo nel suo mondo . Come già diceva Aristotele , è felice il musico che riesce a suonar bene o l ' architetto che riesce a costruire un bell ' edificio e in generale è felice ( almeno in un certo grado o in un certo rispetto ) chi riesce a realizzare , in qualche misura , le possibilità che ritiene proprie e che costituiscono il centro di gravità dei suoi interessi personali . Gli spiriti creativi nell ' arte e nella scienza , come nella politica e negli affari , traggono dall ' esercizio della loro attività una soddisfazione che li rende in qualche modo tetragoni ai colpi della fortuna . Più esposti a questi colpi sono gli spiriti disorientati , che non sanno che fare della propria vita , che non hanno un interesse dominante o non sanno accentrare intorno ad esso il resto della loro vita . Un lavoro , anche modesto , cui l ' individuo si senta tagliato , una possibilità effettiva di successo nell ' attività che si è scelta , la prospettiva di un nuovo benessere , una vita affettiva senza seri conflitti , un amore riuscito , un sistema di abitudini regolari che assicuri un minimo di soddisfazioni , sono elementi o condizioni di una felicità che non è gioia né estasi , ma equilibrio della personalità umana e fecondità delle sue manifestazioni . Al contrario , l ' incapacità di riconoscere o realizzare le proprie aspirazioni autentiche , di materializzare in opere le possibilità proprie o il sentirsi privo di possibilità siffatte , sono le condizioni di una personalità immatura , malata o destinata al fallimento . La felicità in questo senso non è certo l ' impassibilità del « saggio » antico che si estrania dalle vicende umane e si chiude nella sua torre d ' avorio . Non è neppure il sogno delizioso dell ' adolescente che si affaccia alla vita . È un concetto - guida per uomini e donne che abbiano raggiunto la maturità del loro spirito e che non si lascino sconfiggere dal primo urto delle avversità . t , anche , un efficace strumento per affrontare queste avversità . Non consiste nella somma di piaceri che si possono ricavare dalla vita e neppure prescinde dai piaceri che sono connessi all ' appagamento dei bisogni e all ' esercizio delle attività umane . È inoltre un concetto che non ha lo stesso contenuto per tutti gli individui e per tutti i tempi . La misura della felicità è l ' individuo , e ciò che rende felice un individuo può rendere infelice un altro . Thomas Jefferson ebbe un ' idea geniale quando nella Dichiarazione dei diritti ( 1776 ) con cui si apre la storia della rivoluzione americana , fece includere tra i diritti inalienabili dell ' individuo , accanto alla vita e alla libertà , la « ricerca della felicità » . Ciò che l ' organizzazione politico - sociale può garantire all ' individuo è la possibilità di questa ricerca , non la felicità . Nessun uomo e nessun potere può imporre un modello di felicità a tutti gli uomini . La pretesa del Grande Inquisitore nei Fratelli Karamazov di Dostojewski , di rendere gli uomini schiavi e felici , è contraddittoria in se stessa , perché la felicità imposta è una delle forme dell ' infelicità . Ciò che l ' organizzazione politico - sociale del genere umano può fare è soltanto l ' eliminazione di condizioni che rendono impossibile ai singoli uomini di cercare la felicità : la miseria , l ' ignoranza , l ' ingiustizia . Ma dopo di questo , che è già un compito immenso e praticamente infinito , la parola spetta ancora agli individui ; il cui equilibrio vitale dev ' essere affidato soltanto alla scelta , lasciata in loro potere , del modo d ' essere felici . Certo nessuno dei modi che possono essere scelti esclude la possibilità dell ' errore o include la garanzia del possesso incontrastato e perenne della felicità . Ma chi oserebbe pretendere che all ' uomo competa , almeno su questa terra , quella beatitudine imperturbabile che è propria della vita divina ?
COMPRENDERE È PERDONARE? ( Abbagnano Nicola , 1964 )
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Comprendere e perdonare sono termini diventati , in certi campi della cultura contemporanea , quasi sinonimi . Non sembra possibile che si riesca a comprendere un essere umano senza perdonare i suoi errori e le sue colpe ; e che la condanna degli aspetti nocivi e ripugnanti della sua condotta mantenga la sua severità quando si sia scavato abbastanza a fondo negli aspetti più intimi della sua vita . Tutte le discipline antropologiche hanno oggi portato contributi importanti al chiarimento delle motivazioni che spiegano la condotta dell ' uomo cioè delle condizioni o delle forze che la provocano : l ' ambiente , l ' eredità , le circostanze , il carattere ecc. Ma al di là di queste motivazioni , la comprensione si presenta come un ' esigenza ancora più intima e radicale . Non si tratta soltanto di spiegare tale condotta come un qualsiasi fatto oggettivo o naturale : si tratta di avvicinarsi all ' uomo stesso , a qualsiasi uomo , quale che sia la natura morale del suo comportamento , con simpatia se non con amore ; di vivere in qualche modo con lui la sua vita o almeno di parteciparne il dinamismo ; di cogliere questa vita al modo in cui egli stesso la coglie nell ' intimità del suo essere e riuscire a vederla come egli stesso la vede . Ma se questo tentativo riesce anche parzialmente , non è possibile o almeno è difficile conservare nei confronti della persona così intimamente penetrata un atteggiamento di riprovazione e di condanna . L ' unico atteggiamento possibile per le manifestazioni di essa che appaiono ostili o maligne nei confronti degli altri esseri umani , è quello del perdono . Queste idee o idee simili a queste circolano in molti campi della cultura contemporanea ; ed anche nel campo dei giuristi i quali spesso parlano della necessità di comprendere la personalità del delinquente , di adeguare a questa comprensione le pene che la legge deve stabilire : e di trasformare tali pene da elementi di punizione o di mortificazione in elementi di recupero o , come si dice con parola solenne , di redenzione del delinquente stesso . Se si spingono al limite queste considerazioni il delinquente può essere considerato come un malato da curare , non come un essere ostile contro il quale la società ha il diritto di erigere la sua barriera . Tutto ciò ha spesso il felice risultato di fondare e promuovere la convinzione che le pene comminate a qualsiasi titolo a coloro che hanno infranto la legge non devono distruggere la loro dignità di esseri umani né rendere impossibile il recupero del loro rispetto verso se stessi e del rispetto degli altri verso di loro . Non devono , in altri termini , ridurli a bestie o a cose di cui si può fare ciò che si vuole . Le considerazioni che seguono non intendono indebolire questa convinzione o limitarne la validità , ma soltanto discutere la connessione di cui si è parlato tra comprendere e perdonare . Alla base di questa connessione c ' è una precisa filosofia del comprendere . Comprendere una persona significa , secondo questa filosofia , non solo mettersi al posto di tale persona ma coincidere con essa , partecipare alla sua vita e soprattutto alle sue emozioni come se fossero la nostra vita e le nostre emozioni . Identificarsi con l ' altra persona è allora il compito del comprendere . Ma per l ' appunto questa identità rende impossibile il giudizio e la condanna . Non posso condannare e neppur giudicare una vita o un comportamento di cui io riesca a partecipare intimamente , con cui io riesco a identificarmi . I fatti ci dicono , certo , che un uomo riesce a giudicare e condannare anche se stesso o almeno certe manifestazioni della sua vita . Ma non è questo possibile proprio perché egli non riesce a identificarsi ( a vedere il vero « se stesso » ) nelle manifestazioni che giudica e condanna ? Quando l ' uomo comprende veramente se stesso o l ' altro , non può giudicare o condannare se stesso o l ' altro perché manca la distanza o l ' estraneità che rende possibile il giudizio o la condanna . Sicché il problema si riduce a questo : comprendere qualcosa significa identificarsi con essa ? Ora , posto in questi termini , il problema esige risposta negativa . Le ricerche di Max Scheler sulla natura della simpatia , che è comprensione emotiva , hanno mostrato come tale comprensione non esige identità , ma diversità . Due persone che hanno lo stesso mal di denti o partecipano ad un eguale dolore non perciò si comprendono , per quanto i loro stati siano identici : come non si comprendono quelle trasportate da un contagio emotivo , per esempio da un sentimento di panico o da uno scoppio di risa . Invece la pietà , che è autentica comprensione emotiva , non consiste nel provare lo stesso dolore dell ' altro o vivere nella sua stessa situazione ma assumere un atteggiamento emotivo cui quel dolore o quella situazione è presente pur nella sua diversità . Giustamente Scheler osservava che la condanna che alcuni filosofi ( come Spinoza e Nietzsche ) hanno pronunciato sulla pietà , che moltiplicherebbe senza scopo il dolore , deriva dal falso concetto della pietà come identità nel dolore mentre essa è un ' emozione a parte , che è stimolata dall ' altrui dolore ma non si identifica con esso . Ma la comprensione non è soltanto un fatto emotivo . In generale , comprendere una persona è cosa che permette di rispondere a domande come questa : « Come ha potuto quella persona compiere quell ' azione ? » . Ora la risposta a questa domanda consiste nel determinare le condizioni che hanno resa possibile l ' azione in esame : nel determinare cioè le forme concrete , particolari della possibilità dell ' azione . La persona ha potuto compiere quell ' azione perché nella situazione in cui si è trovata le sue scelte si sono orientate in un modo anziché in un altro ; e si sono orientate così per altre circostanze o condizioni di cui si possono chiarire i caratteri . Ma a questo livello di generalità il comprendere non è neppure un ' operazione che concerne soltanto gli uomini come tali . Si comprende un teorema di matematica , una teoria fisica , un concetto qualsiasi quando si afferra la possibilità dì queste cose ; la connessione del teorema con gli altri teoremi , il problema cui la teoria fisica risponde , la funzione di descrizione o di previsione cui un concetto è chiamato in un certo campo del sapere . E in tutti questi casi comprendere non significa affatto identificarsi con ciò che si comprende o coincidere con esso . È un ' operazione o una serie di operazioni che lasciano integra la diversità tra chi comprende e l ' oggetto del comprendere e consistono nel chiarire le condizioni che rendono possibile quest ' oggetto . Ora se è così , comprendere non significa , per ciò che riguarda gli uomini , necessariamente perdonare . Può anzi condurre a una condanna più grave o più radicale : come accade quando la messa in luce dei modi in cui un ' azione è stata effettuata e dei moventi che l ' hanno suggerita suscita ripugnanza , orrore o raccapriccio , e rafforza la convinzione che contro quelle forme d ' azione la società deve essere energicamente difesa . È ben certo che non si può giudicare un uomo senza comprenderlo , perché la comprensione è la condizione indispensabile affinché quel giudizio non decada da un misurato atto di ragione a una reazione incontrollata e brutale . La comprensione è la base , l ' unica base possibile , di ogni equo giudizio che l ' uomo può dare di se stesso e degli altri . Ma con ciò ancora nulla è detto circa la natura di questo giudizio , che può essere di condanna o di assoluzione , di simpatia o di ripugnanza , a seconda dei casi : ma non può essere eliminato o reso nullo da un abbraccio universale che includa indiscriminatamente il tiranno ed il martire , l ' assassino e la vittima . L ' uguaglianza degli uomini , che è il postulato fondamentale della nostra morale e dei nostri ordinamenti giuridici , esige che ogni uomo sia compreso prima di venire giudicato . Ma gli uomini sono diversi perché effettuano scelte diverse , talora anche nelle identiche circostanze , nel corso della loro vita . È questa diversità che , per comprenderli , bisogna afferrare e mettere in luce . Si può certo assumere come ideale la volontà di perdonare a tutti e a ogni costo ; ma si può far questo non in base al comprendere , che diversifica e discrimina , ma perché si prescinde completamente da esso .
L'AMICIZIA ( Abbagnano Nicola , 1964 )
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In che consiste l ' amicizia ? Può esistere l ' amicizia nel male ? È lecito attendersi dall ' amicizia benefici e vantaggi e in quale misura ? Sono questi i problemi che i filosofi hanno dibattuto intorno all ' amicizia e sono queste le domande che a ciascuno vengono in mente nelle vicende che essa presenta nella vita di ogni giorno . Per rispondere a tali domande , i filosofi si sono soffermati a delineare la forma perfetta o ideale dell ' amicizia , quel che l ' amicizia dovrebbe essere ma non è o non è mai completamente . E ciò è accaduto perché hanno considerato l ' amicizia come una manifestazione o una condizione della vita morale . Aristotele diceva che l ' amicizia è una virtù o si accompagna con la virtù e che perciò sussiste veramente solo tra persone virtuose . Kant affermava che l ' amicizia è un dovere morale e che i suoi limiti e le sue condizioni sono quelli stessi della moralità . Ma entrambi questi filosofi sottolineavano anche la molteplicità delle forme che l ' amicizia può assumere nella realtà : molteplicità che dipende sia dalla diversità delle basi che si possono dare all ' amicizia , sia dalla diversità delle persone tra le quali essa può stabilirsi . Aristotele riteneva che l ' amicizia può essere fondata sul piacere , sull ' utilità o sulla virtù per quanto solo quella fondata sulla virtù è autentica e duratura perché le altre vengono meno quando cessano il piacere e l ' utilità che se ne possono ricavare . Diceva pure che ci può essere amicizia tra persone che fanno lo stesso lavoro o che appartengono alla stessa comunità , nonché tra il padre e il figlio , tra il giovane e il vecchio , tra il marito e la moglie , e persino tra il padrone e lo schiavo se quest ' ultimo è considerato non più solo come « strumento animato » ma come un uomo . Kant privilegiava l ' amicizia morale , intesa come la fiducia assoluta che due persone si dimostrano confidandosi i pensieri e i sentimenti più segreti ; perché in essa vedeva realizzata l ' uscita dalla prigione delle proprie idee in cui ogni uomo vive solitamente chiuso , e la libertà di esprimerle senza il timore di indiscrezione o di danno . Queste notazioni sull ' amicizia sono rimaste classiche e i filosofi moderni hanno trovato poco o nulla da aggiungervi . Raramente , anzi , essi si occupano dell ' amicizia e non considerano più lo studio di essa come parte fondamentale dell ' etica . Aristotele dedicava all ' amicizia due dei dieci libri della sua maggiore opera morale : oggi è molto se si dedicano ad essa cenni distratti e fuggevoli anche nelle più imponenti e dettagliate trattazioni di etica . Esistono certamente motivi che spiegano questa diversità di atteggiamenti . Gli antichi ritenevano che fossero fondate sull ' amicizia , cioè su un rapporto personale di fiducia , tutte le istituzioni fondamentali della vita civile : Aristotele afferma che nessuno può conservare né potere , né ricchezza , né cariche senza amici e chiama « amicizia civile » la concordia politica dei cittadini . Ma nel mondo moderno rapporti puramente impersonali , diversi e indipendenti da ogni legame di amicizia , sono alla base delle istituzioni che reggono la vita civile . I rapporti di lavoro o di affari , le clientele , le solidarietà politiche e di classe , la collaborazione scientifica , le comunità religiose , i clubs e perfino i nuclei familiari si reggono su meccanismi o condizioni che non hanno niente a che fare con l ' amicizia personale dei loro membri . Le gerarchie sociali e politiche , la fedeltà dei subordinati , l ' efficienza delle istituzioni , sono garantite da benefici o vantaggi che non sono offerti dalla benevolenza amichevole ma dal funzionamento impersonale di regole , leggi o tecniche disciplinari . La scelta delle persone destinate a un compito qualsiasi è effettuata sulla base della loro abilità , del loro talento , della loro fedeltà al lavoro o della loro capacità di prestarsi come docili strumenti per certi fini ; e l ' amicizia personale vi interviene solo di straforo e vi si trova a mal partito . A volte , infatti , può essere un limite o un ostacolo , coi diritti che accampa , all ' efficienza dell ' attività comune ; e si rompe o spezza malamente contro lo scoglio degli interessi bene o male intesi . La società moderna sembra non aver bisogno dell ' amicizia ; o per dir meglio sembra respingerla nel dominio dei rapporti privati tra individuo e individuo . In questo dominio , tuttavia , il bisogno dell ' amicizia rimane pressante . Aristotele diceva che l ' amicizia consiste nel comportarsi verso l ' amico come verso se stesso ; e Montaigne , amplificando Aristotele , asseriva che essa consiste nel dare più di quanto si riceve , nel preferire di far del bene all ' altro più che riceverne . Questa è certo la forma perfetta dell ' amicizia e non per nulla l ' espressione aristotelica fu utilizzata da San Tommaso per definire lo stesso amore cristiano . Ma l ' amicizia è selettiva e individuale ( « Molti amici , nessun amico » , diceva Aristotele ) ; può quindi avere i fondamenti più disparati e i gradi più diversi . E solo un ' equa considerazione di questa disparità di fondamenti e diversità di gradi rende possibile la valutazione di essa nel mondo moderno . In tutti i suoi gradi e forme , l ' amicizia è una condizione indispensabile dell ' equilibrio e della felicità della vita individuale . Un ' amicizia per cui l ' altro è come noi stessi o più di noi stessi , è certamente difficile a realizzarsi e si realizza ( quando accade ) una volta sola nella vita . Ma l ' amicizia come comunanza di intenti o di atteggiamenti , sia pure parziale , come confidenza , cura o sollecitudine reciproca , è ciò che rende sopportabili o sereni i difficili rapporti che pesano oggi sugli uomini e ne garantisce la continuità e la durata . L ' amicizia introduce nell ' amore sessuale quella confidenza , quella certezza di aiuto che ne fa un autentico amore umano ; ed è l ' unica base possibile dei rapporti tra genitori e figli che si prolunghino oltre le necessità dell ' allevamento e del sostentamento . Senza amicizia , la famiglia tende a rompersi per la disparità delle aspirazioni , dei gusti , delle abitudini , e per l ' antagonismo tra vecchia e nuova generazione . L ' amicizia può togliere dai rapporti di collaborazione di qualsiasi genere l ' invidia e la rivalità astiosa mentre consente la competizione leale . Con la sua sollecitudine affettuosa , rende più sopportabili le sofferenze e le contrarietà che sono sempre in agguato anche nelle vite più fortunate , e toglie la noia che accompagna tanta parte della giornata umana e incombe anche sui divertimenti più rumorosi . Come tutte le cose umane , l ' amicizia è sempre imperfetta , limitata e ambivalente . Quest ' ultimo carattere smentisce la credenza di antichi e moderni che l ' amicizia . sia condizionata dalla virtù . Ci sono amicizie salde e autentiche nel bene come nel male ed è oggi un fatto accertato che talvolta la spinta a delinquere è fornita , specialmente nei giovani , dal bisogno di uscire , con qualche forma di amicizia , dall ' isolamento e dalla noia . Ma rinunciare all ' amicizia perché essa non è perfetta , perché non tutto si può esigere dagli amici , perché le amicizie si possono rompere , o perché non sempre danno ciò che promettono , sarebbe così ragionevole come rinunciare a respirare perché l ' aria della città è inquinata dallo smog . Ogni amicizia è un caso a sé , ha limiti e condizioni sue proprie che dipendono dal fondamento sul quale è nata e dalla qualità delle persone che la intrattengono . Al di là di questi limiti , l ' amicizia si incrina e può spezzarsi . Ma questi limiti possono anche talvolta essere estesi o allontanati : l ' amicizia può rafforzarsi o approfondirsi , prendere nuove radici , diventare più salda . Ogni amicizia può riservare sorprese sia positive che negative . Il carattere aleatorio della vita umana investe anche questo suo aspetto essenziale ma non ne distrugge il valore . Certo , lo scheletro della vita sociale moderna non è costituito dall ' amicizia . Ma che cos ' è uno scheletro senza la carne e il sangue che costituiscono l ' organismo ? Senza amicizia , la competizione civile sarebbe ridotta alla lotta animale per l ' esistenza e la terra a una giungla .
I DIRITTI DELL'UOMO ( Abbagnano Nicola , 1964 )
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La situazione attuale del problema concernente i diritti dell ' uomo può essere ricapitolata nei tre punti seguenti : 1 . il riconoscimento teorico sempre più esteso di tali diritti : riconoscimento che ha avuto una sanzione solenne nella Dichiarazione universale dei diritti emanata dalle Nazioni Unite nel 1948 , e per il quale non c ' è forse oggi governo o autorità costituita o movimento politico che neghi , in linea di principio , l ' esistenza di tali diritti ; 2 . la persistenza effettiva nelle strutture giuridiche e politiche di tutti gli Stati del mondo ( anche dei più progrediti ) , nei costumi , nell ' opinione pubblica e nei movimenti politici e ideologici , di infrazioni gravissime ai diritti dell ' uomo . Tali infrazioni prendono la forma di limitazioni drastiche dei diritti di libertà ( di parola , di stampa , di riunione ) o dei diritti sociali ( all ' istruzione , al lavoro e alla difesa del lavoro ) ; o anche di atteggiamenti , radicati nel costume o nell ' opinione pubblica ( intolleranza razziale o religiosa ) e difesi , nella pratica quotidiana , da gruppi amorfi o organizzati ; 3 . la difficoltà di « giustificare » o « fondare » i diritti dell ' uomo , cioè di rispondere alle domande : « Perché l ' individuo umano ha diritti da far valere nei confronti della comunità stessa cui appartiene ? Qual è la ragione ( il fondamento ) della sua pretesa a tali diritti ? » Quest ' ultimo punto è stato il tema di un convegno , tenutosi all ' Aquila ( dal 15 al 18 settembre 1964 ) , dell ' Institut International de Philosophie , una specie d ' accademia che raccoglie i più noti filosofi del mondo . In questo convegno , filosofi provenienti dalle scuole e dalle ideologie più disparate si sono trovati d ' accordo nell ' esigenza di dare , ai diritti che oramai tutti , teoricamente , riconoscono all ' uomo , un « fondamento » o una « giustificazione » che renda possibile la determinazione rigorosa di tali diritti , la difesa di essi e la lotta contro le forze che ancora ne impediscono il rispetto e la realizzazione . Nessun accordo sostanziale ha invece potuto stabilirsi sul punto capitale , cioè su quale il fondamento o la giustificazione debba essere . Non sono mancati certo , anche da parte di filosofi italiani come Calogero , Guzzo e Bobbio , contributi notevolissimi alla chiarificazione del problema e alla delineazione di vie che possono dar luogo a una soluzione ; ma altri passi in avanti sono stati resi impossibili dalla mancanza di accordo su un punto fondamentale , cioè su ciò che si deve intendere veramente per « diritti dell ' uomo » . Alcuni hanno inteso tali diritti come tendenze o doveri morali , altri come ideali , altri come esigenze che la storia fa nascere e che essa è in qualche modo destinata o votata a realizzare ; altri infine come proposte o pretese che saranno rese valide solo quando avranno ottenuto l ' approvazione di tutti gli uomini o almeno di quelli capaci di giudicarle . Questa disparità di vedute nasce , nel mondo contemporaneo , dall ' eclissi del giusnaturalismo , che è stato per più di duemila anni il fondamento della teoria dei diritti e di ogni dottrina giuridica . Secondo il giusnaturalismo antico ( degli Stoici , di Cicerone , del pensiero medievale ) esiste un ordine razionale perfetto , voluto o posto dalla divinità , al quale cercano di avvicinarsi , come a modello , le legislazioni positive dei singoli popoli e che costituisce il criterio per migliorare e correggere tali legislazioni e il fondamento delle pretese che gli individui avanzano nei loro confronti . Secondo il giusnaturalismo moderno ( che nasce nel '600 con Grozio ) , il diritto naturale , come base di ogni diritto positivo , è opera della retta ragione umana : le massime di quel diritto hanno la stessa evidenza e necessità dei teoremi della matematica . In entrambe queste forme , il giusnaturalismo riesce ad assicurare ai diritti dell ' uomo una base certa o sicura ; ma vi riesce solo a patto di partire da ipotesi che nessuno oggi riconosce come certe e sicure : l ' origine divina del diritto e l ' infallibilità della ragione umana . Tali ipotesi sembrano infatti smentite dalla disparità e dal contrasto dei principi del diritto riconosciuti dai vari gruppi umani ( tra i quali bisogna oggi considerare anche quelli lontani da ogni tradizione europea ed occidentale ) , dalle trasformazioni radicali che ogni sistema di diritti subisce nel corso della storia e , per ciò che riguarda i diritti dell ' individuo , dai , mutamenti che intervengono nella loro valutazione e nel loro numero e che sembrano suggeriti da circostanze storiche contingenti più che da un ordine stabile o da una linea razionale di sviluppo . Il diritto alla soddisfazione dei bisogni elementari , il diritto al lavoro e alla difesa organizzata del lavoro , il diritto all ' istruzione , all ' assistenza e molti altri , si affacciano ora con urgenza nella situazione storica ed emergono , come esigenze o pretese , dal contesto della nostra società industriale , per quanto fossero sconosciuti alle epoche precedenti . Nulla , anche , garantisce che l ' insieme di tali diritti e di quelli tradizionali della sicurezza fisica , della libertà e della proprietà , non sia in qualche modo contraddittorio : si può anzi presumere che contraddizioni o conflitti esistano e possano insorgere tra i diritti reclamati con uguale validità . Questa situazione rende d ' importanza decisiva il compito ( prettamente filosofica ) di trovare una giustificazione che consenta di stabilire il significato e i limiti dei diritti , e la loro compatibilità rispettiva , togliendo la possibilità di conflitti ; e che escluda sia l ' ottimismo che lo scetticismo i quali entrambi renderebbero inutile o priva di senso la difesa di essi e la lotta per la loro realizzazione . Ma questo compito non potrà fare appello ad alcun sistema particolare di credenze , ad alcun insieme di principi che siano propri di una scuola filosofica o di una confessione religiosa o di una determinata tradizione culturale : perché esso dovrà conservare la sua validità ( almeno potenzialmente ) per tutti gli uomini , quali che siano le loro credenze e le loro tradizioni . Da questo punto di vista una giustificazione ragionevole dei diritti dell ' uomo si può ottenere soltanto considerando la funzione che essi hanno esercitata e continuano ad esercitare nel corso della storia umana : funzione che è stata ed è quella di difendere l ' individuo e le sue possibilità di autorealizzazione e di sviluppo dal prepotere delle istituzioni che presiedono alla vita associata . Poiché la stessa vita associata può sussistere solo mediante la sopravvivenza degli individui , la difesa degli individui è condizione fondamentale per la sopravvivenza della comunità e suo interesse essenziale . Se si bada a questa funzione , i diritti dell ' individuo possono essere considerati come norme o regole fondamentali o primarie che valgono come principi limitativi e , in certi casi , come criteri di giudizio di tutte le leggi , norme o massime che guidano il comportamento delle istituzioni e degli individui di una comunità qualsiasi . Le leggi positive , le norme del costume , i codici morali e religiosi possono avere ed hanno i fini più disparati ed ispirarsi a bisogni , ad esigenze , a ideali e perfino a pregiudizi che poco o nulla hanno a che fare con la vita e le possibilità dell ' individuo . I cosiddetti « diritti » dell ' uomo costituiscono invece un insieme di norme la cui funzione è di salvaguardare qualsiasi uomo e tutti gli uomini nella loro possibilità di partecipare in modo attivo e responsabile alla vita della comunità . Si fa appello ai diritti dell ' uomo quando il comportamento dello Stato o di altre istituzioni pubbliche o di strutture sociali o economiche o di gruppi di individui mette in forse questa possibilità o la restringe a gruppi privilegiati , negandola all ' uomo come tale . Tali diritti per quanto esprimibili in termini generalissimi ( « Rispettare la libertà individuale » ; « Garantire la sicurezza personale » , ecc . ) trovano il loro significato concreto nelle situazioni storiche in cui si fanno valere ; ma il loro carattere permanente e costante deriva dal fatto che essi compiono sempre la stessa funzione . In una società primitiva , ad esempio , il diritto all ' istruzione non si affaccia nella forma che esso assume nella nostra società industriale : quella società infatti , per quanto rozza possa essere , conferisce ai suoi membri un grado di addestramento che li rende attivi partecipanti della vita comune : e l ' individuo pertanto non ha né la ragione né l ' occasione di fare appello a un suo specifico diritto . Ma nella società industriale l ' individuo che sia privo di un grado adeguato di istruzione viene respinto ai margini e rimane inutilizzabile per se stesso e per gli altri . Ciò gli fornisce la ragione e l ' occasione per fare appello al suo diritto ; il cui rispetto , d ' altra parte , diventa un interesse essenziale della società nel suo complesso . I diritti dell ' uomo « nascono » , cioè sono chiaramente formulati , solo quando si determina una situazione nella quale le possibilità di un individuo qualsiasi di farsi valere come membro attivo e responsabile della comunità cui appartiene sono in pericolo e , al limite , negate . Ma ciò non rende i diritti dell ' uomo contingenti , mutevoli e soggetti a nascere e a sparire senza costrutto . Non li rende neppure « eterni » , cioè al di fuori del tempo e della storia . Il loro fondamento permanente è la funzione che essi esercitano di rendere possibile a tutti gli uomini la partecipazione all ' umanità e di offrire all ' umanità il mezzo per uscire dalle divisioni e dai conflitti che mettono in pericolo la sua pace e la sua sopravvivenza .
IL DIVERTIMENTO ( Abbagnano Nicola , 1964 )
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Uno dei sintomi che comunemente si adducono della cosiddetta « crisi del costume » della società contemporanea è l ' amore , anzi la « sete » , di divertimento . Si pensa che i nostri padri e i nostri nonni o le « generazioni passate » dividessero il loro tempo tra il lavoro e la famiglia , completamente assorti nell ' adempimento austero dei loro doveri quotidiani e completamente alieni da qualsiasi distrazione . Nonostante la perdita di ingenuità che caratterizza tanti nostri atteggiamenti , questo è un caso nel quale l ' ingenuità non è stata perduta . Se si riflette che il divertimento comprende i giochi ( di tutte le specie ) , la caccia , la pesca , la conversazione , i racconti , la danza , il canto , le feste , i banchetti e gli spettacoli di tutti i generi , si può constatare agevolmente che , in una forma o nell ' altra o in tutte le forme , esso accompagna la vita dell ' intero genere umano in tutti i suoi gradi e in tutte le sue manifestazioni . Le società primitive non differiscono in questo dalle società evolute o civili , salvo forse per la parte maggiore di tempo che consacrano al divertimento : giacché si danno al canto , alla danza o alle cerimonie erotiche appena hanno provveduto alla soddisfazione dei bisogni più elementari e ritornano malvolentieri ai lavori abituali solo quando quei bisogni sono nuovamente diventati urgenti . Ciò che fa pensare ad una sete di divertimento propria della società contemporanea , è piuttosto il carattere che il divertimento ha assunto in tale società : l ' uniformità , la diffusione pressoché universale di molte forme di divertimento che prima si coltivavano in ambienti chiusi o ristretti e che ora sono venute alla luce e tendono a essere partecipate da tutti gli strati sociali . Il fatto è che il divertimento accompagna tutte le forme della vita umana ed è una manifestazione di essa così costante come altre attività ritenute più nobili , per esempio la morale o la religione . I filosofi , dal canto loro , non solo lo hanno ritenuto costante , ma anche necessario . Hanno visto in esso una manifestazione essenziale della vita dell ' uomo : una manifestazione cioè che consente di gettare uno sguardo approfondito su ciò che è l ' essenza o la natura dell ' uomo . Talvolta essi lo hanno considerato come una conseguenza della natura miserabile dell ' uomo , tal altra come un aspetto positivo di essa ; ma in ogni caso ne hanno accentuato il carattere essenziale o inevitabile , la sua connessione strettissima con la sostanza della vita umana . Sulle orme degli antichi Stoici e di Cicerone , Montaigne vedeva nel divertimento una medicina delle passioni , che può tenere l ' uomo lontano dalla gioia e dall ' afflizione eccessive . E Pascal , in celebri pagine dei suoi Pensieri , dette un ' analisi classica del divertimento , ritenuto inevitabilmente connesso con la condizione miserabile dell ' uomo nel mondo . Pascal includeva nel divertimento tutte le forme di attività che occupano intensamente l ' uomo e gli impediscono di pensare a se stesso , alla sua natura debole e mortale . Sono divertimenti egualmente , secondo Pascal , le fatiche della guerra e il gioco della palla , la caccia alla lepre e il governo dei popoli ; e la condizione del re è la più felice perché il re è circondato da persone che si prendono cura che non sia mai solo e in stato di pensare a se stesso , sapendo che , benché re , sarebbe miserabile se ci pensasse . Sembrerebbe , dice Pascal , che caricando gli uomini sin dall ' infanzia di innumerevoli occupazioni , preoccupazioni e cure , li si condanni all ' infelicità ; ma in realtà non li si carica mai abbastanza , giacché , se si togliessero tutte le cure , essi vedrebbero se stessi , penserebbero a quel che sono , da dove vengono e a dove vanno , e sarebbero più ancora e irrimediabilmente infelici . Il divertimento è perciò la sola fuga possibile dal senso della infelicità della vita , secondo Pascal . Secondo Schopenhauer , è invece la fuga dalla noia che interviene quando l ' uomo ha appagato i suoi bisogni e ha superato il dolore della privazione . L ' oscillazione in cui consiste , secondo Schopenhauer , l ' intera vita dell ' uomo , tra il dolore del bisogno e il tedio della soddisfazione , subisce con il divertimento una pausa temporanea che riempie il vuoto tra un ' occupazione e l ' altra . Certamente , secondo Pascal e Schopenhauer , il divertimento è una forma di quella che oggi sì chiama « alienazione » ; è un estraniarsi dell ' uomo da se stesso , dalla sua coscienza di sé ; ma ciò non lo rende meno essenziale . Ed inevitabile ed essenziale esso è anche per i filosofi , per i quali non costituisce un estraniamento . Criticando Pascal , Voltaire affermava che pensare a se stesso significa rigorosamente non pensare a nulla : l ' uomo può pensare a se stesso solo pensando alle cose che lo occupano e queste cose fanno parte della condizione umana non meno che del « se stesso » dell ' uomo . Da questo punto di vista , il divertimento non è un ' estraniazione , non è neppure una medicina o una fuga : è , come tutte le attività umane , un rapporto con le cose o con gli altri uomini che riempiono il campo , altrimenti vuoto , della coscienza umana . Dallo stesso punto di vista , Hume affermava che solo dagli oggetti esterni l ' uomo può ricevere gli stimoli che mettano in moto le sue capacità , lo occupino e lo divertano . Occupazione e divertimento obbediscono alla stessa legge . Più specificamente , Kant , l ' austero filosofo del dovere , raccomandava , tra le forme del divertimento e come aiuto alla socievolezza , un banchetto di persone di buon gusto in cui il raccontarsi le novità del giorno , i ragionamenti vari e gli scherzi trovassero posto ugualmente . E Dewey vedeva nel divertimento un aspetto essenziale dell ' esperienza umana , precisamente la fase finale o consumatoria di tale esperienza : nella quale l ' uomo si dedica al godimento diretto e immediato e che comprende il banchetto e la festività , l ' ornamento , la danza , il canto , la pantomima , il raccontare storie e il rappresentarle . Si può dunque ritenere l ' uomo destinato a pensare unicamente a se stesso e al proprio destino o a pensare alle cose o agli oggetti molteplici che lo circondano ; si può ritenere infelice o neutra la sua condizione nel mondo . Conseguentemente , si può ritenere il divertimento un estraniarsi dalla natura umana o una manifestazione normale di essa : ma in ogni caso , esso fa parte integrante della natura e dell ' esperienza dell ' uomo e non può essere eliminato . I filosofi sono pertanto alieni dal pregiudizio moralistico , che vorrebbe eliminare il divertimento come un ' inutile perdita di tempo e una distrazione pericolosa dalla serietà degli impegni che attendono l ' uomo nella vita . E in realtà questo pregiudizio si può ritenere equivalente a quello di chi volesse che , per evitare perdite di tempo e distrazioni , l ' uomo rinunciasse al sonno . Il divertimento non è certo il sonno ; è , a suo modo , un ' attività impegnativa e seria in cui l ' uomo esprime o realizza se stesso , come si realizza ed esprime nelle attività che costituiscono il suo lavoro quotidiano . Nei confronti di tale lavoro il divertimento costituisce ( come dice la parola ) una diversione , un mutamento di attività : è , per di più , una diversione o mutamento che non è strumentale ma finale , non costituisce un mezzo per acquisire o produrre beni ma un godimento di beni . Se il divertimento occupa l ' intera vita di un uomo , non è più divertimento perché perde la sua funzione di dare un altro corso all ' attività abituale dell ' uomo . La noia di una vita oziosa , dedicata soltanto a quelli che per gli altri sono « divertimenti » , deriva appunto dal fatto che essa abolisce la funzione liberatrice del divertimento : funzione condizionata dalla partecipazione a una forma di attività che divertimento non sia . Ma , dall ' altro lato , una vita che pretendesse chiudersi al divertimento e dedicarsi esclusivamente al lavoro e al dovere , finirebbe per fare di buona parte del lavoro e del dovere una forma di divertimento : un divertimento inconsapevole , pesante per se stesso e per gli altri e odioso per la sua ipocrisia . Si può , se si vuole , mettere il divertimento sul conto delle « debolezze umane » ; purché non si veda in questa debolezza un motivo di condanna o di riprovazione . L ' uomo è quello che è , non contro o nonostante i suoi bisogni , ma in virtù di essi . Prendere atto di tali bisogni e appagarli ragionevolmente , è la prima condizione del suo equilibrio e della sua efficienza . E il divertimento è , certamente , uno di tali bisogni .
LA FORTUNA ( Abbagnano Nicola , 1964 )
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In un capitolo del Principe , Niccolò Machiavelli , dopo aver riportato l ' opinione diffusa che tutte le cose del mondo siano governate dalla fortuna sicché l ' uomo non possa apportarvi né correzione né rimedio , dichiara che , per suo conto , è stato incline a questa opinione e che solo per non negare completamente la libertà umana è giunto a concludere che la fortuna è arbitra della metà delle azioni umane e che essa lascia governare agli uomini l ' altra metà o pressappoco . Anche oggi , forse , come ai tempi di Machiavelli , molti inclinano a credere che la fortuna è l ' arbitra esclusiva delle vicende umane . La variabilità di queste vicende , la rapidità delle trasformazioni sociali e politiche , l ' instabilità delle istituzioni e dei costumi , l ' incertezza del destino personale di ciascun individuo non sono certo diminuite dai tempi di Machiavelli ed anzi appaiono oggi ancora più radicali . La parte della fortuna nelle faccende dell ' uomo sembra maggiore del cinquanta per cento che Machiavelli voleva attribuirle . La grandezza , la decadenza e la fine delle civiltà , dei popoli e degli Stati , la miseria e il benessere delle popolazioni , la riuscita o l ' insuccesso degli individui , la loro nascita e morte , le loro vicende significative o banali , sembrano in larga misura dovute a quel fattore ignoto , talora benevolo tal altra maligno , ma sempre minaccioso o sconcertante , perché su di esso non si può fare affidamento , che diciamo « fortuna » . Certo , degli eventi che si attribuiscono alla fortuna si possono cercare e trovare le « cause » . La fortuna , come il suo stretto parente , il caso , non significa assenza di causalità . I filosofi , da Aristotele in poi , sono stati concordi su questo punto . Un uomo esce di casa a una certa ora ; questo è un fatto che ha le sue cause cioè la sua motivazione : egli deve recarsi al lavoro o a un appuntamento o ha un altro motivo qualsiasi per uscire . Una tegola cade da un tetto ; questo fatto ha le sue cause : l ' azione del vento o delle intemperie e la forza di gravità . Ma l ' incontro di questi due fatti , che accade quando la tegola cade in testa a quell ' uomo , non è prevedibile né in base alla prima , né in base alla seconda delle serie causali che lo provocano : perciò si dice che è dovuto al « caso » e che l ' uomo è stato « sfortunato » a passare di li in quel momento . Analogamente il movimento della roulette che fa fermare la pallina su un certo numero è dovuto alle leggi meccaniche , mentre alla preferenza del giocatore ò dovuta la puntata che egli fa su quel numero ; ma l ' incontro delle due causalità costituisce la « fortuna » del giocatore stesso . L ' imprevedibilità sembra costituire il carattere proprio di questi incontri casuali , fortunati o sfortunati che siano , tra diverse serie di eventi . I due eventi che si incontrano sono , ciascuno per suo conto , prevedibili cioè spiegabili in base alle cause o ai motivi che li determinano ; ma non è prevedibile il loro incontro perché non si verifica con frequenza sufficiente a stabilire un ' uniformità di accadimento . Ora tale imprevedibilità può essere interpretata in due modi diversi : può , in primo luogo , essere considerata come un semplice frutto dell ' ignoranza in cui l ' uomo si trova di fronte a molti dei fattori che agiscono nel mondo ; e in secondo luogo può essere considerata come una indeterminazione reale , inerente al fatto che le maglie della rete causale sono troppo larghe e non arrivano a stringere o a contenere tutti i fenomeni sicché un certo numero di essi sfugge alla rete e si comporta come vuole . La differenza tra queste due interpretazioni non è puramente accademica . Secondo la prima , l ' azione del caso ( o della fortuna , la quale non è che l ' azione del caso nelle faccende umane ) può essere ridotta e , al limite , eliminata mediante la riduzione o l ' eliminazione dell ' ignoranza e l ' estendersi della conoscenza a un numero sempre maggiore di fattori causali . Secondo l ' altra , il caso è , in qualche misura , ineliminabile perché è un ' imperfezione reale dell ' ordine oggettivo , e si annida nelle falle della stessa connessione causale . Tra queste due interpretazioni , la scienza e la filosofia contemporanea propendono per la seconda . La considerazione probabilistica che si estende oramai a tutte le branche fondamentali della conoscenza scientifica , dalla fisica atomica alla biologia ; alla psicologia e alla sociologia , si fonda sul presupposto che i fatti non sono determinabili e prevedibili uno per uno ma soltanto nei loro insiemi , nelle loro medie statistiche . Le maglie della catena causale , di cui si avvalgono oggi le scienze nella spiegazione e nella previsione dei fatti , sono , in altri termini , assai larghe : ad esse sfugge , si può dire , ogni fatto che sia considerato nella sua individualità . La considerazione probabilistica , come considerazione statistica che concerne sempre un numero di fatti abbastanza grande , non dice nulla sul comportamento di un fatto singolo . Sappiamo , per esempio , dall ' andamento delle medie statistiche degli anni passati , il numero probabile degli individui che si sposeranno o prenderanno la laurea l ' anno venturo ; ma questa conoscenza non ci dice affatto che il signor Tizio l ' anno venturo si sposerà o il signor Caio prenderà la laurea . Le unità individuali che entrano a comporre le medie statistiche che costituiscono l ' uniformità e le leggi cioè gli oggetti veri e propri della scienza , sfuggono , proprio nella loro individualità , alle uniformità e alle leggi : praticamente , rimangono i soggetti del caso . Ciò vale per un singolo elettrone come per un singolo uomo . E se è così , se la scienza non può fare a meno del caso , il vecchio concetto della fortuna che domina le faccende umane non è solo un pregiudizio da ignoranti . La consapevolezza che la fortuna gioca una parte importante è profondamente radicata nella società contemporanea . Essa assume la forma di quel « senso d ' insicurezza » che spesso viene addotto ( e non a torto ) come un contrassegno specifico della società contemporanea ; o di quel senso del rischio che viene teorizzato da molte filosofie contemporanee . Ma non è detto che tale consapevolezza debba condurre gli uomini soltanto a un pessimismo contemplativo e passivo , alla rinunzia ad ogni intervento nel corso delle cose . Il lasciar fare , l ' abbandonarsi alla fortuna , è un atteggiamento sempre possibile , nonché una facile tentazione per chiunque ; ma è pure possibile , e certo più promettente , l ' atteggiamento opposto di chi è deciso a trar partito dalla stessa molteplicità dei casi o delle occasioni che la fortuna può offrire . Possiamo limitarci a fare contro i colpi della sorte gli scongiuri di rito o a fidare nell ' oroscopo quotidiano che i giornali ci danno , anche se , in un mondo in cui gli astri sono a portata di missile , è difficile credere ancora che siano depositari di occulte influenze . Ma possiamo anche accettare la sfida che la fortuna ci getta e rispondervi con le armi che abbiamo a disposizione . Possiamo prevedere , in una certa misura , le linee di tendenza dei fatti e prepararci ad affrontare le situazioni future per correggere quelle tendenze o portarvi rimedio o adeguarle , per quanto è possibile , ai nostri umani interessi . Il bisogno della progettazione , così profondamente radicato oggi in tutti i campi dell ' attività umana , nasce appunto da questo atteggiamento di libera reazione alla fortuna e da una ragionevole fiducia nei mezzi di cui la ragione umana dispone . Certamente , qualsiasi progettazione può non riuscire e sul suo esito finale la fortuna dirà la sua . Ma , come ancora osservava Machiavelli , essa manifesta la sua potenza soprattutto là dove non c ' è « ordinata virtù a resisterle » ; ed è sempre meno rovinosa quando gli uomini hanno pensato per tempo a elevare contro di essa argini e ripari , adeguati .
IL FANATISMO ( Abbagnano Nicola , 1965 )
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Una parte almeno del compianto unanime che ha accolto la morte di Churchill è certo dovuta a un tratto della sua figura che è il meno frequente nei personaggi storici : Churchill è stato un capo senza essere un fanatico . Churchill non si è mai sentito « l ' uomo della provvidenza » o « del destino » . Le responsabilità che si è assunto nei momenti più critici della storia contemporanea , il peso decisivo delle sue scelte e della sua condotta di uomo politico , il successo che ha coronato la sua opera non gli hanno fatto ritenere d ' essere un uomo privilegiato , investito di una missione nel cui compimento nessuno potesse sostituirlo e di fronte alla quale la comune umanità valesse soltanto come mezzo . La figura di Churchill è , da questo punto di vista , la più ovvia smentita alla credenza che l ' azione efficace , il coraggio e la resistenza alle forze avverse possono essere alimentati e sostenuti soltanto dal senso di una investitura dall ' alto e dalla certezza di essere lo strumento unico e privilegiato di un disegno super - umano . Tuttavia la credenza nel carattere praticamente benefico del fanatismo , nella sua capacità di valere come una leva potente per muovere masse e individui , infiammarli di sacro entusiasmo , renderli insensibili a sacrifici e rinunce , e portarli alla realizzazione di scopi grandiosi ( o ritenuti tali ) , è ancora abbastanza diffusa e si lascia talora intravedere nei discorsi di politici o di capipartito . In un passato recente , la parola aveva perfino perduto , nell ' uso di certi partiti politici , la connotazione negativa che i dizionari solitamente le attribuiscono , per essere esaltata come un merito del seguace zelante e del credente a tutta prova . E per quanto oggi l ' esaltazione esplicita del fanatismo sia difficile a trovarsi o si presenti in forma camuffata ( come quando si è detto : « L ' estremismo nella difesa della libertà non è un vizio ; la moderazione nel conseguimento della giustizia non è una virtù » ) , una certa nostalgia per il fanatismo e un certo rispetto superstizioso ( che è a sua volta fanatico ) verso di esso serpeggiano ancora nei vari campi della cultura e in certi angoli dell ' opinione comune . Ciò accade perché il fanatismo sembra , in primo luogo , una testimonianza resa alla verità , anzi alla Verità unica ed assoluta , di cui il fanatico si ritiene il depositario , l ' interprete e il realizzatore . Questo atteggiamento sembra l ' opposto di quello dello « scettico » o , come anche si dice , del « cinico » che non crede a nulla o non prende nulla sul serio e perciò è incapace di rendere omaggio alla verità ed impegnarsi per essa . In secondo luogo il fanatico non ha bisogno di argomenti o di « ragioni » per credere nella sua verità . Gli argomenti o le ragioni sono spesso deboli o di esito incerto : possono venire controbattuti , bilanciati o distrutti da altre ragioni ; e sotto questo aspetto la convinzione razionale , che è aperta alle critiche e ne tiene conto , appare , come strumento d ' azione , assai più debole e vacillante della persuasione fanatica che condanna chi la possiede all ' entusiasmo perpetuo . In terzo luogo , il fanatismo è per sua natura collettivo e pandemico ; tende a diffondersi da individuo a individuo , a travolgere o a rendere insignificante il dubbio privato , a fondere gli individui nell ' unità di una massa anonima e compatta che può agire come forza d ' urto . Sono , questi , i vantaggi teorici e pratici del fanatismo ; e sarebbero vantaggi importanti , se fossero veri . Sono invece fittizi . La verità , e specialmente la Verità con la V maiuscola , che dovrebbe essere ( se ci fosse ) una forza spirituale che agisce o si manifesta soltanto nei poteri più alti , più difficili e più rari di cui l ' uomo dispone , non ha nulla a che fare con il fanatismo che è più agevolmente suscitato da viete superstizioni e da rozze credenze . Anzi , il fatto dimostra che non c ' è superstizione così grossolana , credenza così infondata , ideale così balordo che non abbia trovato o non trovi i suoi fanatici e che non possa essere assunto come insegna di violenze e persecuzioni contro coloro che non lo condividono . Ciò che il fanatismo chiama « verità » non è che un pretesto per attribuirsi un potere sovrano nei confronti delle credenze e della vita degli altri . Essere fedeli alla verità significa essere disposti a cercarla , a riconoscerla dovunque si presenti , sia in noi che negli altri , anche quando non ci torna comodo , significa adoperare strumenti adatti a questo fine , correggere o rettificare le proprie opinioni e abbandonarle , sia pure con sforzo , quando la verità lo richieda . Questo atteggiamento implica , non già la certezza di un possesso infallibile , ma il dubbio incessante , la critica , uno scetticismo metodico e ( perché no ? ) anche un certo cinismo che fa dire pane al pane e vino al vino e non si lascia incantare dalle parole solenni e dal manto di porpora degli ideali fittizi . Esso consiste nell ' esercizio della ragione e delle sue tecniche , quali si sono venute costituendo nei vari campi del sapere , sul fondamento della loro continua revisione e correzione . Kant giustamente ritenne il fanatismo , sotto questo aspetto , « la trasgressione dei limiti della ragione umana » : cioè il non tener conto dei limiti e delle imperfezioni delle nostre capacità d ' indagine e di accertamento , perciò l ' identificare se stessi con la voce della verità e della giustizia e ritenere che tutto il resto dell ' umanità sia dalla parte dell ' errore e del male . Certamente , per questi stessi limiti , la ragione umana è una debole forza : gli argomenti di cui si avvale , le prove che adduce , le conclusioni che raggiunge , sono continuamente soggette alla revisione e alla critica e possono essere corrette o confutate . Ma proprio da questa debolezza essa ricava la sua forza . La critica che smonta un argomento rafforza il potere di critica , la prova che confuta un ' altra prova è un passo in avanti rispetto all ' altra ; una conclusione corretta o sostituita con un ' altra contiene una maggiore garanzia di validità . Anche se , per un ' ipotesi inverosimile , tutto ciò che la ragione umana ha conseguito finora si rivelasse privo di fondamento , questa conquista negativa della ragione sarebbe un segno della sua forza , perché costituirebbe la premessa di un ' opera costruttiva più valida . Ma una « verità » fanaticamente accettata non può subire correzioni ed aggiunte ; teme le critiche e persino la tepidezza dell ' entusiasmo ; è fragile nei confronti dei dubbi e cade di colpo alla prima occasione . Cade senza lasciare nulla , se non forse un atteggiamento fanatico , provvisoriamente disoccupato o alla ricerca di nuovi pretesti . Come già diceva Locke , che ci dette nella quarta edizione del Saggio ( 1700 ) la prima celebre critica del fanatismo , questo è un fuoco fatuo . E alla prima occasione , la fusione delle masse o dei gruppi fanatici , l ' entusiasmo travolgente che era parso una poderosa forza d ' urto , si scioglie o si spegne come un fuoco fatuo e non lascia dietro di sé che il caos o il deserto . Non si può far conto sui fuochi fatui per illuminare il difficile cammino dell ' umanità nel mondo : occorre che l ' umanità cerchi e trovi altri mezzi di orientamento e che questi mezzi possano costantemente essere corretti e migliorati . La convinzione ben radicata dei limiti dell ' uomo e la disposizione che ne deriva all ' ironia , alla pietà e alla solidarietà umana sono , come già avevano visto gli analisti del '700 ( Shaftesbury , Voltaire , Kant ) , i migliori correttivi del fanatismo e alcuni dei costituenti essenziali della nostra civiltà . La tentazione del fanatismo si presenta ogni qualvolta si tende a trasformare gli ideali umani anche più nobili ( per esempio la libertà o la giustizia ) in fini assoluti ai quali la comune umanità va senz ' altro sacrificata . Cerchiamo di ricordare che tali ideali sono invece sempre e soltanto strumenti : strumenti che l ' uomo ha escogitato , e che può e deve correggere , per sopravvivere come uomo e vivere in pace .
IL «SIGNIFICATO» DELLA VITA ( Abbagnano Nicola , 1965 )
StampaQuotidiana ,
Viktor Frankl , un medico psichiatra che passò parecchi anni nel campo di concentramento di Auschwitz , racconta che il desiderio di riscrivere un libro il cui manoscritto gli era stato confiscato e distrutto al suo ingresso nel campo , fu il fattore decisivo che gli consentì di sopravvivere , mentre intorno a lui soccombevano molti suoi compagni di prigionia dotati di robustezza fisica maggiore . Questo fatto , che non è isolato , sembra mostrare che , quando la vita ha un significato , è più facile per l ' uomo sopportarne i pericoli e le durezze e che perciò il problema del significato della vita è , per ogni uomo , il problema fondamentale , quello da cui dipendono la sua sopravvivenza , il suo equilibrio e la sua felicità . Ma questo problema ha , rigorosamente parlando , un « significato » ? In un libro recente Huston Smith , professore di filosofia nel Massachusetts Institute of Technology ( Condemned to Meaning , New York , 1965 ) , ha messo in luce la situazione paradossale in cui si trova oggi la filosofia di fronte a questo problema . Da un lato gli antropologi , gli psicologi , i teologi e i filosofi esistenzialisti riconoscono l ' autenticità del problema e lo ritengono ineludibile , anche se le soluzioni da essi apprestate sono diverse e non convincenti . Dall ' altro lato ( e soprattutto nei paesi anglosassoni ) i filosofi analisti ritengono che il problema del significato della vita sia uno pseudo - problema derivante dall ' uso improprio della parola « significato » : la quale appartiene alla sfera linguistica , per cui si può parlare del significato di un termine o di una espressione , non della vita nel suo complesso . I primi considerano solo il significato esistenziale , i secondi solo il significato linguistico : i primi si occupano delle situazioni della vita , dei problemi che esse presentano e delle soluzioni che prospettano ; i secondi si occupano delle situazioni linguistiche , delle loro confusioni e delle possibilità di chiarirle . Il libro di Huston Smith vuole in qualche modo mediare i due punti di vista che abitualmente rimangono separati e non entrano neppure in dialogo : intende mostrare che una trattazione analitica è possibile , entro certi limiti , anche nella sfera del problema che concerne il significato della vita . Ovviamente , questo tentativo suppone che tale problema sia autentico , cioè che non si riduca a una confusione linguistica . Huston Smith ritiene che l ' autenticità di esso risulta provata dall ' importanza che il problema riveste nella vita di ogni uomo : perché la perdita o l ' assenza di significato , cioè di uno scopo per cui valga la pena di vivere , lottare e soffrire , determina spesso ( come psicologi e antropologi mettono in luce ) squilibri , infelicità e pazzia o , nel migliore dei casi , la perdita o la diminuzione del gusto di vivere . Egli ha perciò dato al suo libro il titolo Condannato al significato : una espressione di Merleau - Ponty , riferita all ' uomo , che significa l ' impossibilità per l ' uomo di vivere senza dare un significato alla vita . Ma Smith ritiene pure che il significato della vita l ' uomo deve in qualche modo costruirlo : cioè che esso non è un dato , ma un risultato da ottenere attraverso un ' attività che investe le manifestazioni della vita e le porta a ordinarsi e organizzarsi in modo da costituire modelli significanti . E come Kant parlò di categorie intellettuali che presiedono alla nostra costruzione del mondo conoscitivo , così Smith parla di categorie di significati che permettono all ' uomo di organizzare la struttura delle sue esperienze , che altrimenti rimarrebbero caotiche e prive di scopo . Queste categorie di significato sono : l ' inquietudine o angoscia ; h speranza ; lo sforzo , cioè la capacità di trascendersi e di tendere a qualcosa che non esiste ma può esistere ; la fiducia , cioè il senso di essere aiutato o garantito nello sforzo dall ' ordine delle cose ; e infine il mistero , cioè il senso di una realtà che non può essere attinta attraverso le vie normali della conoscenza . Bisogna subito dire che queste categorie appaiono inadeguate alla funzione , cui Smith le destina , di costruire un mondo di significati . La prima , cioè l ' angoscia , non è una categoria , ma piuttosto lo stato o la condizione di chi si sente privo o povero di possibilità a venire e pertanto non riesce a dare un significato alla vita . Le altre sembra che presuppongano questo significato piuttosto che renderlo possibile : giacché , come si fa a sperare , a sforzarsi per uno scopo , ad aver fiducia nel mondo e a credere in una realtà misteriosa , se già non si è certi del significato che la vita possiede ? D ' altronde , se la vita ha il significato che noi stessi chiediamo , questo non implica forse che essa è , in se stessa , priva di significato ? Smith risponde a quest ' ultima domanda asserendo che il significato della vita non è né imposto all ' uomo dai fatti , né imposto dall ' uomo ai fatti stessi : non è , in altri termini , né oggettivo né soggettivo , ma alcunché di intermedio , come qualsiasi costruzione umana che , se utilizza gli elementi e le leggi della natura , non è tuttavia opera totale della natura ma dell ' uomo . E questa risposta sarebbe valida se sapessimo qualcosa in più su ciò che deve intendersi per « significato della vita » . In realtà il tentativo di Smith si ferma alla difesa di un ' esigenza generica , ma non entra a esaminare la natura specifica dei « significati » che la vita può avere . E di « significati » si tratta , non di « significato » . Per illuminante e tipico che possa essere il caso del medico Frankl nel campo di Auschwitz , nessuno lo generalizzerebbe asserendo che , per qualsiasi uomo , lo scopo della vita è di riscrivere ( o scrivere ) un libro . Ciò che per un uomo è ragione di vita , per l ' altro è motivo di fastidio o di noia . Esistono , senza dubbio , significati partecipabili da gruppi più o meno estesi di individui umani , e sono quelli su cui fanno leva le grandi religioni e le filosofie popolari . Ma è molto dubbio che esista un unico , totale , esauriente significato della vita ed è molto dubbio che una filosofia qualsiasi sia in grado di « costruirlo » . Ciò che la filosofia può fare consiste sostanzialmente nell ' aiutare l ' uomo , ogni singolo uomo , a scoprire o a costruire da sé il significato della vita : chiarendo in forma oggettiva , sulla base degli elementi positivi del sapere di cui disponiamo , la sua situazione nel mondo e fra gli uomini , la struttura e i limiti delle sue possibilità , le minacce che incombono su di lui e le prospettive di riuscita meno ingannevoli e più feconde . Essa può anche delucidare la natura e i limiti della scelta che si offre a ogni individuo tra i significati specifici che la vita può offrirgli ; ma , quanto a questa scelta , nessuno può farla per un altro . Proprio in ciò sta l ' insegnamento della filosofia esistenzialistica , cui Huston Smith fa troppo imprecisi riferimenti . Quando i filosofi analitici negano ( ma ormai lo negano sempre più di rado ) che il problema dell ' esistenza sia autentico , intendono semplicemente asserire che gli strumenti linguistici di cui l ' uomo dispone non consentono di parlarne e che pertanto ( come diceva Wittgenstein ) « di ciò di cui non si può parlare , si deve tacere » . Essi partono cioè da una teoria del linguaggio il quale , considerato come una specie di immagine dei fatti del mondo , non offre la possibilità di parlare di altro che di tali fatti . La risposta alla loro negazione non si può quindi ottenere asserendo l ' importanza generica del problema dell ' esistenza , ma facendo appello a un ' altra teoria del linguaggio : a una teoria che , senza sfumare nel vago e nel mistero , renda possibile affrontare le condizioni specifiche di quel problema con ordine e correttezza . Questa teoria del linguaggio è , oggi , più un desiderio che una realtà ; è tuttavia il presupposto per ridare alla filosofia il suo carattere umano .