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LA ' FIAMMETTA ' ( DE ROBERTIS GIUSEPPE , 1939 )
StampaQuotidiana ,
Anzi Elegia di Madonna Fiammetta , come Vincenzo Pernicone ha restituito dai codici nella sua nuova edizione . Nuova non solo per questo . Ché il testo da lui dato supera di gran lunga in esattezza e proprietà e quello del Fanfani , e quello del Gigli , e l ' altro finora più noto e più attendibile del Moutier . Senza dire d ' una primizia di finissimo pregio , di certe « chiose » e di lui Boccaccio , che il Pernicone pubblica per la prima volta , e che aiuteranno il lavoro degli studiosi , se mai ci sarà uno che dalla ricerca delle fonti classiche di questa Fiammetta vorrà finalmente estendere l ' esame a un ' analisi di stile condotta a fondo su sicurissime basi e non su delle semplici impressioni . Ma è una fortuna intanto che un libro sì importante si possa leggere senza più storpiature , ché storpiature d ' ogni genere erano nelle precedenti edizioni , di lingua , d ' ortografia , e perfino d ' interpolazioni . Parve al Moutier , per esempio , che il testo del Boccaccio più ricco fosse , più fosse proprio di lui . E invece la Fiammetta in questo appunto segna la maturità della prosa boccaccesca , che partita dal Filocolo e dall ' Ameto operò in essa un incredibile alleggerimento e isveltimento . Precede di cinque anni soli la composizione o , diciamo meglio , l ' inizio della composizione del Decameron . Lo stesso lavoro di prosa latineggiante , lo stesso studio di esemplari latini , sia prosatori e sopra tutto storici ( Giustino , Valerio Massimo ) , sia poeti ( Virgilio , Ovidio , Seneca , Lucano , Stazio ) ; ma , vorrei dire , un più commosso lavoro , a volte ; oltre quell ' alleggerimento , quell ' isveltimento , specie in certo dialogare con sé , in certi mesti soliloquii . L ' ultima infaticabile prova , avanti di cominciare il Decameron , e fu appunto dopo ch ' ebbe finita la Fiammetta , la condusse nella forma più strenua , traducendo le Deche terza e quarta di Livio , per respirare l ' aria grande del più poetico degli storici ; e s ' era mosso dalle Artes o Summae dictaminis , dalle traduzioni di oratori e di poeti , quasi come , in semplice scolaro di retorica . Su questo tradurre , come aiuto al formarsi dello scrittore , il discorso sarebbe lungo assai . Noi ne abbiamo un esempio bellissimo e novissimo in quello del Leopardi , che voltando in italiano gli idilli di Mosco prima scoprì se stesso e toccò certe eleganze tutte sue , certi modi pianissimi ; e componendo il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi nella sua prosa rapì qualcosa ai classici , anche ai poeti , e ne dedusse leggi alla sua arte . Ecco , abbiamo toccato un punto che fa al caso nostro . Il Foscolo , nel quarto dei suoi Discorsi sulla lingua italiana ( e bisogna , s ' intende , tener presente anche il suo Discorso storico sul testo del Decamerone ) , disse che il Boccaccio « armonizzava la sua prosa , aiutandosi della prosodia de ' poeti latini . Li traduceva , talora letteralmente e , mentre la loro misura suonavagli tuttavia intorno all ' orecchio , inserivali nel suo libro » . Parla del Decameron , e l ' osservazione , esattissima , tornerebbe , e s ' è visto , bene applicata alla Fiammella . I moderni , sulla scoperta di quel dato stilistico , sono andati oltre , e oggi si parla del grande libro boccaccesco come d ' un libro di « poesia o canto » , « ancorché composta di metri che difficilmente si riesca a scomporre e fissare nei paradigmi dei trattati di metrica » ; si parla d ' una « apparente prosa che è poesia » , e che non è per nulla « prosa poetica » ( lo stesso disse tant ' anni fa Serra di Panzini ) . Strano però che il nome del Foscolo non ricorra come dovrebbe nei saggi e negli scritti degli studiosi del Boccaccio . Ché il Foscolo disse altro ancora , e avvertì un dissidio che la decantata poesia ch ' egli vi trovava , e i moderni ritrovano , non valse a nascondere al suo occhio infallibile . Quella « poesia » annidava per lui , dentro di sé , un vizio . Una « facondia a descrivere minutamente e con maravigliosa proprietà ed esattezza ogni cosa » ; certe « arti meretricie dell ' orazione » ; e quel non rifinire , ch ' era proprio della sua natura , di « ricrearti con la sua musica » . Dice sì il Foscolo che il Boccaccio è « scrittore unico forse » , per la « varietà degli umani caratteri » che « porsero occasione all ' autore di applicare ogni colore e ogni studio alla lingua , e farla parlare a principi ed a matrone e a furfanti e a fantesche e a tonsurati ed a vergini » ; ma anche dice che la sua lingua egli la « vezzeggia da innamorato » , e diresti ch ' egli vedesse « in ogni parola una vita che le fosse propria , né bisognosa altrimenti d ' essere animata dall ' intelletto » . Ma è quistione , questa , da non potere esser trattata così brevemente e corrivamente , e basta avervi accennato per dimostrare ancor fondati i nostri dubbi , che sono poi dubbi antichi , che cioè i moderni studiosi , contenti a quella novità speciosa ( « poesia o canto » , « apparente prosa che è poesia » ) , siano passati troppo disinvoltamente sopra a quei vizi che il Foscolo denuncia ; e per passarvi sopra , quasi fingano d ' ignorare le dure difficoltà da lui proposte . Può una formula sanare quelle difficoltà ? Diciamo allora che quella « poesia » , quell ' « apparente prosa che è poesia » , spesso sente più l ' « arte » che la « natura » , come sempre il Foscolo asserisce , e che è un « lavoro raffinatissimo d ' arte » , per sé indipendente , e non nato in un « conflato di fatti , ragioni , immagini e affetti » . L ' interesse , forse , che alla prosa boccaccesca , alla sua complicata ricchezza , han posto sempre , e più , ultimamente , e grammatici e stilisti e storici della lingua , ha fatto scambiare per ragioni poetiche quelle che sono , sovente , ragioni retoriche ; e di qui tutti i danni . Diceva ancora il Foscolo , del Machiavelli , che nella sua prosa il « significato d ' ogni vocabolo par che partecipi della profondità della sua mente » . Profonda o no , questa partecipazione , e dunque questa necessità , questa viva essenzialità , per il Boccaccio è più poca assai . Che se poi si consideri l ' « ardente , diritta , evidente velocità » dell ' altra prosa , nata contemporaneamente a quella del Boccaccio , senza « artifici di sintassi » moltiplicantisi « per via di traduzioni e imitazioni libere dal latino » , ma tanto più schietta , come fu la prosa della corrente popolare , governata « da quella grammatica » che è « la vera e perpetua » e che « in ogni lingua vien suggerita dalla natura » ; se si consideri tutto questo , appariranno più manifesti e quell ' iniziale distacco e le conseguenti fatali aberrazioni . Ma si voleva parlare della Fiammella . Del valore di questo libro , quanto a scoperta del linguaggio nell ' arte del Boccaccio , s ' è detto : lo studio comparativo con le fonti classiche s ' aspetta che aiuti a dire di più . Ma il libro ha , per sé , un suo caratteristico valore di tono o di toni . È un romanzo amoroso narrato in prima persona , un romanzo tutto interno , lentissimo . Si direbbe , e non è altro , la variazione d ' un tema solo , fiorito a volte di modi labili , quasi un parlar dell ' anima ; e a volte arricchentesi di contrasti , curiosamente legati , a posta cercati . « Deh , or non è questa mirabile cosa , o donne , che ciò ch ' io veggio mi sia materia di doglia , né mi possa rallegrare cosa alcuna ? Deh , quale anima è in inferno con tanta pena , che , queste cose veggendo , non dovesse sentire allegrezza ? » . Con una tal giustificazione è facile al Boccaccio , al Boccaccio naturalmente prezioso , « alessandrino » come piaceva dire al Parodi , ricco , intralciato , dar splendida prova di sé , di quella sua « facondia a descrivere minutamente e con maravigliosa proprietà ed esattezza » , avanti di darne una assai più splendida nel libro del Decameron . Feste , giostre , luoghi ameni , con bei colori , begli arnesi e vesti , belle pitture ; e non so che languore che senti nel periodo un poco rilassato . Ma in quel progredire della narrazione quanto mai lenta , tra conforti e sconforti e disperazioni della donna amante , una semplicità , a volte , monda , con parola sofferta e quasi nuda , un parlar dimesso e , vorrei dire , un altro Boccaccio . « Ogni uomo si rallegra e fa festa , e io sola piango » . Allora certe intonazioni quasi di canto ( « come le preste ali di Progne , qualora vola più forte , battono i bianchi lati » ) , un ' aggettivazione nettissima ( « mansueto nel viso , biondissimo e pulito » ) , la novità d ' una parola saputa spiegare ( « l ' aere esultante per le voci del popolo circustante » ) , la forza risuscitata d ' un verbo per una sapiente collocazione ( « O bellezza , dubbioso bene de ' mortali , dono di picciolo tempo , la quale più tosto vieni e pàrtiti .... » ) , un che di arcano , perfino , nel rendere la passione , che sa di Vita nova , con la stessa apprensione d ' anima ( « io già tutta come novella fronda agitata dal vento tremava » ) . E ci sono versi scopertissimi , con altri da scoprire ( « Deh , vieni , vieni , ché ' l cor ti chiama : non lasciar perire la mia giovinezza presta a ' tuoi piaceri » ) ; traduzioni dov ' è qualcosa di più che la semplice misura del verso , e c ' è sì Ovidio , e lo cita egli stesso esattissimamente ( « O Sonno , piacevolissima quiete di tutte le cose e degli animi vera pace » ) , ma c ' è , anche , una progressione tutta sua , così ben condotta e sostenuta ( « O domatore de ' mali ... O languido fratello della dura morte .... O porto di vita .... O dolcissimo Sonno » ) . Anche quando il discorso un poco s ' intralcia , un fermento di piacevol alito solleva e fa men fitta la sintassi . Pare che , parlando così , pianissimo , svegli dal di dentro una segretezza nuova ; e questo è proprio un dar la mano all ' altra prosa di gusto popolare , per niente latineggiante , né poeticheggiante , né lavorata , né studiata ; se mai , libera e ardita , e tutta « candidezza e soavità » , come il Leopardi appunto diceva , e ch ' egli sentiva così vicina , e aveva ragione , alla lingua greca . Quel sempre variare lo stesso tema avrà dato al Boccaccio , spesso , monotonia e lentezza ; ma gli diede , anche , una nuova ricchezza , una ricchezza per estenuazione . Del Boccaccio fastoso nel descriver minuto , quanti esempi , e di che forza , noi troveremo nel suo gran libro ! Ma di quest ' altro , più apparentemente povero e più parlante , assai meno ne troveremo , e non , forse , di più valore . Ché mancherà la fatica a dare quel fiore , quella labile parvenza ; mancherà la necessità di sempre rifarsi da capo , come per ricontare ex - novo , che aiuta un poco a inventare .
L' ' AMETO ' ( DE ROBERTIS GIUSEPPE , 1941 )
StampaQuotidiana ,
Il Bembo aveva ragione : che il Boccaccio , « come che in verso altresì molte cose componesse , nondimeno assai apertamente si conosce che solamente nacque alla prosa » . O , per meglio dire , di quanto arricchì la sua prosa , d ' altrettanto smorzò e impoverì la poesia . E proprio cominciò a comporre in prosa , riportando su un piano tanto più alto una vicenda popolaresca , con suoi caratteri ben netti . Parlo del Filocolo , trascrizione piuttosto infarcita d ' un tema e d ' una storia come quella di Florio e Biancofiore : l ' opera « giovanile » del Boccaccio , che , secondo il Battaglia , rappresenterebbe « il momento romantico di uno scrittore che col volgere degli anni avrebbe educato la sua grande arte al più schietto realismo » . Ma , dire « romantico » è dir troppo ; e contentiamoci di battere l ' accento sulla più semplice definizione « giovanile » ; e spieghiamoci così quel che di intemperante e di folto passò tra le fila di quella vicenda romanzesca , e che furono specialmente ricordi di letture , e di poetiche letture ; tutto , insomma , un mondo classico mescolato confusamente a personali esperienze , personali affetti , e avvisi del tempo nuovo . Tra il Filocolo e l ' Ameto passarono all ' incirca dieci anni ; e ne passeranno poco meno dal principio della composizione del Decamerone , e un poco più dal suo compimento . La Fiammetta è un ' eccezione : l ' ultima opera di prosa , e si può dire l ' unica , avanti il Decamerone , dove il Boccaccio parve , in una volta , cantare e licenziare le memorie della sua vita . L ' Ameto , dunque , sta in mezzo , e anche idealmente occupa il giusto mezzo e , composto com ' è di prosa e di verso , ripropone più sensibilmente il confronto tra prosa e poesia boccaccesca ( noi non accenneremo neppure alla storia di queste opere miste , né a Boezio né a Marziano Capella né ad Alano da Lilla né a Dante ) . E prendiamo un dato solo di stile . Si sa quanto il Boccaccio studiasse e imitasse Dante , e proprio il Dante della Commedia . Così nel Filocolo , così nell ' Ameto . Ma non già , nell ' Ameto , per sostenere il verso ; sibbene per alzare ancora più il tono della prosa , di quell ' « apparente prosa che è poesia » . E per converso , in prosa , egli non avrebbe mai toccato modi siffatti ( « Con queste bianche e rosse come foco Ti serbo gelse , mandorle e susine , Fravole e bozzacchioni in questo loco , Belle peruzze e fichi senza fine ; E di tortole ho preso una nidiata , Le più belle del mondo , piccoline , Colle quai tu potrai lunga fiata Prender sollazzo ; e ho due leprettini , Pur testé tolti alla madre piagata ecc . » ) ; e per l ' appunto in terzine stemperate , avvilite direi , dove c ' è già un sentore di ottava , dell ' ottava enumerativa boccaccesca , e poi dell ' altra concertante del Poliziano . Proprio quando , nella prosa dell ' Ameto , tentava un maggior arricchimento e un periodare più complesso . E l ' aggettivo il peso morto della prosa boccaccesca , il segno della sua stanchezza . L ' aggettivo con valore attributivo quasi sempre preposto al nome , e che nei poeti , specie nei poeti elegiaci e melici , forma quel finissimo « legato » , ( diciamolo un ' altra volta con un termine musicale ) che è l ' elemento base del loro melodizzare , l ' affettuoso connettivo del canto ; dove l ' una nota par tenuta per colorare di sé l ' altra , dar senso all ' altra , mentre questa la sostanzia e quasi si scioglie in essa . Proprio su questo massimo di durata , su questa unità armonica , s ' appoggia e si rinnova di tempo in tempo , e direi si slancia , il discorso poetico ( « Quel vago impallidir , che ' l dolce riso D ' un ' amorosa nebbia ricoperse » . « Se dell ' eterne idee L ' una sei tu , cui di sensibil forma Sdegni l ' eterno senno esser vestita , O fra caduche spoglie Provar gli affanni di funerea vita » ) ; e vi s ' accorda l ' altro elemento , con l ' aggettivo posposto al nome , che è lo « staccato » ( e anche questa volta ricorreremo alla musica ) , e serve come chiaroscuro , più e men forte , sopra tutto nelle riprese , nelle chiuse , e vive unicamente del suo contrario ( « e fia compagna D ' ogni mio vago immaginar , di tutti I miei teneri sensi , i tristi e cari - Moti del cor la rimembranza acerba » ) . Nella prosa è il caso inverso , quanto più il gusto della prosa progredisce e s ' affina . Ed è lo « staccato » a dare il colore , l ' accento , la forte scansione ; mentre , in momenti rari , in toni un poco più alti , anch ' essa « lega » col finissimo artificio che s ' è detto . Sarà dunque nel Boccaccio , questo continuo « legare » , la riprova più valida di quella sua « apparente prosa che è poesia » ? Ma si osserverà : Boccaccio tolse quest ' uso dal latino . Che , in verità , non distrugge il dato stilistico , né il suo particolare valore . E poi sta il fatto che il Boccaccio , specie sul principio , se ne appropriò in un suo periodare monotono , per successioni , per addizioni , solo più tardi arrivato a una maggior finezza di sintassi . Si pensi al Novellino , alla varietà del suo parlare , per cenni , alla scrittura magra , con sensibili contrasti e , nell ' uso dell ' aggettivo , appunto , con inattese libertà . Qui davvero non si compone per serie , ma in un modo tutto inventivo , anche se corto . E cessato quell ' inventare , il discorso svolta e varia . Disse il Foscolo che il Boccaccio vedeva « in ogni parola una vita che fosse propria , né bisognosa altrimenti d ' essere animata dall ' intelletto » . E badate , la vena di certi scrittori spesso consiste non di parole soltanto , ma di intere frasi e cadenze , con una vita loro propria , né bisognose altrimenti d ' essere animate dall ' intelletto ; consiste , volevo dire , in una sorta di elegantissimo ozio . Come nei melodisti a oltranza . E in prosa come in verso solo allora si tocca la perfezione , quando l ' inventare e l ' ambito compositivo s ' aiutano e si condizionano , senza squilibri . Il Boccaccio , intanto , nell ' Ameto , corresse e variò certa dovizia aggettivale , studiò più accorte collocazioni ( « e le rocche fortissime » ) ; e , tirato dal suo vivace istinto di realista , sostituì , al comporre secondo regole e cadenze e , direi , secondo un ideale ritmo , invenzioni più frequenti , vere spezzature o discordanze nel suo tessuto prosastico . Ma che cosa è quest ' Ameto ? E , o vuole essere , la rappresentazione del rinnovamento dello spirito umano per mezzo dell ' amore ; la storia di Ameto cacciatore « vagabondo giovane » , che di rozzo e selvaggio , ingentilito dall ' amore , e aiutato dalle sette virtù , s ' innalza alla contemplazione delle verità supreme . Questa , in vero , è la macchina del libro , che dà la spinta al libro ; e che s ' adatta poi , via facendo , alla statura e al gusto dell ' autore . Parrebbe di assistere a una drammatica « riduzione » ( non però sofferta , s ' intende , ma che non cessa d ' esser tale ) d ' un ' alta idea , viva ancora ai tempi del Boccaccio , più , forse , come ricordo che come forza attiva , e che nella mente del Boccaccio trova un suo limite , e , per questo , si fa a suo modo vivente . Già , che fosse un motivo fortemente sentito , lo avvertì fin dal principio . Vedi Ameto , « d ' ogni parte carico della presa preda » « intorniato da ' cani tornando a ' suoi luoghi » « vicino a quella parte ove il Mugnone muore con le sue onde » , fermarsi ad ascoltare una « graziosa voce » « in mai più non udita canzone » ; e « verso quella parte , ove il canto estimava , porse , piegando la testa sopra la manca spalla , l ' orecchio ritto » ( ma questa punteggiatura troppo secondo logica , troppo minuta , per il sinuoso periodare boccaccesco ! ) . S ' accosta , dunque , Ameto , e vede giovinette , « alcuna mostrando nelle basse acque i bianchi piedi » , e che con lento passo « vagando s ' andavano » . La meraviglia di Ameto vale assai più delle cose che descrive , rimane come un vapore sospeso , una luce primaverile ; ché le cose sono sempre le stesse , e un poco monotone ; e le sette virtù , anch ' esse troppo uguali , Mopsa , Emilia , Adiona , Acrimonia , Agapes , Fiammetta , Lia ; vere donne , e troppo donne . E Ameto , « con occhio ladro » , a riguardare « l ' aperte bellezze di tutte quante » . Appunto quest ' occhio di Ameto è la novità del libro , il miracolo che trasforma il vario nell ' uno ; e la pagina ne risulta piena d ' infinite sorprese . « Con fervente disio cercava d ' essere Afron o di mutarsi in Ibrida o divenire Dioneo o parere Apaten o Apiros o Caleone » . E il circostante mondo di natura , per nulla distinto , anzi da ogni parte mescolantesi come cosa vivente , pieno di sensi anch ' esso ; e i colori presi da ogni dove , dalla realtà e dal mondo classico e dal mito . Non a caso , nell ' Ameto , spiccano con forte rilievo , e quasi s ' accordano in un superiore impegno , due grandi parti : una minutissima descrizione d ' un orto , la più ricca e architettata di tutto il libro ; e una storia d ' amore , quella di Agapes , che altra non ne scrisse mai , avanti il Decamerone , con penna sì ardita , e con la sua allegra lascivia . Per questo vasto accordo , quest ' armonia e , vorrei dire , amorosa prospettiva , l ' Ameto è il precedente immediato del mondo polizianesco e , in sé , segna un punto assai importante nella resurrezione rinascimentale . Era destino che lo fissasse prima il Boccaccio . Spiace , nella pur buona edizione che Nicola Bruscoli ha curato dell ' Ameto per l ' editore Laterza , trovare una dichiarazione come questa : « L ' autore si ripromette di tornare in seguito sui Manoscritti dell ' Ameto , aggiungendo altri dati quali sarà possibile ricavare dall ' esplorazione di nuovo materiale , oggi sotto speciale custodia a causa dello stato di guerra » . E chi obbligava mai il Bruscoli a pubblicare con una tal precipitazione ? Ma vorrei dire un ' altra cosa ancora , ché l ' ho appena accennata avanti . Sul sistema della punteggiatura adottato per questa prosa del Boccaccio , come sempre tendente , con una leggera enfasi , alla poesia . Questa interpunzione , così spiccatamente logica , non pare al Bruscoli che debba frastornare un poco il lettore , impedirgli il gusto di risentire in sé quella musica che è del periodare boccaccesco ? Eppure il Leopardi , nelle Operette morali , ci aveva lasciato un esempio splendido di come si possa con la interpunzione aiutare la lettura , dividendo secondo pause , non secondo sintassi , o secondo una più interna sintassi . Mi si potrebbe rispondere col nome del Manzoni . Ma già la prosa del Manzoni è ben altra da quella del Boccaccio , e non è poi detto che il Manzoni , qualche volta non peccasse in minuziosità , per iscrupolo di non riuscire mai abbastanza chiaro , affabile . E un ' ultima osservazione , sull ' uso della dieresi . Quest ' uso , assai intemperante , non ha portato fortuna , e s ' è visto , ad altro editore del Boccaccio . Davvero che un verso come questo « stanti all ' ombra d ' un fiorito alloro » , aveva bisogno della dieresi su « fiorito » ( così : « fïorito » ) , di quest ' errore smaccato , di questa strascicatura , per essere un verso ? Ma basterebbe dividere « stanti » da « all ' ombra » , con un effetto bellissimo di iato , e l ' endecasillabo , proprio lì , si slargherebbe , si distenderebbe ; e s ' avrebbe proprio dipinta la contentezza di stare all ' ombra , quieti , che è un piacere . Se questa è invenzione nostra , del nostro strafare , chiediamo venia .
LE ' STANZE ' O DELL'OTTAVA CONCERTANTE ( DE ROBERTIS GIUSEPPE , 1939 )
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Non si contano , e son nominati , in quest ' ultimo trentennio , gli studi intorno al Poliziano ; ma quelli dell ' abate Vincenzio Nannucci continuano a dormire nella dimenticanza . L ' abate Vincenzio Nannucci non ha avuto fortuna presso gli studiosi del Poliziano . Il suo commento alle Stanze è del 1812 ( Firenze , nella Stamperia di Giuseppe Magheri e figli ) , e la gloria se la prese intera il Carducci col suo . « Il commento del Carducci rifà tutta la cultura classica del Poliziano , e della ricerca delle fonti non ha che l ' apparenza . In realtà è un monumento di sapienza critica ; a lettura finita si vede in quelle note il terreno , nel testo il fiore che ne è germogliato . Il commento è la ricostruzione di quella lunga e squisita disciplina classica che mantenne lo spirito nativamente fine del Poliziano in un ambiente congeniale , è l ' aria che respirò la sua fantasia prima di diventare essa stessa creatrice » . Strano ! Ma la massima parte di questo lavoro di esplorazione si deve appunto al Nannucci , e di suo , il Carducci , non vi aggiunse veramente che assai poco . Classici greci e latini , e poesia italiana antica il Nannucci conosceva per una sua diuturna esperienza di lettore avvedutissimo ; e , per esempio , il suo Manuale della Letteratura del primo secolo della Lingua italiana , in tre volumi ( Firenze , Magheri , 1837-1839 ) , « per uso della studiosa gioventù delle isole jonie » , ristampato poi dal Barbera in due volumi ( 1856-1858 ) , è condotto con tale apertura di mente , e lumeggiato con un gusto sì nuovo della lingua del tempo , e del linguaggio di quella poesia , che filologi e studiosi ancora vi ricorrono con profitto . Diamo dunque all ' abate Vincenzio Nannucci « del Collegio Eugeniano di Firenze » il titolo di primo scopritore moderno del Poliziano , di quella sopra detta « lunga e squisita disciplina classica » ; e auguriamoci che qualche volonteroso riesamini un giorno la sua opera tutta quanta , e le riconosca il giusto valore nella storia della cultura del primo trentennio dell'800 . E mettiamo subito a fianco di quel commento preziosissimo una mezza paginetta del Foscolo , anch ' essa dimenticata , e che par discendere direttamente , quasi come una conclusione , dalle illustrazioni del Nannucci . È nel quinto dei suoi Discorsi sulla lingua italiana , che sono la più matura e alta espressione delle conquiste critiche del Foscolo . « L ' unico poeta degno di meraviglia » di tutto il '400 egli dice che fu il Poliziano . E dice che come « gli spiriti e i modi della lingua latina de ' classici erano già stati trasfusi nella prosa dal Boccaccio , e da altri » , così il Poliziano « fu il primo a trasfonderli nella poesia , e vi trasfuse ad un tempo quanta eleganza poté derivare dal greco » . Ma nel commento del Nannucci c ' era qualcos ' altro , perché il Foscolo potesse meglio determinare il suo giudizio ; c ' erano le fonti dell ' antica poesia italiana , alle quali pure il Poliziano s ' abbeverò . Noi , leggiamone gli esempi , seguendo quella guida ; e la storia del formarsi della poesia polizianesca sarà fatta . Anzi è stata già fatta . Solo che si credeva d ' esser partiti dal Carducci , e ci si moveva e dal Nannucci e dal Foscolo . Ma , questa poesia del Poliziano , diremo dunque che è una poesia in margine alla poesia ? O che è una poesia « dell ' orecchio » , come il Leopardi disse della poesia del Monti ? Una poesia , più che d ' un poeta , di uno « squisitissimo traduttore » , se « ruba ai latini o greci » ; se « agl ' italiani , come a Dante » , di uno « avvedutissimo e finissimo rimodernatore del vecchio stile e della vecchia lingua » ? Vero sarebbe , fino a un certo segno , del Monti ; e ad ogni modo il Leopardi scrisse questo tenendo l ' occhio alla grande poesia . Non è invece per nulla vero del Poliziano . Quel comporre in gara , ch ' era proprio del Monti , e per un continuo attrito , facile , epidermico , fu lontanissimo dalla tempra del Poliziano , il quale , da una sì diversa e complessa mistura cavò di bellissime dissonanze ; e l ' aiutò , in questo sottile lavoro , la sua natura di realista commosso , di innamorato della bellezza , di elegantissimo rinnovatore . Prendiamo un verso solo di lui : Cresce l ' abete schietto e senza nocchi . Un verso che l ' occhio , dopo letto , sempre rivede mutato in figura . Disegno saldissimo , disegno acuito all ' estremo , e pur come nuovo , accenti netti , una qualità vergine che resiste e resisterà al tempo . E prendiamone un altro : L ' erbe e ' fior , l ' acqua viva chiara e ghiaccia . Qual altro poeta seppe adoprare con un senso sì fresco tre aggettivi in una volta , con un senso sì necessario ? Quell ' acqua davvero scorre ( viva ) , luccica ( chiara ) , ci tocca ( ghiaccia ) . E le parole paiono pietra durissima ; sebbene abbiano vita e moto . Questo è Poliziano . E quante cose dipinse nei suoi bellissimi versi , fiori , colori , la natura in tutti i suoi più vari aspetti , fino scene e figurazioni in apparenza ricalcate sulle più splendide forme delle arti figurative , quelle più splendidamente severe , e che invece furono viste direttamente , con un occhio che fruga , e sollecita in ciò che vede il sentimento dell ' esistenza . Vivono per sé , le immagini e le creature del Poliziano , e vivono quasi sempre su uno sfondo di paese che , per più verità , il poeta ha fermato con veloci tratti , perché intorno vi circolasse l ' aria , vibrasse un che di magnetico . Un misto , insomma , di nuovo , intatto , e di stregato . In quali altri versi di poeta antico è dato di trovare segni d ' un ' arte sì fina ? Un qualsiasi verso del Petrarca : « Chiare , fresche e dolci acque » ! E solo in apparenza , per una pura suggestione verbale , voi vi ricordate del Poliziano . È un inganno . In quelle « chiare » « fresche » e « dolci acque » Petrarca vide , e sempre rivede , le « belle membra » di Laura . E voi stessi non potete scompagnare quelle acque da quella vista . Hanno specchiato quelle membra ( chiare ) , le hanno ravvivate e quasi ringiovanite ( fresche ) , le hanno avvolte come in un divino abbraccio ( dolci ) . In quella memoria è la potenza e il fascino delle parole del Petrarca . Per il Petrarca , tutta la natura vive per la memoria di Laura , si anima come toccata dalla sua presenza , dice la sua presenza . Parmi d ' udirla , udendo i rami e l ' òre E le fronde e gli augei lagnarsi e l ' acque Mormorando fuggir per l ' erba verde . Qui siamo nel regno fatato della musica . Tutti suoni , dolci suoni , inesprimibili suoni , a ricordare con indicibile strazio quella voce di Laura ; e l ' anima , sospesa , ora ode ora non ode più . Poliziano , invece , volta per volta , è come se ti ammaliasse l ' occhio ; e tu incantato a vedere , senza essere mai sazio . Nascerà di qui , poi , da quest ' offrirti in successive immagini il suo vivacissimo mondo , nascerà di qui la sua ottava , nella caratteristica divisione in distici , per tempi e modi diversi . Non è l ' ottava dell ' Ariosto , l ' armoniosa ottava , che smorza in sé e dora i suoni e le impressioni , obbediente sempre a un ' idea nettissima , a un ' oncia il cui disegno è sempre uno e vario , un mutevole giro vaghissimamente chiuso . E non è l ' ottava del Tasso , franta , intarsiata , ricca , disuguale , intimamente disarmonica , con stanchi languori , che vorrebbero , e non riescono a conciliare le disarmonie , a sciogliere gli intarsii . È l ' ottava in forma di concertato . Piccoli strumenti , ciascuno col loro timbro nettissimo , anzi un poco agro , un sottile sapore di terra e d ' ingegno . Si pensa a quelle zone felici , quand ' è cessato il tumulto della grande orchestra . O si pensa , e questo suggerirebbe il modo particolarissimo di leggere Poliziano , e nel tempo stesso aiuta a capire la sua arte , si pensa a certe esecuzioni sinfoniche , dove il maestro badi a conservare la distinzione delle diverse zone e parti , fin nelle minime pieghe e ombre , non a fondere quelle zone e parti e a farne , come dicono , uno strumento solo . Distinguere e mantenere distinte tutte le voci , fino all ' insoffribile acuità ; e fare che il miracolo avvenga per sé , direi per magia , dentro di noi , in un secondo tempo , in un tempo stregato . Perché , insomma , se con l ' ottava dell ' Ariosto subito ti senti preso da un ' onda di suono accordata , e chiarissimamente vedi e segui e godi il filo di quell ' onda ; se con l ' ottava del Tasso , fatichi e ti perdi e ti ritrovi , come per sentieri impervii ; con l ' ottava del Poliziano ti piace di sentire in te quel variato complesso , di far parte tu stesso del divino lavoro , e ti par quasi di avvertire il miracolo nel momento che si crea . Sono i vari accordi che si scontrano come fosse la prima volta . E questo è veramente cosa nuova nella storia della poesia . Dove dunque ci ha portato quel felicissimo artista che è Angelo Ambrogini Poliziano ! E volevamo dire una cosa sola , oltre a sanare presso i lettori moderni l ' ingiustizia antica fatta all ' abate Vincenzio Nannucci del Collegio Eugeniano di Firenze . Volevamo , alla reale commissione chiamata a preparare i nuovi programmi per la nuova scuola media italiana , fare una proposta . Al secondo , al terzo anno del « Liceo classico » si potrà finalmente cominciare a leggere , ma in classe , con tutta l ' autorità e l ' aiuto del maestro , le Rime del Poliziano ? L ' Orfeo , le rarissime canzoni a ballo , i rispetti continuati e spicciolati e , sopra tutto , le Stanze . Sono , queste Stanze , centosettantuna di numero , milletrecentosessantotto versi . Non sono gran cosa , dunque , ma sono cosa grande . Da assaporare e considerare con un continuo confronto dei poeti che il Poliziano conobbe , studiò , e che certo servirono all ' incognito del suo linguaggio . Una lettura d ' alto stile , insomma , con lenti e sapienti indugi , per scuola d ' umanità . Si leggerà poi l ' Ariosto , si leggerà il Tasso ; e si capirà quanto questi poeti debbano a quell ' unico poeta . Che significa , alla fine , capire la poesia . Che , lo so , si può leggere in tanti modi . Meglio se con più sussidi possibile , che la cultura e gli studi seri possono offrire , a fortificare e ad arricchire l ' animo e l ' ingegno .
LE ' STANZE ' O DEL CHIASMO ( DE ROBERTIS GIUSEPPE , 1942 )
StampaQuotidiana ,
Si farà dunque un ' edizione delle Stanze ? La « Biblioteca Nazionale Le Monnier » annuncia ora gli Scritti in volgare del Poliziano a cura di Natalino Sapegno , e a un ' edizione critica delle Stanze lavora il Pernicone . I tempi sarebbero maturi . Negli ultimi dieci anni l ' arte del Poliziano ebbe interpreti assai fini , portato della novissima cultura volta particolarmente alla scoperta del linguaggio poetico , e a certe distinzioni rivelatrici tra poesia e poesia della poesia . Il Poliziano è il rappresentante tipico di questa poesia della poesia . Solo che il suo testo è ancora quello dato dal Carducci nel '63 , vecchio ormai . Il Carducci ebbe il merito , allora , di restaurare in buona parte la lezione giusta , contro le edizioni cinquecentesche , nobilitate ma offese , secondo le teorie del Bembo . Compì il lavoro a mezzo . Perché conobbe , sì , direttamente i due Codici riccardiani 2723 e 1576 ( il primo assai importante , perché compilato vivente il Poliziano ) , ma gli altri codici solo attraverso le stampe su essi redatte , e se ne fidò . Non fece la storia dei codici , non ne accertò il valore , e portò nella scelta della varia lezione le sue particolarissime preferenze . Il Carducci , spesso così giusto lettore , fu talvolta non pacato lettore ; e nella edizione del Poliziano , davanti a errori passati di codice in codice quasi per ozio della mente , né ebbe il coraggio di congetturare né ci lasciò nel commento ombra di dubbio . Quel quinto verso , ad esempio , della stanza CII ( « L ' altra al bel petto e bianchi omeri intesa » ) , così com ' è , non dà senso probabile . Altri l ' ha piegato a un ' interpretazione strana , con un ' aperta violazione della parola intesa ( « intenta , chinata coi suoi bianchi omeri » ) ; io correggerei sicuramente : « L ' altra al bel petto e a ' bianchi omeri intesa » . Ma più errò il Carducci nelle preferenze . E finché non ci saranno altre prove , noi contrapporremo le nostre preferenze , confortate dall ' autorità dei Codici riccardiani . Nella stanza LIV , il verso secondo suona così in quei codici : « E da questi arbor cade maggior l ' ombra » , che popola il luogo d ' alberi e ombre ( « all ' ombre » , dice infatti il v . 7 della stanza LII ) . Ma il Carducci accetta l ' altra lezione ricavata dalle stampe , forse da un errore di quelle stampe ( « E da quest ' arbor ecc . » ) . Il principio della stanza XXXIII chi non lo ricorda ? « Ah quanto a mirar lulio è fera cosa ! Rompe ecc . » . E il Carducci annota : « Veramente i due Codd . ricc . leggono romper la via , non interrompendo il periodo dopo l ' esclamazione del primo verso . Ma la lezione delle stampe fa molto più viva ed efficace la descrizione » . Che non è osservazione esatta . La lezione delle stampe rallenta invece la descrizione , toglie la giusta proporzione delle parti , confonde e livella quelle parti . La lezione dei codici , oltre la novità di quell ' impetuoso romper , riempie di meraviglia il secondo e il terzo verso , gli altri tre , com ' è giusto , lascia un poco in ombra , per quella dizione stremata , come fosse un particolare aggiunto alla pittura che ha il suo accento massimo su romper , e non dura al di là del terzo verso . Senza dire che questo è un esempio di bellissima , infrazione al comporre polizianesco per distici , a quell ' ottava concertante che fu delizia , e anche croce , del Poliziano . E prima di tutto fu delizia . Da questa specie di ottava , si sa , il Poliziano cavò tutti gli effetti , e vi lavorò con finissimi artifici . Pareva avvertisse che nel rigore di quella « divisione » stesse la sua salvezza , e che l ' asciuttezza delle impressioni , la diversità delle influenze non potessero trovare che in quella forma la loro giustificazione , il riscatto . Ciascuna delle influenze si traduceva in lui in impressione fortissima , e ciascuna impressione traboccava in un distico o in un verso solo . Dalla varietà poi nasceva l ' accozzo , concordante o discordante , ma sempre un accozzo . La sua natura ripugnava agli sviluppi , alla diffusione . Descriveva per segni rapidi , per cenni , quasi per simboli . Nessuna ricchezza di partitura , che pur qualche volta gli sarebbe servita per fondere e sostenere la narrazione , per esempio nella scena della caccia . Preferì un comporre per momenti , puntuale , vivacissimo , anche se talvolta secco . Rovesciò l ' ordine delle similitudini , delle similitudini classiche protratte e appoggiate sui due pernii soliti ( come .... così ) ; riassorbì l ' una parte , la seconda , e sempre dié risalto all ' altra , la prima , in una sorta d ' improvviso , come per ribadimento e chiusa del discorso . Non sacrificò mai nulla alla composizione , accettò il suo limite quasi per sfida . Ma nel suo limite si dimostrò artista impareggiabile . E variò continuamente l ' ordine della sua sintassi , con modi bellissimi . « Feciono e ' boschi allor dolci lamenti , E gli augelletti a pianger cominciorno » . Creata la distanza dei verbi , ecco crearsi come un doppio di spazio , ecco una maggior vaghezza dell ' armonia sostenuta su quei termini distanti , particolarmente addolciti dal colore antico e popolaresco ( il colore antico e popolaresco che salvò il Poliziano dall ' alessandrinismo ) . Come si chiama per figura quell ' allontanare due stessi elementi sintattici di un periodo e avvicinarne due altri ? Si chiama « chiasmo » . Poliziano adoprò il chiasmo come base del suo armonizzare . « Or poi che il sol sue rote in basso cala . E da quest ' arbor cade maggior l ' ombra , Già cede al grillo la stanca cicala , Già il rozo zappator del campo sgombra ecc . » . Ecco altro effetto dal medesimo artificio , fuggire nella successione la monotonia , con una perfetta alternanza . Ma l ' esempio più bello forse è dato dalla stanza XXV , che è uno dei miracoli del Poliziano , e su cui nulla ha potuto né l ' abitudine della memoria né il ricordo scolastico : Zefiro già di bei fioretti adorno Avea de ' monti tolta ogni pruina : Avea fatto al suo nido già ritorno La stanca rondinella peregrina : Risonava la selva intorno intorno Soavemente all ' ora mattutina : E la ingegnosa pecchia al primo albore Giva predando or uno or altro fiore . Con un doppio chiasmo che regola le due parti dell ' ottava , ciascuna di quattro versi , s ' ottiene nell ' una , per quell ' avvicinare i verbi , quasi un ritmo di festa , di festa che canta e s ' affretta , e nell ' altra s ' ampliano , per quell ' allontanarli , i confini della scena , già commentati in anticipo dal suono di quell ' « intorno intorno » . Due diverse misure , per una più perfetta rispondenza , direi meglio , per una più felice obbedienza alla verità d ' un ' impressione . E così , ancora una volta , il Poliziano ha saputo mantenere , preservare , la sua puntuale forza inventiva ; eccitare le parole in brevissimo , portarle al loro massimo rendimento . Perché questo è il proprio dell ' arte del Poliziano , bruciare i suoi temi . Nella sua povertà , egli è uno sperperatore . Nel secondo libro delle Stanze , decisamente , la poesia va mancando , ed è allora che al poeta pesa l ' angustia del suo comporre . Sperimentati ha tutti i modi per salvarsi dalla monotonia , per vincere il suo limite . L ' ottava , nella sua precisa netta divisione , consumata in ogni minima parte , non gli serve più , non gli basta ; e adopra altro stile . Non sa , non intende , che il difetto non è della forma , che gli par stanca , ma della poesia che gli si è stancata , e cerca dall ' esterno il rimedio , che non si può mai . Ma tenta . ( Così accadde , per citare un poeta di felicissimo istinto , all ' ultimo Di Giacomo , negli ultimi suoi inquieti anni , quando barattò le ben chiuse strofe delle Ariette per le più complesse combinazioni metriche , e la poesia di rado le allietò ) . Troviamo qui i primi esempi di similitudini sviluppate secondo il gusto classico , spezzature nel verso inusitate , infrazioni nell ' ordine strutturale delle stanze . La mente ricorda ben altre riuscite . ( « Quasi in un tratto vista amata e tolta ecc . » ) . Quelle erano violenze per virtù di poesia , e qui si applica l ' ingegno ; lì era la forza del realista , dell ' osservatore coraggioso , qui è l ' industria sostituita all ' ispirazione . Forza di realista , abbiamo detto , e prima abbiamo accennato al colore antico popolaresco della sua lingua . Sono i dati dello stile polizianesco , e bastarono , sì l ' uno che l ' altro , a salvare la sua poesia dall ' alessandrinismo , che occhieggia appunto nell ' ultime stanze , ricche dei più pensati artifici , perfino nelle rime , nelle rime rare , nelle rime equivoche , tutti vecchi ricalchi . C ' è differenza tra questo colore , questa vivacità da realista , e il Petrarca ? Oh che c ' entra il Petrarca ? È stato il Flora , nella sua per tante parti bella Storia della lett . it . , ad avanzare il dubbio d ' una confusione . « E non si tratta di riasserire col Foscolo che il Poliziano gli spiriti e i modi della lingua latina dei classici , trasfusi già nella prosa dal Boccaccio , fu il primo a trasfondere nella poesia , aggiungendovi quanta eleganza poté derivare dal greco .... Perché gli spiriti dei classici latini erano già stati trasfusi nella poesia fin da Dante : e il Petrarca giunse a un ' eleganza di trasfusioni , al cui confronto anche quella del Poliziano , e sia pure con l ' aggiunta della greca eleganza , è poco men che rozzezza » . Veramente chi riasserì col Foscolo ecc . ecc . aveva aggiunto ben altre determinazioni , e parlò di influenze della poesia italiana fino al Petrarca , parlò della poesia antica popolaresca ( c ' è un colorito popolaresco in Petrarca ? ) . Sopra tutto insisté sul termine « trasfusione » , che è del Foscolo , ed è una delle sue più felici invenzioni , da applicare , approfondendola , a quella variazione della poesia che è la poesia della poesia , e solo a quella . Del Petrarca , il Foscolo , per fuggir la confusione , disse ben altro . « Come egli dalle reminiscenze del dialetto materno e da quanti n ' udì , e da rimatori provenzali , siciliani e italiani stillasse , per così dire , una quintessenza di lingua poetica , è uno di que ' misteri ecc . ecc . » . Nel Poliziano , nessuna reminiscenza , intanto , di rimatori provenzali , e neppur l ' ombra di quella che il Foscolo , arcanamente , chiama « quintessenza » . Niente di arcano è nel lavoro del Poliziano : si notano , si toccano con mano , e le influenze e le sue reazioni , quel che riceve e quel che dà . Nel Petrarca , come in ogni poeta assolutamente grande , è la riemersione originaria d ' una lingua poetica . Foscolo dice « uno di que ' misteri che si sogliono attribuire al genio » . Che non sono parole da spendere per il Poliziano , ingegno sopra tutto elegante . Di quali suoi propri colori vestisse , dico vestisse , la poesia , s ' è mostrato , e non era difficile .
LA DIFFICILE ARTE DI LEONARDO ( DE ROBERTIS GIUSEPPE , 1939 )
StampaQuotidiana ,
Sarebbe dunque maturo un « caso Leonardo » , come s ' ebbe tant ' anni fa , coll ' apparire delle Carte napoletane , e tra le Carte napoletane degli Appunti e ricordi e dei frammenti di idilli , un « caso Leopardi » ? Quello fortemente interessò i frammentisti ; e una teoria estetica , ridotta alla propria causa , parve porgere aiuto a una scrittura rapida e estrosa , e illudere che veramente fosse il portato ultimo della poesia . Il gusto del non finito , la vaghezza dell ' espressione incompiuta , un quasi alone di sogno fecero e aiutarono il resto . E chi scrisse , e scrive ancora , appunti ; e chi descrisse e chi dipinse . Meglio fu per chi dipinse , cioè trasfigurò , sia pure in brevissimo , e in una semplice impressione . Ora Leonardo , con le sue illuminazioni , le sue folgorazioni , le sue visioni , proporrebbe da una parte antiche prove della poesia ermetica , dall ' altra creerebbe , e l ' ha dichiarato perentoriamente e con brusca chiarezza Marinetti , l ' antecedente primo e glorioso della poesia futurista . Marinetti giorni sono proclamava : che Leonardo « è stato il grandissimo futurista ( senza chiusure stagne e con la massima elasticità espansiva ) del suo tempo ossessionato dal bisogno quotidiano d ' inventare profondità psicologiche di pitture macchine aeree fortezze canali carri di assalto belletti per restaurare il viso delle donne ecc . » ; che Leonardo « predisse e invocò l ' attuale nostra simultaneità parolibera » ; che Leonardo « è l ' avo meraviglioso dei giovanissimi ventenni o venticinquenni poeti futuristi Buccafusca Pattarozzi Pennone Veronesi Averini Ganzaroli Forlin » ecc . ecc . ecc . Noi , dal canto nostro , che cosa avremmo da opporre ? Una cosa sola , un ' osservazione quanto mai modesta . Che , sì , Leonardo potrebbe per tanti aspetti e apparenze far pensare ai futuristi . Solo che c ' è in lui , oltre l ' inquietissima e demonica inventiva , una strapotenza d ' ingegno e d ' esperienza che proprio dà valore a quelle sue invenzioni , e dà , direi , una qualità rapinosa . In Leonardo , noi troviamo , sì , frantumi e scaglie ; ma hanno una loro forza drammatica , portano i segni d ' una fatica . Nei futuristi non portano nessun segno ; sono frantumi e scaglie di nulla . E facciamo credito ai venti e venticinque anni dei Buccafusca Pattarozzi Pennone Veronesi , che sono sempre una bella età . Dove ci ha dunque tirati Leonardo , questo Leonardo omo sanza lettere che Giuseppina Fumagalli ha apprestato con sommo amore ai lettori moderni ! Nessuna industria , veramente , le è mancata , per ordinare questo libro , e dividerlo e suddividerlo e annotarlo . Se nelle note non ci fosse , a volte , troppa industria , troppa sottigliezza , non ci fossero certe estetizzanti quisquilie . Un esempio basterà , e dove a pagina settanta si cita a gloria la famosa interrogazione alla luna : « La luna densa e grave , densa e grave come sta , la luna ? » . Non so per quale mai richiamo la Fumagalli ricorda il Leopardi . Ma sentite che sfumanti squisitezze . « Incisi lenti e bassi , intonati su due sole vocali : e , a , e l ' u di luna echeggiante al principio e alla fine come nota lunga di flauto cadente in deserta immensità » . Dice proprio così . E dice che per la « postura stessa delle parole » , quella notazione , fa pensare al Leopardi ; io immagino al principio del Canto notturno . E basterà la « postura delle parole » a convalidare l ' avvicinamento ? Il Leopardi domanda « che fa » la luna ( « Che fai tu , luna , in ciel ? » ) ; quale , cioè , è lo scopo , la ragione ultima , della sua esistenza ; a che fine sta lassù . Leonardo domanda « come sta » , come sta sospesa nello spazio , così « densa e grave » . È una diversa meraviglia , che dà diverso tono . Io insinuerei , e si prenda cum grano salis , un altro raffronto . Con gli un poco freddi , un poco volontari esperimenti dei più giovani liricisti d ' oggi . E per aiutare il raffronto trascriverei così : La luna densa e grave densa e grave come sta la luna ? Versi senza musica , o con una loro musica raggelata , che lascia un segno spaziale , più che non ne lasci uno nella memoria , a scaldarsi , per rifiorire tutte le volte , com ' è della poesia grande , o di quella particolare poesia grande che io chiamerei poesia segreta . E siamo sulla via , partiti , come s ' è visto , da un motivo polemico . E s ' intende che avremo lasciato per istrada i futuristi . Scaglie , frantumi , ho detto , di un ingegno grandissimo . Vorrei dire di più . Che di quelle scaglie , di quei frantumi , sì fortemente collocati sulla pagina bianca , a pigliare sempre più campo , noi possiamo rifare la storia , la drammatica formazione , possiamo misurare ciò che costano . Quando Leonardo dice : « L ' oro , vero figliol del sole » , non fa , in realtà , che risolvere in un lampo il suo sforzo di capire . E così , quando dice : « Negromanzia , stendardo over bandiera volante mossa dal vento » . E più assai , quando dice : « Apare tingere il suo camino colla similitudine del suo colore » , a cui abbiamo tolto la prima riga dilucidativa per servircene come d ' un titolo , ogni corpo che con velocità si move .... E avrà , in questo caso , prima visto l ' immagine folgorante che scoperto una verità . Solo rarissime volte non bisognerà nessuna dimostrazione , come quando improvvisamente dice : « Venne Ercole ad aprire il mare nel Ponente » ; sebbene la dimostrazione sia sottintesa e non paia , e colorisca e sostanzi quella nozione geografica assunta in forma di mito . E di meno assai abbisognerà questa immagine : « Movesi l ' aria come fiume e tira con seco li nuvoli » , con quella facilità delle parole a specchiare la cosa subito vista ; e vi aggiungerà una dolce musicalissima inclinazione . Anche la materia verbale nasce in Leonardo da una lunga fatica . Sempre per cercare la massima aderenza con la massima brevità , ed eccitare l ' inventiva . Pagine intere son piene di mucchi di parole , di elencazioni interminabili che nella sua mente dovevano essere tanti nuclei vivi di dove aspettava di sprigionarsi il suo parlar metaforico . Così , ad esempio , le definizioni e i vocaboli sulla materia delle acque ; e così dove studia e determina le diverse qualità delle acque ( « consumamento , percussione , ruinamento , urtazioni , confregazioni , ondazioni , rigamenti , bollimenti , ricascamenti , ritardamenti » , « salutifera , dannosa , solutiva , stilla , sulfurea , salsa , sanguigna , malinconica , frematica , collerica , rossa , gialla , verde , nera , azzurra , untuosa , grassa , magra » ) . Qualcosa di simile si troverà più tardi nello Zibaldone leopardiano , e dico specialmente in quei lunghi e sudati spogli linguistici , fatti per scaltrire la penna , o dati in consegna alla memoria , perché ne fiorisse all ' occasione un segno buono . Così , anche , si legge in margine ai più faticati Canti . Questo è il punto più alto dell ' arte e della scrittura di Leonardo . Il più difficile punto . Ma vi sono notazioni , intuizioni , d ' una felicità più quieta , quasi per nulla scontata . Sono le notazioni , le intuizioni che non vanno oltre il particolare , pianamente risolte , di una facile grazia , fermate in poche parole attente , come fossero un ricalco . « Rugose e globulente , come son le more » . « Quest ' onde si fanno per ogni linia , a similitudine della spoglia de la pina » . « Quelli che son morti vecchi hanno la pelle di color di legnio o di castagnia secca » . ( « E tale tonica di vene fa nell ' omo come nelli pomeranci , alli quali tanto più ingrossa la scorza e diminuisce la midolla quanto più si fanno vecchi » . O dove descrive gli alberi vecchi , dove distingue le varie nature di verde , e in certe parti delle Lettere sul gigante , e altrove . Una propagazione di questa forza d ' osservazione puntuale , netta , sottile , un potenziamento di questa sensibile facoltà di vedere si troverà in certi studi , studi di pittore che lasciano nella pagina assai più che una nota di colore . Sono quasi tutti raccolti in quella parte del libro che s ' intitola Le visioni , e più precisamente tra le « visioni naturalistiche » . Ecco le verdure nella nebbia ; gli edilizi della città e gli alberi della campagna , quando l ' aria è più grossa ; il fioccar della neve , quand ' è più bianca e quand ' è più scura ; e l ' azzurro che hanno i paesi , quando il sole è a mezzodì ; e l ' aria e il cielo e il color delle cose , quando il sole è in occidente ; e i prati con « minima , anzi quasi insensibil ombra » , dove l ' erbe sono a minute e sottili di foglie » ; e tutto , sempre , con « terminate ombre e lumi » . Ma la vista va oltre , osserva più campo , cerca , vede , misura . « Le cose vedute da lontano sono sproporzionate , e questo nasce perché la parte più chiara manda all ' occhio il suo simulacro con più vigoroso raggio che non fa la parte sua oscura » . Su quest ' osservazione , ecco l ' improvviso lampo : « Ed io vidi una donna vestita di nero con panno bianco in testa , che si mostrava due tanti maggiore che la grossezza delle spalle , le quali erano vestite di nero » . Ma , seguente ad altra ricerca , ecco il dato realistico a dirittura trasfigurato , con un movimento , uno sbattimento che vien dall ' anima : « Pon mente per le strade , sul far della sera , i volti d ' omini e donne quando è cattivo tempo : quanta grazia e dolcezza si vede in loro » . Per altra via , è un ricongiungersi a quello che s ' è detto il punto più alto di Leonardo . E non sono che pochi esempi di ciò che si vuoi dimostrare . Tutto Leonardo è in questa fatica di vedere oltre l ' apparenza , o dar senso , un vergine senso , alle apparenze . Alle cose più labili , luci , ombre , colori ; e alle cose più imprendibili , i fenomeni della vita universa . E anche nella sua fatica c ' è la luce e l ' ombra . Dove l ' occhio vede e direi inventa ( egli parla a un certo luogo del disegno come invenzione , che « non solo ricerca le opere di natura , ma infinite più che quelle che fa natura » ) ; e dove scruta e penetra e s ' affanna e qualche volta si perde . Questa è la fascinosa lettura di Leonardo . Egli è lo scrittore più difficile e insieme più facile . Se lo leggi intero , hai il premio ch ' egli stesso si meritò , scrivendo e studiando ; e quasi avverti dove si stacca a volo , e con lui voli . Se lo frammenti troppo , lo frantumi , ciò che è vivo smuore , e non gli circola più l ' aria intorno . Giuseppina Fumagalli ha fatto bene a non frammentarlo e frantumarlo più di tanto ; per aiutar la voglia del lettore , e quasi condurlo per mano agli impennamenti . E ha fatto bene a scegliere altre pagine per disteso , quasi a dare la controprova della grandezza di Leonardo , così come noi crediamo d ' averla spiegata . Sono le pagine dove lo scrittore sul filo d ' un ragionamento , in forma d ' argomentazione , monta coi suoi lunghi periodi , mai sazio di arricchirli . E non è ricchezza vera , ma lusso , facile lusso . O è un esempio di prosa eloquente , con i saputi effetti della prosa eloquente . Certo non è il Leonardo che noi amiamo , il Leonardo poeta , il Leonardo segreto . La via per cercarlo c ' è . Ma è una via che ognuno bisogna ripercorra per suo conto , da sé . Giuseppina Fumagalli dice ora che sta preparando una scelta di questa sua scelta , una specie di antologia perversa , e che l ' intitolerà I canti di Leonardo . È un ' idea che trent ' anni fa avrebbe incontrato favore . Oggi mi par tardi . Liberare quelli ch ' ella chiama « canti » , è fatica vana ; vuoi dire toglier loro qualcosa ; ché molto rimarrà imprigionato nella loro matrice . Si speculerà allora , e quanto ! , sui frammenti ; si tradirà il senso di quei frammenti . E si dimenticherà ciò che in Leonardo è più bello , il suo sforzo di creare . Che è il suo canto inespresso , il suo canto per tutto imminente .
LA FORTUNA DELL'AMINTA ( DE ROBERTIS GIUSEPPE , 1942 )
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La storia della fortuna dell ' Aminta è , s ' intende , la storia delle scoperte e degli errori del lavoro e del pensiero critico intorno all ' Aminta , storia del gusto in senso alto ; e noi la faremo , più specialmente , per gli ultimi cinquant ' anni . Da quando il Carducci , con i suoi tre famosi saggi ( I ° L ' « Aminta » e la vecchia poesia pastorale ; 2° Precedenti dell ' « Aminta » ; 3° Storia dell ' « Aminta » ) , tutto cercò , a tutto badò , tranne che all ' arte dell ' Aminta , alla sua formazione , anzi alla sua elaborazione , fino agli ultimi studi , volti a considerare l ' Aminta in sé , nel suo valore poetico , ma scissa quasi sempre dalla sua vera ragione e condizione . E non parliamo dei tradimenti operati dalla critica ( se così deve chiamarsi ) psicologica e romanticheggiante che , al solito , contagiò l ' esame di quella « favola » , in tutto risolta e liberata , con la sovrapposizione della biografia del Tasso . L ' arte del Tasso fu , per quella cosiddetta critica , un pretesto per raccontare , complicandole , le vicende della sua vita , e vederne il riflesso , per l ' appunto , in una delle sue opere che ne restò impeccabilmente immune . I critici estetici , più nel vero , non fecero che sviluppare , ma spesso astrattamente , più con sottigliezza che su una fidata lettura , un giudizio del De Sanctis , sia che vi si accordassero sia che se ne scostassero ; un giudizio preparato e lavorato nel capitolo , sul Tasso , della sua Storia della Letteratura italiana , e che ribalena nel principio del capitolo sul Marino . « Questo mondo lirico , che nella Gerusalemme si trova mescolato con altri elementi , apparisce in tutta la sua purezza idillica ed elegiaca nell ' Aminta . Ivi il Tasso incontra il vero mondo del suo spirito e lo conduce a grande perfezione » . Il De Sanctis scoperse questo mondo , « mescolato con altri elementi » , nella Gerusalemme . Un cenno fuggevole al Rinaldo , un insufficiente cenno alle Rime ( « Delle sue rime sopravvive qualche sonetto e qualche canzone , effusione di anima tenera e idillica . Invano vi cerco i vestigi di qualche seria passione . Repertorio vecchio di concetti e di forme , con i soliti raffinamenti » , e seguitando : « I sentimenti umani sono petrificati nell ' astrazione di mille personificazioni .... e nel gelo di dottrine platoniche e di forme petrarchesche » ) , rendono chiaro che a intendere la formazione dell ' Aminta , il farsi del suo linguaggio , era al tutto fuori strada ; e gli mancava il gusto per queste esplorazioni . Ma dopo ? Il Carducci perseguì , secondo il suo costume , la storia ( storia invero tutta esterna ) della particolare forma ( o genere ) di quella « favola pastorale , o più largamente boschereccia e campestre » , non s ' interessò al determinarsi della più personale forma e espressione : e del resto mostrava di apprezzare poco le Rime , e di conoscerle ancora meno : e gli sfuggì il problema . L ' edizione delle Rime del Solerti , se pure incompiuta e imperfetta , ma ragguardevole , non decise gli studiosi a considerarle altro che fuggevolmente . Il Sainati ne cavò una sorta di commentario perpetuo , ricco di osservazioni e notizie puntuali , e basta . Ma il suo esame né lui né altri poi lo approfondirono . Le Rime del Tasso rimasero un libro non letto ; o letto e frainteso , come nel caso del Donadoni , critico per eccellenza impigliato in compromessi psicologistici , impigliato nelle difficoltà di non saper risolvere i rapporti tra biografia e poesia , poetica e poesia . E non è a dire che quanti si misero a cercarle in seguito fossero trattenuti dalle imperfezioni del lavoro del Solerti , dal suo apparato critico difettoso , che non arriva a fare storia , perché non chiarisce i tempi e i passaggi delle varie lezioni , e insomma i tempi del linguaggio poetico delle Rime ( storia che noi aspettiamo da un giovane a ciò preparato , il Caretti , il quale darà per la « Crusca » la novissima edizione delle Rime ) : la loro attenzione non degnava simili squisitezze . La ragione è invece un ' altra . Quei distratti lettori , per dirla semplicemente , non s ' accorsero , non sospettarono che da quelle Rime fosse nata l ' Aminta ; e che nasce proprio di lì il suo esprimersi fuso corrente , la sua metrica , la sua musica , anzi ne è essa , sotto questo triplice aspetto , la conclusione e l ' arricchimento . Mettiamoci pure l ' influenza di quei tanti poeti latini e cinquecentisti che scrissero favole pastorali , o boscherecce e campestri , e idilli e egloghe ; e mettiamoci , ancora più , gli elegiaci latini , come vide il Foscolo . Se di qui viene un particolare tono e impasto , e un ' inventività melica ( ben altro , dunque , che lo studio d ' una forma e d ' un genere ) , il farsi e graduarsi di quel tono o impasto , di quella inventività melica , è da ricercare appunto nelle Rime del Tasso che precedono l ' Aminta ( ben altro , dunque , che « portento » , come parve al Carducci ) . Ma bisogna distinguere tra rime e rime . Io direi che l ' avvio alla felicità espressiva dell ' Aminta , nei suoi momenti più alti , è da ricercare nei madrigali , nello stile madrigalesco ; la durata della favola , nella somma delle rime nei più diversi timbri . Il Tasso , come tutti i lirici del '500 , pagò prima il suo tributo al bembismo , specie nei sonetti , in quei sonetti di una tecnica sempre un poco « scostata » , che ora riflette come in un indifferente specchio l ' autobiografismo irrisolto e l ' aggrava , ora raggela la ineguale lirica occasionale . Per questa via non s ' arriva al parlato dell ' Aminta , né s ' arriva alle risoluzioni ariose di quel parlato , né , tanto meno , s ' arriva agl ' intermedii e ai cori . Ma i madrigali sono il superamento del bembismo ( crisi per saturazione ) , sebbene di pura tecnica , e perciò stesso affinamento non superamento , e sostituiscono al rallentato dei sonetti un leggerissimo fugato , con un gioco di esili ritmi e un contrappunto labile ( riscattano però anche il dato biografico in fantasia , consumano e riconsumano quel dato biografico ) . Ora , certe parti dell ' Aminta , stando tra questi due opposti modi ( o dizioni ) , e rappresentandone il potente accordo , sostengono la recitazione dei sonetti con un accento più caldo e sciolto , il fugato dei madrigali con un respiro poetico . Così il sofferto si cela dietro le figure e i miti , quasi con un vivo colore di perla ; la tecnica , né tesa né sottesa , ha una sua rozzezza limpida e elegante . Fu detto che l ' Aminta è tutto un madrigale ; io direi che è il presentimento della favolosa e felice opera in musica settecentesca e , come in essa , la stessa sensualità è felice , e la malinconia è felice , tutto ombra felice . Ma c ' è un ' altra qualità intrinseca che l ' avvicina alla nominata opera in musica ( e si pensi alla musica più che alle parole ) : quello sciogliersi del recitativo e del parlato in canto , quel salire gradatamente di tono fino al canto . Già il recitativo , il parlato , porta sempre nell ' Aminta un ' aria di canto , non è mai prosastico ; ed è quella motivazione del recitativo a colorire il canto , direi ad appassionarlo . Uno stile madrigalesco , ma nutrito , inebriato . Il De Sanctis disse che l ' interesse dell ' Aminta « è tutto nella narrazione , sviluppata liricamente » . Avvicinate i due termini , narrazione , lirica , e dite piuttosto che , più che narrare e rinarrare , nell ' Aminta si modula e rimodula , con una dolce sazietà . Di atto in atto , certi temi sono riproposti con una sempre maggiore affettuosità d ' intonazione , si riprovano in tutta la loro capacità emotiva . Cosicché se le parti narrative generano ognuna modi più liberi e sciolti , nella stessa logica degli atti , e della favola intera , accadono queste fortunate risollevazioni . A posta forse il Tasso cominciò l ' Aminta con un « prologo » , e la compì con un « epilogo » , come in due direzioni distanti e congiunte , due segni , due simboli ; quello in tutti endecasillabi , questo in strofe liriche . E secondo la stessa logica finì gli atti con i cori e gli intermedii , cioè con strofe liriche . Questi cori , questi intermedii , e più le parti liriche portate in cima dal parlato , sono il fiore della poesia tassesca . Nascono insieme da ispirazione e da un mestiere stragrande . Varrebbe la pena farne la storia . Una , tutta presente , toccante , e vi abbiamo accennato parlando di quello stile madrigalesco motivato dal recitativo , un ' altra , più lontana , più lunga , e bisognerebbe , per illustrarla , risalire alle Rime e alla loro formazione lentissima . Per far questo , s ' aspetta che il Caretti ci abbia dato il suo studio delle lezioni varianti .