Tipi di Ricerca: Ricerca per parole
Trova:
> categoria_s:"StampaQuotidiana" > autore_s:"MONTANELLI INDRO"
16 MARZO. KOVANIEMI ( MONTANELLI INDRO , 1940 )
StampaQuotidiana ,
Juhani morì il 7 marzo mentre tornava a Inari con la sua pulca . Morì per strada e la renna forse nemmeno se ne avvide . Quando arrivò a Utsamo , a cinque chilometri dal villaggio e dalla chiesa , i compagni lo condussero su quella stessa pulca al cimitero e qui lo interrarono . L ' orazione funebre fu questa : " Ti ringraziamo , nostro Signore , di avere fatto morire Juhani ora che è inverno . Se fosse morto d ' estate , quando le renne pascolano e le pulche sono ferme , avremmo dovuto lasciarlo nella foresta coperto di rami e di foglie , eppoi aspettare che la neve tornasse a cadere per dare al suo corpo il dovuto riposo " . Io non ho le statistiche precise , ma credo che Juhani sia l ' unico lappone morto in questa guerra . In suo onore non è stato elevato nessun monumento . Quando i Russi cominciarono a calare da Petsamo , l ' unica misura che i lapponi presero fu quella di aggiungere una traduzione in russo ai cartelli appesi agli alberi della foresta che dicevano : " Per piacere , fate attenzione a non buttare fiammiferi né altra roba che brucia nel bosco , specialmente quando il bosco è secco . Soltanto in questo modo potremo salvarci dagli incendi " . I lapponi non odiano - e forse non amano - nessuno . Solo Juhani aveva contro i Russi un fatto personale per via di una certa storia che gli aveva raccontato suo nonno . La storia era questa : un giorno un Russo venne a stabilirsi nel distretto di Inari e dichiarò che avrebbe messo su un branco di renne . I lapponi dei dintorni che possedevano anche loro dei branchi , in ognuno dei quali le renne erano segnate da un tatuaggio speciale all ' orecchio , chiesero al Russo di far sapere alla collettività qual era il tatuaggio che egli intendeva adottare per riconoscere le renne sue quando erano al pascolo con le altre . Il Russo rispose che le renne sue si sarebbero riconosciute perché lui le orecchie gliele avrebbe addirittura tagliate . I lapponi non trovarono nulla da ridire . Però nei tempi che seguirono avvenne che ora a uno ora all ' altro branco una renna ogni giorno mancava , mentre il branco del Russo aumentava proprio di una renna al giorno . Allora i lapponi cominciarono a pensare e dopo aver pensato bene bene il Russo finì in prigione . Juhani si ricordava di questa storia e per questo odiava i Russi e per questo quando i Russi cominciarono a calare da Nord si arruolò nei cacciatori di capitan Pajakka . Egli venne al campo con la sua renna , la sua pulca e il suo cane . E con la renna , la pulca e il cane cominciò a fare la guerra . Delle gesta di Juhani non è rimasto gran ricordo , ma solo delle sue storie . Juhani sapeva mille storie e sapeva raccontarle . Sapeva per esempio la storia del primo cane diventato amico dell ' uomo . Questo avvenne molti e molti anni fa , quando nemmeno il nonno di Juhani era nato . Il cane era allora un animale feroce e cacciava nel bosco insieme al lupo . Poi il lupo lo scacciò e allora il cane , che da solo non sapeva cacciare , divenne il paria degli altri animali più forti e viveva dei resti delle loro prede . Però un giorno esso incontrò nel bosco un lappone che cercava di riunire il suo branco di renne e non ci riusciva . Il cane si offrì di aiutarlo e così fa i due fu stabilito un patto : il cane bada il branco delle renne , lo riunisce e avverte l ' uomo quando i lupi stanno per venire . In compenso egli riceve un pezzo di carne al giorno , ha diritto di mangiare tutti . i resti che trova per strada , a non essere picchiato quando è stanco e a morire per impiccagione quando è vecchio . Questo fu , secondo Juhani , il primo e vero patto stabilito fra cane e uomo . E siccome il cane ha sempre mantenuto i suoi impegni , così anche l ' uomo deve mantenere i suoi , compreso quello d ' impiccare il vecchio cane , come appunto fanno i lapponi . Capitan Pajakka si divertiva alle storie di Juhani . Egli non aveva molta stima di lui come guerriero , ma diceva che i lapponi essendo non le spine ma i fiori della Finlandia era giusto che non sapessero combattere e uccidere . A metà dicembre la compagnia si trovava a Ivalo e i soldati vivevano in baracche di legno . Juhani stava col capitano che a sua volta stava col cannone . Perché c ' era un vecchio cannone russo a Ivalo , un cannone del '18 , l ' unico cannone della Lapponia . Capitan Pajakka prima di ripartire con i suoi uomini verso il Nord disse a Juhani : " Tu rimarrai a far la guardia al cannone " . E Juhani rimase . Egli trovò che la guerra non è un sacrificio né un eroismo . Queste parole del resto al suo povero vocabolario di lappone erano ignote . A Ivalo egli era solo col suo cane che si chiamava Leikko , la sua renna che si chiamava Peikko , e il suo Scita , cioè il suo Dio , che si chiamava Ukon , cioè il Vecchio . Ukon era un buon uomo , lappone anche lui , e Juhani per onorarlo gli consacrò un grosso macigno . Era intorno a questo macigno che Peikko pascolava il lichene rompendo col muso la crosta di ghiaccio e Leikko le montava la guardia proprio come ai primi tempi del patto . Juhani , a cavallo del cannone dentro la capanna di legno , canticchiava all ' infinito , nel vuoto buio , l ' antica e bella storia di Battje e Nanna . Il lume della lanterna oscillava , i giorni passavano uguali , uguali alle notti che anch ' esse erano uguali . Nell ' angolo c ' erano scatole da mangiare , scaffali di galletta e una botte che capitan Pajakka aveva raccomandato di non toccare . Per molti giorni Juhan non la toccò . Poi una volta , chissà come , gli venne fatto di aprirne il coperchio . Chi gli consigliò quel gesto ? Forse Ukon , forse Leikko . C ' era dentro qualcosa che somigliava ad acqua , come acqua era ingenua ed incolore . Juhani vi vide rispecchiato il suo volto dagli zigomi acuti , dagli occhietti ridenti , come nel lago a primavera o nel torrente . Sullo specchio si curvò fino a toccarlo . Quell ' acqua chiara mandava un forte odore che , a respirarlo , dava una strana e felice torpidezza alla testa . Juhani lo respirò e quel giorno nella storia di Battje e Nanna gli venne fatto di apportare felici innovazioni personali che molto gli piacquero . Per un pezzo , nei giorni che seguirono , egli non riaprì la botte . Poi una notte di vento e di lupi vi si riaccostò . Il vecchio anno era finito e quello nuovo cominciato - lo si vedeva da una pallida colata di latte che per poche ore velocemente allungantisi interpolava la notte - quando un giorno capitan Pajakka tornò a Ivalo . Vi tornò con tre uomini soli , dopo due giorni e due notti di marcia nella neve : i volti erano infossati sotto il velame della barba lunga , sulle ciglia la neve si era rappresa in lacrime di ghiaccio . La porta della capanna era chiusa , ma dalle fessure si vedeva la luce filtrare e dentro qualcuno cantava . I quattro uomini ristettero , non capivano , bussarono , nessuno venne ad aprire , ribussarono , la voce seguitava a cantare . Quando ebbero buttato giù la porta a spallate , videro Juhani a cavallo del cannone che gridava qualcosa di cattivo contro Leikko impiccato a un gancio sopra il macigno di Ukon e Peikko con le orecchie monche distesa accanto alla botte e ubriaca fradicia di vodka . Capitan Pajakka non disse nulla , prese Juhani tra le sue forti braccia come un padre prende un bambino malato , lo stese sul tappeto di renna , aspettò che il sonno venisse . Intanto diceva dolcemente : " Perché hai impiccato Leikko ? Perché hai impiccato il cane ancora giovane ? Tu non hai rispettato il patto , Juhani , e sventura te ne verrà . Ukon era presente e ha visto tutto . È la prima volta che un lappone impicca il cane ancora giovane e taglia le orecchie alla renna e si ubriaca di vodka . Domani partiremo , Juhani , per abbandonare questo luogo di sventura , ma la sventura ti seguirà " . L ' indomani partirono con le renne che trascinavano il cannone , e il viaggio fu penoso . Juhani seguiva senza pulca tirando Peikko dalle orecchie monche . Stavolta ci vollero tre giorni e tre notti per arrivare a Nautsi . Ogni tanto si fermavano e dormivano in un buco di neve , vigilati dai cani di Lapponia . A Nautsi c ' erano i soldati , non proprio nel paese , ma un poco più a Nord , sulla strada dove i Russi stavano avanzando . Si udivano in quella direzione fucilate stracche e un gran clamore di motori . A un certo punto Juhani prese la pulca , vi attaccò Peikko e disse che voleva andare nella foresta a cercare Leikko che si era perduto . Capitan Pajakka cercò di dissuaderlo dicendogli che Leikko sarebbe tornato da solo e che nella foresta era pericoloso andarci per via dei Russi che pattugliavano dovunque ; ma Juhani insistè e capitan Pajakka comprese che non c ' era nulla da fare . Juhani diceva che sentiva due voci che lo chiamavano nella foresta : una veniva di fuori ed era quella di Leikko , l ' altra veniva di dentro ed era quella di Ukon . Così mosse con la pulca e per quel giorno più nessuno lo vide . Tornò l ' indomani all ' alba e disse che aveva inseguito Leikko di qua e di là e che Leikko a un certo punto si era lasciato prendere , ma solo per svanirgli nelle mani come una nuvola a primavera e proprio nello stesso istante , preceduta da un gran colpo , egli aveva udito la voce di Ukon che gli comandava di tornare a Inari , dove Leikko lo attendeva . Parlando , un rivolo di sangue gli scorreva dalla bocca atteggiata a sorriso . Poi aggiunse che ora doveva sbrigarsi a tornare perché Leikko poteva anche spazientirsi del ritardo . E capitan Pajakka non si oppose . Così tornò Juhani a Inari e per strada morì . Credo proprio che sia l ' unico lappone morto in questa guerra , e delle sue gesta non è rimasto gran ricordo , ma solo delle sue storie .
FUOCHI SUL TIGRAI ( MONTANELLI INDRO , 1935 )
StampaQuotidiana ,
Il Tigrai è di una bellezza senza sorriso , incurante di se stessa e insensibile all ' elogio . Non si aderge e non si avvalla , nonostante le forre che lo solcano e le ambe che lo increspano : sta . Altri paesaggi di questa terra d ' Africa son mobili e vari , trasmutano di colore , si abbigliano con cangevole fantasia all ' alba e al tramonto , mutano secondo la prospettiva , civettano con chi guarda , cercano di sedurre con infingimenti da femmina . Ma il Tigrai taciturno supino sotto un cielo di cobalto , sembra aver dimenticato per sempre , o forse sempre ignorato , la chimica complicata del belletto . Né torvo né accogliente , ci si è parato davanti dopo la valle dell ' Hasamò bella e micidiale come il canto di una sirena : immenso scenario di pietra , refrattario all ' orpello e immemore dell ' avventura umana che nel suo sfondo si svolgeva . Re senza corona , ras Seium ha abbandonato il suo regno . Ma il suo ringhio feroce giunge ancora d ’ oltre i torrioni segmentati di monte Raio , dove andremo a scovarlo dopo la sosta . Le sue orde lo abbandonano : i fitaurari , i barambaràs , i barciai gli sfuggono di mano , si sottraggono all ' ipnosi di questo Marte etiope , temuto e odiato . Giusto ieri il Deggiaz Ghezzesillassi si presentò al campo del Ventesimo con la sua banda armata a far atto di omaggio al giusto e potente Governo italiano e al Signore bianco che lo rappresenta . Egli ci disse che Seium si ritirava e , pur ritirandosi si faceva sempre più torvo e solitario . " Tigre dell ' altopiano , " lo chiamano i Tigrini ; e , pur ora che la sua signoria volge al tramonto e le diserzioni gli fanno il vuoto attorno , il suo prestigio non crolla . Se ne paventa il ritorno che si lascerebbe dietro una scia lunga di stragi e incendi : se ne auspica la fine , come il risveglio da un incubo angoscioso . Intanto su questo Tigrai che , al primo entrarvi , trovammo deserto di uomini e di bestiami , rinascono come per incanto greggi e mandrie . Il Tigrino leva la testa al cielo e benedice la misericordia di Dio discesa in terra sotto le spoglie del Governo Italiano , che lascia , nonostante la guerra , intatti i campi e il bestiame . " Sono suddito del Governo , " disse un pastore a un ascari che tentava di rapirgli un capretto e si aderse minaccioso , fissandomi , ad attendere che Goitana sanzionasse con una parola o con un gesto . " Civis italicus sum . " So di qualche stregone che a donne e uomini di tribù confinanti , atterriti dal cupo brontolio del cannone , ha suggerito quella formula , pur debitamente tradotta in suo linguaggio , come antidoto di ogni possibile catastrofe . Solo il nuovo ascari non è convinto , guarda con malinconia . Si è arruolato per la guerra , con l ' idea della guerra : un ' idea che non ha niente che fare con questa realtà . Guerra implica morte o razzia . Qui , dietro al nemico che fugge , pascola il bestiame fra l ' erbe grasse , e nei tukul , a sera , cuoce la burgutta : tutto è come prima . Una guerra questa ? C ' è perfino l ' obbligo di camminare lungo i sentieri per non pestare il taf e la dura : è veramente misterioso questo Signore bianco venuto dall ' Italia con i suoi stormi d ' aeroplani , con le sue mitragliatrici crepitanti , con quelli strani cosi che somigliano a automobili , ma che salgono su ogni picco , discendono in qualsiasi fosso e spargono attorno morte e terrore . Potrebbe bruciare , saccheggiare , sterminare , e invece costruisce , protegge , bonifica . Bella pel nuovo ascari sarebbe la razzia secondo la vecchia consuetudine di guerra : precipitare , urlando , a valle e appiccar fuoco ai tukul e rubare femmine , talleri , buoi e poi , a sera , le folli fantasie attorno ai bracieri inceneriti , i lunghi cori della vittoria , la spartizione complicata del bottino sotto il controllo severo e imparziale di Goitana e il carnevaleggiare per tutta la notte nei manti rossi o sui drappi tolti al nemico , con gli spari a salve e le daghe arcobalenanti in aria . " Come allora " dice Teremmà Uorchè ch ' è stato a Adua . Invece , l ' hanno messo a far strade . Il nuovo ascari odia il lavoro in genere perché lo ritiene incompatibile con la dignità del soldato , e il lavoro di strada in specie perché toglie ogni fantasia al suo nomadismo . Seguir una strada significa accettare la logica di un altro . È un ' abdicazione troppo grave . All ' ascari che marcia piace inventarla la strada : non avere davanti a sé che il cavallo di Goitana e poi ricamar secondo capriccio , galoppando a traiettoria perpendicolare lungo la roccia , procedere o attardarsi lungo la petraia del torrente . Questo Signore bianco è veramente incomprensibile : in guerra lascia il fucile per la vanga e non si dà pace finché non si vede davanti e di dietro un rivolo di pietre bianche e di terra battuta . S ' è sparsa la notizia e da principio non ci volevan credere che in dieci giorni i nazionali che operano alla nostra destra hanno costruito la strada dal confine ad Adua : quaranta chilometri in dieci giorni , quaranta chilometri di Tigrai ! Il Tigrai soltanto sembra insensibile a questo miracolo . Gli indigeni , disorientati come formiche non riconoscono il loro sentiero , vanno , vengono , s ' inchinano ogni giorno più a terra , mescolano tutte queste cose incomprensibili con l ' idea di Dio e sigillano la loro incapacità a comprendere con un pio segno della Croce . Ma il Tigrai non se ne accorge . Di miracoli non crede che a quelli celesti e forse nemmeno a questi . La sua immobilità è già di per se stessa un miracolo , con quel che di eterno essa spira . Ha sentito penetrargli nel fianco la punta aguzza del piccone italiano che , implacabile e monotono , lo martella dall ' alba al tramonto , ma non se ne fa . Pensa che i picconi si smussano , che i muscoli s ' afflosciano , che i nervi si logorano . Forse pensa che noi non si potrà nulla contro questa sua granitica maestà . O Italia , che meraviglioso lavoro di civiltà Dio ti ha assegnato quaggiù ! Tigrai ! A me questo accigliato gigante di pietra dà una sensazione complessa , mescolata , come quando , piccino , m ' avvicinavo agli elefanti del Circo equestre , forte della mia fragilità , e chiedevo che mi issassero sul groppone . Qui , in questa petraia angusta di Alissàt Atri , me lo vedo tutto disteso con le sue scalinate digradanti a rilento e i suoi picchi improvvisi , come isolotti emersi da un mare di nebbia . Ma più bello è di notte , quando si veglia ai margini del bivacco e tutto s ' accende di fuochi che lo punteggiano , come fossero gli occhi fosforescenti di un immenso mostro silenzioso . Han ragione gli ascari che nei loro canti se lo rappresentano come l ' ultimo epigono di una razza di giganti partoriti direttamente dalla terra che li concepì in un amplesso smisurato col cielo e gli dànno voce e sensi e aspirazioni umane . È vivo , infatti , il Tigrai , anche se sono spenti i crateri dei suoi enormi vulcani . E credo anch ' io a quel che si dice : che , sotto la pelle dura , fluisca un sangue ricco di ferro che ogni tanto spumeggia anche , se si incrosta alla superficie . Il pensiero di quel sangue , a me Italiano , dà le vertigini . E qualcuno già sorride al sogno della ricchezza che ne prenderà domani .