StampaQuotidiana ,
Juhani
morì
il
7
marzo
mentre
tornava
a
Inari
con
la
sua
pulca
.
Morì
per
strada
e
la
renna
forse
nemmeno
se
ne
avvide
.
Quando
arrivò
a
Utsamo
,
a
cinque
chilometri
dal
villaggio
e
dalla
chiesa
,
i
compagni
lo
condussero
su
quella
stessa
pulca
al
cimitero
e
qui
lo
interrarono
.
L
'
orazione
funebre
fu
questa
:
"
Ti
ringraziamo
,
nostro
Signore
,
di
avere
fatto
morire
Juhani
ora
che
è
inverno
.
Se
fosse
morto
d
'
estate
,
quando
le
renne
pascolano
e
le
pulche
sono
ferme
,
avremmo
dovuto
lasciarlo
nella
foresta
coperto
di
rami
e
di
foglie
,
eppoi
aspettare
che
la
neve
tornasse
a
cadere
per
dare
al
suo
corpo
il
dovuto
riposo
"
.
Io
non
ho
le
statistiche
precise
,
ma
credo
che
Juhani
sia
l
'
unico
lappone
morto
in
questa
guerra
.
In
suo
onore
non
è
stato
elevato
nessun
monumento
.
Quando
i
Russi
cominciarono
a
calare
da
Petsamo
,
l
'
unica
misura
che
i
lapponi
presero
fu
quella
di
aggiungere
una
traduzione
in
russo
ai
cartelli
appesi
agli
alberi
della
foresta
che
dicevano
:
"
Per
piacere
,
fate
attenzione
a
non
buttare
fiammiferi
né
altra
roba
che
brucia
nel
bosco
,
specialmente
quando
il
bosco
è
secco
.
Soltanto
in
questo
modo
potremo
salvarci
dagli
incendi
"
.
I
lapponi
non
odiano
-
e
forse
non
amano
-
nessuno
.
Solo
Juhani
aveva
contro
i
Russi
un
fatto
personale
per
via
di
una
certa
storia
che
gli
aveva
raccontato
suo
nonno
.
La
storia
era
questa
:
un
giorno
un
Russo
venne
a
stabilirsi
nel
distretto
di
Inari
e
dichiarò
che
avrebbe
messo
su
un
branco
di
renne
.
I
lapponi
dei
dintorni
che
possedevano
anche
loro
dei
branchi
,
in
ognuno
dei
quali
le
renne
erano
segnate
da
un
tatuaggio
speciale
all
'
orecchio
,
chiesero
al
Russo
di
far
sapere
alla
collettività
qual
era
il
tatuaggio
che
egli
intendeva
adottare
per
riconoscere
le
renne
sue
quando
erano
al
pascolo
con
le
altre
.
Il
Russo
rispose
che
le
renne
sue
si
sarebbero
riconosciute
perché
lui
le
orecchie
gliele
avrebbe
addirittura
tagliate
.
I
lapponi
non
trovarono
nulla
da
ridire
.
Però
nei
tempi
che
seguirono
avvenne
che
ora
a
uno
ora
all
'
altro
branco
una
renna
ogni
giorno
mancava
,
mentre
il
branco
del
Russo
aumentava
proprio
di
una
renna
al
giorno
.
Allora
i
lapponi
cominciarono
a
pensare
e
dopo
aver
pensato
bene
bene
il
Russo
finì
in
prigione
.
Juhani
si
ricordava
di
questa
storia
e
per
questo
odiava
i
Russi
e
per
questo
quando
i
Russi
cominciarono
a
calare
da
Nord
si
arruolò
nei
cacciatori
di
capitan
Pajakka
.
Egli
venne
al
campo
con
la
sua
renna
,
la
sua
pulca
e
il
suo
cane
.
E
con
la
renna
,
la
pulca
e
il
cane
cominciò
a
fare
la
guerra
.
Delle
gesta
di
Juhani
non
è
rimasto
gran
ricordo
,
ma
solo
delle
sue
storie
.
Juhani
sapeva
mille
storie
e
sapeva
raccontarle
.
Sapeva
per
esempio
la
storia
del
primo
cane
diventato
amico
dell
'
uomo
.
Questo
avvenne
molti
e
molti
anni
fa
,
quando
nemmeno
il
nonno
di
Juhani
era
nato
.
Il
cane
era
allora
un
animale
feroce
e
cacciava
nel
bosco
insieme
al
lupo
.
Poi
il
lupo
lo
scacciò
e
allora
il
cane
,
che
da
solo
non
sapeva
cacciare
,
divenne
il
paria
degli
altri
animali
più
forti
e
viveva
dei
resti
delle
loro
prede
.
Però
un
giorno
esso
incontrò
nel
bosco
un
lappone
che
cercava
di
riunire
il
suo
branco
di
renne
e
non
ci
riusciva
.
Il
cane
si
offrì
di
aiutarlo
e
così
fa
i
due
fu
stabilito
un
patto
:
il
cane
bada
il
branco
delle
renne
,
lo
riunisce
e
avverte
l
'
uomo
quando
i
lupi
stanno
per
venire
.
In
compenso
egli
riceve
un
pezzo
di
carne
al
giorno
,
ha
diritto
di
mangiare
tutti
.
i
resti
che
trova
per
strada
,
a
non
essere
picchiato
quando
è
stanco
e
a
morire
per
impiccagione
quando
è
vecchio
.
Questo
fu
,
secondo
Juhani
,
il
primo
e
vero
patto
stabilito
fra
cane
e
uomo
.
E
siccome
il
cane
ha
sempre
mantenuto
i
suoi
impegni
,
così
anche
l
'
uomo
deve
mantenere
i
suoi
,
compreso
quello
d
'
impiccare
il
vecchio
cane
,
come
appunto
fanno
i
lapponi
.
Capitan
Pajakka
si
divertiva
alle
storie
di
Juhani
.
Egli
non
aveva
molta
stima
di
lui
come
guerriero
,
ma
diceva
che
i
lapponi
essendo
non
le
spine
ma
i
fiori
della
Finlandia
era
giusto
che
non
sapessero
combattere
e
uccidere
.
A
metà
dicembre
la
compagnia
si
trovava
a
Ivalo
e
i
soldati
vivevano
in
baracche
di
legno
.
Juhani
stava
col
capitano
che
a
sua
volta
stava
col
cannone
.
Perché
c
'
era
un
vecchio
cannone
russo
a
Ivalo
,
un
cannone
del
'18
,
l
'
unico
cannone
della
Lapponia
.
Capitan
Pajakka
prima
di
ripartire
con
i
suoi
uomini
verso
il
Nord
disse
a
Juhani
:
"
Tu
rimarrai
a
far
la
guardia
al
cannone
"
.
E
Juhani
rimase
.
Egli
trovò
che
la
guerra
non
è
un
sacrificio
né
un
eroismo
.
Queste
parole
del
resto
al
suo
povero
vocabolario
di
lappone
erano
ignote
.
A
Ivalo
egli
era
solo
col
suo
cane
che
si
chiamava
Leikko
,
la
sua
renna
che
si
chiamava
Peikko
,
e
il
suo
Scita
,
cioè
il
suo
Dio
,
che
si
chiamava
Ukon
,
cioè
il
Vecchio
.
Ukon
era
un
buon
uomo
,
lappone
anche
lui
,
e
Juhani
per
onorarlo
gli
consacrò
un
grosso
macigno
.
Era
intorno
a
questo
macigno
che
Peikko
pascolava
il
lichene
rompendo
col
muso
la
crosta
di
ghiaccio
e
Leikko
le
montava
la
guardia
proprio
come
ai
primi
tempi
del
patto
.
Juhani
,
a
cavallo
del
cannone
dentro
la
capanna
di
legno
,
canticchiava
all
'
infinito
,
nel
vuoto
buio
,
l
'
antica
e
bella
storia
di
Battje
e
Nanna
.
Il
lume
della
lanterna
oscillava
,
i
giorni
passavano
uguali
,
uguali
alle
notti
che
anch
'
esse
erano
uguali
.
Nell
'
angolo
c
'
erano
scatole
da
mangiare
,
scaffali
di
galletta
e
una
botte
che
capitan
Pajakka
aveva
raccomandato
di
non
toccare
.
Per
molti
giorni
Juhan
non
la
toccò
.
Poi
una
volta
,
chissà
come
,
gli
venne
fatto
di
aprirne
il
coperchio
.
Chi
gli
consigliò
quel
gesto
?
Forse
Ukon
,
forse
Leikko
.
C
'
era
dentro
qualcosa
che
somigliava
ad
acqua
,
come
acqua
era
ingenua
ed
incolore
.
Juhani
vi
vide
rispecchiato
il
suo
volto
dagli
zigomi
acuti
,
dagli
occhietti
ridenti
,
come
nel
lago
a
primavera
o
nel
torrente
.
Sullo
specchio
si
curvò
fino
a
toccarlo
.
Quell
'
acqua
chiara
mandava
un
forte
odore
che
,
a
respirarlo
,
dava
una
strana
e
felice
torpidezza
alla
testa
.
Juhani
lo
respirò
e
quel
giorno
nella
storia
di
Battje
e
Nanna
gli
venne
fatto
di
apportare
felici
innovazioni
personali
che
molto
gli
piacquero
.
Per
un
pezzo
,
nei
giorni
che
seguirono
,
egli
non
riaprì
la
botte
.
Poi
una
notte
di
vento
e
di
lupi
vi
si
riaccostò
.
Il
vecchio
anno
era
finito
e
quello
nuovo
cominciato
-
lo
si
vedeva
da
una
pallida
colata
di
latte
che
per
poche
ore
velocemente
allungantisi
interpolava
la
notte
-
quando
un
giorno
capitan
Pajakka
tornò
a
Ivalo
.
Vi
tornò
con
tre
uomini
soli
,
dopo
due
giorni
e
due
notti
di
marcia
nella
neve
:
i
volti
erano
infossati
sotto
il
velame
della
barba
lunga
,
sulle
ciglia
la
neve
si
era
rappresa
in
lacrime
di
ghiaccio
.
La
porta
della
capanna
era
chiusa
,
ma
dalle
fessure
si
vedeva
la
luce
filtrare
e
dentro
qualcuno
cantava
.
I
quattro
uomini
ristettero
,
non
capivano
,
bussarono
,
nessuno
venne
ad
aprire
,
ribussarono
,
la
voce
seguitava
a
cantare
.
Quando
ebbero
buttato
giù
la
porta
a
spallate
,
videro
Juhani
a
cavallo
del
cannone
che
gridava
qualcosa
di
cattivo
contro
Leikko
impiccato
a
un
gancio
sopra
il
macigno
di
Ukon
e
Peikko
con
le
orecchie
monche
distesa
accanto
alla
botte
e
ubriaca
fradicia
di
vodka
.
Capitan
Pajakka
non
disse
nulla
,
prese
Juhani
tra
le
sue
forti
braccia
come
un
padre
prende
un
bambino
malato
,
lo
stese
sul
tappeto
di
renna
,
aspettò
che
il
sonno
venisse
.
Intanto
diceva
dolcemente
:
"
Perché
hai
impiccato
Leikko
?
Perché
hai
impiccato
il
cane
ancora
giovane
?
Tu
non
hai
rispettato
il
patto
,
Juhani
,
e
sventura
te
ne
verrà
.
Ukon
era
presente
e
ha
visto
tutto
.
È
la
prima
volta
che
un
lappone
impicca
il
cane
ancora
giovane
e
taglia
le
orecchie
alla
renna
e
si
ubriaca
di
vodka
.
Domani
partiremo
,
Juhani
,
per
abbandonare
questo
luogo
di
sventura
,
ma
la
sventura
ti
seguirà
"
.
L
'
indomani
partirono
con
le
renne
che
trascinavano
il
cannone
,
e
il
viaggio
fu
penoso
.
Juhani
seguiva
senza
pulca
tirando
Peikko
dalle
orecchie
monche
.
Stavolta
ci
vollero
tre
giorni
e
tre
notti
per
arrivare
a
Nautsi
.
Ogni
tanto
si
fermavano
e
dormivano
in
un
buco
di
neve
,
vigilati
dai
cani
di
Lapponia
.
A
Nautsi
c
'
erano
i
soldati
,
non
proprio
nel
paese
,
ma
un
poco
più
a
Nord
,
sulla
strada
dove
i
Russi
stavano
avanzando
.
Si
udivano
in
quella
direzione
fucilate
stracche
e
un
gran
clamore
di
motori
.
A
un
certo
punto
Juhani
prese
la
pulca
,
vi
attaccò
Peikko
e
disse
che
voleva
andare
nella
foresta
a
cercare
Leikko
che
si
era
perduto
.
Capitan
Pajakka
cercò
di
dissuaderlo
dicendogli
che
Leikko
sarebbe
tornato
da
solo
e
che
nella
foresta
era
pericoloso
andarci
per
via
dei
Russi
che
pattugliavano
dovunque
;
ma
Juhani
insistè
e
capitan
Pajakka
comprese
che
non
c
'
era
nulla
da
fare
.
Juhani
diceva
che
sentiva
due
voci
che
lo
chiamavano
nella
foresta
:
una
veniva
di
fuori
ed
era
quella
di
Leikko
,
l
'
altra
veniva
di
dentro
ed
era
quella
di
Ukon
.
Così
mosse
con
la
pulca
e
per
quel
giorno
più
nessuno
lo
vide
.
Tornò
l
'
indomani
all
'
alba
e
disse
che
aveva
inseguito
Leikko
di
qua
e
di
là
e
che
Leikko
a
un
certo
punto
si
era
lasciato
prendere
,
ma
solo
per
svanirgli
nelle
mani
come
una
nuvola
a
primavera
e
proprio
nello
stesso
istante
,
preceduta
da
un
gran
colpo
,
egli
aveva
udito
la
voce
di
Ukon
che
gli
comandava
di
tornare
a
Inari
,
dove
Leikko
lo
attendeva
.
Parlando
,
un
rivolo
di
sangue
gli
scorreva
dalla
bocca
atteggiata
a
sorriso
.
Poi
aggiunse
che
ora
doveva
sbrigarsi
a
tornare
perché
Leikko
poteva
anche
spazientirsi
del
ritardo
.
E
capitan
Pajakka
non
si
oppose
.
Così
tornò
Juhani
a
Inari
e
per
strada
morì
.
Credo
proprio
che
sia
l
'
unico
lappone
morto
in
questa
guerra
,
e
delle
sue
gesta
non
è
rimasto
gran
ricordo
,
ma
solo
delle
sue
storie
.
StampaQuotidiana ,
Il
Tigrai
è
di
una
bellezza
senza
sorriso
,
incurante
di
se
stessa
e
insensibile
all
'
elogio
.
Non
si
aderge
e
non
si
avvalla
,
nonostante
le
forre
che
lo
solcano
e
le
ambe
che
lo
increspano
:
sta
.
Altri
paesaggi
di
questa
terra
d
'
Africa
son
mobili
e
vari
,
trasmutano
di
colore
,
si
abbigliano
con
cangevole
fantasia
all
'
alba
e
al
tramonto
,
mutano
secondo
la
prospettiva
,
civettano
con
chi
guarda
,
cercano
di
sedurre
con
infingimenti
da
femmina
.
Ma
il
Tigrai
taciturno
supino
sotto
un
cielo
di
cobalto
,
sembra
aver
dimenticato
per
sempre
,
o
forse
sempre
ignorato
,
la
chimica
complicata
del
belletto
.
Né
torvo
né
accogliente
,
ci
si
è
parato
davanti
dopo
la
valle
dell
'
Hasamò
bella
e
micidiale
come
il
canto
di
una
sirena
:
immenso
scenario
di
pietra
,
refrattario
all
'
orpello
e
immemore
dell
'
avventura
umana
che
nel
suo
sfondo
si
svolgeva
.
Re
senza
corona
,
ras
Seium
ha
abbandonato
il
suo
regno
.
Ma
il
suo
ringhio
feroce
giunge
ancora
d
oltre
i
torrioni
segmentati
di
monte
Raio
,
dove
andremo
a
scovarlo
dopo
la
sosta
.
Le
sue
orde
lo
abbandonano
:
i
fitaurari
,
i
barambaràs
,
i
barciai
gli
sfuggono
di
mano
,
si
sottraggono
all
'
ipnosi
di
questo
Marte
etiope
,
temuto
e
odiato
.
Giusto
ieri
il
Deggiaz
Ghezzesillassi
si
presentò
al
campo
del
Ventesimo
con
la
sua
banda
armata
a
far
atto
di
omaggio
al
giusto
e
potente
Governo
italiano
e
al
Signore
bianco
che
lo
rappresenta
.
Egli
ci
disse
che
Seium
si
ritirava
e
,
pur
ritirandosi
si
faceva
sempre
più
torvo
e
solitario
.
"
Tigre
dell
'
altopiano
,
"
lo
chiamano
i
Tigrini
;
e
,
pur
ora
che
la
sua
signoria
volge
al
tramonto
e
le
diserzioni
gli
fanno
il
vuoto
attorno
,
il
suo
prestigio
non
crolla
.
Se
ne
paventa
il
ritorno
che
si
lascerebbe
dietro
una
scia
lunga
di
stragi
e
incendi
:
se
ne
auspica
la
fine
,
come
il
risveglio
da
un
incubo
angoscioso
.
Intanto
su
questo
Tigrai
che
,
al
primo
entrarvi
,
trovammo
deserto
di
uomini
e
di
bestiami
,
rinascono
come
per
incanto
greggi
e
mandrie
.
Il
Tigrino
leva
la
testa
al
cielo
e
benedice
la
misericordia
di
Dio
discesa
in
terra
sotto
le
spoglie
del
Governo
Italiano
,
che
lascia
,
nonostante
la
guerra
,
intatti
i
campi
e
il
bestiame
.
"
Sono
suddito
del
Governo
,
"
disse
un
pastore
a
un
ascari
che
tentava
di
rapirgli
un
capretto
e
si
aderse
minaccioso
,
fissandomi
,
ad
attendere
che
Goitana
sanzionasse
con
una
parola
o
con
un
gesto
.
"
Civis
italicus
sum
.
"
So
di
qualche
stregone
che
a
donne
e
uomini
di
tribù
confinanti
,
atterriti
dal
cupo
brontolio
del
cannone
,
ha
suggerito
quella
formula
,
pur
debitamente
tradotta
in
suo
linguaggio
,
come
antidoto
di
ogni
possibile
catastrofe
.
Solo
il
nuovo
ascari
non
è
convinto
,
guarda
con
malinconia
.
Si
è
arruolato
per
la
guerra
,
con
l
'
idea
della
guerra
:
un
'
idea
che
non
ha
niente
che
fare
con
questa
realtà
.
Guerra
implica
morte
o
razzia
.
Qui
,
dietro
al
nemico
che
fugge
,
pascola
il
bestiame
fra
l
'
erbe
grasse
,
e
nei
tukul
,
a
sera
,
cuoce
la
burgutta
:
tutto
è
come
prima
.
Una
guerra
questa
?
C
'
è
perfino
l
'
obbligo
di
camminare
lungo
i
sentieri
per
non
pestare
il
taf
e
la
dura
:
è
veramente
misterioso
questo
Signore
bianco
venuto
dall
'
Italia
con
i
suoi
stormi
d
'
aeroplani
,
con
le
sue
mitragliatrici
crepitanti
,
con
quelli
strani
cosi
che
somigliano
a
automobili
,
ma
che
salgono
su
ogni
picco
,
discendono
in
qualsiasi
fosso
e
spargono
attorno
morte
e
terrore
.
Potrebbe
bruciare
,
saccheggiare
,
sterminare
,
e
invece
costruisce
,
protegge
,
bonifica
.
Bella
pel
nuovo
ascari
sarebbe
la
razzia
secondo
la
vecchia
consuetudine
di
guerra
:
precipitare
,
urlando
,
a
valle
e
appiccar
fuoco
ai
tukul
e
rubare
femmine
,
talleri
,
buoi
e
poi
,
a
sera
,
le
folli
fantasie
attorno
ai
bracieri
inceneriti
,
i
lunghi
cori
della
vittoria
,
la
spartizione
complicata
del
bottino
sotto
il
controllo
severo
e
imparziale
di
Goitana
e
il
carnevaleggiare
per
tutta
la
notte
nei
manti
rossi
o
sui
drappi
tolti
al
nemico
,
con
gli
spari
a
salve
e
le
daghe
arcobalenanti
in
aria
.
"
Come
allora
"
dice
Teremmà
Uorchè
ch
'
è
stato
a
Adua
.
Invece
,
l
'
hanno
messo
a
far
strade
.
Il
nuovo
ascari
odia
il
lavoro
in
genere
perché
lo
ritiene
incompatibile
con
la
dignità
del
soldato
,
e
il
lavoro
di
strada
in
specie
perché
toglie
ogni
fantasia
al
suo
nomadismo
.
Seguir
una
strada
significa
accettare
la
logica
di
un
altro
.
È
un
'
abdicazione
troppo
grave
.
All
'
ascari
che
marcia
piace
inventarla
la
strada
:
non
avere
davanti
a
sé
che
il
cavallo
di
Goitana
e
poi
ricamar
secondo
capriccio
,
galoppando
a
traiettoria
perpendicolare
lungo
la
roccia
,
procedere
o
attardarsi
lungo
la
petraia
del
torrente
.
Questo
Signore
bianco
è
veramente
incomprensibile
:
in
guerra
lascia
il
fucile
per
la
vanga
e
non
si
dà
pace
finché
non
si
vede
davanti
e
di
dietro
un
rivolo
di
pietre
bianche
e
di
terra
battuta
.
S
'
è
sparsa
la
notizia
e
da
principio
non
ci
volevan
credere
che
in
dieci
giorni
i
nazionali
che
operano
alla
nostra
destra
hanno
costruito
la
strada
dal
confine
ad
Adua
:
quaranta
chilometri
in
dieci
giorni
,
quaranta
chilometri
di
Tigrai
!
Il
Tigrai
soltanto
sembra
insensibile
a
questo
miracolo
.
Gli
indigeni
,
disorientati
come
formiche
non
riconoscono
il
loro
sentiero
,
vanno
,
vengono
,
s
'
inchinano
ogni
giorno
più
a
terra
,
mescolano
tutte
queste
cose
incomprensibili
con
l
'
idea
di
Dio
e
sigillano
la
loro
incapacità
a
comprendere
con
un
pio
segno
della
Croce
.
Ma
il
Tigrai
non
se
ne
accorge
.
Di
miracoli
non
crede
che
a
quelli
celesti
e
forse
nemmeno
a
questi
.
La
sua
immobilità
è
già
di
per
se
stessa
un
miracolo
,
con
quel
che
di
eterno
essa
spira
.
Ha
sentito
penetrargli
nel
fianco
la
punta
aguzza
del
piccone
italiano
che
,
implacabile
e
monotono
,
lo
martella
dall
'
alba
al
tramonto
,
ma
non
se
ne
fa
.
Pensa
che
i
picconi
si
smussano
,
che
i
muscoli
s
'
afflosciano
,
che
i
nervi
si
logorano
.
Forse
pensa
che
noi
non
si
potrà
nulla
contro
questa
sua
granitica
maestà
.
O
Italia
,
che
meraviglioso
lavoro
di
civiltà
Dio
ti
ha
assegnato
quaggiù
!
Tigrai
!
A
me
questo
accigliato
gigante
di
pietra
dà
una
sensazione
complessa
,
mescolata
,
come
quando
,
piccino
,
m
'
avvicinavo
agli
elefanti
del
Circo
equestre
,
forte
della
mia
fragilità
,
e
chiedevo
che
mi
issassero
sul
groppone
.
Qui
,
in
questa
petraia
angusta
di
Alissàt
Atri
,
me
lo
vedo
tutto
disteso
con
le
sue
scalinate
digradanti
a
rilento
e
i
suoi
picchi
improvvisi
,
come
isolotti
emersi
da
un
mare
di
nebbia
.
Ma
più
bello
è
di
notte
,
quando
si
veglia
ai
margini
del
bivacco
e
tutto
s
'
accende
di
fuochi
che
lo
punteggiano
,
come
fossero
gli
occhi
fosforescenti
di
un
immenso
mostro
silenzioso
.
Han
ragione
gli
ascari
che
nei
loro
canti
se
lo
rappresentano
come
l
'
ultimo
epigono
di
una
razza
di
giganti
partoriti
direttamente
dalla
terra
che
li
concepì
in
un
amplesso
smisurato
col
cielo
e
gli
dànno
voce
e
sensi
e
aspirazioni
umane
.
È
vivo
,
infatti
,
il
Tigrai
,
anche
se
sono
spenti
i
crateri
dei
suoi
enormi
vulcani
.
E
credo
anch
'
io
a
quel
che
si
dice
:
che
,
sotto
la
pelle
dura
,
fluisca
un
sangue
ricco
di
ferro
che
ogni
tanto
spumeggia
anche
,
se
si
incrosta
alla
superficie
.
Il
pensiero
di
quel
sangue
,
a
me
Italiano
,
dà
le
vertigini
.
E
qualcuno
già
sorride
al
sogno
della
ricchezza
che
ne
prenderà
domani
.