StampaQuotidiana ,
Ho
appena
ricevuto
il
rapporto
annuale
che
il
Fraser
Institute
,
un
centro
di
ricerca
canadese
,
in
collaborazione
con
istituzioni
analoghe
di
47
paesi
,
pubblica
sullo
stato
della
libertà
economica
del
mondo
(
Economic
Freedom
of
the
World
1997
)
.
Il
rapporto
costruisce
un
indice
di
libertà
economica
per
i
vari
Paesi
,
analogamente
a
quanto
fanno
anche
altre
due
fondazioni
americane
:
la
Freedom
House
e
la
Heritage
Foundation
in
collaborazione
col
Wall
Street
Journal
.
Com
'
è
evidente
,
la
misura
dell
'
indice
di
libertà
economica
presenta
notevoli
difficoltà
,
ed
è
quindi
comprensibile
che
si
abbiano
opinioni
molto
diverse
circa
il
modo
migliore
di
quantificarlo
.
Infatti
,
gli
indici
dei
tre
rapporti
sono
costruiti
in
base
a
criteri
differenti
.
Tuttavia
,
queste
differenze
metodologiche
che
intercorrono
fra
le
tre
misurazioni
dell
'
indice
di
libertà
economica
non
ci
interessano
in
questa
sede
,
perché
,
malgrado
queste
differenze
di
metodo
,
tutti
e
tre
gli
indici
forniscono
un
'
indicazione
sconsolante
per
ciò
che
riguarda
il
nostro
Paese
.
Secondo
la
classifica
dei
Paesi
per
il
1995
,
curata
dal
rapporto
del
Fraser
Insitute
,
infatti
,
l
'
Italia
si
colloca
al
55°
posto
,
a
pari
merito
con
la
Colombia
,
la
Lituania
e
l
'
Ecuador
.
Fra
i
15
Paesi
membri
dell
'
Unione
europea
siamo
al
penultimo
posto
,
precedendo
solo
la
Grecia
.
Gli
altri
due
rapporti
forniscono
indicazioni
simili
.
Questo
dato
non
stupirà
,
credo
,
nessuno
.
Siamo
tutti
consapevoli
dell
'
enormità
delle
vessazioni
che
ci
vengono
imposte
:
una
mole
insensata
di
restrizioni
legislative
e
amministrative
alle
attività
economiche
,
una
congerie
di
imposte
,
tasse
,
tributi
e
balzelli
vari
.
Ma
,
soprattutto
,
l
'
utilizzazione
della
maggior
parte
del
nostro
reddito
è
decisa
da
politici
e
burocrati
anziché
da
noi
.
Infatti
,
immancabilmente
,
oltre
il
50%
del
reddito
prodotto
ogni
anno
è
stato
fagocitato
dalla
spesa
pubblica
,
assorbito
dai
canali
politico
-
burocratici
e
sottratto
ai
singoli
,
alle
famiglie
e
alle
imprese
.
In
particolare
,
nel
1996
il
settore
pubblico
ha
assorbito
il
53,6%
del
Pil
e
soltanto
il
46,4%
è
rimasto
in
mani
private
.
Se
consideriamo
la
libertà
di
utilizzare
il
proprio
reddito
come
fondamentale
caratteristica
di
un
'
economia
libera
,
il
che
mi
sembra
del
tutto
ovvio
,
l
'
Italia
è
un
'
economia
libera
,
privata
,
di
mercato
per
il
46,4%
,
ma
è
statalizzata
,
collettivista
,
socialista
per
il
53,6%
.
Né
il
problema
riguarda
soltanto
l
'
utilizzo
del
reddito
prodotto
,
cioè
il
livello
della
spesa
pubblica
e
delle
tasse
,
ma
investe
persino
la
proprietà
dei
mezzi
di
produzione
.
Un
paio
di
anni
fa
,
il
settimanale
inglese
The
Economist
,
in
uno
studio
sull
'
economia
della
federazione
russa
sostenne
che
l
'
economia
russa
è
più
privata
di
quella
italiana
!
E
ancora
,
la
diffusione
della
proprietà
azionaria
,
che
costituisce
uno
degli
indicatori
principali
del
carattere
"
capitalistico
"
dell
'
economia
,
è
in
Italia
assolutamente
marginale
.
Basti
pensare
alle
dimensioni
della
nostra
Borsa
,
il
cui
valore
capitalizzato
rappresenta
poco
più
del
25%
del
prodotto
interno
lordo
-
ridicolo
se
raffrontato
all
'
oltre
150%
della
Gran
Bretagna
e
all
'
oltre
120%
degli
Stati
Uniti
.
Basso
indice
di
libertà
economica
,
spesa
pubblica
che
assorbe
oltre
la
metà
del
reddito
,
tassazione
da
confisca
,
un
settore
pubblico
gigantesco
,
ingordo
e
inefficiente
,
diffusione
minima
della
proprietà
azionaria
:
se
dovessimo
classificare
l
'
economia
italiana
non
avremmo
elementi
per
definirla
"
di
mercato
"
o
"
capitalistica
"
.
Guardando
a
questi
dati
,
dovremmo
concludere
che
l
'
Italia
è
un
'
economia
da
socialismo
reale
,
un
Paese
collettivizzato
,
dominato
dalla
burocrazia
,
dallo
statalismo
,
dal
dirigismo
,
dalla
fiscalità
.
Se
è
vero
che
l
'
inefficienza
pubblica
da
un
lato
e
la
parsimonia
,
la
laboriosità
e
la
creatività
del
nostro
popolo
dall
'
altro
sono
riuscite
a
salvaguardare
un
po
'
di
libertà
economica
e
benessere
in
questo
nostro
Paese
,
è
anche
vero
che
dobbiamo
invertire
la
rotta
.
Non
possiamo
più
permetterci
gli
sprechi
e
le
inefficienze
di
un
settore
politico
-
burocratico
onnipresente
e
sprecone
,
né
possiamo
rassegnarci
alla
decadenza
cui
ci
sta
condannando
lo
statalismo
.
Lo
dobbiamo
a
noi
stessi
e
ai
nostri
figli
:
dobbiamo
alleggerire
il
fardello
pubblico
per
consentire
all
'
economia
privata
di
riprendere
la
sua
corsa
verso
il
progresso
.
Quanto
prima
riusciremo
a
farlo
,
tanto
meglio
.
StampaQuotidiana ,
Non
creiamoci
soverchie
illusioni
:
l
'
Enel
non
sta
per
essere
privatizzata
e
al
suo
posto
non
sta
per
subentrare
un
sistema
competitivo
di
mercato
.
Quanto
sta
accadendo
è
in
larga
misura
un
cosmetico
rimescolamento
delle
carte
,
non
la
fine
del
monopolio
pubblico
.
Tuttavia
,
pur
trattandosi
soltanto
di
un
primo
,
timido
e
contraddittorio
passo
verso
una
restituzione
del
settore
al
mercato
e
alla
disciplina
della
concorrenza
,
non
sarebbe
male
che
guardassimo
indietro
e
valutassimo
l
'
enorme
significato
simbolico
dell
'
operazione
.
Si
tratta
dell
'
ennesima
conferma
della
fine
di
un
mondo
,
di
una
ideologia
,
di
una
impostazione
politica
.
Per
comprenderlo
,
è
necessario
rifarsi
al
dibattito
che
contrassegnò
la
nascita
dell
'
Enel
.
Gli
anni
Cinquanta
,
com
'
è
noto
,
furono
anni
di
grandi
successi
economici
.
In
quel
decennio
venne
riconquistata
la
stabilità
del
potere
d
'
acquisto
della
moneta
:
l
'
inflazione
,
che
nel
decennio
1940-49
era
stata
in
media
pari
a
quasi
il
65
per
cento
l
'
anno
,
venne
sconfitta
.
Fra
il
1950
e
il
1959
il
tasso
medio
annuo
d
'
inflazione
scese
a
circa
il
3%
e
la
nostra
lira
andò
consolidandosi
fino
a
ottenere
il
premio
per
la
moneta
più
stabile
in
Europa
.
Il
disavanzo
pubblico
,
che
nel
1950
era
stato
pari
a
quasi
500
miliardi
(
oltre
il
4,5%
del
prodotto
interno
lordo
)
,
andò
rapidamente
diminuendo
:
nel
1961
fu
di
357
miliardi
,
l'1,4%
del
Pil
.
Il
debito
complessivo
scese
dai
4.800
miliardi
del
1950
,
pari
al
52%
del
Pil
,
ai
9.286
del
1960
,
pari
al
37,4%
del
Pil
.
Furono
cioè
anni
di
rigore
finanziario
e
di
politica
monetaria
prudente
e
,
smentendo
il
coro
unanime
degli
economisti
di
sinistra
,
quella
politica
di
rigore
non
solo
non
produsse
ristagno
e
disoccupazione
ma
si
tradusse
al
contrario
in
un
fattore
di
poderosa
crescita
economica
:
la
disoccupazione
diminuì
sensibilmente
(
nel
1960
il
tasso
di
disoccupazione
diminuì
sensibilmente
(
nel
1960
il
tasso
di
disoccupazione
era
inferiore
al
4%
)
e
il
tasso
di
sviluppo
fu
talmente
elevato
(
in
media
quasi
il
7%
reale
l
'
anno
)
che
da
più
parti
si
gridò
al
miracolo
.
Quelli
sono
,
infatti
,
ancora
indicati
come
gli
anni
del
"
miracolo
economico
"
.
Ma
non
c
'
era
nulla
di
miracoloso
in
quel
successo
:
si
trattava
semplicemente
delle
conseguenze
previste
di
una
politica
liberale
di
rilancio
del
mercato
,
di
incoraggiamento
al
risparmio
,
di
stabilità
monetaria
,
di
bassa
fiscalità
,
di
assenza
di
sprechi
pubblici
,
di
limitatissima
ingerenza
della
politica
nell
'
economia
.
Tutti
i
Paesi
che
hanno
seguito
quell
'
impostazione
hanno
ottenuto
,
sia
pure
in
diversa
misura
,
gli
stessi
positivi
risultati
.
La
verità
è
che
il
successo
degli
anni
Cinquanta
irritò
,
e
non
poco
,
le
sinistre
:
come
mai
,
si
chiedevano
i
più
onesti
fra
loro
,
una
politica
diametralmente
opposta
a
quella
da
noi
proposta
ottiene
risultati
così
positivi
?
Nacque
allora
negli
ambienti
delle
sinistre
comuniste
,
socialiste
e
cattocomuniste
un
nuovo
slogan
:
i
Cinquanta
saranno
magari
stati
gli
anni
del
"
miracolo
economico
"
ma
ora
è
necessario
un
"
miracolo
sociale
"
,
è
necessaria
un
'
"
apertura
a
sinistra
"
,
una
svolta
nella
politica
economica
,
con
l
'
abbandono
delle
"
vecchie
e
superate
"
ricette
dell
'
economia
liberale
e
l
'
adozione
di
formule
economiche
"
moderne
"
,
più
consone
ai
tempi
.
Fu
in
questo
clima
che
nacque
il
centrosinistra
,
l
'
alleanza
fra
marxisti
e
democristiani
che
da
quasi
40
anni
malgoverna
l
'
Italia
.
La
svolta
politica
significò
l
'
abbandono
della
prudenza
finanziaria
e
del
contenimento
dell
'
invadenza
pubblica
,
ma
il
simbolo
maggiore
del
cambiamento
fu
proprio
la
nazionalizzazione
dell
'
energia
elettrica
,
la
creazione
dell
'
Enel
.
Quella
infausta
operazione
fu
fortemente
voluta
,
specie
dai
socialisti
,
sia
per
sottolineare
il
passaggio
da
un
'
economia
di
mercato
a
un
'
economia
statalista
e
pianificata
,
come
venne
apertamente
dichiarato
,
come
"
strumento
per
scardinare
la
struttura
della
società
capitalistica
"
.
Può
apparire
incredibile
oggi
,
a
distanza
di
oltre
35
anni
,
che
circolassero
allora
e
fossero
popolari
idiozie
del
genere
,
ma
è
così
.
Raccomanderei
a
chi
oggi
trova
deprimente
la
mancanza
di
idee
sensate
a
sinistra
di
leggersi
i
discorsi
di
allora
:
sono
un
autentico
stupidario
.
Dilapidammo
3.000
miliardi
di
allora
(
circa
55.000
di
adesso
)
per
soddisfare
i
pruriti
ideologici
delle
sinistre
,
elevando
un
carrozzone
inefficiente
,
burocratico
,
costoso
e
corrotto
a
simbolo
di
una
nuova
era
,
più
saggia
,
progressiva
,
moderna
.
Per
questo
,
lo
smantellamento
dell
'
Enel
,
anche
se
non
costituisce
affatto
una
vera
privatizzazione
né
un
'
autentica
liberalizzazione
,
ha
per
me
liberista
lo
stesso
,
gratificante
significato
della
caduta
del
muro
di
Berlino
o
della
demolizione
delle
statue
di
Lenin
:
un
mostruoso
totem
del
fanatismo
statalista
viene
finalmente
demolito
.
Il
resto
,
speriamo
,
verrà
dopo
.